Giovanni Bonicelli
Arlechino finto bassà d’Algeri, Vittoria il cane dell’ortelano e
Fichetto bullo per amore
a cura di
Paula Gregores Pereira
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua
2024
Giovanni Bonicelli
Arlechino finto bassà d’Algeri, Vittoria il cane dell’ortolano e
Fichetto bullo per amore
a cura di Paula Gregores Pereira
© 2024 Paula Gregores Pereira
© 2024 lineadacqua edizioni
Biblioteca Pregoldoniana, nº 41
Collana diretta da Javier Gutiérrez
Carou
Supervisori per i dialetti: Piermario Vescovo e Luca D’Onghia
Comitato scientifico: Beatrice
Alfonzetti, Francesco Cotticelli, Andrea Fabiano, Javier Gutiérrez Carou,
Simona Morando, Marzia Pieri, Anna Scannapieco e Piermario Vescovo
Editing: Paula
Gregores Pereira
www.usc.gal/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.gal
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN: 9791281350229
La presente
edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito dei progetti di ricerca Archivio del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663),
Archivio del teatro pregoldoniano II:
banca dati e biblioteca pregoldoniana (FFI2014-53872-P) e Archivio del teatro pregoldoniano III: biblioteca pregoldoniana, banca dati e
archivio musicale (PGC2018-097031-B-I00) finanziati dal Ministerio de
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utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra
finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza
l’esplicita autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.
I lavori svolti da
Paula Gregores Pereira e da Javier Gutiérrez Carou nella redazione e revisione
del libro si inseriscono inoltre nell’ambito
delle attività realizzate dal Grupo de Referencia Competitiva CALDERÓN (GI-1377) dell’Universidade
de Santiago de Compostela, finanziato
dal Plan Galego IDT della Xunta de Galicia per il periodo
2023-2026, rif. ED431C 2023/06.
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Biblioteca Pregoldoniana, nº 41
L’Arlechino finto bassà è conservato
in una serie di testimoni a stampa pubblicati fra la fine del Seicento e i primi
anni del Settecento a Venezia:
L1: ARLECHINO / FINTO BASSÀ / D’ALGIERI.
/ Vittoria il Cane dell’Ortolano, / e Fichetto Bullo per / Amore. / OPERA SCENICA
/ Dell’Eccellentiss. Sig. Dottor / BONVICIN GIOANELLI / [1703] / In Venetia,
Per Domenico Lovisa à Rialto. / Con licenza de’ Superiori.
Esemplare custodito presso la Biblioteca Comunale Augusta
di Perugia, collocazione ANT I.M 1182 (4.
Descrizione: A-B12C6; 60 pp. La p. 2
contiene l’elenco dei personaggi e le pp. 3-60 la commedia. La data «1703» è un’aggiunta
manoscritta.[1]
Impronta: eno. o.e- nee. moca (3) 0000 (Q).
L2: ARLECHINO / FINTO BASSÀ / D’ALGIERI.
/ Vittoria il Cane dell’Ortolano, / E Fichetto Bullo per / Amore. / OPERA SCENICA
/ Dell’Eccellentiss. Sig. Dottor / BONVICIN GIOANELLI. / DEDICATA / All’Illustrissimo
Signor / BARTOLOMEO ANGIELI / Nobile di Conegliano. / In Venetia, Per Domenico
Lovisa à Rialto. / Con Licenza de’ Superiori.
Esemplare custodito presso la Biblioteca Comunale Augusta di Perugia, collocazione
FONDO II.O 46.
Descrizione:
A-C12; 72 pp. La p. 3 contiene l’elenco dei personaggj, la p. 4 le indicazioni
di localizzazione scenica e le pp. 5-71 la commedia. La p. 72 raccoglie l’errata
corrige.
Impronta:
i.e. e.s- ini. metr (3) 0000 (Q).
Di: ARLECHINO / FINTO BASSÀ / D’ALGIERI. / Vittoria il Cane dell’Ortolano, / E
Fichetto Bullo per / Amore. / OPERA SCENICA / Dell’Eccellentiss. Sig. Dottor
/ BONVICIN GIOANELLI. / DEDICATA / All’Illustrissimo Signor / BARTOLOMEO
ANGIELI / Nobile di Conegliano. /In Venetia, Per Giacomo Didini sott. il Brog. /
Con Licenza de’ Superiori.
Esemplare custodito alla Biblioteca di belle arti Tadini di
Lovere, collocazione N. 43.
Descrizione:
A-C12; 72 pp. La p. 3 contiene l’elenco dei personaggi, la p. 4 le indicazioni
di localizzazione scenica e le pp. 5-71 la commedia. La p. 72 raccoglie l’errata
corrige.
Impronta: i.e. e.s- ini. metr (3) 0000
(Q).
Fra
L2 e Di si riscontra soltanto una
variante, lo stampatore, che nel frontespizio di L2 viene identificato come «Domenico
Lovisa» ma, in Di, come «Giacomo Didini».
In questo caso, ci troviamo davanti a due emissioni di una stessa edizione, ovvero,
davanti a due gruppi di esemplari che, benché «prodotti dall’uso sostanziale della
stessa composizione tipografica», si differenziano, in questo caso, solo dal riferimento
editoriale presente in copertina, che serve a identificare ogni gruppo «come un’unità
discreta» per promuoverne, ad esempio, la vendita come prodotti diversi.[2] Gli esemplari,
che in effetti contengono lo stesso numero di pagine, le stesse xilografie, lo stesso
errata corrige¸ la stessa impronta e la stessa disposizione tipografica,
presentano soltanto ciò che sembra essere una piccola variante testuale: a p. 17
(riga 10), Di registra «viscere»,
mentre L2 sembra registrare «viscero». Tuttavia, un’analisi minuziosa del fenomeno
ci permette di individuare che ciò che sembrava una variante è in realtà una modifica
nel testo originata dal deterioramento di un carattere mobile, la cui forma, una
‘e’ che già si avverte difettosa in Di,
si avvicina a una ‘o’ in L2. Tenendo presenti queste considerazioni, possiamo concludere
che L’Arlechino finto bassà è, insomma, reperibile in soltanto due edizioni,
L1 e L2 (che accoglie sia L2 che Di),
che sono quelle da tenere in considerazione per l’elaborazione del testo critico.
Arlechino
finto bassà d’Algeri, Vittoria il cane dell’ortolano
e
Fichetto bullo per amore
Opera
scenica
dell’Eccellentissimo
Signor Dottor
Bonvicin
Gioanelli
Personaggi[3]
alberto, duca padre di Federico
creduto Teodoro.
contessa vittoria,
nipote del duca Alberto, amante di
Teodoro.
federico, figlio del duca
Alberto creduto Teodoro, e gabinetto,
suo servo.[4]
marcella, congiunta della
contessa Vittoria, amante di Teodoro.[5]
marchese ulario,
amante della contessa Vittoria non corrisposto.
pantalone, servo del duca
Alberto.
dottore, secretario del
marchese Ulario.
arlichino e brunetta, servi in corte.
La
scena si finge in Napoli.
Scene
nell’atto primo.
Appartamenti
della contessa Vittoria.
Piazza.
Nell’atto
secondo
Sala
reggia.
Piazza
come di sopra.
Sala
reggia come di sopra.
Nell’atto
terzo
Piazza
come negli atti sudetti.
Stanze
del duca Alberto.
Appartamenti
della contessa Vittoria.
Teodoro,
Fichetto, che fuggono dall’appartamenti della contessa Vittoria
teodoro Saremo al certo stati scoperti! Vogli il cielo
che la contessa Vittoria non se ne sii avveduta.
fichetto Se, a’ l’ho dit tant volt in malura! Currì, né perdè pi temp.[6]
Contessa
Vittoria tutt’anelante seguita da un servo che tiene lume alle mani.
contessa A tanto s’avanza l’ardire, ch’osa sin ne’ miei
tetti etc. Olà servi, accorrete, poiché genti al sicuro s’attrovano ne’ miei
appartamenti.[7]
Contessa
ed Arlichino, che sopragiunge con lumi.
arlichino Chi va lì, corp del bordel? Sanguinin, sanguenon, sanguenonaz.[8]
contessa Usa pur ogni diligenza, mio fido servo, acciò non fuggano i traditori.
arlechino Che fruz i, che fruz i, a’ ’i è omen co tutti i
so’ requisit, che a’ ’i ho conossud int’el da driè.[9]
contessa Qual congerie
di funesti pensieri si va anidando nella mia mente! Ah, che pavento di frodi, già
che non punto sen van disgiunti dalle miserie le felicitadi.
(Arlichino
con mille motti va cercando per scena in atto minaccioso e ridicolo)
5 arlichino Fuora, canage! Ades, ades a’ ve farò ben mi andar
via coi
cocconi delle botte,
razze porche.[10]
contessa Così, de’ propri errori avranno impenate l’ali
alle piante.[11]
arlichino Eh, che no i aveva le panche, no; a’ ’i era
du intabaradi.[12]
contessa A che dunque non inseguirli?
arlichino A’ ho pres mi subit el spied ch’andava a torn, ma ho volud pria manzar
l’arost.[13]
10 contessa Questa è la diligenza ch’usi alle veglie imposteti?
arlichino Co’ sarave a dir, no la vol ch’a’ magna?[14]
contessa Quello non era tempo di tratenirti, ma di rintracciarli ovunque si
fussero fuggiti.
arlichino La dis molto ben Sua Eccellenza: anderò a trovarli che de segur i deve
esser là.[15]
contessa Che
dici? Ove s’attrovano costoro?
15 arlichino Digh ch’anderò a veder, se i fosse int’el necessari.
contessa Scostati temerario.
arlichino No gh’è miga tant mal a dir che i sarà int’el cagadur, perché l’è propri
logh delle carogne. (si parte)[16]
Contessa, Pantalone, che
sopragiunge.
pantalone Corro, che me snombolo per servir Vostra Eccellenza, cosa comàndela?
(a parte) (Bisogna che la ghe fuma certo a sta siora.)[17]
contessa L’agitata
mia mente, nonché le mie grida, ch’andorono a ferir l’etra, vi dovrebbero, Pantalon,
far intendere come tengo necessità d’esser soccorsa.[18]
pantalone (a parte) (Sta’ a veder che
la xe morta e sbasìa per sto musin de settant’anni, oimei!)[19]
contessa L’improviso rumore nelle mie stanze m’ha resa sollecita a risvegliarmi.
5 pantalone Me maravegio de Vostra Eccellenza: no sa-la che la è patrona
de ciamarme a ora e strasora? (a parte) (Altro che
amor.)[20]
contessa Inseguite gl’audaci e conduceteli al mio cospetto.
pantalone Più che volontiera la servirave se le mie gambe no fasse Giacomo,
da seno; la veda (guardandosi le piante) che st’anno tra i altri el sélano
val qualcossa, no i se vergogna de domandar tre soldi alla gamba del nostran però
digo.[21]
contessa Compatisco la vostra età.
pantalone E de che foza, ma ancora, Celenza,
se la me intende, saria in stato de far far una meza dozena de Pantalonzini che
i poderave esser paggi de Vostra Eccellenza.[22]
10 contessa S’a’ vostri desideri corrispondessero l’operazioni
credo.
pantalone La gh’ha vogia mo de burlar co mi, n’è vero Celenza?
contessa Sii vostra cura far ricercar per tutte le stanze ed indagar i servi
del sopra occorso rumore.
pantalone Vago subito cancaro, chi
no la servisse. Sioriaza. (ponendo mano al pugnal)[23]
Contessa,
Arlechino, con capello di Teodoro nelle mani.
arlechino Manch mal che s’i l’ha brusà la paga l’ha lassà però el capel.[24]
contessa (a parte) (Oh Dio, quegl’è il capello del mio caro Teodoro!)
arlichino (a parte) (El puzza, che ’l carogna al sigur che i gh’averà cagà
denter.)
contessa Arlechino!
5 arlichino Cosa commandela Siora Marches?
contessa E bene, ch’apporti della fugga? (a parte) (Fingerò non essermi
aveduta di quel capello.)
arlichino Bone nove.
contessa Hai forse scoperti i traditori?
arlichino E de che fat al se tratta, ch’a’ ghe n’abbi descapelà un; guardè mo.
(li fa vedere il capello)
10 contessa (a parte) (Purtroppo lo raviso.)
arlichino Ma i ha abù de bon, che i sè andài via da mi senza che a’ ’i manda.[25]
contessa Tu dunque gl’hai conosciuti?
arlichino Che forse Vostra Eccelenza non conoscerave sta
capella. (a parte) (Stà a
vidir che la sipi al contrari dell’altre femene.)[26]
contessa Io lo scorgo al sicuro. (a parte) (Ah, che lo riconosce anco
il mio core.)
15 arlichino No se tratta però così co le putte nette e onorate.
(verso altrove)[27]
contessa Che parli? che discorri di puttenette onorate? E che so io?
arlichino (affacciandosi alla contessa) A’ si’ pur la cara cosa.
contessa Che dimestichezza è questa?
arlichino No se pol mo perché a’ sem pover omeni far quel che fa i marches za
al se sà per tut la cort.
20 contessa (a parte) (Di sicuro a costui sono noti i miei affetti
verso di Teodoro.)
arlichino Che Teodor? Quel licapiat?[28]
contessa (a parte) (Sono scoperta.) (poi) Ama…
arlichino Chi mo?
contessa (a parte) (Respiro.)
25 arlichino Dona Susana?
contessa Vuoi dire Mar…?
arlichino Giust, alla fé. Marcarella.
contessa Vuoi dir Marcella?
arlichino Andriana, o Marcarella, za a’ l’è tut un.
30 contessa (a parte) (Ah, se n’avvide il mio core.) Dimi come sai di questi
amori.
arlichino Com’a’ ’l so? A’ ’l so perché a’ son el ruffian della communità.
contessa Bel mestiere per mia fe’.
arlichino Za al zorno d’ozi quest s’usa da per tut. Si ben che quel scartoz de
Teodoro el civetta Marcella e Fichet, Brunetta.[29]
contessa Dunque tu tieni per sicuro ch’ambidoi si siino introdotti nelle stanze
di Marcella.
35 arlichino E che più bel testa de demonio de quest? (li
denota il capello)[30]
contessa (a parte) (Ah gelosia, m’uccidi.)
arlichino Ma no ’l sarà mai ver che quel guidon de Fichet
abbi Brunetta, che la è el cor delle me budelle, el ventricol dei me meati, insoma,
tante belle cose a’ dirave s’avesse una qualche lengua da Deter.[31]
contessa Non solo Marcella si fa lecito d’amoreggiare Teodoro, che Brunetta,
a cui la diedi in custodia, se la passa alla domestica con Fichetto?[32]
arlichino (a parte) (Questa è la volta ch’a’ la fa impicar Fichet
sigur.)
40 contessa (a parte) (Furie, non più agitatemi, cruci del mio dolore, a
che uccidermi più s’è svelto il core?) (poi) Olà, Brunetta!
Contessa,
Arlichino, Brunetta.
brunetta Eccomi pronta all’Eccellenza Vostra.
arlichino (a parte) (A, cagna asassina!) (s’aggiusta
gl’abiti, fa mille moti per parer più adorno agl’occhi di Brunetta)[33]
contessa A tanto s’inoltra, oh sfacciata, il tuo ardimento, ch’osò questa notte
introdur genti ne’ miei appartamenti?
arlichino Varré, varré co’ rossa che la vien, la par giusto un’anguria.[34]
5 brunetta Io, Eccellenza?
contessa Sì, tu, temeraria.
brunetta Né meno me lo sono sognato.
arlichino Mentiris.
Guarda mo sta capella. (li fa vedere il capello di Teodoro)
brunetta (a parte) (Il tutto gl’è noto.) (poi s’inginocchia) Deh, per pietà l’Eccellenza Vostra mi condoni, poiché
fui necessitata introdur il signor Teodoro suo cancelliere, e Ficheto il servo,
alle ricchieste centuplicate e minacce della signora Marcella sua congiunta, che
per altro guardimi il cielo!
10 arlichino (a Brunetta) Senti cara fradella cosa ha’
t’ bruscad.[35]
brunetta Il mall’anno che ti pigli.
arlichino Tientelo tut per ti.
contessa Levati, scelerata, già sai pure quello più e più volte t’imposi, che
dovessi esser Argo, fedele alla custodia di Marcella. Ma dimi, quanto costoro si
trattenero nelle di lei stanze?[36]
arlichino Ancha denter. «Actum est de eis», così disèa Bertold a so’ fradèi.[37]
15 brunetta A pena furono giunti nell’anticamera
che, caduta una cornice dalle pareti…
arlichino (a parte) (Bel principi del matrimocol!)[38]
brunetta li necessitarono a darci a precipitosa fuga nella quale forza è il credere
li sii caduto di capo il capello.
contessa Dunque non s’abbocò con Teodoro Marcella?
brunetta Eccellenza, no, poiché li fu levato
il modo per il sopra cennato accidente.
20 contessa Or che fa Marcella?
brunetta Impazisse per
il timore d’esser dall’Eccellenza Vostra scoperta.[39]
contessa Arlichino, fa’ venir qui Marcella.
arlichino Cancar, co se tratta de far el ruffian nissun sarà più lest de mi. (si
parte)[40]
Contessa,
Brunetta.
contessa È dunque corrisposta in amore?
brunetta Io compatisco quel povero marcantonio, poiché Marcella è sì bella e
galante che, per mia fe’, anch’io l’adoro.
contessa (a parte) (Gelosia mi divori!) (poi)
Ch’espressioni escono dalle lor lingue inamorate?
brunetta Di «ben mio», di «mia vita», d’«idolo di
questo sen», di «questo core»; tutte voci che farebbero cadere ogni Zenocrate più
continente.[41]
5 contessa (a parte) (Ed io sola m’attrovo in tante
pene!)
