Apostolo Zeno
Ormisda
(Cosroe)
a cura di Giordano Rodda,
con una prefazione di Alberto Beniscelli
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2017
Apostolo Zeno
Ormisda (Cosroe)
a cura di Giordano
Rodda, con una prefazione di Alberto Beniscelli
Ó 2017 Giordano
Rodda, Alberto Beniscelli
Ó 2017 lineadacqua edizioni
Biblioteca Pregoldoniana,
nº 19
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN
dell’edizione completa: 978-88-95598-70-3.
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Biblioteca Pregoldoniana
(I dintorni), nº 19
Nota al testo
L’edizione
originale dell’Ormisda è quella
viennese del 1721, presso Van Ghelen, seguita da
diverse altre rappresentazioni italiane con relativi libretti fino all’edizione
gozziana, di cui si dà indicazione qui di seguito:
VG = «ORMISDA
| DRAMMA | PER MUSICA, | DA RAPPRESENTARSI | NELLA CESAREA CORTE | PER | IL
NOME GLORIOSISSIMO | DELLA | SAC. CES. E CATT. REAL MAESTA’ | DI | CARLO VI. |
IMPERADORE | DE’ ROMANI, | SEMPRE AUGUTSO [sic].
| PER COMANDO DELLA | SAC. CES. E CATT. REAL MAESTA’ | DI | ELISABETTA |
CRISTINA | IMPERADRICE REGNANTE, | L’Anno M DCC XXI. | La Poesia è del Sig.
Apostolo Zeno, Poeta, ed Istorico di | S. M. Ces. e Catt. | La Musica è del
Sig. Antonio Caldara, Vice-Maestro di | Cappella di S. M. C. e Catt. | [filetto] | VIENNA d’AUSTRIA, | Appresso Gio.
Pietro Van Ghelen, Stampatore di Corte | di Sua M. Ces. e Cattolica.» 
MA =
«ORMISDA | DRAMA PER MUSICA | Da Rappresentarsi | NEL TEATRO | MALVEZZI | La
Primavera dell’Anno | M DCC. XXII.»
CO =
«COSROE | Drama per Musica | DA RECITARSI | Nel Teatro Alibert
pe’l Carnevale | dell’Anno 1723. | PRESENTATO | Alla
Maestà | DI | GIACOMO III. | Rè della Gran Brettagna. | [marca di Pietro Leone] | Si vendono nella
Libraria di Pietro Leone a Pasquino | all’Insegna di S. Gio. di Dio. | [filetto]
| In ROMA, nella Stamperia del Bernabò, 1723. | Con licenza de’ Superiori.»
AR =
«ARTENICE | DRAMA | PER MUSICA, | Da rappresentarsi nel Regio Teatro di Torino.
| L’Anno MDCCXXIII. | DEDICATO | A S. A. R. | CARLO EMMANUELE | PRINCIPE DI
PIEMONTE &c. | [stemma di Carlo Emanuele III] | IN TORINO. | Per Pietro
Giuseppe Zappata Stampatore delle | Regie Gabelle, e dell’Illustriss.
Città.»
FA =
«ORMISDA | DRAMA PER MUSICA | DA RAPPRESENTARSI | Nel Teatro del Falcone la
Primavera | dell’Anno 1723. | DEDICATO | Alla Nobilissima Adunanza | DELLE
DAME, E | CAVAGLIERI. | [illustrazione] | IN GENOVA, | [filetto] | Nella
Stamperia di Giovanni Franchelli. | Con licenza de’
Superiori.»
CA =
«ORMISDA | DRAMMA PER MUSICA | Da Rappresentarsi | NEL TEATRO TRON | A’ SAN
CASSIANO | NEL CARNOVALE DELL’ANNO | 1728. | [filetto] | IN VENEZIA,
MDCCXXVIII. | Appresso Marino Rossetti in Merceria | all’Insegna della Pace. | CON LICENZA DE’ SUPERIORI.»
HA = «ORMISDA, | AN | OPERA. | As
it is performed at the | KING’s THEATRE, | IN THE | HAY-MARKET. | [filetto] | [illustrazione] | [filetto] | LONDON: | Printed by A. Campbell. M.DCC.XXX.»/«ORMISDA, | DRAMA. | Da Rappresentarsi | Nel REGIO TEATRO | d’HAY-MARKET. |
[illustrazione] | In LONDRA: | Per A. Campbell. M.DCC.XXX.»
            Per l’edizione dell’Ormisda, si è utilizzata come lezione a
testo quella dell’edizione curata da Gasparo Gozzi nelle Poesie drammatiche di Apostolo Zeno in dieci volumi, quarto tomo, attenendosi
ai criteri di trascrizione dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Gozzi,
riportati in fondo a questo capitolo.
            Per quanto riguarda il testo
raccolto da Gozzi, si tratta in massima parte dell’edizione VG con alcuni
ammodernamenti, in particolare nei criteri grafici, e una sola battuta mutata
(verso 1011). A proposito dell’opportunità relativa
a tale scelta, vale la pena ricordare nella loro interezza le parole scritte da
Apostolo Zeno nella ben nota lettera a Giuseppe Antonio Pinzi:
Se io fossi capace di concepir vanità per la composizione de’ miei
drammi, e per la edizione che modernamente n’è stata intrapresa; la bella e
affettuosa lettera di Vostra Signoria Molto Reverenda sarebbe sufficiente a
risvegliare nell’animo mio que’ sentimenti di
compiacenza dai quali esso è stato sinora lontano, e posso ancor dire, diverso
affatto, e contrario. Mi sono lasciato indurre a soffrirne, non mai a
permetterne, non che ad approvarne la piena raccolta, e la nuova pubblicazione;
come appunto in certi pubblici abusi il Principe è costretto a valersi di
tolleranza, senza mai darvi positivo assenso, e permissivo decreto. Più cose mi
ritraevano dal voler ciò, e principalmente la necessità ch’io scorgeva in quei
drammi di ritoccarli seriamente, dove né la fretta con cui dovetti idearli, e comporli,
né il riguardo del luogo, e degli attori destinati a rappresentarli, mia aveano dato tempo, e lasciato modo di liberarli da quelle
imperfezioni che per entro manifestamente, e a mente riposata vi ravvisava. Una
tal revisione e correzione non sarebbe stata opera di poco fiato, né di poca
considerazione: dal che mi rimovevano interamente, oltre all’età di molto e
molto avanzata, le altre mie applicazioni, e molto più quel genere di vita che
da più anni mi vuol tutto suo, e piaccia a Dio con che frutto. Se fosse stato
possibile levarli affatto dal mondo, o dalla memoria degli uomini, l’avrei
fatto assai più volentieri, anziché vederli con questa recente
edizioni riprodotti, e in certo modo rinati. Il dignissimo
Signor Conte Gasparo Gozi ha vinte in parte le mie
ripugnanze, con esibirmi la sua assistenza, e la sua correzione in que’ luoghi, dove più manifestamente ne avesse scorto il
bisogno, dimostrandomi che è assai minor male il rimetterli in vista col loro primiero
abito e aspetto, che lasciarli nella difforme sconciatura con cui l’altrui
petulanza e sciocchezza aveagli guasti e diffigurati; con pericolo che un giorno dopo la mia morte
venissero in così sconcio arnese, e informe sembianza raccolti e divulgati. Non
so se queste e altre ragioni fossero abbastanza valevoli ad espugnarmi: ma
certo bastarono a fare che donassi tutto all’amico, riserbando per un’intera
noncuranza del loro destino. E infatti non ho degnata neppure di un’occhiata, o
appena alla sfuggita, la presente impressione; non ho il minimo senso del come
verranno accolti dal pubblico; e solo non ho voluto che uscissero corredati
della prefazione che nel primo tomo il Signor Conte Gozi
avea disegnato di porvi: ma egli farà tutto acciocché
esca in alcuno de’ susseguenti, e temo che nonostante il mio divieto, sarò
tradito dall’amico, e dallo stampatore, che hanno sull’opera un intero
arbitrio, essendomi in ciò spogliato interamente del mio. Dopo questa mia
sincera dichiarazione, ella mi dirà un padre crudele e inumano verso questi che
finalmente sono miei parti, i quali però di presente a me paiono aborti, per
non dir mostri: onde in me destano piuttosto pentimento che affetto.[1]
            Saranno a questo punto ormai
familiari le strategie di understatement
relativo alla propria operazione drammaturgica da parte dello Zeno;[2]
l’obiettivo di Gozzi, con l’accordo dell’ormai ex poeta cesareo, è del resto
soprattutto filologico, cioè riportare alla forma originaria —a parte la
«correzione in que’ luoghi, dove più manifestamente
ne avesse scorto il bisogno»— opere che erano state
alterate già a partire della seconda rappresentazione, come del resto era
capitato all’Ormisda. In appendice
riporto, con valore puramente documentario e a titolo di exemplum antologico delle vicissitudini abituali per un dramma di questo
tipo, le principali variazioni apportate alle varie rappresentazioni dell’Ormisda: perfino, come si è visto, sullo
stesso titolo, ridiventato nel 1723 Cosroe come in Cellot e Rotrou, oppure Artenice,
per la rappresentazione torinese dello stesso anno, che peraltro non ha remore
nell’aggiungere due personaggi di popolani completamente avulsi —per tono,
contesto e funzione drammaturgica— all’opera del poeta cesareo, con tanto di
scene a loro dedicate.
            Riguardo al timore di Zeno sulla
prefazione (non sappiamo quanto sincero, né quanto poco informato dei fatti), si
rivelerà comunque fondato: il primo volume delle Poesie drammatiche uscirà senza alcuno scritto gozziano, affidando
l’esordio all’Ifigenia in Aulide, ma
il quarto presenterà la prefazione del curatore. Il quarto è, tra l’altro,
proprio il volume dell’Ormisda,
collocato subito dopo l’introduzione di Gozzi, il quale illustra anche le sue
preoccupazioni critiche e i criteri scelti per restituire l’originaria dignità
al testo di Zeno. Dopo una nutrita rassegna di illustri pareri sull’opera zeniana, il curatore passa a infatti denunciare il costume
per cui 
mettendosi più volte i
drammi d’un autore ne’ teatri, per fare qualche varietà, accomodare i maestri
di musica, ed altre persone che in que’ luoghi o
dipingono, o altri lavori anno, ed hanno capricci, e fantasia un mare, s’è
preso uno spediente, di porre le mani ne’ lavori del poeta, e quelli allungare,
accorciare, cambiarvi personaggi, aggiungerne, levarne via, far nuove
canzonette, intere, per metà, e chi sa, e che non sa rappiastra, e malmena come
può, o come gli è conceduto di poter fare dalla
natura medesima della cosa: poiché posto che colui il quale questi
ritoccamenti, o rappezzamenti fa, fosse persona di giudizio, e di dottrina
quanto si vuole eccellente, non potrebbe far sì che il buono originale non
peggiorasse.[3]
            La preoccupazione, continua Gozzi
(echeggiando certo i sentimenti di Zeno verso i suoi ‘aborti’, di cui quindi
seguiva attentamente le vicende, e sulla stregua dell’uguale scontento che costella,
ad esempio, l’epistolario metastasiano), è che le versioni modificate dai
musicisti vadano «in cambio d’originali per le mani di molti». Gozzi conferma
la ritrosia del drammaturgo veneziano a un’edizione delle sue opere, includendo
lo stralcio di una lettera al Muratori che lo stesso Zeno, a suo dire, gli
allegava sovente; ma così come erano state tollerate le modifiche ai libretti
senza particolari problemi («solea dire scherzando ch’essendo
le sfacciate uscite in pubblico, non potea più negare
che chi le volea se le prendesse, e scompigliasse
parole, e concetti»),[4]
un tale privilegio non poteva essere negato allo stesso Gozzi, per giunta con
intenzioni ben più alte. Ricevuto finalmente l’assenso da Zeno, il curatore può
quindi provvedere alla trascrizione:
Laonde io incontanente
con ogni studio, e diligenza mi posi a ordinarle, e a cercar di darle fuori
intere, e con la scorta de’ migliori originali, e il tutto feci in quella forma
che potesse essere conveniente al desiderio di costoro che bramano la presente
edizione, ed a lui, che di tal grazia mi fu cortese.[5]
            Gozzi fu di parola. A parte le rare
eccezioni di cui si dà regolare conto in apparato, l’edizione 1744 dell’Ormisda è come detto sostanzialmente
identica al libretto originale del 1721, con un ammodernamento grafico (come i
legamenti di forme quali de la > della,
a la > alla eccetera) e la caduta di alcune
didascalie relative alla messinscena viennese, che nella presente edizione si sono
mantenute nell’Apparato, rifacendosi in questo caso al libretto del 1721. In più, Gozzi nella sua edizione rimuove la ripetizione
del verso primo alle fine delle arie col da capo, presente invece nel libretto
del 1721; le arie dell’Ormisda sono
comunque bipartite e posizionate, tranne rari cari, sempre in fine di scena,
seguendo quelle linee di riforma poi ulteriormente perfezionate da Metastasio.[6]
Per quanto riguarda la metrica del testo, sempre in ossequio alla volontà zeniana di elevare il dramma musicale alla nobiltà della
tragedia senza assecondare il virtuosismo degli interpreti, il recitativo in
endecasillabi e settenari mostra un’assai bassa frequenza di rima, concentrata
più che altro nella chiusura delle battute più lunghe e significative; sono
invece diffuse le parti dialogiche in brevi battute all’interno dello stesso
verso, nella costante ricerca di un ritmo più vicino a quello del parlato.
Notevole invece la polimetria delle arie, sempre con rima per la chiusura di
strofa, dove si concentra l’impulso lirico del testo: quinari, senari, settenari
(anche sdruccioli), ottonari, decasillabi, endecasillabi sono tutti assai frequenti,
con i versi lunghi di norma prerogativa dei personaggi più regali (con
l’eccezione di Artenice) e i parisillabi frequenti nel versificare sentenzioso,
ma senza una rigida divisione del metro legata al personaggio o alla carica
emotiva.
Apostolo
Zeno
Ormisda
Argomento
In
un altro dramma si son fatti vedere i buoni effetti dell’amicizia. In questo si
è procurato di por sotto gli occhi i cattivi effetti dell’odio. L’argomento n’è
stato somministrato dalla real casa di Ormisda re di Persia: principe che
sarebbe stato meno infelice, se avesse saputo essere miglior padre. Indotto
egli dall’amore, e dalle lusinghe della seconda sua moglie, che qui vien
chiamata Palmira, si risolvette
di portare al trono, anche sua vita durante, il suo secondo figliuolo, cui si
dà il nome di Arsace,
ad esclusione di Cosroe
suo primogenito, ma natogli dal primo letto. Cosroe
per se stesso d’animo fiero, e vie più in tale
occasione da’ diritti della sua nascita, e dal favor
delle leggi sostenuto, e assistito, non seppe sofferire
una sì fatta ingiustizia. Col mezzo adunque de’ suoi partigiani riuscì ad esso
lui di avere in sua mano il padre, la matrigna, e ‘l fratello, e d’impossessarsi
della corona. I buoni trattamenti usati da lui nel cominciamento del regno, e
poscia per qualche tempo verso del padre, han dato sufficiente motivo per
chiudere il dramma diversamente da quello che nella storia si legge. Teofane, Zonara, ed altri parlano
di questo fatto, per chi desidera d’esserne più diffusamente instruito. Gli amori generosi di Artenice, i raggiri di
Mitrane, e i tradimenti di Erismeno servono a maggior
viluppo della favola, che senza essi non si sarebbe potuta condurre al fine che
se le è dato.
ATTORI.
ORMISDA,                 re di Persia.
PALMIRA,                  sua seconda moglie.
ARSACE,                    loro figliuolo, amante di
Artenice.
COSROE,                   figliuolo
di Ormisda, e d’altra sua prima moglie, amante anch’esso di Artenice.
ARTENICE,               regina di Armenia, amante di Arsace.
MITRANE,                 satrapo
persiano, e capo dell’ambasciata armena, confidente di Cosroe.
ERISMENO,              altro satrapo persiano, confidente
di Palmira.
L’azione
si rappresenta in Tauri, città capitale della Persia.
                  ATTO
PRIMO
                                    Piazza reale, riccamente apparata per la coronazione
di Artenice, con due troni, l’uno rincontro all’altro.
                                   SCENA I
                                     Ormisda, Palmira, Artenice, Arsace,
seguito di Persiani, popolo, e soldati.
            ormisda          O del grande Artabano,[7]
                                   che all’Armenia
diè leggi, inclita figlia,[8]
                                   bella Artenice,
il lieto giorno è questo[9]
                                   che por ti
dee l’aurea corona in fronte,
5                                  e darti al
popol tuo sposa, e regina.
                                   Te all’amor
mio commise il re tuo padre,
                                   e che passi
un mio figlio
                                   all’onor del tuo letto, è suo volere.
                                   Dal tuo reale
assenso
10                                questo or si
adempia, e regni
                                   di te, vergine
illustre, il cenno altero
                                   sul perso
insieme, e sull’armeno impero.
            artenice       Signor, posso a mio grado
                                   espor liberi
sensi? E quei diritti
15                                che inspira a nobil’ alma
                                   il nome di regina,
usar poss’io?
            arsace           (A parte) Da quel
labbro dipende il viver mio.
            ormisda         Non hai di che temer. Parla, e il tuo regno
                                   cominci dal
tuo cor.
            palmira                                              Ma ti sovvenga (piano ad Artenice)
20                                che Palmira ti
ascolta,
                                   e che Arsace è mio figlio, e ch’ei ti adora.
            artenice       Ah! Di parlar, re, non è tempo ancora.
            ormisda         Qual rispetto ti affrena?
            palmira                                              Io
del suo core
                                   interprete fedel...
            artenice                                           No. Di me stessa
25                                non v’ha chi
meglio intenda
                                   miei chiusi
affetti. A tempo
                                   gli svelerò.
Qui non si scordi il grado.
                                   Oggi regina
io sono,
                                   arbitra di me
stessa, e salgo il trono.[10]
                                   (Al suono delle trombe
ascende Artenice sul trono, servita da Arsace, e dall’altro
canto vi ascendono Ormisda, e Palmira. Esce poi Mitrane con gli altri ambasciadori Armeni, i quali portano omaggio ad Artenice,
ed uno in particolare di loro sostenta sopra un bacino d’oro la corona, e lo
scettro)
                                   SCENA II
                                   Mitrane,
e i suddetti.
            mitrane         Te a noi dieder gli dii, regina
eccelsa.
                                   Te
a noi serbin gli dii. Duri il tuo regno
                                   co’ tuoi, co’ nostri voti.
                                   Ogni
consiglio tuo regga virtude:
5                                  Fortuna
ogni tua guerra:
                                   e
de’ regi avi tuoi vinci le glorie.
                                   Questi
forma per te prieghi sinceri
                                   la
tua suddita Armenia; e noi, cui tocca
                                   l’alto
onor di offerirti i primi
omaggi,
10                                al
tuo trono, al tuo piede
                                    per lei giuriamo
ossequio, amore, e fede.[11] (novamente al suono delle trombe s’inginocchia
Mitrane al secondo de’ gradini del trono, e preso dal bacino lo scettro, lo
porge ad Artenice)
            artenice       Lieta in voi del mio regno
                                   gli
omaggi accetto. Il cielo
                                   ne
secondi gli auspici.
15                                Me
attenta avrete a custodir le leggi,[12]
                                   più
che a imporle sovrana. A voi miei fidi,
                                   arra
sien del mio amor l’auree
maniglie,[13]
                                   fregio
al braccio guerriero; e tu, Mitrane,
                                   il
cui senno, il cui petto
20                                tanto
per me sostenne,
                                   questo
di gemme, e d’oro
                                   ricco
lucente acciaro al fianco appendi,[14]
                                   e
mio campion, più la grand’alma accendi. (Artenice trattasi dal seno una picciol’arma dorata ed ingioiellata, detta dagli Orientali acinace,
solita portarsi da’ re, e da’
maggior personaggi; la porge a Mitrane, che in ricevendola gliene bacia la
mano. Escono nello stesso tempo quattro nobili Armeni, i quali portano in
quattro bacini dorati sedici maniglie d’oro, dette armille, e le
distribuiscono agli ambasciadori Armeni, i quali se
le pongono al braccio destro)
            mitrane         Sì: tuo campion già sono.
25                                Bacio l’illustre
dono;
                                   e
il cingerò per te.
                                   Al
manco lato appeso
                                   vi
sentirà quel core
                                    che da’ tuoi raggi
acceso
                                    arde di ossequio, e fé.
                                   SCENA
III
                                   Erismeno, e i suddetti.
            ormisda         Qui Erismeno?
            palmira                                  Che fia?
            erismeno       Domi i ribelli, e soggiogato il Ponto,[15]
                                   dal
campo vincitor viene a’ tuoi piedi
                                   il
tuo figlio real.
            palmira                                   Che? Cosroe?
            ormisda                                                        Cosroe?
5                                  Senza
aspettar ch’io lo richiami? E prima
                                   del
mio comando abbandonar le schiere?
            erismeno       Egli avrà
sue ragioni.
            palmira          Tal, mio Ormisda, è il costume
                                   di
que’ guerrieri eroi, di que’
gran cori[16]
10                                che
pieni di se stessi,
                                   e
dall’armi protetti, e dal lor fasto,
                                   ricusan dipendenza:
                                   non
conoscon dover: non re: non padre.
            ormisda         Venga, ed in me ritroverà il superbo,
15                                non
il padre, ma il re.[17]
            erismeno       (A parte)                       Cosroe
è in periglio.
            arsace           Giusto, sire, è il tuo sdegno:
                                   ma
Cosroe è base al regno, ed è tuo figlio.[18]
            palmira          Quando chiaro è l’error, vano è il
consiglio.
            arsace           Dove è giudice il padre, il figlio tace.
20        artenice       Bella virtù, che m’innamora, e piace. (tutti scendono dal
trono)
            arsace           Tacerò: ma a pro di un figlio (prima a Palmira, e poi
ad  Ormisda)
                                   virtù
parli, e parli amor.
            palmira          Sua virtù si è fatta orgoglio.
            ormisda         E reo vien di un giusto sdegno.
25        arsace           Ma la gloria egli è del regno; (a Palmira)
                                   né
vien reo chi è vincitor. (ad Ormisda)[19]
                                   SCENA
IV
                                   Cosroe con soldati, e i suddetti.
            cosroe           Padre, e
signor...
            artenice                               Perdona,
(a Cosroe)[20]
                                   se
interrompo il tuo dir. Parli Artenice,
                                   ed
intrepida parli, or che è difesa (ad Ormisda)
                                   dall’aspetto
di Cosroe.
5                                  Fosse
tema, o rispetto,
                                   e
tu, regina, il sai, feci a’
miei voti (verso Palmira)
                                   forza
finora: al mio dover compiacqui:
                                   non
era ancor regina: attesi; e tacqui.
            arsace           (A parte) Palpita
amor.
            cosroe           (A parte)                       La
sorte
10                                s’agita
del cor mio.
            ormisda                                             Tuoi detti attendo.
            palmira          (A parte) Taccio
a gran pena, e l’ire mie sospendo.
            artenice       Di vita il re mio padre
                                   uscì,
me ancor fanciulla. Il terzo lustro
                                   compie
oggi appunto. Ei ti commise, o sire,
15                                e
l’Armenia, e Artenice.[21]
            ormisda                                             E fu sua legge
                                   che
Artenice sia sposa
                                   di
un mio figlio real.
            artenice                                           Ma
di quel figlio,
                                   cui
sul crin splenderà la tua corona.
20                                Quegli
sarà mio sposo
                                    che
tuo erede sarà. Non basta a lui
                                   il
titol di tuo figlio.
                                   Ci vuol
quello di re. Cosroe, ed Arsace
                                   son
tua prole ugualmente.
25                                Hanno
merto: han virtù: m’amano entrambi.
                                   Se
dovesse il cor mio sceglier lo sposo,
                                    il ver dirò, tu lo saresti, Arsace.
            arsace           Care voci!
            artenice                               Ma Cosroe
                                   ha
sul trono de’ Persi
30                                la
ragion dell’età. Tu, che sei padre,
                                   del
tuo scettro disponi. A me non lice.
                                   Frema
quanto egli vuole
                                    l’amor mio generoso,
                                   il
re che tu farai sarà mio sposo.
35                                            Sono amante, e sono figlia:
                                               ma quest’alma si consiglia
                                               col dover, non coll’amor.
                                               Sembra fasto, ed è rispetto
                                               ciò che svena un dolce affetto
40                                           Al voler del genitor. (si
parte, servita a braccio da Cosroe, e 
                                   da Arsace, e vien seguita da’ suoi Armeni)
                                   SCENA
V
                                   Ormisda,
Palmira, e poi Cosroe, che ritorna.
            palmira          Mio consorte, mio re, da te dipende
                                   il
destino di Arsace.
            ormisda         E di Arsace in favor vuoi da me
infranta
                                   la
giustizia, e la legge?
5          palmira          Serve la legge al re.[22]
            ormisda                                             Ma al re tiranno.
            palmira          Serva dunque alla legge il re che è giusto.
                                   Cosroe è reo di gran colpa, e dei punirlo.
            ormisda         Taci: egli riede.
            palmira          Arsace, ho core, ho ingegno: 
10                                (A parte) son madre; e tua sarà la sposa,
e il regno.
            ormisda         Dal campo, ov’eri duce,
                                   perché
lontan?
            cosroe                                   L’armi di Ormisda han
vinto.
                                   Il
Ponto è tua provincia, e domi i Medi,
                                   quanto
oprar potea Cosroe, ha tutto oprato.
15                                Dalle schiere oziose
                                    disio mi allontanò di
porti a’ piedi[23]
                                     la novella corona,
                                    e di aver la mercé di
mie fatiche
                                    dall’onor
di un tuo amplesso.
20        ormisda         In ogni altro che in Cosroe, un
tanto eccesso
                                   si puniria di morte.[24]
                                   In
te a virtude, in te a natura il dono.
                                   Figlio,
vieni al mio amplesso, e ti perdono. (lo abbraccia)
            palmira          (A parte) Vil padre, e reo marito!
25        ormisda         Ma dopo il mio perdon, Cosroe, paventa
                                   di
provocar con altra colpa all’ire
                                    un amor che ti assolve.
Il novo giorno
                                    fuor di Tauri ti vegga. Ozio può solo[25]
                                    al corso di tue glorie
esser d’inciampo.
30                                Vuoi palme? Io te le
appresto;
                                    ma i miei comandi
attenderai nel campo.
            cosroe           Ubbidirò.
Tornerò al campo, o sire;
                                   ma
non senza Artenice. Ella è mia sposa.
                                    Tu sei sedotto da un amore ingiusto.
35                                 Ma di Ormisda son figlio:
                                    son del regno l’erede; e non degg’io
                                    soffrir ch’altri mi usurpi
                                   ciò
che per legge, e che per sangue è mio.
                                                Sino alla goccia estrema[26]
40                                            le mie ragioni al soglio,
                                                e quelle del mio amor difenderò.
                                                Quanto può s’armi, e frema
                                               odio, furore,
orgoglio:
                                               orgoglio,
odio, furor
45                                           col senno, e
col valor confonderò.
                                   SCENA
VI
                                   Ormisda,
e Palmira.
            palmira          Tanto ardisce il superbo,
                                   te presente, e te re?
            ormisda                                             L’indole
è fiera:
                                   ma
generoso il cor, l’animo eccelso.
            palmira          Scusalo pur. Ten pentirai, ma
tardi.
5          ormisda         Che far poss’io?
            palmira                                 Nulla, o signor: lasciarlo
                                   che
impunito egli corra,
                                   ove
alterezza, ove furor lo spinge.
                                   Povero
Arsace! Misera Palmira!
                                   Sarete
ancor sue vittime innocenti.
10        ormisda         Palmira, anima mia, di che paventi?
            palmira          Eh! Sì teneri nomi
                                   non
son più per Palmira. Il primo letto
                                   degno
è sol del tuo amor. N’ebbe il secondo
                                   sol
pochi, e freddi avanzi.
15                                Cosroe, che nacque al trono, è sol tuo sangue.
                                   Nacque
il povero Arsace alla sfortuna
                                   di
suddito, e di servo;
                                   e
gran colpa è per lui l’esser mio figlio.
            ormisda         Con sì ingiuste querele il cor
trafiggi.
20                                Cosroe è forse tuo re? Suo forse è il trono?
            palmira          Ma lo sarà. Lascia ch’io salvi Arsace    
                                   dal
suo primo comando.
                                   Non
ti chiede il mio pianto
                                    che a favor di una
moglie
25                                contra
un figlio crudel s’armi il tuo braccio.
                                    Chiede solo ch’io possa
                                    trarre i miei giorni in sicurtà di vita
                                    col caro Arsace. Un angolo
di terra
                                    a me basta per regno. Oh! Là talvolta
30                                 di te, Ormisda, mi giunga il dolce nome!
