Apostolo Zeno
Ormisda
(Cosroe)
a cura di Giordano Rodda,
con una prefazione di Alberto Beniscelli
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2017
Apostolo Zeno
Ormisda (Cosroe)
a cura di Giordano
Rodda, con una prefazione di Alberto Beniscelli
Ó 2017 Giordano
Rodda, Alberto Beniscelli
Ó 2017 lineadacqua edizioni
Biblioteca Pregoldoniana,
nº 19
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN
dell’edizione completa: 978-88-95598-70-3.
La presente edizione è risultato
dalle attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del
teatro pregoldoniano II: base de datos
y biblioteca pregoldoniana (ARPREGO II: FFI2014-53872-P), finanziato dal Ministerio de Economía
y Competitividad spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome
del curatore e del prefatore, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono
permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a
scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e
dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione del curatore, del
prefatore e del direttore della collana.
Biblioteca Pregoldoniana
(I dintorni), nº 19
Nota al testo
L’edizione
originale dell’Ormisda è quella
viennese del 1721, presso Van Ghelen, seguita da
diverse altre rappresentazioni italiane con relativi libretti fino all’edizione
gozziana, di cui si dà indicazione qui di seguito:
VG = «ORMISDA
| DRAMMA | PER MUSICA, | DA RAPPRESENTARSI | NELLA CESAREA CORTE | PER | IL
NOME GLORIOSISSIMO | DELLA | SAC. CES. E CATT. REAL MAESTA’ | DI | CARLO VI. |
IMPERADORE | DE’ ROMANI, | SEMPRE AUGUTSO [sic].
| PER COMANDO DELLA | SAC. CES. E CATT. REAL MAESTA’ | DI | ELISABETTA |
CRISTINA | IMPERADRICE REGNANTE, | L’Anno M DCC XXI. | La Poesia è del Sig.
Apostolo Zeno, Poeta, ed Istorico di | S. M. Ces. e Catt. | La Musica è del
Sig. Antonio Caldara, Vice-Maestro di | Cappella di S. M. C. e Catt. | [filetto] | VIENNA d’AUSTRIA, | Appresso Gio.
Pietro Van Ghelen, Stampatore di Corte | di Sua M. Ces. e Cattolica.»
MA =
«ORMISDA | DRAMA PER MUSICA | Da Rappresentarsi | NEL TEATRO | MALVEZZI | La
Primavera dell’Anno | M DCC. XXII.»
CO =
«COSROE | Drama per Musica | DA RECITARSI | Nel Teatro Alibert
pe’l Carnevale | dell’Anno 1723. | PRESENTATO | Alla
Maestà | DI | GIACOMO III. | Rè della Gran Brettagna. | [marca di Pietro Leone] | Si vendono nella
Libraria di Pietro Leone a Pasquino | all’Insegna di S. Gio. di Dio. | [filetto]
| In ROMA, nella Stamperia del Bernabò, 1723. | Con licenza de’ Superiori.»
AR =
«ARTENICE | DRAMA | PER MUSICA, | Da rappresentarsi nel Regio Teatro di Torino.
| L’Anno MDCCXXIII. | DEDICATO | A S. A. R. | CARLO EMMANUELE | PRINCIPE DI
PIEMONTE &c. | [stemma di Carlo Emanuele III] | IN TORINO. | Per Pietro
Giuseppe Zappata Stampatore delle | Regie Gabelle, e dell’Illustriss.
Città.»
FA =
«ORMISDA | DRAMA PER MUSICA | DA RAPPRESENTARSI | Nel Teatro del Falcone la
Primavera | dell’Anno 1723. | DEDICATO | Alla Nobilissima Adunanza | DELLE
DAME, E | CAVAGLIERI. | [illustrazione] | IN GENOVA, | [filetto] | Nella
Stamperia di Giovanni Franchelli. | Con licenza de’
Superiori.»
CA =
«ORMISDA | DRAMMA PER MUSICA | Da Rappresentarsi | NEL TEATRO TRON | A’ SAN
CASSIANO | NEL CARNOVALE DELL’ANNO | 1728. | [filetto] | IN VENEZIA,
MDCCXXVIII. | Appresso Marino Rossetti in Merceria | all’Insegna della Pace. | CON LICENZA DE’ SUPERIORI.»
HA = «ORMISDA, | AN | OPERA. | As
it is performed at the | KING’s THEATRE, | IN THE | HAY-MARKET. | [filetto] | [illustrazione] | [filetto] | LONDON: | Printed by A. Campbell. M.DCC.XXX.»/«ORMISDA, | DRAMA. | Da Rappresentarsi | Nel REGIO TEATRO | d’HAY-MARKET. |
[illustrazione] | In LONDRA: | Per A. Campbell. M.DCC.XXX.»
Per l’edizione dell’Ormisda, si è utilizzata come lezione a
testo quella dell’edizione curata da Gasparo Gozzi nelle Poesie drammatiche di Apostolo Zeno in dieci volumi, quarto tomo, attenendosi
ai criteri di trascrizione dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Gozzi,
riportati in fondo a questo capitolo.
Per quanto riguarda il testo
raccolto da Gozzi, si tratta in massima parte dell’edizione VG con alcuni
ammodernamenti, in particolare nei criteri grafici, e una sola battuta mutata
(verso 1011). A proposito dell’opportunità relativa
a tale scelta, vale la pena ricordare nella loro interezza le parole scritte da
Apostolo Zeno nella ben nota lettera a Giuseppe Antonio Pinzi:
Se io fossi capace di concepir vanità per la composizione de’ miei
drammi, e per la edizione che modernamente n’è stata intrapresa; la bella e
affettuosa lettera di Vostra Signoria Molto Reverenda sarebbe sufficiente a
risvegliare nell’animo mio que’ sentimenti di
compiacenza dai quali esso è stato sinora lontano, e posso ancor dire, diverso
affatto, e contrario. Mi sono lasciato indurre a soffrirne, non mai a
permetterne, non che ad approvarne la piena raccolta, e la nuova pubblicazione;
come appunto in certi pubblici abusi il Principe è costretto a valersi di
tolleranza, senza mai darvi positivo assenso, e permissivo decreto. Più cose mi
ritraevano dal voler ciò, e principalmente la necessità ch’io scorgeva in quei
drammi di ritoccarli seriamente, dove né la fretta con cui dovetti idearli, e comporli,
né il riguardo del luogo, e degli attori destinati a rappresentarli, mia aveano dato tempo, e lasciato modo di liberarli da quelle
imperfezioni che per entro manifestamente, e a mente riposata vi ravvisava. Una
tal revisione e correzione non sarebbe stata opera di poco fiato, né di poca
considerazione: dal che mi rimovevano interamente, oltre all’età di molto e
molto avanzata, le altre mie applicazioni, e molto più quel genere di vita che
da più anni mi vuol tutto suo, e piaccia a Dio con che frutto. Se fosse stato
possibile levarli affatto dal mondo, o dalla memoria degli uomini, l’avrei
fatto assai più volentieri, anziché vederli con questa recente
edizioni riprodotti, e in certo modo rinati. Il dignissimo
Signor Conte Gasparo Gozi ha vinte in parte le mie
ripugnanze, con esibirmi la sua assistenza, e la sua correzione in que’ luoghi, dove più manifestamente ne avesse scorto il
bisogno, dimostrandomi che è assai minor male il rimetterli in vista col loro primiero
abito e aspetto, che lasciarli nella difforme sconciatura con cui l’altrui
petulanza e sciocchezza aveagli guasti e diffigurati; con pericolo che un giorno dopo la mia morte
venissero in così sconcio arnese, e informe sembianza raccolti e divulgati. Non
so se queste e altre ragioni fossero abbastanza valevoli ad espugnarmi: ma
certo bastarono a fare che donassi tutto all’amico, riserbando per un’intera
noncuranza del loro destino. E infatti non ho degnata neppure di un’occhiata, o
appena alla sfuggita, la presente impressione; non ho il minimo senso del come
verranno accolti dal pubblico; e solo non ho voluto che uscissero corredati
della prefazione che nel primo tomo il Signor Conte Gozi
avea disegnato di porvi: ma egli farà tutto acciocché
esca in alcuno de’ susseguenti, e temo che nonostante il mio divieto, sarò
tradito dall’amico, e dallo stampatore, che hanno sull’opera un intero
arbitrio, essendomi in ciò spogliato interamente del mio. Dopo questa mia
sincera dichiarazione, ella mi dirà un padre crudele e inumano verso questi che
finalmente sono miei parti, i quali però di presente a me paiono aborti, per
non dir mostri: onde in me destano piuttosto pentimento che affetto.[1]
Saranno a questo punto ormai
familiari le strategie di understatement
relativo alla propria operazione drammaturgica da parte dello Zeno;[2]
l’obiettivo di Gozzi, con l’accordo dell’ormai ex poeta cesareo, è del resto
soprattutto filologico, cioè riportare alla forma originaria —a parte la
«correzione in que’ luoghi, dove più manifestamente
ne avesse scorto il bisogno»— opere che erano state
alterate già a partire della seconda rappresentazione, come del resto era
capitato all’Ormisda. In appendice
riporto, con valore puramente documentario e a titolo di exemplum antologico delle vicissitudini abituali per un dramma di questo
tipo, le principali variazioni apportate alle varie rappresentazioni dell’Ormisda: perfino, come si è visto, sullo
stesso titolo, ridiventato nel 1723 Cosroe come in Cellot e Rotrou, oppure Artenice,
per la rappresentazione torinese dello stesso anno, che peraltro non ha remore
nell’aggiungere due personaggi di popolani completamente avulsi —per tono,
contesto e funzione drammaturgica— all’opera del poeta cesareo, con tanto di
scene a loro dedicate.
Riguardo al timore di Zeno sulla
prefazione (non sappiamo quanto sincero, né quanto poco informato dei fatti), si
rivelerà comunque fondato: il primo volume delle Poesie drammatiche uscirà senza alcuno scritto gozziano, affidando
l’esordio all’Ifigenia in Aulide, ma
il quarto presenterà la prefazione del curatore. Il quarto è, tra l’altro,
proprio il volume dell’Ormisda,
collocato subito dopo l’introduzione di Gozzi, il quale illustra anche le sue
preoccupazioni critiche e i criteri scelti per restituire l’originaria dignità
al testo di Zeno. Dopo una nutrita rassegna di illustri pareri sull’opera zeniana, il curatore passa a infatti denunciare il costume
per cui
mettendosi più volte i
drammi d’un autore ne’ teatri, per fare qualche varietà, accomodare i maestri
di musica, ed altre persone che in que’ luoghi o
dipingono, o altri lavori anno, ed hanno capricci, e fantasia un mare, s’è
preso uno spediente, di porre le mani ne’ lavori del poeta, e quelli allungare,
accorciare, cambiarvi personaggi, aggiungerne, levarne via, far nuove
canzonette, intere, per metà, e chi sa, e che non sa rappiastra, e malmena come
può, o come gli è conceduto di poter fare dalla
natura medesima della cosa: poiché posto che colui il quale questi
ritoccamenti, o rappezzamenti fa, fosse persona di giudizio, e di dottrina
quanto si vuole eccellente, non potrebbe far sì che il buono originale non
peggiorasse.[3]
La preoccupazione, continua Gozzi
(echeggiando certo i sentimenti di Zeno verso i suoi ‘aborti’, di cui quindi
seguiva attentamente le vicende, e sulla stregua dell’uguale scontento che costella,
ad esempio, l’epistolario metastasiano), è che le versioni modificate dai
musicisti vadano «in cambio d’originali per le mani di molti». Gozzi conferma
la ritrosia del drammaturgo veneziano a un’edizione delle sue opere, includendo
lo stralcio di una lettera al Muratori che lo stesso Zeno, a suo dire, gli
allegava sovente; ma così come erano state tollerate le modifiche ai libretti
senza particolari problemi («solea dire scherzando ch’essendo
le sfacciate uscite in pubblico, non potea più negare
che chi le volea se le prendesse, e scompigliasse
parole, e concetti»),[4]
un tale privilegio non poteva essere negato allo stesso Gozzi, per giunta con
intenzioni ben più alte. Ricevuto finalmente l’assenso da Zeno, il curatore può
quindi provvedere alla trascrizione:
Laonde io incontanente
con ogni studio, e diligenza mi posi a ordinarle, e a cercar di darle fuori
intere, e con la scorta de’ migliori originali, e il tutto feci in quella forma
che potesse essere conveniente al desiderio di costoro che bramano la presente
edizione, ed a lui, che di tal grazia mi fu cortese.[5]
Gozzi fu di parola. A parte le rare
eccezioni di cui si dà regolare conto in apparato, l’edizione 1744 dell’Ormisda è come detto sostanzialmente
identica al libretto originale del 1721, con un ammodernamento grafico (come i
legamenti di forme quali de la > della,
a la > alla eccetera) e la caduta di alcune
didascalie relative alla messinscena viennese, che nella presente edizione si sono
mantenute nell’Apparato, rifacendosi in questo caso al libretto del 1721. In più, Gozzi nella sua edizione rimuove la ripetizione
del verso primo alle fine delle arie col da capo, presente invece nel libretto
del 1721; le arie dell’Ormisda sono
comunque bipartite e posizionate, tranne rari cari, sempre in fine di scena,
seguendo quelle linee di riforma poi ulteriormente perfezionate da Metastasio.[6]
Per quanto riguarda la metrica del testo, sempre in ossequio alla volontà zeniana di elevare il dramma musicale alla nobiltà della
tragedia senza assecondare il virtuosismo degli interpreti, il recitativo in
endecasillabi e settenari mostra un’assai bassa frequenza di rima, concentrata
più che altro nella chiusura delle battute più lunghe e significative; sono
invece diffuse le parti dialogiche in brevi battute all’interno dello stesso
verso, nella costante ricerca di un ritmo più vicino a quello del parlato.
Notevole invece la polimetria delle arie, sempre con rima per la chiusura di
strofa, dove si concentra l’impulso lirico del testo: quinari, senari, settenari
(anche sdruccioli), ottonari, decasillabi, endecasillabi sono tutti assai frequenti,
con i versi lunghi di norma prerogativa dei personaggi più regali (con
l’eccezione di Artenice) e i parisillabi frequenti nel versificare sentenzioso,
ma senza una rigida divisione del metro legata al personaggio o alla carica
emotiva.
Apostolo
Zeno
Ormisda
Argomento
In
un altro dramma si son fatti vedere i buoni effetti dell’amicizia. In questo si
è procurato di por sotto gli occhi i cattivi effetti dell’odio. L’argomento n’è
stato somministrato dalla real casa di Ormisda re di Persia: principe che
sarebbe stato meno infelice, se avesse saputo essere miglior padre. Indotto
egli dall’amore, e dalle lusinghe della seconda sua moglie, che qui vien
chiamata Palmira, si risolvette
di portare al trono, anche sua vita durante, il suo secondo figliuolo, cui si
dà il nome di Arsace,
ad esclusione di Cosroe
suo primogenito, ma natogli dal primo letto. Cosroe
per se stesso d’animo fiero, e vie più in tale
occasione da’ diritti della sua nascita, e dal favor
delle leggi sostenuto, e assistito, non seppe sofferire
una sì fatta ingiustizia. Col mezzo adunque de’ suoi partigiani riuscì ad esso
lui di avere in sua mano il padre, la matrigna, e ‘l fratello, e d’impossessarsi
della corona. I buoni trattamenti usati da lui nel cominciamento del regno, e
poscia per qualche tempo verso del padre, han dato sufficiente motivo per
chiudere il dramma diversamente da quello che nella storia si legge. Teofane, Zonara, ed altri parlano
di questo fatto, per chi desidera d’esserne più diffusamente instruito. Gli amori generosi di Artenice, i raggiri di
Mitrane, e i tradimenti di Erismeno servono a maggior
viluppo della favola, che senza essi non si sarebbe potuta condurre al fine che
se le è dato.
ATTORI.
ORMISDA, re di Persia.
PALMIRA, sua seconda moglie.
ARSACE, loro figliuolo, amante di
Artenice.
COSROE, figliuolo
di Ormisda, e d’altra sua prima moglie, amante anch’esso di Artenice.
ARTENICE, regina di Armenia, amante di Arsace.
MITRANE, satrapo
persiano, e capo dell’ambasciata armena, confidente di Cosroe.
ERISMENO, altro satrapo persiano, confidente
di Palmira.
L’azione
si rappresenta in Tauri, città capitale della Persia.
ATTO
PRIMO
Piazza reale, riccamente apparata per la coronazione
di Artenice, con due troni, l’uno rincontro all’altro.
SCENA I
Ormisda, Palmira, Artenice, Arsace,
seguito di Persiani, popolo, e soldati.
ormisda O del grande Artabano,[7]
che all’Armenia
diè leggi, inclita figlia,[8]
bella Artenice,
il lieto giorno è questo[9]
che por ti
dee l’aurea corona in fronte,
5 e darti al
popol tuo sposa, e regina.
Te all’amor
mio commise il re tuo padre,
e che passi
un mio figlio
all’onor del tuo letto, è suo volere.
Dal tuo reale
assenso
10 questo or si
adempia, e regni
di te, vergine
illustre, il cenno altero
sul perso
insieme, e sull’armeno impero.
artenice Signor, posso a mio grado
espor liberi
sensi? E quei diritti
15 che inspira a nobil’ alma
il nome di regina,
usar poss’io?
arsace (A parte) Da quel
labbro dipende il viver mio.
ormisda Non hai di che temer. Parla, e il tuo regno
cominci dal
tuo cor.
palmira Ma ti sovvenga (piano ad Artenice)
20 che Palmira ti
ascolta,
e che Arsace è mio figlio, e ch’ei ti adora.
artenice Ah! Di parlar, re, non è tempo ancora.
ormisda Qual rispetto ti affrena?
palmira Io
del suo core
interprete fedel...
artenice No. Di me stessa
25 non v’ha chi
meglio intenda
miei chiusi
affetti. A tempo
gli svelerò.
Qui non si scordi il grado.
Oggi regina
io sono,
arbitra di me
stessa, e salgo il trono.[10]
(Al suono delle trombe
ascende Artenice sul trono, servita da Arsace, e dall’altro
canto vi ascendono Ormisda, e Palmira. Esce poi Mitrane con gli altri ambasciadori Armeni, i quali portano omaggio ad Artenice,
ed uno in particolare di loro sostenta sopra un bacino d’oro la corona, e lo
scettro)
SCENA II
Mitrane,
e i suddetti.
mitrane Te a noi dieder gli dii, regina
eccelsa.
Te
a noi serbin gli dii. Duri il tuo regno
co’ tuoi, co’ nostri voti.
Ogni
consiglio tuo regga virtude:
5 Fortuna
ogni tua guerra:
e
de’ regi avi tuoi vinci le glorie.
Questi
forma per te prieghi sinceri
la
tua suddita Armenia; e noi, cui tocca
l’alto
onor di offerirti i primi
omaggi,
10 al
tuo trono, al tuo piede
per lei giuriamo
ossequio, amore, e fede.[11] (novamente al suono delle trombe s’inginocchia
Mitrane al secondo de’ gradini del trono, e preso dal bacino lo scettro, lo
porge ad Artenice)
artenice Lieta in voi del mio regno
gli
omaggi accetto. Il cielo
ne
secondi gli auspici.
15 Me
attenta avrete a custodir le leggi,[12]
più
che a imporle sovrana. A voi miei fidi,
arra
sien del mio amor l’auree
maniglie,[13]
fregio
al braccio guerriero; e tu, Mitrane,
il
cui senno, il cui petto
20 tanto
per me sostenne,
questo
di gemme, e d’oro
ricco
lucente acciaro al fianco appendi,[14]
e
mio campion, più la grand’alma accendi. (Artenice trattasi dal seno una picciol’arma dorata ed ingioiellata, detta dagli Orientali acinace,
solita portarsi da’ re, e da’
maggior personaggi; la porge a Mitrane, che in ricevendola gliene bacia la
mano. Escono nello stesso tempo quattro nobili Armeni, i quali portano in
quattro bacini dorati sedici maniglie d’oro, dette armille, e le
distribuiscono agli ambasciadori Armeni, i quali se
le pongono al braccio destro)
mitrane Sì: tuo campion già sono.
25 Bacio l’illustre
dono;
e
il cingerò per te.
Al
manco lato appeso
vi
sentirà quel core
che da’ tuoi raggi
acceso
arde di ossequio, e fé.
SCENA
III
Erismeno, e i suddetti.
ormisda Qui Erismeno?
palmira Che fia?
erismeno Domi i ribelli, e soggiogato il Ponto,[15]
dal
campo vincitor viene a’ tuoi piedi
il
tuo figlio real.
palmira Che? Cosroe?
ormisda Cosroe?
5 Senza
aspettar ch’io lo richiami? E prima
del
mio comando abbandonar le schiere?
erismeno Egli avrà
sue ragioni.
palmira Tal, mio Ormisda, è il costume
di
que’ guerrieri eroi, di que’
gran cori[16]
10 che
pieni di se stessi,
e
dall’armi protetti, e dal lor fasto,
ricusan dipendenza:
non
conoscon dover: non re: non padre.
ormisda Venga, ed in me ritroverà il superbo,
15 non
il padre, ma il re.[17]
erismeno (A parte) Cosroe
è in periglio.
arsace Giusto, sire, è il tuo sdegno:
ma
Cosroe è base al regno, ed è tuo figlio.[18]
palmira Quando chiaro è l’error, vano è il
consiglio.
arsace Dove è giudice il padre, il figlio tace.
20 artenice Bella virtù, che m’innamora, e piace. (tutti scendono dal
trono)
arsace Tacerò: ma a pro di un figlio (prima a Palmira, e poi
ad Ormisda)
virtù
parli, e parli amor.
palmira Sua virtù si è fatta orgoglio.
ormisda E reo vien di un giusto sdegno.
25 arsace Ma la gloria egli è del regno; (a Palmira)
né
vien reo chi è vincitor. (ad Ormisda)[19]
SCENA
IV
Cosroe con soldati, e i suddetti.
cosroe Padre, e
signor...
artenice Perdona,
(a Cosroe)[20]
se
interrompo il tuo dir. Parli Artenice,
ed
intrepida parli, or che è difesa (ad Ormisda)
dall’aspetto
di Cosroe.
5 Fosse
tema, o rispetto,
e
tu, regina, il sai, feci a’
miei voti (verso Palmira)
forza
finora: al mio dover compiacqui:
non
era ancor regina: attesi; e tacqui.
arsace (A parte) Palpita
amor.
cosroe (A parte) La
sorte
10 s’agita
del cor mio.
ormisda Tuoi detti attendo.
palmira (A parte) Taccio
a gran pena, e l’ire mie sospendo.
artenice Di vita il re mio padre
uscì,
me ancor fanciulla. Il terzo lustro
compie
oggi appunto. Ei ti commise, o sire,
15 e
l’Armenia, e Artenice.[21]
ormisda E fu sua legge
che
Artenice sia sposa
di
un mio figlio real.
artenice Ma
di quel figlio,
cui
sul crin splenderà la tua corona.
20 Quegli
sarà mio sposo
che
tuo erede sarà. Non basta a lui
il
titol di tuo figlio.
Ci vuol
quello di re. Cosroe, ed Arsace
son
tua prole ugualmente.
25 Hanno
merto: han virtù: m’amano entrambi.
Se
dovesse il cor mio sceglier lo sposo,
il ver dirò, tu lo saresti, Arsace.
arsace Care voci!
artenice Ma Cosroe
ha
sul trono de’ Persi
30 la
ragion dell’età. Tu, che sei padre,
del
tuo scettro disponi. A me non lice.
Frema
quanto egli vuole
l’amor mio generoso,
il
re che tu farai sarà mio sposo.
35 Sono amante, e sono figlia:
ma quest’alma si consiglia
col dover, non coll’amor.
Sembra fasto, ed è rispetto
ciò che svena un dolce affetto
40 Al voler del genitor. (si
parte, servita a braccio da Cosroe, e
da Arsace, e vien seguita da’ suoi Armeni)
SCENA
V
Ormisda,
Palmira, e poi Cosroe, che ritorna.
palmira Mio consorte, mio re, da te dipende
il
destino di Arsace.
ormisda E di Arsace in favor vuoi da me
infranta
la
giustizia, e la legge?
5 palmira Serve la legge al re.[22]
ormisda Ma al re tiranno.
palmira Serva dunque alla legge il re che è giusto.
Cosroe è reo di gran colpa, e dei punirlo.
ormisda Taci: egli riede.
palmira Arsace, ho core, ho ingegno:
10 (A parte) son madre; e tua sarà la sposa,
e il regno.
ormisda Dal campo, ov’eri duce,
perché
lontan?
cosroe L’armi di Ormisda han
vinto.
Il
Ponto è tua provincia, e domi i Medi,
quanto
oprar potea Cosroe, ha tutto oprato.
15 Dalle schiere oziose
disio mi allontanò di
porti a’ piedi[23]
la novella corona,
e di aver la mercé di
mie fatiche
dall’onor
di un tuo amplesso.
20 ormisda In ogni altro che in Cosroe, un
tanto eccesso
si puniria di morte.[24]
In
te a virtude, in te a natura il dono.
Figlio,
vieni al mio amplesso, e ti perdono. (lo abbraccia)
palmira (A parte) Vil padre, e reo marito!
25 ormisda Ma dopo il mio perdon, Cosroe, paventa
di
provocar con altra colpa all’ire
un amor che ti assolve.
Il novo giorno
fuor di Tauri ti vegga. Ozio può solo[25]
al corso di tue glorie
esser d’inciampo.
30 Vuoi palme? Io te le
appresto;
ma i miei comandi
attenderai nel campo.
cosroe Ubbidirò.
Tornerò al campo, o sire;
ma
non senza Artenice. Ella è mia sposa.
Tu sei sedotto da un amore ingiusto.
35 Ma di Ormisda son figlio:
son del regno l’erede; e non degg’io
soffrir ch’altri mi usurpi
ciò
che per legge, e che per sangue è mio.
Sino alla goccia estrema[26]
40 le mie ragioni al soglio,
e quelle del mio amor difenderò.
Quanto può s’armi, e frema
odio, furore,
orgoglio:
orgoglio,
odio, furor
45 col senno, e
col valor confonderò.
SCENA
VI
Ormisda,
e Palmira.
palmira Tanto ardisce il superbo,
te presente, e te re?
ormisda L’indole
è fiera:
ma
generoso il cor, l’animo eccelso.
palmira Scusalo pur. Ten pentirai, ma
tardi.
5 ormisda Che far poss’io?
palmira Nulla, o signor: lasciarlo
che
impunito egli corra,
ove
alterezza, ove furor lo spinge.
