Apostolo Zeno

 

Ormisda

(Cosroe)

 

a cura di Giordano Rodda,

con una prefazione di Alberto Beniscelli

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

lineadacqua edizioni

 

2017

 

 

 

Apostolo Zeno

Ormisda (Cosroe)

a cura di Giordano Rodda, con una prefazione di Alberto Beniscelli

 

 

Ó 2017 Giordano Rodda, Alberto Beniscelli

Ó 2017 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 19

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

www.usc.es/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.es

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-70-3.

 

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano II: base de datos y biblioteca pregoldoniana (ARPREGO II: FFI2014-53872-P), finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome del curatore e del prefatore, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione del curatore, del prefatore e del direttore della collana.

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana (I dintorni), nº 19

 

 

Nota al testo

L’edizione originale dell’Ormisda è quella viennese del 1721, presso Van Ghelen, seguita da diverse altre rappresentazioni italiane con relativi libretti fino all’edizione gozziana, di cui si dà indicazione qui di seguito:

VG = «ORMISDA | DRAMMA | PER MUSICA, | DA RAPPRESENTARSI | NELLA CESAREA CORTE | PER | IL NOME GLORIOSISSIMO | DELLA | SAC. CES. E CATT. REAL MAESTA’ | DI | CARLO VI. | IMPERADORE | DE’ ROMANI, | SEMPRE AUGUTSO [sic]. | PER COMANDO DELLA | SAC. CES. E CATT. REAL MAESTA’ | DI | ELISABETTA | CRISTINA | IMPERADRICE REGNANTE, | L’Anno M DCC XXI. | La Poesia è del Sig. Apostolo Zeno, Poeta, ed Istorico di | S. M. Ces. e Catt. | La Musica è del Sig. Antonio Caldara, Vice-Maestro di | Cappella di S. M. C. e Catt. | [filetto] | VIENNA d’AUSTRIA, | Appresso Gio. Pietro Van Ghelen, Stampatore di Corte | di Sua M. Ces. e Cattolica.»

 

MA = «ORMISDA | DRAMA PER MUSICA | Da Rappresentarsi | NEL TEATRO | MALVEZZI | La Primavera dell’Anno | M DCC. XXII.»

 

CO = «COSROE | Drama per Musica | DA RECITARSI | Nel Teatro Alibert pe’l Carnevale | dell’Anno 1723. | PRESENTATO | Alla Maestà | DI | GIACOMO III. | della Gran Brettagna. | [marca di Pietro Leone] | Si vendono nella Libraria di Pietro Leone a Pasquino | all’Insegna di S. Gio. di Dio. | [filetto] | In ROMA, nella Stamperia del Bernabò, 1723. | Con licenza de’ Superiori.»

 

AR = «ARTENICE | DRAMA | PER MUSICA, | Da rappresentarsi nel Regio Teatro di Torino. | L’Anno MDCCXXIII. | DEDICATO | A S. A. R. | CARLO EMMANUELE | PRINCIPE DI PIEMONTE &c. | [stemma di Carlo Emanuele III] | IN TORINO. | Per Pietro Giuseppe Zappata Stampatore delle | Regie Gabelle, e dell’Illustriss. Città.»

 

FA = «ORMISDA | DRAMA PER MUSICA | DA RAPPRESENTARSI | Nel Teatro del Falcone la Primavera | dell’Anno 1723. | DEDICATO | Alla Nobilissima Adunanza | DELLE DAME, E | CAVAGLIERI. | [illustrazione] | IN GENOVA, | [filetto] | Nella Stamperia di Giovanni Franchelli. | Con licenza de’ Superiori.»

 

CA = «ORMISDA | DRAMMA PER MUSICA | Da Rappresentarsi | NEL TEATRO TRON | A’ SAN CASSIANO | NEL CARNOVALE DELL’ANNO | 1728. | [filetto] | IN VENEZIA, MDCCXXVIII. | Appresso Marino Rossetti in Merceria | all’Insegna della Pace. | CON LICENZA DE’ SUPERIORI.»

 

HA = «ORMISDA, | AN | OPERA. | As it is performed at the | KING’s THEATRE, | IN THE | HAY-MARKET. | [filetto] | [illustrazione] | [filetto] | LONDON: | Printed by A. Campbell. M.DCC.XXX.»/«ORMISDA, | DRAMA. | Da Rappresentarsi | Nel REGIO TEATRO | d’HAY-MARKET. | [illustrazione] | In LONDRA: | Per A. Campbell. M.DCC.XXX.»

 

            Per l’edizione dell’Ormisda, si è utilizzata come lezione a testo quella dell’edizione curata da Gasparo Gozzi nelle Poesie drammatiche di Apostolo Zeno in dieci volumi, quarto tomo, attenendosi ai criteri di trascrizione dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Gozzi, riportati in fondo a questo capitolo.

            Per quanto riguarda il testo raccolto da Gozzi, si tratta in massima parte dell’edizione VG con alcuni ammodernamenti, in particolare nei criteri grafici, e una sola battuta mutata (verso 1011). A proposito dell’opportunità relativa a tale scelta, vale la pena ricordare nella loro interezza le parole scritte da Apostolo Zeno nella ben nota lettera a Giuseppe Antonio Pinzi:

­­Se io fossi capace di concepir vanità per la composizione de’ miei drammi, e per la edizione che modernamente n’è stata intrapresa; la bella e affettuosa lettera di Vostra Signoria Molto Reverenda sarebbe sufficiente a risvegliare nell’animo mio que’ sentimenti di compiacenza dai quali esso è stato sinora lontano, e posso ancor dire, diverso affatto, e contrario. Mi sono lasciato indurre a soffrirne, non mai a permetterne, non che ad approvarne la piena raccolta, e la nuova pubblicazione; come appunto in certi pubblici abusi il Principe è costretto a valersi di tolleranza, senza mai darvi positivo assenso, e permissivo decreto. Più cose mi ritraevano dal voler ciò, e principalmente la necessità ch’io scorgeva in quei drammi di ritoccarli seriamente, dove né la fretta con cui dovetti idearli, e comporli, né il riguardo del luogo, e degli attori destinati a rappresentarli, mia aveano dato tempo, e lasciato modo di liberarli da quelle imperfezioni che per entro manifestamente, e a mente riposata vi ravvisava. Una tal revisione e correzione non sarebbe stata opera di poco fiato, né di poca considerazione: dal che mi rimovevano interamente, oltre all’età di molto e molto avanzata, le altre mie applicazioni, e molto più quel genere di vita che da più anni mi vuol tutto suo, e piaccia a Dio con che frutto. Se fosse stato possibile levarli affatto dal mondo, o dalla memoria degli uomini, l’avrei fatto assai più volentieri, anziché vederli con questa recente edizioni riprodotti, e in certo modo rinati. Il dignissimo Signor Conte Gasparo Gozi ha vinte in parte le mie ripugnanze, con esibirmi la sua assistenza, e la sua correzione in que’ luoghi, dove più manifestamente ne avesse scorto il bisogno, dimostrandomi che è assai minor male il rimetterli in vista col loro primiero abito e aspetto, che lasciarli nella difforme sconciatura con cui l’altrui petulanza e sciocchezza aveagli guasti e diffigurati; con pericolo che un giorno dopo la mia morte venissero in così sconcio arnese, e informe sembianza raccolti e divulgati. Non so se queste e altre ragioni fossero abbastanza valevoli ad espugnarmi: ma certo bastarono a fare che donassi tutto all’amico, riserbando per un’intera noncuranza del loro destino. E infatti non ho degnata neppure di un’occhiata, o appena alla sfuggita, la presente impressione; non ho il minimo senso del come verranno accolti dal pubblico; e solo non ho voluto che uscissero corredati della prefazione che nel primo tomo il Signor Conte Gozi avea disegnato di porvi: ma egli farà tutto acciocché esca in alcuno de’ susseguenti, e temo che nonostante il mio divieto, sarò tradito dall’amico, e dallo stampatore, che hanno sull’opera un intero arbitrio, essendomi in ciò spogliato interamente del mio. Dopo questa mia sincera dichiarazione, ella mi dirà un padre crudele e inumano verso questi che finalmente sono miei parti, i quali però di presente a me paiono aborti, per non dir mostri: onde in me destano piuttosto pentimento che affetto.[1]

 

            Saranno a questo punto ormai familiari le strategie di understatement relativo alla propria operazione drammaturgica da parte dello Zeno;[2] l’obiettivo di Gozzi, con l’accordo dell’ormai ex poeta cesareo, è del resto soprattutto filologico, cioè riportare alla forma originaria —a parte la «correzione in que’ luoghi, dove più manifestamente ne avesse scorto il bisogno»— opere che erano state alterate già a partire della seconda rappresentazione, come del resto era capitato all’Ormisda. In appendice riporto, con valore puramente documentario e a titolo di exemplum antologico delle vicissitudini abituali per un dramma di questo tipo, le principali variazioni apportate alle varie rappresentazioni dell’Ormisda: perfino, come si è visto, sullo stesso titolo, ridiventato nel 1723 Cosroe come in Cellot e Rotrou, oppure Artenice, per la rappresentazione torinese dello stesso anno, che peraltro non ha remore nell’aggiungere due personaggi di popolani completamente avulsi —per tono, contesto e funzione drammaturgica— all’opera del poeta cesareo, con tanto di scene a loro dedicate.