Contessa,
Brunetta, Marcella ed Arlechin.
arlichino Segur che la ve vol sculazar a braghe calade, vardè la fa far l’amor.
(verso Marcella)[42]
marcella Tu pure vuoi censurare le mie operazioni? (verso Arlichino)
arlichino No so chi me tenga che… (finge volerla percuoter)
contessa Marcella.
5 marcella Mia Signora.
contessa In questa guisa v’abusate delle mie grazie?
marcella In che offesi mai l’Eccellenza Vostra?
contessa (a parte) (Oh, quant’è vaga costei! Ti compatisco, Teodoro.)
(poi) Purtroppo m’oltragiasti. (a parte) (Lo sa ben il mio amore.)
marcella Se l’amar il mio caro Teodoro è delitto, per verità ne son rea.
10 arlichino La me pias che la l’ha dis «netta».[43]
brunetta Già la signora Marcella è da marito.
contessa L’amar Teodoro non mi necessita
a chiamarti rea di te stessa, bensì l’aver introdotto il medemo entro a’ tuoi appartamenti
senza considerare il biasmo commune che t’avresti concitato per sì detestabile operazione.
marcella Tropp’è possente amore.[44]
arlichino (a parte) (A’ ’l so ben mi, al tira che
l’amorba.)
15 brunetta Dirai qualche sproposito.
arlichino Digh la verità mi segur.
contessa Voglio bene che sii corrisposta amante. (a parte) (Tolgal per
sempre il cielo!) (poi) Ma che degenerassi in tal guisa dalle tue pari, non
lo posso né meno sentire.
marcella Quando l’Eccellenza Vostra avesse esperimentati li strali di sì possente
nume…
contessa (a parte) (Stolta sei, se nol credi.)
20 marcella Avrebbe convenuto confessare d’essersi lasciata
per vinta.
contessa Non più articolar gl’accenti. (poi a Brunetta) Olà!
arlichino A’ l’ha dit a lei o a mi?
contessa Parlo con Brunetta.
arlichino No l’è miga gran cosa, za a’ sim tutti do fradelli carnali.[45]
25 brunetta In che devo servire l’Eccellenza Vostra?
contessa Se trascurasti per il passato omettendo i miei commandi, in avvenire
fatti conoscere più pronta essecutrice de’ medesimi.
brunetta Quando commanda chi può, deve in consequenza esser ubbidito da chi deve.
arlichino (alla contessa) Ha lei forse
volontà d’evacuare? Perché secondo el nostro galeno dalle vallade: «quando patrona
chiamat, semper gh’è cascat qualcosa».[46]
contessa Più volte mi ti desti a divedere
per menticato con tuoi deliri; amutisciti!
30 arlichino No l’è miga po’ questo tanto gran mal a cercarghe se ghe scampa da far
i so’ fati perché anca le rezine deve cagar. Uh, uh. (si parte)[47]
Contessa,
Marcella, Brunetta.
marcella (tra sé) (Di qualche sinistro pavento).
contessa Dovrai con Marcella rinserarti in una delle mie più rimote stanze, né ivi a chi
si sii permetter l’acceso sotto pena della mia disgrazia.
brunetta Guardimi il cielo!
marcella Per sempre dunque, oh Contessa, dovrò vivere subbordinata a sì strani
voleri? (a parte) (Ah, tiranide più inaudita!)
5 contessa Sin ch’ad Alberto, tuo e mio zio, rappresenterassi opportunità per
tuoi sponsali (già che lo stesso in tal guisa m’impose), io ne dovrò esser arbitra
delle tue voglie.
marcella (tra sé) Perfidissimo fato!
brunetta (a parte) (Non occorre altro, pazientate di buona voglia,
oh mia Signora, ogni evento per avverso vi si rappresenti, ch’infine non potrete
in tempo alcuno esser disgiunta, almeno con lo spirto, dal vostro adorato Teodoro.)
(poi, verso la contessa) L’Eccellenza Vostra sarà di subito servita. Andiane,
Signora, andiane. Comàndela forsi che facci mutare la serratura ed aggiungervi il
catenaccio?
(Marcella
piange, partendo)
Contessa.
contessa Troppo è possente amore. Ah, ben ti compiango Marcella, tu inesperta
credi la contessa Vittoria, mentre essa s’attrova più di te vivamente accesa di
Teodoro, che è l’alma di questo sen, di questo core. Ma dove trascorri, mia lingua?
Vorrai dunque amettere, o Vittoria, al tuo possesso un suddito, un plebeo, e concitarti
lo sdegno de’ tuoi congiunti, l’imprecazioni de’ tuoi vassalli, l’obbrobrio de’
tuoi popoli? Ah no, che non mancano prenci al tuo merto, né regi a’ tuoi sponsali
ch’idolatrando il tuo bello, ne vivon tra essi rivali.
Fuggirò
dunque Teodoro,
abborirò
il suo aspetto
qual
più demone Averno, e furia Aleto.
Ma
qual forza improvisa
necessita
amutir la lingua ancora?
Parmi
dichino gl’astri
ch’a
sembianze sì care
a
sì vezzoso oggetto
apprir
debbasi il core
e
svelarli repente
l’inaudita
cagion del suo dolore.
Dirò
che vive amante,
dama
che non è volgare,
del
secretar Teodoro
più
faconda oratrice.
Dirò
ch’è maggior pena
l’adorar
un ingrato
che
il ragirar d’un Ision la rota;
né
di Sisifo il sasso
riesce
sì pesante
quanto
l’amar un non inteso amante.[48]
Piazza.
Arlechin.
arlichino Vaga de zà, vaga de là; torna de qua; corra in Alep, torna alla capella
de Bergam, nol se sente oter che «amor sassin», «amor crudel», «amor tiran»; «amor
è un asen, un mul, un porch»; «amor m’ha ferid con la stanga della porta», «amor
m’ha butà sul cò un bocal de pis»! Vaga al bordel amor! Omeni, a’ ’i vol esser cospetin,
e chi ha zuf zaf cervel no se inamora, perché i inamurad i par sach vod: mai
i manza, mai i beve, ma sempre i tira sospiri, che ognun de lor pesa quattro lire
e set onze alla grossa. El mal è ch’anca la siora contessa i dis che la s’ha cazà
int’el cò d’amar quel toch de furfant fiol de Fichet, ma mi al stim della communità,
Teodor è el zerbinot, a’ ghe vol oter ch’esser secretari della me parona, e po esser
fiol d’un. (vedendo Brunetta)[49]
Arlichino e Brunetta,
che sopragiunge.
arlichino (a parte) (Oimè, o che dolori, sia maledet
amor che m’ha fat incontrar in sta carogna!)
brunetta Ti riverisco, o grugnolo
di porcello salvatico.[50]
arlichino (a parte) (A mi, mo per le me bellezze,
chi no andasse a tombolon?)[51]
brunetta Non mi rispondi, oh, viscere?
Sai pur che sei
dulcedine
di questo sen
suavissimo.[52]
5 arlichino (a parte) (Vogio star sul me, cancar.)[53]
brunetta Ancora quel musuzolo
ascondi di marmotola.
arlichino Star saldo più no possego
perché me sento
a rompere
i budèi nella
panzola.[54]
brunetta Vardami un poco e mirami
s’io son Brunetta
furbola
che ti diede dei
gnocoli.[55]
arlichino Purtroppo co considero
quel to visin
belicolo,
quelle mascherpe
intatole,
ti me par una
vacola.[56]
10 brunetta Io non son tua matruncula
ch’a tutti dava
pascolo
per un po’ di
salzizola.[57]
arlichino Ti fal ch’ella magnavala
col formai la
polentula
ma ti, lova sporchissima,
le teghe coi so’
granoli
della fava più
durola
ti ingiotti a
crepa panzula.[58]
brunetta Vuoi sempre offendermi, oh caro carucio Arlichinuccio,
sai pure, ch’io per te non ho be, be, be bene né di giorno né di notte.
arlichino Cara fradella di’ per l’avvenir un poco più prest
quel bene.
brunetta Mi tratengo in proferirlo a bella posta, poiché
giubilo in considerare il be, be, be, bene sviscerato che ti porto.
15 arlichino Obligad, Bruneta cara, del to affet. Va’ a ca’,
perché a’ sol’ in sta piazzeta spazizar certi zovenotti che i va a ronda ve, e se
i te cazza innanz una qualche testa muta, t’è morta nel chivalì da vira.[59]
brunetta Per farti conoscere ch’io t’adoro, ecco che t’ubbidisco.
Addio carino.
arlichino Addio marforio.[60]
brunetta Addio mia bella Pantasilea.[61]
arlichino Addio me car Marcantoni. Ah, ah.[62]
Teodoro,
Fichetto.
teodoro Insomma non v’è dolce senza il suo acenzio, non v’è
calma senza tempeste, non v’è rosa senza le sue spine; né si può godere un momento
di piacere che non venghi compensato da una serie di scontenti![63]
fichetto E de che foza, che l’è vira; per ben che s’abbi, mai al se ciama alcun
felis massime in amur, ove al besogna sparzer un mastel de sangue, avanti ch’al
se zonza a una gozza de gust per quest. Abbanduna, car Teodor, i amar de Marcella,
che al segur la sarà el to precipizi. Arecordete ch’a’ te son pader per adozion
e che se a’ no era mi che t’avesse comprà per 200 scud dai algerini, te sarissi
a quest’ura andà ancha ti coi oter schiavi a bastonar el bacalad.[64]
teodoro Al
sicuro io ne vengo addotrinato da’ vostri consigli, ch’a misura dell’onesto vengono
con pari prontezza da me essequiti. Ma non sapete che l’amar
Marcella mi può sollevare dal posto di cancelliere al grado di primate? Ed esser
voi, oh mio caro Fichetto, ancora a parte d’ogni mia contentezza![65]
fichetto T’è mat se ti credi che la contessa, che de za sa i amuri che passa
con Marcella, la te la conceda per sposa.
5 teodoro E di che ne puoi prender dubbio?
fichetto Dal conoscerte ella, me fiol, ch’è a dir d’un pover servitur.
teodoro Ma
il posto riguardevole che tengo di cancelliere non mi può avvantagiare in ogni riscontro?
fichetto In tut sì, ma in quest a’ no ’l credo po miga!
teodoro (a parte) (È meglio finghi di secondar il di lui genio perché
non mi riesca di soverchio noioso.) (poi) Veramente comprendo la vostra svisceratezza
ed il vostro amore; se per il passato mi vi dimostrai importuno nel desiarvi per
sempre compagno a’ colloqui di Marcella, in avvenire mi regolerò a’ vostri voleri.
Abbandonerò gl’amori, tralascerò Marcella, darò bando anco’ a’ pensieri amanti.[66]
10 fichetto Te farà molto ben a regolarte in sta foza. Orsù, vad
in piazza, conservet.[67]
teodoro Andate
pur in pace.
Teodoro,
Contessa.
contessa (a parte) (Ecco qui la cagion del mio martire.) Teodoro!
teodoro (da sé) (Qual voce va articolando di Teodoro
il nome?) Oh mia Signora!
contessa (da sé) (Un’alma delirante,
ch’impazzita
d’amor, resa è baccante.)
Senti,
dama che non ha pari
né
in virtù né in beltade in questo regno,
di
te ne vive accesa.
teodoro (da
sé) (Ha scoperti gl’amori che passano tra me e Marcella al sicuro.)
5 contessa Teodoro, ascolta.
teodoro Son
a servir l’Eccellenza Vostra e che m’impone.
contessa (da sé) (Ah, ben direi «amore».)
Questa
dama non è altrimenti di te invaghita.
teodoro (da
sé) (Respiro.)
contessa Ma bensì s’invaghì per gelosia.
10 teodoro Cosa curiosa al certo, che s’abbi invaghita per
gelosia.
contessa Mi pregò li componessi un sonetto, che fu incontinenti da me eseguito;
io pure vorrei che tu come mio secretario lo corregessi.
teodoro Non
può dar giudizio de’ delineamenti d’una pittura un cieco.
contessa Già m’è noto il tuo spirto, né m’è stata a quest’ora occulta la tua
virtude. Leggi, ch’io ti do tempo di dar alla stessa la bramata risposta.
teodoro Quando
ciò possi ridondare in piacere dell’Eccellenza Vostra non risparmierò ogni studio
perché resti questa signora dama servita. (legge)
15 contessa Che ne dici?
teodoro Che
soprafatto dalla meraviglia non so che rispondere.
contessa Vanne e risolvi.
teodoro (tra
sé) (Oh Dio, da qual congerie di disastri si va invaghindo la mente!) (poi)
Vado servendola.
Contessa,
Fichetto.
contessa Parti, sì, parti. (poi) (E nel partir mi togli ogni contento
assieme.)
fichetto L’Eccellenza Vostra è molto sospesa.
contessa Ove fosti con Teodoro in questa decorsa notte?
fichetto (da sé) (Brut principi.) (poi) A let, da ver servitur
che le profess.
5 contessa Tra le piume sempre vi trattenesti.
fichetto O piume, o lana che la se fosse mi serà cert stad a dormir.
contessa E pure gente ardita osò penetrar nelle stanze di Marcella.
fichetto De quest a’ no ne so negota, da vir bergamasch. Oibò.[68]
contessa Ho riscontri che tu, unito con Teodoro,
fosti sì temerario d’avvanzarti.
10 fichetto (a parte) (A’ l’è mei ch’a’ ghe dighi la verità.) (s’inginocchia)
L’è vira che Teodor m’ha indot a andar sech a parlar a Marcella, ma in temp che
anch l’Eccellenza Vostra non doveva esser andada al repos; e sim subit ritornad
a deter per el rumor se sentii nelle visine stanzie.[69]
contessa (da sé) (Gelosia, tu m’uccidi.) (poi) Levati dal
mio cospetto, o miscredente,
né più apparirmi innanzi.
fichetto No l’è gran cosa, za Teodor è arrivad al post de cancellier dell’Eccellenza
Vostra, se l’amuregia la siura Marcella, questa è fiola da marit, l’amur è lecit
ed onest.[70]
contessa E tanto ardisci!
fichetto No digh oter (partendosi dice) se a’ l’ho sempre dit che Teodor
al vol esser el me precipizi.[71]
Contessa,
Pantalone.
contessa Oh Teodoro, Teodoro!
pantalone Eccellenza, el Marchese vorrave venir a riverirla, commàndela
che el vegna de longo?[72]
contessa (tra sé) (Oh Dio, quanto è importuno!)
pantalone Cosa mo dìxela? Èl-la contenta?
5 contessa Venghi il marchese, che sarà ben veduto.
pantalone E ben trovào ancora da seno. (si parte verso l’anticamera
Pantalone e viene introducendo il Marchese)
Contessa, Marchese, Pantalone.
pantalone La me vegna da drio, Celenza.[73]
pantalone (da sé) (E no altro, padre; de sti tocchi qui no gh’è,
né tiorave.)[74]
contessa (al Marchese) Che desia da me l’Eccellenza
Vostra?[75]
5 pantalone (a parte) (Quel ch’ha volesto Pantalon
dalla so’ Pandora.)
marchese Amarvi, adorarvi, idolatrarvi, mia Signora.
pantalone (da sé) (No saveva miga po mi che el marchese avesse
tanta virtù int’el cao. Orsù, è megio che lassa star el sior marchese co la siora
contessa.) (poi) Con grazia de Vostre Eccellenze. (si ritira)
Contessa,
Marchese.[76]
contessa L’onore che riceve la contessa Vittoria per le vostre visite, oh Marchese,
la rende sempre più fortunata.
marchese Eh, mia riverita signora, non ha
espressioni adequate la mia lingua per encomiar a pieno l’inemitabili qualitadi
ch’adornano l’Eccellenza Vostra.
contessa Voi mi fate arrossire, Signor Marchese.
marchese E voi mi rendete troppo felice, oh Contessa.
5 contessa Qual fortuna mi vi rende in questo punto?
marchese Quella che può sperare un’anima amante.
contessa Piano Signor Marchese, con chi favellate?
marchese Seco lei, Signora Contessa, ch’è l’idolo del mio core.
contessa Non merta l’adorazioni il mio volto.
10 marchese Ah, ch’incessanti n’essige i sacrifici dell’amor
mio.
contessa Io non v’intendo.
marchese È pur l’idioma italiano.
contessa Troppo diceste, io troppo udì, mi parto.
marchese (da sé) (Oh mie speranze abbatute!)
15 contessa (da sé) (Oh noiose dimore!)
marchese Dunque, troppo m’espressi col solo dir «v’adoro»?
contessa Sì.
marchese (tra sé) (E pur quest’espressioni escon da un cuor divoto.)
(poi) Dovrò dunque per sempre crucciarmi
contessa Vittoria non ve l’impone.
20 marchese (da sé) (Oh speme lusinghiera!)
contessa (da sé) (Oh insoffribil tormento!)
marchese
(Che per costei
(a parte)
ne sento.)
contessa (Che per costui
Teodoro.
teodoro È
pur vero che per amor il tutto facilmente s’apprende. Quando meno mi sognavo di
poetare, vengo necessitato dalla signora contessa a dar risposta al di lei bizaro
sonetto, ma eccola per punto, che verso me s’avvicina.[77]
Teodoro, Contessa.
teodoro Pronto essecutore de’ speciosi comandi dell’Eccellenza
Vostra ho datta, benché debolmente, risposta al sonetto.
contessa (da sé) (Vogli il ciel m’abbi inteso.)