Povero
Arsace! Misera Palmira!
Sarete
ancor sue vittime innocenti.
10 ormisda Palmira, anima mia, di che paventi?
palmira Eh! Sì teneri nomi
non
son più per Palmira. Il primo letto
degno
è sol del tuo amor. N’ebbe il secondo
sol
pochi, e freddi avanzi.
15 Cosroe, che nacque al trono, è sol tuo sangue.
Nacque
il povero Arsace alla sfortuna
di
suddito, e di servo;
e
gran colpa è per lui l’esser mio figlio.
ormisda Con sì ingiuste querele il cor
trafiggi.
20 Cosroe è forse tuo re? Suo forse è il trono?
palmira Ma lo sarà. Lascia ch’io salvi Arsace
dal
suo primo comando.
Non
ti chiede il mio pianto
che a favor di una
moglie
25 contra
un figlio crudel s’armi il tuo braccio.
Chiede solo ch’io possa
trarre i miei giorni in sicurtà di vita
col caro Arsace. Un angolo
di terra
a me basta per regno. Oh! Là talvolta
30 di te, Ormisda, mi giunga il dolce nome!
Questo sia tutto il fasto mio. Se questo
può turbar la tua pace,
questo ancor niega.
Ormisda
a me rammenterò, mirando Arsace.
35 ormisda Tu
partir? Tu lasciarmi? È troppo ingiusto,
mia cara, il tuo dolor.
Serena il ciglio.
Son re. Palmira è moglie. Arsace
è figlio.
palmira Moglie, è ver; ma non più quella
cara,
e bella,
40 tua
delizia, e tuo riposo.
Fiamma
ch’arde in cor di amante
presto
manca in cor di sposo;
e il possesso di un sembiante
fa
ch’ei sembri men vezzoso.
SCENA
VII
Ormisda.
ormisda Che mi giova aver vinti
e
ribelli, e nimici,
se
guerra più crudel mi fanno i miei?
Palmira,
Cosroe, Arsace,
5 tutti oggetti di amor, tutti di affanno,
misero in me rendete
il re, il marito, il
padre.
Ah! Che se re non fossi, io non sarei
sposo infelice, e genitor
dolente.
10 Questa corona, questa
seme è degli odi.
Ambizione in armi
mette il mio sangue, e
uccide la mia pace.
O corona! O Palmira! O Cosroe!
O Arsace!
Son da più venti
15 legno
percosso.
Porto non veggio.
Stella non ho.
Tra le frementi
torbide
brame
20 posso,
e non deggio.
Voglio, e non posso.
Penso, e non so.
SCENA
VIII
Galleria,
per cui si passa nel serraglio reale.
Artenice,
ed Arsace.
artenice Quando l’ama Artenice, Arsace
piange?
arsace Che mi giova il tuo amor, quando ti perdo?
artenice Ti consoli il piacer di mia grandezza.
arsace Mi duol la mia, non la tua
sorte, o cara.
5 Regna pur col germano.
artenice Io con Arsace
più
lieta regnerei. Ma come il posso?
Comanda il genitor
che sia mio sposo
di Ormisda il regio erede.
arsace Io quel non sono.
L’esser nato più tardi è
mia sventura.
10 Ma di tante, che spargo
nel mio avverso destin, lagrime amare,
una sola non bagna
il trono, da cui scendo.
A te tutte le spreme il
mio dolore:
15 a
te, mio solo fasto, e sol mio amore.
artenice Pera chi primo al mondo
questa
introdusse empia ragion di stato,
tiranna degli affetti.[27]
Anime in libertà di amar chi piace,
20 quanto v’invidio! O padre,
che non tormi il
diadema,
e lasciarmi il mio cor?
Sarei di Arsace.
Ma non son io regina?
Basti, basti l’Armenia ad Artenice:
25 la Persia a Cosroe. Arsace, a un dolce affetto,
già sacrifico un regno.
Un tuo sguardo giocondo
mi val più della
Persia, e più del mondo.
arsace Generosa Artenice, a sì gran prezzo
30 non sarai mia. Ricuso
un amor che ti rende
meno giusta, e men grande.
Regna sui Persi: io il primo
sarò de’ tuoi vassalli.
35 artenice O degno, o caro amante,
spera. Chi sa? La sorte
avrà forse rimorso, avrà rossore
di scior nodo sì bel,
sì forte amore.
Perché nacqui a regal
sorte,
40 in voi perdo, o luci amate,
il mio bene, il mio piacer.
O in amore
pastorelle fortunate,
quanto invidio al vostro core,
45 che sol ama per goder!
SCENA
IX.
Cosroe, ed Arsace.
cosroe All’aspetto
di Cosroe
fugge
Artenice? Ho pena
di aver turbati i vostri lieti amori.
arsace Ella da me prendea
5 tenero, sì, ma forse ultimo addio.
cosroe Ultimo?
Non mi offende; e ne ho pietade;
e non senza dolor
sciolgo il bel nodo.
Amo in te quella parte
che comune al mio sangue è in te dal padre.
10 Ma quella che succhiasti
dalle vene materne, è mia nemica.
La matrigna m’insidia. Ella mi ha fatto
di un fratello un rival.
arsace No. La mia
fiamma
è colpa del mio cor,
non della madre.
15 Artenice l’ha accesa. E chi mirarla
poteva, e non amarla?
cosroe Non
amarla potea, chi in Artenice
vedea
la sua regina, e la mia sposa.
SCENA
X
Palmira,
e i suddetti.
palmira Né sposa tua, né tua regina ancora
Artenice
non è (a Cosroe). Rabbia e orgoglio (ad Arsace)
non ti spaventi. Amala, o figlio, e avrai
quel diadema, e quel cor,
ch’ei ti contende.
5 Tel promette Palmira, e tel
difende.
cosroe In te, regina,
il grado eccelso onoro:[28]
in te l’amor di Ormisda.
Tu forse il mio rispetto
interpreti a viltà.
Tenti sedurre
10 l’amor del padre, e la
virtù del figlio.
Ma...
palmira Che vuoi dir?
cosroe Quel
figlio
che
tu cerchi innalzar sovra il mio soglio...
palmira Segui.
cosroe Ha
troppa virtù; tu troppo orgoglio.
arsace Ira il fratel trasporta, odio la madre.
15 palmira Intendo. E madre, e figlio
egualmente
minacci.
Ma muovi terra e cielo:
fa’ quanto puoi: superbo,
regnerà Arsace, o
morirà Palmira.[29]
20 cosroe Convien dunque ch’io cada;
e che impotente sia
questo
cor, questo braccio, e questa spada.[30] (mettendo
la mano sulla spada, e mezzo sfoderandola)
SCENA
XI
Ormisda,
e i suddetti.
ormisda Cosroe, qual turbamento? E qual
furore?
La
man sul brando, e la regina è teco?
arsace O dèi!
palmira Tu lo vedesti.
cosroe Avea sul ferro
la destra, o re, ma solo...
5 palmira Sol per lasciarlo immerso entro il mio seno.
ormisda Perfido!
palmira Tu
opportuno
giugnesti al mio periglio.
Senza te; trema, iniquo;(verso Cosroe)
peria la madre, e la
uccideva il figlio.(ad Ormisda)
SCENA
XII
Cosroe, Ormisda, ed Arsace.
1 cosroe O matrigna
crudel! La mia innocenza,
signor...
ormisda Presente è Arsace.
cosroe E
Arsace parli.
arsace Sì, sì: per l’innocente
sarò
in difesa. Padre,
5 Cosroe voleva... (a parte) Ma accuserò la madre?[31]
ormisda Tu taci? Amor fraterno a che ti arresta?
Dì. Qual furor l’ha
mosso
all’atto reo?
cosroe Rispondi.
arsace O Dio! Non
posso.
Non accuso. Non difendo;
10 e tacendo, non offendo
né il rispetto, né l’amor.
Se favello,
alla madre, od al fratello
son crudele, o traditor.
SCENA
XIII
Ormisda,
e Cosroe.
cosroe La regina
mi accusa.
Il
fratel non mi scolpa. Io son tradito.
Ma nell’odio dell’una,
nel silenzio dell’altro un giusto padre
5 scorge la mia innocenza.
ormisda Orsù:
ti credo,
qual
ti vanti, innocente.
Cosroe, deh! Più di
freno al fasto, all’ira.
In questi di mia vita ultimi giorni
lasciami più di pace.
10 cosroe Palmira
è ingiusta. Ella ama troppo Arsace.
ormisda Ma l’amor di Palmira in che ti nuoce?
cosroe Ella m’insidia
il regno: ella Artenice.
ormisda Sa Ormisda giudicar
tra moglie, e figlio.
Giusto
mi troverai. Cosroe, abbi fede.
15 Tu l’amor sei del padre, e tu l’erede.
Ma sappi ancor nella real
tua sorte;
Palmira è tua regina, e mia consorte.
SCENA
XIV
Cosroe.
cosroe Perché
moglie, e regina,
dovrà
la donna altera
insultarmi? Accusarmi? Ed io soffrirlo?
No. Mi si oppone invano amor paterno.
5 Figlio, ed amante io sono.
Mia è la ragion. Voglio Artenice, e il trono.
Vede quel pastorello
l’avido
lupo ingordo,
che
nel più scelto agnello
10 cerca
sfamar il dente; e sel difende.
Tal per difesa anch’io
del
ben, che solo è mio,
senno
userò, e valor
contra
quel rio furor che mel
contende.
SCENA
XV
Mitrane,
e Cosroe.
mitrane Un più lento ritorno,
principe,
ti togliea sposa, e corona.
cosroe Caro
Mitrane, al primo, e da te l’ebbi,
nuncio de’ rischi miei,
volai dal campo,
5 e mi seguì de’ miei
soldati il fiore.
mitrane E ben d’uopo ne avrai. Sola Artenice,
mal grado all’amor suo, finor sostenne
la tua ragion.
cosroe Lo so; né in quel gran core
mi fu debol soccorso il tuo consiglio.
10 mitrane Dissi, e feci il dover. Ma contro forza
ragion
che può? Qui non Ormisda: sola
dà Palmira le leggi; e il re avvilito[32]
a riceverle è il primo.
cosroe Cosroe lontan potea
temer; vicino
15 confonderà
le trame.
mitrane Non basta il minacciar. L’opra si
chiede,
ove il male sovrasta.
cosroe E che?
mitrane Regnar convien. Se nol
rapisci,
ti
è rapito il diadema.[33]
20 La regina ha sedotti e grandi, e plebe,
duci, e soldati, e vuol che regni Arsace.
Non osa il re. Fremono i buoni; e basta
che lor capo tu sia.
cosroe Contro
di Ormisda?
mitrane Lasciar rapirti un
trono è debolezza.
25 cosroe Ed è
impietà voler cacciarne un padre.[34]
mitrane Egli scender ne vuol, per darlo a un altro.
cosroe No, no:
mi è re: mi è padre.
Di
figlio, e di vassallo
sacri nomi, io vi sento, io vi rispetto.
30 Né sì estremo è il periglio
che renda a mia discolpa
necessario un misfatto.
Si attenda ancor. Tengansi
pronte a l’uopo
le difese, e le offese.
35 Facciam
tremar chi ne minaccia. Voglio
salvar, se posso, ed
innocenza, e soglio.
SCENA
XVI
Mitrane.
mitrane Quando può prevenir, vile è chi attende.[35]
Numi
che in mano avete
de’ regnanti il destin,
siate alle leggi
e vindici, e custodi; e non lasciate
5 che un figlio erede
ingiustamente or cada;
ed al vostro poter,
ministro, e servo
per lui v’offro il mio
braccio, e la mia spada.
Chi ha fede, e valore,
la causa migliore
10 difender saprà.
Né in onta, e sciagura
di
legge, e natura,
l’erede del regno,
de’ Persi il sostegno,
15 cader si vedrà.
SCENA XVII.
Giardino con parco reale.
Erismeno, e Palmira.
erismeno Quanto sono,
o regina,
tutto
a te deggio; e l’opra
ti farà testimon della
mia fede.
palmira Erismeno,
se un’alma
5 non
ti senti ben forte all’ardua impresa,
non ti espor con tuo rischio, e con mio scorno.
erismeno Non temer. Novi
spirti
già prendo dall’onor della tua scelta.
palmira Non è il real comando
10 senza l’orror di una gran colpa.
erismeno Toglie
il
comando real nome alla colpa.[36]
palmira Cosroe di Ormisda è figlio.
erismeno Se meritate
ha l’ire
di
te, donna real, Cosroe è
già reo.
15
palmira O di quante ha la Persia anime invitte
specchio,
ed onor, già tutta in te ripongo
la mia vita, il mio onor, la mia vendetta,
e ne avrai la mercè.
erismeno Di mia
costanza
è
stimolo il dover, non la speranza.
20 palmira Di cento e
cento belle
a me ministre
ancelle,
quella
sarà tua sposa
che
più vezzosa,
e
più amorosa
25 agli
occhi tuoi sarà.
Ampio tesoro
di gemme, e d’oro:
titoli
egregi
di onori, e fregi,
30 in ricca dote
ti porterà.
SCENA
XVIII
Cosroe, ed Erismeno.
cosroe (A parte) Con Palmira Erismeno?
erismeno Qui Cosroe? Ei da me vide (sfodera uno stilo)
partir la regal
donna.
(A parte) D’arte più che d’ardir qui mi
fa d’uopo.
5 cosroe Stringe
un acciar. Fissi or tien
gli occhi a terra.
Or
li gira d’intorno. Or ferma il passo.
Or frettoloso il move;
ed è in atto il
sembiante
di chi medita, e volge
10 un certo che di
orribile, e di atroce.
erismeno Su: destra,
e che si tarda? (con voce alta, ma fingendo di parlar tra sé)
Ubbidir qui convien.
Vano è il rimorso.
cosroe Che
sarà? Cauto, o Cosroe.
(A parte) Da un’odio
femminil tutto si tema.
15 (Ad alta voce) Dove, dove, Erismeno? (Erismeno
alla voce di Cosroe mostra di rimaner soprafatto, e di voler nasconder lo stilo)
erismeno O ciel!
cosroe Quel ferro
perché
ripor? Poc’anzi a che snudarlo?
erismeno Signor...
cosroe Non
ti confonda
or l’aspetto di Cosroe.
Confonder ti dovea
quel di Palmira.
20 erismeno Palmira?
cosroe Sì. Negarlo
potrai? Qui seco fosti. Ella qui a lungo
ti favellò. Che ti commise? Il ferro
a qual uso impugnasti?
Scoprimi il vero, e in
mia bontà confida.
25 erismeno Eccomi al
regio piede,
indegno di perdono. O sorte infida!
cosroe Sorgi.
erismeno No, no, Signor. Voglio a tue piante
morir.
Non dee la terra
più sostenermi. Io respirar più l’aure
30 di questo ciel non deggio.
Prendi tu questo ferro,
(dando lo stilo a Cosroe)
e ascondilo in quel cor che un sol momento
nudrir
poté l’idea della tua morte.
cosroe Della
mia morte? O numi! Ed era questo
35 di
Palmira un comando?
erismeno Al suo
furore io la promisi. Allora
deh! Perché dalle fauci
non ripiombò la voce al core iniquo?
Or tardo è il pentimento.
40 Ferisci pur, ferisci.
È più fier del tuo braccio il mio tormento.
cosroe Sorgi.
Del tuo delitto (Erismeno si leva)
non
esigo altra pena,
se non che in faccia al re, che in faccia al
mondo,
45 della perfida donna
parli sulle tue labbra
il reo disegno.
Ritogliti il tuo ferro;
e fa ch’ei sia (gli rende lo stilo)
prova dell’altrui colpa.
Altra vendetta
da te non voglio, e il
mio perdono accetta.
50 erismeno O perdono! O
pietà! Quanto m’imponi,
farò.
Per Mitra il giuro;
e s’anche vuoi ch’io volga
di Palmira nel seno il
ferro istesso...
cosroe No, non
vendica Cosroe
55 un
eccesso crudel con altro eccesso.[37] (si
parte)
erismeno Udrà
la Persia, e il mondo
la
barbara impietà.
Ed all’atroce accusa
più che alla ria sentenza,
60 infino l’innocenza
di orror
si stordirà.
Il fine dell’atto primo.
ATTO SECONDO
Spelonca consacrata a Mitra,
cioè al Sole, deità de’ Persiani, illuminata dal fuoco che arde sopra una grand’ara
avanti il simulacro dello stesso Mitra, e
da molte statue all’intorno, le quali sostentano facelle accese.
SCENA
I
Ormisda,
Palmira, Artenice, Cosroe, Arsace,
Erismeno, Mitrane, coro di ministri di Mitra,
satrapi, popoli, soldati Persiani ed Armeni, alcuni de’ quali portano rami di
palme, ghirlande di alloro, bandiere, trofei d’armi, ecc.
coro Dio
del giorno, alma del mondo,[38]
Mitra
invitto,[39]
nostro
nume, e nostro re:
qual
da selce il foco ha vita,
5 vita
un sasso a te pur diè.[40]
ormisda,
cosroe e
erismeno Sol per te cadde trafitto
fier nimico
al nostro piè.
coro Dio
del giorno, alma del mondo,
Mitra
invitto,
10 nostro
nume, e nostro re.
palmira
e artenice Qui tributa al
tuo gran nume
lauri,
e palme,
puro
ossequio, ed umil fé. (gittano sul fuoco rami di alloro, e fasci di
palme)
arsace
e mitrane Sacra fiamma il don consume,
15 e
dia segno
che
l’omaggio è grato a te. (facendo lo stesso)
coro Spoglie
guerriere
di
vinte schiere
alla grand’ara
20 appendo
intorno. (appende una bandiera militare ad un lato dell’ara.)
arsace Io quest’alloro
pur
ti consacro,
che
d’ostro, e d’oro[41]
risplende
adorno. (appende anch’egli ad un altro lato dell’ara una ricca corona d’alloro.)
25 coro Dio
del giorno, alma del mondo,
Mitra
invitto,
nostro
nume, e nostro re:
qual
da selce il foco ha vita,
vita
un sasso a te pur diè.
(Segue il ballo de’ ministri di
Mitra, i quali poi partono, seguiti da Erismeno, e da
Mitrane.)
SCENA
II
Ormisda,
Palmira, Artenice, Cosroe, ed Arsace.
ormisda Orché tutti al mio fianco
siete,
figli, consorte,
regina, amici, popoli, soldati,
il re Ormisda vi parla, e qui vi parla
5 re per l’ultima volta. (si cava la corona di
capo, tenendola poscia in mano)
arsace (A parte) Che
sarà mai?
palmira (A parte) Taci, Palmira, e ascolta.
ormisda Nume, che sei di Ormisda, e sei de’ Persi
deità
tutelar, genio sovrano,
questo, che da più lustri[42]
10 cinsi al crine real,
cerchio gemmato,
ecco depongo all’ara tua. Natura
mel
diè. Virtù me lo difese. Or temo
che in discordie sì rie mel serbi, o tolga
un crudel
parricidio.[43]
15 Prevengasi
il misfatto.
Dio, che l’atto
magnanimo m’inspiri,
reggi la mente tu, reggi
la voce
di
chi al partico impero
sceglier dovrà l’erede;
e fa’ ch’ei sia
20 oracolo di pace, onde
sia spenta
ogni rissa, ogni sdegno
nel
mio cor, nel mio sangue, e nel mio regno. (si accosta
all’ara, e vi depone la corona)
cosroe Ciò che
mediti il padre, (verso Palmira)
non
so. So che difesa
25 sarà da me l’alta ragion del trono.
palmira Ei cede il regno, e per Arsace io
sono. (verso Cosroe)
ormisda Artenice, tu vedi
senza re la corona.
Ella da te lo attende. Un voto istesso
30 a te darà lo sposo,
alla Persia il monarca, a me la pace.
Scegli, qual più vorrai,
Cosroe, od Arsace.
palmira Arsace, il re tu sei. T’ama
Artenice. (ad Arsace)
arsace Regina... (ad Artenice)
cosroe Genitor...
(ad Ormisda)
artenice Sulle
mie labbra,[44]
35 principi,
non vi faccia
né lusinga, né tema amore, o fasto.
Virtù mi regge: e a te
mi volgo, o sire.
Odi più che civili
fremon nel sangue
tuo. Solo il rispetto
40 li contiene in dover. Sciorranno il freno,
se tu cedi il comando.
In Ormisda la Persia
abbia il suo re: Cosroe, ed Arsace il padre;
e perché sprone all’ire
45 più Artenice non sia, né metta in armi
il fratel col fratel, col padre il figlio,
prenderò al novo giorno
ver l’Armenia il cammino. Ivi le leggi
darò al popol vassallo; e là in riposo
50 nel figlio erede attenderò lo sposo.
arsace Deh! Qual crudel consiglio?
artenice Crudel,
ma necessario alla mia gloria.
M’occupa il core
la gloria mia.
55 Fasto, od amore
nol
vincerà.
La mia fortezza
non cederà,
né al genio altero
60 della
grandezza,
né al dolce impero
della beltà.
SCENA
III
Ormisda,
Palmira, Arsace, e Cosroe.
arsace Signor, parte
Artenice; e s’io la perdo,
che
mi cal di grandezza?[45]
Cosroe, prenditi il
regno,
e lasciami quel cor.
cosroe No.
Son due beni
5 che
sgiunger non si ponno,
scettro, e Artenice. O miei saranno entrambi,
o entrambi tuoi; ma per
averli è forza
che di Cosroe non viva altro che il nome.
palmira Vedi, o signor, qual implacabil core!
10 La
bontà del fratello il fa più audace.
arsace Cosroe è crudele, e sfortunato Arsace.
Padre, non curo il regno:
madre, ho la vita a sdegno,
senza la fida, e bella
15 anima del mio cor.
Io non aspiro al trono. (verso Cosroe)
Suddito nacqui, e il sono.
Sol mi si lasci un bene
che mio
già fece amor.
SCENA
IV
Ormisda,
Palmira, e Cosroe.
ormisda Dèi! Che far deggio?
cosroe Che? Riporti in fronte
quella,
di cui non sei
arbitro, ma custode, aurea corona.[46]
Ella non può caderne
5 che non salga sul mio.
Sinché Ormisda è monarca, io son vassallo:
ma se il regno abbandoni, il re son io. (Ormisda ritorna all’ara,
e ne ripiglia la corona)
palmira Superbo! Ancor pretendi
impor
leggi?...
ormisda Si
taccia.
10 Abbastanza soffersi.
Riedi sulle mie tempia,
fatal
diadema. Ormisda, (rimettendosi la corona in capo)
in avvenir, non più marito, e padre,
ma sol giudice, e re, nulla più curi
15 che l’onore del soglio.
cosroe Sì.
Giudice t’imploro, e re ti voglio.
Esecrabil delitto
qui ti accingi a punir. Resta, o regina,
e mi faccia ragione anche il tuo aspetto.
20 palmira Che dir vorrai?
cosroe Nulla, o regina, nulla.
Io
tacerò; ma parlerà Erismeno.
palmira Erismeno? Dal campo ei teco
venne.
cosroe E a lui
poc’anzi favellò Palmira.
palmira Venga, venga Erismeno. Udrò, fin
dove
25 giunga
l’altrui perfidia.
ormisda Eccomi al tanto
mal
fuggito periglio.
(A parte) È rea la moglie, od impostore
il figlio.
SCENA
V
Erismeno, e i suddetti.
ormisda Taccia ogni altro. Erismeno, a me
rispondi.
Non
mentir. Non temer. Libero parla;
e qualunque egli sia che a trama iniqua
ti chiese opra, o consiglio,
5 più nol
celar.
erismeno Qual fier
comando? Ah! Resti,
resti, o sire, un arcano in me sepolto,
che misero dee farti.
ormisda Lo so: ma parlò Cosroe; e non v’ha
scampo.
erismeno O Dio!
Perché parlar? Perché a sì dura
10 necessità
costringer la mia fede? (verso Cosroe)
cosroe Ossequio,
e non pietà qui ti si chiede.
erismeno (A parte) Turbar tutto mi sento
dall’aspetto
di Cosroe.
palmira E
che più tardi?
Tanto
di mia reità dura il sospetto,
15 quanto
il silenzio tuo.
erismeno Mio re, tu il vedi.
Ambo
affrettan l’accusa,
e in un sol v’è la colpa. Odila, o sire,
ma solo, e non in faccia
all’attonite genti.
20 Risparmiati un orror. Conosci il reo;
e poscia a tuo voler
punisci, o assolvi.
ormisda Seguimi. Ognun qui
attenda. O re infelice! (si ritira con Erismeno
nel fondo nella scena)
SCENA
VI
Palmira,
e Cosroe.
palmira Prence, dell’impostura
si dileguan già l’ombre.
cosroe Tal ne
esulta in sembianza, e in cor ne trema.
Vedi. Parla Erismeno.
Il re lo ascolta.
5 palmira Parli. È il dover. Sol per sì illustre impresa
fino
dal Ponto ei t’ha seguito in Tauri.
cosroe A chi
tuoi detti attende,
io parrò il seduttor.
palmira Vedrem fra poco,
chi ne avrà il dispiacer: chi la vergogna.
10 cosroe Se
tradito io non son; tu l’uno, e l’altra.
palmira Spesso nel
laccio istesso
che
tende in altrui danno,
cade
l’ingannator.
cosroe Spesso
lo strale istesso
15 che
andò a ferir tropp’alto,
scende
sul feritor.
A 2 Lagnasi, ma non giova;
palmira e in
frutto del suo inganno,
cosroe e
in pro de l’ardimento
20 A 2 riporta
onta, e dolor.
SCENA
VII
Ormisda,
Erismeno, e i suddetti.
ormisda Stelle, a che mi serbaste?
Qual
delitto? Qual reo punir convienmi?
Oh non padre, oh non sposo, oh re non fossi!
Ma non s’abbia alla pena
5 né riguardo, né fren, con chi non l’ebbe
né all’offesa, né al
fallo.
Adempiasi
giustizia
del mio pianto anche a costo,
e del mio sangue.
cosroe Tolgalo il ciel. Mi basta
10 che
tu sappia il delitto.
Odio che tu il punisca.
Grazia, o re; grazia, o
padre.
Vaglia a chi errò, in
difesa
l’esser femmina, e madre...
ormisda Ah
scellerato!
15 Accresce l’ire mie la
tua impudenza.
Chiedi grazia per te. Contra il tuo voto
parlò il fido Erismeno.
Innocente è Palmira. Il
tuo furore
le insidiò vita, e
gloria.
20 Il perfido tu sei: tu il
traditore.
palmira (A parte) Io già trionfo.
cosroe O cieli!