            Riguardo al timore di Zeno sulla prefazione (non sappiamo quanto sincero, né quanto poco informato dei fatti), si rivelerà comunque fondato: il primo volume delle Poesie drammatiche uscirà senza alcuno scritto gozziano, affidando l’esordio all’Ifigenia in Aulide, ma il quarto presenterà la prefazione del curatore. Il quarto è, tra l’altro, proprio il volume dell’Ormisda, collocato subito dopo l’introduzione di Gozzi, il quale illustra anche le sue preoccupazioni critiche e i criteri scelti per restituire l’originaria dignità al testo di Zeno. Dopo una nutrita rassegna di illustri pareri sull’opera zeniana, il curatore passa a infatti denunciare il costume per cui

mettendosi più volte i drammi d’un autore ne’ teatri, per fare qualche varietà, accomodare i maestri di musica, ed altre persone che in que’ luoghi o dipingono, o altri lavori anno, ed hanno capricci, e fantasia un mare, s’è preso uno spediente, di porre le mani ne’ lavori del poeta, e quelli allungare, accorciare, cambiarvi personaggi, aggiungerne, levarne via, far nuove canzonette, intere, per metà, e chi sa, e che non sa rappiastra, e malmena come può, o come gli è conceduto di poter fare dalla natura medesima della cosa: poiché posto che colui il quale questi ritoccamenti, o rappezzamenti fa, fosse persona di giudizio, e di dottrina quanto si vuole eccellente, non potrebbe far sì che il buono originale non peggiorasse.[3]

 

            La preoccupazione, continua Gozzi (echeggiando certo i sentimenti di Zeno verso i suoi ‘aborti’, di cui quindi seguiva attentamente le vicende, e sulla stregua dell’uguale scontento che costella, ad esempio, l’epistolario metastasiano), è che le versioni modificate dai musicisti vadano «in cambio d’originali per le mani di molti». Gozzi conferma la ritrosia del drammaturgo veneziano a un’edizione delle sue opere, includendo lo stralcio di una lettera al Muratori che lo stesso Zeno, a suo dire, gli allegava sovente; ma così come erano state tollerate le modifiche ai libretti senza particolari problemi («solea dire scherzando ch’essendo le sfacciate uscite in pubblico, non potea più negare che chi le volea se le prendesse, e scompigliasse parole, e concetti»),[4] un tale privilegio non poteva essere negato allo stesso Gozzi, per giunta con intenzioni ben più alte. Ricevuto finalmente l’assenso da Zeno, il curatore può quindi provvedere alla trascrizione:

Laonde io incontanente con ogni studio, e diligenza mi posi a ordinarle, e a cercar di darle fuori intere, e con la scorta de’ migliori originali, e il tutto feci in quella forma che potesse essere conveniente al desiderio di costoro che bramano la presente edizione, ed a lui, che di tal grazia mi fu cortese.[5]

 

            Gozzi fu di parola. A parte le rare eccezioni di cui si dà regolare conto in apparato, l’edizione 1744 dell’Ormisda è come detto sostanzialmente identica al libretto originale del 1721, con un ammodernamento grafico (come i legamenti di forme quali de la > della, a la > alla eccetera) e la caduta di alcune didascalie relative alla messinscena viennese, che nella presente edizione si sono mantenute nell’Apparato, rifacendosi in questo caso al libretto del 1721. In più, Gozzi nella sua edizione rimuove la ripetizione del verso primo alle fine delle arie col da capo, presente invece nel libretto del 1721; le arie dell’Ormisda sono comunque bipartite e posizionate, tranne rari cari, sempre in fine di scena, seguendo quelle linee di riforma poi ulteriormente perfezionate da Metastasio.[6] Per quanto riguarda la metrica del testo, sempre in ossequio alla volontà zeniana di elevare il dramma musicale alla nobiltà della tragedia senza assecondare il virtuosismo degli interpreti, il recitativo in endecasillabi e settenari mostra un’assai bassa frequenza di rima, concentrata più che altro nella chiusura delle battute più lunghe e significative; sono invece diffuse le parti dialogiche in brevi battute all’interno dello stesso verso, nella costante ricerca di un ritmo più vicino a quello del parlato. Notevole invece la polimetria delle arie, sempre con rima per la chiusura di strofa, dove si concentra l’impulso lirico del testo: quinari, senari, settenari (anche sdruccioli), ottonari, decasillabi, endecasillabi sono tutti assai frequenti, con i versi lunghi di norma prerogativa dei personaggi più regali (con l’eccezione di Artenice) e i parisillabi frequenti nel versificare sentenzioso, ma senza una rigida divisione del metro legata al personaggio o alla carica emotiva.

 

 

Apostolo Zeno

Ormisda

 

Argomento

In un altro dramma si son fatti vedere i buoni effetti dell’amicizia. In questo si è procurato di por sotto gli occhi i cattivi effetti dell’odio. L’argomento n’è stato somministrato dalla real casa di Ormisda re di Persia: principe che sarebbe stato meno infelice, se avesse saputo essere miglior padre. Indotto egli dall’amore, e dalle lusinghe della seconda sua moglie, che qui vien chiamata Palmira, si risolvette di portare al trono, anche sua vita durante, il suo secondo figliuolo, cui si dà il nome di Arsace, ad esclusione di Cosroe suo primogenito, ma natogli dal primo letto. Cosroe per se stesso d’animo fiero, e vie più in tale occasione da’ diritti della sua nascita, e dal favor delle leggi sostenuto, e assistito, non seppe sofferire una sì fatta ingiustizia. Col mezzo adunque de’ suoi partigiani riuscì ad esso lui di avere in sua mano il padre, la matrigna, e ‘l fratello, e d’impossessarsi della corona. I buoni trattamenti usati da lui nel cominciamento del regno, e poscia per qualche tempo verso del padre, han dato sufficiente motivo per chiudere il dramma diversamente da quello che nella storia si legge. Teofane, Zonara, ed altri parlano di questo fatto, per chi desidera d’esserne più diffusamente instruito. Gli amori generosi di Artenice, i raggiri di Mitrane, e i tradimenti di Erismeno servono a maggior viluppo della favola, che senza essi non si sarebbe potuta condurre al fine che se le è dato.

 

 

 

ATTORI.

 

ORMISDA,                 re di Persia.

PALMIRA,                  sua seconda moglie.

ARSACE,                    loro figliuolo, amante di Artenice.

COSROE,                   figliuolo di Ormisda, e d’altra sua prima moglie, amante anch’esso di Artenice.

ARTENICE,               regina di Armenia, amante di Arsace.

MITRANE,                 satrapo persiano, e capo dell’ambasciata armena, confidente di Cosroe.

ERISMENO,              altro satrapo persiano, confidente di Palmira.

 

L’azione si rappresenta in Tauri, città capitale della Persia.

 

 

 

                  ATTO PRIMO

 

 

                                    Piazza reale, riccamente apparata per la coronazione di Artenice, con due troni, l’uno rincontro all’altro.

 

                                   SCENA I

 

                                    Ormisda, Palmira, Artenice, Arsace, seguito di Persiani, popolo, e soldati.

 

            ormisda         O del grande Artabano,[7]

                                   che all’Armenia diè leggi, inclita figlia,[8]

                                   bella Artenice, il lieto giorno è questo[9]

                                   che por ti dee l’aurea corona in fronte,

5                                  e darti al popol tuo sposa, e regina.

                                   Te all’amor mio commise il re tuo padre,

                                   e che passi un mio figlio

                                   all’onor del tuo letto, è suo volere.