                                    Questo sia tutto il fasto mio. Se questo
                                    può turbar la tua pace,
                                    questo ancor niega.
Ormisda
                                    a me rammenterò, mirando Arsace.
35        ormisda         Tu
partir? Tu lasciarmi? È troppo ingiusto,
                                    mia cara, il tuo dolor.
Serena il ciglio.
                                    Son re. Palmira è moglie. Arsace
è figlio.
            palmira                       Moglie, è ver; ma non più quella
                                               cara,
e bella,
40                                            tua
delizia, e tuo riposo.
                                               Fiamma
ch’arde in cor di amante
                                               presto
manca in cor di sposo;
                                               e il possesso di un sembiante
                                               fa
ch’ei sembri men vezzoso.
                                   SCENA
VII
                                   Ormisda.
            ormisda         Che mi giova aver vinti
                                   e
ribelli, e nimici,
                                   se
guerra più crudel mi fanno i miei?
                                   Palmira,
Cosroe, Arsace,
5                                   tutti oggetti di amor, tutti di affanno,
                                    misero in me rendete
                                    il re, il marito, il
padre.
                                    Ah! Che se re non fossi, io non sarei
                                    sposo infelice, e genitor
dolente.
10                                 Questa corona, questa
                                    seme è degli odi.
Ambizione in armi
                                    mette il mio sangue, e
uccide la mia pace.
                                    O corona! O Palmira! O Cosroe!
O Arsace!
                                               Son da più venti
15                                            legno
percosso.
                                               Porto non veggio.
                                               Stella non ho.
                                               Tra le frementi
                                               torbide
brame
20                                            posso,
e non deggio.
                                               Voglio, e non posso.
                                               Penso, e non so.
                                   SCENA
VIII
                                   Galleria,
per cui si passa nel serraglio reale.
                                   Artenice,
ed Arsace.
            artenice       Quando l’ama Artenice, Arsace
piange?
            arsace           Che mi giova il tuo amor, quando ti perdo?
            artenice       Ti consoli il piacer di mia grandezza.
            arsace           Mi duol la mia, non la tua
sorte, o cara.
5                                   Regna pur col germano.
            artenice                                           Io con Arsace
                                   più
lieta regnerei. Ma come il posso?
                                    Comanda il genitor
che sia mio sposo
                                    di Ormisda il regio erede.
            arsace                                                           Io quel non sono.
                                    L’esser nato più tardi è
mia sventura.
10                                Ma di tante, che spargo
                                    nel mio avverso destin, lagrime amare,
                                    una sola non bagna
                                    il trono, da cui scendo.
                                    A te tutte le spreme il
mio dolore:
15                                a
te, mio solo fasto, e sol mio amore.
            artenice       Pera chi primo al mondo
                                   questa
introdusse empia ragion di stato,
                                    tiranna degli affetti.[27]
                                    Anime in libertà di amar chi piace,
20                                 quanto v’invidio! O padre,
                                    che non tormi il
diadema,
                                    e lasciarmi il mio cor?
Sarei di Arsace.
                                    Ma non son io regina?
                                    Basti, basti l’Armenia ad Artenice:
25                                 la Persia a Cosroe. Arsace, a un dolce affetto,
                                    già sacrifico un regno.
                                    Un tuo sguardo giocondo
                                    mi val più della
Persia, e più del mondo.
            arsace           Generosa Artenice, a sì gran prezzo
30                                non sarai mia. Ricuso
                                    un amor che ti rende
                                    meno giusta, e men grande.
                                    Regna sui Persi: io il primo
                                    sarò de’ tuoi vassalli.
35        artenice       O degno, o caro amante,
                                    spera. Chi sa? La sorte
                                    avrà forse rimorso, avrà rossore
                                    di scior nodo sì bel,
sì forte amore.
                                               Perché nacqui a regal
sorte,
40                                            in voi perdo, o luci amate,
                                               il mio bene, il mio piacer.
                                               O in amore
                                               pastorelle fortunate,
                                               quanto invidio al vostro core,
45                                            che sol ama per goder!
                                   SCENA
IX.
                                   Cosroe, ed Arsace.
            cosroe           All’aspetto
di Cosroe
                                   fugge
Artenice? Ho pena
                                    di aver turbati i vostri lieti amori.
            arsace           Ella da me prendea
5                                   tenero, sì, ma forse ultimo addio.
            cosroe           Ultimo?
Non mi offende; e ne ho pietade;
                                    e non senza dolor
sciolgo il bel nodo.
                                    Amo in te quella parte
                                   che comune al mio sangue è in te dal padre.
10                                 Ma quella che succhiasti
                                    dalle vene materne, è mia nemica.
                                    La matrigna m’insidia. Ella mi ha fatto
                                    di un fratello un rival.
            arsace                                                No. La mia
fiamma
                                    è colpa del mio cor,
non della madre.
15                                 Artenice l’ha accesa. E chi mirarla
                                    poteva, e non amarla?
            cosroe           Non
amarla potea, chi in Artenice
                                    vedea
la sua regina, e la mia sposa.
                                   SCENA
X
                                   Palmira,
e i suddetti.
            palmira          Né sposa tua, né tua regina ancora
                                   Artenice
non è (a Cosroe). Rabbia e orgoglio (ad Arsace)
                                    non ti spaventi. Amala, o figlio, e avrai
                                    quel diadema, e quel cor,
ch’ei ti contende.
5                                   Tel promette Palmira, e tel
difende.
            cosroe           In te, regina,
il grado eccelso onoro:[28]
                                    in te l’amor di Ormisda.
                                    Tu forse il mio rispetto
                                    interpreti a viltà.
Tenti sedurre
10                                l’amor del padre, e la
virtù del figlio.
                                    Ma...
            palmira                      Che vuoi dir?
            cosroe                                              Quel
figlio
                                   che
tu cerchi innalzar sovra il mio soglio...
            palmira          Segui.
            cosroe                      Ha
troppa virtù; tu troppo orgoglio.
            arsace           Ira il fratel trasporta, odio la madre.
15        palmira          Intendo. E madre, e figlio
                                   egualmente
minacci.
                                    Ma muovi terra e cielo:
                                    fa’ quanto puoi: superbo,
                                    regnerà Arsace, o
morirà Palmira.[29]
20        cosroe           Convien dunque ch’io cada;
                                   e che impotente sia
                                   questo
cor, questo braccio, e questa spada.[30] (mettendo
la mano sulla spada, e mezzo sfoderandola)
                                   SCENA
XI
                                   Ormisda,
e i suddetti.
            ormisda         Cosroe, qual turbamento? E qual
furore?
                                   La
man sul brando, e la regina è teco?
            arsace           O dèi!
            palmira                      Tu lo vedesti.
            cosroe                                              Avea sul ferro
                                    la destra, o re, ma solo...
5          palmira          Sol per lasciarlo immerso entro il mio seno.
            ormisda         Perfido!
            palmira                      Tu
opportuno
                                   giugnesti al mio periglio.
                                    Senza te; trema, iniquo;(verso Cosroe)
                                    peria la madre, e la
uccideva il figlio.(ad Ormisda)
                                   SCENA
XII
                                   Cosroe, Ormisda, ed Arsace.
1          cosroe           O matrigna
crudel! La mia innocenza,
                                   signor...
            ormisda                     Presente è Arsace.
            cosroe                                                          E
Arsace parli.
            arsace           Sì, sì: per l’innocente
                                   sarò
in difesa. Padre,
5                                   Cosroe voleva... (a parte) Ma accuserò la madre?[31]
            ormisda         Tu taci? Amor fraterno a che ti arresta?
                                    Dì. Qual furor l’ha
mosso
                                    all’atto reo?
            cosroe                                  Rispondi.
            arsace                                                           O Dio! Non
posso.
                                    Non accuso. Non difendo;
10                                e tacendo, non offendo
                                    né il rispetto, né l’amor.
                                    Se favello,
                                    alla madre, od al fratello
                                    son crudele, o traditor.
                                   SCENA
XIII
                                   Ormisda,
e Cosroe.
            cosroe           La regina
mi accusa.
                                   Il
fratel non mi scolpa. Io son tradito.
                                    Ma nell’odio dell’una,
                                    nel silenzio dell’altro un giusto padre
5                                   scorge la mia innocenza.
            ormisda                                             Orsù:
ti credo,
                                   qual
ti vanti, innocente.
                                    Cosroe, deh! Più di
freno al fasto, all’ira.
                                    In questi di mia vita ultimi giorni
                                    lasciami più di pace.
10        cosroe           Palmira
è ingiusta. Ella ama troppo Arsace.
            ormisda         Ma l’amor di Palmira in che ti nuoce?
            cosroe           Ella m’insidia
il regno: ella Artenice.
            ormisda          Sa Ormisda giudicar
tra moglie, e figlio.
                                   Giusto
mi troverai. Cosroe, abbi fede.
15                                 Tu l’amor sei del padre, e tu l’erede.
                                    Ma sappi ancor nella real
tua sorte;
                                    Palmira è tua regina, e mia consorte.
                                   SCENA
XIV
                                   Cosroe.
            cosroe           Perché
moglie, e regina,
                                   dovrà
la donna altera
                                    insultarmi? Accusarmi? Ed io soffrirlo?
                                    No. Mi si oppone invano amor paterno.
5                                   Figlio, ed amante io sono.
                                    Mia è la ragion. Voglio Artenice, e il trono.
                                               Vede quel pastorello
                                                l’avido
lupo ingordo,
                                                che
nel più scelto agnello
10                                             cerca
sfamar il dente; e sel difende.
                                                 Tal per difesa anch’io
                                                del
ben, che solo è mio,
                                                senno
userò, e valor
                                                contra
quel rio furor che mel
contende.
                                   SCENA
XV
                                   Mitrane,
e Cosroe.
            mitrane         Un più lento ritorno,
                                   principe,
ti togliea sposa, e corona.
            cosroe           Caro
Mitrane, al primo, e da te l’ebbi,
                                    nuncio de’ rischi miei,
volai dal campo,
5                                  e mi seguì de’ miei
soldati il fiore.
            mitrane         E ben d’uopo ne avrai. Sola Artenice,
                                    mal grado all’amor suo, finor sostenne
                                    la tua ragion.
            cosroe                                  Lo so; né in quel gran core
                                    mi fu debol soccorso il tuo consiglio.
10        mitrane         Dissi, e feci il dover. Ma contro forza
                                   ragion
che può? Qui non Ormisda: sola
                                    dà Palmira le leggi; e il re avvilito[32]
                                    a riceverle è il primo.
            cosroe           Cosroe lontan potea
temer; vicino
15                                confonderà
le trame.
            mitrane         Non basta il minacciar. L’opra si
chiede,
                                     ove il male sovrasta.
            cosroe           E che?
            mitrane                     Regnar convien. Se nol
rapisci,
                                   ti
è rapito il diadema.[33]
20                                 La regina ha sedotti e grandi, e plebe,
                                    duci, e soldati, e vuol che regni Arsace.
                                    Non osa il re. Fremono i buoni; e basta
                                    che lor capo tu sia.
            cosroe                                              Contro
di Ormisda?
            mitrane          Lasciar rapirti un
trono è debolezza.
25        cosroe           Ed è
impietà voler cacciarne un padre.[34]
            mitrane         Egli scender ne vuol, per darlo a un altro.
            cosroe           No, no:
mi è re: mi è padre.
                                   Di
figlio, e di vassallo
                                    sacri nomi, io vi sento, io vi rispetto.
30                                 Né sì estremo è il periglio
                                    che renda a mia discolpa
                                    necessario un misfatto.
                                    Si attenda ancor. Tengansi
pronte a l’uopo
                                    le difese, e le offese.
35                                Facciam
tremar chi ne minaccia. Voglio
                                    salvar, se posso, ed
innocenza, e soglio.
                                   SCENA
XVI
                                   Mitrane.
            mitrane         Quando può prevenir, vile è chi attende.[35]
                                   Numi
che in mano avete
                                    de’ regnanti il destin,
siate alle leggi
                                     e vindici, e custodi; e non lasciate
5                                  che un figlio erede
ingiustamente or cada;
                                    ed al vostro poter,
ministro, e servo
                                    per lui v’offro il mio
braccio, e la mia spada.
                                               Chi ha fede, e valore,
                                               la causa migliore
10                                            difender saprà.
                                               Né in onta, e sciagura
                                                di
legge, e natura,
                                               l’erede del regno,
                                               de’ Persi il sostegno,
15                                            cader si vedrà.
                                   SCENA XVII.
                                   Giardino con parco reale.
                                   Erismeno, e Palmira.
            erismeno       Quanto sono,
o regina,
                                   tutto
a te deggio; e l’opra
                                    ti farà testimon della
mia fede.
            palmira           Erismeno,
se un’alma
5                                  non
ti senti ben forte all’ardua impresa,
                                    non ti espor con tuo rischio, e con mio scorno.
            erismeno       Non temer. Novi
spirti
                                    già prendo dall’onor della tua scelta.
            palmira          Non è il real comando
10                                senza l’orror di una gran colpa.
            erismeno                                                      Toglie
                                   il
comando real nome alla colpa.[36]
            palmira          Cosroe di Ormisda è figlio.
            erismeno       Se meritate
ha l’ire
                                   di
te, donna real, Cosroe è
già reo.
15
            palmira          O di quante ha la Persia anime invitte
                                   specchio,
ed onor, già tutta in te ripongo
                                    la mia vita, il mio onor, la mia vendetta,
                                    e ne avrai la mercè.
            erismeno                                           Di mia
costanza
                                   è
stimolo il dover, non la speranza.
20        palmira                      Di cento e
cento belle
                                               a me ministre
ancelle,
                                               quella
sarà tua sposa
                                               che
più vezzosa,
                                               e
più amorosa
25                                            agli
occhi tuoi sarà.
                                               Ampio tesoro
                                               di gemme, e d’oro:
                                                titoli
egregi
                                                di onori, e fregi,
30                                             in ricca dote
                                                ti porterà.
                                   SCENA
XVIII
                                   Cosroe, ed Erismeno.
            cosroe           (A parte) Con Palmira Erismeno?
            erismeno       Qui Cosroe? Ei da me vide (sfodera uno stilo)
                                    partir la regal
donna.
                                   (A parte) D’arte più che d’ardir qui mi
fa d’uopo.
5          cosroe           Stringe
un acciar. Fissi or tien
gli occhi a terra.
                                   Or
li gira d’intorno. Or ferma il passo.
                                    Or frettoloso il move;
                                    ed è in atto il
sembiante
                                    di chi medita, e volge
10                                un certo che di
orribile, e di atroce.
            erismeno       Su: destra,
e che si tarda? (con voce alta, ma fingendo di parlar tra sé)
                                    Ubbidir qui convien.
Vano è il rimorso.
            cosroe           Che
sarà? Cauto, o Cosroe.
                                   (A parte) Da un’odio
femminil tutto si tema.
15                                (Ad alta voce) Dove, dove, Erismeno? (Erismeno
alla voce di Cosroe mostra di rimaner soprafatto, e di voler nasconder lo stilo)
            erismeno                                                                  O ciel!
            cosroe                                                                                  Quel ferro
                                   perché
ripor? Poc’anzi a che snudarlo?
            erismeno       Signor...
            cosroe                      Non
ti confonda
                                    or l’aspetto di Cosroe.
                                    Confonder ti dovea
quel di Palmira.
20        erismeno       Palmira?
            cosroe                       Sì. Negarlo
                                    potrai? Qui seco fosti. Ella qui a lungo
                                    ti favellò. Che ti commise? Il ferro
                                    a qual uso impugnasti?
                                    Scoprimi il vero, e in
mia bontà confida.
25        erismeno       Eccomi al
regio piede,
                                    indegno di perdono. O sorte infida!
            cosroe           Sorgi.
            erismeno                   No, no, Signor. Voglio a tue piante
                                   morir.
Non dee la terra
                                     più sostenermi. Io respirar più l’aure
30                                di questo ciel non deggio.
                                    Prendi tu questo ferro,
(dando lo stilo a Cosroe)
                                    e ascondilo in quel cor che un sol momento
                                    nudrir
poté l’idea della tua morte.
            cosroe           Della
mia morte? O numi! Ed era questo
35                                di
Palmira un comando?
            erismeno       Al suo
furore io la promisi. Allora
                                    deh! Perché dalle fauci
                                    non ripiombò la voce al core iniquo?
                                    Or tardo è il pentimento.
40                                Ferisci pur, ferisci.
                                    È più fier del tuo braccio il mio tormento.
            cosroe           Sorgi.
Del tuo delitto (Erismeno si leva)
                                   non
esigo altra pena,
                                    se non che in faccia al re, che in faccia al
mondo,
45                                della perfida donna
                                    parli sulle tue labbra
il reo disegno.
                                    Ritogliti il tuo ferro;
e fa ch’ei sia (gli rende lo stilo)
                                    prova dell’altrui colpa.
Altra vendetta
                                    da te non voglio, e il
mio perdono accetta.
50        erismeno       O perdono! O
pietà! Quanto m’imponi,
                                   farò.
Per Mitra il giuro;
                                    e s’anche vuoi ch’io volga
                                    di Palmira nel seno il
ferro istesso...
            cosroe           No, non
vendica Cosroe
55                                un
eccesso crudel con altro eccesso.[37] (si
parte)
            erismeno                   Udrà
la Persia, e il mondo
                                               la
barbara impietà.
                                               Ed all’atroce accusa
                                               più che alla ria sentenza,
60                                            infino l’innocenza
                                               di orror
si stordirà.
                                   Il fine dell’atto primo.
                                   ATTO SECONDO
                                   Spelonca consacrata a Mitra,
cioè al Sole, deità de’ Persiani, illuminata dal fuoco che arde sopra una grand’ara
avanti il simulacro dello stesso Mitra, e
da molte statue all’intorno, le quali sostentano facelle accese.
                                   SCENA
I
                                   Ormisda,
Palmira, Artenice, Cosroe, Arsace,
Erismeno, Mitrane, coro di ministri di Mitra,
satrapi, popoli, soldati Persiani ed Armeni, alcuni de’ quali portano rami di
palme, ghirlande di alloro, bandiere, trofei d’armi, ecc.
            coro                          Dio
del giorno, alma del mondo,[38]
                                               Mitra
invitto,[39] 
                                               nostro
nume, e nostro re:
                                               qual
da selce il foco ha vita,
5                                             vita
un sasso a te pur diè.[40]
            ormisda,
            cosroe e
            erismeno                   Sol per te cadde trafitto
                                               fier nimico
al nostro piè.
            coro                          Dio
del giorno, alma del mondo,
                                               Mitra
invitto,
10                                            nostro
nume, e nostro re.
            palmira
            e artenice                 Qui tributa al
tuo gran nume
                                               lauri,
e palme,
                                               puro
ossequio, ed umil fé. (gittano sul fuoco rami di alloro, e fasci di
palme)
            arsace
            e mitrane                   Sacra fiamma il don consume,
15                                            e
dia segno
                                               che
l’omaggio è grato a te. (facendo lo stesso)
            coro                          Spoglie
guerriere
                                               di
vinte schiere
                                               alla grand’ara
20                                            appendo
intorno. (appende una bandiera militare ad un lato dell’ara.)
            arsace                       Io quest’alloro
                                               pur
ti consacro,
                                               che
d’ostro, e d’oro[41]
                                               risplende
adorno. (appende anch’egli ad un altro lato dell’ara una ricca corona d’alloro.)
25        coro                          Dio
del giorno, alma del mondo,
                                               Mitra
invitto,
                                               nostro
nume, e nostro re:
                                               qual
da selce il foco ha vita,
                                               vita
un sasso a te pur diè.
                                   (Segue il ballo de’ ministri di
Mitra, i quali poi partono, seguiti da Erismeno, e da
Mitrane.)
                                   SCENA
II
                                   Ormisda,
Palmira, Artenice, Cosroe, ed Arsace.
            ormisda         Orché tutti al mio fianco
                                   siete,
figli, consorte,
                                    regina, amici, popoli, soldati,
                                    il re Ormisda vi parla, e qui vi parla
5                                   re per l’ultima volta. (si cava la corona di
capo, tenendola poscia in mano)
            arsace           (A parte) Che
sarà mai?
            palmira          (A parte)                       Taci, Palmira, e ascolta.
            ormisda         Nume, che sei di Ormisda, e sei de’ Persi
                                   deità
tutelar, genio sovrano,
                                    questo, che da più lustri[42]
10                                 cinsi al crine real,
cerchio gemmato,
                                    ecco depongo all’ara tua. Natura
                                    mel
diè. Virtù me lo difese. Or temo
                                    che in discordie sì rie mel serbi, o tolga
                                    un crudel
parricidio.[43]
15                                Prevengasi
il misfatto.
                                    Dio, che l’atto
magnanimo m’inspiri,
                                    reggi la mente tu, reggi
la voce
                                   di
chi al partico impero
                                    sceglier dovrà l’erede;
e fa’ ch’ei sia
20                                oracolo di pace, onde
sia spenta
                                    ogni rissa, ogni sdegno
                                   nel
mio cor, nel mio sangue, e nel mio regno. (si accosta
all’ara, e vi depone la corona)
            cosroe           Ciò che
mediti il padre, (verso Palmira)
                                   non
so. So che difesa
25                                 sarà da me l’alta ragion del trono.
            palmira          Ei cede il regno, e per Arsace io
sono. (verso Cosroe)
            ormisda         Artenice, tu vedi
                                    senza re la corona.
                                    Ella da te lo attende. Un voto istesso
30                                 a te darà lo sposo,
                                    alla Persia il monarca, a me la pace.
                                    Scegli, qual più vorrai,
Cosroe, od Arsace.
            palmira          Arsace, il re tu sei. T’ama
Artenice. (ad Arsace)
            arsace           Regina... (ad Artenice)
            cosroe                       Genitor...
(ad Ormisda)
            artenice                               Sulle
mie labbra,[44]
35                                principi,
non vi faccia
                                    né lusinga, né tema amore, o fasto.
                                    Virtù mi regge: e a te
mi volgo, o sire.
                                    Odi più che civili
                                    fremon nel sangue
tuo. Solo il rispetto
40                                 li contiene in dover. Sciorranno il freno,
                                     se tu cedi il comando.
                                     In Ormisda la Persia
                                     abbia il suo re: Cosroe, ed Arsace il padre;
                                     e perché sprone all’ire
45                                 più Artenice non sia, né metta in armi
                                     il fratel col fratel, col padre il figlio,
                                     prenderò al novo giorno
                                     ver l’Armenia il cammino. Ivi le leggi
                                     darò al popol vassallo; e là in riposo
50                                 nel figlio erede attenderò lo sposo.
            arsace            Deh! Qual crudel consiglio?
            artenice        Crudel,
ma necessario alla mia gloria.
                                               M’occupa il core
                                               la gloria mia.
55                                            Fasto, od amore
                                               nol
vincerà.
                                               La mia fortezza
                                               non cederà,
                                               né al genio altero
60                                            della
grandezza,
                                               né al dolce impero
                                               della beltà.
                                   SCENA
III
                                   Ormisda,
Palmira, Arsace, e Cosroe.
            arsace            Signor, parte
Artenice; e s’io la perdo,
                                   che
mi cal di grandezza?[45]
                                    Cosroe, prenditi il
regno,
                                     e lasciami quel cor.
            cosroe                                              No.
Son due beni
5                                  che
sgiunger non si ponno,
                                    scettro, e Artenice. O miei saranno entrambi,
                                    o entrambi tuoi; ma per
averli è forza
                                    che di Cosroe non viva altro che il nome.
            palmira           Vedi, o signor, qual implacabil core!
10                                La
bontà del fratello il fa più audace.
            arsace           Cosroe è crudele, e sfortunato Arsace.
                                               Padre, non curo il regno:
                                               madre, ho la vita a sdegno,
                                               senza la fida, e bella
15                                            anima del mio cor.
                                               Io non aspiro al trono. (verso Cosroe)
                                               Suddito nacqui, e il sono.
                                               Sol mi si lasci un bene
                                               che mio
già fece amor.
                                   SCENA
IV
                                   Ormisda,
Palmira, e Cosroe.
            ormisda          Dèi! Che far deggio?
            cosroe                                              Che? Riporti in fronte
                                   quella,
di cui non sei
                                    arbitro, ma custode, aurea corona.[46]
                                     Ella non può caderne
5                                   che non salga sul mio.
                                     Sinché Ormisda è monarca, io son vassallo:
                                     ma se il regno abbandoni, il re son io. (Ormisda ritorna all’ara,
e ne ripiglia la corona)
            palmira          Superbo! Ancor pretendi
                                   impor
leggi?...
            ormisda                                 Si
taccia.
10                                 Abbastanza soffersi.
                                    Riedi sulle mie tempia,
                                    fatal
diadema. Ormisda, (rimettendosi la corona in capo)
                                    in avvenir, non più marito, e padre,
                                    ma sol giudice, e re, nulla più curi
15                                 che l’onore del soglio.
            cosroe           Sì.
Giudice t’imploro, e re ti voglio.
                                   Esecrabil delitto
                                    qui ti accingi a punir. Resta, o regina,
                                     e mi faccia ragione anche il tuo aspetto.
20        palmira          Che dir vorrai?
            cosroe                                  Nulla, o regina, nulla.
                                   Io
tacerò; ma parlerà Erismeno.
            palmira          Erismeno? Dal campo ei teco
venne.
            cosroe           E a lui
poc’anzi favellò Palmira.
            palmira          Venga, venga Erismeno. Udrò, fin
dove
25                                giunga
l’altrui perfidia.
            ormisda                                             Eccomi al tanto
                                   mal
fuggito periglio.
                                   (A parte) È rea la moglie, od impostore
il figlio.
                                   SCENA
V
                                   Erismeno, e i suddetti.
            ormisda         Taccia ogni altro. Erismeno, a me
rispondi.
                                   Non
mentir. Non temer. Libero parla;
                                    e qualunque egli sia che a trama iniqua
                                    ti chiese opra, o consiglio,
5                                  più nol
celar.
            erismeno                               Qual fier
comando? Ah! Resti,
                                    resti, o sire, un arcano in me sepolto,
                                    che misero dee farti.
            ormisda         Lo so: ma parlò Cosroe; e non v’ha
scampo.
            erismeno       O Dio!
Perché parlar? Perché a sì dura
10                                necessità
costringer la mia fede? (verso Cosroe)
            cosroe           Ossequio,
e non pietà qui ti si chiede.
            erismeno       (A parte) Turbar tutto mi sento
                                   dall’aspetto
di Cosroe.
            palmira                                              E
che più tardi?
                                   Tanto
di mia reità dura il sospetto,
15                                quanto
il silenzio tuo.
            erismeno                                          Mio re, tu il vedi.
                                   Ambo
affrettan l’accusa,
                                    e in un sol v’è la colpa. Odila, o sire,
                                    ma solo, e non in faccia
                                    all’attonite genti.
20                                Risparmiati un orror. Conosci il reo;
                                    e poscia a tuo voler
punisci, o assolvi.
            ormisda          Seguimi. Ognun qui
attenda. O re infelice! (si ritira con Erismeno
nel fondo nella scena)
                                   SCENA
VI
                                   Palmira,
e Cosroe.
            palmira          Prence, dell’impostura
                                    si dileguan già l’ombre.
            cosroe           Tal ne
esulta in sembianza, e in cor ne trema.
                                    Vedi. Parla Erismeno.
Il re lo ascolta.
5          palmira          Parli. È il dover. Sol per sì illustre impresa
                                   fino
dal Ponto ei t’ha seguito in Tauri.
            cosroe           A chi
tuoi detti attende,
                                    io parrò il seduttor.
            palmira                                              Vedrem fra poco,
                                    chi ne avrà il dispiacer: chi la vergogna.
10        cosroe           Se
tradito io non son; tu l’uno, e l’altra.
            palmira                      Spesso nel
laccio istesso
                                               che
tende in altrui danno,
                                               cade
l’ingannator.
            cosroe                      Spesso
lo strale istesso
15                                            che
andò a ferir tropp’alto,
                                               scende
sul feritor.
            A 2                              Lagnasi, ma non giova;
            palmira                      e in
frutto del suo inganno,
            cosroe                      e
in pro de l’ardimento
20        A 2                             riporta
onta, e dolor.
                                   SCENA
VII
                                   Ormisda,
Erismeno, e i suddetti.
            ormisda         Stelle, a che mi serbaste?
                                   Qual
delitto? Qual reo punir convienmi?
                                    Oh non padre, oh non sposo, oh re non fossi!
                                    Ma non s’abbia alla pena
5                                  né riguardo, né fren, con chi non l’ebbe
                                    né all’offesa, né al
fallo.
                                    Adempiasi
giustizia
                                    del mio pianto anche a costo,
e del mio sangue.
            cosroe           Tolgalo il ciel. Mi basta
10                                che
tu sappia il delitto.