Tradito
io son. Re, sei deluso. Iniquo,[47]
che dir potesti?
erismeno Il vero.
Io
tacer lo volea. Tu m’hai costretto.
25 cosroe La tua
vita...
erismeno Lo so: non avrà scampo
dall’ire
tue. Prendila, e questo acciaro
ne sia ministro. Il riconosci? Io l’ebbi
da te. Puoi tu negarlo?
cosroe Pria da
Palmira...
erismeno Ed
in qual uso io l’ebbi?
30 inorridì
al comando
stupida l’alma. Il ricusai. Tu allora[48]
la regal donna ad accusar
m’hai spinto
del non suo fallo. Inevitabil morte
m’era un altro rifiuto.
35 Promise il mio timor:
con qual de’ miei
pensieri orror, voi lo scorgeste, o dèi.
ormisda Perfido! Che dir puoi? Già sei convinto.
cosroe Signor,
tutto è bugia: tutto è impostura.
Facciasi in rii tormenti
40 quel perverso disdir.[49]
palmira Perché
punirlo?
La
sua sincerità sarà sua colpa?[50]
cosroe Sì tosto
vieni in sua difesa? E tanto
temi
che in morte parli il suo rimorso?
ormisda Non più. Guardie.
cosroe Già intendo,
45 mi
si vuol reo. Prenditi il ferro. Oscura (gitta
la spada a piè di Ormisda)
prigion mi tolga al giorno.
Colà, regina, attenderò
quel fato
che uscirà dal tuo
labbro a condannarmi.
Al re tu dai le leggi
50 con l’odio tuo. Serve il
suo amor: ma temi
che Cosroe
in libertà non torni ancora.
Forse da quel furor che m’arde in seno,
nulla te salveria, né il tuo Erismeno.
Leon feroce, che avvinto freme,[51]
55 ma non si teme;
se avvien che spezzi cancelli, e nodi,
i suoi
custodi
tremar farà.
Quel fiero dente per monte, e piano
60 di
brano in brano spargerà l’erbe;
e sarà vano
gridar pietà.
SCENA
VIII
Ormisda,
Palmira, ed Erismeno.
ormisda In van minacci. Ostane a te il consegno,[52] (partono
le guardie di Ormisda)
non
temerne, Erismeno.
Fosti fedel. Colpa
fuggisti, ed onta.
erismeno De’ mali,
infamia, e colpa è sol l’estremo.
5 L’innocenza
ho difesa, e nulla temo. (si parte)
ormisda E tu più non lagnarti, o mia diletta.
palmira Giusti forse non sono i miei sospiri?
ormisda Confusa è la calunnia, e tu n’hai gloria.
palmira Un momento fui rea nel cor di
Ormisda.
10 ormisda Dopo il trionfo tuo più t’amo, o cara.
palmira Ma diviso è il tuo amore
tra
una moglie innocente, e un empio figlio.
ormisda Io più Cosroe amerei? Lui, che mi
offese
nella
parte miglior dell’alma mia?
15 palmira Ei le schiere lasciò: n’ebbe perdono.
In
me strinse l’acciar: tu nol
credesti.
M’insidiò: mi accusò: ne
andrà impunito.
Guai per me, se mio fosse
de’ suoi falli il minor.
Non troverei
20 sì buon marito in te,
com’ei buon padre.
ormisda Prigionier tu il vedesti, e cieca
torre[53]
serve
a lui di sepolcro.
palmira Eh! Dove un padre è re, non teme un figlio.
ormisda Vorresti ch’io portassi
25 fin
nel seno di lui ferro omicida?
palmira Così ingiusta non son. Rispetto i
sacri
vincoli
di natura.
Ma
di natura è sacra legge ancora,
cercar di non perir. Piacesse al cielo
30 che si agitasse il fato
della sola mia vita:
io la darei contenta al
ben di Ormisda.
Ma sono madre, e
oppresso
meco cadrebbe il caro
figlio. È questo,
35 questo il mio gran
timor. Salvami Arsace,
dolci viscere mie.
Salvami Arsace,
che è pur viscere tue,
padre, e consorte:
e se il prezzo io ne
son, dammi anche morte.
ormisda Mitrane a me. Vanne, e sii lieta. In breve
40 vedrai,
se a cor mi sien Palmira, e
Arsace.
palmira In te riposo,
mio dolce sposo.
Tu sconsolata
non mi
lasciasti mai partir da te.
45 Ma lieto, o rio
destin ti fosse,
ti resi anch’io
amore per
amor, fede per fé.
SCENA
IX
Ormisda,
e Mitrane.
ormisda Mitrane, oggi in Arsace
abbia
Persia l’erede:
Artenice lo sposo. Il lieto avviso
nell’amante assicuri i
dubbi affetti.
5 Persi, ed Armeni indi
nel campo aduna,
ove all’atto solenne
ognun presente
giuri l’omaggio, e alla
mia scelta applauda.
mitrane Signor, del zelo mio scusa l’ardire.
A
Cosroe tu sei padre.
10 ormisda Son più padre al mio regno, ed io gli deggio
in
erede un buon re, non un malvagio.
mitrane Prove hai di sua virtù; né d’impostori
son
mai scarse le reggie.
ormisda Da quest’occhi convinto, io non m’inganno.
15 mitrane Ma credi tu che il regno
soffrir
vorrà delle sue leggi il torto?
ormisda Me vivo non ha loco
del
successor la legge,
se
non a grado mio.
20 mitrane Se scorger vuoi tutto in tumulto, e in armi...[54]
ormisda Saprà metterlo in calma,
quando
astretto io vi sia, del reo la testa.
Vanne.
De’ tuoi consigli or non ho d’uopo.
mitrane Il ciel meglio t’inspiri,
25 o
faccia che sien vani i miei presagi. (si parte)
ormisda Fingo costanza: uso rigor: ma sento,
or regnante, or marito, or genitore,[55]
da mille affanni lacerato il core.
Son
come annoso platano
30 che in vista altero e immobile
sfida dell’Austro i sibili;
ma il rodon tarli, e vermini,
che a terra
il fan cader.
Questi ori, e queste porpore
35 pur male il
re difendono.
Egli può far
più miseri:
ma per non esser misero
egli non ha poter.
SCENA
X
Bipartita
di portici sostenuti a doppio ordine di colonnati, che introducono a’ bagni reali.
Artenice
con seguito di Armeni, e poi Mitrane.
artenice Affetti del cor mio, siete infelici,
sol perché generosi.
Abbandonar conviene il caro Arsace.
Lo diceste; e si faccia.
5 Entrar può pentimento in sen di amante:
non in quel di regina.[56]
mitrane Regina, a novi mali
novi
rimedi. Il tuo partir da questo
torbido infausto cielo era poc’anzi
10 necessario consiglio alla
tua gloria.
La tua gloria in soccorso
dell’oppressa innocenza or qui ti arresta.
artenice Che fia?
mitrane Cosroe è prigion.
artenice Per
qual disastro?
mitrane L’odio della matrigna, e la perfidia
15 di
un sedotto vassallo
colpevole lo fanno appresso il padre.
artenice Di che?
mitrane Di trama
ordita
a
danno di Palmira. Ad Erismeno,
suo accusator, crede l’accuse
il padre:
20 soverchio amor tanto il
trasporta, e accieca.
artenice Alla virtù del prence
è
più giusto il mio cor.
mitrane Giustizia
eguale
gli
usan satrapi, e duci. Ognun ne freme:
ma nessun osa. Intanto
25 Cosroe
è in periglio: Ormisda in ira; ed oggi
vuol che il regno in Arsace abbia l’erede;
Artenice lo sposo; e per
sua legge
ne reco a te l’avviso,
al campo il cenno.
artenice Deh! Che mi narri? Arsace
30 oggi
al trono paterno? Oggi al mio letto?
mitrane Sì, qualor tua virtù non vi si
opponga.[57]
Dura impresa al tuo
amor: ma se lo ascolti,
di te che si diria?
Che fosti il prezzo
dell’altrui tradimento,
e ch’ei ti piacque.
35 Quegli, cui giova il
male,
n’è creduto l’autor. Con
sì rea fama
qual da’
sudditi amor? Qual dagli estrani
lode a te ne verria? Qual sovra il trono
sicurezza per te? Qual
per Arsace?
40 Cosroe
vivo, od ucciso
è ugualmente a temer.
Soldati, e plebe
coronato
il vorranno, o vendicato.
Io ne tremo per te.
artenice Lodo il tuo zelo.
Accuso
il tuo timore.
45 Cosroe vuoi salvo? Io
pur lo bramo. All’opra
moverò Arsace, e tu
disponi il campo.[58]
Seguanti
i miei: ma forza
si
adopri allor, che più non giovi ingegno.
mitrane Nata a regnar, tal ben cominci il regno.
50 Segui a regnar così sul proprio cor;
e facil ti
sarà
regger a senno tuo l’altrui dover.
Se
in lega, e in amistà
con la virtude ognor fosse il poter,
55 pace saria
il regnar,
ed il servir piacer. (si parte
seguito dagli Armeni di Artenice)
SCENA
XI
Artenice,
ed Arsace.
artenice Viene Arsace. Sostengami
virtude.
arsace In sì strane vicende
di
fortuna, e di amor, non so, Artenice,
che sperar, che temer. L’altrui sciagura
mi fa re, mi fa sposo:
5 ma se manca il tuo voto,
resto misero ancor.
artenice Ben
temi, Arsace:
non ch’io fugga quel ben
che mi si appresta
nel tuo possesso. Io fuggo
la man che mel presenta, empia, e tiranna.
10 Un figlio si condanna
sol dell’altro in favor.
arsace Cosroe
fu iniquo...
artenice Tal lo creda chi ‘l finse.
Io l’assolvo, e tu stesso
gli faresti ragion, se non mi amassi.
15 arsace Deh! Che creder poss’io
di cotesta pietà, con cui l’assolvi?
artenice E che pensar degg’io
di cotesta viltà, con cui ‘l condanni?
arsace Lo condanna un re padre.
20 artenice Piuttosto un re marito. Odimi, Arsace,[59]
la
sciagura di Cosroe
può farti re, ma non mio sposo. Io t’amo
col più tenero amore,
e col più generoso.
25 Segui l’esempio mio.
Trono, cui base
sia la ruina altrui, più che lusinga,
ti faccia orror. Cosroe difendi, e in lui
salviam
la nostra gloria.
E comunque di noi
disponga il fato,
30 rendiamoci più degni
io di te: tu di me. Soffriam miseria;
ma non rossor. Vero, e durevol bene
la colpa no: sol la
virtù l’ottiene.
Son amante
35 del
tuo cor, del tuo sembiante;
ma
se quel reo fosse, e vile,
né men questo io più amerei.
Sii tu forte,
e poi la sorte
far potrà ch’io
tua non sia:
40 non mai torti, anima mia,
gl’innocenti
affetti miei.
SCENA
XII
Arsace, poi Palmira, ed Erismeno.
arsace Vergogna, o cor di Arsace,
che
una donna t’insegni ad esser forte.
Qui vien la madre, ed Erismeno
è seco.
Si ascoltino in disparte. Io temo inganni.
5 Altri ne udii poc’anzi, allor che tacqui,
e n’ebbi orror. Sol per soffrire io nacqui. (nascondesi
dietro le colonnate de’ portici)
erismeno Ben
cominciammo: è vero:
ma il più resta a
compir. Cosroe ancor vive.
palmira Fra ceppi, ed impotente.
10 erismeno Ei può sortirne,
e sue minacce udisti.
palmira Troverà Arsace e coronato, e
sposo.
erismeno Eh! Regina,
se l’ami,
non
lo creder ben fermo in sua grandezza,
finché Cosroe
respiri.
15 palmira Che far vorresti?
erismeno Un colpo
degno
della mia fede.
Dammi il tuo voto; e il prigionier
nimico
ucciderò. Lo custodisce Ostane,
e di Ostane dispor posso a mio grado.
20 palmira No. Sovente un rimedio
che
troppo è violento,
in luogo di sanar, nuoce, ed uccide.
Il colpo n’esporrebbe al comun odio,
e a quel del re. Ma il
re dee farlo; e il faccia.
25 Lasciane a me il pensier.
erismeno Mi acheto,
e taccio.
palmira Cosroe ben custodisci.
erismeno Senza il mio
cenno a tutti
se
ne vieta l’ingresso;
e forza nol potria: che, se il tentasse,
30 lui troverebbe entro il
suo sangue involto.
Tanto imposi ad Ostane,
e ne ho la fede.
palmira Per te Arsace sarà sposo, ed
erede.
erismeno Non sortirà
di
sua prigione
35 quel fier
leone
che ne minaccia,
e insieme perderà vendetta, e vita.
Orror di colpa
non mi tormenta.
40 Timor di pena
non mi spaventa.
Ch’esser
suol fortunata un’alma ardita.
SCENA
XIII
Palmira,
ed Arsace.
palmira (A parte) Quanto
è fido Erismeno!
arsace O dèi!
Che intesi?
palmira Tu Arsace qui?
arsace Così
nol fossi, e fossi
o
tra i barbari sciti,
o tra i libici mostri.[60]
5 palmira Perché?
arsace Povero Cosroe!
Empio Erismeno!
Ahi! Che facesti, o madre? Ahi! Che far tenti?
palmira Intendo. Il tutto udisti.
arsace E tanto orror mi si svegliò nell’alma,
che
quasi m’increscea d’esser tuo figlio.
10 palmira Semplice! In tuo riposo
travaglio,
e in tua grandezza; e te ne incresce?
arsace O piuttosto ti adopri in mia ruina.
palmira Sì non dirai, sovra del trono assiso,
e
al fianco di Artenice.
15 arsace No, no: quello rifiuto, e a questa in odio
sarò,
se l’empie trame io non recido. (furioso, e in atto di partire)
palmira Dove ten vai?
arsace Del perfido Erismeno
a
punir con la morte il tradimento.
palmira Ingrato! E poi Palmira
20 vattene
ancora ad accusare al padre,
e
in salvando il fratel, perdi la madre.
arsace Oimè!
palmira Qui vieni, e giura
di
tacer quanto udisti.
arsace Sono a Cosroe germano...
palmira E a me sei
figlio.
25 arsace Movati l’innocenza...
palmira Eh! Di cor generoso or non è tempo.
Giura, diss’io.
arsace Per
la salute il giuro
di
Ormisda, e per la tua.
palmira Giurami ancora
di
nulla osar contra Erismeno.
arsace Il giuro.
30 palmira Arsace, è un gran difetto
virtù
troppo guardinga.
Tu
del regnar nell’arti
giovane ancor sei: sei poco esperto.[61]
Chetati, e all’amor mio
lascia guidarti.
35 Vedi la navicella
che
senza la sua stella
erra fra rupi, e sassi, e resta
assorta.
Torbida è l’aria, e l’onda;
ma afferrerai la sponda,
40 se presso a me verrai, tua fida
scorta.
SCENA
XIV
Arsace.
arsace Giurai, ma senza offesa
del
mio dover. La madre
non mi vedrà spergiuro:
non ingiusto l’amante.
5 Salverò Cosroe iniquamente oppresso.
Vincerò il padre, e
tradirò me stesso.
Che vuoi far, povero Arsace?
Dei pugnar contra il tuo core.
Dei nimico
alla tua pace
10 cercar danno,
e amar dolore.
Il fine dell’atto secondo.
ATTO TERZO
Sala rappresentante la reggia
di Marte.
SCENA
I
Ormisda
con guardie.
ormisda A me Cosroe si guidi. In quanti affanni
l’anima
ondeggia! Al fianco di Palmira
non so d’esser che sposo; e lei lontana,[62]
sento che ancor son padre.
5 O re nato a servir!
Tiranni tuoi...
SCENA
II
Palmira
con guardie, e Ormisda.
palmira Sì: re nato a servir, poiché lo vuoi.
ormisda Palmira...
palmira Nol diss’io che al figlio iniquo
dato
avresti perdono?
ormisda Io perdonargli?
palmira Eh! Son tuoi sdegni, Ormisda,
10 spurio
ed errante foco,
senz’ardor, senza possa,
e che si volge,
dovunque ogni aura lo sospinge, e il preme.
ormisda Non temer da pietade ira in me
vinta,
s’ei
ti nieghi compenso.
palmira E
qual può darlo?
15 ormisda Implorando al tuo piè grazia, e perdono.
palmira Pentito del suo error, Cosroe al mio piede?
ormisda Rimorso di suo fallo,
timor
di suo periglio, amor di regno
domo avranno quel cor.
palmira Quel
cor superbo?
20 ormisda E se umil ei ti prieghi?
palmira Lo fingeria, per poi tradirne entrambi.
ormisda Ceda in prova Artenice; e con lei regga
gli
Armeni Arsace, e con me Cosroe
i Persi.[63]
palmira Venga. Vi aggiungo il voto, (si parte una delle sue
guardie)
25 per non parer troppo ostinata, e ria;
ma il credi a me:
nulla otterrai.
ormisda Più
giusta
sarà
allor la sua pena, e l’ira mia.
Stringe
una mano il fulmine:
grazia
tien l’altra e vita;
30 e il figlio eleggerà.
Di
lui son padre, e giudice:[64]
giudice, se vuol
pena:
padre, se vuol pietà.
SCENA
III
Cosroe con guardie, Ormisda, e Palmira come in disparte.
cosroe Palmira
qui? Solo ingiustizia attendo.
ormisda Cosroe, tempo non è di usar
fierezza.
Chi
finor ti fu padre,
esser brama ancor padre. Ei sa tue colpe,
5 e il far ch’egli le obblii, da te dipende.
Orgoglio in te ne
fremerà: ma sappi
che, chi sprezza bontà,
provoca a sdegno:
che il castigo è in mia
man: che tuo re sono;
e che un sol tuo rifiuto
10 porrà te nella tomba, e Arsace in trono.
cosroe In tua
mano, o signor, stan vita, e morte:
lo so. Se nel tuo core
trionfa la calunnia, io piego il capo,
né d’ingiusto ti accuso.
15 Ma se vuoi legge impormi
che il chiaror del mio nome adombri, e copra,
sappi tu ancor che mali
non paventa l’innocenza:
che chi visse all’onore,
20 viver non sa all’infamia;
e che la morte
fa meno orror che la viltade
al forte.
ormisda La viltà sta nel fallo,
e
non nel pentimento. A chi oltraggiasti,
chiedi perdon dell’impostura
atroce.
25 Sua bontà ne fia paga; ed io ti assolvo.
cosroe Che?
Palmira al suo piede
Cosroe vorria? Ch’ei confessasse
il fallo,
ricevendo il perdono?
Uom, qual io, non ha
colpa, o l’ha da grande.[65]
30 Entrar ne’ regni tuoi:
del mio retaggio
sostenere i diritti; e
dalle braccia
di Arsace, e di Palmira
trarre Artenice, esser potean mie colpe,
se mia fede, e rispetto eran men forti.
35 Sol per l’anime basse è l’impostura;
e dove abbondan le querele, e gli odi, (guardando verso Palmira)
di femmina è costume
usar le frodi.
ormisda Quale audacia?... (Palmira si avanza)
palmira No,
Ormisda.
Giusto
non è che mi si vegga al piede
40 un vincitor dell’Asia, un regio erede.
Ei non errò; e se volle
me di obbrobrio coprir,
scusane l’odio,
e scusane l’amor. Rival gli è Arsace,
e matrigna Palmira; e tu ben sai,
45 quanto feroce tiranneggi
un core[66]
instinto
d’odio, e gelosia di amore.
cosroe Madre in
favor di figlio
mai
non parlò, qual tu, regina, in mio.[67]
ormisda Sempre il perfido è ingrato.[68]
50 Orsù:
tentisi ancora
una via per salvarti, e sia l’estrema.
Tu successor di Ormisda,
regna su’ Persi; e sposo
ad Artenice
dia le leggi all’Armenia
il tuo germano.
55 cosroe In
prezzo di Artenice
tu
non m’offri, o signor, che un ben già mio.
Nello stesso momento
nacqui al regno, e alla
vita. Ambo mi desti:
ambo insieme puoi tormi.
60 ormisda E li torrò. Della real possanza
oggi
vestirò Arsace. A lui mio erede
fia congiunta
Artenice;
e de’ pubblici «viva» il
lieto suono
udrai dal carcer tuo.
cosroe Ci vuole, o sire,
65 ci
vuole il sangue mio, per compir l’opra.
Per Cosroe anche fra
ceppi
tremino e madre, e figlio;
tu immortal
non nascesti; e s’ami Arsace,
te lo consiglio, o non
alzarlo al trono,
70 o con la morte mia
glielo assicura.
Previeni il suo periglio;
e un figlio salverai,
perdendo un figlio.
Sì, un figlio: ma quale?
Invitto,
leale:
75 che vinse, ch’estinse
nimici, rubelli:
che far, né soffrire
mai seppe viltà.
In figlio sì indegno
80 giust’è
che lo sdegno
di un padre si accenda:
che
premio gli renda
di pena, e di morte;
né gli usi pietà.
SCENA
IV
Ormisda,
e Palmira.
ormisda Oimè!
palmira Tu torni,
Ormisda,
a’ tuoi primi timori.
ormisda Ultimo
sforzo
di
un amor moribondo. Andiam, Palmira,
di Cosroe in onta a
coronare Arsace;
5 e al nuovo re si lasci
sul destino di Cosroe arbitrio intero.
palmira Figlio, avrai della Persia anche l’impero.
SCENA
V
Erismeno, e i suddetti.
erismeno Signore, al vicin mal pronto riparo.
ormisda Che avvenne?
erismeno Il campo è in armi;
e
Cosroe in re si acclama.[69]
palmira O cieli!
erismeno Ed
alla testa
5 n’è
il perfido Mitrane.
ormisda Mitrane ebbe il mio cenno...
erismeno E
ti ha tradito.
palmira Il fellon!
ormisda Che far deggio?
erismeno Lasciar, per
esser re, d’esser più padre.
ormisda Solo in udirlo raccapriccio. Un figlio?
10 erismeno Un reo
figlio non è che un reo vassallo.
ormisda Colpo sì atroce irriteria il
tumulto.
erismeno Dì che lo arresteria. Toltone il capo,
muor negli altri l’ardir: manca il pretesto.
ormisda Palmira, non ho cor: dammi
consiglio.
15 palmira Veggo il tuo danno, e piango il
tuo periglio.
erismeno Eh!
Risolviti, o sire.
O
punire, o servir. Cosroe anche lungi
meditò tua ruina. Il fier
disegno
qui lo trasse dal Ponto,
e vel seguiro
20 duci, e soldati; e se
più tardi ancora...[70]
ormisda Rubello, e traditor? Convien ch’ei
mora.
Già
natura vi assente.
Ei fu il primo a oltraggiarla. O figlio! O
figlio!
erismeno Regina, il
passo affretto,
pria che quel debol cor tremi, e si penta.
SCENA
VI
Ormisda,
e Palmira.
ormisda Partì Erismeno. Or tu sarai
contenta.
palmira Ormisda, al tuo dolor non darti in preda.
ormisda Lasciami. Per te feci
più
di quel che dovea. Della cittade
5 provvedi, e della reggia alla difesa.[71]
L’angoscia mia senno mi
toglie, e core.
palmira Veglieranno per te fede, e valore.
Parte troncar col ferro infetta, e guasta
dà pena ad egro sangue;
10 ma poi gli dà
vigor.
In mal che
rio sovrasta,
trar suol medica mano il
peggior sangue,
e con crudel pietà salva il
miglior.
SCENA
VII
Ormisda.
ormisda Colpe di figlio reo,
protervia, orgoglio,
tradimento,
impostura,
venite in mio soccorso, e sostenete
le ragioni di un re che lo condanna.
5 Tutto io fei per
salvarlo:
ei tutto per perir.
SCENA
VIII
Arsace, e Ormisda.
arsace Padre, qual voce?
Condannato
da te Cosroe avrà morte?
ormisda Sì: morte avrà: già la sentenza è data.
10 arsace Può revocarla il re: la deve il padre.
ormisda Il padre, e il re sono egualmente offesi.
arsace Quanto Cosroe è infelice!
ormisda E
quanto iniquo!
La
tua pietà non ha per lui discolpe.
arsace Le avria... ma...
ormisda Che
ti arresta?
15 arsace O
Dio! Salvalo, o padre,
troppo importa un momento.
Parlar potessi! (a parte) O madre! O giuramento!
ormisda Figlio, il vorrei: ma data è la sentenza.
arsace Deh! Per queste, ch’io spargo (s’inginocchia)
20 lagrime
al regal piè; deh! Se pur m’ami,
a me rendi il fratel: rendi a te il figlio.
Tardo poi lo vorrebbe il
tuo dolore.
ormisda Non più: già cede l’ira, e piange amore.
Vanne.
Sospendi... Ma il real decoro?... (Arsace si leva)
25 arsace Qual decoro ti fingi in crudeltade?
ormisda Deggio al campo rubel tronco quel capo.
arsace Furor vi crescerebbe in tuo
periglio.
ormisda I rimproveri udrei d’irata
moglie.
arsace La madre placheran pianti di
figlio.
30 ormisda Salvando lui, perdi Artenice, e il trono.
arsace In odio a me, se lui non salvo, io sono.
ormisda Vincesti. Al carcer vanne.
Artenice
vi guida; e fa’ che Cosroe
ti ceda in lei le sue ragioni. Espugna
35 quel fiero cor.
Piangi. Minaccia. Prega.
Abbia vita, se il fa:
morte, se il niega.
arsace O due volte a me padre! A Cosroe
io vado.
Ma
come entrar?
ormisda Prendi
il mio regio anello. (gli dà l’anello reale)
arsace Non basta.
ormisda E vengan
teco i miei custodi.
40 arsace Ah! Tu nol sai. Tentar l’ingresso
a Cosroe
è
un affrettarne il fato.
ormisda Perché?
arsace Tacer mi è forza.
ormisda Sempre novelli arcani in mio tormento?
arsace Parlar potessi! (a
parte) O madre! O giuramento!
45 ormisda Qui attendi. A quai vicende un re soggiace! (si parte)
arsace Oh! Per me spunti alfin raggio
di pace.
Un’aura placida
mi vien d’intorno;
e
il fosco nubilo
50 ne rasserena.
L’alma lusingasi
di più bel
giorno:
l’alma che torbida
sinor fu in pena.
(Ritorna
Ormisda, e dà ad Arsace una chiave dell’uscio segreto
delle prigioni reali)
55 ormisda Prendi, Arsace. Con questa
sicuro
avrai nella prigion l’ingresso.