                                   Dal tuo reale assenso

10                                questo or si adempia, e regni

                                   di te, vergine illustre, il cenno altero

                                   sul perso insieme, e sull’armeno impero.

 

            artenice       Signor, posso a mio grado

                                   espor liberi sensi? E quei diritti

15                                che inspira a nobil’ alma

                                   il nome di regina, usar poss’io?

 

            arsace           (A parte) Da quel labbro dipende il viver mio.

 

            ormisda         Non hai di che temer. Parla, e il tuo regno

                                   cominci dal tuo cor.

 

            palmira                                              Ma ti sovvenga (piano ad Artenice)

20                                che Palmira ti ascolta,

                                   e che Arsace è mio figlio, e ch’ei ti adora.

 

            artenice       Ah! Di parlar, re, non è tempo ancora.

 

            ormisda         Qual rispetto ti affrena?

 

            palmira                                              Io del suo core

                                   interprete fedel...

 

            artenice                                           No. Di me stessa

25                                non v’ha chi meglio intenda

                                   miei chiusi affetti. A tempo

                                   gli svelerò. Qui non si scordi il grado.

                                   Oggi regina io sono,

                                   arbitra di me stessa, e salgo il trono.[10]

 

                                   (Al suono delle trombe ascende Artenice sul trono, servita da Arsace, e dall’altro canto vi ascendono Ormisda, e Palmira. Esce poi Mitrane con gli altri ambasciadori Armeni, i quali portano omaggio ad Artenice, ed uno in particolare di loro sostenta sopra un bacino d’oro la corona, e lo scettro)

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Mitrane, e i suddetti.

 

            mitrane         Te a noi dieder gli dii, regina eccelsa.

                                   Te a noi serbin gli dii. Duri il tuo regno

                                   co’ tuoi, co’ nostri voti.

                                   Ogni consiglio tuo regga virtude:

5                                  Fortuna ogni tua guerra:

                                   e de’ regi avi tuoi vinci le glorie.

                                   Questi forma per te prieghi sinceri

                                   la tua suddita Armenia; e noi, cui tocca

                                   l’alto onor di offerirti i primi omaggi,

10                                al tuo trono, al tuo piede

                                    per lei giuriamo ossequio, amore, e fede.[11] (novamente al suono delle trombe s’inginocchia Mitrane al secondo de’ gradini del trono, e preso dal bacino lo scettro, lo porge ad Artenice)

 

            artenice       Lieta in voi del mio regno

                                   gli omaggi accetto. Il cielo

                                   ne secondi gli auspici.

15                                Me attenta avrete a custodir le leggi,[12]

                                   più che a imporle sovrana. A voi miei fidi,

                                   arra sien del mio amor l’auree maniglie,[13]

                                   fregio al braccio guerriero; e tu, Mitrane,

                                   il cui senno, il cui petto

20                                tanto per me sostenne,

                                   questo di gemme, e d’oro

                                   ricco lucente acciaro al fianco appendi,[14]

                                   e mio campion, più la grand’alma accendi. (Artenice trattasi dal seno una picciol’arma dorata ed ingioiellata, detta dagli Orientali acinace, solita portarsi da’ re, e da’ maggior personaggi; la porge a Mitrane, che in ricevendola gliene bacia la mano. Escono nello stesso tempo quattro nobili Armeni, i quali portano in quattro bacini dorati sedici maniglie d’oro, dette armille, e le distribuiscono agli ambasciadori Armeni, i quali se le pongono al braccio destro)

 

            mitrane         Sì: tuo campion già sono.

25                                Bacio l’illustre dono;

                                   e il cingerò per te.

                                   Al manco lato appeso

                                   vi sentirà quel core

                                   che da’ tuoi raggi acceso

                                   arde di ossequio, e .

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Erismeno, e i suddetti.

 

            ormisda         Qui Erismeno?

 

            palmira                                  Che fia?

 

            erismeno       Domi i ribelli, e soggiogato il Ponto,[15]

                                   dal campo vincitor viene a’ tuoi piedi

                                   il tuo figlio real.

 

            palmira                                  Che? Cosroe?

 

            ormisda                                                        Cosroe?

5                                  Senza aspettar ch’io lo richiami? E prima

                                   del mio comando abbandonar le schiere?

 

            erismeno       Egli avrà sue ragioni.

 

            palmira          Tal, mio Ormisda, è il costume

                                   di que’ guerrieri eroi, di que’ gran cori[16]

10                                che pieni di se stessi,

                                   e dall’armi protetti, e dal lor fasto,

                                   ricusan dipendenza:

                                   non conoscon dover: non re: non padre.

 

            ormisda         Venga, ed in me ritroverà il superbo,

15                                non il padre, ma il re.[17]

 

            erismeno       (A parte)                       Cosroe è in periglio.

 

            arsace           Giusto, sire, è il tuo sdegno:

                                   ma Cosroe è base al regno, ed è tuo figlio.[18]

 

            palmira          Quando chiaro è l’error, vano è il consiglio.

 

            arsace           Dove è giudice il padre, il figlio tace.

 

20        artenice       Bella virtù, che m’innamora, e piace. (tutti scendono dal trono)

 

            arsace           Tacerò: ma a pro di un figlio (prima a Palmira, e poi ad Ormisda)

                                   virtù parli, e parli amor.

 

            palmira          Sua virtù si è fatta orgoglio.

 

            ormisda         E reo vien di un giusto sdegno.

 

25        arsace           Ma la gloria egli è del regno; (a Palmira)

                                   né vien reo chi è vincitor. (ad Ormisda)[19]

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Cosroe con soldati, e i suddetti.

 

            cosroe           Padre, e signor...

 

            artenice                               Perdona, (a Cosroe)[20]

                                   se interrompo il tuo dir. Parli Artenice,

                                   ed intrepida parli, or che è difesa (ad Ormisda)

                                   dall’aspetto di Cosroe.

5                                  Fosse tema, o rispetto,

                                   e tu, regina, il sai, feci a’ miei voti (verso Palmira)

                                   forza finora: al mio dover compiacqui:

                                   non era ancor regina: attesi; e tacqui.

 

            arsace           (A parte) Palpita amor.

 

            cosroe           (A parte)                       La sorte

10                                s’agita del cor mio.

 

            ormisda                                             Tuoi detti attendo.

 

            palmira          (A parte) Taccio a gran pena, e l’ire mie sospendo.

 

            artenice       Di vita il re mio padre

                                   uscì, me ancor fanciulla. Il terzo lustro

                                   compie oggi appunto. Ei ti commise, o sire,

15                                e l’Armenia, e Artenice.[21]

 

            ormisda                                             E fu sua legge

                                   che Artenice sia sposa

                                   di un mio figlio real.

 

            artenice                                           Ma di quel figlio,

                                   cui sul crin splenderà la tua corona.

20                                Quegli sarà mio sposo

                                    che tuo erede sarà. Non basta a lui

                                   il titol di tuo figlio.

                                   Ci vuol quello di re. Cosroe, ed Arsace

                                   son tua prole ugualmente.

25                                Hanno merto: han virtù: m’amano entrambi.

                                   Se dovesse il cor mio sceglier lo sposo,

                                   il ver dirò, tu lo saresti, Arsace.

 

            arsace           Care voci!

 

            artenice                               Ma Cosroe

                                   ha sul trono de’ Persi

30                                la ragion dell’età. Tu, che sei padre,

                                   del tuo scettro disponi. A me non lice.

                                   Frema quanto egli vuole

                                   l’amor mio generoso,

                                   il re che tu farai sarà mio sposo.

 

35                                            Sono amante, e sono figlia:

                                               ma quest’alma si consiglia

                                               col dover, non coll’amor.

                                               Sembra fasto, ed è rispetto

                                               ciò che svena un dolce affetto

40                                           Al voler del genitor. (si parte, servita a braccio da Cosroe, e

                                   da Arsace, e vien seguita da’ suoi Armeni)

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Ormisda, Palmira, e poi Cosroe, che ritorna.

 

            palmira          Mio consorte, mio re, da te dipende

                                   il destino di Arsace.

 

            ormisda         E di Arsace in favor vuoi da me infranta

                                   la giustizia, e la legge?

 

5          palmira          Serve la legge al re.[22]

 

            ormisda                                             Ma al re tiranno.

 

            palmira          Serva dunque alla legge il re che è giusto.

