Giovanni Bonicelli

 

Arlechino finto bassà d’Algeri, Vittoria il cane dell’ortelano e

Fichetto bullo per amore

 

 

a cura di

Paula Gregores Pereira

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

 

lineadacqua

 

 

2024

 

 

 

 

Giovanni Bonicelli

Arlechino finto bassà d’Algeri, Vittoria il cane dell’ortolano e Fichetto bullo per amore

a cura di Paula Gregores Pereira

 

Cuadro de texto:

© 2024 Paula Gregores Pereira

© 2024 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 41

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

Supervisori per i dialetti: Piermario Vescovo e Luca D’Onghia

Comitato scientifico: Beatrice Alfonzetti, Francesco Cotticelli, Andrea Fabiano, Javier Gutiérrez Carou, Simona Morando, Marzia Pieri, Anna Scannapieco e Piermario Vescovo

Editing: Paula Gregores Pereira

www.usc.gal/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.gal

Venezia - Santiago de Compostela

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lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN: 9791281350229

 

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito dei progetti di ricerca Archivio del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663), Archivio del teatro pregoldoniano II: banca dati e biblioteca pregoldoniana (FFI2014-53872-P) e Archivio del teatro pregoldoniano III: biblioteca pregoldoniana, banca dati e archivio musicale (PGC2018-097031-B-I00) finanziati dal Ministerio de Ciencia e Innovación spagnolo e dal FEDER. Lettura, stampa e citazione (indicando nome del curatore, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietato qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.

             I lavori svolti da Paula Gregores Pereira e da Javier Gutiérrez Carou nella redazione e revisione del libro si inseriscono inoltre nell’ambito delle attività realizzate dal Grupo de Referencia Competitiva CALDERÓN (GI-1377) dell’Universidade de Santiago de Compostela, finanziato dal Plan Galego IDT della Xunta de Galicia per il periodo 2023-2026, rif. ED431C 2023/06.

 

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Biblioteca Pregoldoniana, nº 41

 

 

 

Nota al testo

 

I testimoni

L’Arlechino finto bassà è conservato in una serie di testimoni a stampa pubblicati fra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento a Venezia:

 

L1: ARLECHINO / FINTO BASSÀ / D’ALGIERI. / Vittoria il Cane dell’Ortolano, / e Fichetto Bullo per / Amore. / OPERA SCENICA / Dell’Eccellentiss. Sig. Dottor / BONVICIN GIOANELLI / [1703] / In Venetia, Per Domenico Lovisa à Rialto. / Con licenza de’ Superiori.

            Esemplare custodito presso la Biblioteca Comunale Augusta di Perugia, collocazione ANT I.M 1182 (4.

            Descrizione: A-B12C6; 60 pp. La p. 2 contiene l’elenco dei personaggi e le pp. 3-60 la commedia. La data «1703» è un’aggiunta manoscritta.[1]

            Impronta: eno. o.e- nee. moca (3) 0000 (Q).

 

L2: ARLECHINO / FINTO BASSÀ / D’ALGIERI. / Vittoria il Cane dell’Ortolano, / E Fichetto Bullo per / Amore. / OPERA SCENICA / Dell’Eccellentiss. Sig. Dottor / BONVICIN GIOANELLI. / DEDICATA / All’Illustrissimo Signor / BARTOLOMEO ANGIELI / Nobile di Conegliano. / In Venetia, Per Domenico Lovisa à Rialto. / Con Licenza de’ Superiori.

            Esemplare custodito presso la Biblioteca Comunale Augusta di Perugia, collocazione FONDO II.O 46.

            Descrizione: A-C12; 72 pp. La p. 3 contiene l’elenco dei personaggj, la p. 4 le indicazioni di localizzazione scenica e le pp. 5-71 la commedia. La p. 72 raccoglie l’errata corrige.

            Impronta: i.e. e.s- ini. metr (3) 0000 (Q).

 

Di: ARLECHINO / FINTO BASSÀ / D’ALGIERI. / Vittoria il Cane dell’Ortolano, / E Fichetto Bullo per / Amore. / OPERA SCENICA / Dell’Eccellentiss. Sig. Dottor / BONVICIN GIOANELLI. / DEDICATA / All’Illustrissimo Signor / BARTOLOMEO ANGIELI / Nobile di Conegliano. /In Venetia, Per Giacomo Didini sott. il Brog. / Con Licenza de’ Superiori.

            Esemplare custodito alla Biblioteca di belle arti Tadini di Lovere, collocazione N. 43.

            Descrizione: A-C12; 72 pp. La p. 3 contiene l’elenco dei personaggi, la p. 4 le indicazioni di localizzazione scenica e le pp. 5-71 la commedia. La p. 72 raccoglie l’errata corrige.

            Impronta: i.e. e.s- ini. metr (3) 0000 (Q).

            Fra L2 e Di si riscontra soltanto una variante, lo stampatore, che nel frontespizio di L2 viene identificato come «Domenico Lovisa» ma, in Di, come «Giacomo Didini». In questo caso, ci troviamo davanti a due emissioni di una stessa edizione, ovvero, davanti a due gruppi di esemplari che, benché «prodotti dall’uso sostanziale della stessa composizione tipografica», si differenziano, in questo caso, solo dal riferimento editoriale presente in copertina, che serve a identificare ogni gruppo «come un’unità discreta» per promuoverne, ad esempio, la vendita come prodotti diversi.[2] Gli esemplari, che in effetti contengono lo stesso numero di pagine, le stesse xilografie, lo stesso errata corrige¸ la stessa impronta e la stessa disposizione tipografica, presentano soltanto ciò che sembra essere una piccola variante testuale: a p. 17 (riga 10), Di registra «viscere», mentre L2 sembra registrare «viscero». Tuttavia, un’analisi minuziosa del fenomeno ci permette di individuare che ciò che sembrava una variante è in realtà una modifica nel testo originata dal deterioramento di un carattere mobile, la cui forma, una ‘e’ che già si avverte difettosa in Di, si avvicina a una ‘o’ in L2. Tenendo presenti queste considerazioni, possiamo concludere che L’Arlechino finto bassà è, insomma, reperibile in soltanto due edizioni, L1 e L2 (che accoglie sia L2 che Di), che sono quelle da tenere in considerazione per l’elaborazione del testo critico.

 

 

 

Arlechino finto bassà d’Algeri, Vittoria il cane dell’ortolano

e Fichetto bullo per amore

Opera scenica

dell’Eccellentissimo Signor Dottor

Bonvicin Gioanelli

 

 

 

Personaggi[3]

 

alberto, duca padre di Federico creduto Teodoro.

contessa vittoria, nipote del duca Alberto, amante di Teodoro.

federico, figlio del duca Alberto creduto Teodoro, e gabinetto, suo servo.[4]

marcella, congiunta della contessa Vittoria, amante di Teodoro.[5]

marchese ulario, amante della contessa Vittoria non corrisposto.

pantalone, servo del duca Alberto.

dottore, secretario del marchese Ulario.

arlichino e brunetta, servi in corte.

 

 

La scena si finge in Napoli.

 

Scene nell’atto primo.

Appartamenti della contessa Vittoria.

Piazza.

 

Nell’atto secondo

Sala reggia.

Piazza come di sopra.

Sala reggia come di sopra.

 

Nell’atto terzo

Piazza come negli atti sudetti.

Stanze del duca Alberto.

 

 

 

                  ATTO PRIMO

 

 

                                   SCENA I

 

                                   Appartamenti della contessa Vittoria.

 

                                    Teodoro, Fichetto, che fuggono dall’appartamenti della contessa Vittoria

 

teodoro    Saremo al certo stati scoperti! Vogli il cielo che la contessa Vittoria non se ne sii avveduta.

 

            fichetto    Se, a’ l’ho dit tant volt in malura! Currì, né perdè pi temp.[6]

 

 

                                   SCENA II

 

                        Contessa Vittoria tutt’anelante seguita da un servo che tiene lume alle mani.

 

contessa   A tanto s’avanza l’ardire, ch’osa sin ne’ miei tetti etc. Olà servi, accorrete, poiché genti al sicuro s’attrovano ne’ miei appartamenti.[7]

 

                                   SCENA III

 

                                   Contessa ed Arlichino, che sopragiunge con lumi.

 

            arlichino  Chi va lì, corp del bordel? Sanguinin, sanguenon, sanguenonaz.[8]

 

            contessa   Usa pur ogni diligenza, mio fido servo, acciò non fuggano i traditori.

 

arlechino Che fruz i, che fruz i, a’ ’i è omen co tutti i so’ requisit, che a’ ’i ho conossud int’el da driè.[9]

 

            contessa   Qual congerie di funesti pensieri si va anidando nella mia mente! Ah, che pavento di frodi, già che non punto sen van disgiunti dalle miserie le felicitadi.

 

                                    (Arlichino con mille motti va cercando per scena in atto minaccioso e ridicolo)

 

5          arlichino  Fuora, canage! Ades, ades a’ ve farò ben mi andar via coi cocconi delle botte, razze porche.[10]

 

            contessa   Così, de’ propri errori avranno impenate l’ali alle piante.[11]

 

            arlichino  Eh, che no i aveva le panche, no; a’ ’i era du intabaradi.[12]

 

            contessa   A che dunque non inseguirli?

 

            arlichino  A’ ho pres mi subit el spied ch’andava a torn, ma ho volud pria manzar l’arost.[13]

 

10        contessa   Questa è la diligenza ch’usi alle veglie imposteti?

 

            arlichino  Co’ sarave a dir, no la vol ch’a’ magna?[14]

 

            contessa   Quello non era tempo di tratenirti, ma di rintracciarli ovunque si fussero fuggiti.

 

            arlichino  La dis molto ben Sua Eccellenza: anderò a trovarli che de segur i deve esser là.[15]

 

contessa   Che dici? Ove s’attrovano costoro?

 

15        arlichino  Digh ch’anderò a veder, se i fosse int’el necessari.

 

            contessa   Scostati temerario.

 

            arlichino  No gh’è miga tant mal a dir che i sarà int’el cagadur, perché l’è propri logh delle carogne. (si parte)[16]

 

 

                                   SCENA IV

 

                        Contessa, Pantalone, che sopragiunge.

 

            pantalone           Corro, che me snombolo per servir Vostra Eccellenza, cosa comàndela? (a parte) (Bisogna che la ghe fuma certo a sta siora.)[17]

 

            contessa   L’agitata mia mente, nonché le mie grida, ch’andorono a ferir l’etra, vi dovrebbero, Pantalon, far intendere come tengo necessità d’esser soccorsa.[18]

 

            pantalone           (a parte) (Sta’ a veder che la xe morta e sbasìa per sto musin de settant’anni, oimei!)[19]

 

            contessa   L’improviso rumore nelle mie stanze m’ha resa sollecita a risvegliarmi.

 

5          pantalone           Me maravegio de Vostra Eccellenza: no sa-la che la è patrona de ciamarme a ora e strasora? (a parte) (Altro che amor.)[20]

 

            contessa   Inseguite gl’audaci e conduceteli al mio cospetto.

 

            pantalone           Più che volontiera la servirave se le mie gambe no fasse Giacomo, da seno; la veda (guardandosi le piante) che st’anno tra i altri el sélano val qualcossa, no i se vergogna de domandar tre soldi alla gamba del nostran però digo.[21]

 

            contessa   Compatisco la vostra età.

 

            pantalone           E de che foza, ma ancora, Celenza, se la me intende, saria in stato de far far una meza dozena de Pantalonzini che i poderave esser paggi de Vostra Eccellenza.[22]

 

10        contessa   S’a’ vostri desideri corrispondessero l’operazioni credo.

 

            pantalone           La gh’ha vogia mo de burlar co mi, n’è vero Celenza?

 

            contessa   Sii vostra cura far ricercar per tutte le stanze ed indagar i servi del sopra occorso rumore.

 

            pantalone           Vago subito cancaro, chi no la servisse. Sioriaza. (ponendo mano al pugnal)[23]

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Contessa, Arlechino, con capello di Teodoro nelle mani.

 

            arlechino Manch mal che s’i l’ha brusà la paga l’ha lassà però el capel.[24]

 

            contessa   (a parte) (Oh Dio, quegl’è il capello del mio caro Teodoro!)

 

            arlichino (a parte) (El puzza, che ’l carogna al sigur che i gh’averà cagà denter.)

 

            contessa   Arlechino!

 

5          arlichino  Cosa commandela Siora Marches?

 

            contessa   E bene, ch’apporti della fugga? (a parte) (Fingerò non essermi aveduta di quel capello.)

 

            arlichino  Bone nove.

 

            contessa   Hai forse scoperti i traditori?

 

            arlichino  E de che fat al se tratta, ch’a’ ghe n’abbi descapelà un; guardè mo. (li fa vedere il capello)

 

10        contessa   (a parte) (Purtroppo lo raviso.)

 

            arlichino  Ma i ha abù de bon, che i sè andài via da mi senza che a’ ’i manda.[25]

 

            contessa   Tu dunque gl’hai conosciuti?

 

            arlichino  Che forse Vostra Eccelenza non conoscerave sta capella. (a parte)            (Stà a vidir che la sipi al contrari dell’altre femene.)[26]

 

            contessa   Io lo scorgo al sicuro. (a parte) (Ah, che lo riconosce anco il mio core.)

 

15        arlichino  No se tratta però così co le putte nette e onorate. (verso altrove)[27]

 

            contessa   Che parli? che discorri di puttenette onorate? E che so io?

 

            arlichino  (affacciandosi alla contessa) A’ si’ pur la cara cosa.

 

            contessa   Che dimestichezza è questa?

 

            arlichino  No se pol mo perché a’ sem pover omeni far quel che fa i marches za al se sà per tut la cort.

 

20        contessa   (a parte) (Di sicuro a costui sono noti i miei affetti verso di Teodoro.)

 

            arlichino  Che Teodor? Quel licapiat?[28]

 

            contessa   (a parte) (Sono scoperta.) (poi) Ama…

 

            arlichino  Chi mo?

 

            contessa   (a parte) (Respiro.)

 

25        arlichino  Dona Susana?

 

            contessa   Vuoi dire Mar…?

 

            arlichino  Giust, alla fé. Marcarella.

 

            contessa   Vuoi dir Marcella?

 

            arlichino  Andriana, o Marcarella, za a’ l’è tut un.

 

30        contessa   (a parte) (Ah, se n’avvide il mio core.) Dimi come sai di questi amori.

 

            arlichino  Com’a’ ’l so? A’ ’l so perché a’ son el ruffian della communità.

 

            contessa   Bel mestiere per mia fe’.

 

            arlichino  Za al zorno d’ozi quest s’usa da per tut. Si ben che quel scartoz de Teodoro el civetta Marcella e Fichet, Brunetta.[29]

 

            contessa   Dunque tu tieni per sicuro ch’ambidoi si siino introdotti nelle stanze di Marcella.

 

35        arlichino  E che più bel testa de demonio de quest? (li denota il capello)[30]

 

            contessa   (a parte) (Ah gelosia, m’uccidi.)

 

            arlichino  Ma no ’l sarà mai ver che quel guidon de Fichet abbi Brunetta, che la è el cor delle me budelle, el ventricol dei me meati, insoma, tante belle cose a’ dirave s’avesse una qualche lengua da Deter.[31]

 

            contessa   Non solo Marcella si fa lecito d’amoreggiare Teodoro, che Brunetta, a cui la diedi in custodia, se la passa alla domestica con Fichetto?[32]

 

            arlichino  (a parte) (Questa è la volta ch’a’ la fa impicar Fichet sigur.)

 

40        contessa   (a parte) (Furie, non più agitatemi, cruci del mio dolore, a che uccidermi più s’è svelto il core?) (poi) Olà, Brunetta!

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Contessa, Arlichino, Brunetta.

 

            brunetta  Eccomi pronta all’Eccellenza Vostra.

 

            arlichino  (a parte) (A, cagna asassina!) (s’aggiusta gl’abiti, fa mille moti per parer più adorno agl’occhi di Brunetta)[33]

 

            contessa   A tanto s’inoltra, oh sfacciata, il tuo ardimento, ch’osò questa notte introdur genti ne’ miei appartamenti?

 

            arlichino  Varré, varré co’ rossa che la vien, la par giusto un’anguria.[34]

 

5          brunetta  Io, Eccellenza?

 

            contessa   Sì, tu, temeraria.

 

            brunetta  Né meno me lo sono sognato.

 

            arlichino  Mentiris. Guarda mo sta capella. (li fa vedere il capello di Teodoro)

 

            brunetta  (a parte) (Il tutto gl’è noto.) (poi s’inginocchia) Deh, per pietà l’Eccellenza Vostra mi condoni, poiché fui necessitata introdur il signor Teodoro suo cancelliere, e Ficheto il servo, alle ricchieste centuplicate e minacce della signora Marcella sua congiunta, che per altro guardimi il cielo!

 

10        arlichino  (a Brunetta) Senti cara fradella cosa ha’ t’ bruscad.[35]

 

            brunetta  Il mall’anno che ti pigli.

 

            arlichino Tientelo tut per ti.

 

            contessa   Levati, scelerata, già sai pure quello più e più volte t’imposi, che dovessi esser Argo, fedele alla custodia di Marcella. Ma dimi, quanto costoro si trattenero nelle di lei stanze?[36]

 

            arlichino  Ancha denter. «Actum est de eis», così disèa Bertold a so’ fradèi.[37]

 

15        brunetta  A pena furono giunti nell’anticamera che, caduta una cornice dalle pareti…

 

            arlichino  (a parte) (Bel principi del matrimocol!)[38]

 

            brunetta  li necessitarono a darci a precipitosa fuga nella quale forza è il credere li sii caduto di capo il capello.

 

            contessa   Dunque non s’abbocò con Teodoro Marcella?

 

            brunetta  Eccellenza, no, poiché li fu levato il modo per il sopra cennato accidente.

 

20        contessa   Or che fa Marcella?

 

            brunetta  Impazisse per il timore d’esser dall’Eccellenza Vostra scoperta.[39]

 

            contessa   Arlichino, fa’ venir qui Marcella.

 

            arlichino  Cancar, co se tratta de far el ruffian nissun sarà più lest de mi. (si parte)[40]

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Contessa, Brunetta.

 

            contessa   È dunque corrisposta in amore?

 

            brunetta  Io compatisco quel povero marcantonio, poiché Marcella è sì bella e galante che, per mia fe’, anch’io l’adoro.