La via ti è nota, e ne sai l’uscio, e il varco.
Oh! Si plachi al tuo dir l’alma orgogliosa.
arsace Oprerò quanto deggio: in me riposa.
60 ormisda Siepe di spini al core
fan pietà, sdegno, amore,
e
nel volerlo tutti, ognun lo straccia.
Rendersi a lui non giova:
che mentre ognun lo trova
65 sì
informe, e sì meschin, l’odia, e lo scaccia.
SCENA IX.
Prigione.
Cosroe incatenato per un braccio ad un sasso.
cosroe Genti
che vi lagnate
di
re ingiusto talvolta, e di re iniquo,
mirate il mio destin.
Principe, e figlio
trovo un padre crudel,
trovo un re ingrato.
5 Questo braccio, il
sapete,
colse lauri, e trofei. Sostenne il regno.
All’oppressa virtù diede soccorso:
a’
miseri rifugio: a’ rei spavento.
Eccolo in ferrei ceppi;
e tal riporta,
10 tanto può iniquità!
grazia, e mercede.
Ma stride l’uscio, e v’entra
perfidia, e crudeltà con
Erismeno. (apresi
la porta della prigione. Cosroe siede sul sasso)
SCENA
X
Erismeno con arcieri, e Cosroe.
erismeno Prence, hai
d’uopo di tutta (stando in lontano)
la
tua fortezza.
cosroe È
vero,
or che mostro letal
mi veggo a fronte.
erismeno Soffrilo. Io
reco morte. Il re l’impone.
5 cosroe Troppo è
buon, troppo è giusto il re mio padre,
né
da lui puote uscir l’empia sentenza.
erismeno Scegli
ferro, o velen. Questo è suo impero.[72]
cosroe De’
malvagi, qual tu, questa è sol trama.
Venga il padre, e comandi, ed io ubbidisco.
10 erismeno Egli è un
esser rubel fargli contrasto:
colpa
aggiugner a colpa. Io ti consiglio...
(Cosroe improvviso, e impetuosamente si leva per avventarsi
alla vita di Erismeno, ma non può arrivarlo,
impeditone dalla catena del braccio)
cosroe Traditor,
questo braccio... Empia catena,
che
mi togli il poter della vendetta!
erismeno Previdi il
tuo furor: ma sulla punta
15 sta di que’ strali il tuo destin.
Soldati.
(Gli
arcieri prendono in mano i loro archi, e gli armano delle lor frecce.)
cosroe Barbaro,
e che ti feci
per
avermi a tradir sì iniquamente?
La memoria è sol piena
di benefici in te profusi.
erismeno Eh!
Cosroe,
20 chi riceve le offese,
le scrive in marmo, e chi le fa, in arena.[73]
Il governo del Ponto a
me negato (si apre intanto nel muro una porta segreta della prigione, e ne
calano Artenice, ed Arsace)
io meritava. In cor ne chiusi il torto
per vendicarlo. Eccone
il tempo. Arcieri,
per molte vie fate là
entrar la morte.
SCENA
XI
Artenice,
Arsace, e i suddetti.
artenice Fermate. Ecco, Erismeno, il regio
impronto. (gli mostra l’anello reale)
Rechiam novi comandi; e poi se Cosroe
persiste in sua sentenza,
fa’ il tuo dover.[74]
erismeno O
inciampo!
5 arsace Vanne, amor mio. Da te pendon
due vite. (ad Artenice. Arsace si
ferma in lontano a piè della scaletta dell’uscio segreto, e Artenice si avanza)
cosroe Qual
fortuna per me, bella Artenice,
vederti,
e poi morire?
artenice Di morir non si parli. Hai grazia, e vita.
cosroe Chi non
sa d’esser reo, grazia ricusa;
10 e
vita meritar può chi è innocente.
artenice Innocente ti abbraccia il re tuo padre.
Soddisfatta
è Palmira.
Torna al regno la calma: a me la gioia.
Tanto far puote un
solo
15 tuo
magnanimo sforzo in mio riposo.
cosroe E qual?
artenice Signor, gli affetti
per
te astrinsi a languir. Amando Arsace,
sostenni i tuoi diritti:
con qual forza, tu il sai:
lo sa il mio core.
20 Un atto or da te esigo,
sia di virtù, sia di
dover. Te stesso[75]
salva. Salva il mio
amor: la gloria mia.
Col tuo voto Artenice
abbia il suo sposo;
l’Armenia il suo regnante;
e Arsace il sia. (Cosroe
sta alquanto pensoso)
25 arsace (A parte) Fate,
o dei, che quell’alma alfin si renda.
cosroe Regina,
a te più deggio in ciò che oprasti,
quanto
meno mi amasti. Amarmi, e farlo
saria stato di amore util consiglio.
Ma in farlo senz’amarmi
30 generosa virtù ne ha
tutto il merto.
Or questa avria ragion di abbandonarmi,
s’io ti cedessi per
campar di rischio.
Di
Arsace sii. Mia morte a te il concede;
nol potria la mia vita.
35 Lasciami al mio destin.
Così mi resta
in morendo un gran ben: che di Artenice,
non potendo l’affetto, avrò la stima:
e talvolta anche a me,
sposa di Arsace,
darai lode, e dirai: riposa
in pace.
40 erismeno Già rispose
il feroce. Al re si serva. (ad Artenice)
artenice Attendi; e più rispetto ad Artenice. (ad Erismeno)
arsace (A parte) Ciel,
qui proteggi amore, ed innocenza.
artenice Cosroe, con la tua morte al caro Arsace
tu
mi togli per sempre.
45 cosroe Chi tel vieta, me estinto?
artenice La gloria mia: che della tua sciagura[76]
esser
non voglio il prezzo.
cosroe O
generosa!
Tu
m’insegni la via di vendicarmi.
Renderà i miei nimici
50 la mia morte infelici.
artenice E me con loro.
Son
io degna, o crudel, di tal mercede?
Me ancor confondi nella tua vendetta?
Mi amasti sol per mia
miseria? O Cosroe,
a me sempre fatal, vivo ed estinto.
55 cosroe I
rimproveri tuoi quasi m’han vinto.
Ma
vedi. In questi ceppi, in quegli strali
più che la pena mia, sta la mia fama.
Se tal ti cedo, si dirà che astretto
vi fui, e non da pietà,
ma da timore.
60 Nol
farò. Morir deggio. Il vuole onore.
erismeno E vel comanda il re. Non più dimore. (agli arcieri)
cosroe Ferite.
Eccovi il petto.
artenice Oimè!
arsace Festi, o
regina, (avanzandosi)
il
tuo dovere. Il suo pur faccia Arsace.
65 Arcieri, giù quell’armi,
o cadrà chi di voi primo
le tenda.
erismeno Prence,
vorrai disubbidire al padre?
arsace Perché padre egli sia, difendo il figlio.
erismeno La genitrice
offesa...
70 arsace Me punirà, se in lui salvar la offendo.
erismeno Lui salvo?
Me presente,
non
è facile campar Cosroe da morte. (prende di mano
ad una guardia un arco con freccia)
arsace Tu insolente l’avrai. (in atto di avventarsi con uno
stilo alla vita di Erismeno)
erismeno Può
farmi oltraggio
il
figlio di Palmira?
arsace Ah! Mi sovviene, (si
ferma, e sta sospeso)
75 (A parte) o fatal giuramento, e l’ire affreno.
erismeno Ora è il
tempo, ire mie. (tende l’arco per ferir Cosroe)
arsace Saziati, iniquo,
e
comincia da me. (copre con la sua persona quella di Cosroe)
Non si passa a quel sen per altra via.
artenice (A parte) Chi sì
bella virtù non ameria?
80 erismeno Stelle! Tu
in lui proteggi un parricida.
arsace Cosroe conosco, ed Erismeno ancora.
erismeno Vuol la
madre ch’ei mora.
arsace E troverà morto al suo fianco Arsace.
erismeno Trema la man
sul ferro. Ire infelici! (si lascia cader l’arco di mano)
85 Che
far degg’io? Si vada
con l’avviso a Palmira.
arsace Io qui l’attendo.
erismeno Ella al
figlio dia leggi, e il reo poi cada.
Non ti lascio che un solo momento,
per recarti più barbara morte.
90 L’aspettarla ti fia
più tormento:
che sospesa non placa l’irato;
ma fa attesa tremare anche il forte.
SCENA
XII
Arsace, Artenice, e Cosroe.
cosroe Che
vidi?
artenice O
degno amante!
cosroe Tu
figlio di Palmira, in mia difesa?
arsace Io fratello di Cosroe, in sua
salvezza.
cosroe È ver.
Sol riconosco in te il mio sangue.
5 arsace La mia regina in me svegliò fortezza.
artenice Nobil cor,
quale il tuo, cote è a sé stesso.
arsace Ah! Nulla ancor fec’io, se resti
avvinto. (snuda il suo stilo)
cosroe Che far
pensi?
arsace Con questo aprir tuoi ceppi.
Farti
scudo io ben seppi
10 dall’ire di un fellon.
Forse da quelle
non potrei della madre,
e perderei di sì bell’opra il frutto. (Arsace
va aprendo col ferro le manette, a cui sta inchiavato il braccio di Cosroe)
cosroe Tua
pietà sia più cauta. Io son del regno
l’erede, e tuo rivale.
15 Nella mia libertà, nella mia vita
dispera di ottener
scettro, e Artenice.
arsace Il duol ne soffrirò senza
rimorso.
artenice E purché generoso, ei sia infelice.
arsace Sciolto, o Cosroe, già sei. Fuor
dell’infausto
20 carcere
affretta il passo.
Seguanti questi
arcieri, onde in lor danno
non torni la pietà che
li rattenne.
Riedi al tuo campo.
Estingui
il tumulto che v’arde; o se ti spinge
25 rimembranza di torto alla
vendetta,
sovvengati
che Arsace, quell’Arsace
che ti tolse a periglio,
sì, quell’Arsace è di Palmira il figlio.
cosroe Del dono
che ricevo, il dover mio[77]
30 farà
buon uso. Amanti cori, addio. (si parte per la scaletta seguito dagli arcieri)
SCENA
XIII
Arsace, ed Artenice.
artenice Giovi seguirlo. Tu sospiri, Arsace?
arsace Regina, io t’ubbidii.
artenice Da forte oprasti;
ed
or più del tuo volto amo il tuo core.
arsace Ma di un altro io ti fei regina,
e sposa.
5 artenice Premio vien da virtù. Spera in tuo merto.
arsace La beltà di Artenice ha troppo prezzo,
e
gli affetti di Cosroe han troppo ardore.
artenice Anche nel tuo timor veggo il tuo
amore.
arsace Fedele, e sventurato.
10 artenice E giusto il ciel, se sarà Cosroe
ingrato.
Nero turbine si aggira.
e
sospira il villanello
per
timor che dal flagello
della grandine percosse
15 sien le
spiche biondeggianti.
Ma al soffiar di amico vento,
ad un tratto il nembo fugge;
si dilegua il suo spavento;
ed
ei torna a’ giochi, a’
canti.
SCENA
XIV
Arsace.
arsace Perderti sì amorosa
quanto
più mi dorria!...
Ma qual romor, misto
di trombe, e grida?
Veggo
la soglia abbandonata: in fuga
5 spaventati i custodi.
Non ritorna Erismen: non vien la madre.
Che sarà? Forse, o
stelle,
a’
vostri influssi rei
non bastano, e son
tanti, i mali miei.
10 Sorte vuol ch’io disperi:
ch’io speri, l’idol mio:
penar mi fa
la sorte,
ma credo alla
speranza.
Così l’amato bene
15 mi rende
invitto, e forte;
e fa che sin
la spene
mi serva di
costanza.
SCENA
XV
Campagna
con colline deliziose, dalle quali vanno scendendo i soldati Persiani di Cosroe. Appiè di esse vedesi
l’attendamento dell’esercito di Ormisda, con padiglione reale al fianco. Trono
militare a canto del medesimo padiglione. A un altro fianco la città di Tauri,
con nobil ponte di marmo dinanzi alla maggior porta,
ornato di obelischi, e di guglie.
Cosroe, Mitrane, soldati Persiani, ed Armeni.
cosroe Non
credibile sembra un cangiamento
sì
subito, e sì grande.
mitrane Facili eventi, ove conformi i voti.
cosroe Raro
esempio saran Palmira, e Ormisda
5 d’instabile
fortuna.
mitrane Agl’ingiusti regnanti
corte
fan, più che guardia, armati, e servi.
Quegli ch’util ritien, sono i codardi.
Quei che forza, e timor, sono i nemici.
10 Loro forte custodia è amor sincero,
che
nasca da giustizia, o da bontade.
cosroe Tardo, o
Mitrane, e vano
mi
giungea, senz’Arsace, il
vostro amore.
mitrane Arsace abbiane
premio;
15 ma
pena i tuoi nimici.
Palmira in tuo poter si custodisce
nella real tua tenda.
cosroe E
il padre? O Dio!
mitrane Già lo ridissi. Al grado
nella
sciagura sua si usò rispetto,
20 e verrà in breve al tuo giudizio anch’esso.
Guardati che pietà te
non rispinga
in più profondo di
miseria abisso.
Chi una volta al suo re
può far timore,
sempre è fellon. Gran colpa è un gran potere.
25 cosroe Lodo il
tuo zel. Vo’ vendicarmi. Incontro
va’
al genitor; ma d’ogni oltraggio il
serba.
Cerchisi di Erismeno;
e a me venga Palmira.
mitrane Entro i tuoi lumi
scorgo un ardor che ti assicura il trono.
30 cosroe Adempiasi vendetta, e re poi sono.
mitrane Riconosco in quell’ardore
il tuo fato, ed il tuo core.
Sarai sposo, e sarai re.
Se pietà lo ammorza, o frena,
35 sol ti resta
obbrobrio e pena
in retaggio,
ed in mercè. (entra nella città)
SCENA
XVI.
Cosroe, e Palmira dal padiglione fra guardie.
cosroe Vedrem come ben soffra il fato avverso,
chi
sì mal seppe sostener l’amico.
palmira Son io regina, o prigioniera? E dove
mi
traete, o soldati?
5 cosroe Ove? Al
tuo re, o Palmira.
palmira Tu mio re? Qui non regna altri che Ormisda.
cosroe Ma por
tentasti in su quel trono Arsace.[78]
palmira Il padre lo volea.
cosroe Da
te sedotto.
Ne
han disposto altrimenti
10 la
giustizia, e gli dii.
palmira Gli dii talvolta esaltano i malvagi,
e
giustizia non è rapina, e forza.
cosroe Ciò che
festi in mio danno, or ti sovvenga.
palmira Ciò che fei, mi condanna;
15 ma
sai perché? Perché lo feci, e vivi.
cosroe Vendicarmi
ora posso
e di Ormisda, e di Arsace,
e di Palmira.
palmira Crudel, non aspettar ch’io qui ti
preghi
né
per me, né per loro.
20 Tradita, odio la vita,
né pregherò per me.
Non per Arsace,
no:
morrà, ma nol vedrò
servir
vassallo a te.
25 Non per Ormisda. Avrai
peggior
destino, il so,
se incrudelir
potrai
in lui tuo
padre, e re.
cosroe Serba
fino all’estremo,
30 che
ben d’uopo ne avrai, la tua fierezza.
Unirò al tuo destino Arsace,
e Ormisda.
palmira E Ormisda vien. Fagli apprestar le
scuri.
SCENA
XVII
Ormisda
dalla città fra guardie, e i suddetti.
cosroe Sire,
soffri, che umile...[79]
ormisda Mal cominciano, o Cosroe,
l’ire tue dal rispetto.
Eccoti nel tuo campo,
5 commosso
in mia ruina.
Eccoti fra que’ prodi
che traesti dal Ponto in
reo disegno.
Vedi. Tuo soglio è quel.
Su: colà ascendi;
e fa’ con scelleraggine
inaudita
10 che si vegga un ribello iniquo figlio
seder giudice, e re della
mia vita.
cosroe Dalle
accuse d’iniquo, e di ribello
facile
a me, o signor, sia la discolpa.
Ma quella, onde tentò l’empio
Erismeno
15 d’insultar la mia fama,
più
mi punge, e mi fiede. Ella si levi
dal tuo cor, dal mio
nome.
palmira E
come farlo,
morto Erismeno, e per tuo cenno ucciso?
SCENA
ULTIMA
Mitrane,
e poi Artenice, ed Arsace, e i suddetti.
cosroe Come?
Ucciso Erismeno?
Mitrane...
mitrane È
vero. In lui l’irata plebe,
che
autor già lo sapea del tuo periglio,
si avventò nel tumulto, e con più colpi
5 gli fe’
uscir dal sen l’alma esecranda.
cosroe Pena a
lui ben dovuta, e pur ne piango:
che
solo egli potea
altrui render ragion di mia innocenza.
artenice Sul labbro di Artenice[80]
10 ella
avrà più di fede. Io ritrovai
nell’ultime
agonie della sua vita,
steso Erismeno. Alma
a spirar vicina
quai rimorsi non soffre! In fiochi accenti
confessò l’error suo, la sua impostura,
15 l’innocenza di Cosroe, e che sedotto...
cosroe Basti
così. Difesa
sia
l’altrui gloria, or che la mia va illesa.
palmira (A parte) Tutto
in mio male, e in onta mia congiura.
cosroe Padre,
il rubel, l’iniquo (mettesi a piè del padre)
20 ora
venga al tuo piè. Torni ne’ ceppi,
se
tua legge l’impone.
Rendimi l’amor tuo. Perdona a questi
duci, e soldati tuoi quella pietade
che lor desta ha nel sen
la mia sciagura;
25 e per tutti ti basti,
se colpevol
lo trovi, il sangue mio...
ormisda Non più, figlio, non più: che il reo son io.
Tu
di regnar sei degno
sui Persi, e sugli Armeni. Ecco il mio erede,
30 o popoli. Il tuo sposo ecco, Artenice;
e fine abbiano gli odi.
(verso Palmira)
artenice
e arsace Alma infelice!
cosroe No: per
me nol sarete, o generosi.
Sappialo ognun. Di morte, e di catena
senza voi non uscia.
Premio chiedeste.
35 Fra ceppi io nol potea, senza esser vile;
ma più vile or sarei, se
lo negassi.
arsace Che sarà? (verso Artenice)
artenice Di buon’opra
ecco il buon frutto. (verso Arsace)
cosroe Il tuo
materno amor volea sul crine
al
tuo Arsace un diadema.
40 Non ti spiaccia, o regina,
che dalla man di Cosroe egli il riceva.
Col cedergli Artenice
a lui cedo l’Armenia; e
se in mercede
luogo avrò nel tuo cor, son lieto, e pago.
45 palmira Prence, a quel segno porti i tuoi trionfi?
Signor
della mia vita, e del mio onore,
già divien tua conquista anche il mio core.
Gradiscilo. In Palmira
sol guarda il figlio. Omai
50 diasi
alle andate cose eterno esiglio;
e avrò in Cosroe, tel giuro, un altro
figlio.[81]
arsace Madre, sposa, fratel, quai gioie e quante!
artenice Or sono in libertà gli affetti miei,
e
tu mio sposo, e tu mio re già sei.
55 ormisda Venga, e chiuda i miei dì sonno di pace;
e
se natura il tarda,
amore il premio affretti. Oggi al mio impero
Cosroe sottentri con sì lieti auspici;[82]
ed Ormisda sia il primo a dargli onore.
60 cosroe No, genitor...
ormisda Lieto abbandono un peso
a
me grave, a me infausto.
né Palmira si sdegni.
palmira Son paga. Arsace è re. Cosroe anche regni.
mitrane Cosroe
regni.
65 Viva Cosroe, il nostro re.
coro Cosroe
regni.
Viva Cosroe,
il nostro re.
cosroe Sarò in
qualunque sorte e servo, e figlio.
ormisda Figlio sì degno è la maggior mia gloria.
70 mitrane Tu vincitor dell’odio, e dell’amore
avesti
da virtù regno migliore.
coro Regni dà natura e sorte;
ma
più bei li dà virtù.
Cor più degno
di gran regno,
75 più magnanimo e più forte
del tuo, Cosroe,
mai non fu.
Il fine dell’Ormisda.
Apparato
Frontespizio del libretto 1721 (VG)
ORMISDA
DRAMMA
PER
MUSICA,
DA
RAPPRESENTARSI
NELLA
CESAREA CORTE
PER
IL
NOME GLORIOSISSIMO
DELLA
SACRA
CESAREA E CATTOLICA REAL MAESTA’
DI
CARLO
VI
IMPERADORE
DE’
ROMANI,
SEMPRE
AUGUTSO.[83]
PER
COMANDO DELLA
SACRA
CESAREA E CATTOLICA REAL MAESTA’
DI
ELISABETTA
CRISTINA
IMPERADRICE
REGNANTE,
L’ANNO
MDCCXXI.
La
Poesia è del Signor Apostolo Zeno, Poeta, ed Istorico
di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
La
Musica è del Signor Antonio Caldara, Vice-Maestro di Cappella di Sua Maestà Cesarea
e Cattolica.
Vienna
d’Austria,
appresso
Gio. Pietro Van Ghelen, Stampatore di Corte di Sua
Maestà Cesarea e Cattolica.
Licenza dell’edizione 1721
Le adulatrici lodi
taccia Musa bugiarda. Ella un Re finse,
non qual ei fu, ma quale esser dovea.
Che se un’eccelsa idea d’alto Regnante
vuole ammirar, dall’Istro,
ove l’Augusto impera Ottimo CARLO,
il cui gran NOME oggi si onora, e cole,
il piè non volga, e non richiami il guardo.
Ma disio non l’accenda
di ritrarne col canto il pregio, e il merto.
Troppo è sopra al poter l’oggetto, e il vero:
tanto maggior degli altrui plausi, quanto
vincon le sue virtù la sua fortuna.
Riconoscerlo appieno
mai non si può. Ciò che fè
CARLO, avanza
le glorie altrui: ciò ch’egli fa, le sue;
e sovra le presenti avran la
palma
l’altre sue che verranno.
Virtù mai di sé stessa
paga non è. Cresce di pregio in pregio,
e riposo non ha, giunta anche al sommo.
Tu che m’ascolti, Alma di CARLO Augusta,
ben senti, e sai, che in darti lode io parlo
non al Romano Cesare, ma a CARLO.
Chi
a te rende omaggio
di
applauso sincero,
non
pensa al tuo impero,
ma
parla al tuo cor.
E
il cor che si sente
dir
giusto, clemente,
magnanimo,
e saggio,
ne
ha gioia, e ne ha pace.
Da
lode verace
non
vien mai rossor.
Coro.
Per lodar di CARLO il NOME,
ci
dà ardir la sua virtù.
Né
ci affrena altro timore,
che
il rimorso, in dargli onore,
di
dir poco, e dover più.
Argomento
In un
altro dramma ] VG Nel dramma passato ; procurato ] VG proccurato
; da’ diritti ] VG da i diritti.
ATTORI.
ORMISDA, re di Persia.
PALMIRA, sua seconda moglie.
ARSACE, loro figliuolo, amante di
Artenice.
COSROE, figliuolo
di Ormisda, e d’altra sua prima moglie, amante anch’esso di Artenice.
ARTENICE, regina di Armenia, amante di Arsace.
MITRANE, satrapo
Persiano, e capo dell’ambasciata armena, confidente di Cosroe.
ERISMENO, altro satrapo persiano, confidente
di Palmira.
L’azione
si rappresenta in Tauri, città capitale della Persia.
COMPARSE.
(VG)
Di
satrapi, e nobili Persiani con Ormisda.
Di
Sciti con Palmira.
Di
Medi con Arsace.
Di
soldati Persiani con Cosroe.
Di
Armeni con Artenice.
Di
paggi Persiani con Palmira.
Di
paggi Armeni con Artenice.
MUTAZIONI
DI SCENE. (VG)
NELL’ATTO
PRIMO.
Piazza
reale apparata di ricchi drappi alla persiana, con due troni l’uno rincontro
all’altro.
Galleria,
per cui si passa nel serraglio reale.
Giardino
con parco reale.
NELL’ATTO
SECONDO.
Spelonca
di Mitra col simulacro di quella deità, e grand’ara con fuoco ardente avanti di
lui.
Bipartita
di portici, sostenuta da doppio ordine di colonnati che introducono a i bagni
reali.
NELL’ATTO
TERZO.
Sala
rappresentante la reggia di Marte.
Prigione.
Campagna
con colline deliziose, e a piè d’esse l’attendamento dell’esercito persiano.
Veduta della città con ponte di marmo dinanzi alla maggior porta.
Il
tutto rara invenzione del Sig. Giuseppe Galli Bibiena, Secondo Ingegnere
Teatrale di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
BALLI.
(VG)
NEL
PRINCIPIO DELL’ATTO SECONDO.
Ballo
di ministri di Mitra.
NEL
FINE DELL’ATTO SECONDO.
Ballo
di Persiani, e d’altri Orientali usciti de i bagni.
NEL
FINE DELL’ATTO TERZO.
Ballo
di capitani, e soldati Persiani.
Il
primo, e’l terzo ballo, furono vagamente concertati
dal Sig. Alessandro Philebois, Maestro di Ballo di
Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
Il
secondo ballo fu altresì vagamente concertato dal Sig. Pietro Simone Levassori de la Motta, Maestro di Ballo di Sua Maestà
Cesarea e Cattolica.
Con
l’arie per li detti balli
del Sig. Nicola Matteis, Direttore della Musica Instrumentale
di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.
Apparato
di varianti nel testo
Varianti
sostanziali
I.6.31: tutto il fasto mio. Se questo
] VG tutto il fasto mio, e se questo
I.10.1: in VG, la didascalia viene significativamente
anticipata: VG Né sposa tua (a Cosroe) né tua
regina ancora (ad Arsace). Questo porta a uno
spostamento del senso della battuta di Palmira, che nel libretto originale
sembra voler quasi separare i due litiganti negando all’uno la sua sposa, all’altro
—in situazione, come sempre, di subalternità— la sua regina. Secondo la
versione di Gozzi, Palmira riferisce invece entrambi gli attributi della
negazione a Cosroe, rivolgendosi ad Arsace solo per rincuorarlo, come sembra più corretto anche
alla luce delle battute che seguono.
I.15.14: temer; vicino ] VG
temer. Vicino
I.17didascalia.1: Erismeno,
e Palmira ] VG Palmira, ed Erismeno.
II.1didascalia.1: facelle accese
] VG facelle ardenti
II.7.61-62: e sarà vano | gridar pietà.
] VG e sarà vano – gridar pietà.
II.9.17: non ha loco ] VG non
ha luogo
II.13.22: Oimè! ] VG Aimè!