                                   Cosroe è reo di gran colpa, e dei punirlo.

 

            ormisda         Taci: egli riede.

 

            palmira          Arsace, ho core, ho ingegno:

10                                (A parte) son madre; e tua sarà la sposa, e il regno.

 

            ormisda         Dal campo, ov’eri duce,

                                   perché lontan?

 

            cosroe                                   L’armi di Ormisda han vinto.

                                   Il Ponto è tua provincia, e domi i Medi,

                                   quanto oprar potea Cosroe, ha tutto oprato.

15                                Dalle schiere oziose

                                    disio mi allontanò di porti a’ piedi[23]

                                    la novella corona,

                                    e di aver la mercé di mie fatiche

                                    dall’onor di un tuo amplesso.

 

20        ormisda         In ogni altro che in Cosroe, un tanto eccesso

                                   si puniria di morte.[24]

                                   In te a virtude, in te a natura il dono.

                                   Figlio, vieni al mio amplesso, e ti perdono. (lo abbraccia)

 

            palmira          (A parte) Vil padre, e reo marito!

 

25        ormisda         Ma dopo il mio perdon, Cosroe, paventa

                                   di provocar con altra colpa all’ire

                                    un amor che ti assolve. Il novo giorno

                                    fuor di Tauri ti vegga. Ozio può solo[25]

                                    al corso di tue glorie esser d’inciampo.

30                                Vuoi palme? Io te le appresto;

                                    ma i miei comandi attenderai nel campo.

 

            cosroe           Ubbidirò. Tornerò al campo, o sire;

                                   ma non senza Artenice. Ella è mia sposa.

                                   Tu sei sedotto da un amore ingiusto.

35                                Ma di Ormisda son figlio:

                                   son del regno l’erede; e non degg’io

                                   soffrir ch’altri mi usurpi

                                   ciò che per legge, e che per sangue è mio.

 

                                                Sino alla goccia estrema[26]

40                                            le mie ragioni al soglio,

                                                e quelle del mio amor difenderò.

                                                Quanto può s’armi, e frema

                                               odio, furore, orgoglio:

                                               orgoglio, odio, furor

45                                           col senno, e col valor confonderò.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Ormisda, e Palmira.

 

            palmira          Tanto ardisce il superbo,

                                   te presente, e te re?

 

            ormisda                                             L’indole è fiera:

                                   ma generoso il cor, l’animo eccelso.

 

            palmira          Scusalo pur. Ten pentirai, ma tardi.

 

5          ormisda         Che far poss’io?

 

            palmira                                 Nulla, o signor: lasciarlo

                                   che impunito egli corra,

                                   ove alterezza, ove furor lo spinge.

                                   Povero Arsace! Misera Palmira!

                                   Sarete ancor sue vittime innocenti.

 

10        ormisda         Palmira, anima mia, di che paventi?

 

            palmira          Eh! Sì teneri nomi

                                   non son più per Palmira. Il primo letto

                                   degno è sol del tuo amor. N’ebbe il secondo

                                   sol pochi, e freddi avanzi.

15                                Cosroe, che nacque al trono, è sol tuo sangue.

                                   Nacque il povero Arsace alla sfortuna

                                   di suddito, e di servo;

                                   e gran colpa è per lui l’esser mio figlio.

 

            ormisda         Con sì ingiuste querele il cor trafiggi.

20                                Cosroe è forse tuo re? Suo forse è il trono?

 

            palmira          Ma lo sarà. Lascia ch’io salvi Arsace   

                                   dal suo primo comando.

                                   Non ti chiede il mio pianto

                                    che a favor di una moglie

25                                contra un figlio crudel s’armi il tuo braccio.

                                   Chiede solo ch’io possa

                                   trarre i miei giorni in sicurtà di vita

                                   col caro Arsace. Un angolo di terra

                                   a me basta per regno. Oh! Là talvolta

30                                di te, Ormisda, mi giunga il dolce nome!

                                   Questo sia tutto il fasto mio. Se questo

                                   può turbar la tua pace,

                                   questo ancor niega. Ormisda

                                   a me rammenterò, mirando Arsace.

 

35        ormisda         Tu partir? Tu lasciarmi? È troppo ingiusto,

                                   mia cara, il tuo dolor. Serena il ciglio.

                                   Son re. Palmira è moglie. Arsace è figlio.

 

            palmira                      Moglie, è ver; ma non più quella

                                               cara, e bella,

40                                            tua delizia, e tuo riposo.

                                               Fiamma ch’arde in cor di amante

                                               presto manca in cor di sposo;

                                               e il possesso di un sembiante

                                               fa ch’ei sembri men vezzoso.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Ormisda.

 

            ormisda         Che mi giova aver vinti

                                   e ribelli, e nimici,

                                   se guerra più crudel mi fanno i miei?

                                   Palmira, Cosroe, Arsace,

5                                  tutti oggetti di amor, tutti di affanno,

                                   misero in me rendete

                                    il re, il marito, il padre.

                                   Ah! Che se re non fossi, io non sarei

                                   sposo infelice, e genitor dolente.

10                                Questa corona, questa

                                    seme è degli odi. Ambizione in armi

                                    mette il mio sangue, e uccide la mia pace.

                                   O corona! O Palmira! O Cosroe! O Arsace!

 

                                               Son da più venti

15                                            legno percosso.

                                               Porto non veggio.

                                               Stella non ho.

                                               Tra le frementi

                                               torbide brame

20                                            posso, e non deggio.

                                               Voglio, e non posso.

                                               Penso, e non so.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Galleria, per cui si passa nel serraglio reale.

 

                                   Artenice, ed Arsace.

 

            artenice       Quando l’ama Artenice, Arsace piange?

 

            arsace           Che mi giova il tuo amor, quando ti perdo?

 

            artenice       Ti consoli il piacer di mia grandezza.

 

            arsace           Mi duol la mia, non la tua sorte, o cara.

5                                  Regna pur col germano.

 

            artenice                                           Io con Arsace

                                   più lieta regnerei. Ma come il posso?

                                   Comanda il genitor che sia mio sposo

                                   di Ormisda il regio erede.

 

            arsace                                                           Io quel non sono.

                                    L’esser nato più tardi è mia sventura.

10                                Ma di tante, che spargo

                                    nel mio avverso destin, lagrime amare,

                                    una sola non bagna

                                    il trono, da cui scendo.

                                    A te tutte le spreme il mio dolore:

15                                a te, mio solo fasto, e sol mio amore.

 

            artenice       Pera chi primo al mondo

                                   questa introdusse empia ragion di stato,

                                   tiranna degli affetti.[27]

                                   Anime in libertà di amar chi piace,

20                                quanto v’invidio! O padre,

                                   che non tormi il diadema,

                                   e lasciarmi il mio cor? Sarei di Arsace.

                                   Ma non son io regina?

                                   Basti, basti l’Armenia ad Artenice:

25                                la Persia a Cosroe. Arsace, a un dolce affetto,

                                   già sacrifico un regno.

                                   Un tuo sguardo giocondo

                                   mi val più della Persia, e più del mondo.

 

            arsace           Generosa Artenice, a sì gran prezzo

30                                non sarai mia. Ricuso

                                    un amor che ti rende

                                   meno giusta, e men grande.

                                   Regna sui Persi: io il primo

                                   sarò de’ tuoi vassalli.

 

35        artenice       O degno, o caro amante,

                                   spera. Chi sa? La sorte

                                   avrà forse rimorso, avrà rossore

                                   di scior nodo sì bel, sì forte amore.

 

                                               Perché nacqui a regal sorte,

40                                            in voi perdo, o luci amate,

                                               il mio bene, il mio piacer.

                                               O in amore

                                               pastorelle fortunate,

                                               quanto invidio al vostro core,

45                                            che sol ama per goder!

 

 

                                   SCENA IX.

 

                                   Cosroe, ed Arsace.

 

            cosroe           All’aspetto di Cosroe

                                   fugge Artenice? Ho pena

                                   di aver turbati i vostri lieti amori.

 

            arsace           Ella da me prendea

5                                  tenero, sì, ma forse ultimo addio.

 

            cosroe           Ultimo? Non mi offende; e ne ho pietade;

                                   e non senza dolor sciolgo il bel nodo.

                                   Amo in te quella parte

                                   che comune al mio sangue è in te dal padre.

10                                Ma quella che succhiasti

                                   dalle vene materne, è mia nemica.