                                    Odio che tu il punisca.
                                    Grazia, o re; grazia, o
padre.
                                    Vaglia a chi errò, in
difesa
                                    l’esser femmina, e madre...
            ormisda                                                         Ah
scellerato!
15                                 Accresce l’ire mie la
tua impudenza.
                                    Chiedi grazia per te. Contra il tuo voto
                                    parlò il fido Erismeno.
                                    Innocente è Palmira. Il
tuo furore
                                    le insidiò vita, e
gloria.
20                                Il perfido tu sei: tu il
traditore.
            palmira          (A parte) Io già trionfo.
            cosroe                                               O cieli!
                                   Tradito
io son. Re, sei deluso. Iniquo,[47]
                                    che dir potesti?
            erismeno                               Il vero.
                                   Io
tacer lo volea. Tu m’hai costretto.
25        cosroe           La tua
vita...
            erismeno                               Lo so: non avrà scampo
                                   dall’ire
tue. Prendila, e questo acciaro
                                    ne sia ministro. Il riconosci? Io l’ebbi
                                    da te. Puoi tu negarlo?
            cosroe           Pria da
Palmira...
            erismeno                              Ed
in qual uso io l’ebbi?
30                                inorridì
al comando
                                    stupida l’alma. Il ricusai. Tu allora[48]
                                    la regal donna ad accusar
m’hai spinto
                                    del non suo fallo. Inevitabil morte
                                    m’era un altro rifiuto.
35                                Promise il mio timor:
con qual de’ miei
                                    pensieri orror, voi lo scorgeste, o dèi.
            ormisda         Perfido! Che dir puoi? Già sei convinto.
            cosroe           Signor,
tutto è bugia: tutto è impostura.
                                   Facciasi in rii tormenti
40                                 quel perverso disdir.[49]
            palmira                                              Perché
punirlo?
                                   La
sua sincerità sarà sua colpa?[50]
            cosroe           Sì tosto
vieni in sua difesa? E tanto
                                   temi
che in morte parli il suo rimorso?
            ormisda          Non più. Guardie.
            cosroe                                               Già intendo,
45                                mi
si vuol reo. Prenditi il ferro. Oscura (gitta
la spada a piè di Ormisda)
                                   prigion mi tolga al giorno.
                                    Colà, regina, attenderò
quel fato
                                    che uscirà dal tuo
labbro a condannarmi.
                                    Al re tu dai le leggi
50                                con l’odio tuo. Serve il
suo amor: ma temi
                                    che Cosroe
in libertà non torni ancora.
                                    Forse da quel furor che m’arde in seno,
                                    nulla te salveria, né il tuo Erismeno.
                                               Leon feroce, che avvinto freme,[51]
55                                            ma non si teme;
                                                se avvien che spezzi cancelli, e nodi,
                                               i suoi
custodi
                                               tremar farà.
                                                Quel fiero dente per monte, e piano
60                                            di
brano in brano spargerà l’erbe;
                                               e sarà vano 
                                               gridar pietà.
                                   SCENA
VIII
                                   Ormisda,
Palmira, ed Erismeno.
            ormisda         In van minacci. Ostane a te il consegno,[52] (partono
le guardie di Ormisda)
                                   non
temerne, Erismeno.
                                    Fosti fedel. Colpa
fuggisti, ed onta.
            erismeno       De’ mali,
infamia, e colpa è sol l’estremo.
5                                  L’innocenza
ho difesa, e nulla temo. (si parte)
            ormisda         E tu più non lagnarti, o mia diletta.
            palmira          Giusti forse non sono i miei sospiri?
            ormisda         Confusa è la calunnia, e tu n’hai gloria.
            palmira          Un momento fui rea nel cor di
Ormisda.
10        ormisda         Dopo il trionfo tuo più t’amo, o cara.
            palmira          Ma diviso è il tuo amore
                                   tra
una moglie innocente, e un empio figlio.
            ormisda         Io più Cosroe amerei? Lui, che mi
offese
                                   nella
parte miglior dell’alma mia?
15        palmira          Ei le schiere lasciò: n’ebbe perdono.
                                   In
me strinse l’acciar: tu nol
credesti.
                                    M’insidiò: mi accusò: ne
andrà impunito.
                                    Guai per me, se mio fosse
                                    de’ suoi falli il minor.
Non troverei
20                                sì buon marito in te,
com’ei buon padre.
            ormisda         Prigionier tu il vedesti, e cieca
torre[53]
                                   serve
a lui di sepolcro.
            palmira          Eh! Dove un padre è re, non teme un figlio.
            ormisda         Vorresti ch’io portassi
25                                fin
nel seno di lui ferro omicida?
            palmira          Così ingiusta non son. Rispetto i
sacri
                                   vincoli
di natura.
                                   Ma
di natura è sacra legge ancora,
                                    cercar di non perir. Piacesse al cielo
30                                che si agitasse il fato 
                                    della sola mia vita:
                                    io la darei contenta al
ben di Ormisda.
                                    Ma sono madre, e
oppresso
                                    meco cadrebbe il caro
figlio. È questo,
35                                questo il mio gran
timor. Salvami Arsace,
                                    dolci viscere mie.
Salvami Arsace,
                                    che è pur viscere tue,
padre, e consorte:
                                    e se il prezzo io ne
son, dammi anche morte.
            ormisda         Mitrane a me. Vanne, e sii lieta. In breve
40                                vedrai,
se a cor mi sien Palmira, e
Arsace.
            palmira                       In te riposo,
                                               mio dolce sposo.
                                                Tu sconsolata
                                               non mi
lasciasti mai partir da te.
45                                            Ma lieto, o rio
                                               destin ti fosse,
                                               ti resi anch’io
                                               amore per
amor, fede per fé.
                                   SCENA
IX
                                   Ormisda,
e Mitrane.
            ormisda         Mitrane, oggi in Arsace
                                   abbia
Persia l’erede:
                                    Artenice lo sposo. Il lieto avviso
                                    nell’amante assicuri i
dubbi affetti.
5                                  Persi, ed Armeni indi
nel campo aduna,
                                    ove all’atto solenne
ognun presente
                                    giuri l’omaggio, e alla
mia scelta applauda.
            mitrane         Signor, del zelo mio scusa l’ardire.
                                   A
Cosroe tu sei padre.
10        ormisda         Son più padre al mio regno, ed io gli deggio
                                   in
erede un buon re, non un malvagio.
            mitrane         Prove hai di sua virtù; né d’impostori
                                   son
mai scarse le reggie.
            ormisda         Da quest’occhi convinto, io non m’inganno.
15        mitrane         Ma credi tu che il regno
                                   soffrir
vorrà delle sue leggi il torto?
            ormisda         Me vivo non ha loco
                                   del
successor la legge,
                                   se
non a grado mio.
20        mitrane         Se scorger vuoi tutto in tumulto, e in armi...[54]
            ormisda         Saprà metterlo in calma,
                                   quando
astretto io vi sia, del reo la testa.
                                   Vanne.
De’ tuoi consigli or non ho d’uopo.
            mitrane         Il ciel meglio t’inspiri,
25                                o
faccia che sien vani i miei presagi. (si parte)
            ormisda         Fingo costanza: uso rigor: ma sento,
                                   or regnante, or marito, or genitore,[55]
                                    da mille affanni lacerato il core.
                                               Son
come annoso platano
30                                            che in vista altero e immobile
                                                sfida dell’Austro i sibili;
                                                ma il rodon tarli, e vermini,
                                               che a terra
il fan cader.
                                                Questi ori, e queste porpore
35                                           pur male il
re difendono.
                                               Egli può far
più miseri:
                                                ma per non esser misero
                                                egli non ha poter.
                                   SCENA
X
                                   Bipartita
di portici sostenuti a doppio ordine di colonnati, che introducono a’ bagni reali.
                                   Artenice
con seguito di Armeni, e poi Mitrane.
            artenice       Affetti del cor mio, siete infelici,
                                    sol perché generosi.
                                    Abbandonar conviene il caro Arsace.
                                     Lo diceste; e si faccia.
5                                   Entrar può pentimento in sen di amante:
                                     non in quel di regina.[56]
            mitrane          Regina, a novi mali
                                   novi
rimedi. Il tuo partir da questo
                                    torbido infausto cielo era poc’anzi
10                                necessario consiglio alla
tua gloria.
                                    La tua gloria in soccorso
                                     dell’oppressa innocenza or qui ti arresta.
            artenice        Che fia?
            mitrane                     Cosroe è prigion.
            artenice                                                       Per
qual disastro?
            mitrane         L’odio della matrigna, e la perfidia
15                                di
un sedotto vassallo
                                    colpevole lo fanno appresso il padre.
            artenice        Di che?
            mitrane                     Di trama
ordita
                                   a
danno di Palmira. Ad Erismeno,
                                    suo accusator, crede l’accuse
il padre:
20                                soverchio amor tanto il
trasporta, e accieca.
            artenice       Alla virtù del prence
                                   è
più giusto il mio cor.
            mitrane                                             Giustizia
eguale
                                   gli
usan satrapi, e duci. Ognun ne freme:
                                    ma nessun osa. Intanto
25                                Cosroe
è in periglio: Ormisda in ira; ed oggi
                                    vuol che il regno in Arsace abbia l’erede;
                                    Artenice lo sposo; e per
sua legge
                                    ne reco a te l’avviso,
al campo il cenno.
            artenice       Deh! Che mi narri? Arsace
30                                oggi
al trono paterno? Oggi al mio letto?
            mitrane         Sì, qualor tua virtù non vi si
opponga.[57]
                                    Dura impresa al tuo
amor: ma se lo ascolti,
                                    di te che si diria?
Che fosti il prezzo
                                    dell’altrui tradimento,
e ch’ei ti piacque.
35                                Quegli, cui giova il
male,
                                    n’è creduto l’autor. Con
sì rea fama
                                    qual da’
sudditi amor? Qual dagli estrani
                                     lode a te ne verria? Qual sovra il trono
                                    sicurezza per te? Qual
per Arsace?
40                                Cosroe
vivo, od ucciso
                                    è ugualmente a temer.
Soldati, e plebe
                                   coronato
il vorranno, o vendicato.
                                    Io ne tremo per te.
            artenice                                           Lodo il tuo zelo.
                                   Accuso
il tuo timore.
45                                 Cosroe vuoi salvo? Io
pur lo bramo. All’opra
                                    moverò Arsace, e tu
disponi il campo.[58]
                                    Seguanti
i miei: ma forza
                                    si
adopri allor, che più non giovi ingegno.
            mitrane         Nata a regnar, tal ben cominci il regno.
50                                            Segui a regnar così sul proprio cor;
                                               e facil ti
sarà
                                               regger a senno tuo l’altrui dover.
                                                Se
in lega, e in amistà
                                                con la virtude ognor fosse il poter,
55                                            pace saria
il regnar,
                                               ed il servir piacer. (si parte
seguito dagli Armeni di Artenice)
                                   SCENA
XI
                                   Artenice,
ed Arsace.
            artenice       Viene Arsace. Sostengami
virtude.
            arsace           In sì strane vicende
                                   di
fortuna, e di amor, non so, Artenice,
                                    che sperar, che temer. L’altrui sciagura
                                    mi fa re, mi fa sposo:
5                                  ma se manca il tuo voto,
                                    resto misero ancor.
            artenice                                           Ben
temi, Arsace:
                                    non ch’io fugga quel ben
che mi si appresta
                                     nel tuo possesso. Io fuggo
                                    la man che mel presenta, empia, e tiranna.
10                                Un figlio si condanna
                                    sol dell’altro in favor.
            arsace                                               Cosroe
fu iniquo...
            artenice       Tal lo creda chi ‘l finse.
                                    Io l’assolvo, e tu stesso
                                    gli faresti ragion, se non mi amassi.
15        arsace           Deh! Che creder poss’io
                                     di cotesta pietà, con cui l’assolvi?
            artenice       E che pensar degg’io
                                     di cotesta viltà, con cui ‘l condanni?
            arsace           Lo condanna un re padre.
20        artenice       Piuttosto un re marito. Odimi, Arsace,[59]
                                   la
sciagura di Cosroe
                                    può farti re, ma non mio sposo. Io t’amo
                                     col più tenero amore,
                                     e col più generoso.
25                                Segui l’esempio mio.
Trono, cui base
                                     sia la ruina altrui, più che lusinga,
                                    ti faccia orror. Cosroe difendi, e in lui
                                    salviam
la nostra gloria.
                                    E comunque di noi
disponga il fato,
30                                rendiamoci più degni
                                     io di te: tu di me. Soffriam miseria;
                                    ma non rossor. Vero, e durevol bene
                                    la colpa no: sol la
virtù l’ottiene.
                                                Son amante
35                                             del
tuo cor, del tuo sembiante;
                                                ma
se quel reo fosse, e vile,
                                                né men questo io più amerei.
                                               Sii tu forte,
e poi la sorte
                                               far potrà ch’io
tua non sia:
40                                            non mai torti, anima mia,
                                               gl’innocenti
affetti miei.
                                   SCENA
XII
                                   Arsace, poi Palmira, ed Erismeno.
            arsace           Vergogna, o cor di Arsace,
                                   che
una donna t’insegni ad esser forte.
                                    Qui vien la madre, ed Erismeno
è seco.
                                    Si ascoltino in disparte. Io temo inganni.
5                                   Altri ne udii poc’anzi, allor che tacqui,
                                    e n’ebbi orror. Sol per soffrire io nacqui. (nascondesi
dietro le colonnate de’ portici)
            erismeno       Ben
cominciammo: è vero:
                                    ma il più resta a
compir. Cosroe ancor vive.
            palmira           Fra ceppi, ed impotente.
10        erismeno       Ei può sortirne,
e sue minacce udisti.
            palmira          Troverà Arsace e coronato, e
sposo.
            erismeno       Eh! Regina,
se l’ami,
                                   non
lo creder ben fermo in sua grandezza,
                                    finché Cosroe
respiri.
15        palmira          Che far vorresti?
            erismeno                                           Un colpo
                                   degno
della mia fede.
                                    Dammi il tuo voto; e il prigionier
nimico
                                    ucciderò. Lo custodisce Ostane,
                                     e di Ostane dispor posso a mio grado.
20        palmira          No. Sovente un rimedio
                                   che
troppo è violento,
                                    in luogo di sanar, nuoce, ed uccide.
                                     Il colpo n’esporrebbe al comun odio,
                                    e a quel del re. Ma il
re dee farlo; e il faccia.
25                                Lasciane a me il pensier.
            erismeno                                                      Mi acheto,
e taccio.
            palmira          Cosroe ben custodisci.
            erismeno       Senza il mio
cenno a tutti
                                   se
ne vieta l’ingresso;
                                    e forza nol potria: che, se il tentasse,
30                                lui troverebbe entro il
suo sangue involto.
                                    Tanto imposi ad Ostane,
e ne ho la fede.
            palmira          Per te Arsace sarà sposo, ed
erede.
            erismeno                   Non sortirà
                                               di
sua prigione
35                                            quel fier
leone
                                               che ne minaccia,
                                                e insieme perderà vendetta, e vita.
                                                Orror di colpa
                                               non mi tormenta.
40                                            Timor di pena
                                               non mi spaventa.
                                                Ch’esser
suol fortunata un’alma ardita.
                                   SCENA
XIII
                                   Palmira,
ed Arsace.
            palmira          (A parte) Quanto
è fido Erismeno!
            arsace                                                                       O dèi!
Che intesi?
            palmira          Tu Arsace qui?
            arsace                                   Così
nol fossi, e fossi
                                   o
tra i barbari sciti,
                                     o tra i libici mostri.[60]
5          palmira          Perché?
            arsace                        Povero Cosroe!
Empio Erismeno!
                                    Ahi! Che facesti, o madre? Ahi! Che far tenti?
            palmira          Intendo. Il tutto udisti.
            arsace           E tanto orror mi si svegliò nell’alma,
                                   che
quasi m’increscea d’esser tuo figlio.
10        palmira          Semplice! In tuo riposo
                                   travaglio,
e in tua grandezza; e te ne incresce?
            arsace           O piuttosto ti adopri in mia ruina.
            palmira          Sì non dirai, sovra del trono assiso,
                                   e
al fianco di Artenice.
15        arsace           No, no: quello rifiuto, e a questa in odio
                                   sarò,
se l’empie trame io non recido. (furioso, e in atto di partire)
            palmira          Dove ten vai?
            arsace                                   Del perfido Erismeno
                                   a
punir con la morte il tradimento.
            palmira          Ingrato! E poi Palmira
20                                vattene
ancora ad accusare al padre,
                                   e
in salvando il fratel, perdi la madre.
            arsace           Oimè!
            palmira                      Qui vieni, e giura
                                   di
tacer quanto udisti.
            arsace           Sono a Cosroe germano...
            palmira                                                         E a me sei
figlio.
25        arsace           Movati l’innocenza...
            palmira          Eh! Di cor generoso or non è tempo.
                                    Giura, diss’io.
            arsace                                   Per
la salute il giuro
                                   di
Ormisda, e per la tua.
            palmira                                              Giurami ancora
                                   di
nulla osar contra Erismeno.
            arsace                                                           Il giuro.
30        palmira          Arsace, è un gran difetto
                                   virtù
troppo guardinga.
                                   Tu
del regnar nell’arti
                                    giovane ancor sei: sei poco esperto.[61]
                                    Chetati, e all’amor mio
lascia guidarti.
35                                            Vedi la navicella
                                               che
senza la sua stella
                                               erra fra rupi, e sassi, e resta
assorta.
                                               Torbida è l’aria, e l’onda;
                                               ma afferrerai la sponda,
40                                            se presso a me verrai, tua fida
scorta.
                                   SCENA
XIV
                                   Arsace.
            arsace            Giurai, ma senza offesa
                                   del
mio dover. La madre
                                    non mi vedrà spergiuro:
                                    non ingiusto l’amante.
5                                  Salverò Cosroe iniquamente oppresso.
                                    Vincerò il padre, e
tradirò me stesso.
                                                Che vuoi far, povero Arsace?
                                                Dei pugnar contra il tuo core.
                                               Dei nimico
alla tua pace
10                                           cercar danno,
e amar dolore.
                                    Il fine dell’atto secondo. 
                                   ATTO TERZO
                                   Sala rappresentante la reggia
di Marte.
                                   SCENA
I
                                   Ormisda
con guardie.
            ormisda         A me Cosroe si guidi. In quanti affanni
                                   l’anima
ondeggia! Al fianco di Palmira
                                    non so d’esser che sposo; e lei lontana,[62]
                                    sento che ancor son padre.
5                                  O re nato a servir!
Tiranni tuoi...
                                   SCENA
II
                                   Palmira
con guardie, e Ormisda.
            palmira          Sì: re nato a servir, poiché lo vuoi.
            ormisda         Palmira...
            palmira                                  Nol diss’io che al figlio iniquo
                                   dato
avresti perdono?
            ormisda                                             Io perdonargli?
            palmira          Eh! Son tuoi sdegni, Ormisda,
10                                spurio
ed errante foco,
                                    senz’ardor, senza possa,
e che si volge,
                                     dovunque ogni aura lo sospinge, e il preme.
            ormisda         Non temer da pietade ira in me
vinta,
                                   s’ei
ti nieghi compenso.
            palmira                                              E
qual può darlo?
15        ormisda         Implorando al tuo piè grazia, e perdono.
            palmira          Pentito del suo error, Cosroe al mio piede?
            ormisda         Rimorso di suo fallo,
                                   timor
di suo periglio, amor di regno
                                     domo avranno quel cor.
            palmira                                              Quel
cor superbo?
20        ormisda         E se umil ei ti prieghi?
            palmira          Lo fingeria, per poi tradirne entrambi.
            ormisda         Ceda in prova Artenice; e con lei regga
                                   gli
Armeni Arsace, e con me Cosroe
i Persi.[63]
            palmira          Venga. Vi aggiungo il voto, (si parte una delle sue
guardie)
25                                 per non parer troppo ostinata, e ria;
                                    ma il credi a me:
nulla otterrai.
            ormisda                                                         Più
giusta
                                   sarà
allor la sua pena, e l’ira mia.
                                               Stringe
una mano il fulmine:
                                               grazia
tien l’altra e vita;
30                                            e il figlio eleggerà.
                                                Di
lui son padre, e giudice:[64]
                                                 giudice, se vuol
pena:
                                                padre, se vuol pietà.
                                   SCENA
III
                                   Cosroe con guardie, Ormisda, e Palmira come in disparte.
            cosroe           Palmira
qui? Solo ingiustizia attendo.
            ormisda         Cosroe, tempo non è di usar
fierezza.
                                   Chi
finor ti fu padre,
                                    esser brama ancor padre. Ei sa tue colpe,
5                                   e il far ch’egli le obblii, da te dipende.
                                    Orgoglio in te ne
fremerà: ma sappi
                                    che, chi sprezza bontà,
provoca a sdegno:
                                    che il castigo è in mia
man: che tuo re sono;
                                     e che un sol tuo rifiuto
10                                porrà te nella tomba, e Arsace in trono.
            cosroe           In tua
mano, o signor, stan vita, e morte:
                                    lo so. Se nel tuo core
                                    trionfa la calunnia, io piego il capo,
                                    né d’ingiusto ti accuso.
15                                Ma se vuoi legge impormi
                                    che il chiaror del mio nome adombri, e copra,
                                    sappi tu ancor che mali
                                    non paventa l’innocenza:
                                    che chi visse all’onore,
20                                viver non sa all’infamia;
e che la morte
                                     fa meno orror che la viltade
al forte.
            ormisda         La viltà sta nel fallo,
                                   e
non nel pentimento. A chi oltraggiasti,
                                    chiedi perdon dell’impostura
atroce.
25                                Sua bontà ne fia paga; ed io ti assolvo.
            cosroe           Che?
Palmira al suo piede
                                   Cosroe vorria? Ch’ei confessasse
il fallo,
                                    ricevendo il perdono?
                                    Uom, qual io, non ha
colpa, o l’ha da grande.[65]
30                                Entrar ne’ regni tuoi:
del mio retaggio
                                    sostenere i diritti; e
dalle braccia
                                     di Arsace, e di Palmira
                                    trarre Artenice, esser potean mie colpe,
                                    se mia fede, e rispetto eran men forti.
35                                Sol per l’anime basse è l’impostura;
                                    e dove abbondan le querele, e gli odi, (guardando verso Palmira)
                                    di femmina è costume
usar le frodi.
            ormisda         Quale audacia?... (Palmira si avanza)
            palmira                                  No,
Ormisda.
                                   Giusto
non è che mi si vegga al piede
40                                 un vincitor dell’Asia, un regio erede.
                                    Ei non errò; e se volle
                                    me di obbrobrio coprir,
scusane l’odio,
                                    e scusane l’amor. Rival gli è Arsace,
                                     e matrigna Palmira; e tu ben sai,
45                                quanto feroce tiranneggi
un core[66]
                                    instinto
d’odio, e gelosia di amore.
            cosroe           Madre in
favor di figlio
                                   mai
non parlò, qual tu, regina, in mio.[67]
            ormisda         Sempre il perfido è ingrato.[68]
50                                Orsù:
tentisi ancora
                                    una via per salvarti, e sia l’estrema.
                                    Tu successor di Ormisda,
                                    regna su’ Persi; e sposo
ad Artenice
                                    dia le leggi all’Armenia
il tuo germano.
55        cosroe           In
prezzo di Artenice
                                   tu
non m’offri, o signor, che un ben già mio.
                                    Nello stesso momento
                                    nacqui al regno, e alla
vita. Ambo mi desti:
                                    ambo insieme puoi tormi.
60        ormisda         E li torrò. Della real possanza
                                   oggi
vestirò Arsace. A lui mio erede
                                    fia congiunta
Artenice;
                                    e de’ pubblici «viva» il
lieto suono
                                    udrai dal carcer tuo.
            cosroe                                              Ci vuole, o sire,
65                                ci
vuole il sangue mio, per compir l’opra.
                                    Per Cosroe anche fra
ceppi
                                    tremino e madre, e figlio;
                                    tu immortal
non nascesti; e s’ami Arsace,
                                    te lo consiglio, o non
alzarlo al trono,
70                                o con la morte mia
glielo assicura.
                                     Previeni il suo periglio;
                                    e un figlio salverai,
perdendo un figlio.
                                               Sì, un figlio: ma quale?
                                               Invitto,
leale:
75                                            che vinse, ch’estinse
                                                nimici, rubelli:
                                                che far, né soffrire
                                               mai seppe viltà.
                                               In figlio sì indegno
80                                            giust’è
che lo sdegno
                                                di un padre si accenda:
                                                che
premio gli renda
                                                di pena, e di morte;
                                               né gli usi pietà.
                                                                       
                                   SCENA
IV
                                   Ormisda,
e Palmira.
            ormisda         Oimè!
            palmira                      Tu torni,
Ormisda,
                                   a’ tuoi primi timori.
            ormisda                                             Ultimo
sforzo
                                   di
un amor moribondo. Andiam, Palmira,
                                    di Cosroe in onta a
coronare Arsace;
5                                   e al nuovo re si lasci
                                    sul destino di Cosroe arbitrio intero.
            palmira          Figlio, avrai della Persia anche l’impero.
                                   SCENA
V
                                   Erismeno, e i suddetti.
            erismeno       Signore, al vicin mal pronto riparo.
            ormisda         Che avvenne?
            erismeno                               Il campo è in armi;
                                   e
Cosroe in re si acclama.[69]
            palmira          O cieli!
            erismeno                   Ed
alla testa
5                                  n’è
il perfido Mitrane.
            ormisda         Mitrane ebbe il mio cenno...
            erismeno                                                      E
ti ha tradito.
            palmira          Il fellon!
            ormisda                     Che far deggio?
            erismeno       Lasciar, per
esser re, d’esser più padre.
            ormisda         Solo in udirlo raccapriccio. Un figlio?
10        erismeno       Un reo
figlio non è che un reo vassallo.
            ormisda         Colpo sì atroce irriteria il
tumulto.
            erismeno       Dì che lo arresteria. Toltone il capo,
                                   muor negli altri l’ardir: manca il pretesto.
            ormisda         Palmira, non ho cor: dammi
consiglio.
15        palmira          Veggo il tuo danno, e piango il
tuo periglio.
            erismeno       Eh!
Risolviti, o sire.
                                   O
punire, o servir. Cosroe anche lungi
                                    meditò tua ruina. Il fier
disegno
                                    qui lo trasse dal Ponto,
e vel seguiro
20                                duci, e soldati; e se
più tardi ancora...[70]
            ormisda         Rubello, e traditor? Convien ch’ei
mora.
                                   Già
natura vi assente.
                                    Ei fu il primo a oltraggiarla. O figlio! O
figlio!
            erismeno       Regina, il
passo affretto,
                                    pria che quel debol cor tremi, e si penta.
                                   SCENA
VI
                                   Ormisda,
e Palmira.
            ormisda         Partì Erismeno. Or tu sarai
contenta.
            palmira           Ormisda, al tuo dolor non darti in preda.
            ormisda         Lasciami. Per te feci
                                   più
di quel che dovea. Della cittade
5                                   provvedi, e della reggia alla difesa.[71]
                                    L’angoscia mia senno mi
toglie, e core.
            palmira          Veglieranno per te fede, e valore.
                                               Parte troncar col ferro infetta, e guasta
                                               dà pena ad egro sangue;
10                                           ma poi gli dà
vigor.
                                               In mal che
rio sovrasta,
                                                trar suol medica mano il
peggior sangue,
                                                e con crudel pietà salva il
miglior.
                                   SCENA
VII
                                   Ormisda.
            ormisda          Colpe di figlio reo,
protervia, orgoglio,
                                   tradimento,
impostura,
                                    venite in mio soccorso, e sostenete
                                     le ragioni di un re che lo condanna.
5                                   Tutto io fei per
salvarlo:
                                    ei tutto per perir.
                                   SCENA
VIII
                                   Arsace, e Ormisda.
            arsace           Padre, qual voce?
                                   Condannato
da te Cosroe avrà morte?
            ormisda         Sì: morte avrà: già la sentenza è data.
10        arsace           Può revocarla il re: la deve il padre.
            ormisda         Il padre, e il re sono egualmente offesi.
            arsace           Quanto Cosroe è infelice!
            ormisda                                                        E
quanto iniquo!
                                   La
tua pietà non ha per lui discolpe.
            arsace           Le avria... ma...
            ormisda                                 Che
ti arresta?
15        arsace           O
Dio! Salvalo, o padre,
                                    troppo importa un momento.
                                    Parlar potessi! (a parte) O madre! O giuramento!
            ormisda         Figlio, il vorrei: ma data è la sentenza.
            arsace           Deh! Per queste, ch’io spargo (s’inginocchia)
20                                lagrime
al regal piè; deh! Se pur m’ami,
                                    a me rendi il fratel: rendi a te il figlio.