II.13.26: Di cor generoso or
non è tempo ] VG Di far non è tempo il generoso
III.4.1: Oimè! ] VG Aimè!
III.11.63: Oimè! ] VG Aimè!
Varianti ortografiche
I.1.2: all’Armenia ] VG a l’Armenia
I.1.6: te all’amor ] VG te a l’amor
I.1.8: all’onor ] VG a l’onor
I.1.14: quei diritti ] VG que’ diritti
I.1.18: e il tuo regno ] VG e’l tuo regno
I.2.26: e il cingerò ] VG e’l cingerò
I.3.16: il tuo sdegno ] VG ‘l
tuo sdegno
I.3.18: è il consiglio ] VG è’l consiglio
I.4.3: or che ] VG orchè
I.4.30: dell’età ] VG de l’età
I.4.37: coll’amor ] VG con l’amor
I.5.6: alla legge ] VG a la
legge
I.5.15: dalle schiere oziose ]
VG da le schiere oziose
I.5.26: altra colpa all’ire ]
VG altra colpa a l’ire
I.5.27: un’amor ] VG un amor
I.5.39: sino alla goccia ] VG
sino a la goccia
I.6.16: alla sfortuna ] VG a la sfortuna
I.6.28: un angolo ] VG un’angolo
I.7.11: degli odi ] VG de gli odi
I.8.28: della Persia ] VG de la
Persia
I.9.1: All’aspetto ] VG A l’aspetto
I.9.11: dalle vene ] VG da le
vene
I.9.14: non della madre ] VG non
de la madre
I.10.13: Segui. ] VG Siegui.
I.13.3: nell’odio dell’una ] VG
ne l’odio de l’una
I.13.4: dell’altro ] VG de l’altro
I.13.7: all’ira ] VG a l’ira
I.13.16: nella real ] VG ne la real
I.14.6: e il trono ] VG e’l trono
I.15.6: ben d’uopo ] VG ben duopo
I.15.30: è il periglio ] VG è’l periglio
I.16.3: siate alle leggi ] VG
siate a le leggi
I.16.14: de’ Persi ] VG de i
Persi
I.17.3: della mia fede ] VG de
la mia fede
I.17.5: all’ardua ] VG a l’ardua
I.17.7: novi ] VG nuovi
I.17.8: dall’onor ] VG da l’onor
I.17.11: alla colpa ] VG a la
colpa
I.18.5: un acciar ] VG un’acciar
I.18.7: il move ] VG il muove
I.18.12: è il rimorso ] VG è’l rimorso
I.18.36: Allora ] VG A l’ora
I.18.37: dalle fauci ] VG da le
fauci
I.18.39: è il pentimento ] VG è’l pentimento
I.18.45: della perfida ] VG de
la perfida
I.18.48: prova dell’altrui ] VG
prova de l’altrui
I.18.49: e il mio perdono ] VG e’l mio perdono
I.18.55: un’eccesso ] VG un eccesso
I.18.56: e il mondo ] VG e’l mondo
I.18.58: all’atroce ] VG a l’atroce
I.18.59: alla ria ] VG a la ria
II.1.7: fier nimico ] VG fier nemico
II.1.19: alla grand’ara ] VG a
la grand’ara
II.1.23: che d’ostro, e d’oro ]
VG che d’ostro e d’oro
II.2.34: sulle mie labbra ] VG
su le mie labbra
II.2.43: Cosroe, ed Arsace ]
VG Cosroe ed Arsace
II.2.52: alla mia gloria ] VG a
la mia gloria
II.2.58: non cederà, ] VG non
cederà
II.2.60: della grandezza ] VG
de la grandezza
II.2.62: della beltà ] VG de la
beltà
II.3.9: qual implacabil ] VG qual’implacabil
II.3.17: e il sono ] VG e’l sono
II.4.7: son io ] VG son’io ; didascalia a l’ara ] VG all’ara
II.4.11: sulle mie tempia ] VG
su le mie tempia
II.5.13: dall’aspetto ] VG da l’aspetto
II.5.15: tu il vedi ] VG tu’l vedi
II.5.19: all’attonite ] VG a l’attonite
II.6.1: dell’impostura ] VG de
l’impostura
II.6.5: è il dover ] VG è’l dover
II.6.10: io non son; tu l’uno ]
VG io non son, tu l’uno
II.7.4: alla pena ] VG a la
pena
II.7.6: all’offesa ] VG a l’offesa
II.7.11: tu il punisca ] VG tu’l punisca
II.7.26: dall’ire tue ] VG da l’ire tue
II.7.29: in qual uso ] VG in qual’uso
II.7.31: Tu allora ] VG tu a l’ora
II.7.59: per monte, e piano ]
VG per monte e piano
II.8.1: Ostane a te il consegno ]
VG Ostane, a te il consegno
II.8.4: De’ mali ] VG de i mali
II.8.11: è il tuo amore ] VG è’l tuo amore
II.8.12: e un empio figlio ]VG
e un’empio figlio
II.8.13: Lui, che mi offese ]
VG Lui che mi offese
II.8.14: nella parte ] VG ne la parte ; dell’alma ] VG de l’alma
II.8.21: tu il vedesti ] VG tu’l vedesti
II.8.31: della sola ] VG de la
sola
II.8.45: lieto, o rio ] VG
lieto o rio
II.9.6: all’atto ] VG a l’atto
II.9.7: alla mia scelta ] VG a
la mia scelta
II.9.13: reggie ] VG regge
II.9.16: delle sue leggi ] VG
de le sue leggi
II.9.23: d’uopo ] VG duopo
II.9.31: dell’Austro ] VG de l’Austro
II.9.34: Questi ori ] VG Quest’ori
II.10.7: novi mali ] VG nuovi
mali
II.10.8: novi rimedi ] VG nuovi
rimedi
II.10.10: alla tua gloria ] VG
a la tua gloria
II.10.12: dell’oppressa ] VG de
l’oppressa
II.10.14: della matrigna ] VG
de la matrigna
II.10.37: da’ sudditi ] VG da i sudditi
II.10.45: all’opra
] VG a l’opra
II.10.48: allor ] VG a l’or
II.12.5: allor che ] VG a l’or
che ; de’ portici ] VG de i portici
II.12.16: della mia fede ] VG
de la mia fede
II.12.17: e il prigionier nimico ] VG e’l prigionier nemico
II.12.22: nuoce, ed uccide ] VG
nuoce ed uccide
II.12.24: e il faccia ] VG e’l faccia
II.13.8: nell’alma ] VG ne l’alma
II.13.12: piuttosto ] VG più
tosto
II.13.32: nell’arti ] VG ne l’arti
II.13.34: all’amor mio ] VG a l’amor
mio
II.14.9: alla tua pace ] VG a
la tua pace
III.2.12: e il preme ] VG e’l preme
III.2.26: ma il credi ] VG ma’l credi
III.2.27: allora ] VG a l’or
III.2.30: e il figlio ] VG e’l figlio
III.3.5: e il far ] VG e’l far
III.3.16: e copra ] VG e cuopra
III.3.29: qual io ] VG qual’io
III.3.31: dalle braccia ] VG da
le braccia
III.3.40: dell’Asia ] VG de l’Asia
III.3.53: su’ Persi ] VG su i Persi
III.3.54: all’Armenia ] VG a l’Armenia
III.3.57: Nello stesso ] VG Ne
lo stesso
III.3.58: alla vita ] VG a la
vita
III.3.60: Della real
] VG De la real
III.3.63: de’ pubblici ] VG de
i pubblici
III.3.76: nimici ] VG nemici
III.4.3: un amor ] VG un’amor
III.4.7: della Persia ] VG de
la Persia
III.5.5: n’è il perfido ] VG n’è’l perfido
III.6.4: Della cittade ] VG De la cittade
III.6.5: e della reggia alla difesa ]
VG e de la reggia a la difesa
III.8.11: e il re ] VG e’l re
III.8.21: a te il figlio ] VG a
te’l figlio
III.8.30: e il trono ] VG e’l trono
III.8.47: sia in VG che in Gozzi è «aurea», quasi
certamente un refuso.
III.8.49: e il fosco ] VG e’l fosco
III.8.57: e il varco ] VG e’l varco
III.9.7: All’oppressa ] VG A l’oppressa
III.9.8: a’ miseri rifugio: a’ rei spavento ] VG a i miseri
rifugio: a i rei spavento
III.10.1: d’uopo ] VG duopo
III.10.8: De’ malvagi ] VG de i
malvagi
III.10.13: della vendetta ] VG
de la vendetta
III.10.14: sulla punta ] VG su
la punta
III.11.2: novi comandi ] VG
nuovi comandi
III.11.19: tu il sai ] VG tu’l sai
III.11.46: della tua sciagura ]
VG de la tua sciagura
III.11.49: nimici ] VG nemici
III.11.52: nella tua vendetta ]
VG ne la tua vendetta
III.11.74: Mi sovviene ] VG Mi
sovvieni
III.11.75: l’ire affreno ] VG l’ire affreni
III.11.76: è il tempo ] VG è’l tempo
III.11.77didascalia: copre ]
VG cuopre
III.11.87: e il reo ] VG e’l reo
III.12.10: dall’ire ] VG da l’ire
III.12.15: nella mia libertà, nella mia vita ] VG ne la mia libertà, ne la mia vita
III.12.19: dell’infausto ] VG
de l’infausto
III.12.25: alla vendetta ] VG a
la vendetta
III.12.30: buon uso ] VG buon’uso
III.13.14: della grandine ] VG
de la grandine
III.13.19: a’ giochi, a’ canti ] VG a i giochi, a i
canti
III.14.8: A’ vostri influssi ]
VG A i vostri influssi
III.14.13: alla speranza ] VG a
la speranza
III.15.15: nimici ] VG nemici
III.15.17: nella real ] VG ne la real
; E il padre ] VG E’l padre
III.15.19: nella sciagura ] VG ne la sciagura
III.15.20: giudizio ] VG giudicio
III.15.29: un ardor ] VG un’ardor
III.16.29: all’estremo ] VG a l’estremo
III.16.30: d’uopo ] VG duopo
III.17.11: della mia vita ] VG
de la mia vita
III.18.11: nell’ultime agonie della sua vita ] VG ne l’ultime agonie de la
sua vita
III.18.17: or che ] VG orché
III.18.41: dalla man ] VG da la man
III.18.46: della mia vita ] VG
de la mia vita
III.18.50: alle andate ] VG a
le andate
III.18.51: un altro ] VG un
altro
III.18.59: sia il primo ] VG sia’l primo
III.18.70: dell’odio, e dell’amore ]
VG de l’odio, e de l’amore
Licenza: dall’Istro
] VG da l’Istro ; e
il merto ] VG e’l merto ; e il vero ] VG e’l vero ;
appieno ] VG a pieno
N.B. Nelle didascalie dell’edizione Gozzi, tutti i «Parte»
sono sostituiti da «Si parte».
Appendice
Variazioni
nelle rappresentazioni successive
Si propone
qui di seguito una breve rassegna dei cambiamenti più significativi apportati
dalle rappresentazioni successive dell’Ormisda,
precisando che in tutti i casi si tratta di varianti allografe.
Ormisda 1722 (Bologna)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena xv e xvi, queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv.
Atto II
- scena vi, viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena x, la prima
parte del monologo di Artenice diventa una scena a sé:
artenice De l’uscignolo
il canto
altro non è, che pianto
d’innamorato cor.
La gloria, ond’io
mi vanto,
quant’è crudele amore.
Affetti
del cor mio, siete infelici,
sol
perché generosi.
Abbandonar conviene il caro Arsace;
lo diceste, e si faccia.
Entrar può pentimento in sen di
amante;
non in quel di reina.
- scena x (xi), l’aria di
Mitrane è così sostituita:
mitrane Come vuol che a’
rai del Sole
volga i lumi la sua prole
fin da nido acquila
altera;
così volge i desir
suoi
a la luce de gli eroi
tua reale alma sincera.
- scena xii (xiii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
erismeno Orgoglioso
alza
le spume
real
fiume,
e più s’adira,
quando mira
quello scoglio che lo arresta.
L’empio ancor tra sue catene
fremerà, ma senza spene.
Quanto più sarà fastoso,
avrà morte più funesta.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Non temer di stella infida,
se
ti guida
de la madre il fido amor.
Sarai re, sarai felice,
tel
predice,
tel
predice questo cor.
- scena xiv (xv), l’aria
di Arsace è così sostituita:
arsace Qual
nocchier che il suo naviglio
rimirò
già quasi assorto,
tolto al fin dal rio periglio
dal bramato caro porto
guarda
il mare, e si consola.
Tale anch’io, se dopo il pianto
vedrò in porto l’amor mio,
gioirò: ma l’alma intanto,
pena, e langue afflitta, e sola.
Atto III
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
cosroe Fia tuo sangue il sangue sparso
da
mie vene, o genitor.
Nel veder che invitto, e forte,
sarò grande in faccia a morte,
tu dirai: quegli è il mio cor.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Mio
re, mio dolce sposo,
serena
il mesto ciglio,
lasciò d’esserti figlio,
un empio, un infedel.
Vapor
così orgoglioso,
talora
il sole ingombra,
poi si dilegua in ombra,
lascia sereno il ciel.
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace. Viene aggiunta una nuova scena con il seguente
monologo di Ormisda:
ormisda Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
il pensier che nel figlio in mente cadde
a prò
de l’altro figlio.
Il suo mortal
periglio
(in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
Son
re sdegnato
consorte
offeso,
ma
padre ancor.
Quel
core ingrato
vuol
pur difeso
paterno cor.
- scena xiii, l’aria
di Artenice è sostituita dalla seguente battuta di Arsace:
arsace Addio,
bella reina; oprai da
forte,
tu
sei mio ciel, mio nume, e sei mia sorte.
- scena xiv, la scena
è sostituita dalla seguente:
artenice Va’
pur, misero amante;
ma prode, e generoso, a compier l’opra
che di fama immortal
degna facesti;
il tuo raro valor già mi
assicura:
e le sognate larve ormai discaccia,
ed ogni rio timore
per tua virtù speme diviene al
core.
Nera larva che
sognai
luminosa oggi a’ mei rai,
rendi amabil lo spavento.
Fu d’orror squallida allora
la feral sanguigna aurora,
ma piacer nel
giorno io sento.
- scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
palmira Mira
la quercia annosa,
mira
lo scoglio in mar,
ch’aura
piegar non osa,
ch’onda non può spezzar.
Così quest’alma mia,
e quercia, e scoglio sia,
che non potrai piegar.
Cosroe 1723 (Roma)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena xv e xvi, queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena XIV.
- scena xvii, l’aria
di Palmira è sostituita così:
palmira No, no: vuo’
che tua fede
da
me, dal figlio mio
maggior dell’opra
ancor sper mercede.
Se
un dì sul patrio soglio
il
figlio mio vedrò,
i rai volgendo a te,
a lui così dirò:
questo ti fece re,
questo mi vendicò.
Pensa, dirogli
ancor,
che devo al suo gran cor
il premio, e la mercè,
se un regno ei ti donò.
Atto II
- scena ii, l’aria
di Artenice è così sostituita:
artenice Voglio
che gloria sia
della
costanza mia
rendere ai figli un padre,
et alla Persia un re.
Che poi benigna stella
cessata la procella
risplenderà per me.
- scena vi, viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena vii, l’aria
di Cosroe viene sostituita così:
cosroe Leon che freme,
mai non si teme,
finché ristretto
fra i lacci sta.
Ma se la sorte
quelle ritorte
spezzar li fa;
il monte, e‘l
piano
empio, inumano
tremar farà.
- scena ix, l’aria
di Ormisda è così sostituita:
ormisda Saprò con il rigore
d’offesa maestà
punir l’infedeltà
d’un figlio traditor.
Son re, son padre, e sposo,
giusto mi vuol la sorte,
barbaro la consorte,
ma lo contende amor.
- scena x, la prima
parte del monologo di Artenice diventa una scena a sé:
artenice Stai
pensando, o cor, ti sento
nell’ardore, in cui ten giaci.
Pietà chiedi... ah, taci, taci.
Taci, e voi pur tacete
affetti del cor
mio, siete infelici,
sol perché generosi.
Abbandonar conviene il caro Arsace;
lo diceste, e si faccia.
Entrar può pentimento in sen di
amante;
non in quel di reina.
- scena x (xi), l’aria
di Mitrane è così sostituita:
mitrane Alma
grande, alla tua gloria
servirà
l’iniquo fato.
Che
rispetta il suo furore
regio cor
di virtù armato.
- scena xi (xii), l’aria
di Artenice è così sostituita:
artenice Non saria,
bell’idol mio,
il tuo core
degno oggetto del mio amore,
se chiudesse in sé viltà.
Amo il volto, ma desio
che la bella,
di virtù chiara facella
dia splendore alla beltà.
- scena xii (xiii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
erismeno Regnerà;
e
quell’alma ardita, e fiera,
che
oggi vuol rapirli il soglio,
l’orgogliosa fronte altera
al suo trono piegherà.
Gema
intanto fra ritorte,
e sol speri con la morte
di ottener la libertà.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Varchi un mar di scogli pieno,
ma del lido amato in seno
io guidarti ben saprò.
Quando giunto al fin sarai,
quella destra bacierai;
che nel porto ti guidò.
- scena xiv (xv), l’aria
d Arsace è così sostituita:
arsace Nella
fosca, e ria procella
altri
pur speri la calma,
e
dovrà solo quest’alma
penar sempre, e senza speme.
Ma
se pensa che l’onore
è sua guida, ed è sua stella;
va mancando il suo timore,
né più in sen sospira, e geme.
Atto III
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
cosroe Sul freddo busto esangue,
su
le mie membra lacere
passi
chi vuol regnar
sovra il tuo soglio.
Ma fin che tutto il sangue
mi scorre per le vene,
in trono rimirar
altri non voglio.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Non è degno quel reo del tuo
dolore.
D’un
indegno che ti offese,
d’un
crudel che ti oltraggiò,
è
follia sentir pietà.
Se punisci un traditore
che le leggi vilipese,
il tuo core
qual rimorso aver dovrà?
- scena vii, il
monologo di Ormisda è così sostituito:
ormisda Colpe
di figlio reo, protervia, orgoglio,
tradimento,
impostura,
venite
in mio soccorso, e sostenete
le
ragioni di un re che lo condanna.
Tutto
io fei per salvarlo:
ei
tutto per perir: mora: ma sento
un
non so che nel seno
che
mi muove a pietà: torna Erismeno.
Vedo girarmi intorno
ombra
che mesta piange, e così grida:
barbaro
genitore,
di permettere hai core
che destra infame il nostro figlio uccida?
Son l’estinta tua sposa,
l’infelice sua madre:
se il re lo condannò, l’assolva
il padre.
Delle viscere tue,
delle viscere mie parte sì cara
cadrà di vita prima?
Ah pensa che sei padre, e il
figlio viva.
Sparve l’ombra dolente,
e
mi lasciò ripieno
di
spaventoso orror: torna Erismeno.
No:
s’ei vivesse, e che direbbe allora
e la
Persia, e l’Armenia? Il figlio mora.
Par genitore atroce,
e Ormisda è giusto re.
ormisda Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
il pensier che nel figlio in mente cadde
a prò de l’altro figlio.
Il suo mortal
periglio
(in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
Di
padre il dolce nome
con
quel di giusto re
in
me
confonde amor.
Se il re condanna il figlio,
cangiando poi consiglio
l’assolve il genitor.
- scena x, la scena
è sostituita dalla seguente:
Cosroe incantenato per un braccio
ad un sasso.
cosroe Crudo
re, padre inclemente!
Cielo
ingiusto! Un innocente,
perché
dee penar così?
erismeno Prence,
hai duopo di tutta (stando di lontano)
la tua fortezza. Io vengo
a te nunzio di morte, e ‘l re l’impone.
cosroe D’un malvagio, qual tu, questa è
sol trama.
Venga
il padre, e comandi, io lieto moro.
erismeno È vano
lo sperar. Scegli qual vuoi
ferro,
o velen. Questo è il voler del padre.
cosroe Sì morirò: barbaro, iniquo mostro
toglimi
pur la vita,
giacché la fama m’involasti:
indegno;
di ciò che oprai
per te, questa mi rendi
degna
mercede?
erismeno Eh! Cosroe,
chi
riceve le offese,
le
scrive in marmo, e chi le fa, in arena.
Il governo del Ponto a me negato (si apre intanto nel muro una porta segreta
della prigione, e ne calano Artenice, ed Arsace)
io
meritava. In cor ne chiusi il torto
per
vendicarlo. Eccone il tempo. Or mori.
Arcieri,
saettate
di Cosroe
il cor...
- scena xi, la scena
è sostituita dalla seguente:
Artenice,
Arsace, e detti.
artenice Fermate.
Ecco,
Erismeno, il regio impronto, e noi
rechiam nuovi comandi. (gli
mostra l’anello)
Lascia che a Cosroe
io parli, e s’ei non cede,
la ria sentenza esseguirai.
erismeno Che
inciampo!
arsace Vanne,
amor mio; da te pendon due vite. (ad Artenice) (Arsace si ritira in disparte, e Artenice si avanza)
cosroe Qual fortuna per me, bella
Artenice,
vederti,
e poi morire?
artenice Di
morir non si parli; hai grazia, e vita.
cosroe Chi non sa d’esser reo, grazia
ricusa;
ma
pur come ciò sia?
artenice Un
atto generoso
puote salvar te stesso,
spegner
l’ira del padre,
Palmira sodisfar, e render lieti
il mio costante amor, la gloria
mia.
Col tuo voto Artenice abbia lo
sposo,
l’Armenia il suo regnante, e Arsace il sia. (Cosroe sta pensoso)
arsace (A parte) Fate, o dei, che quell’alma al
fin si renda.
cosroe Reina, a te più deggio in ciò che oprasti
quando
meno mi amasti; amarmi, e farlo
sara
stato di amore util consiglio;
ma in farlo senza amarmi
generosa virtù ne ha tutto il merto.
Or questa avria
ragion d’abbandonarmi,
s’io ti cedessi per campar di
rischio:
di Arsace
sii. Mia morte a tel concede;
nol potria la mia vita; e morte sola
può Arsace
unito a te render felice.
erismeno Già
rispose il feroce, al re si serva. (ad
Artenice)
artenice Attendi,
e più rispetto ad Artenice. (ad Erismeno)
Cosroe, con la tua morte al caro Arsace
tu
mi togli per sempre.
cosroe Chi tel
vieta me estinto?
artenice La
gloria mia; che de la tua sciagura,
esser
non voglio il prezzo.
cosroe O
generosa!
Tu
m’insegni la via di vendicarmi;
renderà
i miei nemici
la mia morte infelici.
artenice E me
con loro.
Son
io degna, o crudel, di tal mercede?
Me ancor confondi nella tua
vendetta?
cosroe I rimproveri tuoi, quasi m’han
vinto:
ma vedi, in questi ceppi, in
quegli strali
più che la pena mia, sta la mia
fama;
se tal ti cedo, si dirà che
astretto
vi fui non da pietà, ma da
timore;
nol
farò; morir deggio; il vuole onore.
erismeno E lo
comanda il re; non più dimore.
Non
è facile campar Cosroe da morte. (Arsace col stilo si avventa verso Erismeno)
arsace Perfido,
tu l’avrai;
artenice Sì crudel, tu morrai;
erismeno E tu
in Cosroe proteggi un parricida? (ad Artenice)
E il figlio di Palmira
può farmi un tal oltraggio? (ad Arsace)
arsace Ah!
Mi sovvieni
o fatal
giuramento, e l’ire affreni.
erismeno Ma di
tutto si vada
con
l’avviso a Palmira.
arsace Io
qui l’attendo.
erismeno Ella al figlio dia leggi, e’l reo poi cada.
Non
ti lascio che un solo momento
per
recarti più barbara morte.
L’aspettarla ti sia più tormento;
che sospesa non placa l’irato,
ma fa attesa tremare anche il
forte.
- scena xiii: la scena
è sostituita in questo modo:
Arsace, ed Artenice.
arsace Regina,
io t’ubbidii.
artenice Da forte oprasti;
ed
or più del tuo volto amo il tuo core.
arsace Che
mi giova infelice,
che
tu dica d’amarmi, e amarmi tanto,
se d’esser mia poscia ricusi?
artenice Ah
taci.
Sa
il ciel, se io bramo d’esser tua; ma spera;
ch’io
pur fremo nel petto
che
la speme gradita ognor s’avanza.
arsace Menzognera
non sia nostra speranza.
artenice
e arsace Doppo tante, e tante pene
artenice Idol mio,
arsace Caro
mio bene
artenice giunga il dì
arsace venga il momento
artenice
e arsace in cui
goda il cor contento,
e
sia pago il nostro amor.
Non
andrà senza mercede
artenice tua
virtù,
arsace tua bella fede:
artenice
e arsace e
vedrassi l’empio fato
disarmato
di rigor.
- scena xv, l’ultima
battuta di Palmira è così sostituita:
palmira Sì
sì per vendicarti
usa
tutto il rigore:
benché
fra strazi, e da tormenti oppressa
sarò contro di te sempre l’istessa.
Benché estinta, a farti guerra
dal profondo, e cieco regno.
Pallid’ombra
a te verrò.
E se toglierti dal seno
non potrò lo spirto indegno
in sembianza orrida almeno
la tua pace io turberò.
Dedica per
l’edizione 1723:
SIRE.
Sono
tante, e così forti le ragioni di consacrare alla MAESTÀ VOSTRA questo drama, che rendono quasi necessario in noi l’ardimento, o
lo discolpano almeno col pretesto di pubblicare in tal guisa il profondo
rispetto, e di provedere al nostro particolare
interesse. Egli è un naturale instinto di chi teme
una caduta, il cercare anche temerariamente alcun sostegno, ed il mettere un’illustre
protezione in fronte alla debolezza, è un’arte ingegnosa, per nascondere sotto
lo splendore di quella, le imperfezioni di questa. Un platano, quantunque
pianta sterilissima di frutti, meritò gl’applausi di
tutta l’Asia, perché questa lo vidde contrasegnato dalla benefica affezzione
di uno sovrano, e noi assicuriamo la fortuna di codesto componimento, col
mostrarlo al mondo fregiato della generosità della MAESTÀ VOSTRA, essendo fuor
d’ogni dubbio che in grazia del Patrocinio che lo difende, si perdoneranno in
esso i difetti; ed il benefizio ch’ella ne fa, perché sarà creduto un’approvazione
dell’opera, darà legge, ed esempio al favore de gl’altri. Supplichiamo
umilmente VOSTRA MAESTÀ d’un benignissimo perdono, se
ardimo di dedicarle con noi medesimi, ancora il
Teatro, e se per farlo con qualche scusa della nostra presunzione siam ricorsi
alla gloria del di Lei Nome, che umilmente imploriamo per sua tutela, e con l’ossequio
più profondo se gl’inchiniamo.