 

            contessa   (a parte) (Gelosia mi divori!) (poi) Ch’espressioni escono dalle lor lingue inamorate?

 

            brunetta  Di «ben mio», di «mia vita», d’«idolo di questo sen», di «questo core»; tutte voci che farebbero cadere ogni Zenocrate più continente.[41]

 

5          contessa   (a parte) (Ed io sola m’attrovo in tante pene!)

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Contessa, Brunetta, Marcella ed Arlechin.

 

            arlichino  Segur che la ve vol sculazar a braghe calade, vardè la fa far l’amor. (verso Marcella)[42]

 

            marcella   Tu pure vuoi censurare le mie operazioni? (verso Arlichino)

 

            arlichino  No so chi me tenga che… (finge volerla percuoter)

 

            contessa   Marcella.

 

5          marcella   Mia Signora.

 

            contessa   In questa guisa v’abusate delle mie grazie?

 

            marcella   In che offesi mai l’Eccellenza Vostra?

 

            contessa   (a parte) (Oh, quant’è vaga costei! Ti compatisco, Teodoro.) (poi) Purtroppo m’oltragiasti. (a parte) (Lo sa ben il mio amore.)

 

            marcella   Se l’amar il mio caro Teodoro è delitto, per verità ne son rea.

 

10        arlichino  La me pias che la l’ha dis «netta».[43]

 

            brunetta  Già la signora Marcella è da marito.

 

            contessa   L’amar Teodoro non mi necessita a chiamarti rea di te stessa, bensì l’aver introdotto il medemo entro a’ tuoi appartamenti senza considerare il biasmo commune che t’avresti concitato per sì detestabile operazione.

 

            marcella   Tropp’è possente amore.[44]

 

            arlichino  (a parte) (A’ ’l so ben mi, al tira che l’amorba.)

 

15        brunetta  Dirai qualche sproposito.

 

            arlichino  Digh la verità mi segur.

 

            contessa   Voglio bene che sii corrisposta amante. (a parte) (Tolgal per sempre il cielo!) (poi) Ma che degenerassi in tal guisa dalle tue pari, non lo posso né meno sentire.

 

            marcella   Quando l’Eccellenza Vostra avesse esperimentati li strali di sì possente nume…

 

            contessa   (a parte) (Stolta sei, se nol credi.)

 

20        marcella   Avrebbe convenuto confessare d’essersi lasciata per vinta.

 

            contessa   Non più articolar gl’accenti. (poi a Brunetta) Olà!

 

            arlichino  A’ l’ha dit a lei o a mi?

 

            contessa   Parlo con Brunetta.

 

            arlichino  No l’è miga gran cosa, za a’ sim tutti do fradelli carnali.[45]

 

25        brunetta  In che devo servire l’Eccellenza Vostra?

 

            contessa   Se trascurasti per il passato omettendo i miei commandi, in avvenire fatti conoscere più pronta essecutrice de’ medesimi.

 

            brunetta  Quando commanda chi può, deve in consequenza esser ubbidito da chi deve.

 

            arlichino  (alla contessa) Ha lei forse volontà d’evacuare? Perché secondo el nostro galeno dalle vallade: «quando patrona chiamat, semper gh’è cascat qualcosa».[46]

 

            contessa   Più volte mi ti desti a divedere per menticato con tuoi deliri; amutisciti!

 

30        arlichino  No l’è miga po’ questo tanto gran mal a cercarghe se ghe scampa da far i so’ fati perché anca le rezine deve cagar. Uh, uh. (si parte)[47]

 

 

                                    SCENA IX

 

                                   Contessa, Marcella, Brunetta.

 

            marcella   (tra sé) (Di qualche sinistro pavento).

 

            contessa   Dovrai con Marcella rinserarti in una delle mie più rimote stanze, né ivi a chi si sii permetter l’acceso sotto pena della mia disgrazia.

 

            brunetta  Guardimi il cielo!

 

            marcella   Per sempre dunque, oh Contessa, dovrò vivere subbordinata a sì strani voleri? (a parte) (Ah, tiranide più inaudita!)

 

5          contessa   Sin ch’ad Alberto, tuo e mio zio, rappresenterassi opportunità per tuoi sponsali (già che lo stesso in tal guisa m’impose), io ne dovrò esser arbitra delle tue voglie.

 

            marcella   (tra sé) Perfidissimo fato!

 

            brunetta  (a parte) (Non occorre altro, pazientate di buona voglia, oh mia Signora, ogni evento per avverso vi si rappresenti, ch’infine non potrete in tempo alcuno esser disgiunta, almeno con lo spirto, dal vostro adorato Teodoro.) (poi, verso la contessa) L’Eccellenza Vostra sarà di subito servita. Andiane, Signora, andiane. Comàndela forsi che facci mutare la serratura ed aggiungervi il catenaccio?

 

                                    (Marcella piange, partendo)

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Contessa.

 

            contessa   Troppo è possente amore. Ah, ben ti compiango Marcella, tu inesperta credi la contessa Vittoria, mentre essa s’attrova più di te vivamente accesa di Teodoro, che è l’alma di questo sen, di questo core. Ma dove trascorri, mia lingua? Vorrai dunque amettere, o Vittoria, al tuo possesso un suddito, un plebeo, e concitarti lo sdegno de’ tuoi congiunti, l’imprecazioni de’ tuoi vassalli, l’obbrobrio de’ tuoi popoli? Ah no, che non mancano prenci al tuo merto, né regi a’ tuoi sponsali ch’idolatrando il tuo bello, ne vivon tra essi rivali.

                                    Fuggirò dunque Teodoro,

                                   abborirò il suo aspetto

                                   qual più demone Averno, e furia Aleto.

                                   Ma qual forza improvisa

                                   necessita amutir la lingua ancora?

                                   Parmi dichino gl’astri

                                   ch’a sembianze sì care

                                   a sì vezzoso oggetto

                                   apprir debbasi il core

                                   e svelarli repente

                                   l’inaudita cagion del suo dolore.

                                   Dirò che vive amante,

                                   dama che non è volgare,

                                   del secretar Teodoro

                                   più faconda oratrice.

                                   Dirò ch’è maggior pena

                                   l’adorar un ingrato

                                   che il ragirar d’un Ision la rota;

                                   né di Sisifo il sasso

                                   riesce sì pesante

                                   quanto l’amar un non inteso amante.[48]

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Piazza.

 

                                   Arlechin.

 

            arlichino  Vaga de zà, vaga de là; torna de qua; corra in Alep, torna alla capella de Bergam, nol se sente oter che «amor sassin», «amor crudel», «amor tiran»; «amor è un asen, un mul, un porch»; «amor m’ha ferid con la stanga della porta», «amor m’ha butà sul cò un bocal de pis»! Vaga al bordel amor! Omeni, a’ ’i vol esser cospetin, e chi ha zuf zaf cervel no se inamora, perché i inamurad i par sach vod: mai i manza, mai i beve, ma sempre i tira sospiri, che ognun de lor pesa quattro lire e set onze alla grossa. El mal è ch’anca la siora contessa i dis che la s’ha cazà int’el cò d’amar quel toch de furfant fiol de Fichet, ma mi al stim della communità, Teodor è el zerbinot, a’ ghe vol oter ch’esser secretari della me parona, e po esser fiol d’un. (vedendo Brunetta)[49]

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Arlichino e Brunetta, che sopragiunge.

 

            arlichino  (a parte) (Oimè, o che dolori, sia maledet amor che m’ha fat incontrar in sta carogna!)

 

            brunetta  Ti riverisco, o grugnolo

            di porcello salvatico.[50]

 

            arlichino  (a parte) (A mi, mo per le me bellezze, chi no andasse a tombolon?)[51]

 

            brunetta  Non mi rispondi, oh, viscere?

                                   Sai pur che sei dulcedine

                                   di questo sen suavissimo.[52]

 

5          arlichino  (a parte) (Vogio star sul me, cancar.)[53]

 

            brunetta  Ancora quel musuzolo

                                   ascondi di marmotola.

 

            arlichino  Star saldo più no possego

                                   perché me sento a rompere

                                   i budèi nella panzola.[54]

 

            brunetta  Vardami un poco e mirami

                                   s’io son Brunetta furbola

                                   che ti diede dei gnocoli.[55]

 

            arlichino  Purtroppo co considero

                                   quel to visin belicolo,

                                   quelle mascherpe intatole,

                                   ti me par una vacola.[56]

 

10        brunetta  Io non son tua matruncula

                                   ch’a tutti dava pascolo

                                   per un po’ di salzizola.[57]

 

            arlichino  Ti fal ch’ella magnavala

                                   col formai la polentula

                                   ma ti, lova sporchissima,

                                   le teghe coi so’ granoli

                                   della fava più durola

                                   ti ingiotti a crepa panzula.[58]

 

            brunetta  Vuoi sempre offendermi, oh caro carucio Arlichinuccio, sai pure, ch’io per te non ho be, be, be bene né di giorno né di notte.

 

            arlichino  Cara fradella di’ per l’avvenir un poco più prest quel bene.

 

            brunetta  Mi tratengo in proferirlo a bella posta, poiché giubilo in considerare il be, be, be, bene sviscerato che ti porto.

 

15        arlichino  Obligad, Bruneta cara, del to affet. Va’ a ca’, perché a’ sol’ in sta piazzeta spazizar certi zovenotti che i va a ronda ve, e se i te cazza innanz una qualche testa muta, t’è morta nel chivalì da vira.[59]

 

            brunetta  Per farti conoscere ch’io t’adoro, ecco che t’ubbidisco. Addio carino.

 

            arlichino  Addio marforio.[60]

 

            brunetta  Addio mia bella Pantasilea.[61]

 

            arlichino  Addio me car Marcantoni. Ah, ah.[62]

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Teodoro, Fichetto.

 

            teodoro    Insomma non v’è dolce senza il suo acenzio, non v’è calma senza tempeste, non v’è rosa senza le sue spine; né si può godere un momento di piacere che non venghi compensato da una serie di scontenti![63]

 

            fichetto    E de che foza, che l’è vira; per ben che s’abbi, mai al se ciama alcun felis massime in amur, ove al besogna sparzer un mastel de sangue, avanti ch’al se zonza a una gozza de gust per quest. Abbanduna, car Teodor, i amar de Marcella, che al segur la sarà el to precipizi. Arecordete ch’a’ te son pader per adozion e che se a’ no era mi che t’avesse comprà per 200 scud dai algerini, te sarissi a quest’ura andà ancha ti coi oter schiavi a bastonar el bacalad.[64]

 

            teodoro    Al sicuro io ne vengo addotrinato da’ vostri consigli, ch’a misura dell’onesto vengono con pari prontezza da me essequiti. Ma non sapete che l’amar Marcella mi può sollevare dal posto di cancelliere al grado di primate? Ed esser voi, oh mio caro Fichetto, ancora a parte d’ogni mia contentezza![65]

 

            fichetto    T’è mat se ti credi che la contessa, che de za sa i amuri che passa con Marcella, la te la conceda per sposa.

 

5          teodoro   E di che ne puoi prender dubbio?

 

            fichetto    Dal conoscerte ella, me fiol, ch’è a dir d’un pover servitur.

 

            teodoro    Ma il posto riguardevole che tengo di cancelliere non mi può avvantagiare in ogni riscontro?

 

            fichetto    In tut sì, ma in quest a’ no ’l credo po miga!

 

            teodoro    (a parte) (È meglio finghi di secondar il di lui genio perché non mi riesca di soverchio noioso.) (poi) Veramente comprendo la vostra svisceratezza ed il vostro amore; se per il passato mi vi dimostrai importuno nel desiarvi per sempre compagno a’ colloqui di Marcella, in avvenire mi regolerò a’ vostri voleri. Abbandonerò gl’amori, tralascerò Marcella, darò bando anco’ a’ pensieri amanti.[66]

 

10        fichetto    Te farà molto ben a regolarte in sta foza. Orsù, vad in piazza, conservet.[67]

 

            teodoro   Andate pur in pace.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Teodoro, Contessa.

 

            contessa   (a parte) (Ecco qui la cagion del mio martire.) Teodoro!

 

            teodoro    (da sé) (Qual voce va articolando di Teodoro il nome?) Oh mia Signora!

 

            contessa   (da sé) (Un’alma delirante,

                                   ch’impazzita d’amor, resa è baccante.)

                                   Senti, dama che non ha pari

                                   né in virtù né in beltade in questo regno,

                                   di te ne vive accesa.

 

            teodoro    (da sé) (Ha scoperti gl’amori che passano tra me e Marcella al sicuro.)

 

5          contessa   Teodoro, ascolta.

 

            teodoro   Son a servir l’Eccellenza Vostra e che m’impone.

 

            contessa   (da sé) (Ah, ben direi «amore».)

                                   Questa dama non è altrimenti di te invaghita.

 

            teodoro   (da sé) (Respiro.)

 

            contessa   Ma bensì s’invaghì per gelosia.

 

10        teodoro   Cosa curiosa al certo, che s’abbi invaghita per gelosia.

 

            contessa   Mi pregò li componessi un sonetto, che fu incontinenti da me eseguito; io pure vorrei che tu come mio secretario lo corregessi.

 

            teodoro   Non può dar giudizio de’ delineamenti d’una pittura un cieco.

 

            contessa   Già m’è noto il tuo spirto, né m’è stata a quest’ora occulta la tua virtude. Leggi, ch’io ti do tempo di dar alla stessa la bramata risposta.

 

            teodoro    Quando ciò possi ridondare in piacere dell’Eccellenza Vostra non risparmierò ogni studio perché resti questa signora dama servita. (legge)

 

15        contessa   Che ne dici?

 

            teodoro   Che soprafatto dalla meraviglia non so che rispondere.

 

            contessa   Vanne e risolvi.

 

            teodoro    (tra sé) (Oh Dio, da qual congerie di disastri si va invaghindo la mente!) (poi) Vado servendola.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Contessa, Fichetto.

 

            contessa   Parti, sì, parti. (poi) (E nel partir mi togli ogni contento assieme.)

 

            fichetto    L’Eccellenza Vostra è molto sospesa.

 

            contessa   Ove fosti con Teodoro in questa decorsa notte?

 

            fichetto    (da sé) (Brut principi.) (poi) A let, da ver servitur che le profess.

 

5          contessa   Tra le piume sempre vi trattenesti.

 

            fichetto    O piume, o lana che la se fosse mi serà cert stad a dormir.

 

            contessa   E pure gente ardita osò penetrar nelle stanze di Marcella.

 

            fichetto    De quest a’ no ne so negota, da vir bergamasch. Oibò.[68]

 

            contessa   Ho riscontri che tu, unito con Teodoro, fosti sì temerario d’avvanzarti.

 

10        fichetto    (a parte) (A’ l’è mei ch’a’ ghe dighi la verità.) (s’inginocchia) L’è vira che Teodor m’ha indot a andar sech a parlar a Marcella, ma in temp che anch l’Eccellenza Vostra non doveva esser andada al repos; e sim subit ritornad a deter per el rumor se sentii nelle visine stanzie.[69]

 

            contessa   (da sé) (Gelosia, tu m’uccidi.) (poi) Levati dal mio cospetto, o miscredente, né più apparirmi innanzi.

 

            fichetto    No l’è gran cosa, za Teodor è arrivad al post de cancellier dell’Eccellenza Vostra, se l’amuregia la siura Marcella, questa è fiola da marit, l’amur è lecit ed onest.[70]

 

            contessa   E tanto ardisci!

 

            fichetto    No digh oter (partendosi dice) se a’ l’ho sempre dit che Teodor al vol esser el me precipizi.[71]

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Contessa, Pantalone.

 

            contessa   Oh Teodoro, Teodoro!

 

            pantalone           Eccellenza, el Marchese vorrave venir a riverirla, commàndela che el vegna de longo?[72]

 

            contessa   (tra ) (Oh Dio, quanto è importuno!)

 

            pantalone           Cosa mo dìxela? Èl-la contenta?

 

5          contessa   Venghi il marchese, che sarà ben veduto.

 

            pantalone           E ben trovào ancora da seno. (si parte verso l’anticamera Pantalone e viene introducendo il Marchese)

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                    Contessa, Marchese, Pantalone.

 

            pantalone           La me vegna da drio, Celenza.[73]

 

            marchese  (da sé) (Il core non può capire entro il mio petto dal giubilo che ne riceve per vista sì adorata.)

 

            pantalone           (da sé) (E no altro, padre; de sti tocchi qui no gh’è, né tiorave.)[74]

 

            contessa   (al Marchese) Che desia da me l’Eccellenza Vostra?[75]

 

5          pantalone           (a parte) (Quel ch’ha volesto Pantalon dalla so’ Pandora.)

 

            marchese  Amarvi, adorarvi, idolatrarvi, mia Signora.

 

            pantalone           (da sé) (No saveva miga po mi che el marchese avesse tanta virtù int’el cao. Orsù, è megio che lassa star el sior marchese co la siora contessa.) (poi) Con grazia de Vostre Eccellenze. (si ritira)

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Contessa, Marchese.[76]

 

            contessa   L’onore che riceve la contessa Vittoria per le vostre visite, oh Marchese, la rende sempre più fortunata.

 

            marchese  Eh, mia riverita signora, non ha espressioni adequate la mia lingua per encomiar a pieno l’inemitabili qualitadi ch’adornano l’Eccellenza Vostra.

 

            contessa   Voi mi fate arrossire, Signor Marchese.

 

            marchese  E voi mi rendete troppo felice, oh Contessa.

 

5          contessa   Qual fortuna mi vi rende in questo punto?

 

            marchese  Quella che può sperare un’anima amante.

 

            contessa   Piano Signor Marchese, con chi favellate?

 

            marchese  Seco lei, Signora Contessa, ch’è l’idolo del mio core.

 

            contessa   Non merta l’adorazioni il mio volto.

 

10        marchese  Ah, ch’incessanti n’essige i sacrifici dell’amor mio.

 

            contessa   Io non v’intendo.

 

            marchese  È pur l’idioma italiano.

 

            contessa   Troppo diceste, io troppo udì, mi parto.

 

            marchese  (da sé) (Oh mie speranze abbatute!)

 

15        contessa   (da ) (Oh noiose dimore!)

 

            marchese  Dunque, troppo m’espressi col solo dir «v’adoro»?

 

            contessa   Sì.

 

            marchese  (tra ) (E pur quest’espressioni escon da un cuor divoto.) (poi) Dovrò dunque per sempre crucciarmi

 

            contessa   Vittoria non ve l’impone.