                                    Tardo poi lo vorrebbe il
tuo dolore.
            ormisda         Non più: già cede l’ira, e piange amore.
                                   Vanne.
Sospendi... Ma il real decoro?... (Arsace si leva)
25        arsace           Qual decoro ti fingi in crudeltade?
            ormisda         Deggio al campo rubel tronco quel capo.
            arsace           Furor vi crescerebbe in tuo
periglio.
            ormisda          I rimproveri udrei d’irata
moglie.
            arsace           La madre placheran pianti di
figlio.
30        ormisda         Salvando lui, perdi Artenice, e il trono.
            arsace           In odio a me, se lui non salvo, io sono.
            ormisda         Vincesti. Al carcer vanne.
                                   Artenice
vi guida; e fa’ che Cosroe
                                    ti ceda in lei le sue ragioni. Espugna
35                                 quel fiero cor.
Piangi. Minaccia. Prega.
                                    Abbia vita, se il fa:
morte, se il niega.
            arsace           O due volte a me padre! A Cosroe
io vado.
                                   Ma
come entrar?
            ormisda                                             Prendi
il mio regio anello. (gli dà l’anello reale)
            arsace           Non basta.
            ormisda                                 E vengan
teco i miei custodi.
40        arsace           Ah! Tu nol sai. Tentar l’ingresso
a Cosroe
                                   è
un affrettarne il fato.
            ormisda         Perché?
            arsace                       Tacer mi è forza.
            ormisda         Sempre novelli arcani in mio tormento?
            arsace           Parlar potessi! (a
parte) O madre! O giuramento!
45        ormisda         Qui attendi. A quai vicende un re soggiace! (si parte)
            arsace           Oh! Per me spunti alfin raggio
di pace.
                                               Un’aura placida
                                               mi vien d’intorno;
                                                e
il fosco nubilo
50                                            ne rasserena.
                                               L’alma lusingasi
                                               di più bel
giorno:
                                                l’alma che torbida
                                                sinor fu in pena.
                                   (Ritorna
Ormisda, e dà ad Arsace una chiave dell’uscio segreto
delle prigioni reali)
55        ormisda         Prendi, Arsace. Con questa
                                   sicuro
avrai nella prigion l’ingresso.
                                    La via ti è nota, e ne sai l’uscio, e il varco.
                                     Oh! Si plachi al tuo dir l’alma orgogliosa.
            arsace           Oprerò quanto deggio: in me riposa.
60        ormisda                      Siepe di spini al core
                                               fan pietà, sdegno, amore,
                                               e
nel volerlo tutti, ognun lo straccia.
                                               Rendersi a lui non giova:
                                               che mentre ognun lo trova
65                                             sì
informe, e sì meschin, l’odia, e lo scaccia.
                                   SCENA IX.
                                   Prigione.
                                   Cosroe incatenato per un braccio ad un sasso.
            cosroe           Genti
che vi lagnate
                                   di
re ingiusto talvolta, e di re iniquo,
                                    mirate il mio destin.
Principe, e figlio
                                    trovo un padre crudel,
trovo un re ingrato.
5                                  Questo braccio, il
sapete,
                                    colse lauri, e trofei. Sostenne il regno.
                                    All’oppressa virtù diede soccorso:
                                    a’
miseri rifugio: a’ rei spavento.
                                    Eccolo in ferrei ceppi;
e tal riporta,
10                                tanto può iniquità!
grazia, e mercede.
                                    Ma stride l’uscio, e v’entra
                                    perfidia, e crudeltà con
Erismeno. (apresi
la porta della prigione. Cosroe siede sul sasso)
                                   SCENA
X
                                   Erismeno con arcieri, e Cosroe.
            erismeno       Prence, hai
d’uopo di tutta (stando in lontano)
                                   la
tua fortezza.
            cosroe                                  È
vero,
                                    or che mostro letal
mi veggo a fronte.
            erismeno       Soffrilo. Io
reco morte. Il re l’impone.
5          cosroe           Troppo è
buon, troppo è giusto il re mio padre,
                                   né
da lui puote uscir l’empia sentenza.
            erismeno       Scegli
ferro, o velen. Questo è suo impero.[72]
            cosroe           De’
malvagi, qual tu, questa è sol trama.
                                    Venga il padre, e comandi, ed io ubbidisco.
10        erismeno       Egli è un
esser rubel fargli contrasto:
                                   colpa
aggiugner a colpa. Io ti consiglio...
                                   (Cosroe improvviso, e impetuosamente si leva per avventarsi
alla vita di Erismeno, ma non può arrivarlo,
impeditone dalla catena del braccio)
            cosroe           Traditor,
questo braccio... Empia catena,
                                   che
mi togli il poter della vendetta!
            erismeno       Previdi il
tuo furor: ma sulla punta
15                                sta di que’ strali il tuo destin.
Soldati.
                                   (Gli
arcieri prendono in mano i loro archi, e gli armano delle lor frecce.)
            cosroe           Barbaro,
e che ti feci
                                   per
avermi a tradir sì iniquamente?
                                    La memoria è sol piena
                                    di benefici in te profusi.
            erismeno                                          Eh!
Cosroe,
20                                chi riceve le offese,
                                    le scrive in marmo, e chi le fa, in arena.[73]
                                    Il governo del Ponto a
me negato (si apre intanto nel muro una porta segreta della prigione, e ne
calano Artenice, ed Arsace)
                                    io meritava. In cor ne chiusi il torto
                                    per vendicarlo. Eccone
il tempo. Arcieri,
                                    per molte vie fate là
entrar la morte.
                                   SCENA
XI
                                   Artenice,
Arsace, e i suddetti.
            artenice       Fermate. Ecco, Erismeno, il regio
impronto. (gli mostra l’anello reale)
                                   Rechiam novi comandi; e poi se Cosroe
                                    persiste in sua sentenza,
                                    fa’ il tuo dover.[74]
            erismeno                              O
inciampo!
5          arsace           Vanne, amor mio. Da te pendon
due vite. (ad Artenice. Arsace si
ferma in lontano a piè della scaletta dell’uscio segreto, e Artenice si avanza)
            cosroe           Qual
fortuna per me, bella Artenice,
                                   vederti,
e poi morire?
            artenice       Di morir non si parli. Hai grazia, e vita.
            cosroe           Chi non
sa d’esser reo, grazia ricusa;
10                                e
vita meritar può chi è innocente.
            artenice       Innocente ti abbraccia il re tuo padre.
                                   Soddisfatta
è Palmira.
                                    Torna al regno la calma: a me la gioia.
                                    Tanto far puote un
solo
15                                tuo
magnanimo sforzo in mio riposo.
            cosroe           E qual?
            artenice                   Signor, gli affetti
                                   per
te astrinsi a languir. Amando Arsace,
                                    sostenni i tuoi diritti:
                                    con qual forza, tu il sai:
lo sa il mio core.
20                                Un atto or da te esigo,
                                    sia di virtù, sia di
dover. Te stesso[75]
                                    salva. Salva il mio
amor: la gloria mia.
                                    Col tuo voto Artenice
abbia il suo sposo;
                                    l’Armenia il suo regnante;
e Arsace il sia. (Cosroe
sta alquanto pensoso)
25        arsace           (A parte) Fate,
o dei, che quell’alma alfin si renda.
            cosroe           Regina,
a te più deggio in ciò che oprasti,
                                   quanto
meno mi amasti. Amarmi, e farlo
                                    saria stato di amore util consiglio.
                                    Ma in farlo senz’amarmi
30                                generosa virtù ne ha
tutto il merto.
                                    Or questa avria ragion di abbandonarmi,
                                    s’io ti cedessi per
campar di rischio.
                                   Di
Arsace sii. Mia morte a te il concede;
                                    nol potria la mia vita.
35                                 Lasciami al mio destin.
Così mi resta
                                    in morendo un gran ben: che di Artenice,
                                    non potendo l’affetto, avrò la stima:
                                    e talvolta anche a me,
sposa di Arsace,
                                    darai lode, e dirai: riposa
in pace.
40        erismeno       Già rispose
il feroce. Al re si serva. (ad Artenice)
            artenice       Attendi; e più rispetto ad Artenice. (ad Erismeno)
            arsace           (A parte) Ciel,
qui proteggi amore, ed innocenza.
            artenice       Cosroe, con la tua morte al caro Arsace
                                   tu
mi togli per sempre.
45        cosroe           Chi tel vieta, me estinto?
            artenice       La gloria mia: che della tua sciagura[76]
                                   esser
non voglio il prezzo.
            cosroe                                                          O
generosa!
                                   Tu
m’insegni la via di vendicarmi.
                                    Renderà i miei nimici
50                                 la mia morte infelici.
            artenice                                           E me con loro.
                                   Son
io degna, o crudel, di tal mercede?
                                    Me ancor confondi nella tua vendetta?
                                    Mi amasti sol per mia
miseria? O Cosroe,
                                    a me sempre fatal, vivo ed estinto.
55        cosroe           I
rimproveri tuoi quasi m’han vinto.
                                   Ma
vedi. In questi ceppi, in quegli strali
                                    più che la pena mia, sta la mia fama.
                                    Se tal ti cedo, si dirà che astretto
                                    vi fui, e non da pietà,
ma da timore.
60                                Nol
farò. Morir deggio. Il vuole onore.
            erismeno       E vel comanda il re. Non più dimore. (agli arcieri)
            cosroe           Ferite.
Eccovi il petto.
            artenice       Oimè!
            arsace                       Festi, o
regina, (avanzandosi)
                                   il
tuo dovere. Il suo pur faccia Arsace.
65                                 Arcieri, giù quell’armi,
                                    o cadrà chi di voi primo
le tenda.
            erismeno       Prence,
vorrai disubbidire al padre?
            arsace           Perché padre egli sia, difendo il figlio.
            erismeno       La genitrice
offesa...
70        arsace           Me punirà, se in lui salvar la offendo.
            erismeno       Lui salvo?
Me presente,
                                   non
è facile campar Cosroe da morte. (prende di mano
ad una guardia un arco con freccia)
            arsace           Tu insolente l’avrai. (in atto di avventarsi con uno
stilo alla vita di Erismeno)
            erismeno                                          Può
farmi oltraggio
                                   il
figlio di Palmira?
            arsace                                               Ah! Mi sovviene, (si
ferma, e sta sospeso)
75                                (A parte) o fatal giuramento, e l’ire affreno.
            
            erismeno       Ora è il
tempo, ire mie. (tende l’arco per ferir Cosroe)
            arsace                                               Saziati, iniquo,
                                   e
comincia da me. (copre con la sua persona quella di Cosroe)
                                    Non si passa a quel sen per altra via.
            artenice       (A parte) Chi sì
bella virtù non ameria?
80        erismeno       Stelle! Tu
in lui proteggi un parricida.
            arsace           Cosroe conosco, ed Erismeno ancora.
            erismeno       Vuol la
madre ch’ei mora.
            arsace           E troverà morto al suo fianco Arsace.
            erismeno       Trema la man
sul ferro. Ire infelici! (si lascia cader l’arco di mano)
85                                Che
far degg’io? Si vada
                                    con l’avviso a Palmira.
            arsace                                               Io qui l’attendo.
            erismeno       Ella al
figlio dia leggi, e il reo poi cada.
                                               Non ti lascio che un solo momento,
                                               per recarti più barbara morte.
90                                            L’aspettarla ti fia
più tormento:
                                               che sospesa non placa l’irato;
                                                ma fa attesa tremare anche il forte.
                                   SCENA
XII
                                   Arsace, Artenice, e Cosroe.
            cosroe           Che
vidi?
            artenice                               O
degno amante!
            cosroe           Tu
figlio di Palmira, in mia difesa?
            arsace           Io fratello di Cosroe, in sua
salvezza.
            cosroe           È ver.
Sol riconosco in te il mio sangue.
5          arsace           La mia regina in me svegliò fortezza.
            artenice       Nobil cor,
quale il tuo, cote è a sé stesso.
            arsace           Ah! Nulla ancor fec’io, se resti
avvinto. (snuda il suo stilo)
            cosroe           Che far
pensi?
            arsace                                   Con questo aprir tuoi ceppi.
                                   Farti
scudo io ben seppi
10                                 dall’ire di un fellon.
Forse da quelle
                                    non potrei della madre,
                                    e perderei di sì bell’opra il frutto. (Arsace
va aprendo col ferro le manette, a cui sta inchiavato il braccio di Cosroe)
            cosroe           Tua
pietà sia più cauta. Io son del regno
                                    l’erede, e tuo rivale.
15                                 Nella mia libertà, nella mia vita
                                    dispera di ottener
scettro, e Artenice.
            arsace           Il duol ne soffrirò senza
rimorso.
            artenice       E purché generoso, ei sia infelice.
            arsace           Sciolto, o Cosroe, già sei. Fuor
dell’infausto
20                                carcere
affretta il passo.
                                    Seguanti questi
arcieri, onde in lor danno
                                    non torni la pietà che
li rattenne.
                                    Riedi al tuo campo.
Estingui
                                     il tumulto che v’arde; o se ti spinge
25                                rimembranza di torto alla
vendetta,
                                    sovvengati
che Arsace, quell’Arsace
                                    che ti tolse a periglio,
                                    sì, quell’Arsace è di Palmira il figlio.
            cosroe           Del dono
che ricevo, il dover mio[77]
30                                farà
buon uso. Amanti cori, addio. (si parte per la scaletta seguito dagli arcieri)
                                   SCENA
XIII
                                   Arsace, ed Artenice.
            artenice       Giovi seguirlo. Tu sospiri, Arsace?
            arsace           Regina, io t’ubbidii.
            artenice                                           Da forte oprasti;
                                   ed
or più del tuo volto amo il tuo core.
            arsace           Ma di un altro io ti fei regina,
e sposa.
5          artenice       Premio vien da virtù. Spera in tuo merto.
            arsace           La beltà di Artenice ha troppo prezzo,
                                   e
gli affetti di Cosroe han troppo ardore.
            artenice       Anche nel tuo timor veggo il tuo
amore.
            arsace           Fedele, e sventurato.
10        artenice       E giusto il ciel, se sarà Cosroe
ingrato.
                                               Nero turbine si aggira.
                                               e
sospira il villanello
                                               per
timor che dal flagello
                                               della grandine percosse
15                                            sien le
spiche biondeggianti.
                                               Ma al soffiar di amico vento,
                                               ad un tratto il nembo fugge;
                                               si dilegua il suo spavento;
                                               ed
ei torna a’ giochi, a’
canti.
                                   SCENA
XIV
                                   Arsace.
            arsace            Perderti sì amorosa
                                   quanto
più mi dorria!...
                                    Ma qual romor, misto
di trombe, e grida?
                                    Veggo
la soglia abbandonata: in fuga
5                                  spaventati i custodi.
                                    Non ritorna Erismen: non vien la madre.
                                    Che sarà? Forse, o
stelle,
                                    a’
vostri influssi rei
                                    non bastano, e son
tanti, i mali miei.
10                                            Sorte vuol ch’io disperi:
                                                ch’io speri, l’idol mio:
                                               penar mi fa
la sorte,
                                               ma credo alla
speranza.
                                                Così l’amato bene
15                                           mi rende
invitto, e forte;
                                               e fa che sin
la spene
                                               mi serva di
costanza.
                                                                       
                                   SCENA
XV
                                   Campagna
con colline deliziose, dalle quali vanno scendendo i soldati Persiani di Cosroe. Appiè di esse vedesi
l’attendamento dell’esercito di Ormisda, con padiglione reale al fianco. Trono
militare a canto del medesimo padiglione. A un altro fianco la città di Tauri,
con nobil ponte di marmo dinanzi alla maggior porta,
ornato di obelischi, e di guglie.
                                   Cosroe, Mitrane, soldati Persiani, ed Armeni.
            cosroe           Non
credibile sembra un cangiamento
                                   sì
subito, e sì grande.
            mitrane         Facili eventi, ove conformi i voti.
            cosroe           Raro
esempio saran Palmira, e Ormisda
5                                  d’instabile
fortuna.
            mitrane         Agl’ingiusti regnanti
                                   corte
fan, più che guardia, armati, e servi.
                                    Quegli ch’util ritien, sono i codardi.
                                    Quei che forza, e timor, sono i nemici.
10                                 Loro forte custodia è amor sincero,
                                   che
nasca da giustizia, o da bontade.
            cosroe           Tardo, o
Mitrane, e vano
                                   mi
giungea, senz’Arsace, il
vostro amore.
            mitrane         Arsace abbiane
premio;
15                                ma
pena i tuoi nimici.
                                    Palmira in tuo poter si custodisce
                                    nella real tua tenda.
            cosroe                                              E
il padre? O Dio!
            mitrane         Già lo ridissi. Al grado
                                   nella
sciagura sua si usò rispetto,
20                                 e verrà in breve al tuo giudizio anch’esso.
                                    Guardati che pietà te
non rispinga
                                    in più profondo di
miseria abisso.
                                    Chi una volta al suo re
può far timore,
                                    sempre è fellon. Gran colpa è un gran potere.
25        cosroe           Lodo il
tuo zel. Vo’ vendicarmi. Incontro
                                   va’
al genitor; ma d’ogni oltraggio il
serba.
                                    Cerchisi di Erismeno;
                                    e a me venga Palmira.
            mitrane                                             Entro i tuoi lumi
                                    scorgo un ardor che ti assicura il trono.
30        cosroe           Adempiasi vendetta, e re poi sono.
            mitrane                     Riconosco in quell’ardore
                                               il tuo fato, ed il tuo core.
                                                Sarai sposo, e sarai re.
                                                Se pietà lo ammorza, o frena,
35                                           sol ti resta
obbrobrio e pena
                                               in retaggio,
ed in mercè. (entra nella città)
                                   SCENA
XVI.
                                   Cosroe, e Palmira dal padiglione fra guardie.
            cosroe           Vedrem come ben soffra il fato avverso,
                                   chi
sì mal seppe sostener l’amico.
            palmira          Son io regina, o prigioniera? E dove
                                   mi
traete, o soldati?
5          cosroe           Ove? Al
tuo re, o Palmira.
            palmira          Tu mio re? Qui non regna altri che Ormisda.
            cosroe           Ma por
tentasti in su quel trono Arsace.[78]
            palmira          Il padre lo volea.
            cosroe                                              Da
te sedotto.
                                   Ne
han disposto altrimenti
10                                la
giustizia, e gli dii.
            palmira          Gli dii talvolta esaltano i malvagi,
                                   e
giustizia non è rapina, e forza.
            cosroe           Ciò che
festi in mio danno, or ti sovvenga.
            palmira          Ciò che fei, mi condanna;
15                                ma
sai perché? Perché lo feci, e vivi.
            cosroe           Vendicarmi
ora posso
                                    e di Ormisda, e di Arsace,
e di Palmira.
            palmira          Crudel, non aspettar ch’io qui ti
preghi
                                   né
per me, né per loro.
20                                            Tradita, odio la vita,
                                               né pregherò per me.
                                               Non per Arsace,
no:
                                                morrà, ma nol vedrò
                                               servir
vassallo a te.
25                                            Non per Ormisda. Avrai
                                               peggior
destino, il so,
                                               se incrudelir
potrai
                                               in lui tuo
padre, e re.
            cosroe           Serba
fino all’estremo,
30                                che
ben d’uopo ne avrai, la tua fierezza.
                                    Unirò al tuo destino Arsace,
e Ormisda.
            palmira          E Ormisda vien. Fagli apprestar le
scuri.
                                   SCENA
XVII
                                   Ormisda
dalla città fra guardie, e i suddetti.
            cosroe           Sire,
soffri, che umile...[79]
            ormisda         Mal cominciano, o Cosroe,
                                   l’ire tue dal rispetto.
                                    Eccoti nel tuo campo,
5                                  commosso
in mia ruina.
                                    Eccoti fra que’ prodi
                                    che traesti dal Ponto in
reo disegno.
                                    Vedi. Tuo soglio è quel.
Su: colà ascendi;
                                    e fa’ con scelleraggine
inaudita
10                                che si vegga un ribello iniquo figlio
                                    seder giudice, e re della
mia vita.
            cosroe           Dalle
accuse d’iniquo, e di ribello
                                   facile
a me, o signor, sia la discolpa.
                                    Ma quella, onde tentò l’empio
Erismeno
15                                d’insultar la mia fama,
                                   più
mi punge, e mi fiede. Ella si levi
                                    dal tuo cor, dal mio
nome.
            palmira                                                         E
come farlo,
                                    morto Erismeno, e per tuo cenno ucciso?
                                   SCENA
ULTIMA
                                   Mitrane,
e poi Artenice, ed Arsace, e i suddetti.
            cosroe           Come?
Ucciso Erismeno?
                                   Mitrane...
            mitrane                                 È
vero. In lui l’irata plebe,
                                   che
autor già lo sapea del tuo periglio,
                                    si avventò nel tumulto, e con più colpi
5                                  gli fe’
uscir dal sen l’alma esecranda.
            cosroe           Pena a
lui ben dovuta, e pur ne piango:
                                   che
solo egli potea
                                    altrui render ragion di mia innocenza.
            artenice       Sul labbro di Artenice[80]
10                                ella
avrà più di fede. Io ritrovai
                                   nell’ultime
agonie della sua vita,
                                    steso Erismeno. Alma
a spirar vicina
                                    quai rimorsi non soffre! In fiochi accenti
                                    confessò l’error suo, la sua impostura,
15                                l’innocenza di Cosroe, e che sedotto...
            cosroe           Basti
così. Difesa
                                   sia
l’altrui gloria, or che la mia va illesa.
            palmira          (A parte) Tutto
in mio male, e in onta mia congiura.
            cosroe           Padre,
il rubel, l’iniquo (mettesi a piè del padre)
20                                ora
venga al tuo piè. Torni ne’ ceppi,
                                   se
tua legge l’impone.
                                    Rendimi l’amor tuo. Perdona a questi
                                    duci, e soldati tuoi quella pietade
                                    che lor desta ha nel sen
la mia sciagura;
25                                e per tutti ti basti,
                                    se colpevol
lo trovi, il sangue mio...
            ormisda         Non più, figlio, non più: che il reo son io.
                                   Tu
di regnar sei degno
                                    sui Persi, e sugli Armeni. Ecco il mio erede,
30                                 o popoli. Il tuo sposo ecco, Artenice;
                                    e fine abbiano gli odi.
(verso Palmira)
            artenice
            e arsace                                             Alma infelice!
            cosroe           No: per
me nol sarete, o generosi.
                                   Sappialo ognun. Di morte, e di catena
                                    senza voi non uscia.
Premio chiedeste.
35                                Fra ceppi io nol potea, senza esser vile;
                                    ma più vile or sarei, se
lo negassi.
            arsace           Che sarà? (verso Artenice)
            artenice                               Di buon’opra
ecco il buon frutto. (verso Arsace)
            cosroe           Il tuo
materno amor volea sul crine
                                   al
tuo Arsace un diadema.
40                                 Non ti spiaccia, o regina,
                                    che dalla man di Cosroe egli il riceva.
                                    Col cedergli Artenice
                                    a lui cedo l’Armenia; e
se in mercede
                                    luogo avrò nel tuo cor, son lieto, e pago.
45        palmira          Prence, a quel segno porti i tuoi trionfi?
                                   Signor
della mia vita, e del mio onore,
                                    già divien tua conquista anche il mio core.
                                    Gradiscilo. In Palmira
                                    sol guarda il figlio. Omai
50                                diasi
alle andate cose eterno esiglio;
                                    e avrò in Cosroe, tel giuro, un altro
figlio.[81]
            arsace           Madre, sposa, fratel, quai gioie e quante!
            artenice       Or sono in libertà gli affetti miei,
                                   e
tu mio sposo, e tu mio re già sei.
55        ormisda         Venga, e chiuda i miei dì sonno di pace;
                                   e
se natura il tarda,
                                    amore il premio affretti. Oggi al mio impero
                                   Cosroe sottentri con sì lieti auspici;[82]
                                    ed Ormisda sia il primo a dargli onore.
60        cosroe           No, genitor...
            ormisda                                 Lieto abbandono un peso
                                   a
me grave, a me infausto.
                                    né Palmira si sdegni.
            palmira          Son paga. Arsace è re. Cosroe anche regni.
            mitrane                      Cosroe
regni.
65                                            Viva Cosroe, il nostro re.
            coro                           Cosroe
regni.
                                               Viva Cosroe,
il nostro re.
            cosroe           Sarò in
qualunque sorte e servo, e figlio.
            ormisda         Figlio sì degno è la maggior mia gloria.
70        mitrane         Tu vincitor dell’odio, e dell’amore
                                   avesti
da virtù regno migliore.
            coro                           Regni dà natura e sorte;
                                               ma
più bei li dà virtù.
                                               Cor più degno
di gran regno,
75                                            più magnanimo e più forte
                                               del tuo, Cosroe,
mai non fu.
                                               
            
                                    Il fine dell’Ormisda.
Apparato
Frontespizio del libretto 1721 (VG)
ORMISDA
DRAMMA
PER
MUSICA,
DA
RAPPRESENTARSI
NELLA
CESAREA CORTE
PER
IL
NOME GLORIOSISSIMO
DELLA
SACRA
CESAREA E CATTOLICA REAL MAESTA’
DI
CARLO
VI
IMPERADORE
DE’
ROMANI,
SEMPRE
AUGUTSO.[83]
PER
COMANDO DELLA
SACRA
CESAREA E CATTOLICA REAL MAESTA’
DI
ELISABETTA
CRISTINA
IMPERADRICE
REGNANTE,
L’ANNO
MDCCXXI.
La
Poesia è del Signor Apostolo Zeno, Poeta, ed Istorico
di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
La
Musica è del Signor Antonio Caldara, Vice-Maestro di Cappella di Sua Maestà Cesarea
e Cattolica.
Vienna
d’Austria,
appresso
Gio. Pietro Van Ghelen, Stampatore di Corte di Sua
Maestà Cesarea e Cattolica.
Licenza dell’edizione 1721
Le adulatrici lodi
taccia Musa bugiarda. Ella un Re finse,
non qual ei fu, ma quale esser dovea.
Che se un’eccelsa idea d’alto Regnante
vuole ammirar, dall’Istro,
ove l’Augusto impera Ottimo CARLO,
il cui gran NOME oggi si onora, e cole,
il piè non volga, e non richiami il guardo.
Ma disio non l’accenda
di ritrarne col canto il pregio, e il merto.
Troppo è sopra al poter l’oggetto, e il vero:
tanto maggior degli altrui plausi, quanto
vincon le sue virtù la sua fortuna.
Riconoscerlo appieno
mai non si può. Ciò che fè
CARLO, avanza
le glorie altrui: ciò ch’egli fa, le sue;
e sovra le presenti avran la
palma
l’altre sue che verranno.
Virtù mai di sé stessa
paga non è. Cresce di pregio in pregio,
e riposo non ha, giunta anche al sommo.
Tu che m’ascolti, Alma di CARLO Augusta,
ben senti, e sai, che in darti lode io parlo
non al Romano Cesare, ma a CARLO.
                                    Chi
a te rende omaggio
                                    di
applauso sincero,
                                    non
pensa al tuo impero,
                                    ma
parla al tuo cor.
                                    E
il cor che si sente
                                    dir
giusto, clemente,
                                    magnanimo,
e saggio,
                                    ne
ha gioia, e ne ha pace.
                                    Da
lode verace
                                    non
vien mai rossor.
                                    Coro.
                                    Per lodar di CARLO il NOME,
                                    ci
dà ardir la sua virtù.
                                    Né
ci affrena altro timore,
                                    che
il rimorso, in dargli onore,
                                    di
dir poco, e dover più.
Argomento
In un
altro dramma ] VG Nel dramma passato ; procurato ] VG proccurato
; da’ diritti ] VG da i diritti.
ATTORI.
ORMISDA,                 re di Persia.
PALMIRA,                  sua seconda moglie.
ARSACE,                    loro figliuolo, amante di
Artenice.
COSROE,                   figliuolo
di Ormisda, e d’altra sua prima moglie, amante anch’esso di Artenice.
ARTENICE,               regina di Armenia, amante di Arsace.
MITRANE,                 satrapo
Persiano, e capo dell’ambasciata armena, confidente di Cosroe.
ERISMENO,              altro satrapo persiano, confidente
di Palmira.
L’azione
si rappresenta in Tauri, città capitale della Persia.
COMPARSE.
(VG)
Di
satrapi, e nobili Persiani con Ormisda.
Di
Sciti con Palmira.
Di
Medi con Arsace.
Di
soldati Persiani con Cosroe.
Di
Armeni con Artenice.
Di
paggi Persiani con Palmira.
Di
paggi Armeni con Artenice.
MUTAZIONI
DI SCENE. (VG)
NELL’ATTO
PRIMO.
Piazza
reale apparata di ricchi drappi alla persiana, con due troni l’uno rincontro
all’altro.