Artenice 1723 (Torino)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena v, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
cosroe Sin che Febo in ciel vedrai,
lo
splendore di que’ ra,
qual farfalla, adorerò.
S’armi pure odio, e furore
di quel soglio, e dell’amore
la ragion difenderò.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Se mi dici, e cara, e sposa
non
ti credo ingrato cor:
se
ne andaro i dì felici
io ben vedo il tuo rigor.
- scena viii, nuova
scena.
Cleonzio, poi Zaira.
cleonzio Da rabbia d’una donna il ciel mi
guardi.
Ormisda egli è pur buono!
«Palmira, anima mia, di che paventi?»
E
quella gli risponde in mesto suono,
«eh sì teneri nomi
non son più per Palmira»
Uh che
rabbia! Uh che ira!
zaira Maledetto
il sartore,
che
s’è fatto aspettar più di due ore;
la
sala è senza gente; ma che veggio?
cleonzio Signora,
io le son servo.
zaira Anzi
padrone.
Qual
sorte qui condusse uom sì cortese?
cleonzio Son
cavalier di Cosroe confidente.
zaira Io
dama d’Artenice.
zaira
e cleonzio (A
parte) Se di me s’innamora io son felice.
cleonzio Eh
signora, se mai...
zaira Che?
cleonzio Le
piacesse.
zaira Che cosa?
cleonzio D’accettarmi...
zaira In
che?
cleonzio Per
suo.
zaira Via, dica?
cleonzio Cavaliere.
zaira Mi
farà tanto onor di gran piacere.
Che
cavalier ben fatto, e tutto grazia!
cleonzio Signora,
mi confonde;
veda,
son uom di merto,
tutti
de’ cavalieri ho i pregi addosso.
In
trattar l’armi non cedo a Marte.
Canto
come un’orchestra.
E
per farle vedere,
quanto
io sia singolare nella danza,
eccole
la maniera
d’entrar con garbo, e grazie in
una stanza.
Favorisca: alta la testa:
eh cammini un po’ più lesta,
guardi in faccia i più vicini;
via, su, replichi gl’inchini:
dica a quello, dica a questa,
serva, schiava, addio, buondì.
zaira Mi
permetta: io torno a fare:
veda,
veda?
cleonzio È
singolare.
zaira Serva
schiava, addio, buondì.
Non
va ben così?
zaira
e cleonzio Così.
cleonzio (A parte) Quanto semplice è costei.
zaira (A parte) Per mio ben l’eleggerei.
(ad alta voce) Dica in grazia, è forestiero?
cleonzio Eh,
mi burla! Non è vero.
Per
la terra tutta quanta
il mio nome si decanta;
ma per altro son
di qui.
zaira È
di qui?
cleonzio Di qui.
zaira Di qui?
cleonzio Sì,
signora.
zaira Sì?
cleonzio Sì, sì.
zaira
e cleonzio Lì lì
lì lì lì
lì lì.
- scena x, la scena
è introdotta da un’aria di Artenice:
artenice Tra
la spene, e fra’l timore
il mio cor
pace non ha.
E
già vinto al suo dolore
più
resistere non sa.
- scena xii (xiii), l’aria
di Arsace è la seguente:
arsace A
parlar m’invita onore;
poi
severo, e lusinghiero
a
tacer m’impegna amor.
Io
vi cheggio,
che
far deggio?
Se
favello, il cor mi dice,
se’
infelice, o traditor.
- scena xv e xvi: queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv. L’aria di Cosroe diventa la
seguente:
cosroe Mesto si lagna
quell’usignolo
che
laccio infido,
o
fiero artiglio,
vicino
al nido
de
la compagna
mirando va.
Fra l’ira e‘l
duolo
la chiama al piano;
la cerca al monte.
Se trema fronda;
se palpita onda,
crede in periglio
de la sua cara
la libertà.
- scena xviii (xvii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
erismeno Or fieri, or lusinghieri,
tiranni i miei pensieri
m’invitano a temer, ed a sperare,
di pena, e di contento
questo è‘l
fatal momento
che d’infamia, o d’onor pompa dee far.
- scena xviii, nuova,
seguita dal ballo dei Giardinieri:
cleonzio Che
gran fortuna mia
di
trovar così buona compagnia!
gente
di più paesi
Alemanni,
Franzesi,
ad
onor d’Artenice,
oggi
stata regina incoronata,
più
d’una grossa botte hanno votata.
Oh
quanto è allegro questo giardiniere!
Che
bel gusto, il vedere
que’ suoi garzoni Armeni pieni di vino!
In
un paese, ove non piace punto.
La festa andrà benissimo:
orsù,
messer Cleonzio
siete
Bacco stessissimo.
Alberi,
sassi, piante
tremate
a noi davante.
Al
suon di corni, e pifferi
si sveni al dio de’ grappoli
un’ecatombe
d’asini;
su
presto alla gran caccia.
Olà,
la testa frangasi
a
quel bestion selvatico,
che
rode viti, e pampani,
o
sempre in lor s’impaccia.
Atto II
- scena i, la prima
scena è quasi del tutto eliminata (rimane solo la prima battuta del coro) e
unita con la seconda.
- scena vii (vi), l’aria
di Cosroe è così cambiata:
cosroe Padre, fedel
ti sono:
perché
son base al trono,
queste catene al piè!
Parlano pur per me
palme, ed allori.
Ma tremi l’empietà,
se il ciel le spezzerà:
vendetta far saprò;
armato spirerò
sdegni, e furori.
- scena ix (viii),
aggiunta un’aria di Mitrane:
mitrane La
nuvoletta
talor
vedrai
del
Sole i rai
coprir d’orrore
poi si dilegua
l’oscuro velo,
ritorna al cielo
il suo splendore.
Nella
stessa scena, l’aria di Ormisda è così cambiata:
ormisda Monti alpestri, selve amene,
voi recate quella pace
che fra gli ostri un re non ha.
De’ pensieri, e de le pene
sempre in voi l’orgoglio tace,
e‘l
contento, e‘l riso sta.
- scena ix, nuova
scena:
Artenice,
Zaira.
artenice Di
ruscello onda tramente
o da l’aure
scossa fronda
è un ritratto del mio cor.
Del cor
mio, che palpitante
or lusingasi,
or s’affanna
fra la spene, e fra‘l timor.
Affetti
del cor mio,
siete
infelici, perch’eroici siete:
abbandonar conviene il caro Arsace.
zaira Notte,
e dì per Arsace sospirate;
gli
dite anima mia, mio ben, mio core;
farvelo
re d’Armenia voi potete:
pensate,
e ripensate;
e a l’uso delle donne,
il peggio risolvete.
artenice Lasciami
in pace.
zaira Addio:
ma
sappiate, signora, che se amassi,
come
voi fate, non sarei già io.
Egli
v’ama, voi l’amate;
perché,
dite, non gli date
quella
man, s’ei tiene il cor.
Mentre
al regno lo chiamate,
ei vi dee con grato affetto,
gran rispetto, e grande amor.
- scena x, l’aria
di Mitrane cambia in questo modo:
mitrane Il
rio dal mar si parte;
da le nascoste vene
va per ignote arene;
ma poi ritorna al mar.
Tal volge i desir
suoi
l’anima tua reale
di tanti chiari eroi
la luce a vegheggiar.
- scena xii, l’aria
di Erismeno è così mutata:
erismeno ll fellon finché non cada
non sarai mai trionfante.
Veder parmi
la sua spada
balenar a te davante.
- scena xiii, l’aria
di Palmira viene sostituita:
palmira Non temer di stella infida,
se
ti guida
de
la madre il fido amor.
Sarai
re, sarai felice,
tel
predice,
tel
predice questo cor.
- scena xiv, l’aria
di Arsace è così sostituita:
arsace Se
l’amore s’armerà,
la mia gloria il
vincerà,
pugnerò contro il
mio cor.
Di quest’alma sarà
vanto
fugir pace, ed amar pianto,
cercar danno, rio dolor.
- scena xv, nuova
scena, prima del ballo dei Custodi.
Cleonzio, Zaira.
cleonzio Oh
che mondo! Così va,
fra‘l
mentire, e‘l simulare
la fortuna se ne sta.
Per campare, può sudare
fra gran pene l’uom dabbene,
come viver ei non sa.
Di Cosroe
mio padrone il caso acerbo
io piango; è galantuomo,
nessun meglio di me lo sa, che
sempre
gli sono stato a’ fianchi,
e che sempre gli ho dato un buon
esempio:
è galantuom
da vero;
lo giurerò per Mitra stesso, e
pure,
con tutto il suo valore,
son costretto a mirarlo in duri
guai.
zaira Datti
pace: vedrai
quanto
possa Artenice,
no,
Cosroe non sarà sempre infelice.
Quando
la posso chiappar sola, o quando
è
nel suo gabinetto,
glielo
vo ramentando.
cleonzio Fallo
di grazia, anima mia, deh fallo.
Tu sai che un buon padrone
fa di tutto pel servo; or è ben
giusto
che‘l
servo pel padron faccia di tutto;
e nelle sue disgrazie
serbi
fede, e costanza.
zaira In
Persia già regnò sì bella usanza;
ma
il mondo d’oggidì
non
l’intende così.
cleonzio Perché
nelle cittadi
son
gli uomini a l’antica radi, radi.
cleonzio Quanto
saria dolcissimo,
zaira che
vita giocondissima!
cleonzio Fuor
delle cure orribili
zaira Fuor
de la sorte instabile
zaira
e cleonzio cantar su l’erbe tenere
ne’
monti più salvatici
La
fa li le la la.
cleonzio Invidia
là non trovasi;
zaira Invide là non temonsi;
zaira
e cleonzio ma unite insieme
albergano
virtù con fé en
candida,
bellezza,
ed onestà.
zaira A
più lieti pensieri
diam
luogo; e poiché tanto
del ballo ti compiaci: olà,
custodi, (escono facendo diversi inchini.)
sciogliete in liete danze il
piede intorno.
cleonzio Felice
questa gente,
se
quanto ha bravo il piè, brava è la mente.
zaira Oggidì
si mostra a dito
chi erudito non ha‘l piè.
Se
qualcuno mai s’avanza,
senza
inchini in una stanza,
v’ha
chi dice, un goffo egli è.
Atto III
- scena i, la scena
è introdotta in questo modo:
ormisda Tra l’amore, e fra lo sdegno
di due fiamme avvampa il cor:
e non so nel grande impegno
chi di lor sia vincitor.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così mutata:
palmira Mio re, mio dolce sposo,
serena il mesto ciglio,
lasciò d’esserti figlio,
un empio, un infedel.
Vapor
così orgoglioso,
talora il sole ingombra,
poi si dilegua in ombra,
lascia sereno il ciel.
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, mutata così:
arsace Qual
tra fosca, e ria tempesta
al già pallido nocchiero
spunta un raggio lusinghiero,
che gli addita il
vicino porto.
Tal
vegg’io del tuo gran core
sfolgorar
lampo di luce,
che
fedel già mi conduce,
ove
spero il mio conforto.
Viene
inoltre aggiunta una nuova scena (ix) con il
seguente soliloquio di Ormisda:
ormisda Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
il pensier che nel figlio in mente cadde
a pro
de l’altro figlio.
Il suo mortal
periglio
(in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
Son
re sdegnato
consorte
offeso,
ma
padre ancor.
Quel
core ingrato
vuol
pur difeso
paterno
cor.
- scena xiii, viene
aggiunta la seguente aria e eliminata la scena XIV, integrata alla precedente:
arsace La
mia sorte a te fidai; (a Cosroe)
ma
il cor mio sol fido a te. (ad Artenice)
artenice So che ingrato non sarai; (a Cosroe)
ma il cor
mio teme per te. (ad Arsace)
cosroe Amo è vero; ma forse ancora
mi
vedrete oprar da forte.
arsace
e artenice Ami è ver: ma forse
ancora
ti
vedremo oprar da forte.
arsace Cosroe, bella, ahimè ch’io moro!
artenice Cosroe, Arsace ahi che t’adoro
cosroe Sta il mio core in servitù
de l’amor, de la virtù,
benché il
piè fuor di ritorte.
artenice Va
pur, misero amante;
ma prode, e generoso, a compier l’opra
che di fama immortal
degna facesti;
il tuo raro valor già mi
assicura:
e le sognate larve ormai discaccia.
Ma novello timore,
per tua virtù, viene a dar pena
al core.
Basta
dir che la mia pena
è
l’amar senza speranza;
e l’aver troppa costanza
e’l dolor, che il cor m’impiaga.
Chi provò l’egual tormento,
sol può dir quel rio spavento,
che mortal
mi fa la piaga.
- scena xv, aggiunta
nuova scena:
Cleonzio, Zaira.
cleonzio Viva,
mia Zaira, viva:
è Cosroe in libertade,
mercè a
la tua padrona, e al suo fratello.
Dice pur bene quel proverbio
antico,
che contra l’innocenza
l’impostura non vale un acca, un
fico.
O
che gusto! La matrigna
storge gli occhi, poi digrigna,
sbruffa,
smania, e batte i piè.
E frattanto nella piazza
ognun grida, ammazza, ammazza:
viva Cosroe
nostro re.
zaira Compatisco
quel povero d’Arsace,
che
insieme ad Artenice
l’ha
tolto di prigione;
ed ora l’infelice
dovrà ceder l’amata al suo
padrone.
cleonzio Eh!
Non conosci Cosroe:
ei
non è di quel popol sempliciaccio,
che si lascia guidar da un bel
mostaccio.
Ama all’uso de’ grandi;
e dice che la gloria
è la sua prima donna; e per la
gloria
cederà la signora
al fratello, il vedrai.
zaira Di
questi amori non ne veggio assai.
Quanti,
quanti uomini
che fan da satrapi,
son debolissimi,
se mai s’incontrano
in una femmina,
l’arte di prenderli,
che intende, e fa.
I prudentissimi
fanno spropositi
arcigrandissimi:
co’ più salvatici
fino
i più stitichi
piangon,
sospirano
per la beltà.
S’ode
suono di trombe.
Senti, senti le trombe?
zaira Che
sia mai?
cleonzio Andiam, mia vita, andiamo.
Chi
sa che in sì bel giorno, amica sorte
non
mi faccia marito, e te consorte.
zaira Qual
foglia sopra un albero,
cui
muove d’aura un sibilo,
nel
petto il cor mi palpita,
e mi fa ticche,
ticchete.
cleonzio Qual
ferro su l’incudine,
che
il fabbro vuol distendere,
mi sento il core a battere,
e a farmi tocche tocchete
zaira
e cleonzio Perché mio ben? Per
te.
cleonzio Dì il vero, dolce spene.
zaira Sì,
caro mio tesoro.
Io
t’amo,
cleonzio Ed io t’adoro,
mia
vita,
zaira caro bene,
zaira
e cleonzio per te son tutto/tutta
fé.
- scena xvi, l’aria
di Mitrane è così sostituita:
mitrane Riconosco
in quell’ardore
il
tuo fato, il tuo riposo;
sarai
sposo,
sarai re, mel
dice amor.
Se pietà lo smorza, o frena,
sol ti resta in danno, in pena,
vil
catena,
ira inerme, e rio dolor.
- scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
palmira Mira la quercia annosa,
mira
lo scoglio in mar,
ch’aura
piegar non osa,
ch’onda
non può spezzar.
Così quest’alma mia,
e quercia, e scoglio sia,
che non potrai piegar.
Ormisda 1723 (Genova)
Atto I
- scena i, la prima
parte della scena è sostituita dalla seguente:
ormisda O
del grande Artabano,
che a l’Armenia
diè leggi, inclita figlia,
bella
Artenice, il lieto giorno è questo
che por ti dee l’aurea corona in
fronte,
e darti al popol tuo sposa, e
regina.
Te a l’amor
mio commise il re tuo padre,
e che passi un mio figlio
a l’onor del tuo letto, è suo volere.
Dal tuo
reale assenso
questo or si adempia, e regni
di te, vergine illustre, il cenno
altero
sul perso insieme, e su l’armeno
impero.
Liberi
sensi esponi, e quei diritti
che
inspira a nobil alma
il nome di Reina, usa a tua voglia.
- scena ii, l’aria
di Mitrane è sostituita dalla seguente battuta:
mitrane Bacio
la man che a tant’onor m’inalza,
e
scorgo in questo dono
il
gran dover, a cui prescielto or sono.
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Se mi dici, e cara, e sposa
non
ti credo ingrato cor:
se
ne andaro i dì felici
io ben
vedo il tuo rigor.
- scena viii, l’aria
di Artenice è sostituita dalla seguente:
artenice Col
rapirmi o regno, o core
di
turbare il nostro amore
forse
il ciel rimorso avrò:
ma
più caro dell’impero
quel bel volto lusinghiero
sul mio cor
trionferà.
- scena xii, l’aria
di Arsace è così sostituita:
arsace Padre
io taccio sai perché?
Perché temo ancor per te, (ad Ormisda)
ma tu pena non
avrai: (a Cosroe)
placa l’ira, e fa svenarmi (ad Ormisda)
ma il tuo sdegno almen risparmi
l’innocenza
che non sai.
- scena xv e xvi: queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv.
- scena xvii (xv), l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
palmira Sul labro mio favella
d’una
reina il cor
se brami gemme, ed or
tesori avrai:
se poi d’un sembiante
rendesti il cor
amante
di bella sposa allor
lieto sarai.
- scena xviii (xvi), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
erismeno Quando
serve alla vendetta,
il
rigor d’un’alma forte
è dover, non empietà.
Se virtude
allora s’oppone
la virtù divien viltà.
Atto II
- scena i, la prima
scena è quasi del tutto eliminata (rimane solo la prima battuta del coro) e
unita con la seconda.
- scena ii (i), l’aria
di Artenice è così sostituita:
artenice Se
chiedete che costante
serbi
fede al vostro regno
la
giurai, la serberò:
ma non vuol la
gloria mia
che
funesta or a voi sia,
se or lo sposo eleggerò.
- scena vi (v), viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena viii (vii), l’aria
di Palmira viene così sostituita:
palmira Pace
sì cor del mio cor
sì
pietà del mio dolor,
e
se ‘l sangue poi si vuole
il mio sen lo verserà:
vita imploro solo a te,
caro figlio a te pietà
m’intendesti o padre, o re?
Solo a me la crudeltà.
- scena ix (vii), viene
eliminata l’ultima battuta con l’aria di Ormisda, spostata nella scena
successiva. L’aria è la seguente:
ormisda Monti
alpestri, selve amene
voi recate quella pace
che
fra gl’ostri un re non ha:
de’
pensieri, e delle pene
sempre in voi l’orgoglio tace,
e’l
contento, e’l riso sta.
- scena x, la
battuta di Artenice («Affetti del cor mio, siete
infelici») è spostata da sola in una scena a sé.
- scena x (xi), l’aria
di Mitrane è così sostituita:
mitrane Orgoglioso
alza le spume,
real
fiume,
e più s’adira,
quando mira
quello scoglio che lo arresta:
al mirar tra le catene
l’innocenza, senza spene,
dal tuo corso luminoso,
la tua gloria or qui t’arresta.
- scena xii (xii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
erismeno Frema
l’empio tra crude ritorte,
senza
speme di qualche pietà:
all’aspetto di livida morte,
forse ancora quel cor tremerà.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Non temer di stella infida,
se ti guida
de la madre il fido amor.
Sarai re, sarai felice,
tel
predice,
tel
predice questo cor.
- scena xiv (xv), l’aria
di Arsace è così sostituita:
arsace Per
quel bel volto
che m’innamora,
più non ti ascolto
pietà crudel:
per te non voglio,
regnar sul soglio,
quanto infelice,
tanto infedel.
Atto III
- scena ii, viene
eliminata gran parte della scena, compresa l’aria di Ormisda.
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
cosroe Fia tuo
sangue il sangue sparso
da mie vene, o genitor.
Nel veder che invitto, e forte,
sarò grande in faccia a morte,
tu
dirai: quegli è il mio cor.
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, mutata così:
arsace Se all’urto di ria procella
freme l’onda, e’l
ciel balena,
al brillar d’amica stella,
l’onda, e’l
ciel si placherà:
tale ancor dopo il tormento,
raggio amico di contento,
lieta
calma porterà.
Viene
inoltre aggiunta una nuova scena con il seguente monologo di Ormisda:
ormisda Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
il pensier che nel figlio in mente cadde
a pro de l’altro figlio.
Il suo mortal
periglio
(in
onta al giusto sdegno) è mio tormento:
perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
Son re sdegnato
consorte offeso,
ma padre ancor.
Quel core ingrato
vuol pur difeso
paterno cor.
- scena xii (xiii), viene
aggiunta la seguente aria:
arsace La
mia sorte a te fida,
ma il cor
mio sol fido a te.
artenice So che ingrato non sarai,
ma il mio cor
teme per te.
cosroe Amo, è ver: ma forse ancora
mi
vedrete oprar da forte.
arsace Cosroe, bella, ahimè ch’io moro.
artenice Cosroe, Arsace, ahi che...
cosroe Sta
il mio cuore in servitù,
dell’amor della virtù,
benché il più fuor di ritorte.
- scene xiii e xiv
eliminate, insieme a gran parte della xv.
- scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
palmira Mira la quercia annosa,
mira lo scoglio in mar,
ch’aura piegar non osa,
ch’onda non può spezzar.
Così quest’alma mia,
e quercia, e scoglio sia,
che non potrai piegar.
Ormisda 1728 (Venezia)
Atto I
- scena iii, termina
con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».
- scena xv e xvi, queste
scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe
e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe
nella scena xiv.
Atto II
- scena ii, l’aria
di Artenice è così sostituita:
artenice Tuoni
a destra il cielo irato
urti,
incalzi avverso fato
con più torbida procella:
la mia gloria fia
mio scampo
e di lei seguendo il lampo
seguirò mia fida stella.
- scena vi, viene
eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.
- scena vii, l’aria
di Cosroe viene sostituita così:
cosroe Quel furor
che già nel mio seno
freme d’ira, e di veleno
e il rigor d’un’alma infida
rabbia inspira, odio, e rigor;
spero ancor vendetta un giorno
se il mio piè salirà al trono
di far straggi
col rigor.
- scena ix, l’aria
di Ormisda è così sostituita:
ormisda Son
come alpino monte
che altero alza la fronte
ma il picciol
ruscelletto,
col dolce mormorio,
poi divenuto un rio
il frange
e atterra;
così mal vien difeso
il re da’
suoi tesori
ne vaglion
geme ed ori
se la forza del fatto
a noi fa guerra.
- scena x, la
battuta di Artenice («Affetti del cor mio, siete
infelici») è spostata da sola in una scena a sé.
- scena x (xi): l’aria
di Mitrane è così sostituita:
mitrane Come
vuol che a’ rai del Sole
volga
i lumi la sua prole
fin da nido acquila
altera;
così volge i desir
suoi
a la luce de gli eroi
tua reale alma sincera.
- scena xii (xiii), l’aria
di Erismeno è così sostituita:
erismeno Orgoglioso
alza le spume
real
fiume,
e più s’adira,
quando mira
quello scoglio che lo arresta.
L’empio ancor tra sue catene
fremerà, ma senza spene.
Quanto più sarà fastoso,
avrà morte più funesta.
- scena xiii (xiv), l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Non temer di stella infida,
se ti guida
de la madre il fido amor.
Sarai re, sarai felice,
tel
predice,
tel predice questo cor.
- scena xiv (xv), l’aria
di Arsace è così sostituita:
arsace Qual
nocchier che il suo naviglio
rimirò già quasi assorto,
tolto al fin dal rio periglio
dal bramato caro porto
guarda il mare, e si consola.
Tale anch’io, se dopo il pianto
vedrò in porto l’amor mio,
gioirò: ma l’alma intanto,
pena, e langue afflitta, e sola.
Atto III
- scena iii, l’aria
di Cosroe è così sostituita:
cosroe Fia tuo
sangue il sangue sparso
da
mie vene, o genitor.
Nel veder che invitto, e forte,
sarò grande in faccia a morte,
tu dirai: quegli è il mio cor.
- scena vi, l’aria
di Palmira è così sostituita:
palmira Mio re, mio dolce sposo,
serena
il mesto ciglio,
lasciò d’esserti figlio,
un empio, un infedel.
Vapor
così orgoglioso,
talora
il sole ingombra,
poi
si dilegua in ombra,
lascia sereno il ciel.
- scena viii, l’aria
di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, così mutata:
arsace Viva
al padre il regal figlio
forse
il ciel miglior consiglio
fia che
inspiri al giusto re;
se versato poi il tuo sangue
per il misero già esangue
saria
vano il pianto in te.
Viene
aggiunta una nuova scena con il seguente monologo di Ormisda:
ormisda Vanne,
che troppo è dolce al cor paterno
il pensier
che nel figlio in mente cadde
a pro de l’altro figlio.
Il suo mortal
periglio
(in onta al giusto sdegno) è mio
tormento:
perir (s’egli perisce) anch’io mi
sento.
Son
re sdegnato
consorte
offeso,
ma padre ancor.
Quel core ingrato
vuol pur difeso
paterno cor.
- scena xi (xiii), viene
rimossa l’aria di Erismeno.
- scena xiv: la scena
è sostituita dalla seguente:
artenice Va’
pur, misero amante;
ma prode, e generoso, a compier l’opra
che di fama immortal
degna facesti;
il tuo raro valor già mi
assicura:
e le sognate larve ormai discaccia,
ed ogni rio timore
per tua virtù speme diviene al
core.
Nera
larva che sognai
luminosa
oggi a’ mei rai,
rendi amabil
lo spavento.
Fu d’orror
squallida allora
la feral
sanguigna aurora,
ma piacer nel giorno io sento.
- scena xvi, l’aria
di Palmira è sostituita dalla seguente:
palmira Mira la quercia annosa,
mira
lo scoglio in mar,
ch’aura piegar non osa,
ch’onda non può spezzar.
Così quest’alma mia,
e quercia, e scoglio sia,
che non potrai piegar.
- scena xviii (xix), la
conclusione del dramma è così mutata:
palmira Son
paga. Arsace è re. Cosroe
anche regni.
mitrane Cosroe regni...
coro Regni dà natura e sorte;
ma più bei li dà virtù.
Cor più
degno di gran regno,
più magnanimo e più forte
del tuo, Cosroe,
mai non fu.