 

20        marchese  (da sé) (Oh speme lusinghiera!)

 

            contessa   (da sé) (Oh insoffribil tormento!)

 

            marchese                 (Che per costei

                        (a parte)                               ne sento.)

            contessa                  (Che per costui

 

 

                                   SCENA XIX

 

                                   Teodoro.

 

            teodoro    È pur vero che per amor il tutto facilmente s’apprende. Quando meno mi sognavo di poetare, vengo necessitato dalla signora contessa a dar risposta al di lei bizaro sonetto, ma eccola per punto, che verso me s’avvicina.[77]

 

 

                                   SCENA XX

 

                                   Teodoro, Contessa.

 

            teodoro    Pronto essecutore de’ speciosi comandi dell’Eccellenza Vostra ho datta, benché debolmente, risposta al sonetto.

 

            contessa   (da sé) (Vogli il ciel m’abbi inteso.) (poi) Teodoro, al segno maggiore obligasti l’alma di Vittoria, nella celerità praticasti di render l’amica mia consolata.

 

            teodoro    Potrà gloriarsi la mia pena d’aver ubbidito a’ ceni dell’Eccellenza Vostra non mai per l’aver vergato con tetri colori i sentimenti della mia mente; prenda. (li porge il sonetto)

 

            contessa   (leggendo) È nobile al certo e lo conserverò entro il mio seno.

 

5          teodoro   E qual fortuna si prepara a quella carta?

 

            contessa   (da sé) (Quella, oh Dio, vorrei fosse permessa alla tua destra.) (poi) Non dovea punto temere l’amante, mentre non è gran cosa ch’una dama, benché grande, ami un privato! Già Venere istessa arse per Anchise e d’un’Egeria un Numa.[78]

 

            teodoro    Icaro e Fetonte, però, non l’indovinorono. L’Eccellenza Vostra, sua, può viver sicura, che come un grande supera nel dominio, così vuol farlo con l’ingegno. Ad un prence venne in pensiere di far un sonetto, composto l’ebbe, n’impose ad un suo suddito di dar risposta allo stesso, esequì ad un tratto il vasallo e, scorgendo troppo gradita la risposta al prence, superato nella composizione, stabilì di subito partire con la famiglia dalla città, voglio dire, oh mia Signora![79]

 

            contessa   Che?

 

            teodoro   L’ intendo, che mi parta, eh?

 

10        contessa   No! (a parte) (Oh, Dio!) (poi) Che mi piace il sonetto. (guardando attentamente Teodoro, si parte)

 

 

                                   SCENA XXI

 

                                   Teodoro.

 

            teodoro    Parmi che la nave del mio pensiero s’estendi a velle gonfie nel mare dell’ambizione: chi sa che questa dama non sii la contessa Vittoria e ch’il vassallo sii il secretario Teodoro. Voglio sperar.

 

                                    (Marcella, che sopragiunge)

 

 

                                   SCENA XXII

 

                                   Marcella, Teodoro.

 

            marcella   Sì, sì, spera cor mio.

 

            teodoro    Oh, fortunati accenti! (poi, a parte) (Erano deliri della mia ambizione il pensare che la dama sii Vittoria, eh, che sarà Marcella.)

 

            marcella   Lascia che t’incateni.

 

            teodoro   Permetti ch’io ti stringa.

 

5          marcella   A questo sen.

 

            teodoro   A questo petto

 

            marcella   Oh caro.

 

            teodoro   Oh cara.

 

            marcella   Né che mai ci disgiunga.

 

10        teodoro   Acciò non ci divida.

 

                                   (In questo punto sopragiunge la Contessa)

 

 

                                   SCENA XXIII

 

                                   Contessa, Marcella, Teodoro.

 

            contessa   Oh cari! (a parte) (A fe’, li compatisco anch’io.)

 

            marcella   (da sé) (Siam scoperti.)

 

            teodoro   (da ) (Ah, che ci sorprese!)

 

            contessa   No, no, seguite pure.

 

5          marcella   Con promesse di sposo.

 

            teodoro   Senz’indiretto fine.

 

            marcella   Diedi la destra.

 

            teodoro   Strinsi la mano.

 

            contessa   Su, via, che paventate? «E con la mano il core».

 

10        marcella   Eh quest’è troppo, Eccellenza.

 

            teodoro   A tanto non m’espressi.

 

            contessa   Ah, sfacciata! (poi verso Teodoro) Ah, sleale!

 

            marcella   Oh, perverso destin!

 

            teodoro                                    Sorte fatale!

 

                                   (Nel mentre si parte Marcella, Teodoro vuole seguirla)

 

 

                                   SCENA XXIV

 

                                   Contessa, Teodoro.

 

            contessa   Fermati, Teodoro.

 

            teodoro    Non comanda l’Eccellenza Vostra ch’io pure vadi con Marcella?

 

            contessa   No, ch’io qui ti voglio.

 

            teodoro   L’Eccellenza Vostra è patrona.

 

5          contessa   L’ami tu dunque? Parla!

 

            teodoro    (da sé) (Che dirò mai?) (poi) Eccellenza sì, per esser di lei congiunta.

 

            contessa   Dici da vero ch’ami per esser mia congiunta?

 

            teodoro   Sii testimonio il cielo.

 

            contessa   Né per altro l’adori?

 

10        teodoro    (da sé) (Ah, che sempre più mi rafferma credenza che sii di me la contessa accesa! Ardire, mio core!) (poi) No, mia cara.

 

            contessa   (a parte) (Oh me felice!) (indi) Come?

 

            teodoro   (a parte) (Sii maledetto, amore.) Eh, Signora. Così dicevo a Marcella.

 

            contessa   Sì, a Marcella, oh caro, eh? Ma senti, Teodoro. (a parte) (Non mi posso più contenere.) Se dama d’alto grido ti dicesse: «Teodoro, anima mia, core di questo sen, mio ben amato, lascia Marcella, oh Dio, segui la tua fortuna, che felice ti vuole e fortunato»; allor, e che diresti?

 

            teodoro   Direi che picciol vapore quando venghi sollevato all’aria, non può cagionare che sinistri gl’eventi; direi che il passegiar le vie del sole ad altri non è permesso ch’al direttore degl’astri. Direi, insoma, direi… Ah, Signora Contessa, mi ramentano le storie che Marco Aurelio ancora fece bèvere all’impudica Faustina il sangue d’un vilissimo gladiatore con cui poch’anzi essa seco s’era giaciuta.[80]

 

15        contessa   Tu pur confessasti. (in questo punto, finge cadere) Oh ciel, soccorso!

 

            teodoro    Vostra Eccellenza è caduta?

 

            contessa   Sei cieco, che non mi ravissi qui al suol giacente?

 

            teodoro    Purtroppo… Oh Dio! (si confonde, sa ch’espediente prendere; se levarla o lasciarla in abbandono)

 

            contessa   Ah, villano indiscretto, dami la mano.

 

20        teodoro    Son qui mia Signora. (procura di coprirsi la mano con il tabaro)

 

            contessa   In questa guisa, oh stolto, t’abusi delle grazie ti fa la Contessa?

 

            teodoro    Non osai perché servo.

                        (Essa si solleva da terra tenendo per sempre afferata la mano di Teodoro sino risorgere)

 

            contessa   Come secretario dovrai tenir occulta questa caduta. (si parte)

 

            teodoro   (con voce giuliva seguitando la contesa) Marcella, abbi pazienza.

 

 

                                   Il fine del primo atto.

 

 

 

 

                  ATTO SECONDO

 

 

                                   SCENA I

 

                                   Marchese, Dottore.

 

            marchese  Insoma non posso scacciar la malinconia che stranamente m’opprime.

 

            dottore    Frustra queris quod intus habes a che mai pensar a sta mala biestia, se za la ve va a roder le viscere?[81]

 

            marchese  A tali vicende sono sogetto, che si può fare? La signora contessa Vittoria è l’origine d’ogni mia disaventura.

 

            dottore    Purtrop al cred «eo quia femina mutatur in singuli sex annis, haec est abortum naturae, citius pubescit et citius senescit»; così al dis Aristotel al libro quart De Generatione Animalium capite sexto. Senta l’eccellenza vostra quel che dis una volta delle femene un grand’om: «Quid levius fumo, flamen, quod flamine ventus. Quod vento mulier; quod muliere, nihil». Una femena l’è el principi e el fin della so’ fameia, nam foemina dicitur principium, et finis familiae suae lege pronuntiatio 195 § ulter digestis De Verborum Significatione et lege 4 capite De Liberis et Posthumis sì che per la variabilità della contessa Vittoria a’ nol occur che l’Eccellenza Vostra s’affliza, perché quest al le pol nuocer de sì fatta maniera, che la ’l rendrà al ultim period della so’ vita. Ah, malincunie, malencuniaza ti, a’ ti sì, presentis mali cognitio. Res turpissima cogitatu.[82]

 

5          marchese  Indarno v’affaticate in persuadermi a scacciarmela d’attorno.

 

            dottore    O Marches, Marches, frustra est illa potentia quae non reducitur ad actum; voi mo dir ch’al besogna?[83]

 

                                   (Arlichino sopragiunge in fretta)

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Marchese, Dottore, Arlichino.

 

            arlichino  Largh siur marches alla siura culessa.

 

            dottore    Che diavol de sproposit? A’ voi dir «la contessa»?

 

            arlichino Uh, Duttur baban, più ignurant d’un asin.

 

            dottore    Qual te si’ ti, n’è vira?

 

5          marchese  (tra sé) (Qui la signora contessa? Oh me, felice.)

 

            arlichino  Siben perché a’ no savì, sier carbonar, che el cul stà con la contessa? Ergò, «contesa» e «culesa» è tutt’un.[84]

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Marchese, Dottore, Arlechino, Contessa e Brunetta.

 

            dottore    Riveris profundament l’Eccellenza Vostra.

 

            marchese  Umilia il suo core innamorato all’Eccellenza Vostra il marchese.

 

            arlichino  (da sé) (D’ogni stason.)

 

            contessa   Per divertirmi dalle cure noiose ch’hanno a quest’ora affascinato il mio spirto, risolvo portarmi ne’ campi di Flora.[85]

 

5          marchese  Ovunque si ragiri la Contessa Vittoria possono l’Auree vaghegiare una Venere, non punto inferiore a quella che nella Via Latea soggiorna.[86]

 

            contessa   Ironicamente andate, oh Marchese, encomiando la Contessa Vittoria.

 

            arlichino  (da sé) (Putana cagna, ch’a’ no poss farghe arrivar anca mi un sospir a Brunetta.)

 

            marchese  Articolo gl’accenti con un core tutto sincero; ma commanda l’Eccellenza Vostra restar servita al giardino.

 

            contessa   Se m’abusassi delle vostre grazie, farei gran torto alla vostra gentilezza.

 

10        marchese  (tra sé) (Ritorno a respirare.) (poi) Eccomi dunque disposto in servirla.

 

            contessa   (da sé) (Quanto più volontieri t’acceterei se fosti Teodoro.)

 

            dottore    Sté a vidir ch’a’ si’ accidentaliter divenud mi prosenecta. Nam dicitur prosenecta matrimonii mediator legge I digestis De Prosenectis.[87]

 

            brunetta  Arlichino mio caro, tu pure porgimi la destra.

 

            arlichino  (li vuol dare una caroba) To’, pel’amur ch’a’ te port.[88]

 

15        dottore    Innanz el matrimoni, via zà.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Piazza.

 

                                   Teodoro.

 

teodoro    A chi mai dimostrossi più propizia la sorte di quello che la ricconobbi io in quest’oggi? «Come secretario tieni occulta questa caduta». Bensì m’avveggo, oh fortuna, che rivolgi a’ miei contenti la rota.

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Teodoro, Ficheto.

 

            fichetto    Ah, ah, galantom, za che sta not a’ no avì podud parlar a Marcella, essa in sto punt la ve manda sta lettera. (Li porge la lettera)

 

            teodoro   Di Marcella è quel foglio?

 

            fichetto    Sì, de Marcella è la lettra.

 

            teodoro   Per esser di Marcella, sta’ osservando quello ne faccio. (lo lacera)

 

5          fichetto    A mat, cosa fa-t?

 

            teodoro   Temerario, con chi credi di discorrere?

 

            fichetto    Mi a’ parlo giusto co ti, ve’.

 

            teodoro   Che «ti», che «mato», sciagurato che sei? Mi conosci tu? Parla! Rispondi!

 

            fichetto    Se a’ te conos, mo che vien te dall’altro mondo? no sa-t, che mi a’ son el to liberator Fichet.

 

10        teodoro   Da qui a dietro dovrai ricconoscere li tuoi doveri, darmi dell’Eccellenza, star due passi a dietro quando mi discori, insoma, riconoscermi per il Signor Conte Teodoro.

 

            fichetto    L’è bella questa, da vira! Te par mo ti d’aver mustaz de conte? Più tost da marchese![89]

 

            teodoro   Orsù, non vi è più tempo da perdere: io sono il Signor Conte, mentre la Signora Contessa m’adora.

 

            fichetto    È ’l po vira?

 

            teodoro   Al certo, ma levati un poco il capello, e sta’ due passa a dietro quando ti parlo.

 

15        fichetto    L’è un po’ troppo bonora che ti fazi da conte; eh Teodor, Teodor, co sto to umur senza fundament, ti vol descader anca dal post che ti è.[90]

 

            teodoro   Non più ciarle.

 

            fichetto    Comàndela Eccellenza che me levi il capel?

 

            teodoro   Manco male, farai il debito tuo. Senti, va’ in piazza.

 

            fichetto    La commandi pur con ogni libertà, Siur Cunt. (tra ) (A’ ’l me vien da rider da vira.)

 

20        teodoro   Ordina quattro cocchi, de’ più vaghi ed adorni che possi rendere l’arte maestra.

 

            fichetto    Ben, bon.

 

            teodoro   Indi, ritrova ventiquattro paggi.

 

            fichetto    Bon, ben.

 

            teodoro   Fa’ far alli stessi un abito da livrea trinato d’oro.[91]

 

25        fichetto    Ben, bon.

 

            teodoro   In questa guisa m’abbadi?

 

            fichetto    Mo caro ti, se a’ ti disi dei sproposit, cosa vuo-t ch’a’ te responda? I paggi mo, come i vo-t mantenir? A polenta sicuro.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Teodoro, Ficheto, Marcella, che sopragiunge.

 

            marcella   Pur ti ritrovo, oh Teodoro.

 

                                   (Teodoro finge non vederla)

 

                                    È come sì di repente s’ecclissano quelle luci che…

 

            teodoro   Che Teodoro? Che luci?

 

            fichetto    E cara siura Marcella, lassel star.

 

            marcella   (a Ficheto) Li desti il foglio? Ma… Oh Dio!

 

5          teodoro    Il foglio è al suol infranto, io non ravviso Marcella, sii maledetta Marcella!

                                    Vanne dunque tu, stolta. (si parte Teodoro, in furia)[92]

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Marcella, Ficheto.

 

            marcella   E di qual reità è mai questo core? Barbaro, dì, rispondi, che sì ripente mi sprezzi, mi fuggi, mi detesti; ma tu almeno, Fichetto, rendimi la cagione di sì strane vicende.[93]

 

            fichetto    Son stuffo in malura. (si parte esso pure)

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Marcella, poi Pantalone.

 

            marcella   Dovrò per sempre penare!

 

            pantalone           No, vita mia, che anca el sol doppo che l’ha fatto mariorba co le nìole el torna a mea, e sì el se lassa veder bello come prima.[94]

 

            marcella   (a parte) (Costui, tormento acresce alle mie pene.) Che chiedete, Pantalone?

 

            pantalone           Altro no riccerca, non brama, no desidera questo mio coresin che saltarme fuora della panza e far un caorìo a tombolon entro el mar più profondo della vostra grazia. (a parte) (Oh Dio, vago da seno, se la me dise de sì.)[95]

 

5          marcella   Troppo tardo sete stato, signore. Già amore per voi fatto Aquario non ha la vivacità del Pesce, ma la stolidezza dell’Ariete e del Toro. Per Gemini non v’è loco, mentre ormai è tempo di ritornare da Cranco. Mal s’accopia il Scorpione all’unione del Leone e della Vergine: sol Libra le forze, questa favolegiata deità, potrebbe per voi invero il cieco nume scagliar strali di Sagittario, ch’invece di render essangue in amore, vi rendessero in Capricorno.[96]

 

            pantalone           A mi mo siora tutte ste belle cose, perché gh’ho quarant’anni per culata, n’è vero?

 

            marcella   A voi, per apunto. (a parte) (Manco male che tra tante pene che mi crucciano, non abbi ritrovato un poco di trastullo che mi ricrei.)

 

            pantalone           E, cara.

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Marcella, Pantalone, Contessa.

 

            contessa   Guardate che bel caprone.

 

            pantalone           (da ) (Certo che la m’ha sentùo.)

 

            contessa   Favellar d’amore in un’età!

 

            pantalone           Eccellenza, no l’è gran cose, perché amor ha fatto fidar fin un Ercole.[97]

 

5          contessa   Lo fé perch’è nerboruto.

 

            pantalone           E mi, che songio noma ossi![98]

 

            contessa   Partiti dal mio aspetto!

 

            pantalone           (da sé) (Vago, Siora Cagada, e magneme co far giusto conto che sia la merda.)[99]

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Marcella, Contessa.

 

            contessa   Tu pur, oh stolta, abbadavi alle di lui frenesie?

 

            marcella   Mi tratenevo solo per prendermi diletto.

 

            contessa   Sì, ma con poca prudenza.

 

            marcella   Quando l’Eccellenza Vostra mi vogli priva d’ogni divertimento, io ritorno a rinserarmi.

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Contessa, poi Teodoro.

 

            contessa   Sei qui, Teodoro. (a parte) (Quasi dissi: «idol mio», per te men muoro.)

 

            teodoro   Eccomi a’ suoi voleri.

 

            contessa   Già che tu sei secretario de’ miei stati, voglio ne sii pure de’ miei pensieri.

 

            teodoro    E che grazie sono mai queste che l’Eccellenza Vostra m’impartisce?

 

5          contessa   I merti tuoi molto più essigono dalla mia persona.

 

            teodoro   Chi mai, (a parte) (più di me) sarà fortunato?