                                   La matrigna m’insidia. Ella mi ha fatto

                                   di un fratello un rival.

 

            arsace                                               No. La mia fiamma

                                   è colpa del mio cor, non della madre.

15                                Artenice l’ha accesa. E chi mirarla

                                   poteva, e non amarla?

 

            cosroe           Non amarla potea, chi in Artenice

                                    vedea la sua regina, e la mia sposa.

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Palmira, e i suddetti.

 

            palmira          Né sposa tua, né tua regina ancora

                                   Artenice non è (a Cosroe). Rabbia e orgoglio (ad Arsace)

                                   non ti spaventi. Amala, o figlio, e avrai

                                   quel diadema, e quel cor, ch’ei ti contende.

5                                  Tel promette Palmira, e tel difende.

 

            cosroe           In te, regina, il grado eccelso onoro:[28]

                                    in te l’amor di Ormisda.

                                    Tu forse il mio rispetto

                                    interpreti a viltà. Tenti sedurre

10                                l’amor del padre, e la virtù del figlio.

                                    Ma...

 

            palmira                      Che vuoi dir?

 

            cosroe                                              Quel figlio

                                   che tu cerchi innalzar sovra il mio soglio...

 

            palmira          Segui.

 

            cosroe                      Ha troppa virtù; tu troppo orgoglio.

 

            arsace           Ira il fratel trasporta, odio la madre.

 

15        palmira          Intendo. E madre, e figlio

                                   egualmente minacci.

                                   Ma muovi terra e cielo:

                                   fa’ quanto puoi: superbo,

                                   regnerà Arsace, o morirà Palmira.[29]

 

20        cosroe           Convien dunque ch’io cada;

                                   e che impotente sia

                                   questo cor, questo braccio, e questa spada.[30] (mettendo la mano sulla spada, e mezzo sfoderandola)

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Ormisda, e i suddetti.

 

            ormisda         Cosroe, qual turbamento? E qual furore?

                                   La man sul brando, e la regina è teco?

 

            arsace           O dèi!

 

            palmira                      Tu lo vedesti.

 

            cosroe                                              Avea sul ferro

                                    la destra, o re, ma solo...

 

5          palmira          Sol per lasciarlo immerso entro il mio seno.

 

            ormisda         Perfido!

 

            palmira                      Tu opportuno

                                   giugnesti al mio periglio.

                                   Senza te; trema, iniquo;(verso Cosroe)

                                   peria la madre, e la uccideva il figlio.(ad Ormisda)

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Cosroe, Ormisda, ed Arsace.

 

1          cosroe           O matrigna crudel! La mia innocenza,

                                   signor...

 

            ormisda                     Presente è Arsace.

 

            cosroe                                                          E Arsace parli.

 

            arsace           Sì, sì: per l’innocente

                                   sarò in difesa. Padre,

5                                  Cosroe voleva... (a parte) Ma accuserò la madre?[31]

 

            ormisda         Tu taci? Amor fraterno a che ti arresta?

                                   Dì. Qual furor l’ha mosso

                                   all’atto reo?

 

            cosroe                                  Rispondi.

 

            arsace                                                           O Dio! Non posso.

                                   Non accuso. Non difendo;

10                                e tacendo, non offendo

                                    né il rispetto, né l’amor.

                                    Se favello,

                                   alla madre, od al fratello

                                   son crudele, o traditor.

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Ormisda, e Cosroe.

 

            cosroe           La regina mi accusa.

                                   Il fratel non mi scolpa. Io son tradito.

                                   Ma nell’odio dell’una,

                                   nel silenzio dell’altro un giusto padre

5                                  scorge la mia innocenza.

 

            ormisda                                             Orsù: ti credo,

                                   qual ti vanti, innocente.

                                   Cosroe, deh! Più di freno al fasto, all’ira.

                                   In questi di mia vita ultimi giorni

                                   lasciami più di pace.

 

10        cosroe           Palmira è ingiusta. Ella ama troppo Arsace.

 

            ormisda         Ma l’amor di Palmira in che ti nuoce?

 

            cosroe           Ella m’insidia il regno: ella Artenice.

 

            ormisda         Sa Ormisda giudicar tra moglie, e figlio.

                                   Giusto mi troverai. Cosroe, abbi fede.

15                                Tu l’amor sei del padre, e tu l’erede.

                                   Ma sappi ancor nella real tua sorte;

                                   Palmira è tua regina, e mia consorte.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Cosroe.

 

            cosroe           Perché moglie, e regina,

                                   dovrà la donna altera

                                   insultarmi? Accusarmi? Ed io soffrirlo?

                                   No. Mi si oppone invano amor paterno.

5                                  Figlio, ed amante io sono.

                                   Mia è la ragion. Voglio Artenice, e il trono.

 

                                               Vede quel pastorello

                                               l’avido lupo ingordo,

                                               che nel più scelto agnello

10                                            cerca sfamar il dente; e sel difende.

                                                Tal per difesa anch’io

                                               del ben, che solo è mio,

                                               senno userò, e valor

                                               contra quel rio furor che mel contende.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Mitrane, e Cosroe.

 

            mitrane         Un più lento ritorno,

                                   principe, ti togliea sposa, e corona.

 

            cosroe           Caro Mitrane, al primo, e da te l’ebbi,

                                    nuncio de’ rischi miei, volai dal campo,

5                                  e mi seguì de’ miei soldati il fiore.

 

            mitrane         E ben d’uopo ne avrai. Sola Artenice,

                                   mal grado all’amor suo, finor sostenne

                                   la tua ragion.

 

            cosroe                                  Lo so; né in quel gran core

                                    mi fu debol soccorso il tuo consiglio.

 

10        mitrane         Dissi, e feci il dover. Ma contro forza

                                   ragion che può? Qui non Ormisda: sola

                                   dà Palmira le leggi; e il re avvilito[32]

                                   a riceverle è il primo.

 

            cosroe           Cosroe lontan potea temer; vicino

15                                confonderà le trame.

 

            mitrane         Non basta il minacciar. L’opra si chiede,

                                    ove il male sovrasta.

 

            cosroe           E che?

 

            mitrane                     Regnar convien. Se nol rapisci,

                                   ti è rapito il diadema.[33]

20                                La regina ha sedotti e grandi, e plebe,

                                   duci, e soldati, e vuol che regni Arsace.

                                   Non osa il re. Fremono i buoni; e basta

                                   che lor capo tu sia.

 

            cosroe                                              Contro di Ormisda?

 

            mitrane         Lasciar rapirti un trono è debolezza.

 

25        cosroe           Ed è impietà voler cacciarne un padre.[34]

 

            mitrane         Egli scender ne vuol, per darlo a un altro.

 

            cosroe           No, no: mi è re: mi è padre.

                                   Di figlio, e di vassallo

                                   sacri nomi, io vi sento, io vi rispetto.

30                                Né sì estremo è il periglio

                                   che renda a mia discolpa

                                   necessario un misfatto.

                                   Si attenda ancor. Tengansi pronte a l’uopo

                                    le difese, e le offese.

35                                Facciam tremar chi ne minaccia. Voglio

                                    salvar, se posso, ed innocenza, e soglio.

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Mitrane.

 

            mitrane         Quando può prevenir, vile è chi attende.[35]

                                   Numi che in mano avete

                                   de’ regnanti il destin, siate alle leggi

                                    e vindici, e custodi; e non lasciate

5                                  che un figlio erede ingiustamente or cada;

                                    ed al vostro poter, ministro, e servo

                                    per lui v’offro il mio braccio, e la mia spada.

 

                                               Chi ha fede, e valore,

                                               la causa migliore

10                                            difender saprà.

                                               Né in onta, e sciagura

                                               di legge, e natura,

                                               l’erede del regno,

                                               de’ Persi il sostegno,

15                                            cader si vedrà.

 

 

                                   SCENA XVII.

 

                                   Giardino con parco reale.

 

                                   Erismeno, e Palmira.

 

            erismeno       Quanto sono, o regina,

                                   tutto a te deggio; e l’opra

                                   ti farà testimon della mia fede.

 

            palmira          Erismeno, se un’alma

5                                  non ti senti ben forte all’ardua impresa,

                                   non ti espor con tuo rischio, e con mio scorno.

 

            erismeno       Non temer. Novi spirti

                                    già prendo dall’onor della tua scelta.

 

            palmira          Non è il real comando

10                                senza l’orror di una gran colpa.