(poi) Teodoro, al segno maggiore obligasti l’alma di Vittoria, nella celerità
praticasti di render l’amica mia consolata.
teodoro Potrà gloriarsi la mia pena d’aver ubbidito a’
ceni dell’Eccellenza Vostra non mai per l’aver vergato con tetri colori i sentimenti
della mia mente; prenda. (li porge il sonetto)
contessa (leggendo) È nobile al certo e lo conserverò
entro il mio seno.
5 teodoro E qual fortuna si prepara a quella carta?
contessa (da sé) (Quella, oh Dio, vorrei fosse permessa
alla tua destra.) (poi) Non dovea punto temere l’amante, mentre non è gran
cosa ch’una dama, benché grande, ami un privato! Già Venere istessa arse per Anchise
e d’un’Egeria un Numa.[78]
teodoro Icaro e Fetonte, però, non l’indovinorono. L’Eccellenza
Vostra, sua, può viver sicura, che come un grande supera nel dominio, così vuol
farlo con l’ingegno. Ad un prence venne in pensiere di far un sonetto, composto
l’ebbe, n’impose ad un suo suddito di dar risposta allo stesso, esequì ad un tratto
il vasallo e, scorgendo troppo gradita la risposta al prence, superato nella composizione,
stabilì di subito partire con la famiglia dalla città, voglio dire, oh mia Signora![79]
contessa Che?
teodoro L’ intendo, che mi parta, eh?
10 contessa No! (a parte) (Oh, Dio!) (poi) Che
mi piace il sonetto. (guardando attentamente Teodoro, si parte)
Teodoro.
teodoro Parmi che la nave del mio pensiero s’estendi
a velle gonfie nel mare dell’ambizione: chi sa che questa dama non sii la contessa
Vittoria e ch’il vassallo sii il secretario Teodoro. Voglio sperar.
(Marcella,
che sopragiunge)
Marcella, Teodoro.
marcella Sì, sì, spera cor mio.
teodoro Oh, fortunati accenti! (poi, a parte)
(Erano deliri della mia ambizione il pensare che la dama sii Vittoria, eh, che sarà
Marcella.)
marcella Lascia che t’incateni.
teodoro Permetti ch’io ti stringa.
5 marcella A questo sen.
teodoro A questo petto
marcella Oh caro.
teodoro Oh cara.
marcella Né che mai ci disgiunga.
10 teodoro Acciò non ci divida.
(In questo punto sopragiunge la Contessa)
Contessa, Marcella,
Teodoro.
contessa Oh cari! (a parte) (A fe’, li compatisco
anch’io.)
marcella (da sé) (Siam scoperti.)
teodoro (da sé) (Ah, che ci sorprese!)
contessa No, no, seguite pure.
5 marcella Con promesse di sposo.
teodoro Senz’indiretto fine.
marcella Diedi la destra.
teodoro Strinsi la mano.
contessa Su, via, che paventate? «E con la mano il core».
10 marcella Eh quest’è troppo, Eccellenza.
teodoro A tanto non m’espressi.
contessa Ah, sfacciata! (poi verso Teodoro)
Ah, sleale!
marcella Oh, perverso destin!
teodoro Sorte fatale!
(Nel mentre si parte Marcella, Teodoro
vuole seguirla)
Contessa,
Teodoro.
contessa Fermati, Teodoro.
teodoro Non
comanda l’Eccellenza Vostra ch’io pure vadi con Marcella?
contessa No, ch’io qui ti voglio.
teodoro L’Eccellenza
Vostra è patrona.
5 contessa L’ami tu dunque? Parla!
teodoro (da sé) (Che dirò mai?) (poi) Eccellenza sì, per esser
di lei congiunta.
contessa Dici da vero ch’ami per esser mia congiunta?
teodoro Sii
testimonio il cielo.
contessa Né per altro l’adori?
10 teodoro (da
sé) (Ah, che sempre più mi rafferma credenza che sii di me la contessa accesa!
Ardire, mio core!) (poi) No, mia cara.
contessa (a parte) (Oh me felice!) (indi) Come?
teodoro (a
parte) (Sii maledetto, amore.) Eh, Signora. Così dicevo a Marcella.
contessa Sì, a Marcella, oh caro, eh? Ma senti, Teodoro. (a parte) (Non
mi posso più contenere.) Se dama d’alto grido ti dicesse: «Teodoro, anima mia, core
di questo sen, mio ben amato, lascia Marcella, oh Dio, segui la tua fortuna, che
felice ti vuole e fortunato»; allor, e che diresti?
teodoro Direi che picciol vapore quando venghi sollevato
all’aria, non può cagionare che sinistri gl’eventi; direi che il passegiar le vie
del sole ad altri non è permesso ch’al direttore degl’astri. Direi, insoma, direi…
Ah, Signora Contessa, mi ramentano le storie che Marco Aurelio ancora fece bèvere
all’impudica Faustina il sangue d’un vilissimo gladiatore con cui poch’anzi essa
seco s’era giaciuta.[80]
15 contessa Tu pur confessasti. (in questo punto, finge
cadere) Oh ciel, soccorso!
teodoro Vostra
Eccellenza è caduta?
contessa Sei cieco, che non mi ravissi qui al suol giacente?
teodoro Purtroppo…
Oh Dio! (si confonde, né sa ch’espediente prendere; se
levarla o lasciarla in abbandono)
contessa Ah, villano indiscretto,
dami la mano.
20 teodoro Son qui mia Signora. (procura di coprirsi
la mano con il tabaro)
contessa In questa guisa, oh
stolto, t’abusi delle grazie ti fa la Contessa?
teodoro Non
osai perché servo.
(Essa si solleva da terra tenendo per sempre afferata
la mano di Teodoro sino risorgere)
contessa Come secretario dovrai tenir occulta questa caduta.
(si parte)
teodoro (con
voce giuliva seguitando la contesa) Marcella, abbi pazienza.
Il
fine del primo atto.
Marchese,
Dottore.
marchese Insoma non posso scacciar la malinconia
che stranamente m’opprime.
dottore Frustra
queris quod intus habes a che mai pensar a sta mala biestia, se za la ve va
a roder le viscere?[81]
marchese A tali vicende sono sogetto, che si può fare? La signora contessa Vittoria
è l’origine d’ogni mia disaventura.
dottore Purtrop al cred «eo quia femina mutatur in
singuli sex annis, haec est abortum naturae, citius pubescit et citius senescit»;
così al dis Aristotel al libro quart De Generatione Animalium capite sexto.
Senta l’eccellenza vostra quel che dis una volta delle femene un grand’om: «Quid
levius fumo, flamen, quod flamine ventus. Quod vento mulier; quod muliere, nihil».
Una femena l’è el principi e el fin della so’ fameia, nam foemina dicitur principium,
et finis familiae suae lege pronuntiatio 195 § ulter digestis De Verborum Significatione
et lege 4 capite De Liberis et Posthumis sì che per la variabilità della contessa Vittoria a’ nol occur
che l’Eccellenza Vostra s’affliza, perché quest al le pol nuocer de sì fatta maniera,
che la ’l rendrà al ultim period della so’ vita. Ah, malincunie, malencuniaza
ti, a’ ti sì, presentis mali cognitio. Res turpissima cogitatu.[82]
5 marchese Indarno v’affaticate in persuadermi a scacciarmela
d’attorno.
dottore O
Marches, Marches, frustra est illa potentia quae non reducitur ad actum;
voi mo dir ch’al besogna?[83]
(Arlichino
sopragiunge in fretta)
Marchese,
Dottore, Arlichino.
arlichino Largh siur marches alla siura culessa.
dottore Che
diavol de sproposit? A’ voi dir «la contessa»?
arlichino Uh, Duttur baban, più ignurant d’un asin.
dottore Qual te si’ ti, n’è vira?
5 marchese (tra sé) (Qui la signora contessa? Oh me, felice.)
arlichino Siben perché a’ no savì, sier carbonar, che
el cul stà con la contessa? Ergò, «contesa» e «culesa» è tutt’un.[84]
Marchese,
Dottore, Arlechino, Contessa e Brunetta.
dottore Riveris
profundament l’Eccellenza Vostra.
marchese Umilia il suo core innamorato all’Eccellenza Vostra il marchese.
arlichino (da sé) (D’ogni stason.)
contessa Per divertirmi dalle cure noiose ch’hanno a
quest’ora affascinato il mio spirto, risolvo portarmi ne’ campi di Flora.[85]
5 marchese Ovunque si ragiri la Contessa Vittoria possono
l’Auree vaghegiare una Venere, non punto inferiore a quella che nella Via Latea
soggiorna.[86]
contessa Ironicamente andate, oh Marchese, encomiando
la Contessa Vittoria.
arlichino (da sé) (Putana cagna, ch’a’
no poss farghe arrivar anca mi un sospir a Brunetta.)
contessa Se m’abusassi delle vostre grazie, farei gran
torto alla vostra gentilezza.
10 marchese (tra sé) (Ritorno a respirare.) (poi)
Eccomi dunque disposto in servirla.
contessa (da sé) (Quanto più volontieri t’acceterei
se fosti Teodoro.)
dottore Sté a vidir ch’a’ si’
accidentaliter divenud mi prosenecta. Nam dicitur prosenecta
matrimonii mediator legge I digestis De Prosenectis.[87]
brunetta Arlichino mio caro, tu pure porgimi la destra.
arlichino (li vuol dare una caroba) To’, pel’amur ch’a’ te port.[88]
15 dottore Innanz el matrimoni, via zà.
Piazza.
Teodoro.
teodoro A chi mai dimostrossi più propizia la sorte di
quello che la ricconobbi io in quest’oggi? «Come secretario tieni occulta questa
caduta». Bensì m’avveggo, oh fortuna, che rivolgi a’ miei contenti la rota.
Teodoro,
Ficheto.
fichetto Ah,
ah, galantom, za che sta not a’ no avì podud parlar a Marcella, essa in sto punt
la ve manda sta lettera. (Li porge la lettera)
teodoro Di
Marcella è quel foglio?
fichetto Sì, de Marcella è la lettra.
teodoro Per
esser di Marcella, sta’ osservando quello ne faccio. (lo lacera)
5 fichetto A mat, cosa fa-t?
teodoro Temerario, con chi credi di discorrere?
fichetto Mi a’ parlo giusto co ti, ve’.
teodoro Che «ti», che «mato», sciagurato che sei? Mi conosci
tu? Parla! Rispondi!
fichetto Se a’ te conos, mo che vien te dall’altro
mondo? no sa-t, che mi a’ son el to liberator Fichet.
10 teodoro Da qui a dietro dovrai ricconoscere li tuoi doveri,
darmi dell’Eccellenza, star due passi a dietro quando mi discori, insoma, riconoscermi
per il Signor Conte Teodoro.
fichetto L’è bella questa, da vira! Te par mo ti
d’aver mustaz de conte? Più tost da marchese![89]
teodoro Orsù,
non vi è più tempo da perdere: io sono il Signor Conte, mentre la Signora Contessa
m’adora.
fichetto È ’l po vira?
teodoro Al
certo, ma levati un poco il capello, e sta’ due passa a dietro quando ti parlo.
15 fichetto L’è un po’ troppo bonora che ti fazi da conte;
eh Teodor, Teodor, co sto to umur senza fundament, ti vol descader anca dal post
che ti è.[90]
teodoro Non
più ciarle.
fichetto Comàndela Eccellenza che me levi il capel?
teodoro Manco
male, farai il debito tuo. Senti, va’ in piazza.
fichetto La commandi pur con ogni libertà, Siur Cunt. (tra sé)
(A’ ’l me vien da rider da vira.)
20 teodoro Ordina quattro
cocchi, de’ più vaghi ed adorni che possi rendere l’arte maestra.
fichetto Ben, bon.
teodoro Indi,
ritrova ventiquattro paggi.
fichetto Bon, ben.
teodoro Fa’
far alli stessi un abito da livrea trinato d’oro.[91]
25 fichetto Ben, bon.
teodoro In
questa guisa m’abbadi?
fichetto Mo caro ti, se a’ ti disi dei sproposit, cosa vuo-t ch’a’ te responda?
I paggi mo, come i vo-t mantenir? A polenta sicuro.
Teodoro,
Ficheto, Marcella, che sopragiunge.
marcella Pur ti ritrovo, oh
Teodoro.
(Teodoro
finge non vederla)
È come sì di repente s’ecclissano quelle
luci che…
teodoro Che
Teodoro? Che luci?
fichetto E cara siura Marcella, lassel star.
marcella (a Ficheto) Li desti il foglio? Ma…
Oh Dio!
5 teodoro Il foglio è al suol infranto,
io non ravviso Marcella, sii maledetta Marcella!
Vanne dunque
tu, stolta. (si parte Teodoro, in furia)[92]
Marcella,
Ficheto.
marcella E di qual reità è mai questo core? Barbaro, dì, rispondi, che sì ripente
mi sprezzi, mi fuggi, mi detesti; ma tu almeno, Fichetto, rendimi la cagione di
sì strane vicende.[93]
fichetto Son stuffo in malura. (si parte esso pure)
Marcella,
poi Pantalone.
marcella Dovrò per sempre penare!
pantalone No, vita mia, che anca el sol doppo che l’ha fatto mariorba
co le nìole el torna a mea, e sì el se lassa veder bello come prima.[94]
marcella (a parte) (Costui, tormento acresce alle mie pene.) Che chiedete,
Pantalone?
pantalone Altro no riccerca, non brama, no desidera questo mio coresin
che saltarme fuora della panza e far un caorìo a tombolon entro el mar più profondo
della vostra grazia. (a parte) (Oh Dio, vago da seno, se la me dise
de sì.)[95]
5 marcella Troppo tardo sete stato, signore. Già amore per voi fatto Aquario non
ha la vivacità del Pesce, ma la stolidezza dell’Ariete
e del Toro. Per Gemini non v’è loco, mentre ormai è tempo di ritornare da Cranco.
Mal s’accopia il Scorpione all’unione del Leone e della Vergine: sol Libra le forze,
questa favolegiata deità, potrebbe per voi invero il cieco nume scagliar strali
di Sagittario, ch’invece di render essangue in amore, vi rendessero in Capricorno.[96]
pantalone A mi mo siora tutte ste belle cose, perché gh’ho quarant’anni
per culata, n’è vero?
marcella A voi, per apunto. (a parte) (Manco male che tra tante pene
che mi crucciano, non abbi ritrovato un poco di trastullo che mi ricrei.)
pantalone E, cara.
Marcella,
Pantalone, Contessa.
contessa Guardate che bel caprone.
pantalone (da sé) (Certo che la m’ha sentùo.)
contessa Favellar d’amore in un’età!
pantalone Eccellenza, no l’è gran cose, perché amor ha fatto fidar fin
un Ercole.[97]
5 contessa Lo fé perch’è nerboruto.
pantalone E mi, che songio noma ossi![98]
contessa Partiti dal mio aspetto!
pantalone (da sé) (Vago, Siora
Cagada, e magneme co far giusto conto che sia la merda.)[99]
Marcella, Contessa.
contessa Tu pur, oh stolta, abbadavi alle di lui frenesie?
marcella Mi tratenevo solo per prendermi diletto.
contessa Sì, ma con poca prudenza.
marcella Quando l’Eccellenza Vostra mi vogli priva d’ogni
divertimento, io ritorno a rinserarmi.
Contessa, poi
Teodoro.
contessa Sei qui, Teodoro. (a parte) (Quasi dissi:
«idol mio», per te men muoro.)
teodoro Eccomi a’ suoi voleri.
contessa Già che tu
sei secretario de’ miei stati, voglio ne sii pure de’ miei pensieri.
teodoro E che grazie sono mai queste che l’Eccellenza
Vostra m’impartisce?
5 contessa I merti tuoi molto più essigono dalla mia persona.
teodoro Chi mai, (a parte) (più di me) sarà fortunato?
contessa Due giovani di bel aspetto, pari d’amore e di
fedeltà, sono invaghiti del mio sembiante. Uno di questi si è signore de’ stati;
altro, abieto vile e suddito di me stessa.
teodoro (tra sé) (Mi figuro a che indirizza
questo discorso.)
contessa Tu dovrai, come dissi, secretario de’ miei pensieri,
consigliare a qual di questi due debbasi appigliare la contessa Vittoria; s’al nobile
e grande, o al vile ed abieto.[100]
10 teodoro Troppo vi lusingherei se veriteri non esprimessi
li sentimenti del mio core. Al grande senza dubbio per ogni rispetto dovrebbe l’Eccellenza
Vostra corrispondere, mentre essendo pari in svisceratezza al vile ed abietto, n’è
di più maggiore di fortune, ed in consequenza degno della vostra grandezza.
contessa (a parte) (Stolto che sei.) (indi)
Già che dunque mi consigli al grande, al grande pure tu dovrai arrecare ch’io desio
di venirle sposa, e tu, paraninfo ne sarai.
teodoro Piano, Signora.
contessa Non occorre
altro. Di propria bocca, così pronunziasti con tuoi accenti, ancora dovrai render
certo il marchese ch’io per isposo l’accetto.