 

            contessa   Due giovani di bel aspetto, pari d’amore e di fedeltà, sono invaghiti del mio sembiante. Uno di questi si è signore de’ stati; altro, abieto vile e suddito di me stessa.

 

            teodoro   (tra ) (Mi figuro a che indirizza questo discorso.)

 

            contessa   Tu dovrai, come dissi, secretario de’ miei pensieri, consigliare a qual di questi due debbasi appigliare la contessa Vittoria; s’al nobile e grande, o al vile ed abieto.[100]

 

10        teodoro    Troppo vi lusingherei se veriteri non esprimessi li sentimenti del mio core. Al grande senza dubbio per ogni rispetto dovrebbe l’Eccellenza Vostra corrispondere, mentre essendo pari in svisceratezza al vile ed abietto, n’è di più maggiore di fortune, ed in consequenza degno della vostra grandezza.

 

            contessa   (a parte) (Stolto che sei.) (indi) Già che dunque mi consigli al grande, al grande pure tu dovrai arrecare ch’io desio di venirle sposa, e tu, paraninfo ne sarai.

 

            teodoro   Piano, Signora.

 

            contessa   Non occorre altro. Di propria bocca, così pronunziasti con tuoi accenti, ancora dovrai render certo il marchese ch’io per isposo l’accetto.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Teodoro.

 

            teodoro    Marcella, aspettami! Già che la contessa m’abbandona, a te ne vengo. Quanto era meglio ch’io seguissi la carriera de’ miei amori con Marcella, ch’abbandonar la stessa per un poco di chimera m’aveo ideato, pazzo che fui! E paggi, e carozze, e stafieri, il tutto s’è di già svanito. Quando credevo esser arrivato all’auge delle contentezze, m’attrovo negl’abissi delle più strane peripezie!

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Teodoro, Arlichino, che sopragiunge.

 

            teodoro   Arlichino!

 

            arlichino  Chi ciama la bestia?

 

            teodoro   Arlichino, in buon’ora!

 

            arlichino  Ah, ti è ti, Teodor. Cosa fa-t, caro mat?

 

5          teodoro   Che dimestichezza è questa?

 

            arlichino  Uh, uh tant’umor perché ti t’ha cazzad la perucha, manch rosto, che a’ gh’è più fum de quel che a’ ti te credi.

 

            teodoro    Sì, sì, tutto quello che tu vuoi. (a parte) (La contessa brama ch’io arrechi al marchese come desia di venirne sposa: manderò costui per messagiero.) (poi) Io ti voglio far pervenire una grossa mancia.

 

            arlichino  È-la maschio, o fomena, sta mancia?[101]

 

            teodoro   La «mancia» significa un regalo.

 

10        arlichino  Ades t’ho intes, mamaluc, perché no dirme così alla prima?[102]

 

            teodoro    Dovrai subito portarti agl’appartamenti del signor marchese ed allo stesso arreccarli che la contessa lo desia per isposo.

 

            arlichino  È-l po vira?

 

            teodoro   Verissimo, e che regalo bruscherai?[103]

 

            arlichino  Cancar a’ vagh col se tratta de regal a’ no perdo temp. Teodor te ringrazi: anche de ti no me scorderò, co farte far un piat de mascheroni.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Teodoro, Fichetto.

 

            teodoro   Manco male che tra tante sciagure…

 

            fichetto    Le carozze son all’orden. I paggi se mette i abiti, i stafieri se calza, ma a’ m’era po ben desmentegà de star do passi indeter.[104]

 

            teodoro    Eh, Ficheto caro, le vicende di qua giù mai mancano, ma sempre rendono li miseri mortali bersaglio de’ suoi furori.

 

            fichetto    Co’ sarave mo a dir?

 

5          teodoro    Che la signora contessa s’è fatta sposa del signor marchese e per più deludermi essa m’impose a dover io portarne allo stesso l’annuncio. E che ne dici il mio caro Ficheto?

 

            fichetto    El to umuraz che ti ha nel cò t’ha ridot in sto stad.[105]

 

            teodoro   Sarà dunque meglio ne ritorni a Marcella.

 

            fichetto    Signura, ma con l’umiliazion e no co tanta albasiaza. Varda, varda che la vien, puerina.[106]

 

            teodoro   Prevenirò il di lei arrivo.

 

10        fichetto    A mi poch m’importa.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Teodoro, Ficheto, Marcella.

 

                                   Teodoro s’inginocchia.

 

            marcella   Ecco quel mostro inumano.

 

            teodoro   Alle tue piante, oh cara,

                                   un tuo fedel si postra.

                                   Mirami se non vuoi

                                   ch’al tuo cospetto io cada.

                                   (Né meno essa lo mira)

                                   Se mai fiamma amorosa

                                   ebbi per altra in seno,

                                   più favilla non serbo.

 

            fichetto    Consulelo un poch. (a Marcella)

 

            teodoro   E tu sola

                                   sei il destin che mi volve,

                                   la sorte che mi regge,

                                   la stella che mi move.

                                   Né viver posso

                                   lungi dal tuo cospetto.

 

5          marcella   Menti, furia d’Averno e fiera Aletto.

 

            fichetto    Da ver bergamasch, ch’a’ ’l dis la verità.

 

            teodoro   Parlo con l’anima su le labra.

 

            marcella   S’io il credessi…

 

            teodoro   Morirò dunque, mio bene.

 

10        marcella   (Più resister non posso!) (poi) Levati, Teodoro, idolo mio.

 

            fichetto    Ne sii pur laudad el ciel, ch’una volta la s’ha finid.

 

            teodoro   Oh fortunati accenti!

 

            marcella   Oh soavissime voci!

 

            teodoro   Che ristorano l’alma.

 

15        marcella   Ch’incatenano il core.

 

            teodoro   Un cieco Dio

                                                           amore.

            marcella   Un faretrato

 

            fichetto    Uh, uh, uh. (vedendo la Contessa)

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Teodoro, Marcella, Contessa.

 

            contessa   (a Marcella) Temeraria!

                        (a Teodoro) Arrogante!

                        (a Marcella) Così contravieni a’ miei comandi.

                        (a Teodoro) In questa guisa vilipendi il mio onore.

 

            marcella   Ubbidiente mi ritiro.

 

            teodoro   Riverente mi parto.

 

            contessa   (a Marcella) Vanne, iniqua. (a Teodoro) Tu, resta.

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Contessa, Teodoro.

 

            contessa   Olà! (verso li servi) Si porti da scrivere! (guardando Teodoro, che se n’ sta con tutta somissione) Ah, ch’ei mi svelle il petto!

 

                                   (Viene portato un tavolino con carta, pene e calamaro.)

 

            contessa   Teodoro.

 

            teodoro   Che m’impone l’Eccellenza Vostra?

 

            contessa   Scrivi.

 

5          teodoro   (tra ) (Al certo la sentenza di morte.)

                                   (Teodoro si pone a scrivere stando però inginocchiato.)

 

            contessa   (da ) (Ahi quanto mi muove!) (poi) Se le porti un cossino. (alli servi)[107]

 

                                   (Dalli servi viene portato un cossino)

 

            teodoro   (a parte) (Oh crudele pietà! Al certo io moro.)

 

            contessa   «A Teodoro». Scrivi.

 

            teodoro   A me?

 

10        contessa   A te, sì. (a parte) (Te adoro.)

 

            teodoro   (scrivendo) «A Teodoro».

 

            contessa   Già conosci il mio amore.

 

            teodoro   «Già conosci il mio amore» (indi tra ) (Io son contento.)

 

            contessa   Poco parlo, mentre lascio questa facenda al cieco dio.

 

15        teodoro   «Poco parlo, mentre lascio etc.».[108]

 

            contessa   A te scrive Vittoria.    

            Idol mio. (ed in un momento si parte)

 

            teodoro    «A te scrive la Contessa Vittoria». Ma… Oh! Chi mi vi toglie? Io son contento a pieno. (sbalza dal tavolino tutto giulivo, si parte dicendo)

                                   Marcella, addio.[109]

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Teodoro, Marcella.

 

            marcella   E che ti discorse, oh caro, la contessa in tempo ch’io fui qui in aguato?

 

            teodoro   Che di’? Che parli? Pantalon sarà tuo. (si parte)

 

 

                                   SCENA XIX

 

                                   Marcella.

 

            marcella   Ed in tal guisa dunque

                                   mi tradisse Teodoro,

                                   m’abborisce quest’empio.

                                   Si cerchi altr’esca

                                   onde le fiamme antiche

                                   l’ardor estingua di due luci vaghe

                                   e saldi il nuovo amor piaghe con piaghe.

                                   E dove i dolci nomi,

                                   perfido miscredente,

                                   di vita, di pupilla,

                                   di tesoro, di luce,

                                   dove son, gl’obliasti?

                                   Ah, sol per me tuona la man di Giove

                                   e sol per me stride Aquilon malvagio.

                                    Son pur, son pur io quella che del cor ti fè dono. Or perché mai, chi poco innanzi amasti, rigido tu disprezzi, e senza colpa a morir mi condanni? il premio è questo della mia servitù. Rimanti pur, ch’io non t’amerò più.[110]

 

 

                                   SCENA XX

 

                                   Sala reggia.

 

                                   Marchese, Dottor.

 

            dottore    Viè, viè, l’Eccellenza Vostra scacci el timor dal so’ pet e la consideri una volta.

 

            marchese  Se la contessa non condescende a’ miei sponsali, più a lungo non posso mantenirmi in vita.

 

 

                                   SCENA XXI

 

                                   Marchese, Dottore, Arlichino.

 

            arlichino  Largh, largh? Ah Siur, me dali el regal.

 

            dottore    Fat in là, guidon furfant.[111]

 

            marchese  E che c’arrechi?

 

            arlichino  Che lei, no ella, lei è ’l marches?

 

5          marchese  Al sicuro.

 

            dottore    È-t orb?

 

            arlichino  Se ella è el marches la me daga la me bonaman. Via, via, prest, perché la me scappa.[112]

 

            dottore    Loquere ut sentiamus, senza dar vergota a’ te vuol la manza.[113]

 

            arlichino  Me manda a dir la siura culessa, a dir a Vostra Bestialità, che la i vol per marid.

 

10        marchese  Io per suo sposo?

 

            dottore    El siur marches è destinad da liei?

 

            arlichino  Gnor sì, gnor nò; l’è così la m’ha dit: «va’ dal marches, dighe che l’aspet che a’ ’l vegni ch’io mi consobrino nelle sue bellezze»; e po tante belle cose.

 

            dottore    Se quest’è vir, l’Eccellenza Vostra può chiamarse content; la dié qualcosa a sto pover’om, la me compatissa la vida del ardir.

 

            marchese  Dottor, dateli questa gema. (li dà un anello)

 

15        dottore    Tuo, Arlechin, quest’anel; faghene quel che ti vuoi, eo quia donato est modus acquirendi dominium ex liberalitate alterius a iure civili introducta sic instituto titulo De donatione. L’è tuo.[114]

 

            arlichino  Per aver dit al marches che l’è fat spus el me dà sto agnel?

 

            dottore    Sì, ch’a’ te par puoch?

 

            arlichino  Me bastava del doppiù. Mo se a’ desissi al Duttur che l’è fat un porch, cosa me daressi?

 

            dottore    El mal’ann che te cuoia.

 

20        marchese  Non più, oh Dottore!

 

 

                                   SCENA XXII

 

                                   Marchese, Dottore, Arlichino, Contessa.

 

            marchese  Qui si porta l’Eccellenza Vostra senza attendere ch’io le venissi a prestare l’omagio più propenso della mia anima.

 

            contessa   V’ho questa volta prevenuto.

 

            dottore    Come sposa al suo sposo.

 

            contessa   Che sposa al suo sposo? Quali accenti articolate?

 

5          marchese  Quelli egli espone che l’Eccellenza Vostra m’ha fatto pervenire per il servo Arlichino.

 

            arlichino  (da ) (Sta’ a vidir che i me rompe el mustaz.)

 

            contessa   Insanise il Dottore ed il Marchese vanegia.[115]

 

            dottore    Quomodo? Eccellenza, a’ no è vira che liè abbi destinad per so’ spus fedel el marches?[116]

 

            arlichino  (alla contessa) La diga de sì, cara Siura Culessa.

 

10        contessa   Di tanto non s’espresse la mia lingua.

 

            marchese  (da sé) (Io ritorno ai tormenti.)

 

            arlichino  E mi a puttane.

 

            dottore    (verso Arlechino) Guidon furfant, così te si’ venud a petarne sta pataflana.[117]

 

            arlichino  E via, tolel, cara siura, el marches, si no a’ ghel darò alla siura Marcella.

 

15        dottore    Infam, dà pur zà l’anel, che malis artibus et fraudibus te n’ha levad dalle man.[118]

 

            arlichino  Tulì tulì, za al se sa che l’era robba rubbada, arsore. (li restituisce l’anello)[119]

 

            marchese  Quando l’Eccellenza Vostra non abbi per anco risolto, io me ne vado.

 

            contessa   Io per me poco ci penso delle vostre mosse.

 

            dottore    La riesti pur l’Eccellenza Vostra za che ’l marchese sen part.

 

 

                                   SCENA XXIII

 

                                   Contessa, Arlechino.

 

            arlichino  Vardé là che belle cose tior la robba ai pover omeni dopo che la se gh’ha donad.[120]

 

            contessa   Ch’indusse la sua facilità ad arrecar a costoro ch’io sii divenuta sposa del Marches?

 

            arlichino  Tasì, cara siura; uh; uh; uh a’ podevi pur dir de sì, che no i m’averave tiolt quell’agnello.

 

            contessa   Rispondi a’ miei quesiti.

 

5          arlichino  Sigur, ch’a’ son un om co tutti i me requisiti.

 

            contessa   Voglio intender da te chi t’abbi indotto a portar tal novella.

 

            arlichino  Ma l’è stad quel guidon de Teodor ch’invece de farme servizi come a’ ’l desiva quasi più l’è stà causa che a’ i ho amazadi coluru.

 

            contessa   Dunque Teodoro a ciò t’indusse?

 

            arlichino  E de che fatta che a’ ’l me l’ha fracada.

 

10        contessa   Pover Teodoro, pentito forsi d’aver data la sentenza in favore del grande, non ha voluto soggiacere alla pena impostali dalla mia severità; sì, ti compatisco, oh caro!

 

            arlichino  Me ciàmela forsi per darme ella qualche altro agnel (poi) (A’ era pur mei che vu a’ disissi de sì, che saria stada la me fortuna.)[121]

 

            contessa   Vatene altrove.

 

            arlichino  Uh, uh adasi, adasi al corp del bordel ch’a’ no vuoi più far servizi a’ murusi gnianch s’a’ credessi de vanzar un piat de macheruni.[122]

 

 

                                   SCENA XXIV

 

                                   Contessa, Teodoro.

 

            contessa   Fosti esecutore di tua sentenza e de’ miei valori.

 

            teodoro   Ah! Mi si svelle il core nella sola considerazione d’avermi tradito!

 

            contessa   Devi incolparne la tua poca avvedutezza.

 

            teodoro    (da sé) (Ah, che m’adora ancora. Meglio sia li sveli gl’arcani del mio cuore. Su, ardire, mio spirto, che sarà mai?) (poi) V’amo, v’adoro, vi stimo mia riverita Signora Contessa.

 

5          contessa   Fai molto bene, mentre tu mi sei servo.

 

            teodoro   Sì, ma amante ancora.

 

            contessa   E tanto t’inoltri, oh sfacciato? Sappi che mal s’accopiano viltà ed amore.

 

            teodoro    Oh Dio, che se non ebbi regie fasce, ho però spirto di gran lunga superiore.

 

            contessa   Tu non degeneri da’ tuoi natali.

 

10        teodoro    Se l’operazioni non corrispondono, fa’ di mestieri il credere io sii maggiore di me stesso.

 

            contessa   In amar Marcella ti rendi superiore al tuo essere.

 

            teodoro    Non posso negare che quando non venghino corrisposti li miei affetti dall’Eccellenza Vostra tutti sono per rivoltarli a Marcella.

 

            contessa   Hai dunque risolto d’idolatrare il di lei volto?

 

            teodoro   Ogni volta che dissì dall’Eccellenza Vostra.[123]

 

15        contessa   Ammutisciti, indegno.

 

            teodoro    (a parte) (O morir od amar qui si conviene.) (poi) Se l’Eccellenza Vostra si degnasse d’esser da me adorata, abbandonerei Marcella, fuggirei Marcella, detesterei Marcella! Ma non volendo ch’io né meno adori la contessa Vittoria, né ami Marcella, quest’è troppa crudeltà ed un voler far da cane dell’ortolano che non mangiando lui, non vuole né meno che gl’altri si sattollino.[124]

 

            contessa   (dandoli uno schiaffo) Meco in tal guisa favelli?

 

            teodoro    Più che di buona voglia il tutto ricevo dall’Eccellenza Vostra, ma! (vedendosi venir sangue dalle narici per la guanciata)

 

            contessa   Questa è pena non adequata al tuo ardire.

                                    (Teodoro s’ammutisce ed ella attentamente ne sta osservando il sangue che gronda nel fazzoletto)

 

20        contessa   Dammi quel fazzoletto.

 

            teodoro   Lo prendi l’Eccellenza Vostra. (poi) A ch’ogetto lo desia?

 

            contessa   Darò commissione al mio tesoriere t’esborsi cento scudi per comprarti tanti fazzoletti.

 

            teodoro   Eh, Signora Contessa, lei meco si prende gioco.

 

            contessa   Fra tanto conserverò questo lino intriso del tuo sangue, che sarà al pari di me stessa gradito. Ma tacci, non dirlo a Marcella. (sorridendo si parte)

 

25        teodoro    (tutto fastoso e contento per quest’espressione dice ad alta voce) Marcella, abbi pazienza.

 

 

                                   Il fine del secondo atto.

 

 

 

 

                  ATTO TERZO

 

 

                                   SCENA I

 

                                   Piazza.

 

                                   Marchese, Dottore.

 

            dottore    A’ l’è così, sa, Eccellenzia? quel trist de Teodor, a’ l’è el so’ rival, al besogna recider la pianta, chi a’ no vuol che crescend l’appor nocumento, nam cessante causa cessat effectus.[125]

 

            marchese  Chi l’avrebbe né meno sognato che la signora contessa si fosse in tal guisa avvilita.