 

            erismeno                                                      Toglie

                                   il comando real nome alla colpa.[36]

 

            palmira          Cosroe di Ormisda è figlio.

 

            erismeno       Se meritate ha l’ire

                                   di te, donna real, Cosroe è già reo.

15

            palmira          O di quante ha la Persia anime invitte

                                   specchio, ed onor, già tutta in te ripongo

                                    la mia vita, il mio onor, la mia vendetta,

                                    e ne avrai la mercè.

 

            erismeno                                           Di mia costanza

                                   è stimolo il dover, non la speranza.

 

20        palmira                      Di cento e cento belle

                                               a me ministre ancelle,

                                               quella sarà tua sposa

                                               che più vezzosa,

                                               e più amorosa

25                                            agli occhi tuoi sarà.

                                               Ampio tesoro

                                               di gemme, e d’oro:

                                               titoli egregi

                                                di onori, e fregi,

30                                            in ricca dote

                                                ti porterà.

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Cosroe, ed Erismeno.

 

            cosroe           (A parte) Con Palmira Erismeno?

 

            erismeno       Qui Cosroe? Ei da me vide (sfodera uno stilo)

                                   partir la regal donna.

                                   (A parte) D’arte più che d’ardir qui mi fa d’uopo.

 

5          cosroe           Stringe un acciar. Fissi or tien gli occhi a terra.

                                   Or li gira d’intorno. Or ferma il passo.

                                   Or frettoloso il move;

                                    ed è in atto il sembiante

                                    di chi medita, e volge

10                                un certo che di orribile, e di atroce.

 

            erismeno       Su: destra, e che si tarda? (con voce alta, ma fingendo di parlar tra sé)

                                    Ubbidir qui convien. Vano è il rimorso.

 

            cosroe           Che sarà? Cauto, o Cosroe.

                                   (A parte) Da un’odio femminil tutto si tema.

15                                (Ad alta voce) Dove, dove, Erismeno? (Erismeno alla voce di Cosroe mostra di rimaner soprafatto, e di voler nasconder lo stilo)

 

            erismeno                                                                  O ciel!

 

            cosroe                                                                                  Quel ferro

                                   perché ripor? Poc’anzi a che snudarlo?

 

            erismeno       Signor...

 

            cosroe                      Non ti confonda

                                   or l’aspetto di Cosroe.

                                   Confonder ti dovea quel di Palmira.

 

20        erismeno       Palmira?

 

            cosroe                       Sì. Negarlo

                                   potrai? Qui seco fosti. Ella qui a lungo

                                   ti favellò. Che ti commise? Il ferro

                                    a qual uso impugnasti?

                                    Scoprimi il vero, e in mia bontà confida.

 

25        erismeno       Eccomi al regio piede,

                                   indegno di perdono. O sorte infida!

 

            cosroe           Sorgi.

 

            erismeno                   No, no, Signor. Voglio a tue piante

                                   morir. Non dee la terra

                                    più sostenermi. Io respirar più l’aure

30                                di questo ciel non deggio.

                                    Prendi tu questo ferro, (dando lo stilo a Cosroe)

                                    e ascondilo in quel cor che un sol momento

                                    nudrir poté l’idea della tua morte.

 

            cosroe           Della mia morte? O numi! Ed era questo

35                                di Palmira un comando?

 

            erismeno       Al suo furore io la promisi. Allora

                                   deh! Perché dalle fauci

                                   non ripiombò la voce al core iniquo?

                                   Or tardo è il pentimento.

40                                Ferisci pur, ferisci.

                                    È più fier del tuo braccio il mio tormento.

 

            cosroe           Sorgi. Del tuo delitto (Erismeno si leva)

                                   non esigo altra pena,

                                   se non che in faccia al re, che in faccia al mondo,

45                                della perfida donna

                                    parli sulle tue labbra il reo disegno.

                                    Ritogliti il tuo ferro; e fa ch’ei sia (gli rende lo stilo)

                                    prova dell’altrui colpa. Altra vendetta

                                    da te non voglio, e il mio perdono accetta.

 

50        erismeno       O perdono! O pietà! Quanto m’imponi,

                                   farò. Per Mitra il giuro;

                                   e s’anche vuoi ch’io volga

                                    di Palmira nel seno il ferro istesso...

 

            cosroe           No, non vendica Cosroe

55                                un eccesso crudel con altro eccesso.[37] (si parte)

 

            erismeno                   Udrà la Persia, e il mondo

                                               la barbara impietà.

                                               Ed all’atroce accusa

                                               più che alla ria sentenza,

60                                            infino l’innocenza

                                               di orror si stordirà.

 

                                   Il fine dell’atto primo.

 

 

 

                                   ATTO SECONDO

 

 

                                   Spelonca consacrata a Mitra, cioè al Sole, deità de’ Persiani, illuminata dal fuoco che arde sopra una grand’ara avanti il simulacro dello stesso Mitra, e da molte statue all’intorno, le quali sostentano facelle accese.

 

                                   SCENA I

 

                                   Ormisda, Palmira, Artenice, Cosroe, Arsace, Erismeno, Mitrane, coro di ministri di Mitra, satrapi, popoli, soldati Persiani ed Armeni, alcuni de’ quali portano rami di palme, ghirlande di alloro, bandiere, trofei d’armi, ecc.

 

 

            coro                          Dio del giorno, alma del mondo,[38]

                                               Mitra invitto,[39]

                                               nostro nume, e nostro re:

                                               qual da selce il foco ha vita,

5                                             vita un sasso a te pur diè.[40]

 

            ormisda,

            cosroe e

            erismeno                   Sol per te cadde trafitto

                                               fier nimico al nostro piè.

 

            coro                          Dio del giorno, alma del mondo,

                                               Mitra invitto,

10                                            nostro nume, e nostro re.

 

            palmira

            e artenice                 Qui tributa al tuo gran nume

                                               lauri, e palme,

                                               puro ossequio, ed umil . (gittano sul fuoco rami di alloro, e fasci di palme)

 

            arsace

            e mitrane                   Sacra fiamma il don consume,

15                                            e dia segno

                                               che l’omaggio è grato a te. (facendo lo stesso)

 

            coro                          Spoglie guerriere

                                               di vinte schiere

                                               alla grand’ara

20                                            appendo intorno. (appende una bandiera militare ad un lato dell’ara.)

 

            arsace                       Io quest’alloro

                                               pur ti consacro,

                                               che d’ostro, e d’oro[41]

                                               risplende adorno. (appende anch’egli ad un altro lato dell’ara una ricca corona d’alloro.)

 

25        coro                          Dio del giorno, alma del mondo,

                                               Mitra invitto,

                                               nostro nume, e nostro re:

                                               qual da selce il foco ha vita,

                                               vita un sasso a te pur diè.

 

                                   (Segue il ballo de’ ministri di Mitra, i quali poi partono, seguiti da Erismeno, e da Mitrane.)

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Ormisda, Palmira, Artenice, Cosroe, ed Arsace.

 

            ormisda         Orché tutti al mio fianco

                                   siete, figli, consorte,

                                   regina, amici, popoli, soldati,

                                   il re Ormisda vi parla, e qui vi parla

5                                  re per l’ultima volta. (si cava la corona di capo, tenendola poscia in mano)

 

            arsace           (A parte) Che sarà mai?

 

            palmira          (A parte)                       Taci, Palmira, e ascolta.

 

            ormisda         Nume, che sei di Ormisda, e sei de’ Persi

                                   deità tutelar, genio sovrano,

                                   questo, che da più lustri[42]

10                                cinsi al crine real, cerchio gemmato,

                                   ecco depongo all’ara tua. Natura

                                    mel diè. Virtù me lo difese. Or temo

                                    che in discordie sì rie mel serbi, o tolga

                                    un crudel parricidio.[43]

15                                Prevengasi il misfatto.

                                    Dio, che l’atto magnanimo m’inspiri,

                                    reggi la mente tu, reggi la voce

                                   di chi al partico impero

                                    sceglier dovrà l’erede; e fa’ ch’ei sia

20                                oracolo di pace, onde sia spenta

                                    ogni rissa, ogni sdegno

                                   nel mio cor, nel mio sangue, e nel mio regno. (si accosta all’ara, e vi depone la corona)

 

            cosroe           Ciò che mediti il padre, (verso Palmira)

                                   non so. So che difesa

25                                sarà da me l’alta ragion del trono.

 

            palmira          Ei cede il regno, e per Arsace io sono. (verso Cosroe)

 

            ormisda         Artenice, tu vedi

                                   senza re la corona.