Teodoro.
teodoro Marcella, aspettami! Già che la contessa m’abbandona,
a te ne vengo. Quanto era meglio ch’io seguissi la carriera de’ miei amori con Marcella,
ch’abbandonar la stessa per un poco di chimera m’aveo ideato, pazzo che fui! E paggi,
e carozze, e stafieri, il tutto s’è di già svanito. Quando credevo esser arrivato
all’auge delle contentezze, m’attrovo negl’abissi delle più strane peripezie!
Teodoro,
Arlichino, che sopragiunge.
teodoro Arlichino!
arlichino Chi ciama la bestia?
teodoro Arlichino,
in buon’ora!
arlichino Ah, ti è ti, Teodor. Cosa fa-t, caro mat?
5 teodoro Che dimestichezza è questa?
arlichino Uh, uh tant’umor perché ti t’ha cazzad la perucha, manch rosto, che
a’ gh’è più fum de quel che a’ ti te credi.
teodoro Sì,
sì, tutto quello che tu vuoi. (a parte) (La contessa brama ch’io arrechi
al marchese come desia di venirne sposa: manderò costui per messagiero.) (poi)
Io ti voglio far pervenire una grossa mancia.
arlichino È-la maschio, o fomena, sta mancia?[101]
teodoro La
«mancia» significa un regalo.
10 arlichino Ades t’ho intes, mamaluc, perché no dirme così
alla prima?[102]
teodoro Dovrai
subito portarti agl’appartamenti del signor marchese ed allo stesso arreccarli che
la contessa lo desia per isposo.
arlichino È-l po vira?
teodoro Verissimo,
e che regalo bruscherai?[103]
arlichino Cancar a’ vagh col se tratta de regal a’ no perdo temp. Teodor te ringrazi:
anche de ti no me scorderò, co farte far un piat de mascheroni.
Teodoro,
Fichetto.
teodoro Manco
male che tra tante sciagure…
fichetto Le carozze son all’orden. I paggi se mette i abiti, i stafieri se
calza, ma a’ m’era po ben desmentegà de star do passi indeter.[104]
teodoro Eh,
Ficheto caro, le vicende di qua giù mai mancano, ma sempre rendono li miseri mortali
bersaglio de’ suoi furori.
fichetto Co’ sarave mo a dir?
5 teodoro Che
la signora contessa s’è fatta sposa del signor marchese e per più deludermi essa
m’impose a dover io portarne allo stesso l’annuncio. E che ne dici il mio caro Ficheto?
fichetto El to umuraz che ti ha nel cò t’ha ridot in sto stad.[105]
teodoro Sarà
dunque meglio ne ritorni a Marcella.
fichetto Signura, ma con l’umiliazion e no co tanta albasiaza. Varda, varda
che la vien, puerina.[106]
teodoro Prevenirò
il di lei arrivo.
10 fichetto A mi poch m’importa.
Teodoro, Ficheto,
Marcella.
Teodoro s’inginocchia.
marcella Ecco quel mostro inumano.
teodoro Alle tue piante, oh cara,
un tuo fedel si
postra.
Mirami se non
vuoi
ch’al tuo cospetto
io cada.
(Né meno essa
lo mira)
Se mai fiamma
amorosa
ebbi per altra
in seno,
più favilla non
serbo.
fichetto Consulelo un poch. (a Marcella)
teodoro E tu sola
sei il destin
che mi volve,
la sorte che mi
regge,
la stella che
mi move.
Né viver posso
lungi dal tuo
cospetto.
5 marcella Menti, furia d’Averno e fiera Aletto.
fichetto Da ver bergamasch, ch’a’ ’l dis la verità.
teodoro Parlo con l’anima su le labra.
marcella S’io il credessi…
teodoro Morirò dunque, mio bene.
10 marcella (Più resister non posso!) (poi) Levati,
Teodoro, idolo mio.
fichetto Ne sii pur laudad el ciel, ch’una volta la s’ha
finid.
teodoro Oh fortunati accenti!
marcella Oh soavissime voci!
teodoro Che ristorano l’alma.
15 marcella Ch’incatenano il core.
teodoro Un cieco Dio
amore.
marcella Un faretrato
fichetto Uh, uh, uh. (vedendo la Contessa)
Teodoro, Marcella,
Contessa.
contessa (a
Marcella) Temeraria!
(a
Teodoro) Arrogante!
(a Marcella) Così contravieni a’
miei comandi.
(a Teodoro) In questa guisa vilipendi
il mio onore.
marcella Ubbidiente
mi ritiro.
teodoro Riverente mi parto.
contessa (a Marcella) Vanne, iniqua. (a Teodoro)
Tu, resta.
Contessa, Teodoro.
contessa Olà! (verso li servi) Si porti da scrivere!
(guardando Teodoro, che se n’ sta con tutta somissione) Ah, ch’ei mi svelle
il petto!
(Viene portato un tavolino con carta,
pene e calamaro.)
contessa Teodoro.
teodoro Che m’impone l’Eccellenza Vostra?
contessa Scrivi.
5 teodoro (tra sé) (Al certo la sentenza di
morte.)
(Teodoro si pone a scrivere stando però
inginocchiato.)
contessa (da sé) (Ahi quanto mi muove!) (poi)
Se le porti un cossino. (alli servi)[107]
(Dalli servi viene portato un cossino)
teodoro (a parte) (Oh crudele pietà! Al certo io
moro.)
contessa «A Teodoro». Scrivi.
teodoro A me?
10 contessa A te, sì. (a parte) (Te adoro.)
teodoro (scrivendo) «A Teodoro».
contessa Già conosci il mio amore.
teodoro «Già conosci il mio amore» (indi tra
sé) (Io son contento.)
contessa Poco parlo, mentre lascio questa facenda al cieco
dio.
15 teodoro «Poco parlo, mentre lascio etc.».[108]
contessa A te scrive Vittoria.
Idol
mio. (ed in un momento si parte)
teodoro «A te scrive la Contessa Vittoria». Ma… Oh! Chi
mi vi toglie? Io son contento a pieno. (sbalza dal tavolino tutto giulivo, si
parte dicendo)
Marcella, addio.[109]
Teodoro, Marcella.
marcella E che ti discorse, oh caro, la contessa in tempo
ch’io fui qui in aguato?
teodoro Che di’? Che parli? Pantalon sarà tuo. (si
parte)
Marcella.
marcella Ed in tal guisa dunque
mi tradisse Teodoro,
m’abborisce quest’empio.
Si cerchi altr’esca
onde le fiamme
antiche
l’ardor estingua
di due luci vaghe
e saldi il nuovo
amor piaghe con piaghe.
E dove i dolci
nomi,
perfido miscredente,
di vita, di pupilla,
di tesoro, di
luce,
dove son, gl’obliasti?
Ah, sol per me
tuona la man di Giove
e sol per me stride
Aquilon malvagio.
Son pur, son
pur io quella che del cor ti fè dono. Or perché mai, chi poco innanzi amasti, rigido
tu disprezzi, e senza colpa a morir mi condanni? il premio è questo della mia servitù.
Rimanti pur, ch’io non t’amerò più.[110]
Sala
reggia.
Marchese,
Dottor.
dottore Viè,
viè, l’Eccellenza Vostra scacci el timor dal so’ pet e la consideri una volta.
marchese Se la contessa non condescende a’ miei sponsali, più a lungo non posso
mantenirmi in vita.
Marchese,
Dottore, Arlichino.
arlichino Largh, largh? Ah Siur, me dali el regal.
dottore Fat
in là, guidon furfant.[111]
marchese E che c’arrechi?
arlichino Che lei, no ella, lei è ’l marches?
5 marchese Al sicuro.
dottore È-t
orb?
arlichino Se ella è el marches la me daga la me bonaman. Via, via, prest, perché
la me scappa.[112]
dottore Loquere
ut sentiamus, senza dar vergota a’ te vuol la manza.[113]
arlichino Me manda a dir la siura culessa, a dir a Vostra Bestialità, che la i
vol per marid.
10 marchese Io per suo sposo?
dottore El
siur marches è destinad da liei?
arlichino Gnor sì, gnor nò; l’è così la m’ha dit: «va’ dal marches, dighe che
l’aspet che a’ ’l vegni ch’io mi consobrino nelle sue bellezze»; e po tante belle
cose.
dottore Se
quest’è vir, l’Eccellenza Vostra può chiamarse content; la dié qualcosa a sto pover’om,
la me compatissa la vida del ardir.
marchese Dottor, dateli questa gema. (li dà un anello)
15 dottore Tuo, Arlechin, quest’anel; faghene quel che ti
vuoi, eo quia donato est modus acquirendi dominium ex liberalitate alterius a
iure civili introducta sic instituto titulo De donatione. L’è tuo.[114]
arlichino Per aver dit
al marches che l’è fat spus el me dà sto agnel?
dottore Sì,
ch’a’ te par puoch?
arlichino Me bastava del doppiù. Mo se a’ desissi al Duttur che l’è fat un porch,
cosa me daressi?
dottore El
mal’ann che te cuoia.
20 marchese Non più, oh Dottore!
Marchese,
Dottore, Arlichino, Contessa.
marchese Qui si porta l’Eccellenza Vostra senza attendere ch’io le venissi a
prestare l’omagio più propenso della mia anima.
contessa V’ho questa volta prevenuto.
dottore Come
sposa al suo sposo.
contessa Che sposa al suo sposo? Quali accenti articolate?
5 marchese Quelli egli espone che l’Eccellenza Vostra m’ha fatto pervenire per
il servo Arlichino.
arlichino (da sé) (Sta’ a vidir che i me rompe el mustaz.)
contessa Insanise il Dottore ed il Marchese vanegia.[115]
dottore Quomodo?
Eccellenza, a’ no è vira che liè abbi destinad per so’ spus fedel el marches?[116]
arlichino (alla contessa) La diga de sì, cara Siura Culessa.
10 contessa Di tanto non s’espresse la mia lingua.
marchese (da sé) (Io ritorno ai tormenti.)
arlichino E mi a puttane.
dottore (verso Arlechino) Guidon furfant, così te si’ venud a petarne sta pataflana.[117]
arlichino E via, tolel, cara siura, el marches, si no a’ ghel darò alla siura
Marcella.
15 dottore Infam, dà pur zà l’anel, che malis artibus et fraudibus
te n’ha levad dalle man.[118]
arlichino Tulì tulì, za al se sa che l’era robba rubbada, arsore. (li restituisce
l’anello)[119]
marchese Quando l’Eccellenza Vostra non abbi per anco risolto, io me ne vado.
contessa Io per me poco ci penso delle vostre mosse.
dottore La
riesti pur l’Eccellenza Vostra za che ’l marchese sen part.
Contessa,
Arlechino.
arlichino Vardé là che belle cose tior la robba ai pover omeni dopo che la se
gh’ha donad.[120]
contessa Ch’indusse la sua facilità ad arrecar a costoro ch’io sii divenuta
sposa del Marches?
arlichino Tasì, cara siura; uh; uh; uh a’ podevi pur dir de sì, che no i m’averave
tiolt quell’agnello.
contessa Rispondi a’ miei quesiti.
5 arlichino Sigur, ch’a’ son un om co tutti i me requisiti.
contessa Voglio intender da te chi t’abbi indotto a portar tal novella.
arlichino Ma l’è stad quel guidon de Teodor ch’invece de farme servizi come a’
’l desiva quasi più l’è stà causa che a’ i ho amazadi coluru.
contessa Dunque Teodoro a ciò t’indusse?
arlichino E de che fatta che a’ ’l me l’ha fracada.
10 contessa Pover Teodoro, pentito forsi d’aver data la sentenza in favore del
grande, non ha voluto soggiacere alla pena impostali dalla mia severità; sì, ti
compatisco, oh caro!
arlichino Me ciàmela forsi per darme ella qualche altro agnel (poi) (A’
era pur mei che vu a’ disissi de sì, che saria stada la me fortuna.)[121]
contessa Vatene altrove.
arlichino Uh, uh adasi, adasi al corp del bordel ch’a’ no vuoi più far servizi
a’ murusi gnianch s’a’ credessi de vanzar un piat de macheruni.[122]
Contessa,
Teodoro.
contessa Fosti esecutore di tua sentenza e de’ miei valori.
teodoro Ah!
Mi si svelle il core nella sola considerazione d’avermi tradito!
contessa Devi incolparne la tua poca avvedutezza.
teodoro (da
sé) (Ah, che m’adora ancora. Meglio sia li sveli gl’arcani del mio cuore. Su,
ardire, mio spirto, che sarà mai?) (poi) V’amo, v’adoro, vi stimo mia riverita
Signora Contessa.
5 contessa Fai molto bene, mentre tu mi sei servo.
teodoro Sì,
ma amante ancora.
contessa E tanto t’inoltri, oh sfacciato?
Sappi che mal s’accopiano viltà ed amore.
teodoro Oh Dio, che se non ebbi regie fasce, ho però spirto
di gran lunga superiore.
contessa Tu non degeneri da’ tuoi natali.
10 teodoro Se
l’operazioni non corrispondono, fa’ di mestieri il credere io sii maggiore di me
stesso.
contessa In amar Marcella ti rendi superiore al tuo essere.
teodoro Non
posso negare che quando non venghino corrisposti li miei affetti dall’Eccellenza
Vostra tutti sono per rivoltarli a Marcella.
contessa Hai dunque risolto d’idolatrare il di lei volto?
teodoro Ogni
volta che dissì dall’Eccellenza Vostra.[123]
15 contessa Ammutisciti, indegno.
teodoro (a
parte) (O morir od amar qui si conviene.) (poi) Se l’Eccellenza Vostra
si degnasse d’esser da me adorata, abbandonerei Marcella, fuggirei Marcella, detesterei
Marcella! Ma non volendo ch’io né meno adori la contessa Vittoria, né ami Marcella,
quest’è troppa crudeltà ed un voler far da cane
dell’ortolano che non mangiando lui, non vuole né meno che gl’altri si sattollino.[124]
contessa (dandoli uno schiaffo) Meco in tal guisa favelli?
teodoro Più
che di buona voglia il tutto ricevo dall’Eccellenza Vostra, ma! (vedendosi venir
sangue dalle narici per la guanciata)
contessa Questa è pena non adequata al tuo ardire.
(Teodoro
s’ammutisce ed ella attentamente ne sta osservando il sangue che gronda nel fazzoletto)
20 contessa Dammi quel fazzoletto.
teodoro Lo
prendi l’Eccellenza Vostra. (poi) A ch’ogetto lo desia?
contessa Darò commissione al mio tesoriere t’esborsi cento scudi per comprarti
tanti fazzoletti.
teodoro Eh,
Signora Contessa, lei meco si prende gioco.
contessa Fra tanto conserverò questo lino
intriso del tuo sangue, che sarà al pari di me stessa
gradito. Ma tacci, non dirlo a Marcella. (sorridendo si parte)
25 teodoro (tutto
fastoso e contento per quest’espressione dice ad alta voce) Marcella, abbi pazienza.
Il fine del secondo atto.
Piazza.
Marchese,
Dottore.
dottore A’
l’è così, sa, Eccellenzia? quel trist de Teodor, a’ l’è el so’ rival, al besogna
recider la pianta, chi a’ no vuol che crescend l’appor nocumento, nam
cessante causa cessat effectus.[125]
marchese Chi l’avrebbe né meno sognato che la signora contessa si fosse in tal
guisa avvilita.
dottore L’è troppo possent amur e quest ha vint co tutte le cose; come al dis
el poeta: «omnia vincit amor, et nos cedamus amori». Orsù mi a’ riparirò
al mal ch’a’ sovrasta quando l’Eccellenza Vostra mel promette.[126]
(Fichetto,
sopragiungendo, ascolta in aguato il tutto.)
Marchese,
Dottore, Fichetto in disparte.
fichetto (a parte) (Del me Teodor se discure.)
dottore Mi
a’ trovarò sicari e stabilirò con essi di farlo levar di vita sto inchietatur della
so’ quiete.
marchese Più tosto vorrei che quest’acciaio
lo levasse dal mondo per le mie mani.
dottore Al
che l’è trop bellicos Teodor.
5 fichetto (a parte) (Traditori infami!)
marchese Via dunque, si voli a truccidar quest’empio.
dottore
A’ cur alle straggi, alle vendette.
marchese Or, or mi porto a lacerarli il core.
dottore Pera,
muoia Teodor il traditore.
Fichetto.
fichetto Manch mal ch’a’ me son imbatù in sto logh, a’ ho sentid el tut. Qualche
minchion a tàser, al besogna pensar al remedi, perché quel car bambolin de Teodor
ch’a’ me l’ho arlevad da picen no vadi a mal; sarà mei ch’a’ ’l vaga a trovar.[127]
Fichetto,
Teodoro.
teodoro Mio Ficheto! Son di già arrivato, e toccai il porto
delle mie contentezze.
fichetto E pur mat, credi-t che la to vita sii in sicur?
teodoro Se
la contessa mi destina per suo sposo, chi oserà tramar insidie a quest’alma?
fichetto Anzi, perché la contessa te vuol ben, per quest i so’ altri murus
tenta d’ammazart.
5 teodoro Ch’ascolto?
fichetto Purtrop l’è vira, e se a’ no m’imbativa in sta piazzetta, per ti a’
era spedid el negozi. Sappi che ’l marchese col Duttur i ha concertad de fart ammazà,
però ti a’ no ti stà ben in cort, che però al besogna finzer de partir dalla città
e dimandar licenza alla patruna; se ella te vorrà ben da vira, no la permetterà
ch’in mod’alcun ti te part. In sto mentre me finserò ambasciatur del bassà d’Algeri,
anderò dal duch Albert e li dirò che se fiol, ch’è stat za dies’anni rapid, te si’
ti. Chi sa ch’al ciel no condescenda ai me desideri e ti co sto stratagema a’ no
deventi signor de sta città?[128]
teodoro È
spiritosa l’invenzione! Insoma, verso di me ti dimostri più che padre naturale.