 

            dottore    L’è troppo possent amur e quest ha vint co tutte le cose; come al dis el poeta: «omnia vincit amor, et nos cedamus amori». Orsù mi a’ riparirò al mal ch’a’ sovrasta quando l’Eccellenza Vostra mel promette.[126]

 

                                   (Fichetto, sopragiungendo, ascolta in aguato il tutto.)

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Marchese, Dottore, Fichetto in disparte.

 

            fichetto    (a parte) (Del me Teodor se discure.)

 

            dottore    Mi a’ trovarò sicari e stabilirò con essi di farlo levar di vita sto inchietatur della so’ quiete.

 

            marchese  Più tosto vorrei che quest’acciaio lo levasse dal mondo per le mie mani.

 

            dottore    Al che l’è trop bellicos Teodor.

 

5          fichetto    (a parte) (Traditori infami!)

 

            marchese  Via dunque, si voli a truccidar quest’empio.

 

            dottore    A’ cur alle straggi, alle vendette.

 

            marchese  Or, or mi porto a lacerarli il core.

 

            dottore    Pera, muoia Teodor il traditore.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Fichetto.

 

            fichetto    Manch mal ch’a’ me son imbatù in sto logh, a’ ho sentid el tut. Qualche minchion a tàser, al besogna pensar al remedi, perché quel car bambolin de Teodor ch’a’ me l’ho arlevad da picen no vadi a mal; sarà mei ch’a’ ’l vaga a trovar.[127]

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Fichetto, Teodoro.

 

            teodoro    Mio Ficheto! Son di già arrivato, e toccai il porto delle mie contentezze.

 

            fichetto    E pur mat, credi-t che la to vita sii in sicur?

 

            teodoro    Se la contessa mi destina per suo sposo, chi oserà tramar insidie a quest’alma?

 

            fichetto    Anzi, perché la contessa te vuol ben, per quest i so’ altri murus tenta d’ammazart.

 

5          teodoro   Ch’ascolto?

 

            fichetto    Purtrop l’è vira, e se a’ no m’imbativa in sta piazzetta, per ti a’ era spedid el negozi. Sappi che ’l marchese col Duttur i ha concertad de fart ammazà, però ti a’ no ti stà ben in cort, che però al besogna finzer de partir dalla città e dimandar licenza alla patruna; se ella te vorrà ben da vira, no la permetterà ch’in mod’alcun ti te part. In sto mentre me finserò ambasciatur del bassà d’Algeri, anderò dal duch Albert e li dirò che se fiol, ch’è stat za dies’anni rapid, te si’ ti. Chi sa ch’al ciel no condescenda ai me desideri e ti co sto stratagema a’ no deventi signor de sta città?[128]

 

            teodoro    È spiritosa l’invenzione! Insoma, verso di me ti dimostri più che padre naturale. Ma guarda apunt che la fortuna ci vuol favorir. Addio. (scorgendo venir la contessa)

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Teodoro, Contessa.

 

            contessa   Ch’affare t’indusse a scostarti dalla reggia?

 

            teodoro    (a parte) (Non vuo’ abusarmi dell’opportunità.) (poi) Per or il desio di ricrearmi tra quest’aure felici, ma in avvenire la brama d’invigilare alla propria salvezza.

 

            contessa   Come a dir sarebbe?

 

            teodoro   Oh Dio, di cercar sott’altro ciel la mia fortuna.

 

5          contessa   Non arride forse in questa reggia a’ tuoi voleri il fato?

 

            teodoro    Non, Signora. Quella di Lisbona sarà più confacente a’ miei desiri.

 

            contessa   Che ne dirà Marcella?

 

            teodoro   Ch’essa pure arride a queste mosse.

 

            contessa   E con qual intrepidezza saprà soffrire tal separazione?

 

10        teodoro   Con quella che l’Eccellenza Vostra dimostra.

 

            contessa   (a parte) (Ah, Teodoro, t’inganni.) (poi) E chi sostituirai al posto di secretario?

 

            teodoro   Questi fervidi accenti, ah, più non posso.

 

            contessa   E qual dolor t’opprime?

 

            teodoro    Il vederne l’Eccellenza Vostra, devo dirlo. (tra sé, poi) (Ardire, che sarà mai?) Il veder, dico, che all’Eccellenza Vostra poco cale la mia partenza.

 

15        contessa   Se così sei risolto…

 

            teodoro   Però dà suoi commandi.

 

            contessa   Che?

 

            teodoro    Dico che vorrei ricevere in questa partenza qualche suo commando per poter felicitarmi.

 

            contessa   Approvo i tuoi contenti,

                                   che nel partir ne senti.

 

20        teodoro   E che dunque m’impone?

 

            contessa   Per verità, il direi:

                                    che non debbi partir, perché morrei. (a parte piange, ma si nasconde acciò non sii veduta da Teodoro)

 

            teodoro   Lei piange, eh?

 

            contessa   Io piango? T’inganni!

 

            teodoro                                       Men vado.

 

25        contessa                                                         Ascolta.

 

            teodoro   Più trattener non posso.

                                   il passo che s’affretta.

 

            contessa   Io tel impongo, oh Dio.

 

            teodoro   Che più da me desia?

 

            contessa   Che tu sii… (a parte) (Quasi il dissi «l’alma mia»!)

 

30        teodoro   Eccomi alle sue piante. (poi)

                                   E almen la destra.

 

            contessa   Son dama, e tanto basti.

 

            teodoro   Morò dunque infelice. (finge piangere)

 

            contessa   Piangi? Deh, forse piangi.

 

            teodoro   Un barlume improviso

                                   le pupille m’ingombra.

 

35        contessa   Parti dunque, né a lungo

                                   dar più pena al dolor che mi vuol morta.

 

            teodoro   Ratto men volo. (si parte)

 

            contessa                              Almen ste voci ascolta.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Contessa.

 

            contessa   Parti mio ben, ma teco

                                   porta di questo sen la bella imago.

                                   Alma dell’alma mia, idolo mio.

                                   Ma che dico Teodor? Ascolta, oh Dio!

                                    (Isviene sopra una sedia e di subito accorrono due servi che la riconducono alla reggia.)

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Ficheto, Arlechino, vestiti da ambasciatori algerini.

 

            fichetto    Vedi-t? t’ho fat vestir così perché s’avemo da finzer do ambassadori del bassà d’Algieri.

 

            arlichino  E va’ via bestia, te vuol che nu frizemo do baragolà sui tagièri.[129]

 

            fichetto    Se te ha mo vogia de burlar n’è vira ti? Mi ho fretta, né posso più trattenirme. Ma dime, saverate mo dir dei stramboti?[130]

 

            arlichino  Quanti a te ne vorrà.

 

5          fichetto    Provete via un tantin, za a’ sem qua suli, ne vergun ne sent.[131]

 

            arlichino  Chiarabadana, nana, forlana toca de pifara, barba, pedana.[132]

 

            fichetto    Bravo, bravo, ti no dir altro che «bassà d’Algera», e «chiarabadana» co tutta quell’altra istoria; che mi dirò po el rest.

 

            arlichino  A che oget mo a’ vo-t che se semo bardagolà d’Algeri?

 

            fichetto    Te ’l savrà al so’ temp. (a parte) (No voràve che costù savesse ch’avessimo da far servizio a Teodor perché l’è stà burlad dell’anel.)[133]

 

10        arlichino  Senti car fradel, s’avemio forse da far romper el cò?[134]

 

            fichetto    No dubitar negota, za al se sa per proverbi ch’ambassador no porta pena; andem.[135]

 

            arlichino  (partendosi) Chiarabadana, nana, si ti starà fiola d’una puttana.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Stanze del duca Alberto.

 

                                   Alberto, Pantalone.

 

            alberto     Non posso darmi pace; già sapete ch’il dolore, benché avito, è più intenso ancora doppo due lustri per la perdita del mio caro e tenero figlio Federico, unica speme di questa reggia.

 

            pantalone           Cosa mo vol-la far, dar per questo el cao inte i muri e trar, co’ se sol dir, i sassi per le strade? Za no gh’è pì remedio, la se consola che la gh’ha almanco una nevoda, che zè el decoro de sta città; essa supplisse col so’ inzegno e prudenza alla mancanza de l’altezza, ch’in questa età vuol viver fuora dei strepiti e arrivar co quiete sina ai cento e millanta anni, co’ se sol dir.[136]

 

            alberto     Ah, ben m’avveggo che li miei vassalli poco di buona voglia soffrono il giogo d’una femina.

 

            pantalone           Se bona notte, staressimo freschi che i omeni soli dovesse aver el manizo, bisogna alle volte darlo anca alle femene quando però se cognossa che le abbia forma de regolarse in causa. L’Altezza Vostra m’insegna ch’anca una Semiramide ha domào i popoli intieri co la so’ prudenza per tanto tempo doppo la morte de Nino so’ marìo, e delle amazone chi poderia discorrer?[137]

 

                                    (Si sente a battere)

 

5          alberto     Guardate chi picchia a quest’ora importuna.

 

            pantalone           Vago subito mo cancaro, Altezza.

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Alberto.

 

            alberto     Qual giubilo improviso ne giunge all’alma!

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Alberto, Pantalone, Fichetto, Arlichino finti ambasciatori.

 

            pantalone           Altezza, do ambassadori d’Algeri i vien a riverir l’Altezza Vostra.

 

            alberto     Che desiano le Signorie loro?

 

            fichetto    Ti stara to Segnoria Duca Alberta?

 

            pantalone           Sì ben, quello è el duca Alberto.

 

5          arlichino  Nana, ranana, tonana, baracolana d’Algiera. (saltando per scena)

 

            alberto     Io sono il duca Alberto per farvi cosa grata.

 

            fichetto    Quando stara Alberta dover darne to figarola Federica, o cento milla ducata.

 

            alberto     Che dicono di Federico? (a Pantalone)

 

            pantalone           Mi l’intendo puoco da seno.

 

10        fichetto    Dirota che Federica stara a bassà d’Algiera.

 

            alberto     Federico sta appresso il bassà d’Algeri?

 

            arlichino  Nona bisdona, buranona.

 

            pantalone           Cazzeghe marmote, anca un poco de nina nana per farla corrente.[138]

 

            fichetto    Sì Signora, starà una volta appresa bassà d’Algera, e adessa essere fuggita, e aver portata via perla, turbanta, vesta, e qui starà sotto noma de Todora.

 

15        alberto     Teodoro è Federico?

 

            pantalone           (a parte) (O, che fio d’una buratada.)

 

            fichetto    Sì signora, Teodora star Federica, e si no dar zogia venirà bassà d’Algera e buttarà tutta per terra.[139]

 

            alberto     Assicuratevi ch’al vostro bassà d’Algeri sarà il tutto restituito, o il valsente dell’asportato da Federico, che è mio figliolo.

 

            pantalone           Allegrezza, allegrezza dunque, oh Altezza!

 

20        arlichino  (verso Pantalone) E a to collo cazzata una cavezza.[140]

 

            pantalone           Cosa dirastu, bestia?

 

            alberto     Vivi sicuro, il bassà d’Algeri del tutto resterà consolato. Teodoro è nella reggia, io le son padre.

 

            arlichino  Ti starà so’ para, andarà nu a mangiara.

 

            pantalone           So pare el vol magnar sto macalepo.

 

25        fichetto    Bon zorna.[141]

 

            arlichino  Bona notta e megiora domana.

 

            alberto     Andate pure al riposo. (poi a parte) (Le sii preparato il necessario.)

 

            arlichino  A nu no scampara da cagara, ma avera vogia de magnara macarognara. (poi, a parte) (Fichet andem ch’a’ sim scopert al sigur.)[142]

 

            fichetto    No te dubitar, che ti par giusto nassùo e cressùo in quei paesi.

 

                                    (Si partono cantando)

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Alberto, Pantalone.

 

            alberto     Ne giubili il cor mio.

 

            pantalone           Altezza, mi dalla consolazion mi son debotto fatto sgionfo co xè un balon.[143]

 

            alberto     Poiché, sotto nome di Teodoro, Federico è mio figlio.

 

                                   (Contessa sopragiunge.)

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Alberto, Pantalone, Contessa.

 

            contessa   Il secretario Teodoro si è Federico di Lei creduto estinto figlio, eh?

 

            alberto     Sì Eccellenza, ed in questa guisa mi si rappresenta il modo di potervi consolare.

 

            pantalone           (a parte) (Adesso mo no la crierà più a Pantalon. Sta cagada no la me voleva compatir quando fava l’amor con Marcella.)

 

            contessa   (a parte) (Di sicuro li devono esser palesi gl’affetti miei verso di Teodoro.) (poi) In qual guisa si mi rappresenta, oh Altezza, il modo di consolarmi?

 

5          alberto     Perché destino Federico in questo punto vostro sposo.

 

            contessa   Questi saranno eccessi della sua gentilezza.

 

            alberto     Fa’ di mestieri però il certificarsi del tutto, oh Pantalone.

 

            pantalone           La parla co gran prudenza, Altezza, far pur le debite diligenze.

 

           alberto    Orsù Contessa, rimanetevi insperanzita fino il tutto si vadi giustifichicando.[144]

 

10        contessa   Altro non desia il mio core che d’incontrare i di lei commandi.

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Contessa.

 

            contessa   Giubila sì, cor mio,

                                   che sempre non è irato il cieco dio.

                                   Dunque di Federico

                                   sposa sarà quest’alma.

                                   Sì, sì, purché Federico

                                   ne sii Teodoro ancora.

                                   (poi) Ah, ch’il timor della finzion m’accora!

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Contessa, Teodoro.

 

            contessa   Ecco appunto il mio ben che verso me s’invia.

 

            teodoro   (a parte) (Tu sei cagion d’ogni più forte ria.)

 

            contessa   Serva dell’Eccellenza Vostra.

 

            teodoro    (a parte) (Ha preso foco la mina, voglio star sul grave.) (poi) Adiè Madam.[145]

 

5          contessa   Addio, Signor Conte.

 

            teodoro    Riverisco la Signora Contessa, che mi commanda l’Eccelenza Vostra?

 

            contessa   Umiliarmi al suo merto.

 

            teodoro    (il tutto a parte) (Ah, che troppo a lunghi si terminerà in tragedia questa favolosa rappresentanza; meglio fia, me gli sveli.)[146]

 

            contessa   Orsù, Signor Conte Federico, non è più tempo di scherzar meco.

 

10        teodoro   (a parte) (E di che sorte vaneggio.) Io, Federico? Io, Conte?

 

            contessa   Sì, sì, Lei è il conte Federico già da’ corsari rapito da questa reggia ed or ravvisato per tale da alcuni ambasciatori speditti al duca Alberto, mio zio.

 

                                   (Teodoro, inginocchiandosi)

 

            teodoro    Deh, mia riverita signora, altrimenti. Io non sono Federico, ma un misero scherzo del fato a sì strane vicende soggetto per il vostro bello che m’indusse, per divenirvi sposo, spedir simulati ambasciatori al duca Alberto ed indur la di lui facilità alla credenza io possi essere Federico, di lui rapita prole.

 

            contessa   Che sento mai, che sento?

 

            teodoro   Il tutto ardisce un core inamorato.

 

15        contessa   Perfidissime stelle, irato fato!

 

            teodoro   Ah, non negate, oh cara,

                                   le vostre luci

                                   a quest’alma spirante

                                   che qual visse, morà più fida amante.

                                   Deh, condonate omai

                                   all’amor mio, che volontario elesse,

                                   pria di perir, svelar sue fiamme avite.[147]

 

            contessa   T’assorbisca, inuman, il dio di Dite.[148]

 

            teodoro   Ecco il sen, ecco il petto,

                                   ecco l’acciar ch’alle tue piante io getto.

                                   Scaglia, deh, scaglia, oh Dio,

                                   questo dardo fatal al seno mio.[149]

           

                                    (Essa sta cogitabonda non sapendo che risolvere)

 

            contessa   (a parte) (Cadrò, se troppo resto.)

 

20        teodoro   Sarà dolce il morir per la tua mano.

 

            contessa   Non ho spirto sì fier ed inumano.

                                    Sorgi, amato Teodoro, né credere che la contessa Vittoria sii di tempra sì adamantina che non si rendi una volta agl’assalti troppo posenti del tuo amore. Confesso io pure d’averti per l’adietro idolatrato, ma considerando la mia condizione ho convenuto soffrire tanti martori, ed essere più tosto contro me stessa crudele che verso te medema pietosa.[150]

 

            teodoro    Già il mio cuore non può darmi maggiori testimonianze del suo affetto che col tributarmi tutti gl’omaggi più dovuti al di lei merito ed essati dalla mia umilissima propensione.

 

            contessa   Non vorrei però che la circonspezione da me sinor pratticata in un tratto mancasse, sì che venissero palesi i miei affetti.

 

            teodoro   Arderan pria gli flutti

                                   e fiamme getterà l’orsa gelata,

                                   pria che noto ne venghi

                                    il concertato tra me e Ficheto di stabilirmi figlio del duca Alberto. Onde solo all’Eccellenza Vostra essendo palese la verità, il tutto ne rimarrà occulto sino al voler degl’astri, onde la svisceratezza di lei verso di Teodoro creduto Federico non verrà sospetta, ma da tutti applaudita come dovutasi a vostro sposo.[151]

 

25        contessa   Al pari di Federico t’amo, oh Teodoro!

 

            teodoro    Ed io con quegl’affetti che sarebbero dovuti al sposo Federico, benché Teodoro io mi sii, vi sto idolatrando.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Contessa, Teodoro, Alberto e Pantalone.

 

            alberto     Pur al fin ti ravviso, oh sospirato figlio!

 

            teodoro   M’è pur concesso in sorte di rinvenirvi, oh padre.

 

            pantalone           Me sento tutto a muover in vèderve contenti.

 

            contessa   Di bel nuovo con l’Altezza Vostra se ne rallegra Vittoria ch’il secretario Teodoro sii Federico, figlio del duca Alberto.

 

5          alberto     Ed io nuovamente vi ringrazio di quest’offizio cortese.

 

            teodoro    (da sé) (Quall’insolito affetto m’intenerisse l’alma!) (verso la contessa)

 

            contessa   (verso Teodoro) (Ne sarà amore, oh caro.)

 

            teodoro   (a parte) (Miser me se mi scopre.)

 

            contessa   (a Teodoro a parte) (Non paventar, ch’oggi t’arride il cielo.)