Ormisda 1730 (Londra)
Il pasticcio del 1730 è, per la sua stessa
natura, una rielaborazione molto più marcata del testo originale zeniano, con consistenti tagli che riguardano tutta l’opera
e fusioni di scene. Mi limito pertanto a segnalare le nuove arie e le scene
inedite.
Atto I:
- scena iv (iii):
artenice Pupillette vezzosette
dell’amato mio tesoro
se vi basta il dir ch’io moro
sia per voi questa pietà.
Siete belle come stelle,
che adornate il ciel d’amore,
ma al mio grado, e al regio onore
ceder deve la beltà.
- scena vi (v):
palmira Infelice abbandonata
già mi scorgo o sposo ingrato
con un figlio sventurato
preda sol di crudeltà.
Ahi per me non v’è difesa
più consiglio non m’avanza
nel tuo ancor la mia costanza
ingannata al fin sarà.
- scena vii (vi):
ormisda Se
non sa qual vento il guida
spera invan
folle nocchiero
di condur sua nave in porto.
Tal anch’io che stella infida
sol m’intorbida il pensiero
e non trovo alcun conforto.
- scena viii (vii):
artenice O
caro mio tesoro
tuo ciglio, il labbro, il crin
accende alletta annoda
il petto, l’alma il cor.
Il tuo bel crine è d’oro,
il labbro è di rubin,
e par che sempre goda
star nel tuo ciglio amor.
- scena xii (xi):
arsace Tacerò
se tu lo brami
ma fai torto alla mia fede
se mi credi traditor
porterà lontano il piede
ma placati i
sdegni tuoi
so che poi n’avrai rossor.
- scena xiii (xii):
ormisda Se
non pensi al dover di figlio
mai del padre sperar puoi la
calma.
Dunque abbassa l’altero tuo
ciglio
se goder vuoi la pace dell’alma.
- scena
aggiuntiva (xvi):
palmira Se quel cor
con nobil vanto
serve fido al mio pensiero;
tutto spero, e allor quest’alma
lieta al fin trionferà.
Sarò grata al suo valore
e vedrà qual sia il mio core,
nel
premiar sempre costante
la sua bella fedeltà.
Atto II
- scena ii (i):
artenice Se
d’Aquilon lo sdegno
tronca la pianta amata,
la vite innamorata
languida cade al suol.
Del caro tronco priva
non ha chi la sostenga,
il rio non la ravviva
non l’alimenta il sol.
- scena viii (v):
erismeno Come
l’onda furibonda
d’orgoglioso fiume ondoso,
allo scoglio a franger va.
Tal del figlio’l
cieco orgoglio
d’un regnante genitore.
Al vigore cederà.
- scena viii (vi):
palmira Nel tuo amor o dolce sposo
la sua gioia è’l
suo riposo
l’alma mia sol può sperar.
Per l’avverso e lieto fato
ti sovvenga sposo amato
che ti seppi ognor
amar.
- scena ix (vii):
ormisda Sì
sì lasciatemi
tutta dell’anima
la libertà.
Che così vivere
l’oppresso spirito
non può non sa.
- scena xiii (xi): dall’ultima
battuta di Arsace in poi, la scena è strutturata come
segue:
arsace Il
giuro.
(a parte) Pur Cosroe salverò: vincerò il
padre.
Né mai mi troverai ch’io sia
spergiuro.
Lasciami
amico Fato,
oprar con core grato,
e
poi se mi vuoi morto
lieto morir saprò.
Né vana è mia speranza.
In sì crudel
martire,
sostengo la costanza
che in petto aver dovrò.
palmira Quanto
del caro Arsace,
il bel cor
generoso,
turbò in un sol momento il mio
riposo.
Temea
che non scoprisse
il mio furor,
e d’Erismen la vita,
fosse da lui rapita.
Or che giurò, son paga,
del passato timore,
sparisce il
spettro, e si rischiara il core.
Timido
pellegrin,
che‘l
suo camin smarrì,
vede spuntar il dì, e si consola.
Tal dopo il mio tormento,
sen riede un bel contento
l’affanno ed il timor dal cor sen vola.
- scena xii, nuova:
Artenice
sola.
artenice Arsace anima mia,
perché fedel
mi sei
sol mio sposo esser dei.
A che mi gioveria,
aver amante possessor
del mondo?
E poi che infido ingrato
d’altra beltà in catene,
mi dicesse spietato,
tu non sei più l’idolatrato bene?
Sentirsi
dire dal caro bene
ho cinto il core d’altre catene,
quest’è un dolore, quest’è un
martire
che un’alma fida soffrir non può.
Che se ti lagni del traditore,
ti dirà forte con empio core,
se la mia fede così t’affanna.
Perché tiranna t’innamorò?
Atto III
- scena iv (iii), l’aria
di Cosroe è così mutata:
cosroe Fia tuo
sangue il sangue sparso
da mie vene o genitor.
Nel veder ch’invitto e forte,
sarò grande in faccia a morte;
tu dirai: quegli è il mio cor.
- scena vii (vi), l’aria
di Arsace diventa la seguente:
arsace Io
corro pietoso
con alma fedele
da morte crudele
quel prode a
salvar.
Del Fato funesto
men volo, m’appresto
a scioglier il
nodo
perché sol io godo
potergli giovar.
- scena viii, l’aria
di Ormisda, separata dalla scena precedente come per le rappresentazioni dal
1722 in poi, è la seguente:
ormisda Ti
sento amor di padre,
ch’estinto ogn’altro affetto
divampi nel mio petto
e tutto il vuoi per te.
Combattono il mio core
e la pietà, e‘l
rigore;
ma in fine un cor
di padre
ritrovo solo in me.
- scena xiii/xiv (xi), diventa
un monologo di Artenice, il seguente:
artenice Del
germano al periglio
tra mille dubbi involto
non
ardia non sapea l’amante Arsace
recar a sé, né dar altrui la
pace.
Di donna amata, e che non può l’impero?
Gli scopro il mio desio,
succede al suo timor nobil vigore
opera da grande, e ne trionfa
amore.
Passaggier, che in selva oscura
muove errando il dubbio piede,
nell’orror
non sa, né vede
qual sentiero rintracciar.
E nel suo piè non s’assicura
e’ nel rischio di cadere
ogni passo il fa temere
ogni fronda il fa tremar.
- scena xvi (xiii), l’aria
di Palmira diventa la seguente:
palmira Se mi toglie il furore
regno, sposo, e figlio ancor
puoi strappar dal seno il cor,
ne vedrai allorch’io
mora
l’alma in gemiti spirar.
Io disprezzo ogni pietade
sazia pur tua crudeltade,
non saprò mai paventar.
- scena xviii (xv): la
conclusione del dramma è la seguente:
artenice Ora
sono in libertà gli affetti miei,
e tu mio sposo, e tu mio re già
sei.
Amico il fato, mi guida in porto
e tu mio caro, mi fai gioir.
Ti renda amore per mio conforto
fermo‘l
tuo core per me a languir.
Spenta
di crudo Aletto al fin la face,
splenda nell’alma, Amor,
Concordia e Pace.
coro D’applausi e giubilo
l’aria risuone.
E al nuovo rege
d’allori
e palme
tessiam
corone.
Argomento e scenario
del Cosroe
tragedia italiana da
recitarsi nel Seminario Romano nelle
correnti vacanze
di Carnevale da Convittori delle Camere maggiori
(1662)[84]
Argomento
Cosroe tiranno della Persia, quanto di genio superbo, e
crudele, altrettanto di natura codarda e effeminata, dopo aver afflitto il
regno con molte guerre e con molte sceleraggini, in
varie persecuzioni mosse a’ Cristiani, irritata la
maestà divina, venuto in odio, e a popoli, e a Dio: mentre disegnava assicurare
la sua cessione del regno in Martesane suo secondogenito, che di nascosto avea già incoronato re della Persia, irritò di maniera Syroe, a cui di
ragione, come primogenito si doveva l’imperio Persiano, che fermata
occultamente la pace con Eraclio Imperatore, il quale vittorioso scorreva quasi
tutta la Persia, e promessogli di dargli in mano il sacro Legno della nostra
Redenzione facilmente gli riuscì farsi padrone del regno e della vita di suo
padre, il quale lungo tempo tormentato in prigione con poc’acqua
e poco pane udendo pronunciata dal proprio
suo figlio quella rigorosa sentenza Comedat aurum, quod incassum
collegit, propter quod esciam multos
fame necavut mundumque delevit finalmente fu fatto morire saettato.
Permettendo il Signore che siccome esso parricida era salito al soglio
uccidendo il suo genitore Ormisda, così ne fusse dal
medesimo scacciato, per mano d’un altro suo figlio parricida.
Prologo
Atlante, Mercurio, le tre Parche.
S’introducono le tre Parche, che dolcemente cantando
ragguaglino i mortali degl’effetti della lor potenza.
Ma vien tosto interrotto il loro canto dalle querule del vecchio Atlante, il
quale già stanco gemente sotto il peso delle stelle e chiamando Mercurio suo nipote
il prega a voler inviargli Alcide, che sottentri al
grave incarco. Ma ode sì da questi, come dalle
Parche, che Alcide avea già terminato i suoi giorni.
Per il che chiedendo in grazia a Giove che almeno la terra da tante guerre
scommossa gli lasci ferma, ove possa posare il suo piè vacillante. Viene
pertanto assicurato dalle Parche di Cosroe, il quale
inquietato con tante guerre l’Asia, di figlio parricida avea
esser estinto. Promettendogli inoltre che dopo un lungo girar de’ lustri sarian venuti a sollevare con miglior fortuna gl’affanni dell’Asia una coppia d’eroi, e che meglio
d’Alcide.
Un invitto Delfino un Regio Infante,
le veci sostener potran
d’Atlante.
Atto
primo
scena
prima
S. Anastasio.
Aprirà la
scena S. Anastasio, che poco prima con invitta pazienza per comandamento di Cosroe era stato svenato martire glorioso, publicando il divin decreto di punire con morte atroce le sceleragini del tiranno. Ed a tal fine risveglierà
dall’Inferno l’ombra d’Ormisda padre di Cosroe, a cui
darà in mano la spada della divina giustizia, con la quale Syroe
il padre parricida con un altro parricidio tolga di vita.
Scena II
Ombra di Ormisda. S. Anastasio.
Risvegliata
dall’Inferno l’ombra di Ormisda ode da S. Anastasio come lui deve incitare Syroe al parricidio per mezzo della spada consegnatagli in
mano.
Scena III
Ombra d’Ormisda.
Sfogato in
parte il suo dolore, s’accinge all’opra Ormisda.
Scena IV
Sarbara.
Sarbara prencipe del regno sospetto a
Cosroe di ribellione, che perciò era stato da esso
lui condannato a morte, purgata in parte la sua causa, va querelandosi della tirannia
del suo re.
Scena V
Razete, Sarbara.
Razete anch’esso uno de’ prencipi
della Persia, concordemente con Sarbara sospirano la
Libertà della lor patria, passando perciò conseguire vari ragionamenti di
ribellione.
Scena VI
Aramane, Sarbara, Razete.
Aramane sopraggiunge, e portando fresche notizie del mal’animo di Cosroe contro di
loro, s’animano unitamente a torlo dal soglio, e dal mondo.
Atto
secondo
Scena
I
Cosroe, Martesane.
Cosroe gran re della Persia, tutta volta che per replicati messi
fusse stato avvisato delle rotte che il suo esercito avea avute da Eraclio Imperatore, ebrio
della sua antica felicità dopo aver superbamente di se
stesso raccordate molte cose, chiama di nascosto successore della sua corona Martesane, che da Sira sua consorte dilettissima, e femina cristiana avea per secondogenito
sortito, il quale, forzato vien constretto dal padre
a regnare.
Scena II
Cosroe, Martesane, Vasace.
Nuovamente
da Vasace vien avvisato del disfacimento del suo
esercito, e come già il nemico fatto padrone della campagna mette a ferro e foco la Persia tutta.
Scena III
Cosroe, Martesane, Vasace, Cardariga.
Cardariga un de’ Generali di Guerra e prencipe
savissimo, avendo riportate molte ferite nell’ultima battaglia racconta a Cosroe il modo maraviglioso col
quale era stato risanato, e da parte del Cielo gl’intima la morte che gli
sovrasta. Il che lui riceve con esecrande bestemmie.
Scena IV
Vasace, Pacoro.
Pacoro ragguagliando Vasace di
quanto nella regia, e appresso Syroe da prencipi disgustati si discorreva sì dell’inalzamento al reame della Persia di Martesane,
come dell’inimico, che già vittorioso minacciava l’ultimo esterminio
del regno temono funesti avvenimenti alla Persia.
Atto
terzo
Scena
I
Syroe, Pacoro.
Syroe vedutosi posposto dal padre a Martesane
suo fratello minore doppo qualche lamento cerca
conciliare a suoi disegni gl’animi de’ Persiani, per
altro offesi dal sanguinoso governo di Cosroe
commettendo a’ prencipi
suoi amici vari ordini concernenti al ben publico, e
in particolare la scarceratione d’Emilio tribuno
Romano fatto poco avanti prigione in guerra.
Scena II
Syroe.
Agitato da
varii affetti or di pietà, or di vendetta, più tosto
che incrudelire contro il padre determina di cancellare l’infamia del perduto
diadema col darsi volontariamente la morte.
Scena III
Syroe, Sarbara, Razete.
Sopraggiungono
fra tanto Sarbara e Razete,
a’ quali riesce felicemente il distorlo
dal darsi la morte, e con empia adulazione il piegano a difendere il ius della regia primogenitura anche se bisogna col parricidio.
Scena IV
Syroe, Emilio, Razete.
Scarcerato
Emilio si presenta avanti il suo liberatore Syroe, il
quale offerisce per suo mezzo ad Eraclio con tutta la
preda de’ cattivi il Legno della S. Croce per restituire in Persia la pace.
Promette Emilio favorevole la volontà dell’imperatore, quando venghi alla morte del padre.
Scena V
Syroe, Pacoro, Emilio.
S’avvisa
da Pacoro Syroe, qualmente Cosroe venuto in cognizione della ribellione che la nobiltà
persiana gli tramava, intimorito cercava sottrarsi da ogni pericolo con la
fuga. Onde questi commanda che raggionto
sii fatto prigione.
Atto
quarto
Scena
I
Syroe, Sarbara, Razete,
Pacoro, Vasace.
Per
chiuder dunque ogni strada al fratello Syroe richiesti
de voti quattro prencipi del regno, piglia, seben tumultuariamente, giusta però l’antico costume de’
Persiani, de’ primi auguri del regno.
Scena II
Syroe, Cardariga, Sarbara, Razete, Pacoro, Vasace.
Vien
interrotta la coronazione da Cardariga il quale porta
nuova con giubilo di Syroe, e de’ congiurati della
presa di Cosroe, Martesane,
e di Vologese il più piccolo de’ fratelli, recusando
poi riconoscere altro re che Cosroe. Commanda che con Cosroe, e
fratelli, sia trattenuto fra ceppi.
Scena III
Syroe.
Disegna
finalmente di macerare i suoi inimici tra le tenebre di quella
carcere che fabbricata dal medesimo Cosroe Lethe appellavano con scarsezza di poc’acqua,
e poco pane.
Scena IV
Cosroe, Cardariga.
Cosroe dalla prigione troppo vilmente querelasi
della sua infelice sorte, ad andar contro la quale con generoso petto vien’
esortato da Cardariga.
Scena V
Cosroe, Vologese, Cardariga, Pacoro, Vasace.
S’offerisce con modi contumeliosi a’
prigioni acqua e pane giusto il commando di Syroe.
Atto
quinto
Scena
I
Syroe, Pacoro, Sarbara,
Razete, Vasace.
Siroe accompagnato da prencipi del regno
dà principio al giudizio, citando al tribunale Cardariga
il primo.
Scena II
Cardariga con gli medesimi.
Cerca indarno
difendere Cardariga la sua innocenza avanti Syroe, appresso il quale come ministro della crudele
tirannia di Cosroe era stato accusato producendosi
una lettera di Cosroe in cui s’ordinavano varie morti de’ principali cavalieri del regno
commesse a Cardariga.
Scena III
Martesane con gli medesimi.
Martesane benché violentato dall’impero del padre a sottentrare
al Governo della Persia come reo viene chiamato in giudizio.
Scena IV
Cosroe, Vologese con gli medesimi.
L’istesso Cosroe finalmente vien rapito al tribunale di suo figliolo,
e accusato da rebelli ode fulminare sentenza di morte contro il suo
figlio Martesane, contro il suo fedelissimo Cardariga.
Scena V
Cosroe, Syroe, Martesane,
Vologese, Cardariga, Sarbara, Razete.
Si sforza
indarno implorare mercè pel figlio il padre, come
parimente scongiurasi Syroe
da Martesane a voler smorzare tutto lo sdegno nel suo
sangue.
Scena VI
Cosroe, Syroe, Vologese,
Pacoro.
Rapito al supplicio Cardariga, e Martesane, Syroe risvegliato il
favore de’ cittadini condanna il padre ad esser saettato, e ad esser accecato
il fratello vologese.
Scena VII
Cosroe, Syroe, Vasace.
Mentre si toglie
a forza dal Ppdre Vologese
per esser condotto al luogo del supplicio, gli si
porge a vagheggiare il teschio di Martesane già
decapitato.
Scena VIII
Cosroe. Syroe. Vologese.
Torna in scena
già fatto cieco Vologese per funestare gl’occhi del suo genitore.
Scena IX
Cosroe finalmente in varie maniere schernito da’ suoi nemici viene condotto ad esser saettato, restando Syroe parricida, del reame e della Persia intero ed
assoluto padrone.
Interlocutori
S.
Anastasio Martire Girolamo
Martinelli
Ombra
d’Ormisda Girolamo
Borghese
Cosroe Gran Re della Persia Abb. Urbano Taddeo Giori
Martesane figli di Cosroe Anton
Maria Zerletti
Vologese Girolamo
Martinelli
Cardariga Giuseppe
Luigi Nati
Sarbara Lorenzo
Gavotti
Vasace prencipi del regno Luc’Angelo Testasecca
Pacoro Girolamo
Borghese
Aramane Cont’Abbate Hercole Ternengo
Emilio
Generalissimo de’ Romani Luc’Angelo Testasecca
Nel ballo del Prologo.
Girolamo
Muselli Anton
Maria Zerletti
Lorenzo
Gavotti
Nella moresca de’ soldati Persiani.
Abbate
Urbano Taddeo Giori Girolamo
Muselli
Conte
Abbate Hercole Ternendo Anton Maria Zerletti
Francesco
Riva Angelo
Palazzi
Nella corte.
Conte Girolamo
Honorato Rota Gio.
Rimbaldesi
Giovanni
Tempi Luigi
Gothi
Giulio
Cesare Maria Venenti Girolamo
de Mari
Girolamo
Naselli Bernardino
Spigliati
Giovanni
Lombardi Pietro
Antonio Abbati Olivieri
Pietro
Martini Gio.
Battista Pontelli
Pietro Cianciani Lelio
Tempi
D. Giacomo
Cantelani Federico
Cittadini
Gio.
Francesco Gavotti Bernardo
Clodio
Francesco Maria Gavotri D.
Ignacio de Paz
Agostino
Vincenzo Locci Francesco
Mocronoski
Giustiniano
Morosini Gio.
Francesco Pollastri
Lelio del Taia Abb. Lorenzo Cafoni
Marchese
Giuseppe Agraxz Nicolò
de Mari
D.
Francesco Antonio Palmieri Barone
Giovanni de Spork
Abbate
Giacinto Fedeli Abbate
Francesco Rasponi
Girolamo
Petrucci Marchese
Alessandro Capponi
In Roma,
per Ignatio de’ Lazari,
1662. Con licenza de’ Superiori.
Bibliografia
Opere citate di Apostolo Zeno
Lettere di Apostolo Zeno Cittadino Veneziano, Istorico e Poeta Cesareo, Venezia, Francesco Sansoni, 1785.
Zeno, Apostolo, Artenice,
drama per musica, da rappresentarsi nel Regio Teatro
di Torino l’anno MDCXXIII,
Torino, Pietro Giuseppe Zappata, 1723.
———————, Cosroe, drama per musica,
da recitarsi nel Teatro Alibert pe’l
Carnevale dell’anno 1723,
Roma, Stamperia del Bernabò, 1723.
———————, Gianguir, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a
cura di Gasparo Gozzi, Venezia, Pasquali, 1744, tomo II, pp. 183-280.
———————, Il falso Tiberino, dramma recitato nel
Teatro di San Cassiano di Venezia l’anno 1709, Venezia, Marino Rossetti,
1709.
———————, Meride e Selinunte, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a
cura di Gasparo Gozzi, Venezia, Pasquali, 1744, tomo III, pp. 345-435.
———————, Ormisda. Dramma per musica, da
rappresentarsi nella cesarea corte per il Nome Gloriosissimo della Sac. Ces. e Catt.
Real Maestà di Carlo VI Imperadore de’ Romani, sempre
Augutso [sic], per comando della Sac.
Ces. e Catt. Real Maestrà di Elisabetta Cristina Imperadrice
regnante, Vienna, Gio. Pietro Van Ghelen, 1721.
———————, Ormisda, drama per musica, da rappresentarsi
nel Teatro Malvezzi la primavera dell’anno MDCCXXII, Bologna, Clemente
Maria Sassi, 1722.
———————, Ormisda, drama per musica, da rappresentarsi
nel Teatro del Falcone la primavera dell’anno 1723, Genova, Giovanni Franchelli, 1723.
———————, Ormisda, dramma per musica, da rappresentarsi nel TeatroTron a San Cassiano nel Carnovale dell’anno 1728, Venezia, all’Insegna
della Pace, 1728.
———————, Ormisda, an opera. As it is performed at the King’s Theatre in the Hay-Market,
London, Campbell, 1730.
———————, Ormisda, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a cura di Gasparo Gozzi,
Venezia, Pasquali, 1744, tomo IV, pp. 1-92.
———————, Pirro, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a cura di Gasparo Gozzi,
Venezia, Pasquali, 1744, tomo VII, pp. 201-292.
———————, Venceslao. Drama da rappresentarsi per
musica nel Teatro Grimani, Venezia, Albrizzi, 1703.
Altre
opere citate nell’introduzione e nel commento
Argomento e scenario del Cosroe
tragedia italiana da recitarsi nel seminario romano nelle correnti vacanze del carneuale da conuittori delle
camere maggiori, Roma,
Ignazio de’ Lazzari, 1662.
«Avvisi
italiani, ordinari e straordinarii», Vienna, Van Ghelen, 1721, vol. 38.
Baronio, Cesare,
Annales Ecclesiastici, auctore Caesare Baronio Sorano, Congregationis Oratorii Presbytero,
Magonza, Johannes Gymnich, 1601.
Beniscelli, Alberto, Felicità
sognate. Il teatro di Metastasio,
Genova, il Melangolo, 2000.
Bodin, Jean, I sei libri dello Stato, a cura di Margherita Isnardi
Parente, Torino, UTET, 1964.
Bongi, Salvatore, Vita
di M. Antonfrancesco Doni compilata da Salvatore
Bongi, in Doni, Anton Francesco, I Marmi, Firenze, Barbera,
1863.
Borosini, Francesco, Il
Cavalier Bevagna, commedia da rappresentarsi alla presenza Augustissima Cesarea
Cattolica Real Padronanza da una compagnia di cavalieri, Vienna, Andrea Heyinger,
1726.
Caldara, Antonio, Ormisda,
Re di Persia, (Österreichische Nationalbibliothek, Vienna (A-Wn):
Mus.Hs.1825).
Cellot, Louis, Opera poetica,
Paris, Cramoisy, 1630.
[Cellot, Louis], Argomento e scenario del Cosroe, tragedia italiana da recitarsi nel Seminario Romano
nelle correnti vacanze del Carnevale da Convittori delle Camere Maggiori,
Roma, Ignazio de’ Lazzari, 1662.
Corneille, Pierre, Nicomède,
Paris, Charles De Sercy, 1651.
Erodoto, Storie,
a cura di Luigi Annibaletto,
Milano, Mondadori, 1982.
Forcellini, Marco,
Diario zeniano,
a cura di Corrado Viola, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2012.
Franchi, Saverio, Drammaturgia romana, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, 1988.
Gallarati, Paolo, Musica e maschera. Il libretto italiano del Settecento, Torino,
EDT, 1984, pp. 14-18
Gutiérrez Carou, Javier, La Griselda zeniana fra opera
in musica e teatro di prosa: verso un’edizione comparativa, in «Levia Gravia. Quaderno annuale di letteratura italiana», XV-XVI
(2013-2014) [= «Umana cosa è avercompassione degli afflitti...».Raccontare,
consolare, curarenella narrativa europeada
Boccaccio al Seicento], pp. 563-574.Lucchini, Antonio Maria, Farnace, drama per musica da rappresentarsi nel
Teatro di Sant’Angelo nel carnovale dell’anno 1726,
Venezia, Marino Rossetti, 1726 [ma 1727]).
Ingrao,
Charles W.,
The
Habsburg Monarchy, 1618-1815,
Cambridge, Cambridge University Press, 2000
L’Epistolario, ossia scelta di lettere inedite
famigliari curiose erudite storiche galanti ecc. ecc. di donne e d’uomini
celebri morti o viventi nel scolo XVIII o nel MDCC, Venezia, Graziosi, 1795.
Levy, Jean-François, Apostolo Zeno et ses
sources françaises: le procédé du collage dans Venceslao (1703), «Chroniques italiennes», 77/78, 2-3,
2006, pp. 47-65.
Marco Giuniano Giustino, Giustino
Historico Illustre ne le Historie Esterne di Trogo Pompeo,
tradotto dal Sig. Bartolomeo Zucchi da
Monza, Venezia, Muschio, 1590.
Metastasio, Pietro
[Artino Corasio], Siroe Re di Persia, Drama per musica da rappresentarsi nel
famosissimo teatro Grimani nel carnevale dell’anno 1726, Venezia, Marino Rossetti, 1726.
————————, Tutte le opere, a cura di Bruno
Brunelli, Milano, Mondadori, 1947-1954.
————————, Drammi per musica, a cura di Anna Laura Bellina, Venezia,
Marsilio, 2002.
Orlando, Francesco,
Rotrou. Dalla tragicommedia alla tragedia,
Torino, Bottega d’Erasmo, 1963.
Paratore, Ettore,
Studi su Corneille,
Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1983.
Rotrou, Jean, Cosroès. Tragedie de Monsieur De Rotrou, Paris, Anthoine
De Sommaville, 1649.