Galleria,
per cui si passa nel serraglio reale.
Giardino
con parco reale.
NELL’ATTO
SECONDO.
Spelonca
di Mitra col simulacro di quella deità, e grand’ara con fuoco ardente avanti di
lui.
Bipartita
di portici, sostenuta da doppio ordine di colonnati che introducono a i bagni
reali.
NELL’ATTO
TERZO.
Sala
rappresentante la reggia di Marte.
Prigione.
Campagna
con colline deliziose, e a piè d’esse l’attendamento dell’esercito persiano.
Veduta della città con ponte di marmo dinanzi alla maggior porta.
Il
tutto rara invenzione del Sig. Giuseppe Galli Bibiena, Secondo Ingegnere
Teatrale di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
BALLI.
(VG)
NEL
PRINCIPIO DELL’ATTO SECONDO.
Ballo
di ministri di Mitra.
NEL
FINE DELL’ATTO SECONDO.
Ballo
di Persiani, e d’altri Orientali usciti de i bagni.
NEL
FINE DELL’ATTO TERZO.
Ballo
di capitani, e soldati Persiani.
Il
primo, e’l terzo ballo, furono vagamente concertati
dal Sig. Alessandro Philebois, Maestro di Ballo di
Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
Il
secondo ballo fu altresì vagamente concertato dal Sig. Pietro Simone Levassori de la Motta, Maestro di Ballo di Sua Maestà
Cesarea e Cattolica.
Con
l’arie per li detti balli
del Sig. Nicola Matteis, Direttore della Musica Instrumentale
di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
Apparato
di varianti nel testo
Varianti
sostanziali
I.6.31: tutto il fasto mio. Se questo
] VG tutto il fasto mio, e se questo
I.10.1: in VG, la didascalia viene significativamente
anticipata: VG Né sposa tua (a Cosroe) né tua
regina ancora (ad Arsace). Questo porta a uno
spostamento del senso della battuta di Palmira, che nel libretto originale
sembra voler quasi separare i due litiganti negando all’uno la sua sposa, all’altro
—in situazione, come sempre, di subalternità— la sua regina. Secondo la
versione di Gozzi, Palmira riferisce invece entrambi gli attributi della
negazione a Cosroe, rivolgendosi ad Arsace solo per rincuorarlo, come sembra più corretto anche
alla luce delle battute che seguono.
I.15.14: temer; vicino ] VG
temer. Vicino
I.17didascalia.1: Erismeno,
e Palmira ] VG Palmira, ed Erismeno.
II.1didascalia.1: facelle accese
] VG facelle ardenti
II.7.61-62: e sarà vano | gridar pietà.
] VG e sarà vano – gridar pietà.
II.9.17: non ha loco ] VG non
ha luogo
II.13.22: Oimè! ] VG Aimè!
II.13.26: Di cor generoso or
non è tempo ] VG Di far non è tempo il generoso
III.4.1: Oimè! ] VG Aimè!
III.11.63: Oimè! ] VG Aimè!
Varianti ortografiche
I.1.2: all’Armenia ] VG a l’Armenia
I.1.6: te all’amor ] VG te a l’amor
I.1.8: all’onor ] VG a l’onor
I.1.14: quei diritti ] VG que’ diritti
I.1.18: e il tuo regno ] VG e’l tuo regno
I.2.26: e il cingerò ] VG e’l cingerò
I.3.16: il tuo sdegno ] VG ‘l
tuo sdegno
I.3.18: è il consiglio ] VG è’l consiglio
I.4.3: or che ] VG orchè
I.4.30: dell’età ] VG de l’età
I.4.37: coll’amor ] VG con l’amor
I.5.6: alla legge ] VG a la
legge
I.5.15: dalle schiere oziose ]
VG da le schiere oziose
I.5.26: altra colpa all’ire ]
VG altra colpa a l’ire
I.5.27: un’amor ] VG un amor
I.5.39: sino alla goccia ] VG
sino a la goccia
I.6.16: alla sfortuna ] VG a la sfortuna
I.6.28: un angolo ] VG un’angolo
I.7.11: degli odi ] VG de gli odi
I.8.28: della Persia ] VG de la
Persia
I.9.1: All’aspetto ] VG A l’aspetto
I.9.11: dalle vene ] VG da le
vene
I.9.14: non della madre ] VG non
de la madre
I.10.13: Segui. ] VG Siegui.
I.13.3: nell’odio dell’una ] VG
ne l’odio de l’una
I.13.4: dell’altro ] VG de l’altro
I.13.7: all’ira ] VG a l’ira
I.13.16: nella real ] VG ne la real
I.14.6: e il trono ] VG e’l trono
I.15.6: ben d’uopo ] VG ben duopo
I.15.30: è il periglio ] VG è’l periglio
I.16.3: siate alle leggi ] VG
siate a le leggi
I.16.14: de’ Persi ] VG de i
Persi
I.17.3: della mia fede ] VG de
la mia fede
I.17.5: all’ardua ] VG a l’ardua
I.17.7: novi ] VG nuovi
I.17.8: dall’onor ] VG da l’onor
I.17.11: alla colpa ] VG a la
colpa
I.18.5: un acciar ] VG un’acciar
I.18.7: il move ] VG il muove
I.18.12: è il rimorso ] VG è’l rimorso
I.18.36: Allora ] VG A l’ora
I.18.37: dalle fauci ] VG da le
fauci
I.18.39: è il pentimento ] VG è’l pentimento
I.18.45: della perfida ] VG de
la perfida
I.18.48: prova dell’altrui ] VG
prova de l’altrui
I.18.49: e il mio perdono ] VG e’l mio perdono
I.18.55: un’eccesso ] VG un eccesso
I.18.56: e il mondo ] VG e’l mondo
I.18.58: all’atroce ] VG a l’atroce
I.18.59: alla ria ] VG a la ria
II.1.7: fier nimico ] VG fier nemico
II.1.19: alla grand’ara ] VG a
la grand’ara
II.1.23: che d’ostro, e d’oro ]
VG che d’ostro e d’oro
II.2.34: sulle mie labbra ] VG
su le mie labbra
II.2.43: Cosroe, ed Arsace ]
VG Cosroe ed Arsace
II.2.52: alla mia gloria ] VG a
la mia gloria
II.2.58: non cederà, ] VG non
cederà
II.2.60: della grandezza ] VG
de la grandezza
II.2.62: della beltà ] VG de la
beltà
II.3.9: qual implacabil ] VG qual’implacabil
II.3.17: e il sono ] VG e’l sono
II.4.7: son io ] VG son’io ; didascalia a l’ara ] VG all’ara
II.4.11: sulle mie tempia ] VG
su le mie tempia
II.5.13: dall’aspetto ] VG da l’aspetto
II.5.15: tu il vedi ] VG tu’l vedi
II.5.19: all’attonite ] VG a l’attonite
II.6.1: dell’impostura ] VG de
l’impostura
II.6.5: è il dover ] VG è’l dover
II.6.10: io non son; tu l’uno ]
VG io non son, tu l’uno
II.7.4: alla pena ] VG a la
pena
II.7.6: all’offesa ] VG a l’offesa
II.7.11: tu il punisca ] VG tu’l punisca
II.7.26: dall’ire tue ] VG da l’ire tue
II.7.29: in qual uso ] VG in qual’uso
II.7.31: Tu allora ] VG tu a l’ora
II.7.59: per monte, e piano ]
VG per monte e piano
II.8.1: Ostane a te il consegno ]
VG Ostane, a te il consegno
II.8.4: De’ mali ] VG de i mali
II.8.11: è il tuo amore ] VG è’l tuo amore
II.8.12: e un empio figlio ]VG
e un’empio figlio
II.8.13: Lui, che mi offese ]
VG Lui che mi offese
II.8.14: nella parte ] VG ne la parte ; dell’alma ] VG de l’alma
II.8.21: tu il vedesti ] VG tu’l vedesti
II.8.31: della sola ] VG de la
sola
II.8.45: lieto, o rio ] VG
lieto o rio
II.9.6: all’atto ] VG a l’atto
II.9.7: alla mia scelta ] VG a
la mia scelta
II.9.13: reggie ] VG regge
II.9.16: delle sue leggi ] VG
de le sue leggi
II.9.23: d’uopo ] VG duopo
II.9.31: dell’Austro ] VG de l’Austro
II.9.34: Questi ori ] VG Quest’ori
II.10.7: novi mali ] VG nuovi
mali
II.10.8: novi rimedi ] VG nuovi
rimedi
II.10.10: alla tua gloria ] VG
a la tua gloria
II.10.12: dell’oppressa ] VG de
l’oppressa
II.10.14: della matrigna ] VG
de la matrigna
II.10.37: da’ sudditi ] VG da i sudditi
II.10.45: all’opra
] VG a l’opra
II.10.48: allor ] VG a l’or
II.12.5: allor che ] VG a l’or
che ; de’ portici ] VG de i portici
II.12.16: della mia fede ] VG
de la mia fede
II.12.17: e il prigionier nimico ] VG e’l prigionier nemico
II.12.22: nuoce, ed uccide ] VG
nuoce ed uccide
II.12.24: e il faccia ] VG e’l faccia
II.13.8: nell’alma ] VG ne l’alma
II.13.12: piuttosto ] VG più
tosto
II.13.32: nell’arti ] VG ne l’arti
II.13.34: all’amor mio ] VG a l’amor
mio
II.14.9: alla tua pace ] VG a
la tua pace
III.2.12: e il preme ] VG e’l preme
III.2.26: ma il credi ] VG ma’l credi
III.2.27: allora ] VG a l’or
III.2.30: e il figlio ] VG e’l figlio
III.3.5: e il far ] VG e’l far
III.3.16: e copra ] VG e cuopra
III.3.29: qual io ] VG qual’io
III.3.31: dalle braccia ] VG da
le braccia
III.3.40: dell’Asia ] VG de l’Asia
III.3.53: su’ Persi ] VG su i Persi
III.3.54: all’Armenia ] VG a l’Armenia
III.3.57: Nello stesso ] VG Ne
lo stesso
III.3.58: alla vita ] VG a la
vita
III.3.60: Della real
] VG De la real
III.3.63: de’ pubblici ] VG de
i pubblici
III.3.76: nimici ] VG nemici
III.4.3: un amor ] VG un’amor
III.4.7: della Persia ] VG de
la Persia
III.5.5: n’è il perfido ] VG n’è’l perfido
III.6.4: Della cittade ] VG De la cittade
III.6.5: e della reggia alla difesa ]
VG e de la reggia a la difesa
III.8.11: e il re ] VG e’l re
III.8.21: a te il figlio ] VG a
te’l figlio
III.8.30: e il trono ] VG e’l trono
III.8.47: sia in VG che in Gozzi è «aurea», quasi
certamente un refuso.
III.8.49: e il fosco ] VG e’l fosco
III.8.57: e il varco ] VG e’l varco
III.9.7: All’oppressa ] VG A l’oppressa
III.9.8: a’ miseri rifugio: a’ rei spavento ] VG a i miseri
rifugio: a i rei spavento
III.10.1: d’uopo ] VG duopo
III.10.8: De’ malvagi ] VG de i
malvagi
III.10.13: della vendetta ] VG
de la vendetta
III.10.14: sulla punta ] VG su
la punta
III.11.2: novi comandi ] VG
nuovi comandi
III.11.19: tu il sai ] VG tu’l sai
III.11.46: della tua sciagura ]
VG de la tua sciagura
III.11.49: nimici ] VG nemici
III.11.52: nella tua vendetta ]
VG ne la tua vendetta
III.11.74: Mi sovviene ] VG Mi
sovvieni
III.11.75: l’ire affreno ] VG l’ire affreni
III.11.76: è il tempo ] VG è’l tempo
III.11.77didascalia: copre ]
VG cuopre
III.11.87: e il reo ] VG e’l reo
III.12.10: dall’ire ] VG da l’ire
III.12.15: nella mia libertà, nella mia vita ] VG ne la mia libertà, ne la mia vita
III.12.19: dell’infausto ] VG
de l’infausto
III.12.25: alla vendetta ] VG a
la vendetta
III.12.30: buon uso ] VG buon’uso
III.13.14: della grandine ] VG
de la grandine
III.13.19: a’ giochi, a’ canti ] VG a i giochi, a i
canti
III.14.8: A’ vostri influssi ]
VG A i vostri influssi
III.14.13: alla speranza ] VG a
la speranza
III.15.15: nimici ] VG nemici
III.15.17: nella real ] VG ne la real
; E il padre ] VG E’l padre 
III.15.19: nella sciagura ] VG ne la sciagura
III.15.20: giudizio ] VG giudicio
III.15.29: un ardor ] VG un’ardor
III.16.29: all’estremo ] VG a l’estremo
III.16.30: d’uopo ] VG duopo
III.17.11: della mia vita ] VG
de la mia vita
III.18.11: nell’ultime agonie della sua vita ] VG ne l’ultime agonie de la
sua vita
III.18.17: or che ] VG orché
III.18.41: dalla man ] VG da la man
III.18.46: della mia vita ] VG
de la mia vita
III.18.50: alle andate ] VG a
le andate
III.18.51: un altro ] VG un
altro
III.18.59: sia il primo ] VG sia’l primo
III.18.70: dell’odio, e dell’amore ]
VG de l’odio, e de l’amore
Licenza: dall’Istro
] VG da l’Istro ; e
il merto ] VG e’l merto ; e il vero ] VG e’l vero ;
appieno ] VG a pieno 
N.B. Nelle didascalie dell’edizione Gozzi, tutti i «Parte»
sono sostituiti da «Si parte».
Appendice 
Variazioni
nelle rappresentazioni successive
Si propone
qui di seguito una breve rassegna dei cambiamenti più significativi apportati
dalle rappresentazioni successive dell’Ormisda,
precisando che in tutti i casi si tratta di varianti allografe.
Ormisda 1722 (Bologna)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena xv e xvi, queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv.
Atto II
- scena vi, viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena x, la prima
parte del monologo di Artenice diventa una scena a sé:
               artenice                             De l’uscignolo
il canto
                                                            altro non è, che pianto
                                                            d’innamorato cor.
                                                            La gloria, ond’io
mi vanto,
                                                            quant’è crudele amore.
                                             Affetti
del cor mio, siete infelici,
                                             sol
perché generosi.
                                             Abbandonar conviene il caro Arsace;
                                             lo diceste, e si faccia.
                                             Entrar può pentimento in sen di
amante;
                                             non in quel di reina.
- scena x (xi), l’aria di
Mitrane è così sostituita:
               mitrane                              Come vuol che a’
rai del Sole
                                                            volga i lumi la sua prole
                                                            fin da nido acquila
altera;
                                                            così volge i desir
suoi 
                                                            a la luce de gli eroi
                                                            tua reale alma sincera.
- scena xii (xiii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
               erismeno                            Orgoglioso
                                                            alza
le spume
                                                            real
fiume,
                                                            e più s’adira,
                                                            quando mira
                                                            quello scoglio che lo arresta.
                                                            L’empio ancor tra sue catene
                                                            fremerà, ma senza spene.
                                                            Quanto più sarà fastoso,
                                                            avrà morte più funesta.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                               Non temer di stella infida,
                                                            se
ti guida
                                                            de la madre il fido amor.
                                                            Sarai re, sarai felice,
                                                            tel
predice,
                                                            tel
predice questo cor.
- scena xiv (xv), l’aria
di Arsace è così sostituita:
               arsace                                 Qual
nocchier che il suo naviglio
                                                            rimirò
già quasi assorto,
                                                            tolto al fin dal rio periglio
                                                            dal bramato caro porto
                                                            guarda
il mare, e si consola.
                                                            Tale anch’io, se dopo il pianto
                                                            vedrò in porto l’amor mio,
                                                            gioirò: ma l’alma intanto,
                                                            pena, e langue afflitta, e sola.
Atto III
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
               cosroe                                Fia tuo sangue il sangue sparso
                                                            da
mie vene, o genitor.
                                                            Nel veder che invitto, e forte,
                                                            sarò grande in faccia a morte,
                                                            tu dirai: quegli è il mio cor.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                               Mio
re, mio dolce sposo,
                                                            serena
il mesto ciglio,
                                                            lasciò d’esserti figlio,
                                                            un empio, un infedel.
                                                            Vapor
così orgoglioso,
                                                            talora
il sole ingombra,
                                                            poi si dilegua in ombra,
                                                            lascia sereno il ciel.
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace. Viene aggiunta una nuova scena con il seguente
monologo di Ormisda:
               ormisda               Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
                                             il pensier che nel figlio in mente cadde
                                             a prò
de l’altro figlio.
                                             Il suo mortal
periglio
                                             (in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
                                                            Son
re sdegnato
                                                            consorte
offeso,
                                                            ma
padre ancor.
                                                            Quel
core ingrato
                                                            vuol
pur difeso
                                                            paterno cor.
- scena xiii, l’aria
di Artenice è sostituita dalla seguente battuta di Arsace:
               arsace                  Addio,
bella reina; oprai da
forte,
                                             tu
sei mio ciel, mio nume, e sei mia sorte.
- scena xiv, la scena
è sostituita dalla seguente:
               artenice              Va’
pur, misero amante;
                                             ma prode, e generoso, a compier l’opra
                                             che di fama immortal
degna facesti;
                                             il tuo raro valor già mi
assicura:
                                             e le sognate larve ormai discaccia,
                                             ed ogni rio timore
                                             per tua virtù speme diviene al
core.
                                                            Nera larva che
sognai
                                                            luminosa oggi a’ mei rai,
                                                            rendi amabil lo spavento.
                                                            Fu d’orror squallida allora
                                                            la feral sanguigna aurora,
                                                            ma piacer nel
giorno io sento.
-  scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
               palmira                               Mira
la quercia annosa,
                                                            mira
lo scoglio in mar,
                                                            ch’aura
piegar non osa,
                                                            ch’onda non può spezzar.
                                                            Così quest’alma mia,
                                                            e quercia, e scoglio sia,
                                                            che non potrai piegar.
Cosroe 1723 (Roma)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena xv e xvi, queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena XIV.
- scena xvii, l’aria
di Palmira è sostituita così:
            palmira                No, no: vuo’
che tua fede
                                             da
me, dal figlio mio
                                             maggior dell’opra
ancor sper mercede.
                                                            Se
un dì sul patrio soglio
                                                            il
figlio mio vedrò,
                                                            i rai volgendo a te,
                                                            a lui così dirò:
                                                            questo ti fece re,
                                                            questo mi vendicò.
                                                            Pensa, dirogli
ancor,
                                                            che devo al suo gran cor
                                                            il premio, e la mercè,
                                                            se un regno ei ti donò.
Atto II
- scena ii, l’aria
di Artenice è così sostituita:
            artenice                             Voglio
che gloria sia
                                                            della
costanza mia
                                                            rendere ai figli un padre,
                                                            et alla Persia un re.
                                                            Che poi benigna stella
                                                            cessata la procella
                                                            risplenderà per me.
- scena vi, viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena vii, l’aria
di Cosroe viene sostituita così:
               cosroe                                Leon che freme,   
                                                            mai non si teme,
                                                            finché ristretto
                                                            fra i lacci sta.
                                                            Ma se la sorte
                                                            quelle ritorte
                                                            spezzar li fa;
                                                            il monte, e‘l
piano
                                                            empio, inumano
                                                            tremar farà.
- scena ix, l’aria
di Ormisda è così sostituita:
               ormisda                              Saprò con il rigore
                                                            d’offesa maestà
                                                            punir l’infedeltà
                                                            d’un figlio traditor.
                                                            Son re, son padre, e sposo,
                                                            giusto mi vuol la sorte,
                                                            barbaro la consorte,
                                                            ma lo contende amor.
- scena x, la prima
parte del monologo di Artenice diventa una scena a sé:
            artenice              Stai
pensando, o cor, ti sento
                                             nell’ardore, in cui ten giaci.
                                             Pietà chiedi... ah, taci, taci.
                                             Taci, e voi pur tacete
                                             affetti del cor
mio, siete infelici,
                                             sol perché generosi.
                                             Abbandonar conviene il caro Arsace;
                                             lo diceste, e si faccia.
                                             Entrar può pentimento in sen di
amante;
                                             non in quel di reina.
- scena x (xi), l’aria
di Mitrane è così sostituita:
            mitrane                              Alma
grande, alla tua gloria
                                                            servirà
l’iniquo fato.
                                                            Che
rispetta il suo furore
                                                            regio cor
di virtù armato.
- scena xi (xii), l’aria
di Artenice è così sostituita:
            artenice                             Non saria,
bell’idol mio,
                                                            il tuo core
                                                            degno oggetto del mio amore,
                                                            se chiudesse in sé viltà.
                                                            Amo il volto, ma desio
                                                            che la bella,
                                                            di virtù chiara facella
                                                            dia splendore alla beltà.
- scena xii (xiii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
            erismeno                            Regnerà;
                                                            e
quell’alma ardita, e fiera,
                                                            che
oggi vuol rapirli il soglio,
                                                            l’orgogliosa fronte altera
                                                            al suo trono piegherà.
                                                            Gema
intanto fra ritorte,
                                                            e sol speri con la morte
                                                            di ottener la libertà.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                               Varchi un mar di scogli pieno,
                                                            ma del lido amato in seno
                                                            io guidarti ben saprò.
                                                            Quando giunto al fin sarai,
                                                            quella destra bacierai;
                                                            che nel porto ti guidò.
- scena xiv (xv), l’aria
d Arsace è così sostituita:
               arsace                                 Nella
fosca, e ria procella
                                                            altri
pur speri la calma,
                                                            e
dovrà solo quest’alma
                                                            penar sempre, e senza speme.
                                                            Ma
se pensa che l’onore
                                                            è sua guida, ed è sua stella;
                                                            va mancando il suo timore,
                                                            né più in sen sospira, e geme.
Atto III
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
               cosroe                                Sul freddo busto esangue,
                                                            su
le mie membra lacere
                                                            passi
chi vuol regnar
                                                            sovra il tuo soglio.
                                                            Ma fin che tutto il sangue
                                                            mi scorre per le vene,
                                                            in trono rimirar
                                                            altri non voglio.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
            palmira                               Non è degno quel reo del tuo
dolore.
                                                            D’un
indegno che ti offese,
                                                            d’un
crudel che ti oltraggiò,
                                                            è
follia sentir pietà.
                                                            Se punisci un traditore
                                                            che le leggi vilipese,
                                                            il tuo core
                                                            qual rimorso aver dovrà?
- scena vii, il
monologo di Ormisda è così sostituito:
            ormisda               Colpe
di figlio reo, protervia, orgoglio,
                                             tradimento,
impostura,
                                             venite
in mio soccorso, e sostenete
                                             le
ragioni di un re che lo condanna.
                                             Tutto
io fei per salvarlo:
                                             ei
tutto per perir: mora: ma sento
                                             un
non so che nel seno
                                             che
mi muove a pietà: torna Erismeno.
                                             Vedo girarmi intorno
                                             ombra
che mesta piange, e così grida:
                                             barbaro
genitore,
                                             di permettere hai core
                                             che destra infame il nostro figlio uccida?
                                             Son l’estinta tua sposa,
                                             l’infelice sua madre:
                                             se il re lo condannò, l’assolva
il padre.
                                             Delle viscere tue,
                                             delle viscere mie parte sì cara
                                             cadrà di vita prima?
                                             Ah pensa che sei padre, e il
figlio viva.
                                             Sparve l’ombra dolente,
                                             e
mi lasciò ripieno
                                             di
spaventoso orror: torna Erismeno.
                                             No:
s’ei vivesse, e che direbbe allora
                                             e la
Persia, e l’Armenia? Il figlio mora.
                                             Par genitore atroce,
                                             e Ormisda è giusto re.
               ormisda               Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
                                             il pensier che nel figlio in mente cadde
                                             a prò de l’altro figlio.
                                             Il suo mortal
periglio
                                             (in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
                                                            Di
padre il dolce nome
                                                            con
quel di giusto re
                                                            in
me
                                                            confonde amor.
                                                            Se il re condanna il figlio,
                                                            cangiando poi consiglio
                                                            l’assolve il genitor.
- scena x, la scena
è sostituita dalla seguente:
                                          Cosroe incantenato per un braccio
ad un sasso.
               cosroe                 Crudo
re, padre inclemente!
                                             Cielo
ingiusto! Un innocente,
                                             perché
dee penar così?
               erismeno             Prence,
hai duopo di tutta (stando di lontano)
                                             la tua fortezza. Io vengo
                                             a te nunzio di morte, e ‘l re l’impone.
               cosroe                 D’un malvagio, qual tu, questa è
sol trama.
                                             Venga
il padre, e comandi, io lieto moro.
               erismeno             È vano
lo sperar. Scegli qual vuoi
                                             ferro,
o velen. Questo è il voler del padre.
               cosroe                 Sì morirò: barbaro, iniquo mostro
                                             toglimi
pur la vita,
                                             giacché la fama m’involasti:
indegno;
                                             di ciò che oprai
per te, questa mi rendi
                                             degna
mercede?
               erismeno                                           Eh! Cosroe,
                                             chi
riceve le offese,
                                             le
scrive in marmo, e chi le fa, in arena.
 Il governo del Ponto a me negato (si apre intanto nel muro una porta segreta
della prigione, e ne calano Artenice, ed Arsace)
                                             io
meritava. In cor ne chiusi il torto
                                             per
vendicarlo. Eccone il tempo. Or mori.
                                             Arcieri,
saettate
                                             di Cosroe
il cor...
- scena xi, la scena
è sostituita dalla seguente:
                                             Artenice,
Arsace, e detti.
               artenice              Fermate. 
                                             Ecco,
Erismeno, il regio impronto, e noi
                                             rechiam nuovi comandi. (gli
mostra l’anello)
                                             Lascia che a Cosroe
io parli, e s’ei non cede,
                                             la ria sentenza esseguirai.
               erismeno                                                          Che
inciampo!
               arsace                 Vanne,
amor mio; da te pendon due vite. (ad Artenice) (Arsace si ritira in disparte, e Artenice si avanza)
               cosroe                 Qual fortuna per me, bella
Artenice,
                                             vederti,
e poi morire?
               artenice              Di
morir non si parli; hai grazia, e vita.
               cosroe                 Chi non sa d’esser reo, grazia
ricusa;
                                             ma
pur come ciò sia?
               artenice              Un
atto generoso
                                             puote salvar te stesso,
                                             spegner
l’ira del padre,
                                             Palmira sodisfar, e render lieti
                                             il mio costante amor, la gloria
mia.
                                             Col tuo voto Artenice abbia lo
sposo,
                                             l’Armenia il suo regnante, e Arsace il sia. (Cosroe sta pensoso)
               arsace                  (A parte) Fate, o dei, che quell’alma al
fin si renda.
               cosroe                 Reina, a te più deggio in ciò che oprasti
                                             quando
meno mi amasti; amarmi, e farlo
                                             sara
stato di amore util consiglio;
                                             ma in farlo senza amarmi
                                             generosa virtù ne ha tutto il merto.
                                             Or questa avria
ragion d’abbandonarmi,
                                             s’io ti cedessi per campar di
rischio:
                                             di Arsace
sii. Mia morte a tel concede;
                                             nol potria la mia vita; e morte sola
                                             può Arsace
unito a te render felice.
               erismeno             Già
rispose il feroce, al re si serva. (ad
Artenice)
               artenice              Attendi,
e più rispetto ad Artenice. (ad Erismeno)
                                             Cosroe, con la tua morte al caro Arsace
                                             tu
mi togli per sempre.
               cosroe                 Chi tel
vieta me estinto?
               artenice              La
gloria mia; che de la tua sciagura,
                                             esser
non voglio il prezzo.
               cosroe                                                              O
generosa!
                                             Tu
m’insegni la via di vendicarmi;
                                             renderà
i miei nemici
                                             la mia morte infelici.
               artenice              E me
con loro.
                                             Son
io degna, o crudel, di tal mercede?
                                             Me ancor confondi nella tua
vendetta?
               cosroe                 I rimproveri tuoi, quasi m’han
vinto:
                                             ma vedi, in questi ceppi, in
quegli strali
                                             più che la pena mia, sta la mia
fama;
                                             se tal ti cedo, si dirà che
astretto
                                             vi fui non da pietà, ma da
timore;
                                             nol
farò; morir deggio; il vuole onore.
               erismeno             E lo
comanda il re; non più dimore.
                                             Non
è facile campar Cosroe da morte. (Arsace col stilo si avventa verso Erismeno)
               arsace                  Perfido,
tu l’avrai;
               artenice              Sì crudel, tu morrai;
               erismeno             E tu
in Cosroe proteggi un parricida? (ad Artenice)
                                             E il figlio di Palmira
                                             può farmi un tal oltraggio? (ad Arsace)
               arsace                  Ah!