 

10        pantalone           (ad Alberto) Altezza, la s’arrecordi de quel che la m’ha ditto prima che se fazza el matrimonio, perché delle volte se se trova dei furbi che sta sul minchionar el goi, sa-la?[152]

 

            alberto     Non mi scordo punto quello mi dite. (poi verso la Contessa) Contessa, non sarebbe a pieno giulivo il mio core s’allo scoprimento di Federico non destinassi lo stesso in sposo all’Eccellenza Vostra per render contenti a pieno li miei vassalli nella speranza d’aver un successore non punto inferiore. Vanto, risolvo darvi in sposo Federico, quando pure ambidoi acconsentiate.

 

            contessa   Altro non cerco.

 

            teodoro   Ed io altro non curo.

 

            alberto     Ma pria, fa’ di mestieri me n’assicuri che Teodoro ne sii Federico.

 

15        teodoro   (a parte) (Ah, più viver non posso.)

 

            contessa   (a parte) (Che sarà mai, oh stelle?)

 

            pantalone           Mi m’arrecordo, Altezza, giusto se fusse gieri, che el fiol suo aveva una spada come fuogo sovra la spalla dretta, longa una bona meza quarta, e che la stasse anca là.

 

            teodoro   (alla Contessa) Ecco apunto tal segno.

 

            contessa   (a Teodoro) Oh felici successi!

 

20        alberto     Teodoro, il braccio mostri.

 

            teodoro   Eccomi pronto.

 

                                    (Tutti stanno attentamente osservando. Alberto abbraccia Teodoro.)

 

            alberto     Oh mio diletto figlio, di bel novo t’abbraccio!

 

            teodoro   Mio riverito genitore, io per sempre vi stringo.

 

            contessa   Adorato mio sposo, a questo sen v’allaccio.

 

25        teodoro   (a parte) (Qual fedel Teodoro io pure v’incateno.)

 

            pantalone           Anca mi me consolo quando considero che tante volte v’ho portào in brazzo e se tanta è stà la passion ch’ho provào per la vostra perdita, altretanto el contento che sento nel vostro ritorno.

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Alberto, Contessa, Teodoro, Pantalone, Marchese, Marcella.

 

            marcela     Di tanto l’Eccellenza Vostra m’accerta.

 

            marchese  Eccolo per appunto, io corro ad inchinarlo. (verso Teodoro) Se fui rivale a Teodoro, a Federico mio signor sarò servo per sempre, che tale vi ravviso.

 

            alberto     Pur al fine, oh Marchese, sono svaniti gl’affanni.

 

            marcella   Baccia umile Marcella le mani all’Eccellenza Vostra. (verso Teodoro)

 

5          teodoro    (a parte) (Oh me felice, e ch’omaggi son questi?) (poi) M’è caro in ogni riscontro il marchese e gradita la signora Marcella.

 

            marchese  Già che, oh Altezza, è spedito per me il caso di venirne sposo alla signora contessa, se commanda darò la mano di consorte alla signora Marcella.

 

            marcella   Io più che di buona voglia l’accetto.

 

            pantalone           (a parte) (Chi nol tiorave quel carissimo.)

 

            alberto     Il tutto vi sii concesso.

                                   (Marchese e Marcella si danno la mano.)

 

10        marchese  Arridi a’ nostri nodi

                                   il faretrato arciero.

 

            marcella   Splendi sempre per noi, pronuba face.[153]

 

            alberto     Vivi pure fra voi, amor verace.

 

 

                                   SCENA XVII ED ULTIMA

 

                                    Alberto, Contessa, Teodoro, Marcella, Pantalone, Fichetto, Arlichino, Brunetta, Dottor.

 

                                    Ficheto e Arlichino, inginocchiandosi credendo sii svellata la trama de’ loro traditori.

 

            fichetto    Za che sii qui tutt, o Sign Duca, Marches, e Contessa a’ confesserò l’ingan da me ordid.

 

            arlichino  Eccomi genuflettato.

 

            fichetto    Tasi paesan, che mi a’ son el reo, mi l’iniquo, mi el disleal, mi el diavol che te porta, e prima che sii castigad Teodor, da mi amad al pari de me stes, in sto pet fe’ tutti le vostre vendet.

 

            alberto     (tra sé) (Che stravaganza è questa?)

 

5          teodoro   (tra sé) (Io di nulla pavento.)

 

            contessa   (da sé) (Troppo tardi giungesti.)

 

            marcella   Che sarà mai?

 

            marchese  Mi rende gran pavento.

 

            dottore    Mirabilia dices ne magna.

 

10        pantalone           Finisila una volta, che questo sarà certo qualche ruffianezzo.

 

            brunetta  (da sé) (Temo di rie sciagure.)

 

            arlichino  Fa’ prest perché m’impizzo

            a vederme nel mezo de ste arsure. (a Fichetto)[154]

 

            fichetto    L’amur sviscerad ch’a’ ho sempre portad a Teodor dopp che l’ho ricuperad co ducento scud dalle man dei algerini m’ha indot a véderlo volontieri avvanzarse nella grazia sì de vostra altezza come nell’amur della siura Marcella ma, palesandome lu stes che la siura contessa a’ se gh’era invaghida, e mi sentend un zorn in dispart ch’el siur marchese col siur Duttur i trattava de levarlo de vita, ho risolt, col consenso pur de Teodor, finzerme ambassador del bassà d’Algeri, assieme con Arlechin.

 

            alberto     Tu fingesti d’esser l’ambasciatore?

 

15        fichetto    Mi al cert! E arrecar al duca Albert come che in sta città abita un tal Teodor che prima era fugid d’Algieri con asporto de molte gioie, e che quest a’ no l’era altriment Teodor, ma Federich, zà fiol del medem duca Albert.

 

            pantalone           (a parte) (O che cagao l’ha lo mo savesta pettarla senza spuaza.)[155]

 

            fichetto    Sì che per riparar al mal che sovrastava a’ ’l se dovessse contentar el medem duca Albert de far ritornar da Federich tutte le zoie furade, e in sta foza ch’al credesse per ver Federich quel ch’era realment Teodor.[156]

 

            alberto     Sorgi, che troppo tardi arrivasti.

 

            arlichino  L’avì forse condannad a esser impiccad el pover Teodor, perché a’ ’l ved là tra do colonne. (mirando Teodoro tra la Contessa e Marcella)[157]

 

20        teodoro    Quanto debbasi rendere alla tua fedeltà non è sufficiente la lingua a spiegarlo, che la mente a considerarlo. L’oprato da te con sagacità a’ miei vantaggi, ridondò in sommo contento dallo mio scoprimento si fece esser il vero Federico figlio del duca Alberto per il segno di spada infoccata ne riservo sopra la spalla.

 

            fichetto    Te no sii più Teodor, ma Federich?

                                   (Arlichino e Fichetto li vanno attorno congratulandosi)

 

            alberto,

            contessa,

            marchese e

            marcella   Sì ch’è Federico.

 

            dottore    Uh, strani event.

 

            brunetta  Oh, fedeltà inaudita.

 

25        contessa   Pur ti stringo al mio sen.

 

            teodoro   Pur t’annodo al mio cor.

 

            contessa e

            teodoro   Dolce mia vita.

 

            arlichino  Prenci potesi, raggianti, e sarà ver ch’al se diga che in un zorn de tant content a’ no se conceda una grazia al pover vostro servidur Arlechin?[158]

 

            alberto     E che ricerchi?

 

30        pantalone           Qualche sproposito certo.

 

            arlichino  Tasi ti, no me far vegnir rosso co’ sè la notte de quattro ore. (poi) Che quel musin piccolin biancolin de Brunetin al sii del pover Arlechin. (denotando di voler Brunetta)

 

            brunetta  Manco male ch’ho trovato barca che mi leva.

 

            pantalone           Falé siora, volé dir timon che ve compagna. (a Brunetta)[159]

 

            alberto     Sii d’Arlechin, Brunetta.

 

35        arlichino  Quand’è così, mi vogherò in barchetta.

                        (Arlichino dà la mano a Brunetta)

 

            fichetto    A’ è tant anni ch’a’ vo civetand Olivetta, né mai ho aùd ardir de far tant quant ha fat costù in un trat. Messer Arlechin, za ch’ancu Brunetta è libera me la volìu prumetter, ch’a’ ve darò dusent scud?[160]

 

            dottore    Darla, eo quia mulier libera potest per stipulationem promitti libro primo folii De sponsalibus.[161]

 

            arlichino  Cucù.

 

            fichetto    Pazienzia.

 

40        alberto     Non più Teodor, Fedrico,

                                   avrai delli miei stati

                                   al tuo voler l’impero.

 

            teodoro   Ancorché figlio, umile

                                   venererò del mio gran padre Alberto i commandi più espressi.

 

            marches     Prence, s’amor m’indusse

                                   a oltragiarti, condanna l’involontario errore.

 

            teodoro   Or t’avrà Federico,

                                   se spregiasti Teodoro,

                                   per suo fedel amico.

 

            marcella   Giubili dunque il cor,

 

45        contessa   festeggi l’alma,

 

            teodoro   che doppo le procelle,

 

            contessa   che anco tra li disastri,

 

            teodoro   trova un’amante al fin,

 

            contessa   gode nel suo penar,

 

50        teodoro,

            contessa,

            marcella e

            marchese  desiata calma.

 

 

                                   Il fine del terzo ed ultimo atto.

 

 

 

Bibliografia

 

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[1] Cfr. http://opac.braidense.it/bid/BVEE024566.

[2] Conor Fahy, Edizione, impressione, emissione, stato, en Id., Saggi di bibliografia testuale, Padova, Antenore, 1988, pp. 65-89: 69.

[3] Si osservi la configurazione dei personaggi, consona a quella più classica della commedia dell’arte: due zanni, due vecchi, una servetta e due coppie di innamorati.

[4] Federico…Teodoro: Bonicelli riprende il nome del protagonista di El perro del hortelano, Teodoro, e quello di uno dei cugini della contessa, Federico, che fa convergere nello stesso personaggio (cfr. Lope de Vega, El perro del hortelano, cit.). ♦ Gabinetto: si rispetta il nome indicato nei testimoni, ma si tenga conto che, lungo la commedia, lo zanni verrà indicato come Fichetto. Il mutamento di nome, che sembra indicare forse il cambiamento di attore di una compagnia (sempre supponendo un’orientazione della commedia verso la rappresentazione; cfr. D’Antuono, And the Story…, cit. p. 117) potrebbe essere dovuto a un errore, ma decidiamo di non intervenire proprio perché potrebbe offrire informazioni potenzialmente rilevanti per lo studio della storia della commedia.

[5] Marcella: Bonicelli riprende la denominazione del personaggio spagnolo (cfr. Lope de Vega, El perro del hortelano, cit.).

[6] Se, a’ l’ho dit tant volt in malura! Currì, né perdè pi temp: ‘Sì, io l’ho detto tante volte in malora. Correte, non perdere più tempo’.

[7] etc.: l’abbreviatura funziona come una sorta di didascalia scenica che apre la possibilità di improvvisazione. Si riscontra anche in II.17.15, inserita in una battuta in cui Teodoro ripete quanto dettato dalla Contessa mentre scrive.

[8] corp del bordel: imprecazione ricorrente nel linguaggio dell’Arlecchino di Bonicelli: cfr.  Spezier, III.19.1 («l’è qua, a’ ’l corp del bordel») e Lugretia, II.10.1 («ma corp del bordel zà, ch’a ved l’us della porta della Siura Lugretia»). Sanguinin, sanguenon, sanguenonaz: imprecazione (cfr. Boerio, s. v. sanguazzo: «peggior del Sangue, sangue di pessima qualità»; sanguenon: «voce bassa e di giuramento cui corrispondono, Corpo del mondo o del diavolo»).

[9] Che fruz i, che fruz i, a’ ’i è omen co tutti i so’ requisit, che a’ ’i ho conossud int’el da driè: ‘Che fuggano, che fuggano… per me loro sono uomini come tutti, stanno per essere sequestrati, poiché io li ho già conosciuti in passato’. La forma fruz è terza persona deturpata del verbo veneziano ‘fuzir’, che significa ‘fuggire’. Da driè: viene adoperato nel suo senso temporale.

[10] Fuora, canage: imprecazione od ordine con il significato di ‘fuori, canagli’ (cfr. Boerio, s. v. canagia: «briccione, gaglioffo, mariolo, scellerato […]. Gente vile ed abietta»). coi cocconi delle botte: espressione veneziana adoperata per far riferimento al ‘cocchiume’ (Boerio, s. v. cocòn) che, qui, viene adoperata da Arlichino per indicare che butterà fuori i malfattori a calci. razze porche: imprecazione ricorrente nell’Arlecchino di Bonicelli (cfr. Spezier, III.16.9: «[…] ti, razza porca, ti me volevi tagiar»).

[11] avranno impenate l’ali alle piante: ‘essendo coscienti di aver fatto torto, saranno fuggiti’. La locuzione ‘impennare le ali’ ha il significato di ‘correre velocemente’ o di ‘fuggire’ (vedi GDLI, s. v. impennare). ‘Impennare le ali ai piedi’, in questo caso, con la variante ‘alle piante’, fa riferimento a ‘fuggire velocemente’. È un’allusione alla fuga dei due personaggi (ancora ignoti) dagli appartamenti di Vittoria.

[12] panche: forma meno comune di ‘sedile’, ‘panchina’. Arlichino confonde il termine con quello pronunciato in I.3.6 dalla Contessa, ‘piante’. a’ ’i era du intabaradi: ‘intabarà’ ha il significato, tra altri, di «coperto da mantello» (Boerio, s. v. intabarà). Qui, il verbo si presenta deturpato, come derivato verbale di ‘tabàro’, indumento che, nel Settecento, «assunse impronta tipicamente veneziana» (Achille Vitali, La moda a Venezia attraverso i secoli. Lessico ragionato, Venezia, Filippi, 1992, pp. 367-368). Nel dialogo, Arlichino adopera il termine per indicare che entrambi i personaggi, nel fuggire, si coprono il viso con le vesti per evitare di essere riconosciuti, adoperando, appunto, il tabarro a fini delittuosi, uso abituale a cui accenna Achille Vitali: «Per l’abuso infine che del ‘tabàro’, indossato quale travestimento con il pretesto di mascherarsi, si fece per compiere aggressioni e malefatte, il termine finì per significare anche persona losca, equivoca, da cui guardarsi» (Vitali, La moda a Venezia…, cit., p. 373).

[13] spied: ‘spid’ è definito come «girarrosto. Bachèta spid, spiedo o schidione» (Zappettini): Arlichino, nella sua tendenza all’uso di lessico del cibo, identifica così i fuggiti.a torn: ‘attorno’. manzar l’arost: ‘mangiare l’arrosto’.

[14] Co’ sarave a dir: espressione che introduce un’esplicativa: ‘Cioè a dire’ (vedi Boerio, s. v. dir).

[15] de segur: ‘sicuramente’.

[16] cagadur: ‘caccatoio’ (Boerio, s. v.). logh: ‘luogo’.

[17] me snombolo: adoperato da Pantalone con il significato di «indebolirsi per troppa fatica», ‘darsi molto da fare’ (Boerio, s. v. snombolarse; Muazzo, s. v. Desnombolar, p. 359). la ghe fuma certo a sta siora: Boerio (s. v. fumàr) registra l’espressione ‘la ghe fuma a quel sior’: «Quel cotale ha dell’altero, tiene la testa alta; ha grande umore; sta in sul grande, in sul grave, in sul mille; Ella gli fuma: l’ira gli esala». Nel testo, fa riferimento all’ira smisurata di Vittoria.

[18] ferir l’etra: ‘etra’ è forma antica per ‘aria’; l’espressione sta a indicare la forza delle grida di Vittoria che, appunto, ‘trafiggono l’aria’. Espressione ricorrente in Bonicelli: cfr. Spezier, III.23.11 («quali stride feriscono l’etra?»).

[19] sbasìa: aggettivo che in veneziano si adopera con il significato di «basito, e vale ammazzatto» (Boerio, s. v. sbasìo). Pantalone intende, erroneamente, che la contessa sia invaghita di lui fino al punto di morire d’amore.

[20] a ora e strasora: ‘a qualsiasi ora del giorno o della notte’. Strasora è forma veneziana (vedi Boerio, s. v.) di ‘straora’, «ora insolita, tarda» (GDLI, s. v.).

[21] se le mie gambe non fasse Giacomo: l’espressione ‘le gambe me fa Giacomo’ viene adoperata con il significato di ‘esser male in gambe’ (vedi Boerio, s. v. Giacomo). ♦ da seno: ‘davvero’, cfr. Boerio, s. v. dasseno). ♦ st’anno tra i altri el sélano val qualcossa, no i se vergogna de domandar tre soldi alla gamba del nostran: ‘dato che il sèlano questo anno ha un qualche valore, ho sèlano anche da vendere’. Battuta iperbolica del Dottore, che rafforza l’idea della debolezza alle gambe che lo affligge (cfr. Boerio, s. v. gamba, che raccoglie l’espressione ‘gamba da selano’ per far riferimento a «gambe spolpate»).

[22] e de che foza: ‘e di quale modo’, ‘eccome’. Espressione riscontrata anche in Spezier, II.14.26 e III.6.11.

[23] cancaro: interiezione indicante meraviglia (Boerio, s. v.) ♦ Sioriaza: formula di cortesia adoperata con il significato di ‘signora d’alto affare’ (Boerio, s. v. siorazzo).

[24] l’ha brusà la paga: Arlichino fa una chiara allusione oscena alle attività che il fuggito svolgeva in palazzo quando è stato beccato, adoperando un’espressione propria dell’ambito della prostituzione (cfr. Muazzo, s. v. Brusar, p. 159: «brusar el paghion a una donna zè l’istesso che brusarghe la pagha e no darghene gnanca un [n[ota del] c[uratore] si intende a una prostituta]» e Id., s. v. p. 417 «el gha brusà la paga alla siora [n. c. non ha pagato la prostituta]»).

[25] abù: participio del verbo avere: ‘avuto’.

[26] la sipi al contrari dell’altre femene: ‘lei sia diversa alle altre donne’. La forma sipi, che rimanda al verbo ‘sapere’, è attestata anche nel paradigma del verbo essere in ambito settentrionale (cfr. Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Morfologia, Torino, Einaudi, 1968, p. 300). In questo caso, si produce nella formazione del congiuntivo un incrocio fra le desinenze di seconda e prima coniugazione per cui la desinenza di prima coniugazione passa alla seconda e, invece di una forma come ‘sipa’ riscontriamo ‘sipi’ (cfr. altre forme del periodo come tenga, in cui si produce lo stesso fenomeno e anche Prodigalità, I.1.1. che registra la forma ‘sapia’ con il significato di ‘sia’: «che el fiao me ritorna in te le vene, e che el cuor sapia fatto più grando de quello d’un porco»); commento ironico di Arlichino.