Sala Di Felice, Elena,
Alla vigilia del Metastasio: Zeno, in
Metastasio, Atti del convegno dell’Accademia
Nazionale dei Lincei, Roma, 25-27 maggio 1983, Roma, Accademia Nazionale dei
Lincei, 1985, pp. 79-109.
Sala Di Felice, Elena,
Zeno: da Venezia a Vienna. Dal teatro impresariale al teatro di corte, ne L’opera italiana a Vienna prima di Metastasio, Atti del convegno
internazionale di studi promosso dalla Fondazione Giorgio Cini, Venezia, 10-12
settembre 1984, a cura di Maria Teresa Muraro, Firenze, Olschki, 1990, pp.
65-114.
Sozzi, Lionello,
Da Metastasio a Leopardi: armonie e
dissonanze letterarie italo-francesi, Firenze, Olschki, 2007.
Stiefel, Arthur Ludwig, Jean Rotrous
«Cosroès», seine Quellen und Nachahmungen,
Berlino, Wilhelm, 1901.
Teofane il Confessore, Theophanis Cronographia, ex
recensione Ioannis Classeni, da Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, Bonn,
Weber, 1839.
Tilley, Arthur, From Montagine to Molière, Cambridge, Cambridge
University Press, 1923.
Tasso, Torquato,
Gerusalemme
liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, Rizzoli, 2010.
Vitucci, Giovanni,
Il regno di Bitinia, Roma,
Signorelli, 1952.
von Schlegel, Wilhelm August, Corso di letteratura
drammatica, con note di Giovanni Gherardini, Milano, Giusti, 1817
Zonara, Giovanni, Historie di Giovanni Zonara
Monaco, Venezia, Giolito De’ Ferrari, 1564.
[1] Lettere di Apostolo Zeno Cittadino Veneziano, Istorico
e Poeta Cesareo, cit., vol. VI, pp. 286-288.
[2] Sul rapporto tra le
opere zeniane e l’edizione Gozzi si veda anche Javier Gutiérrez Carou, La Griselda zeniana fra opera in musica e teatro di prosa: verso
un’edizione comparativa, «Levia Gravia. Quaderno
annuale di letteratura italiana», XV-XVI (2013-2014) [= «Umana cosa è avercompassione
degli afflitti...».Raccontare, consolare, curarenella narrativa europeada
Boccaccio al Seicento], pp. 563-574, dove viene citata la lettera di
Gozzi all’abate Luigi Pomo del 22 giugno 1744 : «Il Sig.r
Appostolo Zeno vuol fare una raccolta de’ suoi drammi, e pubblicarla. L’età sua
non gli concede questa fatica e l’ha data a me; io m’ingegno con tutto lo
spirito perché ne riesca un[a] polita edizione, e già s’è cominciato a darla
alla stamperia, e ne vedrete in breve il saggio, se di ciò vi curate». Anche
per quanto riguarda l’Ormisda, Gozzi
ha come si è detto dimostrato di non considerare le edizioni relative alle
rappresentazioni successive alla 1721, confermando l’orientamento seguito per
il resto delle Poesie drammatiche.
[3] Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, cit., 1744, vol. 4, pp. X-XI.
[4] Ivi, p. XIII.
[5] Ivi, pp. XIII-XIV.
[6] Cfr. le note sulle arie bipartite
in Zeno contenute in Paolo Gallarati,
Musica e maschera. Il libretto italiano
del Settecento, Torino, EDT, 1984, pp. 14-18.
[7] Artabano: Non il padre di Artenice ma probabilmente il suo avo
più illustre, quell’Artabano III che regnò sui Parti
dal 10 d. C. al 38 d. C., depose Vonone I e conquistò
l’Armenia dove questi si era rifugiato, mettendo sul trono il figlio Arsace.
[8] Armenia: la
grande regione del Caucaso negli anni in cui è ambientato l’Ormisda era
divisa in due: da una parte l’Armenia bizantina, dall’altra l’Armenia persiana,
molto più grande e sotto la corona della dinastia Sasanide. Dopo essere stata
in buona parte strappata ai re persiani dall’imperatore Maurizio e poi Eraclio
(egli stesso di origine armena), verrà infine conquistata dal califfato arabo
nel 645 d.C.
[9] il lieto giorno è questo: la centralità di Artenice nel dramma è immediatamente
evidente dalla sua apertura con l’incoronazione, dove i due troni (identici,
poiché non diversamente connotati dalla didascalia) sono uno di fronte all’altro
e Ormisda che, pur egli stesso re, attende il «reale assenso» della
principessa. Non stupisce che il dramma abbia potuto essere presentato proprio con
il titolo Artenice per la rappresentazione torinese del 1723.
[10] arbitra di me stessa: Artenice
non accetta intermediari e sa quando dover soffocare i suoi «chiusi affetti»,
opponendosi a Palmira con fermezza, ma soprattutto è la sua essenza di regina e
sovrana assoluta a darle un’inedita indipendenza.
[11] per lei giuriamo ossequio, amore, e fede: di questo verso si ricorderà probabilmente Metastasio
per l’azione sacra Gioas Re di Giuda:
«E voi giurate, amici, protesi al regio piede / ossequio, amore, ubbidienza e
fede» (Gioas Re di Giuda, seconda
parte, in Tutte le opere di Pietro Metastasio, a cura di Bruno Brunelli,
Milano, Mondadori, 1965, vol. 2, p. 676).
[12] a custodir le leggi: più
avanti (II.4.3) Cosroe non esiterà a tacciare Ormisda
di essersi fatto «arbitro» e non «custode» della corona. Subito dopo aver
proclamato la natura assoluta del potere di Artenice, Zeno lo tempera
ricordando che non va gestito con protervia, ma con senso di responsabilità. Come scrisse Bodin, il massimo
teorico dell’assolutismo monarchico, «durante il periodo in cui tengono il
potere, non si può dar loro il nome di prìncipi sovrani, perché di tale potere
essi non sono in realtà che custodi e depositari fino a che al popolo o al
principe, che in effetti è sempre rimasto signore, non piaccia di revocarlo» (Jean
Bodin, I sei
libri dello Stato, a cura di Margherita Isnardi Parente, Torino, UTET,
1964, libro I, cap. 8, p. 345).
[13] auree maniglie: le
armille (da armus, ‘omero’; erano bracciali
che venivano indossati dai guerrieri romani come simbolo di valor militare).
[14] ricco lucente acciaro: l’acinace era la tipica spada persiana, di origine
scita, cui l’aspetto più caratteristico era probabilmente il ricco fodero
decorato. Era anche l’oggetto di doni regali e sacri, come racconta anche
Erodoto (Storie, VII, 54): «Quando il sole spuntò, Serse, facendo
libagioni in mare con una coppa d’oro, pregò, rivolto all’astro, che nessuna avversità
lo cogliesse tale da fargli rinunciare ad assoggettare l’Europa, prima di
essere giunto agli estremi confini di questo paese. Dopo aver rivolto la sua
preghiera gettò nell’Ellesponto la coppa, un cratere d’oro e una spada persiana
che chiamano “acinace”» (trad. di Luigi Annibaletto).
[15] il Ponto: la
guerra romano-persiana del 572-591 è in Zeno del tutto stilizzata, alludendo a
una generica ribellione del Ponto e della Media, risolta da Cosroe.
Il riferimento può essere all’origine del conflitto, quando gli Armeni,
sobillati dai Romani, si ribellarono contro la Persia e fu Cosroe
I (padre di Ormisda) a riportare la calma nella regione, oppure a uno dei tanti
scontri minori degli anni successivi, fino a quando Cosroe
II chiese aiuto all’imperatore bizantino Maurizio per riappropriarsi del trono
dando così di fatto origine a un periodo di pace. La vicenda politica è
comunque tutta interna e manca l’incombere della potenza romana tanto cruciale
sia in Rotrou che in Corneille.
[16] gran cori: non potendo attaccare Cosroe,
eroe magnamimo per antonomasia del dramma, Palmira
può suggerire quello che, in effetti, è il difetto del figlio primogenito di
Ormisda: la sua hybris, che però, al contrario delle allusioni della
regina, mai supererà il rispetto della legge (intesa anche nella sua origine
divina, come dimostra la pietà nel rituale di Mitra) e del padre.
[17] non il padre, ma il re: per la prima volta viene espresso nei suoi termini
essenziali il dilemma di Ormisda durante il dramma. La sua indecisione di fondo
deriva dall’incapacità di sottrarsi al richiamo dell’uno e dell’altro polo. Si
tratta, comunque, di una situazione diversa sia da quella di Prusia in Corneille —dove diventa
cruciale anche la questione politica dell’alleanza con Roma— che quella del Cosroe di Rotrou, perennemente
ossessionato dalla colpa del parricidio perpetrato per salire al trono e in
attesa quasi preveggente di subire la stessa sorte per mano del figlio. Ormisda
è una figura di spessore inferiore, senza ulteriori sfaccettature a mutarne o
perlomeno ad attenuarne la natura di uomo in balia della propria moglie. Da
segnalare che nel Cosroe
del 1723 (III.7) il monologo di Ormisda fa una concessione alle atmosfere
macabre e d’oltretomba di Cellot, con l’apparizione
del fantasma della prima moglie del re, madre di Cosroe.
[18] base al regno: cfr. Pirro
IV.2, «base ad un trono».
[19] né vien reo chi è vincitor: Arsace ha ben poco in comune sia con Mardesane che con Attalo, ed è figura che appare —come del
resto il padre— dominata dagli affetti; non è sua priorità la gloria, tranne
quando questa diventa essenziale per provare di essere degno di Artenice. Verso
Cosroe non c’è mai una parola di risentimento.
[20] Perdona: Cosroe fa appena in tempo a
pronunciare tre parole ed è subito interrotto da Artenice, che ha atteso
proprio la sua comparsa per dichiarare i suoi sentimenti: l’amore per Arsace e la ferma estraneità alla scelta dell’erede. È
interessante notare però come sia proprio Artenice a suggerire la possibilità
che Ormisda decida di dare lo scettro ad Arsace.
[21] l’Armenia: in
realtà, nel 591 —anno in cui Ormisda perse il trono e la vita— l’Armenia era
passata in gran parte a Bisanzio, come premio offerto da Cosroe
II per l’aiuto portato dall’imperatore Maurizio nelle questioni interne.
[22] Serve la legge al re: questo
scambio tra Ormisda e Palmira deriva direttamente dalle problematiche legate al
rapporto tra giusnaturalismo e assolutismo, mostrando come la degenerazione di
un sovrano del tutto solutus legibus porti alla tirannide.
[23] disio mi allontanò: cfr.
Corneille, Nicomède, II.2: «La seule ambition
de pouvoir en personne / mettre à vos pieds, seigneur, encor une couronne».
[24] si puniria
di morte: «Et tout autre que vous, malgré cette conqueste,
/ revenant sans mon ordre eust payé de sa teste» (Nicomède,
II.2).
[25] Tauri: Tauri, o Tauris, era il modo
con cui gli Europei chiamavano l’odierna città di Tabriz, una delle maggiori
dell’Iran. La fondazione di Tauri risale, secondo alcune fonti, proprio al
settimo secolo e all’era sasanide. La capitale dell’impero allora era in realtà
Ctesifonte.
[26] goccia: respiro.
[27] tiranna degli affetti: cfr.
Metastasio, Ezio, I.7: «Importuna grandezza, / tiranna degli affetti».
[28] In te, regina, il grado eccelso onoro: «Je vous honore en reine, ainsi
que je le doi» (Rotrou, Cosroès,
I.1).
[29] regnerà Arsace, o morirà Palmira: tutta questa scena ha come chiaro modello la prima
della tragedia di Rotrou, e di alcune parti, come
questo verso, è quasi traduzione letterale: «Mais je periray,
traitre, ou mon fils regnera»
(Rotrou, Cosroès, I.1).
[30] Convien dunque ch’io cada; / e che impotente sia / questo cor, questo braccio, e questa spada: traduzione da Rotrou «Il faut donc que
ce fer me devienne inutile,
/ ce coeur sans sentiment, et ce bras immobile» (Cosroès, I.1). Nella scena successiva, in Rotrou solo Mardesane equivoca il
significato della mano di Siroe sulla spada, mentre
in Zeno sia Ormisda che Arsace assistono al gesto.
[31] Correggo l’a parte che in PA riguarda tutto il verso, ma che anche
secondo VG non comprende «Cosroe voleva».
[32] sola / dà
Palmira le leggi: «Ne luy
laisse de roy, que le sang, et le nom; / le credit d’une femme, en à tout l’exercise, / toute la Perse agit, et meut par son caprice» (Cosroès, I.3).
[33] Se nol rapisci/
ti è rapito il diadema: cfr. Cosroès, I.3, «Ravissez vostre bien, qu’on ne vous le ravisse». Questa scena e quella successiva vengono sempre rimosse
dalle rappresentazioni dell’Ormisda dal 1722 in poi, ricomparendo soltanto
con l’edizione Gozzi.
[34] Ed è impietà voler cacciarne un padre: «Mais en chasser un père, est une impieté» (Cosroès, I.3). Il dilemma di Siroe
in Rotrou è molto più profondo e porterà alla
conclusione luttuosa della tragedia, mentre per Cosroe
la tentazione di impadronirsi con la forza di ciò che gli appartiene
legittimamente è di assai breve durata.
[35] Quando può prevenir, vile è chi attende: «Quand on peut prevenire, c’est foiblesse d’attendre» (Cosroès, I.3).
[36] il comando real nome alla colpa: Erismeno e Palmira
ribadiscono, nel loro dialogo, il pericolo di personalizzazione estrema del
potere da parte del sovrano assoluto, che porta alla tirannide.
[37] un eccesso crudel con altro
eccesso: cfr.
Metastasio, Artaserse, I.4: «Serve di grado / un eccesso talvolta a un
altro eccesso». Il verso ritorna anche in una commedia in prosa del Borosini rappresentata a Vienna nel 1726, Il Cavalier
Bevagna: «non dovevate mai vendicare un eccesso crudele con altro eccesso»
(III.7; Francesco Borosini, Il Cavalier Bevagna, commedia da rappresentarsi alla presenza
Augustissima Cesarea Cattolica Real Padronanza da una compagnia di cavalieri,
Vienna, Andrea Heyinger, 1726).
[38] Dio del giorno: il rito in onore di Mitra arriva direttamente dall’apertura
del quarto atto in Cellot, non comparendo in Rotrou né, ovviamente, in Corneille,
che sposta in altro contesto la vicenda: «Mithra divum, Mithra mundi, Mithra Persarum decus, / tuque belli diva praeses laeta Persas
Aspice» (Chosroes, IV.1). C’è però
probabilmente anche un ricordo del Pirro: «Spirto degli elementi, alma
del mondo / riverente ti adoro; e al tuo gran nume / queste del fier Macedone già vinto / spoglie guerriere, alti trofei di
gloria, / il regnante di Epiro, / il figliuolo di Eacide,
divoto / fra il sangue, e l’armi a te consacra in
voto» (Pirro, I.1).
[39] Mitra invitto: in
realtà la situazione religiosa era tutt’altro che omogenea nell’impero
persiano, tanto più che la prima moglie di Cosroe era
cristiana, così come la maggior parte dell’Armenia. Mitra, dio solare per
eccellenza, rimaneva comunque la più importante divinità persiana.
[40] un sasso: la rappresentazione
tradizionale di Mitra vede il dio emergere da una roccia, già adolescente, con
il cappello frigio, il pugnale in una mano e una torcia nell’altra.
[41] d’ostro: di
porpora.
[42] da più lustri: Ormisda IV regnò dal 579 al 590 d. C.
[43] crudel parricidio: anche se in realtà la possibilità di un parricidio non è mai realmente
tangibile, e anche Mitrane, nel consigliare Cosroe, è
molto vago, il ricordo della vicenda storica —del resto già adombrata nell’Argomento— e della trattazione di Rotrou ritorna nelle parole di Ormisda.
[44] Sulle mie labbra: è il momento più alto della regale assunzione di
responsabilità da parte di Artenice: a un passo dalla corona, che viene offerta
spontaneamente offerta da Ormisda, e dalla possibilità di scegliere Arsace come sposo, la fanciulla dà al re prima di tutto una
vera lezione di realpolitik, mostrandosi attenta agli umori del popolo e
conscia del favore di cui gode Cosroe; poi rinuncia
non alla sua prerogativa regale —torna in Armenia a dare le leggi, come il suo
avo Artabano— ma a un potere che non le appartiene,
il tutto per la propria maggiore gloria. Gloria e virtù sono sempre i motivi
dell’azione di Artenice, con l’amore relegato in secondo piano.
[45] che mi cal di grandezza: al contrario di Artenice, per Arsace
la principessa è l’unico obiettivo, e l’ambizione di regnare non fa parte del
suo carattere: «suddito nacqui, e il sono», ricorda poche battute più tardi.
[46] arbitro, ma custode: passaggio fondamentale, che chiarisce non solo l’operato
di Cosroe ma il ruolo della regalità come viene trattato
nell’Ormisda: la fedeltà alla legge, e ancora più in alto all’investitura
divina, deve essere assoluta, né c’è discrezionalità per chi, in un determinato
momento, è il titolare di questa potestà. Cfr. anche Pirro, I.7: «più
che suo possessor, ne fui
custode», e III.1: «te ne fecer custode, e non
sovrano».
[47] deluso:
ingannato.
[48] stupida: stupita.
[49] disdir:
ritrattare quanto detto. Cfr. Nicomède, IV.2: «Il faut sous les tourmens que l’imposture
expire».
[50] la sua sincerità sarà sua colpa: «Quoy, seigneur,
les punir de la sincerité»
(Nicomède, IV.2).
[51] Leon feroce: l’aria
verrà integralmente riprodotta nella dodicesima scena del secondo atto nel Farnace musicato da Vivaldi, su libretto di
Antonio Maria Lucchini, rappresentato a Venezia per il Carnevale del 1727 (Antonio Maria Lucchini, Farnace, drama per musica
da rappresentarsi nel Teatro di Sant’Angelo nel carnovale
dell’anno 1726, Venezia, Marino Rossetti, 1726 [ma 1727]).
[52] Ostane: capo
delle guardie di Ormisda (residuo dell’Araspe di Corneille).
[53] cieca torre: cfr. Il
falso Tiberino, II.14: «Traggasi in cieca torre,
e colà gema / sotto il terror de’ ceppi e della
scure».
[54] Se scorger
vuoi tutto in tumulto, e in armi: «Si vous voulez (grand roy) voir le peuple en
courroux» (Cosroès, II.1).
[55] or regnante, or marito, or genitore: in struttura chiastica, rimanda direttamente a II.7.3:
«Oh non padre, oh non sposo, oh re non fossi!». Si confronti con la battuta di Nicomede
in Corneille: «Un veritable
roy n’est ny mary, ny père»
(Nicomède, IV.3).
[56] non in quel di regina: ancora
una volta la distanza tra Artenice e Arsace è l’impossibilità,
per la prima, di rinunciare alla sua natura regale e quindi di curarsi soltanto
di coronare il proprio sogno d’amore.
[57] Qualor tua virtù non vi si opponga: l’astuto Mitrane sa esattamente quali sono gli
argomenti ai quali è sensibile Artenice, e infatti quando questa si recherà in
prigione da Cosroe negherà —proprio per la sua
maggior gloria— la possibilità di sposare Arsace, una
volta fatto uccidere da Ormisda il primogenito. Qualsiasi breve esitazione data
dalla prospettiva di avere Arsace è presto tacitata.
[58] moverò Arsace, e tu dispon
il campo: anche
nei confronti dell’amante, trattato alla stregua di una pedina, il piglio di
Artenice è quello della sovrana e del capo militare, disposta anche, se
necessario, all’uso della forza.
[59] un re marito: la battuta sprezzante di Artenice dimostra la sua
maggiore attitudine a governare rispetto ad Ormisda, che non esita a violare le
leggi umane e divine per compiacere i suoi affetti, cioè Palmira; esattamente
il contrario di ciò che vuole evitare la principessa d’Armenia acconsentendo al
matrimonio con l’amato.
[60] Libici mostri: in
quanto considerata estremo occidente, la Libia era tradizionale dimora di
mostri, come Anteo o il drago che custodiva il Giardino delle Esperidi; cfr. Gerusalemme
Liberata, XV, 25: «Risponde: “Ercole, poi ch’uccisi i mostri / ebbe di
Libia e del paese ispano”».
[61] giovane ancora sei: sei poco esperto: cfr.
Corneille «Vous êtes peu du monde, et savez mal la
cour» (Nicomède, III.8).
[62] non so d’esser che sposo: in tre
battute è definita l’essenziale contraddizione di Ormisda: marito, quando c’è
Palmira; padre, quando non è presente: ma in ogni caso «re nato a servir»,
schiavo dei suoi affetti.
[63] e con me Cosroe i Persi: si definisce qui quella che poi sarà la soluzione del
dramma, che Cosroe non potrà accettare fin quando non
avrà constatato il valore che anima Artenice e, in seconda battuta, Arsace.
[64] Di lui son padre, e giudice: cfr. II.4.14-15: «in avvenire, non più marito, e padre, / ma sol
giudice, e re». Il tentativo di Ormisda di scindere le proprie nature ha avuto
breve durata, così come la sua decisione di comandare l’esecuzione di Cosroe cambierà pochi istanti dopo averla presa.
[65] non ha colpa, o l’ha da grande: la magnanimità e la hybris di Cosroe
sono qui fieramente rivendicate dal principe stesso, ma sempre nei limiti della
fede e del rispetto.
[66] quanto feroce tiranneggi un core: «Tout est trop excusable en un
amant jaloux» dice Arsinoe
in Nicomède IV.2.
[67] mai non parlò,
qual tu, regina, in mio: cfr. ancora
Nicomède IV.2: «Que la reyne a pour moy des bontez, que j’admire».
[68] sempre il perfido è ingrato: «Ingrat! Que
peux-tu dire?» (Nicomède, IV.2).
[69] e Cosroe in re si acclama: cfr. Metastasio, Siroe,
III.3: «[...] e s’ode in un momento / di Siroe il
nome in cento bocche e cento».
[70] Risolviti, o sire: Mitrane
ed Erismeno, in quanto confidenti, da un punto di
vista drammaturgico hanno la stessa funzione, e si comportano in modo
speculare; ad esempio qui, con Erismeno che invita
Ormisda a troncare gli indugi così come aveva fatto Mitrane con Cosroe nel primo atto.
[71] Della cittade / provvedi: anche le prerogative più
preziose e irrinunciabili del re, quelle di difendere la città e il palazzo,
vengono delegate a Palmira.
[72] ferro, o velen: la scelta classica tra l’avvelenamento e il suicidio
con pugnale era stata offerta anche da Sira a Siroe
imprigionato in Rotrou: «choisisse,
en l’un des deux, l’instrument de sa perte» (Cosroès, III.1).
[73] e chi le fa, in arena: si tratta di un proverbio piuttosto comune (secondo la
tradizione, Doni e l’Aretino erano solito porlo in calce ai loro ritratti, come
riporta ad esempio la vita del Bongi; cfr. Anton
Francesco Doni, I
Marmi, Firenze, Barbera, 1863, vol. 2, p. LVI).
[74] regio impronto: anche
Emira nel Siroe chiede il «regio impronto» a Cosroe per revocare la sentenza di morte per Siroe (Siroe, III.3).
[75] sia di virtù, sia di dover: il discorso di Artenice è un piccolo capolavoro di retorica, che cerca
di toccare tutti i tasti più sensibili di Cosroe: la
fedeltà al dovere e alla virtù, e —ancor più che l’amore— la gloria che si
merita Artenice. Un’argomentazione del genere può ben far leva sul fiero
principe.
[76] La gloria mia: ancora una volta Artenice non ha dubbi: da vera
regina, tra la propria gloria e i suoi affetti, non esista a scegliere i primi.
[77] il dover mio: grazie
al nobile gesto di Arsace, il dovere —oltre ai suoi
diritti— torna a occupare una posizione predominante nelle priorità di Cosroe, in modo speculare rispetto al personalismo di
Artenice; ma nei ceppi non può esprimerlo ancora.
[78] Ma por tentasti in su quel trono Arsace: cfr. «Mien, quand vous pretendés, y placer vostre fils» (Cosroès,
III.3).
[79] Sire, soffri, che umile: nelle
scene precedenti la decisione di Cosroe, con i suoi
continui richiami alla necessità di vendetta (e con Mitrane a spronarlo a non
cedere alla pietà), sembrava già presa; la pietà filiale attenua però la
determinazione di Cosroe. Da notare che anche in Rotrou è la visione del padre a muovere a pietà Siroe e a convincerlo —ormai troppo tardi— a ritornare sui
suoi passi, dopo che ha già deciso il destino di Sira e di Mardesane;
qui, invece, l’incontro con il padre avviene prima, quando ancora non sono
state prese decisioni irreparabili.
[80] Sul labbro di Artenice: è
naturalmente la chiave della risoluzione del dramma, visto che Arsace, legato da giuramento, non può dire quanto ha visto.
La provvidenziale confessione in punto di morte (sulla quale, a rigore, si
potrebbe avere perfino qualche dubbio, conoscendo la pragmaticità di cui ha già
dato mostra Artenice) scagiona Cosroe dalla sua
colpa; colpa che, in assenza di una reale volontà di impadronirsi del trono da
parte di Arsace, era l’ultimo nodo ancora da
sciogliere.
[81] avrò in Cosroe,
tel giuro, un altro figlio: «Et je croiray gagner en vous un second fils» (Nicomède,
V.9).
[82] Cosroe sottentri: sventato il parricidio, che durante il dramma non è stato, del resto,
altro che un’eco lontana della vicenda storica, può avvenire il passaggio
incruento di potere da Ormisda, dichiaratamente stanco —e non più degno, si
sottintende, di essere il ‘custode’ della corona— a Cosroe,
che generosamente concede (in verità ancora prima di ricevere l’investitura
ufficiale dal padre) al fratello una parte di quanto gli spetta. Cfr. Siroe, III.16: «Passi dal mio / su quel crin la corona. Io stanco alfine / volentier
la depongo».
[83] Sic.
[84] Per quanto riguarda la trascrizione di questo testo – molto distante da quello zeniano in quanto non solo di ben altra paternità, ma anche infarcito di secentismi, grafie arcaiche e sgrammaticature – ho optato per un leggero ammodernamento, soprattutto grafico, mirato a migliorare la fruibilità e leggibilità, con l’eliminazione degli evidenti refusi, delle maiuscole, dell’h etimologica o paretimologica; sono stati corretti gli accenti e la punteggiatura, facendo la distinzione tra u e v secondo l’uso moderno.