Mi sovvieni
                                             o fatal
giuramento, e l’ire affreni.
               erismeno             Ma di
tutto si vada
                                             con
l’avviso a Palmira.
               arsace                                                               Io
qui l’attendo.
               erismeno                            Ella al figlio dia leggi, e’l reo poi cada.
                                                            Non
ti lascio che un solo momento
                                                            per
recarti più barbara morte.
                                                            L’aspettarla ti sia più tormento;
                                                            che sospesa non placa l’irato,
                                                            ma fa attesa tremare anche il
forte.
- scena xiii: la scena
è sostituita in questo modo:
                                          Arsace, ed Artenice.
               arsace                  Regina,
io t’ubbidii.
               artenice                                            Da forte oprasti;
                                             ed
or più del tuo volto amo il tuo core.
               arsace                  Che
mi giova infelice,
                                             che
tu dica d’amarmi, e amarmi tanto,
                                             se d’esser mia poscia ricusi?
               artenice                                                           Ah
taci.
                                             Sa
il ciel, se io bramo d’esser tua; ma spera;
                                             ch’io
pur fremo nel petto
                                             che
la speme gradita ognor s’avanza.
               arsace                  Menzognera
non sia nostra speranza.
               artenice
               e arsace                Doppo tante, e tante pene
               artenice                             Idol mio,
               arsace                                                Caro
mio bene
               artenice                             giunga il dì
               arsace                                                               venga il momento
               artenice
               e arsace                               in cui
goda il cor contento,
                                                            e
sia pago il nostro amor.
                                                            Non
andrà senza mercede
               artenice                             tua
virtù,
               arsace                                                               tua bella fede:
               artenice
               e arsace                               e
vedrassi l’empio fato
                                                            disarmato
di rigor.
- scena xv, l’ultima
battuta di Palmira è così sostituita:
            palmira                Sì
sì per vendicarti
                                             usa
tutto il rigore:
                                             benché
fra strazi, e da tormenti oppressa
                                             sarò contro di te sempre l’istessa.
                                                            Benché estinta, a farti guerra
                                                            dal profondo, e cieco regno.
                                                            Pallid’ombra
a te verrò.
                                                            E se toglierti dal seno
                                                            non potrò lo spirto indegno
                                                            in sembianza orrida almeno             
                                                            la tua pace io turberò.
Dedica per
l’edizione 1723:
SIRE.
Sono
tante, e così forti le ragioni di consacrare alla MAESTÀ VOSTRA questo drama, che rendono quasi necessario in noi l’ardimento, o
lo discolpano almeno col pretesto di pubblicare in tal guisa il profondo
rispetto, e di provedere al nostro particolare
interesse. Egli è un naturale instinto di chi teme
una caduta, il cercare anche temerariamente alcun sostegno, ed il mettere un’illustre
protezione in fronte alla debolezza, è un’arte ingegnosa, per nascondere sotto
lo splendore di quella, le imperfezioni di questa. Un platano, quantunque
pianta sterilissima di frutti, meritò gl’applausi di
tutta l’Asia, perché questa lo vidde contrasegnato dalla benefica affezzione
di uno sovrano, e noi assicuriamo la fortuna di codesto componimento, col
mostrarlo al mondo fregiato della generosità della MAESTÀ VOSTRA, essendo fuor
d’ogni dubbio che in grazia del Patrocinio che lo difende, si perdoneranno in
esso i difetti; ed il benefizio ch’ella ne fa, perché sarà creduto un’approvazione
dell’opera, darà legge, ed esempio al favore de gl’altri. Supplichiamo
umilmente VOSTRA MAESTÀ d’un benignissimo perdono, se
ardimo di dedicarle con noi medesimi, ancora il
Teatro, e se per farlo con qualche scusa della nostra presunzione siam ricorsi
alla gloria del di Lei Nome, che umilmente imploriamo per sua tutela, e con l’ossequio
più profondo se gl’inchiniamo.
Artenice 1723 (Torino)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena v, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
               cosroe                                Sin che Febo in ciel vedrai,
                                                            lo
splendore di que’ ra,
                                                            qual farfalla, adorerò.
                                                            S’armi pure odio, e furore
                                                            di quel soglio, e dell’amore
                                                            la ragion difenderò.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                               Se mi dici, e cara, e sposa
                                                            non
ti credo ingrato cor:
                                                            se
ne andaro i dì felici
                                                            io ben vedo il tuo rigor.
- scena viii, nuova
scena.
                                             Cleonzio, poi Zaira.
               cleonzio             Da rabbia d’una donna il ciel mi
guardi.
                                             Ormisda egli è pur buono!
                                             «Palmira, anima mia, di che paventi?»
                                             E
quella gli risponde in mesto suono,
                                             «eh sì teneri nomi
                                             non son più per Palmira»
                                             Uh che
rabbia! Uh che ira!
               zaira                    Maledetto
il sartore,
                                             che
s’è fatto aspettar più di due ore;
                                             la
sala è senza gente; ma che veggio?
               cleonzio             Signora,
io le son servo.
               zaira                                                                 Anzi
padrone.     
                                             Qual
sorte qui condusse uom sì cortese?
               cleonzio             Son
cavalier di Cosroe confidente.
               zaira                    Io
dama d’Artenice.
               zaira
               e cleonzio           (A
parte) Se di me s’innamora io son felice.
               cleonzio             Eh
signora, se mai...
               zaira                                                  Che?
               cleonzio             Le
piacesse.
               zaira                                                  Che cosa?
               cleonzio                                                          D’accettarmi...
               zaira                    In
che?
               cleonzio                            Per
suo.
               zaira                                                  Via, dica?
               cleonzio                                                          Cavaliere.
               zaira                    Mi
farà tanto onor di gran piacere.
                                             Che
cavalier ben fatto, e tutto grazia!
               cleonzio             Signora,
mi confonde;
                                             veda,
son uom di merto,
                                             tutti
de’ cavalieri ho i pregi addosso.
                                             In
trattar l’armi non cedo a Marte.
                                             Canto
come un’orchestra.
                                             E
per farle vedere,
                                             quanto
io sia singolare nella danza,
                                             eccole
la maniera
                                             d’entrar con garbo, e grazie in
una stanza.
                                                            Favorisca: alta la testa:
                                                            eh cammini un po’ più lesta,
                                                            guardi in faccia i più vicini;
                                                            via, su, replichi gl’inchini:
                                                            dica a quello, dica a questa,
                                                            serva, schiava, addio, buondì.
               zaira                    Mi
permetta: io torno a fare:
                                                            veda,
veda?
               cleonzio                            È
singolare.
               zaira                                   Serva
schiava, addio, buondì.
                                                            Non
va ben così?
               zaira
               e cleonzio                                                        Così.
               cleonzio                            (A parte) Quanto semplice è costei.
               zaira                                   (A parte) Per mio ben l’eleggerei.
                                                            (ad alta voce) Dica in grazia, è forestiero?
               cleonzio                            Eh,
mi burla! Non è vero.
                                                            Per
la terra tutta quanta
                                                            il mio nome si decanta;
                                                            ma per altro son
di qui.
               zaira                                   È
di qui?
               cleonzio                                           Di qui.
               zaira                                                                 Di qui?
               cleonzio                            Sì,
signora.
               zaira                                                                 Sì?
               cleonzio                                                                        Sì, sì.
               zaira
               e cleonzio                          Lì lì
lì lì lì
lì lì.
- scena x, la scena
è introdotta da un’aria di Artenice:
               artenice                             Tra
la spene, e fra’l timore
                                                            il mio cor
pace non ha.
                                                            E
già vinto al suo dolore   
                                                            più
resistere non sa.
- scena xii (xiii), l’aria
di Arsace è la seguente:
               arsace                                 A
parlar m’invita onore;
                                                            poi
severo, e lusinghiero
                                                            a
tacer m’impegna amor.
                                                            Io
vi cheggio,
                                                            che
far deggio?
                                                            Se
favello, il cor mi dice,
                                                            se’
infelice, o traditor.
- scena xv e xvi: queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv. L’aria di Cosroe diventa la
seguente:
               cosroe                                Mesto si lagna
                                                            quell’usignolo
                                                            che
laccio infido,
                                                            o
fiero artiglio,
                                                            vicino
al nido
                                                            de
la compagna
                                                            mirando va.
                                                            Fra l’ira e‘l
duolo
                                                            la chiama al piano;
                                                            la cerca al monte.
                                                            Se trema fronda;
                                                            se palpita onda,
                                                            crede in periglio
                                                            de la sua cara
                                                            la libertà.
- scena xviii (xvii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
               erismeno                            Or fieri, or lusinghieri,
                                                            tiranni i miei pensieri
                                                            m’invitano a temer, ed a sperare,
                                                            di pena, e di contento
                                                            questo è‘l
fatal momento
                                                            che d’infamia, o d’onor pompa dee far.
- scena xviii, nuova,
seguita dal ballo dei Giardinieri:
               cleonzio                            Che
gran fortuna mia
                                                            di
trovar così buona compagnia!
                                                            gente
di più paesi
                                                            Alemanni,
Franzesi,
                                                            ad
onor d’Artenice,
                                                            oggi
stata regina incoronata,
                                                            più
d’una grossa botte hanno votata.
                                                            Oh
quanto è allegro questo giardiniere!
                                                            Che
bel gusto, il vedere
                                                            que’ suoi garzoni Armeni pieni di vino!
                                                            In
un paese, ove non piace punto.
                                                            La festa andrà benissimo:
                                                            orsù,
messer Cleonzio
                                                            siete
Bacco stessissimo.
                                                            Alberi,
sassi, piante
                                                            tremate
a noi davante.
                                                                           Al
suon di corni, e pifferi
                                                                           si sveni al dio de’ grappoli
                                                                           un’ecatombe
d’asini;
                                                                           su
presto alla gran caccia.
                                                                           Olà,
la testa frangasi
                                                                           a
quel bestion selvatico,
                                                                           che
rode viti, e pampani,
                                                                           o
sempre in lor s’impaccia.
Atto II
- scena i, la prima
scena è quasi del tutto eliminata (rimane solo la prima battuta del coro) e
unita con la seconda.
- scena vii (vi), l’aria
di Cosroe è così cambiata:
               cosroe                                Padre, fedel
ti sono:
                                                            perché
son base al trono,
                                                            queste catene al piè!
                                                            Parlano pur per me
                                                            palme, ed allori.
                                                            Ma tremi l’empietà,
                                                            se il ciel le spezzerà:
                                                            vendetta far saprò;
                                                            armato spirerò
                                                            sdegni, e furori.
- scena ix (viii),
aggiunta un’aria di Mitrane:
               mitrane                              La
nuvoletta
                                                            talor
vedrai
                                                            del
Sole i rai
                                                            coprir d’orrore
                                                            poi si dilegua
                                                            l’oscuro velo,
                                                            ritorna al cielo
                                                            il suo splendore.
Nella
stessa scena, l’aria di Ormisda è così cambiata:
               ormisda                              Monti alpestri, selve amene,
                                                            voi recate quella pace
                                                            che fra gli ostri un re non ha.
                                                            De’ pensieri, e de le pene
                                                            sempre in voi l’orgoglio tace,
                                                            e‘l
contento, e‘l riso sta.
- scena ix, nuova
scena:
                                             Artenice,
Zaira.
               artenice                             Di
ruscello onda tramente
                                                            o da l’aure
scossa fronda
                                                            è un ritratto del mio cor.
                                                            Del cor
mio, che palpitante
                                                            or lusingasi,
or s’affanna
                                                            fra la spene, e fra‘l timor.
                                             Affetti
del cor mio,
                                             siete
infelici, perch’eroici siete:
                                             abbandonar conviene il caro Arsace.
               zaira                    Notte,
e dì per Arsace sospirate;
                                             gli
dite anima mia, mio ben, mio core;
                                             farvelo
re d’Armenia voi potete:
                                             pensate,
e ripensate;
                                             e a l’uso delle donne,
                                             il peggio risolvete.
               artenice              Lasciami
in pace.
               zaira                                                  Addio:
                                             ma
sappiate, signora, che se amassi,
                                             come
voi fate, non sarei già io.
                                                            Egli
v’ama, voi l’amate;
                                                            perché,
dite, non gli date
                                                            quella
man, s’ei tiene il cor.
                                                            Mentre
al regno lo chiamate,
                                                            ei vi dee con grato affetto,
                                                            gran rispetto, e grande amor.
- scena x, l’aria
di Mitrane cambia in questo modo:
               mitrane                              Il
rio dal mar si parte;
                                                            da le nascoste vene
                                                            va per ignote arene;
                                                            ma poi ritorna al mar.
                                                            Tal volge i desir
suoi
                                                            l’anima tua reale
                                                            di tanti chiari eroi
                                                            la luce a vegheggiar.
- scena xii, l’aria
di Erismeno è così mutata:
               erismeno                            ll fellon finché non cada
                                                            non sarai mai trionfante.
                                                            Veder parmi
la sua spada
                                                            balenar a te davante.
- scena xiii, l’aria
di Palmira viene sostituita:
               palmira                               Non temer di stella infida,
                                                            se
ti guida
                                                            de
la madre il fido amor.
                                                            Sarai
re, sarai felice,
                                                            tel
predice,
                                                            tel
predice questo cor.
- scena xiv, l’aria
di Arsace è così sostituita:
               arsace                                 Se
l’amore s’armerà,
                                                            la mia gloria il
vincerà,
                                                            pugnerò contro il
mio cor.
                                                            Di quest’alma sarà
vanto
                                                            fugir pace, ed amar pianto,
                                                            cercar danno, rio dolor.
- scena xv, nuova
scena, prima del ballo dei Custodi.
                                             Cleonzio, Zaira.
               cleonzio                            Oh
che mondo! Così va,
                                                            fra‘l
mentire, e‘l simulare
                                                            la fortuna se ne sta.
                                                            Per campare, può sudare
                                                            fra gran pene l’uom dabbene,
                                                            come viver ei non sa.
                                             Di Cosroe
mio padrone il caso acerbo
                                             io piango; è galantuomo,
                                             nessun meglio di me lo sa, che
sempre
                                             gli sono stato a’ fianchi,
                                             e che sempre gli ho dato un buon
esempio:
                                             è galantuom
da vero;
                                             lo giurerò per Mitra stesso, e
pure,
                                             con tutto il suo valore,
                                             son costretto a mirarlo in duri
guai.
               zaira                    Datti
pace: vedrai
                                             quanto
possa Artenice,
                                             no,
Cosroe non sarà sempre infelice.
                                             Quando
la posso chiappar sola, o quando
                                             è
nel suo gabinetto,
                                             glielo
vo ramentando.
               cleonzio             Fallo
di grazia, anima mia, deh fallo.
                                             Tu sai che un buon padrone
                                             fa di tutto pel servo; or è ben
giusto
                                             che‘l
servo pel padron faccia di tutto;
                                             e nelle sue disgrazie
                                             serbi
fede, e costanza.
               zaira                    In
Persia già regnò sì bella usanza;
                                             ma
il mondo d’oggidì
                                             non
l’intende così.
               cleonzio             Perché
nelle cittadi
                                             son
gli uomini a l’antica radi, radi.
               cleonzio                            Quanto
saria dolcissimo,
               zaira                                   che
vita giocondissima!
               cleonzio                            Fuor
delle cure orribili
               zaira                                   Fuor
de la sorte instabile
               zaira
               e cleonzio                          cantar su l’erbe tenere
                                                            ne’
monti più salvatici
                                                            La
fa li le la la.
               cleonzio                            Invidia
là non trovasi;
               zaira                                   Invide là non temonsi;
               zaira
               e cleonzio                          ma unite insieme
albergano
                                                            virtù con fé en
candida,
                                                            bellezza,
ed onestà.
               zaira                    A
più lieti pensieri
                                             diam
luogo; e poiché tanto
                                             del ballo ti compiaci: olà,
custodi, (escono facendo diversi inchini.)
                                             sciogliete in liete danze il
piede intorno.
               cleonzio             Felice
questa gente,
                                             se
quanto ha bravo il piè, brava è la mente.
               zaira                                   Oggidì
si mostra a dito
                                                            chi erudito non ha‘l piè.
                                                            Se
qualcuno mai s’avanza,
                                                            senza
inchini in una stanza,
                                                            v’ha
chi dice, un goffo egli è.
Atto III
- scena i, la scena
è introdotta in questo modo:
               ormisda                              Tra l’amore, e fra lo sdegno
                                                            di due fiamme avvampa il cor:
                                                            e non so nel grande impegno
                                                            chi di lor sia vincitor.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così mutata:
               palmira                               Mio re, mio dolce sposo, 
                                                            serena il mesto ciglio, 
                                                            lasciò d’esserti figlio, 
                                                            un empio, un infedel.
                                                            Vapor
così orgoglioso,
                                                            talora il sole ingombra, 
                                                            poi si dilegua in ombra, 
                                                            lascia sereno il ciel. 
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, mutata così:
               arsace                                 Qual
tra fosca, e ria tempesta
                                                            al già pallido nocchiero
                                                            spunta un raggio lusinghiero,
                                                            che gli addita il
vicino porto.
                                                            Tal
vegg’io del tuo gran core
                                                            sfolgorar
lampo di luce,
                                                            che
fedel già mi conduce,
                                                            ove
spero il mio conforto.
Viene
inoltre aggiunta una nuova scena (ix) con il
seguente soliloquio di Ormisda:
               ormisda               Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
                                             il pensier che nel figlio in mente cadde
                                             a pro
de l’altro figlio.
                                             Il suo mortal
periglio
                                             (in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
                                                            Son
re sdegnato
                                                            consorte
offeso,
                                                            ma
padre ancor.
                                                            Quel
core ingrato
                                                            vuol
pur difeso
                                                            paterno
cor.
- scena xiii, viene
aggiunta la seguente aria e eliminata la scena XIV, integrata alla precedente:
               arsace                                 La
mia sorte a te fidai; (a Cosroe)
                                                            ma
il cor mio sol fido a te. (ad Artenice)
               artenice                             So che ingrato non sarai; (a Cosroe)
                                                            ma il cor
mio teme per te. (ad Arsace)
               cosroe                                Amo è vero; ma forse ancora
                                                            mi
vedrete oprar da forte.
               arsace 
               e artenice                           Ami è ver: ma forse
ancora
                                                            ti
vedremo oprar da forte.
               arsace                                 Cosroe, bella, ahimè ch’io moro!
               artenice                             Cosroe, Arsace ahi che t’adoro
               cosroe                                Sta il mio core in servitù
                                                            de l’amor, de la virtù,
                                                            benché il
piè fuor di ritorte.             
               artenice              Va
pur, misero amante;
                                             ma prode, e generoso, a compier l’opra
                                             che di fama immortal
degna facesti;
                                             il tuo raro valor già mi
assicura:
                                             e le sognate larve ormai discaccia.
                                             Ma novello timore,
                                             per tua virtù, viene a dar pena
al core.
                                                            Basta
dir che la mia pena
                                                            è
l’amar senza speranza;
                                                            e l’aver troppa costanza
                                                            e’l dolor, che il cor m’impiaga.
                                                            Chi provò l’egual tormento,
                                                            sol può dir quel rio spavento,
                                                            che mortal
mi fa la piaga.
- scena xv, aggiunta
nuova scena:
                                             Cleonzio, Zaira.
               cleonzio             Viva,
mia Zaira, viva:
                                             è Cosroe in libertade,
                                             mercè a
la tua padrona, e al suo fratello.
                                             Dice pur bene quel proverbio
antico,
                                             che contra l’innocenza
                                             l’impostura non vale un acca, un
fico.
                                                            O
che gusto! La matrigna
                                                            storge gli occhi, poi digrigna,
                                                            sbruffa,
smania, e batte i piè.
                                                            E frattanto nella piazza
                                                            ognun grida, ammazza, ammazza:
                                                            viva Cosroe
nostro re.
               zaira                    Compatisco
quel povero d’Arsace,
                                             che
insieme ad Artenice
                                             l’ha
tolto di prigione;
                                             ed ora l’infelice
                                             dovrà ceder l’amata al suo
padrone.
               cleonzio             Eh!
Non conosci Cosroe:
                                             ei
non è di quel popol sempliciaccio,
                                             che si lascia guidar da un bel
mostaccio.
                                             Ama all’uso de’ grandi;
                                             e dice che la gloria
                                             è la sua prima donna; e per la
gloria
                                             cederà la signora
                                             al fratello, il vedrai.
               zaira                    Di
questi amori non ne veggio assai.
                                                            Quanti,
quanti uomini
                                                            che fan da satrapi,
                                                            son debolissimi,
                                                            se mai s’incontrano
                                                            in una femmina,
                                                            l’arte di prenderli,
                                                            che intende, e fa.
                                                            I prudentissimi
                                                            fanno spropositi
                                                            arcigrandissimi:
                                                            co’ più salvatici
                                                            fino
i più stitichi
                                                            piangon,
sospirano
                                                            per la beltà.
                                             S’ode
suono di trombe.
                                             Senti, senti le trombe?
               zaira                                                                 Che
sia mai?
               cleonzio             Andiam, mia vita, andiamo.
                                             Chi
sa che in sì bel giorno, amica sorte
                                             non
mi faccia marito, e te consorte.
               zaira                                   Qual
foglia sopra un albero,
                                                            cui
muove d’aura un sibilo,
                                                            nel
petto il cor mi palpita,
                                                            e mi fa ticche,
ticchete.
               cleonzio                            Qual
ferro su l’incudine,
                                                            che
il fabbro vuol distendere,
                                                            mi sento il core a battere,
                                                            e a farmi tocche tocchete
               zaira
               e cleonzio                          Perché mio ben? Per
te.
               cleonzio                            Dì il vero, dolce spene.
               zaira                                   Sì,
caro mio tesoro.
                                                            Io
t’amo,
               cleonzio                                           Ed io t’adoro,
                                                            mia
vita,
               zaira                                                  caro bene,
               zaira
               e cleonzio                          per te son tutto/tutta
fé.
- scena xvi, l’aria
di Mitrane è così sostituita:
               mitrane                              Riconosco
in quell’ardore
                                                            il
tuo fato, il tuo riposo;
                                                            sarai
sposo,
                                                            sarai re, mel
dice amor.
                                                            Se pietà lo smorza, o frena,
                                                            sol ti resta in danno, in pena,
                                                            vil
catena,
                                                            ira inerme, e rio dolor.
- scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
               palmira                               Mira la quercia annosa,
                                                            mira
lo scoglio in mar,
                                                            ch’aura
piegar non osa,
                                                            ch’onda
non può spezzar.
                                                            Così quest’alma mia,
                                                            e quercia, e scoglio sia,
                                                            che non potrai piegar.
Ormisda 1723 (Genova)
Atto I
- scena i, la prima
parte della scena è sostituita dalla seguente:
               ormisda               O
del grande Artabano,
                                             che a l’Armenia
diè leggi, inclita figlia, 
                                             bella
Artenice, il lieto giorno è questo
                                             che por ti dee l’aurea corona in
fronte, 
                                             e darti al popol tuo sposa, e
regina.
                                             Te a l’amor
mio commise il re tuo padre, 
                                             e che passi un mio figlio
                                             a l’onor del tuo letto, è suo volere.
                                             Dal tuo
reale assenso
                                             questo or si adempia, e regni 
                                             di te, vergine illustre, il cenno
altero
                                             sul perso insieme, e su l’armeno
impero.
                                             Liberi
sensi esponi, e quei diritti
                                             che
inspira a nobil alma
                                             il nome di Reina, usa a tua voglia.
- scena ii, l’aria
di Mitrane è sostituita dalla seguente battuta:
               mitrane               Bacio
la man che a tant’onor m’inalza,
                                             e
scorgo in questo dono
                                             il
gran dover, a cui prescielto or sono.
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                                Se mi dici, e cara, e sposa
                                                            non
ti credo ingrato cor:
                                                            se
ne andaro i dì felici
                                                            io ben
vedo il tuo rigor.
- scena viii, l’aria
di Artenice è sostituita dalla seguente:
               artenice                             Col
rapirmi o regno, o core
                                                            di
turbare il nostro amore
                                                            forse
il ciel rimorso avrò:
                                                            ma
più caro dell’impero
                                                            quel bel volto lusinghiero
                                                            sul mio cor
trionferà.
- scena xii, l’aria
di Arsace è così sostituita:
               arsace                                 Padre
io taccio sai perché?
                                                            Perché temo ancor per te, (ad Ormisda)
                                                            ma tu pena non
avrai: (a Cosroe)
                                                            placa l’ira, e fa svenarmi (ad Ormisda)
                                                            ma il tuo sdegno almen risparmi
                                                            l’innocenza
che non sai.
- scena xv e xvi: queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv.
- scena xvii (xv), l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
               palmira                               Sul labro mio favella
                                                            d’una
reina il cor
                                                            se brami gemme, ed or
                                                            tesori avrai:
                                                            se poi d’un sembiante
                                                            rendesti il cor
amante
                                                            di bella sposa allor
                                                            lieto sarai.
- scena xviii (xvi), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
               erismeno                            Quando
serve alla vendetta,
                                                            il
rigor d’un’alma forte
                                                            è dover, non empietà.
                                                            Se virtude
allora s’oppone
                                                            la virtù divien viltà.
Atto II
- scena i, la prima
scena è quasi del tutto eliminata (rimane solo la prima battuta del coro) e
unita con la seconda.
- scena ii (i), l’aria
di Artenice è così sostituita:
               artenice                             Se
chiedete che costante
                                                            serbi
fede al vostro regno
                                                            la
giurai, la serberò:
                                                            ma non vuol la
gloria mia
                                                            che
funesta or a voi sia,
                                                            se or lo sposo eleggerò.
- scena vi (v), viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena viii (vii), l’aria
di Palmira viene così sostituita:
               palmira                Pace
sì cor del mio cor
                                                            sì
pietà del mio dolor,
                                                            e
se ‘l sangue poi si vuole
                                                            il mio sen lo verserà:
                                                            vita imploro solo a te,
                                                            caro figlio a te pietà
                                                            m’intendesti o padre, o re?
                                                            Solo a me la crudeltà.
- scena ix (vii), viene
eliminata l’ultima battuta con l’aria di Ormisda, spostata nella scena
successiva. L’aria è la seguente:
               ormisda                              Monti
alpestri, selve amene
                                                            voi recate quella pace
                                                            che
fra gl’ostri un re non ha:
                                                            de’
pensieri, e delle pene
                                                            sempre in voi l’orgoglio tace,
                                                            e’l
contento, e’l riso sta.
- scena x, la
battuta di Artenice («Affetti del cor mio, siete
infelici») è spostata da sola in una scena a sé.
- scena x (xi), l’aria
di Mitrane è così sostituita:
               mitrane                              Orgoglioso
alza le spume,
                                                            real
fiume,
                                                            e più s’adira,
                                                            quando mira 
                                                            quello scoglio che lo arresta:
                                                            al mirar tra le catene
                                                            l’innocenza, senza spene,
                                                            dal tuo corso luminoso,
                                                            la tua gloria or qui t’arresta.
- scena xii (xii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
               erismeno                            Frema
l’empio tra crude ritorte,
                                                            senza
speme di qualche pietà:
                                                            all’aspetto di livida morte,
                                                            forse ancora quel cor tremerà.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                               Non temer di stella infida,
                                                            se ti guida
                                                            de la madre il fido amor.
                                                            Sarai re, sarai felice,
                                                            tel
predice,
                                                            tel
predice questo cor.
- scena xiv (xv), l’aria
di Arsace è così sostituita:
               arsace                                 Per
quel bel volto
                                                            che m’innamora,
                                                            più non ti ascolto
                                                            pietà crudel:
                                                            per te non voglio,
                                                            regnar sul soglio,
                                                            quanto infelice,
                                                            tanto infedel.
Atto III
- scena ii, viene
eliminata gran parte della scena, compresa l’aria di Ormisda.
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
               cosroe                                Fia tuo
sangue il sangue sparso
                                                            da mie vene, o genitor.
                                                            Nel veder che invitto, e forte,
                                                            sarò grande in faccia a morte,
                                                            tu
dirai: quegli è il mio cor.
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, mutata così:
               arsace                                 Se all’urto di ria procella
                                                            freme l’onda, e’l
ciel balena,
                                                            al brillar d’amica stella,
                                                            l’onda, e’l
ciel si placherà:
                                                            tale ancor dopo il tormento,
                                                            raggio amico di contento,
                                                            lieta
calma porterà.
Viene
inoltre aggiunta una nuova scena con il seguente monologo di Ormisda:
               ormisda               Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
                                             il pensier che nel figlio in mente cadde
                                             a pro de l’altro figlio.
                                             Il suo mortal
periglio
                                             (in
onta al giusto sdegno) è mio tormento:
                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
                                                            Son re sdegnato
                                                            consorte offeso,
                                                            ma padre ancor.
                                                            Quel core ingrato
                                                            vuol pur difeso
                                                            paterno cor.