[27] nette: ‘pulite’. Aggettivo funzionale a elaborare il posteriore malinteso di Arlichino (I.5.16).

[28] licapiat: ‘leccapiatti’.

[29] Za al zorno d’ozi quest s’usa da per tut: ‘questo è ormai abituale’ ♦ scartoz: ‘scartoccio’, ‘cartoccio’ (Zappettini, s. v.); adoperato, in modo spregiativo, per identificare Teodoro.

[30] testa de demonio: si usa con il significato di ‘per testimone’, ma per indicare colui che offre una testimonianza generalmente falsa (Muazzo, s. v., p. 1036: «Ghe servirò per testa de demonio»).

[31] el cor delle me budelle, el ventricol dei me meati: vezzeggiativo costruito con il lessico proprio di Arlechino, in cui il cibo è fondamentale. Nota Gino Belloni, nell’edizione delle rime piscatorie di Calmo, che l’espressione ‘de i me meati’ è adoperata con il senso di ‘dei miei occhi’ (Andrea Calmo, Le bizzare, faconde et ingegnose rime pescatoie, a cura di Gino Belloni, Venezia, Marsilio, p. 208). Cfr. anche espressioni similari in Spezier, II.2.15: «purché a’ vaghi dalle palpebre dei miei meati a’ farò de tutt» e III.7.1: «El ventricol delle me budelle». ♦ Deter: ‘dottore’. Anche se la forma non compare registrata nei dizionari, è quella con cui si fa riferimento al Dottore nelle battute di Arlichino e di Fichetto. Senza scartare che possa trattarsi di un refuso, preferiamo non correggerla, dato che non possiamo escludere che sia termine proprio di Arlichino, personaggio in cui sono abituali la deturpazione del linguaggio e i giochi di parole. In questo caso, la forma ‘deter’, per analogia, potrebbe significare ‘dentro’ (significato con cui si usa in I.15.10), e, dunque, diventare termine osceno.

[32] se la passa alla domestica con Fichetto: ‘passa il tempo affabilmente con Fichetto’ (cfr. GDLI, s. v. domestico: «Alla domestica: affa­bilmente, cordialmente; alla buona, con sem­plicità, con libertà confidenziale. - Anche: con eccessiva disinvoltura, con leggerezza offensiva»). L’espressione è suscettibile di essere intesa con un significato licenzioso e, dunque, nelle parole di Vittoria può nascondersi un’allusione oscena (cfr. Boerio, s. v. desmèstego, che raccoglie l’espressione ‘zovene troppo desmestego’ per indicare «giovane troppo licenzioso»).

[33] cagna asassina: imprecazione ricorrente nel linguaggio dell’Arlecchino bonicelliano: cfr. Spezier, I.10.5: «Quand vorrat, cagna assassina, aver pietà del me amor?».

[34] varré co’ rossa che la vien: ‘guardate come arrossisce’.

[35] fradella: termine con cui Arlichino fa riferimento alla servetta (cfr. Prodigalità, sempre nelle battute di Arlichino: I.4.2: «Fradella, à ghè pur in chà dei salam»; I.14.6: «Sentime cara fradella che vas d’instromenti»; III.13.3: «O fradella no ti sa ti miga el negotij»).bruscad: ‘cercato’. Il verbo bruscar viene definito dal Boerio come: «procacciarsi ed ottenere che che sia con l’industria» (Boerio, s. v. Bruscàr).

[36] dovessi esser Argo, fedele alla custodia di Marcella: fa riferimento al personaggio mitologico Argo, un gigante di cento occhi, condizione che gli permetteva di mantenersi permanentemente in guardia, e, dunque, di custodire senza sosta Io seguendo gli ordini di Era (s. v. Metamorfosi I, 625-631).

[37] Actum est de eis: espressione usata da Arlichino per indicare che ha perduto le tracce dei fuggiti. Muazzo (s. v., pp. 83-84) raccoglie ‘actum est de illo’, che verrebbe adoperata «quando se vol significar una persona che sia affatto perduda, sia de fortune, sia de animo sia anca dalla vita». ♦ Bertold: indica Treccani (s. v.): «Bertoldo, divenuto nome comune già prima della celebre opera di G. C. Croce e A. Banchieri, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1a ediz. 1620), al cui protagonista risale invece il modo proverbiale farne, averne fatte più di Bertoldo (o più di Bertoldo in Francia), d’ogni colore, di cotte e di crude». Cfr. anche Muazzo (s. v. villan, p. 1118) «fra i villani accorti e furbi che zè stai a sto mondo, non credo che ’l ghe sia stà el più che s’abbi distinto quanto Bertoldo».

[38] matrimocol: ‘matrimonio, sposalizio’. Probabile deturpazione della forma ‘matrimòne’ (cfr. Zappettini, s. v.).

[39] Impazisse: ‘impazzisce’.

[40] lest: ‘diligente’ (cfr. Muazzo, s. v. Lesto, p. 617: «zè l’istesso che esser pronto e spedito»).

[41] Zenocrate: «filosofo discepolo di Platone famoso per la sua continenza» (Muazzo, s. v., p. 1140). Bonicelli recupera qui, probabilmente, un verso di Ariosto: «con la qual non saria stato quel crudo / Zenocrate di lui più continente» (Orlando furioso, XI, st. 3, vv. 1-2).

[42] Segur: ‘sicuramente’ (cfr. Boerio, s. v. sicùro). ♦ sculazar: sculacciare. braghe calade: ‘calzoni calati’. Tutto l’intervento di Arlichino va letto in chiave oscena (cfr. Boerio, s. v. braghe).

[43] La me pias che la l’ha dis «netta»: Arlichino confonde ‘rea’ (I.8.9) con ‘netta’, pulita. Primo dei molti malintesi linguistici della maschera.

[44] Tropp’è possente amore: cfr. «Tanto è possente amore» (Torquato Tasso, Aminta III.6.35).

I.8.14 al tira che l’amorba: ‘tira che ammala’. Arlichino fa riferimento al male d’amore.

[45] fradelli carnali: in questo contesto, espressione oscena.

[46] galeno dalle vallade: ‘galeno ignorante’. Pantalone fa riferimento alle vallate bergamasche, da dove, secondo i pregiudizi dell’epoca, arrivavano soltanto persone rozze e ignoranti.

[47] No l’è miga po’ questo tanto gran mal a cercarghe se ghe scampa da far i so’ fati perché anca le rezine deve cagar: affermazione propria di Arlichino, che fa riferimento alla Contessa, lungo la commedia, con frequentissime allusioni scatologiche.

[48] qual più demone Averno e furia Aleto: Aletto è, nella mitologia greca, una delle Erinni, concretamente, quella che personifica la furia. ♦ faconda: ‘eloquente’. ♦ che il ragirar d’un Ision la rota: il personaggio d’Issione, la cui storia viene riferita nelle Metamorfosi (IV, 460-465). Il mito viene narrato anche da Pindaro (Le pitiche, 2, vv. 25-48), che incentra il suo racconto nel rapporto con Era, motivo per cui Issione sarà condannato da Zeus a dover girar il cielo ad eternum legato a una ruota, dato che non è lecito che un mortale sia così superbo da puntare a unirsi a una dea. ♦ né di Sisifo il sasso: Sisifo, marito di Merope, fu condannato a spingere un sasso su una montagna per tutta l’eternità (s. v. Metamorfosi, IV, 460). ♦ quanto l’amar un non inteso amante: riprende il topico medievale (cfr. Inferno, V, 103: «Amor ch’a nullo amato amar perdona»).

[49] Classica tirata arlecchinesca contro l’amore. ♦ oter: ‘altro’. ♦ sassin: ‘assassino’ (vedi Muazzo, s. v., p. 989). ♦ Vaga al bordel: imprecazione con il significato di ‘andare in malora’. ♦ a’ ’i vol esser cospetin: dal contesto si deduce che l’espressione viene a significare qualcosa di simile a ‘bisogna stare accorti’ o ‘bisogna essere furbi’, ma non siamo riusciti a rintracciarne altre testimonianze. L’aggettivo ‘cospetin’ (che sembra opporsi semanticamente a ‘cospeton’, esclamazione, bestemmia) potrebbe indicare ‘cauti’, ‘che si muovono con circospezione’ e suppone un uso giocoso e traslato del sostantivo (ringrazio il prof. Luca D’Onghia, per avermi segnalato quest’interpretazione). ♦ zuf zaf: usato con il significato di «senso» (cfr. Muazzo, s. v.¸p. 1125: «Bisogna aver zuf zaf in testa chi no vol far spropositi e stramberie»).i par sach vod: ‘sembrano sacchi vuoti’. ♦ mai i manza, mai i beve: espressione propria dello stile d’Arlichino, quasi identica a quella presente in Spezier, I.10.5: «a’ no magno, a’ no bevo, a’ no dormo, a’ no vago del corp».quattro lire e set onze alla grossa: l’onza è una moneta minore alla lira; dodici onze equivalgono a una lira (vedi Muazzo, s. v. Onza, p. 759). ♦ la s’ha cazà int’el cò: ‘le si è messo in testa’. ♦ toch de furfant: fa riferimento, in modo spregiativo, a Teodoro. ♦ zerbinot: ‘damerino’, fa riferimento, in maniera spregiativa, all’eleganza nel vestire di Teodoro.

[50] grugnolo: parte del capo del porco, ‘grugno’. Forma modificata a scopo umoristico e metrico (tutto il dialogo di Arlichino e Brunetta è giocato su versi che terminano in parola sdrucciola).

[51] chi no andasse a tombolon?: domanda retorica: ‘chi non andrebbe in rovina?’ (vedi Muazzo, s. v. andar zò a tombolòn, p. 23).

[52] dulcedine: ‘dolcezza’.

[53] cancar: ‘canchero’, imprecazione.

[54] possego: ‘posso’. ♦ i budèi nella panzola: ‘le budella in pancia’.

[55] vardami: ‘guardami’. Forma verbale influenzata dalla morfologia e dalla pronuncia veneta. In veneziano il verbo è ‘vardàr’. ♦ gnocoli: ‘gnocchi’.

[56] visin belicolo: ‘visetto bellino’. ♦ mascherpe intatole: la mascherpa è un tipo di formaggio, identificabile con la ricotta, il fior di latte o il mascarpone (Zappettini, s. v. mascherpa). Arlechino fa riferimento, in modo chiaramente osceno, ai seni di Brunetta.

[57] matruncula / ch’a tutti dava pascolo / per un po’ di salzizola: allusione di alto livello osceno.

[58] lova: ‘lupa’, usato in modo spregiativo con chiare connotazioni oscene ♦ teghe: viene indicato in Boerio (s. v. tega) come «gusci in cui nascono e crescono i baccelli di legumi», ma, in senso figurato, «membro virile».

[59] sol: ‘sogliono’ ♦ spazizar: ‘spaziar’ in Boerio (s. v.) viene definito «termine degli stampatori. Spazziegiare, spazzieggiare, porre gli spazi ai loro luoghi nel comporre». Qui si adopera con un significato piuttosto osceno e basso, facendo riferimento all’atteggiamento promiscuo di Brunetta, in modo consono ad altre espressioni del genere come quella che vediamo in Spezier, I.8.24: «ad ispaziarvi il cul con la padella». zovenotti: ‘giovanotti’. ♦ i va a ronda: ‘vanno a ronda’, s’intende a fini delinquitosi. ♦ t’è morta nel chivalì: indica Muazzo (s. v. far un chivalì a una persona, p. 481): «zè come far fronte che non la se avanzi a farve un insulto o altro o che no la vegna avanti in quel logo che no se vol che la vega». Arlichino manifesta preoccupazione per la sicurezza di Brunetta, che deve attraversare una piazza piena di «certi zovenotti che i va a ronda».

[60] marforio: a scopo umoristico, Arlichino e Brunetta giocano con nomi della tradizione romana (cfr. I.12.17: Pantasilea; I.12.18: Marcantoni). Marforio era «una statua rappresentante una divinità fluviale giacente (I secolo), che la satira popolare nei secoli XVII e XVIII fece l’interlocutore o l’antagonista nei dialoghi con Pasquino» (GDLI, s. v. Marforiale).

[61] Pantasilea: Pentesilea, regina delle Amazzoni. Boccaccio dedica al personaggio e ai suoi amori con Ettore il capitolo XXXII del suo De mulieribus claris.

[62] Marcantoni: il termine viene adoperato nel suo senso popolare («persona grande e grossa, dall’aspetto florido e robusto»; Treccani, s. v.) ma anche facendo riferimento all’imperatore romano, integrandosi nel gioco di elogi stabilito nelle battute precedenti (cfr. I.12.17-18).

[63] acenzio: ‘amaro’. Nei testimoni del dramma compare invece la forma ‘acentio’ (vedi Apparato, I.13.1) che consideriamo probabile ipercorrettismo della forma assenzio frutto della contaminazione fra veneziano e italiano.

[64] al besogna sparzer un mastel de sangue, avanti ch’al se zonza a una gozza de gust per quest: ‘bisogna spargere mastelli di sangue per arrivare ad avere almeno una goccia di beneficio’. L’espressione vuol sottolineare, negativamente, che, in amore, bisogna soffrire parecchio per arrivare ad avere un minimo di piacere.

[65] amar: ‘amaro’ (Zappettini, s. v.).

[66] di soverchio: ‘troppo’.

[67] in sta foza: ‘in questo modo’ (si veda la nota di Ghelfi a Spezier, I.26.1); espressione ricorrente anche in altri drammi di Bonicelli: Lucrezia, I.10.9 («a’ l’avraà fat in sta foza aquist»); Amalato, I.1.1 («mendegando in sta foza, faria più croniche le malatie e i guadagneria più paghe») e I.12.1 («E se mi no avesi fat in sta foza, nò sarie mai arrivad al concet»).

[68] a’ no ne so’ negota: ‘non ne so niente’ (Zappettini, s. v. negota). ‘Negota’, come indica Muazzo (s. v., p. 737) è termine tipico delle maschere bergamasche: «qua a Venezia l’ò senti adoperar solamente da Truffaldin in comedia, come anca el dise fomena, invece de femena».

[69] deter: ‘dietro’, la cui forma di base in bergamasco è ‘det’ (Zappettini, s. v.).

[70] fiola da marit: ‘ragazza in età da maritarsi’.

[71] No digh oter: ‘non dico altro’.

[72] de longo: ‘di seguito’ (Boerio, s. v. longo).

[73] La me vegna da drio: ‘mi venga dietro’ (Muazzo, s. v. drio, p. 362: «Andé avanti che ve son da drio»); ‘da drio’ si adopera come avverbio ‘dietro’, ma può avere anche una valenza oscena, vincolata all’altra accezione del termine, il ‘sedere’ (vedi Muazzo, s. v. dadrio¸ p. 391-392).

[74] da sé: siamo intervenuti sul testo (cfr. Apparato) dato che riteniamo che, nel processo di trasmissione , si sia prodotto un salto per homoioteleuton per analogia con la didascalia presente nella battuta precedente (cfr. I.17.2): L’intervento di Pantalone, in effetti, non ha senso se riferito al Marchese, al quale invece si dirigono le parole della Contessa, nella battuta successiva (I.17.4), bensì deve per forza appartenere a un a parte di Pantalone in cui la maschera si lamenta della propria situazione nei confronti degli altri pretendenti della contessa. ♦ E no altro, padre: locuzione proverbiale che, in questo contesto, si adopera con il significato di ‘non più’ (cfr. anche Spezier, III.9.27 e Lugretia, I.13.16). ♦ tocchi: ‘pezzi’, usato qui con il significato di ‘pretendenti’. Pantalone si lamenta per il continuo arrivo di pretendenti che cercano di fare la corte a Vittoria.

[75] al Marchese: intervento sul testo per correggere un più che probabile errore nella trasmissione testuale (cfr. I.17.3).

[76] Contessa, Marchese: aggiungiamo, benché manchi nei testimoni, il nome dei personaggi che compaiono in scena per analogia con il resto del testo (cfr. Apparato).

[77] per amor il tutto facilmente s’apprende: Teodoro fa riferimento al celebre episodio di Paolo e Francesca presente in Inferno V, v. 100: «Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende». Si notino gli altri echi dell’episodio dantesco disseminati lungo la commedia (cfr. I.10.1, III.8.4).

[78] Venere istessa arse per Anchise: Anchise era un pastore di cui s’innamorò Afrodite, unione da cui nacque Enea (Omero, Iliade¸ II, 819-821). ♦ d’un’Egeria un Numa: Egeria è una divinità latina legata all’acqua amante del re Numa Pompilio (Metamorfosi¸ XV, 479-497).

[79] Icaro e Fetonte: Icaro e Fetonte sono conosciuti, nella mitologia classica, per la loro mancanza di cautela, e diventano, anzi, epitomi dell’imprudenza. Icaro, infatti, morì per voler avvicinarsi il più possibile al sole (cfr. Metamorfosi, VIII, 183-235) e Fetonte, volando con il carro del sole troppo vicino della terra, sarebbe stato il responsabile della creazione del deserto africano (cfr. Metamorfosi, II, 1-339). ♦ Ad un prence…città: Bonicelli riprende un exemplum presente nella fonte spagnola (cfr. El perro del hortelano, vv. 775-798) che serve a sostenere che è meglio che i servitori non dimostrino di essere più intelligenti dei loro padroni.

[80] Marco Aurelio ancora fece bèvere all’impudica Faustina: Boccaccio dedica a Faustina la Minore, protagonista della battuta, un episodio del suo De mulieribus claribus (vedi cap. XCVIII), in cui racconta l’episodio che vede Faustina cadere malata d’amore per un gladiatore, in modo che Marco Antonio, per guarirla, uccide il gladiatore e la copre con il suo sangue. Il motivo è ripreso da Bonicelli, quasi immutato, dall’ipotesto spagnolo: «De Marco Aurelio se cuenta / que dio a su mujer Faustina, / para quitarle la pena / sangre de un esgrimidor» (cfr. El perro del hortelano¸vv.1130-1133).