Ma guarda apunt che la fortuna ci vuol favorir. Addio. (scorgendo venir la contessa)
Teodoro, Contessa.
contessa Ch’affare t’indusse a scostarti dalla reggia?
teodoro (a parte) (Non vuo’ abusarmi dell’opportunità.)
(poi) Per or il desio di ricrearmi tra quest’aure felici, ma in avvenire
la brama d’invigilare alla propria salvezza.
contessa Come a dir sarebbe?
teodoro Oh Dio, di cercar sott’altro ciel la mia fortuna.
5 contessa Non arride forse in questa reggia a’ tuoi voleri
il fato?
teodoro Non, Signora. Quella di Lisbona sarà più confacente
a’ miei desiri.
contessa Che ne dirà Marcella?
teodoro Ch’essa pure arride a queste mosse.
contessa E con qual intrepidezza saprà soffrire tal separazione?
10 teodoro Con quella che l’Eccellenza Vostra dimostra.
contessa (a parte) (Ah, Teodoro, t’inganni.) (poi)
E chi sostituirai al posto di secretario?
teodoro Questi fervidi accenti, ah, più non posso.
contessa E qual dolor t’opprime?
teodoro Il vederne
l’Eccellenza Vostra, devo dirlo. (tra sé, poi) (Ardire, che sarà mai?)
Il veder, dico, che all’Eccellenza Vostra poco cale la mia partenza.
15 contessa Se così sei risolto…
teodoro Però dà suoi commandi.
contessa Che?
teodoro Dico che vorrei ricevere in questa partenza qualche
suo commando per poter felicitarmi.
contessa Approvo i tuoi contenti,
che nel partir
ne senti.
20 teodoro E che dunque m’impone?
contessa Per verità, il direi:
che non debbi
partir, perché morrei. (a parte piange, ma si nasconde acciò non sii veduta da
Teodoro)
teodoro Lei piange, eh?
contessa Io piango? T’inganni!
teodoro Men vado.
25 contessa
Ascolta.
teodoro Più trattener non posso.
il passo che s’affretta.
contessa Io tel impongo, oh Dio.
teodoro Che più da me desia?
contessa Che tu sii… (a parte) (Quasi il
dissi «l’alma mia»!)
30 teodoro Eccomi alle sue piante. (poi)
E almen la destra.
contessa Son dama, e tanto basti.
teodoro Morò dunque infelice. (finge piangere)
contessa
Piangi? Deh, forse piangi.
teodoro Un barlume improviso
le pupille m’ingombra.
35 contessa Parti dunque, né a lungo
dar più pena al
dolor che mi vuol morta.
teodoro Ratto men volo. (si parte)
contessa Almen ste voci ascolta.
Contessa.
contessa Parti mio ben, ma teco
porta di questo
sen la bella imago.
Alma dell’alma
mia, idolo mio.
Ma che dico Teodor?
Ascolta, oh Dio!
(Isviene sopra
una sedia e di subito accorrono due servi che la riconducono alla reggia.)
Ficheto,
Arlechino, vestiti da ambasciatori algerini.
fichetto Vedi-t? t’ho fat vestir così perché s’avemo da finzer do ambassadori
del bassà d’Algieri.
arlichino E va’ via bestia, te vuol che nu frizemo do baragolà sui tagièri.[129]
fichetto Se te ha mo vogia de burlar n’è vira ti? Mi ho fretta, né posso più
trattenirme. Ma dime, saverate mo dir dei stramboti?[130]
arlichino Quanti a te ne vorrà.
5 fichetto Provete via un tantin, za a’ sem qua suli, ne
vergun ne sent.[131]
arlichino Chiarabadana, nana, forlana toca de pifara, barba, pedana.[132]
fichetto Bravo, bravo, ti no dir altro che «bassà d’Algera», e «chiarabadana»
co tutta quell’altra istoria; che mi dirò po el rest.
arlichino A che oget mo a’ vo-t che se semo bardagolà d’Algeri?
fichetto Te ’l savrà al so’ temp. (a parte) (No voràve che costù savesse
ch’avessimo da far servizio a Teodor perché l’è stà burlad dell’anel.)[133]
10 arlichino Senti car fradel, s’avemio forse da far romper
el cò?[134]
fichetto No dubitar negota, za al se sa per proverbi ch’ambassador no porta
pena; andem.[135]
arlichino (partendosi) Chiarabadana, nana, si ti starà fiola d’una puttana.
Stanze
del duca Alberto.
Alberto,
Pantalone.
pantalone Cosa mo vol-la far, dar per questo el cao inte i muri e trar,
co’ se sol dir, i sassi per le strade? Za no gh’è pì remedio,
la se consola che la gh’ha almanco una nevoda, che zè el decoro de sta città; essa
supplisse col so’ inzegno e prudenza alla mancanza de l’altezza, ch’in questa età
vuol viver fuora dei strepiti e arrivar co quiete sina ai cento e millanta anni,
co’ se sol dir.[136]
alberto Ah,
ben m’avveggo che li miei vassalli poco di buona voglia soffrono il giogo d’una
femina.
pantalone Se bona notte, staressimo freschi che i omeni soli dovesse
aver el manizo, bisogna alle volte darlo anca alle femene quando però se cognossa
che le abbia forma de regolarse in causa. L’Altezza Vostra m’insegna ch’anca una
Semiramide ha domào i popoli intieri co la so’ prudenza per tanto tempo doppo la
morte de Nino so’ marìo, e delle amazone chi poderia discorrer?[137]
(Si
sente a battere)
5 alberto Guardate chi picchia a quest’ora importuna.
pantalone Vago subito mo cancaro, Altezza.
Alberto.
alberto Qual
giubilo improviso ne giunge all’alma!
Alberto,
Pantalone, Fichetto, Arlichino finti ambasciatori.
pantalone Altezza, do ambassadori d’Algeri i vien a riverir l’Altezza
Vostra.
alberto Che
desiano le Signorie loro?
fichetto Ti
stara to Segnoria Duca Alberta?
pantalone Sì ben, quello è el duca Alberto.
5 arlichino Nana, ranana, tonana, baracolana d’Algiera. (saltando per scena)
alberto Io
sono il duca Alberto per farvi cosa grata.
fichetto Quando stara Alberta dover darne
to figarola Federica, o cento milla ducata.
alberto Che
dicono di Federico? (a Pantalone)
pantalone Mi l’intendo puoco da seno.
10 fichetto Dirota che Federica stara a bassà d’Algiera.
alberto Federico sta appresso il bassà d’Algeri?
arlichino Nona bisdona, buranona.
pantalone Cazzeghe marmote, anca un poco de nina nana per farla corrente.[138]
fichetto Sì Signora, starà una volta appresa bassà d’Algera, e adessa essere
fuggita, e aver portata via perla, turbanta, vesta, e qui starà sotto noma de Todora.
15 alberto Teodoro è Federico?
pantalone (a parte) (O, che fio d’una buratada.)
fichetto Sì signora, Teodora star Federica, e si no dar zogia venirà bassà
d’Algera e buttarà tutta per terra.[139]
alberto Assicuratevi
ch’al vostro bassà d’Algeri sarà il tutto restituito,
o il valsente dell’asportato da Federico, che è mio figliolo.
pantalone Allegrezza, allegrezza dunque, oh Altezza!
20 arlichino (verso Pantalone) E a to collo cazzata una
cavezza.[140]
pantalone Cosa dirastu, bestia?
alberto Vivi
sicuro, il bassà d’Algeri del tutto resterà consolato. Teodoro è nella reggia, io
le son padre.
arlichino Ti starà so’ para, andarà nu a mangiara.
pantalone So pare el vol magnar sto macalepo.
25 fichetto Bon zorna.[141]
arlichino Bona notta e megiora domana.
alberto Andate
pure al riposo. (poi a parte) (Le sii preparato il necessario.)
arlichino A nu no scampara da cagara, ma avera vogia de magnara macarognara. (poi,
a parte) (Fichet andem ch’a’ sim scopert al sigur.)[142]
fichetto No te dubitar, che ti par giusto nassùo e cressùo in quei paesi.
(Si partono cantando)
Alberto,
Pantalone.
alberto Ne
giubili il cor mio.
pantalone Altezza, mi dalla consolazion
mi son debotto fatto sgionfo co xè un balon.[143]
alberto Poiché,
sotto nome di Teodoro, Federico è mio figlio.
(Contessa
sopragiunge.)
Alberto, Pantalone,
Contessa.
contessa Il secretario Teodoro si è Federico di Lei creduto estinto figlio,
eh?
alberto Sì Eccellenza, ed in questa guisa mi si rappresenta
il modo di potervi consolare.
pantalone (a parte) (Adesso mo no la crierà più a Pantalon. Sta
cagada no la me voleva compatir quando fava l’amor con Marcella.)
contessa (a parte) (Di sicuro li devono esser palesi gl’affetti miei
verso di Teodoro.) (poi) In qual guisa si mi rappresenta, oh Altezza, il
modo di consolarmi?
5 alberto Perché destino Federico in questo punto vostro
sposo.
contessa Questi saranno eccessi della sua gentilezza.
alberto Fa’
di mestieri però il certificarsi del tutto, oh Pantalone.
pantalone La parla co gran prudenza, Altezza, far pur le debite diligenze.
alberto Orsù
Contessa, rimanetevi insperanzita fino il tutto si vadi giustifichicando.[144]
10 contessa Altro non desia il mio core che d’incontrare i
di lei commandi.
Contessa.
contessa Giubila sì, cor mio,
che sempre non
è irato il cieco dio.
Dunque di Federico
sposa sarà quest’alma.
Sì, sì, purché
Federico
ne sii Teodoro
ancora.
(poi) Ah,
ch’il timor della finzion m’accora!
Contessa, Teodoro.
contessa Ecco appunto il mio ben che verso me s’invia.
teodoro (a parte) (Tu sei cagion d’ogni più forte
ria.)
contessa Serva dell’Eccellenza Vostra.
teodoro (a parte)
(Ha preso foco la mina, voglio star sul grave.) (poi) Adiè Madam.[145]
5 contessa Addio, Signor Conte.
teodoro Riverisco la Signora Contessa, che mi commanda
l’Eccelenza Vostra?
contessa Umiliarmi al suo merto.
teodoro (il tutto a parte) (Ah, che troppo a lunghi
si terminerà in tragedia questa favolosa rappresentanza; meglio fia, me gli sveli.)[146]
contessa Orsù, Signor Conte Federico, non è più tempo di
scherzar meco.
10 teodoro (a parte) (E di che sorte vaneggio.) Io,
Federico? Io, Conte?
contessa Sì, sì, Lei
è il conte Federico già da’ corsari rapito da questa reggia ed or ravvisato per
tale da alcuni ambasciatori speditti al duca Alberto, mio zio.
(Teodoro, inginocchiandosi)
teodoro Deh, mia riverita signora, altrimenti. Io non sono Federico, ma un misero scherzo del fato
a sì strane vicende soggetto per il vostro bello che m’indusse, per divenirvi sposo,
spedir simulati ambasciatori al duca Alberto ed indur la di lui facilità alla credenza
io possi essere Federico, di lui rapita prole.
contessa Che sento mai, che sento?
teodoro Il tutto ardisce un core inamorato.
15 contessa Perfidissime stelle, irato fato!
teodoro Ah, non negate, oh cara,
le vostre luci
a quest’alma spirante
che qual visse,
morà più fida amante.
Deh, condonate
omai
all’amor mio,
che volontario elesse,
pria di perir,
svelar sue fiamme avite.[147]
contessa T’assorbisca, inuman, il dio di Dite.[148]
teodoro Ecco il sen, ecco il petto,
ecco l’acciar
ch’alle tue piante io getto.
Scaglia, deh,
scaglia, oh Dio,
questo dardo fatal
al seno mio.[149]
(Essa sta cogitabonda non sapendo che
risolvere)
contessa (a parte) (Cadrò, se troppo resto.)
20 teodoro Sarà dolce il morir per la tua mano.
contessa Non ho spirto sì fier ed inumano.
Sorgi, amato
Teodoro, né credere che la contessa Vittoria sii di tempra sì adamantina che non
si rendi una volta agl’assalti troppo posenti del tuo amore. Confesso io pure d’averti per l’adietro idolatrato,
ma considerando la mia condizione ho convenuto soffrire tanti martori, ed essere
più tosto contro me stessa crudele che verso te medema pietosa.[150]
teodoro Già il mio cuore non può darmi maggiori testimonianze
del suo affetto che col tributarmi tutti gl’omaggi più dovuti al di lei merito ed
essati dalla mia umilissima propensione.
contessa Non vorrei però che la circonspezione da me sinor
pratticata in un tratto mancasse, sì che venissero palesi i miei affetti.
teodoro Arderan pria gli flutti
e fiamme getterà
l’orsa gelata,
pria che noto
ne venghi
il concertato
tra me e Ficheto di stabilirmi figlio del duca Alberto. Onde solo all’Eccellenza
Vostra essendo palese la verità, il tutto ne rimarrà occulto sino al voler degl’astri,
onde la svisceratezza di lei verso di Teodoro creduto Federico non verrà sospetta,
ma da tutti applaudita come dovutasi a vostro sposo.[151]
25 contessa Al pari di Federico t’amo, oh Teodoro!
teodoro Ed io con quegl’affetti che sarebbero dovuti
al sposo Federico, benché Teodoro io mi sii, vi sto idolatrando.
Contessa,
Teodoro, Alberto e Pantalone.
alberto Pur
al fin ti ravviso, oh sospirato figlio!
teodoro M’è
pur concesso in sorte di rinvenirvi, oh padre.
pantalone Me sento tutto a muover in vèderve contenti.
contessa Di bel nuovo con l’Altezza Vostra se ne rallegra Vittoria ch’il secretario
Teodoro sii Federico, figlio del duca Alberto.
5 alberto Ed io nuovamente vi ringrazio di quest’offizio
cortese.
teodoro (da
sé) (Quall’insolito affetto m’intenerisse l’alma!) (verso la contessa)
contessa (verso Teodoro) (Ne sarà amore, oh caro.)
teodoro (a
parte) (Miser me se mi scopre.)
contessa (a Teodoro a parte) (Non paventar, ch’oggi t’arride il cielo.)
10 pantalone (ad Alberto) Altezza, la s’arrecordi de quel che la
m’ha ditto prima che se fazza el matrimonio, perché delle volte se se trova dei
furbi che sta sul minchionar el goi, sa-la?[152]
alberto Non
mi scordo punto quello mi dite. (poi verso la Contessa) Contessa, non sarebbe
a pieno giulivo il mio core s’allo scoprimento di Federico non destinassi lo stesso
in sposo all’Eccellenza Vostra per render contenti a pieno li miei vassalli nella
speranza d’aver un successore non punto inferiore. Vanto, risolvo darvi in sposo
Federico, quando pure ambidoi acconsentiate.
contessa Altro non cerco.
teodoro Ed
io altro non curo.
alberto Ma
pria, fa’ di mestieri me n’assicuri che Teodoro ne sii Federico.
15 teodoro (a parte) (Ah, più viver non posso.)
contessa (a parte) (Che sarà mai, oh stelle?)
teodoro (alla Contessa) Ecco apunto tal segno.
contessa (a Teodoro) Oh felici successi!
20 alberto Teodoro, il braccio mostri.
teodoro Eccomi
pronto.
(Tutti
stanno attentamente osservando. Alberto abbraccia Teodoro.)
alberto Oh
mio diletto figlio, di bel novo t’abbraccio!
teodoro Mio
riverito genitore, io per sempre vi stringo.
contessa Adorato mio sposo, a questo sen v’allaccio.
25 teodoro (a parte) (Qual fedel Teodoro io pure v’incateno.)
pantalone Anca mi me consolo quando considero che tante volte v’ho portào
in brazzo e se tanta è stà la passion ch’ho provào per la vostra perdita, altretanto
el contento che sento nel vostro ritorno.
Alberto,
Contessa, Teodoro, Pantalone, Marchese, Marcella.
marcela Di
tanto l’Eccellenza Vostra m’accerta.
marchese Eccolo per appunto, io corro ad
inchinarlo. (verso Teodoro) Se fui rivale a Teodoro, a Federico mio
signor sarò servo per sempre, che tale vi ravviso.
alberto Pur
al fine, oh Marchese, sono svaniti gl’affanni.
marcella Baccia umile Marcella le mani all’Eccellenza Vostra. (verso Teodoro)
5 teodoro (a
parte) (Oh me felice, e ch’omaggi son questi?) (poi) M’è caro
in ogni riscontro il marchese e gradita la signora Marcella.
marchese Già che, oh Altezza, è spedito per
me il caso di venirne sposo alla signora contessa, se commanda darò la mano di consorte
alla signora Marcella.
marcella Io più che di buona voglia l’accetto.
pantalone (a parte) (Chi nol tiorave quel carissimo.)
alberto Il
tutto vi sii concesso.
(Marchese
e Marcella si danno la mano.)
10 marchese Arridi a’ nostri nodi
il
faretrato arciero.
marcella Splendi sempre per noi, pronuba face.[153]
alberto Vivi
pure fra voi, amor verace.