                                   Ella da te lo attende. Un voto istesso

30                                a te darà lo sposo,

                                   alla Persia il monarca, a me la pace.

                                    Scegli, qual più vorrai, Cosroe, od Arsace.

 

            palmira          Arsace, il re tu sei. T’ama Artenice. (ad Arsace)

 

            arsace           Regina... (ad Artenice)

 

            cosroe                       Genitor... (ad Ormisda)

 

            artenice                               Sulle mie labbra,[44]

35                                principi, non vi faccia

                                   né lusinga, né tema amore, o fasto.

                                    Virtù mi regge: e a te mi volgo, o sire.

                                   Odi più che civili

                                   fremon nel sangue tuo. Solo il rispetto

40                                li contiene in dover. Sciorranno il freno,

                                    se tu cedi il comando.

                                    In Ormisda la Persia

                                    abbia il suo re: Cosroe, ed Arsace il padre;

                                    e perché sprone all’ire

45                                più Artenice non sia, né metta in armi

                                    il fratel col fratel, col padre il figlio,

                                    prenderò al novo giorno

                                    ver l’Armenia il cammino. Ivi le leggi

                                    darò al popol vassallo; e là in riposo

50                                nel figlio erede attenderò lo sposo.

 

            arsace           Deh! Qual crudel consiglio?

 

            artenice       Crudel, ma necessario alla mia gloria.

 

                                               M’occupa il core

                                               la gloria mia.

55                                            Fasto, od amore

                                               nol vincerà.

                                               La mia fortezza

                                               non cederà,

                                               né al genio altero

60                                            della grandezza,

                                               né al dolce impero

                                               della beltà.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Ormisda, Palmira, Arsace, e Cosroe.

 

            arsace           Signor, parte Artenice; e s’io la perdo,

                                   che mi cal di grandezza?[45]

                                   Cosroe, prenditi il regno,

                                    e lasciami quel cor.

 

            cosroe                                              No. Son due beni

5                                  che sgiunger non si ponno,

                                   scettro, e Artenice. O miei saranno entrambi,

                                    o entrambi tuoi; ma per averli è forza

                                    che di Cosroe non viva altro che il nome.

 

            palmira          Vedi, o signor, qual implacabil core!

10                                La bontà del fratello il fa più audace.

 

            arsace           Cosroe è crudele, e sfortunato Arsace.

 

                                               Padre, non curo il regno:

                                               madre, ho la vita a sdegno,

                                               senza la fida, e bella

15                                            anima del mio cor.

                                               Io non aspiro al trono. (verso Cosroe)

                                               Suddito nacqui, e il sono.

                                               Sol mi si lasci un bene

                                               che mio già fece amor.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Ormisda, Palmira, e Cosroe.

 

            ormisda         Dèi! Che far deggio?

 

            cosroe                                              Che? Riporti in fronte

                                   quella, di cui non sei

                                   arbitro, ma custode, aurea corona.[46]

                                    Ella non può caderne

5                                  che non salga sul mio.

                                    Sinché Ormisda è monarca, io son vassallo:

                                    ma se il regno abbandoni, il re son io. (Ormisda ritorna all’ara, e ne ripiglia la corona)

 

            palmira          Superbo! Ancor pretendi

                                   impor leggi?...

 

            ormisda                                 Si taccia.

10                                Abbastanza soffersi.

                                   Riedi sulle mie tempia,

                                    fatal diadema. Ormisda, (rimettendosi la corona in capo)

                                   in avvenir, non più marito, e padre,

                                   ma sol giudice, e re, nulla più curi

15                                che l’onore del soglio.

 

            cosroe           Sì. Giudice t’imploro, e re ti voglio.

                                   Esecrabil delitto

                                   qui ti accingi a punir. Resta, o regina,

                                    e mi faccia ragione anche il tuo aspetto.

 

20        palmira          Che dir vorrai?

 

            cosroe                                  Nulla, o regina, nulla.

                                   Io tacerò; ma parlerà Erismeno.

 

            palmira          Erismeno? Dal campo ei teco venne.

 

            cosroe           E a lui poc’anzi favellò Palmira.

 

            palmira          Venga, venga Erismeno. Udrò, fin dove

25                                giunga l’altrui perfidia.

 

            ormisda                                             Eccomi al tanto

                                   mal fuggito periglio.

                                   (A parte) È rea la moglie, od impostore il figlio.

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Erismeno, e i suddetti.

 

            ormisda         Taccia ogni altro. Erismeno, a me rispondi.

                                   Non mentir. Non temer. Libero parla;

                                   e qualunque egli sia che a trama iniqua

                                    ti chiese opra, o consiglio,

5                                  più nol celar.

 

            erismeno                               Qual fier comando? Ah! Resti,

                                   resti, o sire, un arcano in me sepolto,

                                   che misero dee farti.

 

            ormisda         Lo so: ma parlò Cosroe; e non v’ha scampo.

 

            erismeno       O Dio! Perché parlar? Perché a sì dura

10                                necessità costringer la mia fede? (verso Cosroe)

 

            cosroe           Ossequio, e non pietà qui ti si chiede.

 

            erismeno       (A parte) Turbar tutto mi sento

                                   dall’aspetto di Cosroe.

 

            palmira                                              E che più tardi?

                                   Tanto di mia reità dura il sospetto,

15                                quanto il silenzio tuo.

 

            erismeno                                          Mio re, tu il vedi.

                                   Ambo affrettan l’accusa,

                                   e in un sol v’è la colpa. Odila, o sire,

                                   ma solo, e non in faccia

                                    all’attonite genti.

20                                Risparmiati un orror. Conosci il reo;

                                    e poscia a tuo voler punisci, o assolvi.

 

            ormisda         Seguimi. Ognun qui attenda. O re infelice! (si ritira con Erismeno nel fondo nella scena)

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Palmira, e Cosroe.

 

            palmira          Prence, dell’impostura

                                   si dileguan già l’ombre.

 

            cosroe           Tal ne esulta in sembianza, e in cor ne trema.

                                   Vedi. Parla Erismeno. Il re lo ascolta.

 

5          palmira          Parli. È il dover. Sol per sì illustre impresa

                                   fino dal Ponto ei t’ha seguito in Tauri.

 

            cosroe           A chi tuoi detti attende,

                                   io parrò il seduttor.

 

            palmira                                              Vedrem fra poco,

                                   chi ne avrà il dispiacer: chi la vergogna.

 

10        cosroe           Se tradito io non son; tu l’uno, e l’altra.

 

            palmira                      Spesso nel laccio istesso

                                               che tende in altrui danno,

                                               cade l’ingannator.

 

            cosroe                      Spesso lo strale istesso

15                                            che andò a ferir tropp’alto,

                                               scende sul feritor.

 

            A 2                              Lagnasi, ma non giova;

 

            palmira                      e in frutto del suo inganno,

 

            cosroe                      e in pro de l’ardimento

 

20        A 2                             riporta onta, e dolor.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Ormisda, Erismeno, e i suddetti.

 

            ormisda         Stelle, a che mi serbaste?

                                   Qual delitto? Qual reo punir convienmi?

                                   Oh non padre, oh non sposo, oh re non fossi!

                                   Ma non s’abbia alla pena

5                                  né riguardo, né fren, con chi non l’ebbe

                                    né all’offesa, né al fallo.

                                    Adempiasi giustizia

                                    del mio pianto anche a costo, e del mio sangue.

 

            cosroe           Tolgalo il ciel. Mi basta

10                                che tu sappia il delitto.

                                   Odio che tu il punisca.

                                    Grazia, o re; grazia, o padre.

                                    Vaglia a chi errò, in difesa

                                    l’esser femmina, e madre...

 

            ormisda                                                         Ah scellerato!

15                                Accresce l’ire mie la tua impudenza.

                                   Chiedi grazia per te. Contra il tuo voto

                                    parlò il fido Erismeno.

                                    Innocente è Palmira. Il tuo furore

                                    le insidiò vita, e gloria.

20                                Il perfido tu sei: tu il traditore.

 

            palmira          (A parte) Io già trionfo.

 

            cosroe                                               O cieli!

                                   Tradito io son. Re, sei deluso. Iniquo,[47]

                                   che dir potesti?

 

            erismeno                               Il vero.

                                   Io tacer lo volea. Tu m’hai costretto.

 

25        cosroe           La tua vita...