[81] Frustra queris quod intus habes: ‘ti lamenti invano di quello che hai dentro’. Come ben indica Ghelfi «tutte le citazioni latine del Dottore, deformate secondo il costume della maschera, benché per lo più corrette e tratte da un corpus di opere giuridiche, sono puro flusso verbale di erudizione, inserite nel dialogo allo scopo di dimostrare la saccenteria logorroica del personaggio» (Spezier, I.1.2n).

[82] Per lo scioglimento delle abbreviazioni latine che compaiono nelle battute del Dottore è stata fondamentale la Nota al lettore presente nell’edizione di un altro testo teatrale pregoldoniano, vale a dire, il Pantalone sturbato ne’ suoi amori di Giovanni Paolo Zanovello (Venezia, Lovisa, [1693]), che raccoglie l’interpretazione delle abbreviazioni giuridiche della parlata della maschera.eo quia femina mutatur in singuli sex annis, haec est abortum naturae, citius pubescit et citius senescit: ‘perché una donna cambia ogni sei anni, questo è un aborto della natura, arriva alla pubertà più velocemente e invecchia più velocemente’ (parlamento del Dottore segnato dalla misoginia). ♦ De Generatione Animalium capite sexto: ‘Sulla generazione degli animali, capitolo sesto’. ♦ Quid levius fumo, flamen, quod flamine ventus. Quod vento mulier; quod muliere, nihil: ‘cos’è più leggero del fumo? Una fiamma; più della fiamma il vento. Più del vento, la donna; più della donna, niente’. ♦ nam foemina dicitur principium, et finis familiae suae linguae pronuntiatio 195 § ulter digestis De Verborum Significatione et lege 4 capite De Liberis et Posthumis: ‘poiché la donna si dice che sia il principio e il fine della sua famiglia, come pronunciato dalla legge 195 §, ulteriormente decretato dal Sul significato delle parole e dal libro 4 capitolo Sui bambini e l’aldilà. Il passo rimanda a un aforismo del diritto romano: «Mulier, autem familiae suae et caput et finis est» De verborum significatione, 195, 5 (Ulpiano)♦ presentis mali cognitio. Res turpissima cogitatu: ‘conoscenza del male presente. Una cosa molto brutta a cui pensare’.

[83] frustra est illa potentia quae non reducitur ad actum: ‘quel potere che non si riduce all’azione è vano’.

[84] «contesa» e «culesa» è tutt’un: abituale in Arlichino l’identificazione di un personaggio con un termine osceno.

[85] campi di Flora: ‘giardini’.

[86] possono l’Auree vaghegiare una Venere, non punto inferiore a quella che nella Via Latea soggiorna: Aura era una ninfa della mitologia greca che, per metonimia, passa nel testo a designare le ninfe nel loro insieme. La bellezza di Vittoria viene paragonata a quella di Venere, il che fa della contessa un essere degno di ricevere l’ammirazione delle Auree che ammiravano la dea.

[87] accidentaliter: accidentale come opposto a sostanziale: ‘accidentalmente’. prosenecta: ‘mediatore’, ‘paraninfo’. ♦ Nam dicitur prosenecta matrimonii mediator lege I digestis De Prosenectis: ‘Dato che si chiama ‘prosenecta’ a quel che fa da mediatore nei matrimoni; legge I che dispone Sui mediatori’.

[88] caroba: ‘carruba’, «frutto del carrubo, siliqua» (GDLI, s. v.). ♦ To’, pel’amur ch’a’ te port: ‘tieni, per l’amore che ho per te’.

[89] da vira: ‘davvero’. ♦ mustaz da conte: ‘faccia da conte’.

[90] L’è un po’ troppo bonora: ‘È troppo presto perché tu faccia da conte’ avvertimento di Fichetto, che chiama Teodoro alla prudenza.

[91] trinato d’oro: ‘ornato di trine d’oro’ (cfr. Treccani, s. v. trinato). L’espressione è riscontrabile anche nelle Memorie Inutili di Carlo Gozzi: «S’aprì finalmente di nuovo l’uscio e mi si presentò un mastro di casa tutto trinato d’oro» (cap. I).

[92] Vanne dunque tu, stolta: settenario.

[93] ripente: ‘all’improvviso’, ‘di repente’ (Treccani, s. v. ripente).

[94] l’ha fatto mariorba co le niole: ‘ha giocato alla mosca cieca con le nuvole’. Mariorba: «giuoco fanciullesco che si fa ad occhi bendati» (Boerio, s. v.); niola: ‘nuvola’ (Boerio, s. v.; Muazzo, s. v., p. 741).

[95] coresin: ‘cuoricino’, termine affettuoso. ♦ far un caorìo a tombolon: ‘precipitarsi’. ‘far un caorìo’ si traduce, in senso letterale, come ‘tuffarsi’ (cfr. Boerio, s. v. caorìo). Boerio (s. v. tombolòn) registra anche l’espressione ‘andar a tombolòn’ con il significato di «andar pezzendo, in rovina, in malora, a gambe levate; in precipizio». ♦ vago da seno: ‘perdo il senso’.

[96] Troppo tardo… Capricorno: monologo tutto barocco consono ai costumi dell’arte in cui la servetta, tramite un parlamento che mette insieme in maniera organica tutti i segni zodiacali, riesce a insultare Pantalone, dandogli del cornuto.

[97] amor ha fatto fidar fin un Ercole: Pantalone fa riferimento al tradimento di Ercole da parte di Deianira, che fu causa della morte dell’eroe, episodio che serve al vecchio a sottolineare l’idea della forza dell’amore.

[98] noma: ‘appena’ (Boerio, s. v.).

[99] magneme: da ‘magnar’, ‘mangiare’. ♦ far giusto conto che sia la merda: ‘tieni conto che sia la merda’. L’espressione ‘fare giusto conto che’ compare anche in Spezier, III.9.17: «fa giusto conto che la sia così» e Bullo, II.9.6: «Magné, bevé, no abbié respetto; fé giusto conto d’esser a casa vostra, siora, e no abbié paura».

[100] a qual … appigliare: ‘con quale di questi due si debba sposare’.

[101] fomena: ‘femina’; termine tipico della maschera dello zanni bergamasco (cfr. nota a I.15.8).

[102] mamaluc: termine peggiorativo; ‘babbacione’, ‘stolido’ (Boerio, s. v. mamalùco; Zappettini, s. v. mamaleuc).

[103] bruscherai: ‘cercherai’, cfr. I.6.10.

[104] desmentegà: ‘apparentare’. (Boerio, s. v. desmestegare). ♦ indeter: ‘indietro’.

[105] umoraz: ‘gran superbia’ (vedi Boerio, s. v. umorazzo).

[106] albasiaza: ‘boria’, ‘ambizione’, ‘superbia’ (vedi Boerio, s. v. albasìa; Muazzo, s. v. albasìa, p. 86).

[107] cossino: ‘cuscino’ (GDLI, s. v).

[108] etc.: vedi I.2.1.

[109] Marcella, addio: quinario.

[110] si cerchi altr’esca: ‘si cerchi qualcun altro oggetto d’amore’ se intendiamo ‘esca’ nel senso di «ciò che eccita o alimenta una passione, un sentimento» (GDLI, s. v.). ♦ Aquilon malvagio: Aquilone personifica il vento del Nord nella mitologia romana. Il sintagma compare anche in Fulvio Testi («sospinto fu dall’Aquilon malvagi»; Opere, Bologna, 1644, p. 244).

[111] guidon furfant: «detto a fanciullo, faccimale, insolente, rispo, vivace» (Boerio, s. v. guidon). (cfr. Bachetton, II.22.6: «No hò miga i occhi al tafanari vecch trist, furfant guidon»; III.10.5: «Guidon furfant sach da corezze»).

[112] la me daga la me bonaman: ‘mi dia la mancia’.

[113] loquere ut sentiamus: esortazione traducibile per: dato che ti stiamo ascoltando, parla’. ♦ vergota: ‘qualcosa’. ♦ manza: ‘mancia’ (Boerio, s. v.).

[114] eo quia donato est modus acquirendi dominium ex liberalitate alterius a iure civili introducta sic instituto titulo De donatione: ‘perché il dono è un modo di acquisire domini dalla libertà di un altro, introdotto dall’ordinamento civile sotto il titolo Sulla donazione’.

[115] Insanise: ‘insanisce’, forma influenzata dalla flessione dialettale settentrionale, in cui i verbi con presente in -isc- tendono a presentare -iss- (cfr. Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Morfologia, Torino, Einaudi, 1968, pp. 243-244, § 524).

[116] Quomodo?: avverbio interrogativo modale ‘in che modo?’, ‘come?’. ♦ liè: ‘lei’ (cfr. Spezier, I.13.6: «Tutto quel potrà procedere dalla me sollecitudin, l’assicuri che ’l me sarà impiegad per liè»; Sansone, I.10.14 «Liè se degna de farse spos in Tatmatea». Bachetton, I.10.3: «[…] quanto a liè aver da dar»).

[117] te si’ venud a petarne sta pataflana: ‘sei venuto a raccontare questa favola’ (cfr. Boerio, s. v. patanflana).

[118] malis artibus et fraudibus: ‘con cattive arti e con inganni’.

[119] arsore: ‘arsura’, con il significato di ‘cosa di poco valore’.

[120] tior: ‘togliere’.

[121] mei: ‘meglio’.

[122] adasi: ‘passo passo’, ‘lentamente’ (Boerio, s. v. adàsio); forma veneziana di ‘adagio’ ♦ murusi: ‘innamorati’ (Boerio, s. v. moroso). ♦ gnianch: ‘neanche’.

[123] dissì: del verbo ‘dissidere’: ‘discordare’ (GDLI, s. v.).

[124] voler far da cane dell’ortolano che non mangiando lui, non vuole né meno che gl’altri si sattollino: riprende il proverbio ‘il cane dell’ortolano non mangia la lattuga e non la lascia mangiare’, che fa riferimento all’atteggiamento di Vittoria che, anche se sa che non può avere Teodoro, non lascia progredire gli amori del segretario con Marcella. Per il proverbio, cfr. Paola Guazzotti - Maria Federica Oddera, Il grande dizionario dei proverbi italiani¸ Bologna, Zanichelli, 2006, p. 97. Il proverbio rimanda al titolo della commedia e, dunque, anche alla fonte spagnola.

[125] al besogna recider la pianta: eufemismo con cui Pantalone fa riferimento alla necessità di uccidere Teodoro. ♦ nocumento: ‘danno’. nam cessante causa cessat effectus: ‘perché quando cessa la causa cessa l’effetto’.

[126] omnia vincit amore, et nos cedamus amoris: ‘l’amore vince tutto e noi cediamo all’amore’.  Bonicelli riprende per intero il celebre verso virgiliano (Bucoliche, X, 69).

[127] qualche minchion a tàser: ‘minchion’ significa ‘minchione’, ‘sciocco’. L’espressione verrebbe tradotta come ‘sarei uno sciocco a non tacere’ (cfr. Spezier, I.5.10). Ha sempre comunque un senso peggiorativo.

[128] per ti a’ era spedid el negozi: ‘per te era tutto finito’. Boerio (s. v. spedìo) raccoglie l’espressione ‘tutto è spedio’, con il significato di ‘mandato in rovina’.

[129] frizemo: Arlichino, nella sua tendenza ad adoperare vocabolario relativo al cibo, scambia ‘finzer’ (‘fingire’) con ‘frizer’, verbo con il significato di ‘friggere’. Questa situazione si osserva in altre commedie come in Spezier, I.11.16-17, in cui, come indica Ghelfi in nota, si produce uno «scambio di battute a partire del fraintendimento di Arlichino di finzerte per frizerte». baragolà: ‘baraccola’, tipo di pesce, razza (Muazzo, s. v. baraccola, p. 116; Boerio, s. v. baràcola).

[130] stramboti: ‘spropositi’.

[131] suli: ‘da soli’.

[132] Chiarabadana, nana, forlana toca de pifara, barba, pedana: Arlichino risponde alla richiesta di dire degli spropositi (cfr. III.7.3) canticchiando una serie di parole senza ordine o senso.

[133] vorave: ‘vorrei’.

[134] s’avemio forse da far romper el cò: ‘avremmo, forse, da farci rompere la testa, Arlechino teme per la possibilità di essere ammazzato.

[135] ambassador no porta pena: Fichetto cerca di rassicurare Arlichino affermando, con questo detto, che «chi porta un messaggio o una notizia non è responsabile del loro contenuto; è quindi del tutto fuori luogo prendersela con lui», per cui, fingersi ambasciatori è il travestimento più intelligente (Zanichelli, p. 48). Cfr. anche Muazzo (s. v., p. 66).

[136] dar per questo el cao inte i muri: ‘darsi con la testa contro le pareti’. ♦ trar […] i sassi per le strade: ‘andar lamentandosi della situazione dappertutto’. co’ se sol dir: ‘come si suol dire’. ♦ nevoda: ‘nipote’ (f.).

[137] manizo: ‘governo’, ‘amministrazione’. ♦ una Semiramide ha domào i popoli intieri co la so’ prudenza per tanto tempo doppo la morte de Nino so’ marìo; cfr. Dante, Inferno V, vv. 58-60, p. 101: «Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa; / tenne la terra che ’l Soldan corregge».

[138] Cazzeghe marmote: imprecazione spregiativa riferita agli zanni. Marmota funziona come sinonimo di ‘stupido’, ‘insensato’ (Boerio, s. v.). ♦ nina nana: ‘inganni’.

[139] zogia: ‘gioie’.

[140] cazzata: ‘attaccata’ (Boerio, s. v. cazzar: ‘cacciare dentro’, ‘spigner dentro’). ♦ cavezza: cfr. Boerio, s. v.: «funo o cuoio con cui si legano gli animali da soma; arnese che si mette alla testa de’ cavalli per maneggiarli».

[141] zorna: ‘giorno’.

[142] scampara da cagara: cfr. Boerio (s. v.  scampàr) che raccoglie l’espressione ‘scampà da cagàr o da pissàr’: «aver voglisa o stimolo di cacare o pisciare».

[143] mi son debotto fatto sgionfo: ‘mi sono, subito, gonfiato’ (cfr. Boerio, s. v. debòto; Id, s. v. sgionfar e Muazzo, s. v. sgionfar, p. 937).

[144] giustifichicando: anche se la forma non è pienamente corretta, non siamo intervenuti sul testo critico, dato che non siamo in grado di confermare che non si tratti di un’innovazione autoriale che permetta di caratterizzare linguisticamente il personaggio di Alberto.

[145] Ha preso foco la mina: ‘tutto è saltato’.

[146] meglio fia, me gli sveli: ‘sarà meglio che glielo confessi’. Teodoro fa riferimento all’inganno, che decide in quel momento di confessare a Vittoria.

[147] condonate: ‘perdonate’.

[148] dio di Dite: Satana. Dite è una delle città infernali, che ha come signore il re dell’inferno Plutone (s. v. Metamorfosi IV, 433-446). Dante usa ‘Dite’ come nome del dio infernale, per identificazione con la città omonima alla quale il poeta arriva nell’ultimo canto dell’Inferno (s. v. Inferno XXXIV, vv. 20-21: «Ecco Dite – dicendo – ed ecco il loco / ov’e’ convien che di fortezza t’armi»).

[149] Scaglia: ‘getta’.

[150] per l’adietro: ‘per il passato’, ‘in passato’ (vedi GDLI, s. v. addietro).

[151] fiamme getterà l’orsa gelata: riferimento all’orsa minore (contenente la stella polare) che iperbolizza sull’impossibilità, da parte di Teodoro, di rivelare l’inganno.

[152] sta sul minchionar el goi: ‘scherzano’ (vedi Boerio, s. v. goi).

[153] pronuba face: espressione vocativa con il significato di ‘fiaccola che ne favorisci l’unione amorosa’ (Treccani, s. v. pronubo).

[154] arsure: ‘arsura’ significa ‘eccessiva caldura’ (Boerio, s. v.); si notino le connotazioni oscene con cui è adoperato il termine.

[155] O che cagào: ‘Oh che birbone!’. La voce ‘cagao’ ha «diversi significati secondo l’intenzione di chi le pronuncia. Generalmente sono termini di ingiuria o disprezzo equivalenti a cialtrone, birbone, barone, forca, tristo, impiccatone, guidone; furbo, astuto, scaltrito, sagace» (Boerio, s. v. cagadonao). ♦ l’ha lo mo savesta pettarla senza spuaza: ‘ho saputo attaccarla senza saliva’ (cfr. Boerio s. v. petàr: attaccare una cosa ad un’altra; Boerio, s. v. spuazza). Pantalone fa riferimento all’esito dell’inganno (cfr. Muazzo, s. v. Pettar, p. 855: «zè un verbo che gà diversi significati e che da questo zè derivate altre parole, ma el significato più usual e che se ne servimmo più spesso, zè in senso di taccar robba con colla caravella […], quando se tacca una cosa malamente se dise ‘La par pettada con la spuazza»).

[156] zoie furade: ‘gioielli rubati’. Fichetto deturpa il proprio linguaggio per continuare a portare avanti l’inganno.

[157] l’avì forse condannad a esser impiccad el pover Teodor, perché a’ ’l ved là tra do colonne: Arlichino fa riferimento alle colonne della Piazzetta di San Marco, note per essere il luogo proprio delle esecuzioni (cfr. Giuseppe Tassini, Curiosità veneziane ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia¸ Venezia, Grimaldo, 1872, p. 345: «Nei primi tempi l’esecuzioni capitali avevano luogo spesse volte presso la riva di S. Giorgio […]. In seguito venne destinato alle medesime quello spazio che si apre fra le due colonne della Piazzetta»).

[158] potesi: ‘potenti’. Il sintagma ‘prenci potesi’ è ricorrente nell’Arlecchino di Bonicelli (cfr. Lugretia, III.10.1: «Un po’ pì a fort, ch’a’ disiva quei siori prenci potessi, e principalmente quel sior cul de latin»). Sembra che la forma ‘potessi’ non registrata, sia una forma storpiata di ‘potenti’ o ‘possenti’, ma non riusciamo a rintracciarne l’origine.

[159] Falè: ‘sbagliate’.

[160] vo civetand Olivetta: ‘cerco di attirare l’attenzione di Olivetta’.

[161] eo quia mulier libera potest per stipulationem promitti libro primo folii De sponsalibus: ‘il motivo per cui una donna può essere liberata per patto promesso; primo libro del foglio Sui promessi sposi’.