Alberto, Contessa, Teodoro, Marcella, Pantalone, Fichetto,
Arlichino, Brunetta, Dottor.
Ficheto e Arlichino, inginocchiandosi credendo sii
svellata la trama de’ loro traditori.
fichetto Za che sii qui tutt, o Sign Duca, Marches, e Contessa a’ confesserò
l’ingan da me ordid.
arlichino Eccomi genuflettato.
fichetto Tasi paesan, che mi a’ son el reo, mi l’iniquo, mi el disleal, mi
el diavol che te porta, e prima che sii castigad Teodor, da mi amad al pari de me
stes, in sto pet fe’ tutti le vostre vendet.
alberto (tra
sé) (Che stravaganza è questa?)
5 teodoro (tra sé) (Io di nulla pavento.)
contessa (da sé) (Troppo tardi giungesti.)
marcella Che
sarà mai?
marchese Mi rende gran pavento.
dottore Mirabilia
dices ne magna.
10 pantalone Finisila una volta, che questo sarà certo
qualche ruffianezzo.
brunetta (da sé) (Temo di rie sciagure.)
arlichino Fa’ prest perché m’impizzo
a vederme nel mezo de ste arsure. (a
Fichetto)[154]
alberto Tu
fingesti d’esser l’ambasciatore?
15 fichetto Mi al cert! E arrecar al duca Albert come che in sta città abita un
tal Teodor che prima era fugid d’Algieri con asporto de molte gioie, e che quest
a’ no l’era altriment Teodor, ma Federich, zà fiol del medem duca Albert.
pantalone (a parte) (O che cagao l’ha lo mo savesta pettarla senza
spuaza.)[155]
fichetto Sì che per riparar al mal che
sovrastava a’ ’l se dovessse contentar el medem duca Albert de far ritornar da Federich
tutte le zoie furade, e in sta foza ch’al credesse per ver Federich quel ch’era
realment Teodor.[156]
alberto Sorgi,
che troppo tardi arrivasti.
arlichino L’avì forse condannad a esser impiccad el pover Teodor, perché a’ ’l
ved là tra do colonne. (mirando Teodoro tra la Contessa e Marcella)[157]
20 teodoro Quanto
debbasi rendere alla tua fedeltà non è sufficiente la lingua a spiegarlo, che la
mente a considerarlo. L’oprato da te con sagacità a’ miei vantaggi, ridondò in sommo
contento dallo mio scoprimento si fece esser il vero Federico figlio del duca Alberto
per il segno di spada infoccata ne riservo sopra la spalla.
fichetto Te no sii più Teodor, ma Federich?
(Arlichino
e Fichetto li vanno attorno congratulandosi)
alberto,
contessa,
marchese e
marcella Sì ch’è Federico.
dottore Uh,
strani event.
brunetta Oh, fedeltà inaudita.
25 contessa Pur ti stringo al mio sen.
teodoro Pur
t’annodo al mio cor.
contessa e
teodoro Dolce
mia vita.
arlichino Prenci potesi, raggianti, e sarà ver ch’al se diga che in un zorn de
tant content a’ no se conceda una grazia al pover vostro servidur Arlechin?[158]
alberto E
che ricerchi?
30 pantalone Qualche sproposito certo.
arlichino Tasi ti, no me far vegnir rosso co’ sè la notte de quattro ore. (poi)
Che quel musin piccolin biancolin de Brunetin al sii del pover Arlechin. (denotando
di voler Brunetta)
brunetta Manco male ch’ho trovato barca che mi leva.
pantalone Falé siora, volé dir timon che ve compagna. (a Brunetta)[159]
alberto Sii
d’Arlechin, Brunetta.
35 arlichino Quand’è così, mi vogherò in barchetta.
(Arlichino
dà la mano a Brunetta)
fichetto A’ è tant anni ch’a’
vo civetand Olivetta, né mai ho aùd ardir de far tant quant ha fat costù in un trat.
Messer Arlechin, za ch’ancu Brunetta è libera me la volìu prumetter, ch’a’ ve darò
dusent scud?[160]
dottore Darla,
eo quia mulier libera potest per stipulationem promitti libro primo folii De
sponsalibus.[161]
arlichino Cucù.
fichetto Pazienzia.
40 alberto Non più Teodor, Fedrico,
avrai
delli miei stati
al
tuo voler l’impero.
teodoro Ancorché
figlio, umile
venererò
del mio gran padre Alberto i commandi più espressi.
marches Prence, s’amor m’indusse
a oltragiarti,
condanna l’involontario errore.
se spregiasti
Teodoro,
per
suo fedel amico.
marcella Giubili dunque il cor,
45 contessa festeggi l’alma,
teodoro che
doppo le procelle,
contessa che anco tra li disastri,
teodoro trova
un’amante al fin,
contessa gode nel suo penar,
50 teodoro,
contessa,
marcella e
marchese desiata calma.
Il
fine del terzo ed ultimo atto.
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[1] Cfr. http://opac.braidense.it/bid/BVEE024566.
[2] Conor Fahy, Edizione, impressione,
emissione, stato, en Id., Saggi
di bibliografia testuale, Padova, Antenore, 1988, pp. 65-89: 69.
[3] Si osservi la
configurazione dei personaggi, consona a quella più classica della commedia
dell’arte: due zanni, due vecchi, una servetta e due coppie di innamorati.
[4] Federico…Teodoro: Bonicelli riprende il nome del protagonista di El perro del
hortelano, Teodoro, e quello di uno dei cugini della contessa, Federico,
che fa convergere nello stesso personaggio (cfr. Lope de Vega, El perro del hortelano, cit.). ♦ Gabinetto:
si rispetta il nome indicato nei testimoni, ma si tenga conto che, lungo la
commedia, lo zanni verrà indicato come Fichetto. Il mutamento di nome, che
sembra indicare forse il cambiamento di attore di una compagnia (sempre
supponendo un’orientazione della commedia verso la rappresentazione; cfr. D’Antuono, And the Story…, cit. p. 117) potrebbe essere dovuto a un errore, ma decidiamo
di non intervenire proprio perché potrebbe offrire informazioni potenzialmente
rilevanti per lo studio della storia della commedia.
[5] Marcella: Bonicelli riprende la denominazione del personaggio spagnolo (cfr. Lope de Vega, El perro del hortelano,
cit.).
[6] Se, a’ l’ho dit tant volt in malura! Currì, né perdè pi temp: ‘Sì, io l’ho detto tante volte in malora. Correte, non
perdere più tempo’.
[7] etc.: l’abbreviatura funziona come una
sorta di didascalia scenica che apre la possibilità di improvvisazione. Si
riscontra anche in II.17.15, inserita in una battuta in cui Teodoro ripete
quanto dettato dalla Contessa mentre scrive.
[8] corp del bordel: imprecazione ricorrente nel
linguaggio dell’Arlecchino di Bonicelli: cfr. Spezier, III.19.1 («l’è
qua, a’ ’l corp del bordel») e Lugretia,
II.10.1 («ma corp del bordel zà, ch’a ved l’us della porta della Siura
Lugretia»). ♦ Sanguinin, sanguenon,
sanguenonaz: imprecazione (cfr. Boerio,
s. v. sanguazzo: «peggior del Sangue, sangue di pessima qualità»; sanguenon: «voce bassa e di giuramento cui corrispondono, Corpo
del mondo o del diavolo»).
[9] Che fruz i, che fruz i, a’ ’i è omen co tutti i so’ requisit, che a’ ’i ho
conossud int’el da driè: ‘Che fuggano, che fuggano… per me loro sono uomini come tutti, stanno per
essere sequestrati, poiché io li ho già conosciuti in passato’. La forma fruz
è terza persona deturpata del verbo veneziano ‘fuzir’, che significa
‘fuggire’. Da driè: viene adoperato nel suo senso temporale.
[10] Fuora, canage: imprecazione od ordine con il significato di ‘fuori, canagli’ (cfr. Boerio, s. v. canagia: «briccione,
gaglioffo, mariolo, scellerato […]. Gente vile ed abietta»). ♦ coi cocconi delle botte: espressione veneziana adoperata per far riferimento al ‘cocchiume’ (Boerio, s. v. cocòn) che, qui, viene
adoperata da Arlichino per indicare che butterà fuori i malfattori a calci. ♦ razze porche:
imprecazione ricorrente nell’Arlecchino di Bonicelli (cfr. Spezier, III.16.9:
«[…] ti, razza porca, ti me volevi tagiar»).
[11] avranno impenate l’ali alle piante: ‘essendo coscienti di aver fatto torto, saranno fuggiti’. La locuzione
‘impennare le ali’ ha il significato di ‘correre velocemente’ o di ‘fuggire’
(vedi GDLI, s. v. impennare). ‘Impennare le ali ai piedi’, in questo caso, con la
variante ‘alle piante’, fa riferimento a ‘fuggire velocemente’. È un’allusione
alla fuga dei due personaggi (ancora ignoti) dagli appartamenti di Vittoria.
[12] panche: forma meno comune di ‘sedile’,
‘panchina’. Arlichino confonde il termine con quello pronunciato in I.3.6 dalla
Contessa, ‘piante’. ♦ a’ ’i era du intabaradi: ‘intabarà’ ha il significato, tra altri, di «coperto da mantello» (Boerio, s. v. intabarà). Qui, il verbo si presenta deturpato, come derivato
verbale di ‘tabàro’, indumento che, nel Settecento, «assunse impronta tipicamente veneziana» (Achille Vitali, La moda
a Venezia attraverso i secoli. Lessico ragionato, Venezia, Filippi, 1992, pp. 367-368). Nel dialogo, Arlichino adopera il termine per
indicare che entrambi i personaggi, nel fuggire, si coprono il viso con le
vesti per evitare di essere riconosciuti, adoperando, appunto, il tabarro a
fini delittuosi, uso abituale a cui accenna Achille Vitali: «Per l’abuso infine che del ‘tabàro’, indossato quale travestimento
con il pretesto di mascherarsi, si fece per compiere aggressioni e malefatte,
il termine finì per significare anche persona losca, equivoca, da cui guardarsi» (Vitali, La moda a
Venezia…, cit., p. 373).
[13] spied: ‘spid’ è definito come «girarrosto. Bachèta spid, spiedo o schidione» (Zappettini):
Arlichino, nella sua tendenza all’uso di lessico del cibo, identifica così i
fuggiti.
♦ a torn: ‘attorno’. ♦ manzar l’arost: ‘mangiare l’arrosto’.
[14] Co’ sarave a dir: espressione che introduce un’esplicativa:
‘Cioè a dire’ (vedi Boerio, s.
v. dir).
[15] de segur: ‘sicuramente’.
[16] cagadur:
‘caccatoio’ (Boerio, s. v.). ♦ logh: ‘luogo’.
[17] me snombolo: adoperato da Pantalone con il
significato di «indebolirsi per troppa fatica», ‘darsi molto da fare’ (Boerio, s. v. snombolarse; Muazzo, s.
v. Desnombolar, p. 359). ♦ la ghe fuma certo a sta siora: Boerio (s. v. fumàr) registra
l’espressione ‘la ghe fuma a quel sior’: «Quel cotale ha
dell’altero, tiene la testa alta; ha grande umore; sta in sul grande, in sul
grave, in sul mille; Ella gli fuma: l’ira gli esala». Nel testo, fa riferimento
all’ira smisurata di Vittoria.
[18] ferir l’etra: ‘etra’ è forma
antica per ‘aria’; l’espressione sta a indicare la forza delle grida di
Vittoria che, appunto, ‘trafiggono l’aria’. Espressione ricorrente in
Bonicelli: cfr. Spezier, III.23.11 («quali stride feriscono l’etra?»).
[19] sbasìa: aggettivo che in veneziano si adopera con il significato di «basito, e vale ammazzatto» (Boerio,
s.
v. sbasìo). Pantalone intende,
erroneamente, che la contessa sia invaghita di lui fino al punto di morire
d’amore.
[20] a ora e strasora: ‘a
qualsiasi ora del giorno o della notte’. Strasora è forma veneziana
(vedi Boerio, s. v.) di
‘straora’, «ora insolita,
tarda» (GDLI,
s. v.).
[21] se le mie gambe
non fasse Giacomo: l’espressione ‘le gambe me fa
Giacomo’ viene adoperata con il significato di ‘esser male in gambe’ (vedi Boerio, s. v. Giacomo). ♦ da
seno: ‘davvero’, cfr. Boerio, s. v. dasseno). ♦ st’anno tra i altri el sélano val qualcossa, no i se
vergogna de domandar tre soldi alla gamba del
nostran:
‘dato che il sèlano questo anno ha un qualche valore, ho sèlano anche da
vendere’. Battuta iperbolica del Dottore, che rafforza l’idea della debolezza
alle gambe che lo affligge (cfr. Boerio,
s. v. gamba, che raccoglie l’espressione ‘gamba da selano’ per far
riferimento a «gambe spolpate»).
[22] e de che foza: ‘e di quale modo’, ‘eccome’. Espressione riscontrata anche in Spezier,
II.14.26 e III.6.11.
[23] cancaro: interiezione
indicante meraviglia (Boerio, s.
v.) ♦ Sioriaza: formula di cortesia adoperata con il
significato di ‘signora d’alto affare’ (Boerio,
s. v. siorazzo).
[24] l’ha brusà la
paga: Arlichino fa una
chiara allusione oscena alle attività che il fuggito svolgeva in palazzo quando
è stato beccato, adoperando un’espressione propria dell’ambito della
prostituzione (cfr. Muazzo, s. v. Brusar, p. 159: «brusar el paghion a una donna zè l’istesso che brusarghe la pagha e no
darghene gnanca un [n[ota del] c[uratore] si intende a una prostituta]» e Id.,
s. v. p. 417 «el gha brusà la paga alla siora [n. c. non ha
pagato la prostituta]»).
[25] abù: participio del verbo avere:
‘avuto’.
[26] la sipi al
contrari dell’altre femene: ‘lei sia diversa alle
altre donne’. La forma sipi, che rimanda al verbo ‘sapere’, è attestata
anche nel paradigma del verbo essere in ambito settentrionale (cfr. Gerhard Rohlfs, Grammatica storica
della lingua italiana e dei suoi dialetti. Morfologia, Torino, Einaudi,
1968, p. 300). In questo caso, si produce nella formazione del congiuntivo un
incrocio fra le desinenze di seconda e prima coniugazione per cui la desinenza
di prima coniugazione passa alla seconda e, invece di una forma come ‘sipa’ riscontriamo
‘sipi’ (cfr. altre forme del periodo come tenga, in cui si produce lo
stesso fenomeno e anche Prodigalità, I.1.1. che registra la forma
‘sapia’ con il significato di ‘sia’: «che
el fiao me ritorna in te le vene, e che el cuor sapia fatto più grando de
quello d’un porco»); commento ironico di Arlichino.
[27] nette: ‘pulite’. Aggettivo funzionale a elaborare il posteriore malinteso di
Arlichino (I.5.16).
[28] licapiat: ‘leccapiatti’.
[29] Za al zorno d’ozi quest s’usa
da per tut: ‘questo è ormai abituale’ ♦ scartoz: ‘scartoccio’,
‘cartoccio’ (Zappettini, s. v.);
adoperato, in modo spregiativo, per identificare Teodoro.
[30] testa de demonio: si usa con il significato di ‘per testimone’, ma
per indicare colui che offre una testimonianza generalmente falsa (Muazzo, s. v., p. 1036: «Ghe
servirò per testa de demonio»).
[31] el cor delle me
budelle, el ventricol dei me meati: vezzeggiativo
costruito con il lessico proprio di Arlechino, in cui il cibo è fondamentale.
Nota Gino Belloni, nell’edizione delle rime piscatorie di Calmo, che
l’espressione ‘de i me meati’ è adoperata con il senso di ‘dei miei occhi’ (Andrea Calmo, Le bizzare, faconde et
ingegnose rime pescatoie, a cura di Gino Belloni, Venezia, Marsilio, p.
208). Cfr. anche espressioni similari in Spezier, II.2.15: «purché a’ vaghi dalle palpebre dei miei meati a’
farò de tutt» e III.7.1: «El
ventricol delle me budelle». ♦
Deter: ‘dottore’. Anche se la forma non compare registrata nei
dizionari, è quella con cui si fa riferimento al Dottore nelle battute di
Arlichino e di Fichetto. Senza scartare che possa trattarsi di un refuso,
preferiamo non correggerla, dato che non possiamo escludere che sia termine
proprio di Arlichino, personaggio in cui sono abituali la deturpazione del
linguaggio e i giochi di parole. In questo caso, la forma ‘deter’, per
analogia, potrebbe significare ‘dentro’ (significato con cui si usa in
I.15.10), e, dunque, diventare termine osceno.
[32] se la passa
alla domestica con Fichetto: ‘passa il tempo
affabilmente con Fichetto’ (cfr. GDLI, s. v. domestico: «Alla
domestica: affabilmente, cordialmente; alla buona, con semplicità, con libertà
confidenziale. - Anche: con eccessiva disinvoltura, con leggerezza offensiva»).
L’espressione è suscettibile di essere intesa con un significato licenzioso e,
dunque, nelle parole di Vittoria può nascondersi un’allusione oscena (cfr. Boerio, s. v. desmèstego, che
raccoglie l’espressione ‘zovene troppo desmestego’ per indicare «giovane
troppo licenzioso»).