- scena xii (xiii), viene
aggiunta la seguente aria:
               arsace                                 La
mia sorte a te fida,
                                                            ma il cor
mio sol fido a te.
               artenice                             So che ingrato non sarai,
                                                            ma il mio cor
teme per te.
               cosroe                                Amo, è ver: ma forse ancora
                                                            mi
vedrete oprar da forte.
               arsace                                 Cosroe, bella, ahimè ch’io moro.
               artenice                             Cosroe, Arsace, ahi che...
               cosroe                                Sta
il mio cuore in servitù,
                                                            dell’amor della virtù,
                                                            benché il più fuor di ritorte.
- scene xiii e xiv
eliminate, insieme a gran parte della xv.
- scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
               palmira                               Mira la quercia annosa,
                                                            mira lo scoglio in mar,
                                                            ch’aura piegar non osa,
                                                            ch’onda non può spezzar.
                                                            Così quest’alma mia,
                                                            e quercia, e scoglio sia,
                                                            che non potrai piegar.
Ormisda 1728 (Venezia)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena xv e xvi, queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv.
Atto II
- scena ii, l’aria
di Artenice è così sostituita:
               artenice                             Tuoni
a destra il cielo irato
                                                            urti,
incalzi avverso fato
                                                            con più torbida procella:
                                                            la mia gloria fia
mio scampo
                                                            e di lei seguendo il lampo
                                                            seguirò mia fida stella.
- scena vi, viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena vii, l’aria
di Cosroe viene sostituita così:
               cosroe                                Quel furor
che già nel mio seno
                                                            freme d’ira, e di veleno
                                                            e il rigor d’un’alma infida
                                                            rabbia inspira, odio, e rigor;
                                                            spero ancor vendetta un giorno
                                                            se il mio piè salirà al trono
                                                            di far straggi
col rigor.
- scena ix, l’aria
di Ormisda è così sostituita:
               ormisda                              Son
come alpino monte
                                                            che altero alza la fronte
                                                            ma il picciol
ruscelletto,
                                                            col dolce mormorio,
                                                            poi divenuto un rio
                                                            il frange
e atterra;
                                                            così mal vien difeso
                                                            il re da’
suoi tesori
                                                            ne vaglion
geme ed ori
                                                            se la forza del fatto
                                                            a noi fa guerra.
- scena x, la
battuta di Artenice («Affetti del cor mio, siete
infelici») è spostata da sola in una scena a sé.
- scena x (xi): l’aria
di Mitrane è così sostituita:
               mitrane                              Come
vuol che a’ rai del Sole
                                                            volga
i lumi la sua prole
                                                            fin da nido acquila
altera;
                                                            così volge i desir
suoi 
                                                            a la luce de gli eroi
                                                            tua reale alma sincera.
- scena xii (xiii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
               erismeno                            Orgoglioso
                                                            alza le spume
                                                            real
fiume,
                                                            e più s’adira,
                                                            quando mira
                                                            quello scoglio che lo arresta.
                                                            L’empio ancor tra sue catene
                                                            fremerà, ma senza spene.
                                                            Quanto più sarà fastoso,
                                                            avrà morte più funesta.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                               Non temer di stella infida,
                                                            se ti guida
                                                            de la madre il fido amor.
                                                            Sarai re, sarai felice,
                                                            tel
predice,
                                                            tel predice questo cor.
- scena xiv (xv), l’aria
di Arsace è così sostituita:
               arsace                                 Qual
nocchier che il suo naviglio
                                                            rimirò già quasi assorto,
                                                            tolto al fin dal rio periglio
                                                            dal bramato caro porto
                                                            guarda il mare, e si consola.
                                                            Tale anch’io, se dopo il pianto
                                                            vedrò in porto l’amor mio,
                                                            gioirò: ma l’alma intanto,
                                                            pena, e langue afflitta, e sola.
Atto III
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
               cosroe                                Fia tuo
sangue il sangue sparso
                                                            da
mie vene, o genitor.
                                                            Nel veder che invitto, e forte,
                                                            sarò grande in faccia a morte,
                                                            tu dirai: quegli è il mio cor.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
               palmira                               Mio re, mio dolce sposo,
                                                            serena
il mesto ciglio,
                                                            lasciò d’esserti figlio,
                                                            un empio, un infedel.
                                                            Vapor
così orgoglioso,
                                                            talora
il sole ingombra,
                                                            poi
si dilegua in ombra,
                                                            lascia sereno il ciel.
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, così mutata:
               arsace                                 Viva
al padre il regal figlio
                                                            forse
il ciel miglior consiglio 
                                                            fia che
inspiri al giusto re;
                                                            se versato poi il tuo sangue
                                                            per il misero già esangue
                                                            saria
vano il pianto in te.
Viene
aggiunta una nuova scena con il seguente monologo di Ormisda:
               ormisda               Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
                                             il pensier
che nel figlio in mente cadde
                                             a pro de l’altro figlio.
                                             Il suo mortal
periglio
                                             (in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
                                                            Son
re sdegnato
                                                            consorte
offeso,
                                                            ma padre ancor.
                                                            Quel core ingrato
                                                            vuol pur difeso
                                                            paterno cor.
- scena xi (xiii), viene
rimossa l’aria di Erismeno.
- scena xiv: la scena
è sostituita dalla seguente:
               artenice              Va’
pur, misero amante;
                                             ma prode, e generoso, a compier l’opra
                                             che di fama immortal
degna facesti;
                                             il tuo raro valor già mi
assicura:
                                             e le sognate larve ormai discaccia,
                                             ed ogni rio timore
                                             per tua virtù speme diviene al
core.
                                                            Nera
larva che sognai
                                                            luminosa
oggi a’ mei rai,
                                                            rendi amabil
lo spavento.
                                                            Fu d’orror
squallida allora
                                                            la feral
sanguigna aurora,
                                                            ma piacer nel giorno io sento.
- scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
               palmira                               Mira la quercia annosa,
                                                            mira
lo scoglio in mar,
                                                            ch’aura piegar non osa,
                                                            ch’onda non può spezzar.
                                                            Così quest’alma mia,
                                                            e quercia, e scoglio sia,
                                                            che non potrai piegar.
- scena xviii (xix), la
conclusione del dramma è così mutata:
               palmira                Son
paga. Arsace è re. Cosroe
anche regni.
               mitrane               Cosroe regni...
               coro                                    Regni dà natura e sorte;
                                                            ma più bei li dà virtù.
                                                            Cor più
degno di gran regno,
                                                            più magnanimo e più forte
                                                            del tuo, Cosroe,
mai non fu.
Ormisda 1730 (Londra)
Il pasticcio del 1730 è, per la sua stessa
natura, una rielaborazione molto più marcata del testo originale zeniano, con consistenti tagli che riguardano tutta l’opera
e fusioni di scene. Mi limito pertanto a segnalare le nuove arie e le scene
inedite.
Atto I:
- scena iv (iii):
               artenice                             Pupillette vezzosette
                                                            dell’amato mio tesoro
                                                            se vi basta il dir ch’io moro
                                                            sia per voi questa pietà.
                                                            Siete belle come stelle,
                                                            che adornate il ciel d’amore,
                                                            ma al mio grado, e al regio onore
                                                            ceder deve la beltà.
- scena vi (v):
               palmira                               Infelice abbandonata
                                                            già mi scorgo o sposo ingrato
                                                            con un figlio sventurato
                                                            preda sol di crudeltà.
                                                            Ahi per me non v’è difesa
                                                            più consiglio non m’avanza
                                                            nel tuo ancor la mia costanza
                                                            ingannata al fin sarà.
- scena vii (vi):
               ormisda                              Se
non sa qual vento il guida
                                                            spera invan
folle nocchiero
                                                            di condur sua nave in porto.
                                                            Tal anch’io che stella infida
                                                            sol m’intorbida il pensiero
                                                            e non trovo alcun conforto.
- scena viii (vii):
               artenice                             O
caro mio tesoro
                                                            tuo ciglio, il labbro, il crin
                                                            accende alletta annoda
                                                            il petto, l’alma il cor.
                                                            Il tuo bel crine è d’oro,
                                                            il labbro è di rubin,
                                                            e par che sempre goda
                                                            star nel tuo ciglio amor.
- scena xii (xi):
               arsace                                 Tacerò
se tu lo brami
                                                            ma fai torto alla mia fede
                                                            se mi credi traditor
                                                            porterà lontano il piede
                                                            ma placati i
sdegni tuoi
                                                            so che poi n’avrai rossor.
- scena xiii (xii):
               ormisda                              Se
non pensi al dover di figlio
                                                            mai del padre sperar puoi la
calma.
                                                            Dunque abbassa l’altero tuo
ciglio
                                                            se goder vuoi la pace dell’alma.
- scena
aggiuntiva (xvi):
               palmira                               Se quel cor
con nobil vanto
                                                            serve fido al mio pensiero;
                                                            tutto spero, e allor quest’alma
                                                            lieta al fin trionferà.
                                                            Sarò grata al suo valore
                                                            e vedrà qual sia il mio core,
                                                            nel
premiar sempre costante            
                                                            la sua bella fedeltà.
Atto II
- scena ii (i):
               artenice                             Se
d’Aquilon lo sdegno
                                                            tronca la pianta amata,
                                                            la vite innamorata
                                                            languida cade al suol.
                                                            Del caro tronco priva
                                                            non ha chi la sostenga,
                                                            il rio non la ravviva
                                                            non l’alimenta il sol.
- scena viii (v):
               erismeno                            Come
l’onda furibonda
                                                            d’orgoglioso fiume ondoso,
                                                            allo scoglio a franger va.
                                                            Tal del figlio’l
cieco orgoglio
                                                            d’un regnante genitore.
                                                            Al vigore cederà.
- scena viii (vi):
            palmira                               Nel tuo amor o dolce sposo
                                                            la sua gioia è’l
suo riposo
                                                            l’alma mia sol può sperar.
                                                            Per l’avverso e lieto fato
                                                            ti sovvenga sposo amato
                                                            che ti seppi ognor
amar.
- scena ix (vii):
               ormisda                              Sì
sì lasciatemi
                                                            tutta dell’anima
                                                            la libertà.
                                                            Che così vivere
                                                            l’oppresso spirito
                                                            non può non sa.
- scena xiii (xi): dall’ultima
battuta di Arsace in poi, la scena è strutturata come
segue:
               arsace                  Il
giuro.
                                             (a parte) Pur Cosroe salverò: vincerò il
padre.
                                             Né mai mi troverai ch’io sia
spergiuro.
                                                            Lasciami
amico Fato,
                                                            oprar con core grato,
                                                            e
poi se mi vuoi morto
                                                            lieto morir saprò.
                                                            Né vana è mia speranza.
                                                            In sì crudel
martire,
                                                            sostengo la costanza
                                                            che in petto aver dovrò.
               palmira                Quanto
del caro Arsace,
                                             il bel cor
generoso,
                                             turbò in un sol momento il mio
riposo.
                                             Temea
che non scoprisse
                                             il mio furor,
e d’Erismen la vita,
                                             fosse da lui rapita.
                                             Or che giurò, son paga,
                                             del passato timore,
                                             sparisce il
spettro, e si rischiara il core.
                                                            Timido
pellegrin,
                                                            che‘l
suo camin smarrì,
                                                            vede spuntar il dì, e si consola.
                                                            Tal dopo il mio tormento, 
                                                            sen riede un bel contento
                                                            l’affanno ed il timor dal cor sen vola.
- scena xii, nuova:
                                             Artenice
sola.
               artenice              Arsace anima mia,
                                             perché fedel
mi sei
                                             sol mio sposo esser dei.
                                             A che mi gioveria,
                                             aver amante possessor
del mondo?
                                             E poi che infido ingrato
                                             d’altra beltà in catene,
                                             mi dicesse spietato,
                                             tu non sei più l’idolatrato bene?
                                                            Sentirsi
dire dal caro bene
                                                            ho cinto il core d’altre catene,
                                                            quest’è un dolore, quest’è un
martire
                                                            che un’alma fida soffrir non può.
                                                            Che se ti lagni del traditore,
                                                            ti dirà forte con empio core,
                                                            se la mia fede così t’affanna.
                                                            Perché tiranna t’innamorò?
Atto III
- scena iv (iii), l’aria
di Cosroe è così mutata:
               cosroe                                Fia tuo
sangue il sangue sparso
                                                            da mie vene o genitor.
                                                            Nel veder ch’invitto e forte,
                                                            sarò grande in faccia a morte;
                                                            tu dirai: quegli è il mio cor.
- scena vii (vi), l’aria
di Arsace diventa la seguente:
               arsace                                 Io
corro pietoso
                                                            con alma fedele
                                                            da morte crudele
                                                            quel prode a
salvar.
                                                            Del Fato funesto
                                                            men volo, m’appresto
                                                            a scioglier il
nodo
                                                            perché sol io godo
                                                            potergli giovar.
- scena viii, l’aria
di Ormisda, separata dalla scena precedente come per le rappresentazioni dal
1722 in poi, è la seguente:
               ormisda                              Ti
sento amor di padre,
                                                            ch’estinto ogn’altro affetto
                                                            divampi nel mio petto
                                                            e tutto il vuoi per te.
                                                            Combattono il mio core
                                                            e la pietà, e‘l
rigore;
                                                            ma in fine un cor
di padre
                                                            ritrovo solo in me.
- scena xiii/xiv (xi), diventa
un monologo di Artenice, il seguente:
               artenice              Del
germano al periglio
                                             tra mille dubbi involto
                                             non
ardia non sapea l’amante Arsace
                                             recar a sé, né dar altrui la
pace.
                                             Di donna amata, e che non può l’impero?
                                             Gli scopro il mio desio,
                                             succede al suo timor nobil vigore
                                             opera da grande, e ne trionfa
amore.
                                                            Passaggier, che in selva oscura
                                                            muove errando il dubbio piede,
                                                            nell’orror
non sa, né vede
                                                            qual sentiero rintracciar.
                                                            E nel suo piè non s’assicura
                                                            e’ nel rischio di cadere
                                                            ogni passo il fa temere
                                                            ogni fronda il fa tremar.
- scena xvi (xiii), l’aria
di Palmira diventa la seguente:
               palmira                               Se mi toglie il furore
                                                            regno, sposo, e figlio ancor
                                                            puoi strappar dal seno il cor,
                                                            ne vedrai allorch’io
mora
                                                            l’alma in gemiti spirar.
                                                            Io disprezzo ogni pietade
                                                            sazia pur tua crudeltade,
                                                            non saprò mai paventar.
- scena xviii (xv): la
conclusione del dramma è la seguente:
               artenice              Ora
sono in libertà gli affetti miei,
                                             e tu mio sposo, e tu mio re già
sei.
                                                            Amico il fato, mi guida in porto
                                                            e tu mio caro, mi fai gioir.
                                                            Ti renda amore per mio conforto
                                                            fermo‘l
tuo core per me a languir.
                                             Spenta
di crudo Aletto al fin la face,
                                             splenda nell’alma, Amor,
Concordia e Pace. 
               coro                                    D’applausi e giubilo
                                                            l’aria risuone.
                                                            E al nuovo rege
                                                            d’allori
e palme
                                                            tessiam
corone.
Argomento e scenario 
del Cosroe
tragedia italiana da
recitarsi nel Seminario Romano nelle
correnti vacanze
di Carnevale da Convittori delle Camere maggiori
(1662)[84]
Argomento
Cosroe tiranno della Persia, quanto di genio superbo, e
crudele, altrettanto di natura codarda e effeminata, dopo aver afflitto il
regno con molte guerre e con molte sceleraggini, in
varie persecuzioni mosse a’ Cristiani, irritata la
maestà divina, venuto in odio, e a popoli, e a Dio: mentre disegnava assicurare
la sua cessione del regno in Martesane  suo secondogenito, che di nascosto avea già incoronato re della Persia, irritò di maniera  Syroe, a cui di
ragione, come primogenito si doveva l’imperio Persiano, che fermata
occultamente la pace con Eraclio Imperatore, il quale vittorioso scorreva quasi
tutta la Persia, e promessogli di dargli in mano il sacro Legno della nostra
Redenzione facilmente gli riuscì farsi padrone del regno e della vita di suo
padre, il quale lungo tempo tormentato in prigione con poc’acqua
e poco pane udendo pronunciata dal  proprio
suo figlio quella rigorosa sentenza Comedat aurum, quod incassum
collegit, propter quod esciam multos
fame necavut mundumque delevit finalmente fu fatto morire saettato.
Permettendo il Signore che siccome esso parricida era salito al soglio
uccidendo il suo genitore Ormisda, così ne fusse dal
medesimo scacciato, per mano d’un altro suo figlio parricida.
Prologo
Atlante, Mercurio, le tre Parche.
S’introducono le tre Parche, che dolcemente cantando
ragguaglino i mortali degl’effetti della lor potenza.
Ma vien tosto interrotto il loro canto dalle querule del vecchio Atlante, il
quale già stanco gemente sotto il peso delle stelle e chiamando Mercurio suo nipote
il prega a voler inviargli Alcide, che sottentri al
grave incarco. Ma ode sì da questi, come dalle
Parche, che Alcide avea già terminato i suoi giorni.
Per il che chiedendo in grazia a Giove che almeno la terra da tante guerre
scommossa gli lasci ferma, ove possa posare il suo piè vacillante. Viene
pertanto assicurato dalle Parche di Cosroe, il quale
inquietato con tante guerre l’Asia, di figlio parricida avea
esser estinto. Promettendogli inoltre che dopo un lungo girar de’ lustri sarian venuti a sollevare con miglior fortuna gl’affanni dell’Asia una coppia d’eroi, e che meglio
d’Alcide.
Un invitto Delfino un Regio Infante,
le veci sostener potran
d’Atlante.
Atto
primo
scena
prima
S. Anastasio.
Aprirà la
scena S. Anastasio, che poco prima con invitta pazienza per comandamento di Cosroe era stato svenato martire glorioso, publicando il divin decreto di punire con morte atroce le sceleragini del tiranno. Ed a tal fine risveglierà
dall’Inferno l’ombra d’Ormisda padre di Cosroe, a cui
darà in mano la spada della divina giustizia, con la quale Syroe
il padre parricida con un altro parricidio tolga di vita.
Scena II
Ombra di Ormisda. S. Anastasio.
Risvegliata
dall’Inferno l’ombra di Ormisda ode da S. Anastasio come lui deve incitare Syroe al parricidio per mezzo della spada consegnatagli in
mano.
Scena III
Ombra d’Ormisda.
Sfogato in
parte il suo dolore, s’accinge all’opra Ormisda.
Scena IV
Sarbara.
Sarbara prencipe del regno sospetto a
Cosroe di ribellione, che perciò era stato da esso
lui condannato a morte, purgata in parte la sua causa, va querelandosi della tirannia
del suo re.
Scena V
Razete, Sarbara.
Razete anch’esso uno de’ prencipi
della Persia, concordemente con Sarbara sospirano la
Libertà della lor patria, passando perciò conseguire vari ragionamenti di
ribellione.
Scena VI
Aramane, Sarbara, Razete.
Aramane sopraggiunge, e portando fresche notizie del mal’animo di Cosroe contro di
loro, s’animano unitamente a torlo dal soglio, e dal mondo.
Atto
secondo
Scena
I
Cosroe, Martesane.
Cosroe gran re della Persia, tutta volta che per replicati messi
fusse stato avvisato delle rotte che il suo esercito avea avute da Eraclio Imperatore, ebrio
della sua antica felicità dopo aver superbamente di se
stesso raccordate molte cose, chiama di nascosto successore della sua corona Martesane, che da Sira sua consorte dilettissima, e femina cristiana avea per secondogenito
sortito, il quale, forzato vien constretto dal padre
a regnare.
Scena II
Cosroe, Martesane, Vasace.
Nuovamente
da Vasace vien avvisato del disfacimento del suo
esercito, e come già il nemico fatto padrone della campagna mette a ferro e foco la Persia tutta.
Scena III
Cosroe, Martesane, Vasace, Cardariga.
Cardariga un de’ Generali di Guerra e prencipe
savissimo, avendo riportate molte ferite nell’ultima battaglia racconta a Cosroe il modo maraviglioso col
quale era stato risanato, e da parte del Cielo gl’intima la morte che gli
sovrasta. Il che lui riceve con esecrande bestemmie.
Scena IV
Vasace, Pacoro.
Pacoro ragguagliando Vasace di
quanto nella regia, e appresso Syroe da prencipi disgustati si discorreva sì dell’inalzamento al reame della Persia di Martesane,
come dell’inimico, che già vittorioso minacciava l’ultimo esterminio
del regno temono funesti avvenimenti alla Persia.
Atto
terzo
Scena
I
Syroe, Pacoro.
Syroe vedutosi posposto dal padre a Martesane
suo fratello minore doppo qualche lamento cerca
conciliare a suoi disegni gl’animi de’ Persiani, per
altro offesi dal sanguinoso governo di Cosroe
commettendo a’ prencipi
suoi amici vari ordini concernenti al ben publico, e
in particolare la scarceratione d’Emilio tribuno
Romano fatto poco avanti prigione in guerra.
Scena II
Syroe.
Agitato da
varii affetti or di pietà, or di vendetta, più tosto
che incrudelire contro il padre determina di cancellare l’infamia del perduto
diadema col darsi volontariamente la morte.
Scena III
Syroe, Sarbara, Razete.
Sopraggiungono
fra tanto Sarbara e Razete,
a’ quali riesce felicemente il distorlo
dal darsi la morte, e con empia adulazione il piegano a difendere il ius della regia primogenitura anche se bisogna col parricidio.
Scena IV
Syroe, Emilio, Razete.
Scarcerato
Emilio si presenta avanti il suo liberatore Syroe, il
quale offerisce per suo mezzo ad Eraclio con tutta la
preda de’ cattivi il Legno della S. Croce per restituire in Persia la pace.
Promette Emilio favorevole la volontà dell’imperatore, quando venghi alla morte del padre.
Scena V
Syroe, Pacoro, Emilio.
S’avvisa
da Pacoro Syroe, qualmente Cosroe venuto in cognizione della ribellione che la nobiltà
persiana gli tramava, intimorito cercava sottrarsi da ogni pericolo con la
fuga. Onde questi commanda che raggionto
sii fatto prigione.
Atto
quarto
Scena
I
Syroe, Sarbara, Razete,
Pacoro, Vasace.
Per
chiuder dunque ogni strada al fratello Syroe richiesti
de voti quattro prencipi del regno, piglia, seben tumultuariamente, giusta però l’antico costume de’
Persiani, de’ primi auguri del regno.
Scena II
Syroe, Cardariga, Sarbara, Razete, Pacoro, Vasace.
Vien
interrotta la coronazione da Cardariga il quale porta
nuova con giubilo di Syroe, e de’ congiurati della
presa di Cosroe, Martesane,
e di Vologese il più piccolo de’ fratelli, recusando
poi riconoscere altro re che Cosroe. Commanda che con Cosroe, e
fratelli, sia trattenuto fra ceppi.
Scena III
Syroe.
Disegna
finalmente di macerare i suoi inimici tra le tenebre di quella
carcere che fabbricata dal medesimo Cosroe Lethe appellavano con scarsezza di poc’acqua,
e poco pane.
Scena IV
Cosroe, Cardariga.
Cosroe dalla prigione troppo vilmente querelasi
della sua infelice sorte, ad andar contro la quale con generoso petto vien’
esortato da Cardariga.
Scena V
Cosroe, Vologese, Cardariga, Pacoro, Vasace.
S’offerisce con modi contumeliosi a’
prigioni acqua e pane giusto il commando di Syroe.
Atto
quinto
Scena
I
Syroe, Pacoro, Sarbara,
Razete, Vasace.
Siroe accompagnato da prencipi del regno
dà principio al giudizio, citando al tribunale Cardariga
il primo.
Scena II
Cardariga con gli medesimi.
Cerca indarno
difendere Cardariga la sua innocenza avanti Syroe, appresso il quale come ministro della crudele
tirannia di Cosroe era stato accusato producendosi
una lettera di Cosroe in cui s’ordinavano varie morti de’ principali cavalieri del regno
commesse a Cardariga.
Scena III
Martesane con gli medesimi.
Martesane benché violentato dall’impero del padre a sottentrare
al Governo della Persia come reo viene chiamato in giudizio.
Scena IV
Cosroe, Vologese con gli medesimi.
L’istesso Cosroe finalmente vien rapito al tribunale di suo figliolo,
e accusato da rebelli ode fulminare sentenza di morte contro il suo
figlio Martesane, contro il suo fedelissimo Cardariga.
Scena V
Cosroe, Syroe, Martesane,
Vologese, Cardariga, Sarbara, Razete.
Si sforza
indarno implorare mercè pel figlio il padre, come
parimente scongiurasi Syroe
da Martesane a voler smorzare tutto lo sdegno nel suo
sangue.
Scena VI
Cosroe, Syroe, Vologese,
Pacoro.
Rapito al supplicio Cardariga, e Martesane, Syroe risvegliato il
favore de’ cittadini condanna il padre ad esser saettato, e ad esser accecato
il fratello vologese.
Scena VII
Cosroe, Syroe, Vasace.
Mentre si toglie
a forza dal Ppdre Vologese
per esser condotto al luogo del supplicio, gli si
porge a vagheggiare il teschio di Martesane già
decapitato.
Scena VIII
Cosroe. Syroe. Vologese.
Torna in scena
già fatto cieco Vologese per funestare gl’occhi del suo genitore.
Scena IX
Cosroe finalmente in varie maniere schernito da’ suoi nemici viene condotto ad esser saettato, restando Syroe parricida, del reame e della Persia intero ed
assoluto padrone.
Interlocutori
S.
Anastasio Martire                                                   Girolamo
Martinelli
Ombra
d’Ormisda                                                      Girolamo
Borghese
Cosroe Gran Re della Persia                                       Abb. Urbano Taddeo Giori
Martesane         figli di Cosroe                                    Anton
Maria Zerletti
Vologese                                                                     Girolamo
Martinelli
Cardariga                                                                    Giuseppe
Luigi Nati
Sarbara                                                                       Lorenzo
Gavotti
Vasace              prencipi del regno                               Luc’Angelo Testasecca
Pacoro                                                                        Girolamo
Borghese
Aramane                                                                     Cont’Abbate Hercole Ternengo
Emilio
Generalissimo de’ Romani                              Luc’Angelo Testasecca
Nel ballo del Prologo.
Girolamo
Muselli                                                       Anton
Maria Zerletti
Lorenzo
Gavotti
Nella moresca de’ soldati Persiani.
Abbate
Urbano Taddeo Giori                                     Girolamo
Muselli
Conte
Abbate Hercole Ternendo                                Anton Maria Zerletti
Francesco
Riva                                                           Angelo
Palazzi
Nella corte.
Conte Girolamo
Honorato Rota                                 Gio.
Rimbaldesi
Giovanni
Tempi                                                          Luigi
Gothi
Giulio
Cesare Maria Venenti                                       Girolamo
de Mari
Girolamo
Naselli                                                        Bernardino
Spigliati
Giovanni
Lombardi                                                    Pietro
Antonio Abbati Olivieri
Pietro
Martini                                                             Gio.
Battista Pontelli
Pietro Cianciani                                                          Lelio
Tempi
D. Giacomo
Cantelani                                                Federico
Cittadini
Gio.
Francesco Gavotti                                               Bernardo
Clodio
Francesco Maria Gavotri                                            D.
Ignacio de Paz
Agostino
Vincenzo Locci                                           Francesco
Mocronoski
Giustiniano
Morosini                                                 Gio.
Francesco Pollastri
Lelio del Taia                                                              Abb. Lorenzo Cafoni
Marchese
Giuseppe Agraxz                                        Nicolò
de Mari
D.
Francesco Antonio Palmieri                                   Barone
Giovanni de Spork
Abbate
Giacinto Fedeli                                                           Abbate
Francesco Rasponi
Girolamo
Petrucci                                                      Marchese
Alessandro Capponi
In Roma,
per Ignatio de’ Lazari,
1662. Con licenza de’ Superiori.
Bibliografia
Opere citate di Apostolo Zeno
Lettere di Apostolo Zeno Cittadino Veneziano, Istorico e Poeta Cesareo, Venezia, Francesco Sansoni, 1785.
Zeno, Apostolo, Artenice,
drama per musica, da rappresentarsi nel Regio Teatro
di Torino l’anno MDCXXIII,
Torino, Pietro Giuseppe Zappata, 1723.
———————, Cosroe, drama per musica,
da recitarsi nel Teatro Alibert pe’l
Carnevale dell’anno 1723,
Roma, Stamperia del Bernabò, 1723.
———————, Gianguir, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a
cura di Gasparo Gozzi, Venezia, Pasquali, 1744, tomo II, pp. 183-280.
———————, Il falso Tiberino, dramma recitato nel
Teatro di San Cassiano di Venezia l’anno 1709, Venezia, Marino Rossetti,
1709.