[33] cagna asassina: imprecazione ricorrente nel linguaggio dell’Arlecchino bonicelliano:
cfr. Spezier, I.10.5: «Quand vorrat, cagna assassina,
aver pietà del me amor?».
[34] varré co’ rossa che la vien:
‘guardate come arrossisce’.
[35] fradella: termine con cui Arlichino fa riferimento alla servetta (cfr. Prodigalità,
sempre nelle battute di Arlichino: I.4.2: «Fradella, à ghè pur in
chà dei salam»; I.14.6: «Sentime cara fradella che vas
d’instromenti»; III.13.3: «O fradella no ti sa ti miga el
negotij»). ♦ bruscad: ‘cercato’. Il verbo bruscar
viene definito dal Boerio come: «procacciarsi ed ottenere
che che sia con l’industria» (Boerio,
s. v. Bruscàr).
[36] dovessi esser
Argo, fedele alla custodia di Marcella: fa riferimento
al personaggio mitologico Argo, un gigante di cento occhi, condizione che gli
permetteva di mantenersi permanentemente in guardia, e, dunque, di custodire
senza sosta Io seguendo gli ordini di Era (s. v. Metamorfosi I,
625-631).
[37] Actum est de
eis: espressione usata da Arlichino per indicare che
ha perduto le tracce dei fuggiti. Muazzo
(s. v., pp. 83-84)
raccoglie ‘actum est de illo’, che verrebbe adoperata «quando
se vol significar una persona che sia affatto perduda, sia de fortune, sia de
animo sia anca dalla vita». ♦ Bertold: indica Treccani (s. v.): «Bertoldo,
divenuto nome comune già prima della celebre opera di G. C. Croce e A.
Banchieri, Bertoldo, Bertoldino e
Cacasenno (1a ediz. 1620), al cui protagonista risale
invece il modo proverbiale farne, averne fatte più di Bertoldo (o più di
Bertoldo in Francia), d’ogni colore, di cotte e di crude». Cfr. anche Muazzo (s. v. villan, p. 1118) «fra i
villani accorti e furbi che zè stai a sto mondo, non credo che ’l ghe sia stà
el più che s’abbi distinto quanto Bertoldo».
[38] matrimocol: ‘matrimonio, sposalizio’. Probabile deturpazione della forma
‘matrimòne’ (cfr. Zappettini, s.
v.).
[39] Impazisse: ‘impazzisce’.
[40] lest: ‘diligente’ (cfr. Muazzo, s.
v. Lesto, p. 617: «zè l’istesso che esser
pronto e spedito»).
[41] Zenocrate: «filosofo
discepolo di Platone famoso per la sua continenza» (Muazzo, s. v., p. 1140).
Bonicelli recupera qui, probabilmente, un verso di Ariosto: «con la qual non
saria stato quel crudo / Zenocrate di lui più continente» (Orlando furioso, XI,
st. 3, vv. 1-2).
[42] Segur: ‘sicuramente’ (cfr. Boerio,
s. v. sicùro). ♦ sculazar: sculacciare. ♦ braghe calade:
‘calzoni calati’. Tutto l’intervento di Arlichino va letto in chiave oscena
(cfr. Boerio, s. v. braghe).
[43] La
me pias che la l’ha dis «netta»: Arlichino confonde ‘rea’
(I.8.9) con ‘netta’, pulita. Primo dei molti malintesi linguistici della
maschera.
[44] Tropp’è possente amore: cfr. «Tanto è
possente amore» (Torquato Tasso, Aminta
III.6.35).
I.8.14 al
tira che l’amorba: ‘tira che ammala’. Arlichino fa riferimento al male
d’amore.
[45] fradelli
carnali: in questo contesto, espressione oscena.
[46] galeno dalle
vallade: ‘galeno ignorante’. Pantalone fa riferimento
alle vallate bergamasche, da dove, secondo i pregiudizi dell’epoca, arrivavano
soltanto persone rozze e ignoranti.
[47] No l’è miga po’
questo tanto gran mal a cercarghe se ghe scampa da far i so’ fati perché anca
le rezine deve cagar: affermazione propria di
Arlichino, che fa riferimento alla Contessa, lungo la commedia, con
frequentissime allusioni scatologiche.
[48] qual più demone
Averno e furia Aleto: Aletto è, nella mitologia greca,
una delle Erinni, concretamente, quella che personifica la furia. ♦ faconda:
‘eloquente’. ♦ che il ragirar d’un
Ision la rota: il personaggio
d’Issione, la cui storia viene riferita nelle Metamorfosi (IV, 460-465).
Il mito viene narrato anche da Pindaro (Le pitiche, 2, vv. 25-48), che
incentra il suo racconto nel rapporto con Era, motivo per cui Issione sarà
condannato da Zeus a dover girar il cielo ad eternum legato a una ruota,
dato che non è lecito che un mortale sia così superbo da puntare a unirsi a una
dea. ♦ né di Sisifo il sasso: Sisifo, marito di Merope, fu condannato a
spingere un sasso su una montagna per tutta l’eternità (s. v. Metamorfosi,
IV, 460). ♦ quanto l’amar un non inteso amante: riprende il topico
medievale (cfr. Inferno, V, 103: «Amor ch’a nullo amato amar perdona»).
[49] Classica tirata arlecchinesca contro
l’amore. ♦ oter: ‘altro’. ♦ sassin: ‘assassino’ (vedi
Muazzo, s. v., p. 989).
♦ Vaga al bordel: imprecazione con il significato di ‘andare in
malora’. ♦ a’ ’i vol esser cospetin: dal contesto si deduce che
l’espressione viene a significare qualcosa di simile a ‘bisogna stare accorti’
o ‘bisogna essere furbi’, ma non siamo riusciti a rintracciarne altre
testimonianze. L’aggettivo ‘cospetin’ (che sembra opporsi semanticamente a ‘cospeton’,
esclamazione, bestemmia) potrebbe indicare ‘cauti’, ‘che si muovono con
circospezione’ e suppone un uso giocoso e traslato del sostantivo (ringrazio il
prof. Luca D’Onghia, per avermi segnalato quest’interpretazione). ♦ zuf
zaf: usato con il significato di «senso» (cfr. Muazzo,
s. v.¸p. 1125: «Bisogna aver zuf zaf in testa chi no vol
far spropositi e stramberie»). ♦ i par sach vod: ‘sembrano sacchi vuoti’. ♦ mai
i manza, mai i beve: espressione propria dello stile d’Arlichino, quasi
identica a quella presente in Spezier, I.10.5: «a’ no magno, a’ no bevo, a’ no dormo,
a’ no vago del corp». ♦ quattro lire e set onze
alla grossa: l’onza è una moneta
minore alla lira; dodici onze equivalgono a una lira (vedi Muazzo, s. v. Onza,
p. 759). ♦ la s’ha cazà int’el cò: ‘le si è messo in testa’.
♦ toch de furfant: fa riferimento, in modo spregiativo, a Teodoro. ♦
zerbinot: ‘damerino’, fa riferimento, in maniera spregiativa,
all’eleganza nel vestire di Teodoro.
[50] grugnolo: parte del capo del porco, ‘grugno’. Forma
modificata a scopo umoristico e metrico (tutto il dialogo di Arlichino e
Brunetta è giocato su versi che terminano in parola sdrucciola).
[51] chi no andasse
a tombolon?: domanda retorica: ‘chi non andrebbe in
rovina?’ (vedi Muazzo, s. v. andar zò a
tombolòn, p. 23).
[52] dulcedine: ‘dolcezza’.
[53] cancar: ‘canchero’, imprecazione.
[54] possego: ‘posso’. ♦ i budèi nella panzola: ‘le budella in
pancia’.
[55] vardami: ‘guardami’. Forma
verbale influenzata dalla morfologia e dalla pronuncia veneta. In veneziano il
verbo è ‘vardàr’. ♦ gnocoli: ‘gnocchi’.
[56] visin belicolo: ‘visetto bellino’. ♦ mascherpe intatole: la mascherpa è
un tipo di formaggio, identificabile con la ricotta, il fior di latte o il
mascarpone (Zappettini, s. v.
mascherpa). Arlechino fa riferimento, in modo chiaramente osceno, ai seni
di Brunetta.
[57] matruncula / ch’a tutti dava
pascolo / per un po’ di salzizola: allusione di alto livello osceno.
[58] lova: ‘lupa’, usato in modo
spregiativo con chiare connotazioni oscene ♦ teghe: viene indicato
in Boerio (s. v. tega)
come «gusci in cui nascono e crescono i baccelli di legumi», ma, in senso
figurato, «membro virile».
[59] sol: ‘sogliono’ ♦ spazizar:
‘spaziar’ in Boerio (s. v.)
viene definito «termine degli stampatori. Spazziegiare, spazzieggiare, porre gli spazi
ai loro luoghi nel comporre». Qui si adopera con un significato piuttosto
osceno e basso, facendo riferimento all’atteggiamento promiscuo di Brunetta, in
modo consono ad altre espressioni del genere come quella che vediamo in Spezier,
I.8.24: «ad ispaziarvi il cul con la padella». ♦ zovenotti: ‘giovanotti’.
♦ i va a ronda: ‘vanno a ronda’, s’intende a fini delinquitosi.
♦ t’è morta nel chivalì: indica Muazzo
(s. v. far un chivalì a una persona,
p. 481): «zè come
far fronte che non la se avanzi a farve un insulto o altro o che no la vegna
avanti in quel logo che no se vol che la vega». Arlichino manifesta
preoccupazione per la sicurezza di Brunetta, che deve attraversare una piazza
piena di «certi zovenotti che i va a ronda».
[60] marforio: a scopo umoristico,
Arlichino e Brunetta giocano con nomi della tradizione romana (cfr. I.12.17: Pantasilea;
I.12.18: Marcantoni). Marforio era «una statua rappresentante una
divinità fluviale giacente (I secolo), che la satira popolare nei secoli XVII e
XVIII fece l’interlocutore o l’antagonista nei dialoghi con Pasquino» (GDLI,
s. v. Marforiale).
[61] Pantasilea: Pentesilea, regina delle Amazzoni. Boccaccio dedica al personaggio e
ai suoi amori con Ettore il capitolo XXXII del suo De mulieribus claris.
[62] Marcantoni: il termine viene adoperato nel suo senso
popolare («persona
grande e grossa, dall’aspetto florido e robusto»; Treccani,
s. v.) ma anche facendo riferimento all’imperatore romano, integrandosi
nel gioco di elogi stabilito nelle battute precedenti (cfr. I.12.17-18).
[63] acenzio: ‘amaro’. Nei testimoni del dramma compare invece la forma ‘acentio’
(vedi Apparato, I.13.1) che consideriamo probabile ipercorrettismo della
forma assenzio frutto della contaminazione fra veneziano e italiano.
[64] al besogna
sparzer un mastel de sangue, avanti ch’al se zonza a una gozza de gust per
quest: ‘bisogna spargere mastelli di sangue per
arrivare ad avere almeno una goccia di beneficio’. L’espressione vuol
sottolineare, negativamente, che, in amore, bisogna soffrire parecchio per
arrivare ad avere un minimo di piacere.
[65] amar: ‘amaro’ (Zappettini, s.
v.).
[66] di soverchio: ‘troppo’.
[67] in sta foza: ‘in questo modo’
(si veda la nota di Ghelfi a Spezier, I.26.1); espressione ricorrente
anche in altri drammi di Bonicelli: Lucrezia, I.10.9 («a’ l’avraà fat in sta foza aquist»); Amalato,
I.1.1 («mendegando in sta foza, faria più croniche le malatie e i guadagneria
più paghe») e I.12.1 («E se mi no avesi fat in sta foza, nò sarie mai arrivad
al concet»).
[68] a’ no ne so’
negota: ‘non ne so niente’ (Zappettini, s. v. negota). ‘Negota’, come indica Muazzo (s. v., p. 737) è termine
tipico delle maschere bergamasche: «qua a Venezia l’ò senti
adoperar solamente da Truffaldin in comedia, come anca el dise fomena, invece
de femena».
[69] deter: ‘dietro’, la cui forma
di base in bergamasco è ‘det’ (Zappettini,
s. v.).
[70] fiola da marit: ‘ragazza in
età da maritarsi’.
[71] No digh oter: ‘non dico altro’.
[72] de longo: ‘di seguito’ (Boerio, s.
v. longo).
[73] La me vegna da drio: ‘mi venga dietro’ (Muazzo, s. v. drio, p. 362: «Andé avanti che ve son da drio»);
‘da drio’ si adopera come avverbio ‘dietro’, ma può avere anche una valenza oscena, vincolata all’altra accezione del
termine, il ‘sedere’ (vedi Muazzo, s.
v. dadrio¸ p. 391-392).
[74] da sé: siamo intervenuti sul testo (cfr. Apparato) dato che riteniamo
che, nel processo di trasmissione , si sia prodotto un salto per homoioteleuton
per analogia con la didascalia presente nella battuta precedente (cfr. I.17.2):
L’intervento di Pantalone, in effetti, non ha senso se riferito al Marchese, al
quale invece si dirigono le parole della Contessa, nella battuta successiva
(I.17.4), bensì deve per forza appartenere a un a parte di Pantalone in cui la
maschera si lamenta della propria situazione nei confronti degli altri
pretendenti della contessa. ♦ E no
altro, padre: locuzione
proverbiale che, in questo contesto, si adopera con il significato di ‘non più’
(cfr. anche Spezier, III.9.27 e Lugretia, I.13.16).
♦ tocchi: ‘pezzi’, usato qui con il significato di ‘pretendenti’.
Pantalone si lamenta per il continuo arrivo di pretendenti che cercano di fare
la corte a Vittoria.
[75] al
Marchese: intervento sul testo per correggere un più che
probabile errore nella trasmissione testuale (cfr. I.17.3).
[76] Contessa, Marchese: aggiungiamo,
benché manchi nei testimoni, il nome dei personaggi che compaiono in scena per
analogia con il resto del testo (cfr. Apparato).
[77] per amor il
tutto facilmente s’apprende: Teodoro fa riferimento al
celebre episodio di Paolo e Francesca presente in Inferno V, v. 100: «Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende». Si notino gli
altri echi dell’episodio dantesco disseminati lungo la commedia (cfr. I.10.1,
III.8.4).
[78] Venere istessa arse per Anchise:
Anchise era un pastore di cui s’innamorò Afrodite, unione da cui nacque Enea (Omero, Iliade¸ II, 819-821).
♦ d’un’Egeria un Numa: Egeria è una divinità latina legata
all’acqua amante del re Numa Pompilio (Metamorfosi¸ XV, 479-497).
[79] Icaro e Fetonte: Icaro e
Fetonte sono conosciuti, nella mitologia classica, per la loro mancanza di
cautela, e diventano, anzi, epitomi dell’imprudenza. Icaro, infatti, morì per
voler avvicinarsi il più possibile al sole (cfr. Metamorfosi, VIII,
183-235) e Fetonte, volando con il carro del sole troppo vicino della terra,
sarebbe stato il responsabile della creazione del deserto africano (cfr.
Metamorfosi, II, 1-339). ♦ Ad un prence…città: Bonicelli
riprende un exemplum presente nella fonte spagnola (cfr. El perro del
hortelano, vv. 775-798) che serve a sostenere che è meglio che i servitori
non dimostrino di essere più intelligenti dei loro padroni.
[80] Marco Aurelio
ancora fece bèvere all’impudica Faustina: Boccaccio
dedica a Faustina la Minore, protagonista della battuta, un episodio del suo De
mulieribus claribus (vedi cap. XCVIII), in cui racconta l’episodio che vede
Faustina cadere malata d’amore per un gladiatore, in modo che Marco Antonio,
per guarirla, uccide il gladiatore e la copre con il suo sangue. Il motivo è
ripreso da Bonicelli, quasi immutato, dall’ipotesto spagnolo: «De
Marco Aurelio se cuenta / que dio a su mujer Faustina, / para quitarle la pena
/ sangre de un esgrimidor» (cfr. El perro del hortelano¸vv.1130-1133).
[81] Frustra queris quod intus habes:
‘ti lamenti invano di quello che hai dentro’. Come ben indica Ghelfi «tutte le citazioni latine del
Dottore, deformate secondo il costume della maschera, benché per lo più
corrette e tratte da un corpus di opere giuridiche, sono puro flusso
verbale di erudizione, inserite nel dialogo allo scopo di dimostrare la
saccenteria logorroica del personaggio» (Spezier, I.1.2n).
[82] Per lo scioglimento
delle abbreviazioni latine che compaiono nelle battute del Dottore è stata
fondamentale la Nota al lettore presente nell’edizione di un altro testo
teatrale pregoldoniano, vale a dire, il Pantalone sturbato ne’ suoi amori
di Giovanni Paolo Zanovello (Venezia, Lovisa,
[1693]), che raccoglie l’interpretazione delle abbreviazioni giuridiche della parlata della maschera. ♦ eo
quia femina mutatur in singuli sex annis, haec est abortum naturae, citius
pubescit et citius senescit: ‘perché una donna cambia ogni sei anni, questo
è un aborto della natura, arriva alla pubertà più velocemente e invecchia più
velocemente’ (parlamento del Dottore segnato dalla misoginia). ♦ De
Generatione Animalium capite sexto: ‘Sulla generazione degli animali,
capitolo sesto’. ♦ Quid levius fumo, flamen, quod flamine ventus. Quod
vento mulier; quod muliere, nihil: ‘cos’è più leggero del fumo? Una fiamma;
più della fiamma il vento. Più del vento, la donna; più della donna, niente’.
♦ nam foemina dicitur principium, et finis familiae suae linguae
pronuntiatio 195 § ulter digestis De Verborum Significatione et lege 4 capite
De Liberis et Posthumis: ‘poiché la donna si dice che sia il principio e il
fine della sua famiglia, come pronunciato dalla legge 195 §, ulteriormente
decretato dal Sul significato delle parole e dal libro 4 capitolo Sui
bambini e l’aldilà. Il passo rimanda a un aforismo del diritto romano:
«Mulier, autem familiae suae et caput et finis est» De verborum
significatione, 195, 5 (Ulpiano)♦ presentis mali cognitio. Res
turpissima cogitatu: ‘conoscenza del male presente. Una cosa molto brutta a
cui pensare’.
[83] frustra est illa potentia quae non reducitur ad
actum: ‘quel potere che
non si riduce all’azione è vano’.
[84] «contesa»
e «culesa» è tutt’un: abituale in Arlichino
l’identificazione di un personaggio con un termine osceno.
[85] campi
di Flora: ‘giardini’.
[86] possono
l’Auree vaghegiare una Venere, non punto inferiore a quella che nella Via Latea
soggiorna: Aura era una ninfa della mitologia greca che,
per metonimia, passa nel testo a designare le ninfe nel loro insieme. La
bellezza di Vittoria viene paragonata a quella di Venere, il che fa della
contessa un essere degno di ricevere l’ammirazione delle Auree che ammiravano
la dea.
[87] accidentaliter: accidentale come opposto a sostanziale: ‘accidentalmente’. ♦ prosenecta:
‘mediatore’, ‘paraninfo’. ♦ Nam dicitur prosenecta matrimonii mediator
lege I digestis De Prosenectis: ‘Dato che si chiama ‘prosenecta’ a quel che
fa da mediatore nei matrimoni; legge I che dispone Sui mediatori’.
[88] caroba: ‘carruba’, «frutto del carrubo, siliqua» (GDLI,
s. v.). ♦ To’, pel’amur ch’a’ te port: ‘tieni, per l’amore
che ho per te’.
[89] da vira: ‘davvero’. ♦ mustaz da conte: ‘faccia da conte’.
[90] L’è un po’ troppo bonora: ‘È troppo
presto perché tu faccia da conte’ avvertimento di Fichetto, che chiama Teodoro
alla prudenza.
[91] trinato d’oro: ‘ornato di trine d’oro’ (cfr. Treccani,
s. v. trinato). L’espressione è riscontrabile anche nelle Memorie
Inutili di Carlo Gozzi: «S’aprì
finalmente di nuovo l’uscio e mi si presentò un mastro di casa tutto trinato
d’oro»
(cap. I).
[92] Vanne dunque tu, stolta: settenario.
[93] ripente: ‘all’improvviso’, ‘di repente’ (Treccani,
s. v. ripente).
[94] l’ha fatto mariorba co le niole: ‘ha giocato alla mosca cieca con le nuvole’. Mariorba:
«giuoco fanciullesco che si fa ad
occhi bendati» (Boerio, s. v.); niola: ‘nuvola’ (Boerio, s. v.; Muazzo, s. v., p. 741).
[95] coresin: ‘cuoricino’, termine affettuoso. ♦ far un caorìo a tombolon:
‘precipitarsi’. ‘far un caorìo’ si traduce, in senso letterale, come ‘tuffarsi’
(cfr. Boerio, s. v. caorìo).
Boerio (s. v. tombolòn)
registra anche l’espressione ‘andar a tombolòn’ con il significato di «andar
pezzendo, in rovina, in malora, a gambe levate; in precipizio».
♦ vago da seno: ‘perdo il senso’.
[96] Troppo tardo… Capricorno:
monologo tutto barocco consono ai costumi dell’arte in cui la servetta, tramite
un parlamento che mette insieme in maniera organica tutti i segni zodiacali,
riesce a insultare Pantalone, dandogli del cornuto.
[97] amor ha fatto
fidar fin un Ercole: Pantalone fa riferimento al
tradimento di Ercole da parte di Deianira, che fu causa della morte dell’eroe,
episodio che serve al vecchio a sottolineare l’idea della forza dell’amore.
[98] noma: ‘appena’ (Boerio, s.
v.).
[99] magneme: da ‘magnar’, ‘mangiare’. ♦ far giusto conto che sia la merda:
‘tieni conto che sia la merda’. L’espressione ‘fare giusto conto che’ compare
anche in Spezier, III.9.17: «fa giusto conto che la
sia così» e Bullo, II.9.6: «Magné, bevé, no abbié
respetto; fé giusto conto d’esser a casa vostra, siora, e no abbié paura».
[100] a qual … appigliare: ‘con quale di questi due si debba sposare’.
[101] fomena: ‘femina’; termine tipico della maschera dello zanni bergamasco (cfr.
nota a I.15.8).
[102] mamaluc: termine peggiorativo; ‘babbacione’, ‘stolido’ (Boerio, s. v. mamalùco; Zappettini, s. v. mamaleuc).
[103] bruscherai: ‘cercherai’, cfr. I.6.10.
[104] desmentegà: ‘apparentare’. (Boerio, s. v. desmestegare).
♦ indeter: ‘indietro’.
[105] umoraz: ‘gran superbia’ (vedi
Boerio, s. v. umorazzo).
[106] albasiaza: ‘boria’, ‘ambizione’, ‘superbia’ (vedi Boerio, s. v. albasìa; Muazzo, s. v. albasìa, p. 86).
[107] cossino: ‘cuscino’ (GDLI, s. v).
[108] etc.: vedi I.2.1.
[109] Marcella, addio: quinario.
[110] si cerchi
altr’esca: ‘si cerchi qualcun altro oggetto d’amore’
se intendiamo ‘esca’ nel senso di «ciò che eccita o alimenta
una passione, un sentimento» (GDLI, s. v.).
♦ Aquilon malvagio: Aquilone personifica il vento del Nord nella
mitologia romana. Il sintagma compare anche in Fulvio Testi («sospinto
fu dall’Aquilon malvagi»; Opere, Bologna, 1644, p. 244).
[111] guidon furfant: «detto a fanciullo, faccimale, insolente,
rispo, vivace» (Boerio, s.
v. guidon). (cfr. Bachetton,
II.22.6: «No hò miga i occhi al tafanari vecch trist, furfant guidon»;
III.10.5: «Guidon furfant sach da corezze»).
[112] la me daga la me bonaman: ‘mi dia la mancia’.
[113] loquere ut sentiamus:
esortazione traducibile per: ‘dato che ti stiamo ascoltando, parla’. ♦ vergota:
‘qualcosa’. ♦ manza: ‘mancia’ (Boerio,
s. v.).
[114] eo quia donato
est modus acquirendi dominium ex liberalitate alterius a iure civili introducta
sic instituto titulo De donatione: ‘perché il dono è
un modo di acquisire domini dalla libertà di un altro, introdotto
dall’ordinamento civile sotto il titolo Sulla donazione’.
[115] Insanise: ‘insanisce’, forma
influenzata dalla flessione dialettale settentrionale, in cui i verbi con
presente in -isc- tendono a presentare -iss- (cfr. Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e
dei suoi dialetti. Morfologia, Torino, Einaudi, 1968, pp. 243-244, § 524).
[116] Quomodo?: avverbio interrogativo modale ‘in che modo?’, ‘come?’. ♦ liè:
‘lei’ (cfr. Spezier, I.13.6: «Tutto quel potrà
procedere dalla me sollecitudin, l’assicuri che ’l me sarà impiegad per liè»; Sansone,
I.10.14 «Liè se degna de farse spos in Tatmatea». Bachetton, I.10.3: «[…] quanto a liè aver da dar»).
[117] te si’ venud a
petarne sta pataflana: ‘sei venuto a raccontare questa
favola’ (cfr. Boerio, s. v. patanflana).
[118] malis artibus et fraudibus:
‘con cattive arti e con inganni’.
[119] arsore: ‘arsura’, con il significato di ‘cosa di poco valore’.
[120] tior: ‘togliere’.
[121] mei: ‘meglio’.
[122] adasi: ‘passo passo’,
‘lentamente’ (Boerio, s. v.
adàsio); forma veneziana di ‘adagio’ ♦ murusi: ‘innamorati’ (Boerio, s. v. moroso). ♦ gnianch:
‘neanche’.
[123] dissì: del verbo ‘dissidere’:
‘discordare’ (GDLI, s. v.).
[124] voler far da cane dell’ortolano che non mangiando
lui, non vuole né meno che gl’altri si sattollino: riprende il proverbio ‘il cane dell’ortolano
non mangia la lattuga e non la lascia mangiare’, che fa riferimento
all’atteggiamento di Vittoria che, anche se sa che non può avere Teodoro, non
lascia progredire gli amori del segretario con Marcella. Per il proverbio, cfr.
Paola Guazzotti - Maria Federica Oddera,
Il grande dizionario dei proverbi italiani¸ Bologna, Zanichelli, 2006,
p. 97. Il proverbio rimanda al titolo della commedia e, dunque, anche alla
fonte spagnola.
[125] al besogna
recider la pianta: eufemismo con cui Pantalone fa
riferimento alla necessità di uccidere Teodoro. ♦
nocumento: ‘danno’. ♦ nam
cessante causa cessat effectus: ‘perché quando cessa la causa cessa
l’effetto’.
[126] omnia vincit
amore, et nos cedamus amoris: ‘l’amore vince tutto e
noi cediamo all’amore’. Bonicelli
riprende per intero il celebre verso virgiliano (Bucoliche, X, 69).
[127] qualche
minchion a tàser: ‘minchion’ significa ‘minchione’,
‘sciocco’. L’espressione verrebbe tradotta come ‘sarei uno sciocco a non
tacere’ (cfr. Spezier, I.5.10). Ha sempre comunque un senso
peggiorativo.
[128] per ti a’ era spedid el negozi:
‘per te era tutto finito’. Boerio
(s. v. spedìo) raccoglie l’espressione ‘tutto è spedio’, con il
significato di ‘mandato in rovina’.
[129] frizemo: Arlichino, nella sua tendenza ad adoperare
vocabolario relativo al cibo, scambia ‘finzer’ (‘fingire’) con ‘frizer’, verbo
con il significato di ‘friggere’. Questa situazione si osserva in altre
commedie come in Spezier, I.11.16-17, in cui, come indica Ghelfi in
nota, si produce uno «scambio di
battute a partire del fraintendimento di Arlichino di finzerte per frizerte». ♦ baragolà: ‘baraccola’, tipo di pesce, razza (Muazzo,
s. v. baraccola, p. 116; Boerio,
s. v. baràcola).
[130] stramboti: ‘spropositi’.
[131] suli: ‘da soli’.
[132] Chiarabadana, nana, forlana toca
de pifara, barba, pedana: Arlichino risponde alla richiesta di dire degli
spropositi (cfr. III.7.3) canticchiando una serie di parole senza ordine o
senso.
[133] vorave: ‘vorrei’.
[134] s’avemio forse da far romper
el cò: ‘avremmo, forse, da farci rompere la testa, Arlechino teme per la
possibilità di essere ammazzato.
[135] ambassador no
porta pena: Fichetto cerca di rassicurare Arlichino
affermando, con questo detto, che «chi porta un
messaggio o una notizia non è responsabile del loro contenuto; è quindi del
tutto fuori luogo prendersela con lui», per cui, fingersi ambasciatori è il
travestimento più intelligente (Zanichelli,
p. 48). Cfr. anche Muazzo (s. v., p. 66).
[136] dar per questo
el cao inte i muri: ‘darsi con la testa contro le
pareti’. ♦ trar […] i sassi per le strade: ‘andar lamentandosi
della situazione dappertutto’. ♦ co’ se
sol dir: ‘come si suol dire’. ♦ nevoda: ‘nipote’ (f.).
[137] manizo: ‘governo’,
‘amministrazione’. ♦ una Semiramide ha domào i popoli intieri co la
so’ prudenza per tanto tempo doppo la morte de Nino so’ marìo; cfr. Dante, Inferno
V, vv. 58-60, p. 101: «Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua
sposa; / tenne la terra che ’l Soldan corregge».
[138] Cazzeghe
marmote: imprecazione spregiativa riferita agli zanni.
Marmota funziona come sinonimo di ‘stupido’, ‘insensato’ (Boerio, s. v.). ♦ nina
nana: ‘inganni’.
[139] zogia: ‘gioie’.
[140] cazzata: ‘attaccata’ (Boerio, s.
v. cazzar: ‘cacciare dentro’, ‘spigner dentro’). ♦ cavezza:
cfr. Boerio, s. v.: «funo o
cuoio con cui si legano gli animali da soma; arnese che si mette alla testa de’
cavalli per maneggiarli».
[141] zorna: ‘giorno’.
[142] scampara da
cagara: cfr. Boerio
(s. v. scampàr) che
raccoglie l’espressione ‘scampà da cagàr o da pissàr’: «aver
voglisa o stimolo di cacare o pisciare».
[143] mi son debotto
fatto sgionfo: ‘mi sono, subito, gonfiato’ (cfr. Boerio, s. v. debòto; Id, s. v. sgionfar e Muazzo, s. v. sgionfar, p. 937).
[144] giustifichicando: anche se la
forma non è pienamente corretta, non siamo intervenuti sul testo critico, dato che
non siamo in grado di confermare che non si tratti di un’innovazione autoriale
che permetta di caratterizzare linguisticamente il personaggio di Alberto.
[145] Ha preso foco la mina: ‘tutto è
saltato’.
[146] meglio fia, me
gli sveli: ‘sarà meglio che glielo confessi’. Teodoro
fa riferimento all’inganno, che decide in quel momento di confessare a
Vittoria.
[147] condonate: ‘perdonate’.
[148] dio di Dite: Satana. Dite è una delle città infernali, che ha come signore il re
dell’inferno Plutone (s. v. Metamorfosi IV, 433-446). Dante usa ‘Dite’
come nome del dio infernale, per identificazione con la città omonima alla
quale il poeta arriva nell’ultimo canto dell’Inferno (s. v. Inferno XXXIV,
vv. 20-21: «Ecco Dite – dicendo – ed ecco il loco / ov’e’ convien che
di fortezza t’armi»).
[149] Scaglia: ‘getta’.
[150] per l’adietro: ‘per il passato’, ‘in passato’ (vedi GDLI, s. v. addietro).
[151] fiamme getterà
l’orsa gelata: riferimento all’orsa minore (contenente
la stella polare) che iperbolizza sull’impossibilità, da parte di Teodoro, di
rivelare l’inganno.
[152] sta sul minchionar el goi:
‘scherzano’ (vedi Boerio, s.
v. goi).
[153] pronuba face: espressione vocativa con il significato di ‘fiaccola che ne favorisci
l’unione amorosa’ (Treccani, s.
v. pronubo).
[154] arsure: ‘arsura’ significa ‘eccessiva caldura’ (Boerio, s. v.); si notino le connotazioni oscene con
cui è adoperato il termine.
[155] O che cagào: ‘Oh che birbone!’. La voce ‘cagao’ ha «diversi significati
secondo l’intenzione di chi le pronuncia. Generalmente sono termini di ingiuria
o disprezzo equivalenti a cialtrone, birbone, barone, forca, tristo,
impiccatone, guidone; furbo, astuto, scaltrito, sagace» (Boerio, s. v. cagadonao). ♦ l’ha lo mo
savesta pettarla senza spuaza: ‘ho saputo attaccarla senza saliva’ (cfr. Boerio s.
v. petàr: attaccare una cosa ad
un’altra; Boerio, s. v. spuazza). Pantalone fa riferimento all’esito dell’inganno (cfr. Muazzo, s. v. Pettar, p. 855: «zè un verbo che gà
diversi significati e che da questo zè derivate altre parole, ma el significato
più usual e che se ne servimmo più spesso, zè in senso di taccar robba con
colla caravella […], quando se tacca una cosa malamente se dise ‘La par pettada
con la spuazza»).
[156] zoie furade: ‘gioielli rubati’. Fichetto deturpa il proprio linguaggio per
continuare a portare avanti l’inganno.
[157] l’avì forse
condannad a esser impiccad el pover Teodor, perché a’ ’l ved là tra do colonne: Arlichino fa riferimento alle colonne della Piazzetta di San Marco,
note per essere il luogo proprio delle esecuzioni (cfr. Giuseppe Tassini, Curiosità
veneziane ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia¸ Venezia,
Grimaldo, 1872, p. 345: «Nei primi tempi l’esecuzioni capitali avevano
luogo spesse volte presso la riva di S. Giorgio […]. In seguito venne destinato
alle medesime quello spazio che si apre fra le due colonne della Piazzetta»).
[158] potesi: ‘potenti’. Il sintagma ‘prenci potesi’ è ricorrente nell’Arlecchino
di Bonicelli (cfr. Lugretia, III.10.1: «Un po’ pì a fort, ch’a’
disiva quei siori prenci potessi, e principalmente quel sior cul de latin»). Sembra che la forma ‘potessi’ non registrata,
sia una forma storpiata di ‘potenti’ o ‘possenti’, ma non riusciamo a
rintracciarne l’origine.
[159] Falè: ‘sbagliate’.
[160] vo civetand Olivetta: ‘cerco di attirare l’attenzione di
Olivetta’.
[161] eo quia mulier libera potest per stipulationem
promitti libro primo folii De sponsalibus: ‘il motivo per cui una donna può essere liberata
per patto promesso; primo libro del foglio Sui promessi sposi’.