———————, Meride e Selinunte, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a
cura di Gasparo Gozzi, Venezia, Pasquali, 1744, tomo III, pp. 345-435.
———————, Ormisda. Dramma per musica, da
rappresentarsi nella cesarea corte per il Nome Gloriosissimo della Sac. Ces. e Catt.
Real Maestà di Carlo VI Imperadore de’ Romani, sempre
Augutso [sic], per comando della Sac.
Ces. e Catt. Real Maestrà di Elisabetta Cristina Imperadrice
regnante, Vienna, Gio. Pietro Van Ghelen, 1721.
———————, Ormisda, drama per musica, da rappresentarsi
nel Teatro Malvezzi la primavera dell’anno MDCCXXII, Bologna, Clemente
Maria Sassi, 1722.
———————, Ormisda, drama per musica, da rappresentarsi
nel Teatro del Falcone la primavera dell’anno 1723, Genova, Giovanni Franchelli, 1723.
———————, Ormisda, dramma per musica, da rappresentarsi nel TeatroTron a San Cassiano nel Carnovale dell’anno 1728, Venezia, all’Insegna
della Pace, 1728.
———————, Ormisda, an opera. As it is performed at the King’s Theatre in the Hay-Market,
London, Campbell, 1730.
———————, Ormisda, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a cura di Gasparo Gozzi,
Venezia, Pasquali, 1744, tomo IV, pp. 1-92.
———————, Pirro, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a cura di Gasparo Gozzi,
Venezia, Pasquali, 1744, tomo VII, pp. 201-292.
———————, Venceslao. Drama da rappresentarsi per
musica nel Teatro Grimani, Venezia, Albrizzi, 1703.
Altre
opere citate nell’introduzione e nel commento
Argomento e scenario del Cosroe
tragedia italiana da recitarsi nel seminario romano nelle correnti vacanze del carneuale da conuittori delle
camere maggiori, Roma,
Ignazio de’ Lazzari, 1662.
«Avvisi
italiani, ordinari e straordinarii», Vienna, Van Ghelen, 1721, vol. 38.
Baronio, Cesare,
Annales Ecclesiastici, auctore Caesare Baronio Sorano, Congregationis Oratorii Presbytero,
Magonza, Johannes Gymnich, 1601.
Beniscelli, Alberto, Felicità
sognate. Il teatro di Metastasio,
Genova, il Melangolo, 2000.
Bodin, Jean, I sei libri dello Stato, a cura di Margherita Isnardi
Parente, Torino, UTET, 1964.
Bongi, Salvatore, Vita
di M. Antonfrancesco Doni compilata da Salvatore
Bongi, in Doni, Anton Francesco, I Marmi, Firenze, Barbera,
1863.
Borosini, Francesco, Il
Cavalier Bevagna, commedia da rappresentarsi alla presenza Augustissima Cesarea
Cattolica Real Padronanza da una compagnia di cavalieri, Vienna, Andrea Heyinger,
1726.
Caldara, Antonio, Ormisda,
Re di Persia, (Österreichische Nationalbibliothek, Vienna (A-Wn):
Mus.Hs.1825).
Cellot, Louis, Opera poetica,
Paris, Cramoisy, 1630.
[Cellot, Louis], Argomento e scenario del Cosroe, tragedia italiana da recitarsi nel Seminario Romano
nelle correnti vacanze del Carnevale da Convittori delle Camere Maggiori,
Roma, Ignazio de’ Lazzari, 1662.
Corneille, Pierre, Nicomède,
Paris, Charles De Sercy, 1651.
Erodoto, Storie,
a cura di Luigi Annibaletto,
Milano, Mondadori, 1982.
Forcellini, Marco,
Diario zeniano,
a cura di Corrado Viola, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2012.
Franchi, Saverio, Drammaturgia romana, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, 1988.
Gallarati, Paolo, Musica e maschera. Il libretto italiano del Settecento, Torino,
EDT, 1984, pp. 14-18
Gutiérrez Carou, Javier, La Griselda zeniana fra opera
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[1] Lettere di Apostolo Zeno Cittadino Veneziano, Istorico
e Poeta Cesareo, cit., vol. VI, pp. 286-288.
[2] Sul rapporto tra le
opere zeniane e l’edizione Gozzi si veda anche Javier Gutiérrez Carou, La Griselda zeniana fra opera in musica e teatro di prosa: verso
un’edizione comparativa, «Levia Gravia. Quaderno
annuale di letteratura italiana», XV-XVI (2013-2014) [= «Umana cosa è avercompassione
degli afflitti...».Raccontare, consolare, curarenella narrativa europeada
Boccaccio al Seicento], pp. 563-574, dove viene citata la lettera di
Gozzi all’abate Luigi Pomo del 22 giugno 1744 : «Il Sig.r
Appostolo Zeno vuol fare una raccolta de’ suoi drammi, e pubblicarla. L’età sua
non gli concede questa fatica e l’ha data a me; io m’ingegno con tutto lo
spirito perché ne riesca un[a] polita edizione, e già s’è cominciato a darla
alla stamperia, e ne vedrete in breve il saggio, se di ciò vi curate». Anche
per quanto riguarda l’Ormisda, Gozzi
ha come si è detto dimostrato di non considerare le edizioni relative alle
rappresentazioni successive alla 1721, confermando l’orientamento seguito per
il resto delle Poesie drammatiche.
[3] Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, cit., 1744, vol. 4, pp. X-XI.
[4] Ivi, p. XIII.
[5] Ivi, pp. XIII-XIV.
[6] Cfr. le note sulle arie bipartite
in Zeno contenute in Paolo Gallarati,
Musica e maschera. Il libretto italiano
del Settecento, Torino, EDT, 1984, pp. 14-18.
[7] Artabano: Non il padre di Artenice ma probabilmente il suo avo
più illustre, quell’Artabano III che regnò sui Parti
dal 10 d. C. al 38 d. C., depose Vonone I e conquistò
l’Armenia dove questi si era rifugiato, mettendo sul trono il figlio Arsace.
[8] Armenia: la
grande regione del Caucaso negli anni in cui è ambientato l’Ormisda era
divisa in due: da una parte l’Armenia bizantina, dall’altra l’Armenia persiana,
molto più grande e sotto la corona della dinastia Sasanide. Dopo essere stata
in buona parte strappata ai re persiani dall’imperatore Maurizio e poi Eraclio
(egli stesso di origine armena), verrà infine conquistata dal califfato arabo
nel 645 d.C.
[9] il lieto giorno è questo: la centralità di Artenice nel dramma è immediatamente
evidente dalla sua apertura con l’incoronazione, dove i due troni (identici,
poiché non diversamente connotati dalla didascalia) sono uno di fronte all’altro
e Ormisda che, pur egli stesso re, attende il «reale assenso» della
principessa. Non stupisce che il dramma abbia potuto essere presentato proprio con
il titolo Artenice per la rappresentazione torinese del 1723.
[10] arbitra di me stessa: Artenice
non accetta intermediari e sa quando dover soffocare i suoi «chiusi affetti»,
opponendosi a Palmira con fermezza, ma soprattutto è la sua essenza di regina e
sovrana assoluta a darle un’inedita indipendenza.
[11] per lei giuriamo ossequio, amore, e fede: di questo verso si ricorderà probabilmente Metastasio
per l’azione sacra Gioas Re di Giuda:
«E voi giurate, amici, protesi al regio piede / ossequio, amore, ubbidienza e
fede» (Gioas Re di Giuda, seconda
parte, in Tutte le opere di Pietro Metastasio, a cura di Bruno Brunelli,
Milano, Mondadori, 1965, vol. 2, p. 676).
[12] a custodir le leggi: più
avanti (II.4.3) Cosroe non esiterà a tacciare Ormisda
di essersi fatto «arbitro» e non «custode» della corona. Subito dopo aver
proclamato la natura assoluta del potere di Artenice, Zeno lo tempera
ricordando che non va gestito con protervia, ma con senso di responsabilità. Come scrisse Bodin, il massimo
teorico dell’assolutismo monarchico, «durante il periodo in cui tengono il
potere, non si può dar loro il nome di prìncipi sovrani, perché di tale potere
essi non sono in realtà che custodi e depositari fino a che al popolo o al
principe, che in effetti è sempre rimasto signore, non piaccia di revocarlo» (Jean
Bodin, I sei
libri dello Stato, a cura di Margherita Isnardi Parente, Torino, UTET,
1964, libro I, cap. 8, p. 345).
[13] auree maniglie: le
armille (da armus, ‘omero’; erano bracciali
che venivano indossati dai guerrieri romani come simbolo di valor militare).
[14] ricco lucente acciaro: l’acinace era la tipica spada persiana, di origine
scita, cui l’aspetto più caratteristico era probabilmente il ricco fodero
decorato. Era anche l’oggetto di doni regali e sacri, come racconta anche
Erodoto (Storie, VII, 54): «Quando il sole spuntò, Serse, facendo
libagioni in mare con una coppa d’oro, pregò, rivolto all’astro, che nessuna avversità
lo cogliesse tale da fargli rinunciare ad assoggettare l’Europa, prima di
essere giunto agli estremi confini di questo paese. Dopo aver rivolto la sua
preghiera gettò nell’Ellesponto la coppa, un cratere d’oro e una spada persiana
che chiamano “acinace”» (trad. di Luigi Annibaletto).
[15] il Ponto: la
guerra romano-persiana del 572-591 è in Zeno del tutto stilizzata, alludendo a
una generica ribellione del Ponto e della Media, risolta da Cosroe.
Il riferimento può essere all’origine del conflitto, quando gli Armeni,
sobillati dai Romani, si ribellarono contro la Persia e fu Cosroe
I (padre di Ormisda) a riportare la calma nella regione, oppure a uno dei tanti
scontri minori degli anni successivi, fino a quando Cosroe
II chiese aiuto all’imperatore bizantino Maurizio per riappropriarsi del trono
dando così di fatto origine a un periodo di pace. La vicenda politica è
comunque tutta interna e manca l’incombere della potenza romana tanto cruciale
sia in Rotrou che in Corneille.
[16] gran cori: non potendo attaccare Cosroe,
eroe magnamimo per antonomasia del dramma, Palmira
può suggerire quello che, in effetti, è il difetto del figlio primogenito di
Ormisda: la sua hybris, che però, al contrario delle allusioni della
regina, mai supererà il rispetto della legge (intesa anche nella sua origine
divina, come dimostra la pietà nel rituale di Mitra) e del padre.
[17] non il padre, ma il re: per la prima volta viene espresso nei suoi termini
essenziali il dilemma di Ormisda durante il dramma. La sua indecisione di fondo
deriva dall’incapacità di sottrarsi al richiamo dell’uno e dell’altro polo. Si
tratta, comunque, di una situazione diversa sia da quella di Prusia in Corneille —dove diventa
cruciale anche la questione politica dell’alleanza con Roma— che quella del Cosroe di Rotrou, perennemente
ossessionato dalla colpa del parricidio perpetrato per salire al trono e in
attesa quasi preveggente di subire la stessa sorte per mano del figlio. Ormisda
è una figura di spessore inferiore, senza ulteriori sfaccettature a mutarne o
perlomeno ad attenuarne la natura di uomo in balia della propria moglie. Da
segnalare che nel Cosroe
del 1723 (III.7) il monologo di Ormisda fa una concessione alle atmosfere
macabre e d’oltretomba di Cellot, con l’apparizione
del fantasma della prima moglie del re, madre di Cosroe.
[18] base al regno: cfr. Pirro
IV.2, «base ad un trono».
[19] né vien reo chi è vincitor: Arsace ha ben poco in comune sia con Mardesane che con Attalo, ed è figura che appare —come del
resto il padre— dominata dagli affetti; non è sua priorità la gloria, tranne
quando questa diventa essenziale per provare di essere degno di Artenice. Verso
Cosroe non c’è mai una parola di risentimento.
[20] Perdona: Cosroe fa appena in tempo a
pronunciare tre parole ed è subito interrotto da Artenice, che ha atteso
proprio la sua comparsa per dichiarare i suoi sentimenti: l’amore per Arsace e la ferma estraneità alla scelta dell’erede. È
interessante notare però come sia proprio Artenice a suggerire la possibilità
che Ormisda decida di dare lo scettro ad Arsace.
[21] l’Armenia: in
realtà, nel 591 —anno in cui Ormisda perse il trono e la vita— l’Armenia era
passata in gran parte a Bisanzio, come premio offerto da Cosroe
II per l’aiuto portato dall’imperatore Maurizio nelle questioni interne.
[22] Serve la legge al re: questo
scambio tra Ormisda e Palmira deriva direttamente dalle problematiche legate al
rapporto tra giusnaturalismo e assolutismo, mostrando come la degenerazione di
un sovrano del tutto solutus legibus porti alla tirannide.
[23] disio mi allontanò: cfr.
Corneille, Nicomède, II.2: «La seule ambition
de pouvoir en personne / mettre à vos pieds, seigneur, encor une couronne».
[24] si puniria
di morte: «Et tout autre que vous, malgré cette conqueste,
/ revenant sans mon ordre eust payé de sa teste» (Nicomède,
II.2).
[25] Tauri: Tauri, o Tauris, era il modo
con cui gli Europei chiamavano l’odierna città di Tabriz, una delle maggiori
dell’Iran. La fondazione di Tauri risale, secondo alcune fonti, proprio al
settimo secolo e all’era sasanide. La capitale dell’impero allora era in realtà
Ctesifonte.
[26] goccia: respiro.
[27] tiranna degli affetti: cfr.
Metastasio, Ezio, I.7: «Importuna grandezza, / tiranna degli affetti».
[28] In te, regina, il grado eccelso onoro: «Je vous honore en reine, ainsi
que je le doi» (Rotrou, Cosroès,
I.1).
[29] regnerà Arsace, o morirà Palmira: tutta questa scena ha come chiaro modello la prima
della tragedia di Rotrou, e di alcune parti, come
questo verso, è quasi traduzione letterale: «Mais je periray,
traitre, ou mon fils regnera»
(Rotrou, Cosroès, I.1).
[30] Convien dunque ch’io cada; / e che impotente sia / questo cor, questo braccio, e questa spada: traduzione da Rotrou «Il faut donc que
ce fer me devienne inutile,
/ ce coeur sans sentiment, et ce bras immobile» (Cosroès, I.1). Nella scena successiva, in Rotrou solo Mardesane equivoca il
significato della mano di Siroe sulla spada, mentre
in Zeno sia Ormisda che Arsace assistono al gesto.
[31] Correggo l’a parte che in PA riguarda tutto il verso, ma che anche
secondo VG non comprende «Cosroe voleva».
[32] sola / dà
Palmira le leggi: «Ne luy
laisse de roy, que le sang, et le nom; / le credit d’une femme, en à tout l’exercise, / toute la Perse agit, et meut par son caprice» (Cosroès, I.3).
[33] Se nol rapisci/
ti è rapito il diadema: cfr. Cosroès, I.3, «Ravissez vostre bien, qu’on ne vous le ravisse». Questa scena e quella successiva vengono sempre rimosse
dalle rappresentazioni dell’Ormisda dal 1722 in poi, ricomparendo soltanto
con l’edizione Gozzi.
[34] Ed è impietà voler cacciarne un padre: «Mais en chasser un père, est une impieté» (Cosroès, I.3). Il dilemma di Siroe
in Rotrou è molto più profondo e porterà alla
conclusione luttuosa della tragedia, mentre per Cosroe
la tentazione di impadronirsi con la forza di ciò che gli appartiene
legittimamente è di assai breve durata.
[35] Quando può prevenir, vile è chi attende: «Quand on peut prevenire, c’est foiblesse d’attendre» (Cosroès, I.3).
[36] il comando real nome alla colpa: Erismeno e Palmira
ribadiscono, nel loro dialogo, il pericolo di personalizzazione estrema del
potere da parte del sovrano assoluto, che porta alla tirannide.
[37] un eccesso crudel con altro
eccesso: cfr.
Metastasio, Artaserse, I.4: «Serve di grado / un eccesso talvolta a un
altro eccesso». Il verso ritorna anche in una commedia in prosa del Borosini rappresentata a Vienna nel 1726, Il Cavalier
Bevagna: «non dovevate mai vendicare un eccesso crudele con altro eccesso»
(III.7; Francesco Borosini, Il Cavalier Bevagna, commedia da rappresentarsi alla presenza
Augustissima Cesarea Cattolica Real Padronanza da una compagnia di cavalieri,
Vienna, Andrea Heyinger, 1726).
[38] Dio del giorno: il rito in onore di Mitra arriva direttamente dall’apertura
del quarto atto in Cellot, non comparendo in Rotrou né, ovviamente, in Corneille,
che sposta in altro contesto la vicenda: «Mithra divum, Mithra mundi, Mithra Persarum decus, / tuque belli diva praeses laeta Persas
Aspice» (Chosroes, IV.1). C’è però
probabilmente anche un ricordo del Pirro: «Spirto degli elementi, alma
del mondo / riverente ti adoro; e al tuo gran nume / queste del fier Macedone già vinto / spoglie guerriere, alti trofei di
gloria, / il regnante di Epiro, / il figliuolo di Eacide,
divoto / fra il sangue, e l’armi a te consacra in
voto» (Pirro, I.1).
[39] Mitra invitto: in
realtà la situazione religiosa era tutt’altro che omogenea nell’impero
persiano, tanto più che la prima moglie di Cosroe era
cristiana, così come la maggior parte dell’Armenia. Mitra, dio solare per
eccellenza, rimaneva comunque la più importante divinità persiana.
[40] un sasso: la rappresentazione
tradizionale di Mitra vede il dio emergere da una roccia, già adolescente, con
il cappello frigio, il pugnale in una mano e una torcia nell’altra.
[41] d’ostro: di
porpora.
[42] da più lustri: Ormisda IV regnò dal 579 al 590 d. C.
[43] crudel parricidio: anche se in realtà la possibilità di un parricidio non è mai realmente
tangibile, e anche Mitrane, nel consigliare Cosroe, è
molto vago, il ricordo della vicenda storica —del resto già adombrata nell’Argomento— e della trattazione di Rotrou ritorna nelle parole di Ormisda.
[44] Sulle mie labbra: è il momento più alto della regale assunzione di
responsabilità da parte di Artenice: a un passo dalla corona, che viene offerta
spontaneamente offerta da Ormisda, e dalla possibilità di scegliere Arsace come sposo, la fanciulla dà al re prima di tutto una
vera lezione di realpolitik, mostrandosi attenta agli umori del popolo e
conscia del favore di cui gode Cosroe; poi rinuncia
non alla sua prerogativa regale —torna in Armenia a dare le leggi, come il suo
avo Artabano— ma a un potere che non le appartiene,
il tutto per la propria maggiore gloria. Gloria e virtù sono sempre i motivi
dell’azione di Artenice, con l’amore relegato in secondo piano.
[45] che mi cal di grandezza: al contrario di Artenice, per Arsace
la principessa è l’unico obiettivo, e l’ambizione di regnare non fa parte del
suo carattere: «suddito nacqui, e il sono», ricorda poche battute più tardi.
[46] arbitro, ma custode: passaggio fondamentale, che chiarisce non solo l’operato
di Cosroe ma il ruolo della regalità come viene trattato
nell’Ormisda: la fedeltà alla legge, e ancora più in alto all’investitura
divina, deve essere assoluta, né c’è discrezionalità per chi, in un determinato
momento, è il titolare di questa potestà. Cfr. anche Pirro, I.7: «più
che suo possessor, ne fui
custode», e III.1: «te ne fecer custode, e non
sovrano».
[47] deluso:
ingannato.
[48] stupida: stupita.
[49] disdir:
ritrattare quanto detto. Cfr. Nicomède, IV.2: «Il faut sous les tourmens que l’imposture
expire».
[50] la sua sincerità sarà sua colpa: «Quoy, seigneur,
les punir de la sincerité»
(Nicomède, IV.2).
[51] Leon feroce: l’aria
verrà integralmente riprodotta nella dodicesima scena del secondo atto nel Farnace musicato da Vivaldi, su libretto di
Antonio Maria Lucchini, rappresentato a Venezia per il Carnevale del 1727 (Antonio Maria Lucchini, Farnace, drama per musica
da rappresentarsi nel Teatro di Sant’Angelo nel carnovale
dell’anno 1726, Venezia, Marino Rossetti, 1726 [ma 1727]).
[52] Ostane: capo
delle guardie di Ormisda (residuo dell’Araspe di Corneille).
[53] cieca torre: cfr. Il
falso Tiberino, II.14: «Traggasi in cieca torre,
e colà gema / sotto il terror de’ ceppi e della
scure».
[54] Se scorger
vuoi tutto in tumulto, e in armi: «Si vous voulez (grand roy) voir le peuple en
courroux» (Cosroès, II.1).
[55] or regnante, or marito, or genitore: in struttura chiastica, rimanda direttamente a II.7.3:
«Oh non padre, oh non sposo, oh re non fossi!». Si confronti con la battuta di Nicomede
in Corneille: «Un veritable
roy n’est ny mary, ny père»
(Nicomède, IV.3).
[56] non in quel di regina: ancora
una volta la distanza tra Artenice e Arsace è l’impossibilità,
per la prima, di rinunciare alla sua natura regale e quindi di curarsi soltanto
di coronare il proprio sogno d’amore.
[57] Qualor tua virtù non vi si opponga: l’astuto Mitrane sa esattamente quali sono gli
argomenti ai quali è sensibile Artenice, e infatti quando questa si recherà in
prigione da Cosroe negherà —proprio per la sua
maggior gloria— la possibilità di sposare Arsace, una
volta fatto uccidere da Ormisda il primogenito. Qualsiasi breve esitazione data
dalla prospettiva di avere Arsace è presto tacitata.
[58] moverò Arsace, e tu dispon
il campo: anche
nei confronti dell’amante, trattato alla stregua di una pedina, il piglio di
Artenice è quello della sovrana e del capo militare, disposta anche, se
necessario, all’uso della forza.
[59] un re marito: la battuta sprezzante di Artenice dimostra la sua
maggiore attitudine a governare rispetto ad Ormisda, che non esita a violare le
leggi umane e divine per compiacere i suoi affetti, cioè Palmira; esattamente
il contrario di ciò che vuole evitare la principessa d’Armenia acconsentendo al
matrimonio con l’amato.
[60] Libici mostri: in
quanto considerata estremo occidente, la Libia era tradizionale dimora di
mostri, come Anteo o il drago che custodiva il Giardino delle Esperidi; cfr. Gerusalemme
Liberata, XV, 25: «Risponde: “Ercole, poi ch’uccisi i mostri / ebbe di
Libia e del paese ispano”».
[61] giovane ancora sei: sei poco esperto: cfr.
Corneille «Vous êtes peu du monde, et savez mal la
cour» (Nicomède, III.8).
[62] non so d’esser che sposo: in tre
battute è definita l’essenziale contraddizione di Ormisda: marito, quando c’è
Palmira; padre, quando non è presente: ma in ogni caso «re nato a servir»,
schiavo dei suoi affetti.
[63] e con me Cosroe i Persi: si definisce qui quella che poi sarà la soluzione del
dramma, che Cosroe non potrà accettare fin quando non
avrà constatato il valore che anima Artenice e, in seconda battuta, Arsace.
[64] Di lui son padre, e giudice: cfr. II.4.14-15: «in avvenire, non più marito, e padre, / ma sol
giudice, e re». Il tentativo di Ormisda di scindere le proprie nature ha avuto
breve durata, così come la sua decisione di comandare l’esecuzione di Cosroe cambierà pochi istanti dopo averla presa.
[65] non ha colpa, o l’ha da grande: la magnanimità e la hybris di Cosroe
sono qui fieramente rivendicate dal principe stesso, ma sempre nei limiti della
fede e del rispetto.
[66] quanto feroce tiranneggi un core: «Tout est trop excusable en un
amant jaloux» dice Arsinoe
in Nicomède IV.2.
[67] mai non parlò,
qual tu, regina, in mio: cfr. ancora
Nicomède IV.2: «Que la reyne a pour moy des bontez, que j’admire».
[68] sempre il perfido è ingrato: «Ingrat! Que
peux-tu dire?» (Nicomède, IV.2).
[69] e Cosroe in re si acclama: cfr. Metastasio, Siroe,
III.3: «[...] e s’ode in un momento / di Siroe il
nome in cento bocche e cento».
[70] Risolviti, o sire: Mitrane
ed Erismeno, in quanto confidenti, da un punto di
vista drammaturgico hanno la stessa funzione, e si comportano in modo
speculare; ad esempio qui, con Erismeno che invita
Ormisda a troncare gli indugi così come aveva fatto Mitrane con Cosroe nel primo atto.
[71] Della cittade / provvedi: anche le prerogative più
preziose e irrinunciabili del re, quelle di difendere la città e il palazzo,
vengono delegate a Palmira.
[72] ferro, o velen: la scelta classica tra l’avvelenamento e il suicidio
con pugnale era stata offerta anche da Sira a Siroe
imprigionato in Rotrou: «choisisse,
en l’un des deux, l’instrument de sa perte» (Cosroès, III.1).
[73] e chi le fa, in arena: si tratta di un proverbio piuttosto comune (secondo la
tradizione, Doni e l’Aretino erano solito porlo in calce ai loro ritratti, come
riporta ad esempio la vita del Bongi; cfr. Anton
Francesco Doni, I
Marmi, Firenze, Barbera, 1863, vol. 2, p. LVI).
[74] regio impronto: anche
Emira nel Siroe chiede il «regio impronto» a Cosroe per revocare la sentenza di morte per Siroe (Siroe, III.3).
[75] sia di virtù, sia di dover: il discorso di Artenice è un piccolo capolavoro di retorica, che cerca
di toccare tutti i tasti più sensibili di Cosroe: la
fedeltà al dovere e alla virtù, e —ancor più che l’amore— la gloria che si
merita Artenice. Un’argomentazione del genere può ben far leva sul fiero
principe.
[76] La gloria mia: ancora una volta Artenice non ha dubbi: da vera
regina, tra la propria gloria e i suoi affetti, non esista a scegliere i primi.
[77] il dover mio: grazie
al nobile gesto di Arsace, il dovere —oltre ai suoi
diritti— torna a occupare una posizione predominante nelle priorità di Cosroe, in modo speculare rispetto al personalismo di
Artenice; ma nei ceppi non può esprimerlo ancora.
[78] Ma por tentasti in su quel trono Arsace: cfr. «Mien, quand vous pretendés, y placer vostre fils» (Cosroès,
III.3).
[79] Sire, soffri, che umile: nelle
scene precedenti la decisione di Cosroe, con i suoi
continui richiami alla necessità di vendetta (e con Mitrane a spronarlo a non
cedere alla pietà), sembrava già presa; la pietà filiale attenua però la
determinazione di Cosroe. Da notare che anche in Rotrou è la visione del padre a muovere a pietà Siroe e a convincerlo —ormai troppo tardi— a ritornare sui
suoi passi, dopo che ha già deciso il destino di Sira e di Mardesane;
qui, invece, l’incontro con il padre avviene prima, quando ancora non sono
state prese decisioni irreparabili.
[80] Sul labbro di Artenice: è
naturalmente la chiave della risoluzione del dramma, visto che Arsace, legato da giuramento, non può dire quanto ha visto.
La provvidenziale confessione in punto di morte (sulla quale, a rigore, si
potrebbe avere perfino qualche dubbio, conoscendo la pragmaticità di cui ha già
dato mostra Artenice) scagiona Cosroe dalla sua
colpa; colpa che, in assenza di una reale volontà di impadronirsi del trono da
parte di Arsace, era l’ultimo nodo ancora da
sciogliere.
[81] avrò in Cosroe,
tel giuro, un altro figlio: «Et je croiray gagner en vous un second fils» (Nicomède,
V.9).
[82] Cosroe sottentri: sventato il parricidio, che durante il dramma non è stato, del resto,
altro che un’eco lontana della vicenda storica, può avvenire il passaggio
incruento di potere da Ormisda, dichiaratamente stanco —e non più degno, si
sottintende, di essere il ‘custode’ della corona— a Cosroe,
che generosamente concede (in verità ancora prima di ricevere l’investitura
ufficiale dal padre) al fratello una parte di quanto gli spetta. Cfr. Siroe, III.16: «Passi dal mio / su quel crin la corona. Io stanco alfine / volentier
la depongo».
[83] Sic.
[84] Per quanto riguarda la trascrizione di questo testo – molto distante da quello zeniano in quanto non solo di ben altra paternità, ma anche infarcito di secentismi, grafie arcaiche e sgrammaticature – ho optato per un leggero ammodernamento, soprattutto grafico, mirato a migliorare la fruibilità e leggibilità, con l’eliminazione degli evidenti refusi, delle maiuscole, dell’h etimologica o paretimologica; sono stati corretti gli accenti e la punteggiatura, facendo la distinzione tra u e v secondo l’uso moderno.