 

            erismeno                               Lo so: non avrà scampo

                                   dall’ire tue. Prendila, e questo acciaro

                                   ne sia ministro. Il riconosci? Io l’ebbi

                                    da te. Puoi tu negarlo?

            cosroe           Pria da Palmira...

 

            erismeno                              Ed in qual uso io l’ebbi?

30                                inorridì al comando

                                   stupida l’alma. Il ricusai. Tu allora[48]

                                   la regal donna ad accusar m’hai spinto

                                    del non suo fallo. Inevitabil morte

                                    m’era un altro rifiuto.

35                                Promise il mio timor: con qual de’ miei

                                    pensieri orror, voi lo scorgeste, o dèi.

 

            ormisda         Perfido! Che dir puoi? Già sei convinto.

 

            cosroe           Signor, tutto è bugia: tutto è impostura.

                                   Facciasi in rii tormenti

40                                quel perverso disdir.[49]

 

            palmira                                              Perché punirlo?

                                   La sua sincerità sarà sua colpa?[50]

 

            cosroe           Sì tosto vieni in sua difesa? E tanto

                                   temi che in morte parli il suo rimorso?

 

            ormisda         Non più. Guardie.

 

            cosroe                                               Già intendo,

45                                mi si vuol reo. Prenditi il ferro. Oscura (gitta la spada a piè di Ormisda)

                                   prigion mi tolga al giorno.

                                    Colà, regina, attenderò quel fato

                                    che uscirà dal tuo labbro a condannarmi.

                                    Al re tu dai le leggi

50                                con l’odio tuo. Serve il suo amor: ma temi

                                    che Cosroe in libertà non torni ancora.

                                    Forse da quel furor che m’arde in seno,

                                    nulla te salveria, né il tuo Erismeno.

 

                                               Leon feroce, che avvinto freme,[51]

55                                            ma non si teme;

                                                se avvien che spezzi cancelli, e nodi,

                                               i suoi custodi

                                               tremar farà.

                                                Quel fiero dente per monte, e piano

60                                            di brano in brano spargerà l’erbe;

                                               e sarà vano

                                               gridar pietà.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Ormisda, Palmira, ed Erismeno.

 

            ormisda         In van minacci. Ostane a te il consegno,[52] (partono le guardie di Ormisda)

                                   non temerne, Erismeno.

                                   Fosti fedel. Colpa fuggisti, ed onta.

 

            erismeno       De’ mali, infamia, e colpa è sol l’estremo.

5                                  L’innocenza ho difesa, e nulla temo. (si parte)

 

            ormisda         E tu più non lagnarti, o mia diletta.

 

            palmira          Giusti forse non sono i miei sospiri?

 

            ormisda         Confusa è la calunnia, e tu n’hai gloria.

 

            palmira          Un momento fui rea nel cor di Ormisda.

 

10        ormisda         Dopo il trionfo tuo più t’amo, o cara.

 

            palmira          Ma diviso è il tuo amore

                                   tra una moglie innocente, e un empio figlio.

 

            ormisda         Io più Cosroe amerei? Lui, che mi offese

                                   nella parte miglior dell’alma mia?

 

15        palmira          Ei le schiere lasciò: n’ebbe perdono.

                                   In me strinse l’acciar: tu nol credesti.

                                    M’insidiò: mi accusò: ne andrà impunito.

                                    Guai per me, se mio fosse

                                    de’ suoi falli il minor. Non troverei

20                                sì buon marito in te, com’ei buon padre.

 

            ormisda         Prigionier tu il vedesti, e cieca torre[53]

                                   serve a lui di sepolcro.

 

            palmira          Eh! Dove un padre è re, non teme un figlio.

 

            ormisda         Vorresti ch’io portassi

25                                fin nel seno di lui ferro omicida?

 

            palmira          Così ingiusta non son. Rispetto i sacri

                                   vincoli di natura.

                                   Ma di natura è sacra legge ancora,

                                   cercar di non perir. Piacesse al cielo

30                                che si agitasse il fato

                                    della sola mia vita:

                                    io la darei contenta al ben di Ormisda.

                                    Ma sono madre, e oppresso

                                    meco cadrebbe il caro figlio. È questo,

35                                questo il mio gran timor. Salvami Arsace,

                                    dolci viscere mie. Salvami Arsace,

                                    che è pur viscere tue, padre, e consorte:

                                    e se il prezzo io ne son, dammi anche morte.

 

            ormisda         Mitrane a me. Vanne, e sii lieta. In breve

40                                vedrai, se a cor mi sien Palmira, e Arsace.

 

            palmira                      In te riposo,

                                               mio dolce sposo.

                                                Tu sconsolata

                                               non mi lasciasti mai partir da te.

45                                            Ma lieto, o rio

                                               destin ti fosse,

                                               ti resi anch’io

                                               amore per amor, fede per .

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Ormisda, e Mitrane.

 

            ormisda         Mitrane, oggi in Arsace

                                   abbia Persia l’erede:

                                   Artenice lo sposo. Il lieto avviso

                                    nell’amante assicuri i dubbi affetti.

5                                  Persi, ed Armeni indi nel campo aduna,

                                    ove all’atto solenne ognun presente

                                    giuri l’omaggio, e alla mia scelta applauda.

 

            mitrane         Signor, del zelo mio scusa l’ardire.

                                   A Cosroe tu sei padre.

 

10        ormisda         Son più padre al mio regno, ed io gli deggio

                                   in erede un buon re, non un malvagio.

 

            mitrane         Prove hai di sua virtù; né d’impostori

                                   son mai scarse le reggie.

 

            ormisda         Da quest’occhi convinto, io non m’inganno.

 

15        mitrane         Ma credi tu che il regno

                                   soffrir vorrà delle sue leggi il torto?

 

            ormisda         Me vivo non ha loco

                                   del successor la legge,

                                   se non a grado mio.

 

20        mitrane         Se scorger vuoi tutto in tumulto, e in armi...[54]

 

            ormisda         Saprà metterlo in calma,

                                   quando astretto io vi sia, del reo la testa.

                                   Vanne. De’ tuoi consigli or non ho d’uopo.

 

            mitrane         Il ciel meglio t’inspiri,

25                                o faccia che sien vani i miei presagi. (si parte)

 

            ormisda         Fingo costanza: uso rigor: ma sento,

                                   or regnante, or marito, or genitore,[55]

                                    da mille affanni lacerato il core.

 

                                               Son come annoso platano

30                                            che in vista altero e immobile

                                                sfida dell’Austro i sibili;

                                                ma il rodon tarli, e vermini,

                                               che a terra il fan cader.

                                                Questi ori, e queste porpore

35                                           pur male il re difendono.

                                               Egli può far più miseri:

                                                ma per non esser misero

                                                egli non ha poter.

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Bipartita di portici sostenuti a doppio ordine di colonnati, che introducono a’ bagni reali.

 

                                   Artenice con seguito di Armeni, e poi Mitrane.

 

            artenice       Affetti del cor mio, siete infelici,

                                   sol perché generosi.

                                   Abbandonar conviene il caro Arsace.

                                    Lo diceste; e si faccia.

5                                  Entrar può pentimento in sen di amante:

                                    non in quel di regina.[56]

 

            mitrane         Regina, a novi mali

                                   novi rimedi. Il tuo partir da questo

                                   torbido infausto cielo era poc’anzi

10                                necessario consiglio alla tua gloria.

                                   La tua gloria in soccorso

                                    dell’oppressa innocenza or qui ti arresta.

 

            artenice       Che fia?

 

            mitrane                     Cosroe è prigion.

 

            artenice                                                       Per qual disastro?

 

            mitrane         L’odio della matrigna, e la perfidia

15                                di un sedotto vassallo

                                   colpevole lo fanno appresso il padre.

 

            artenice       Di che?

 

            mitrane                     Di trama ordita

                                   a danno di Palmira. Ad Erismeno,

                                   suo accusator, crede l’accuse il padre:

20                                soverchio amor tanto il trasporta, e accieca.

 

            artenice       Alla virtù del prence

                                   è più giusto il mio cor.

 

            mitrane                                             Giustizia eguale

                                   gli usan satrapi, e duci. Ognun ne freme:

                                   ma nessun osa. Intanto

25                                Cosroe è in periglio: Ormisda in ira; ed oggi

                                    vuol che il regno in Arsace abbia l’erede;

                                    Artenice lo sposo; e per sua legge

                                    ne reco a te l’avviso, al campo il cenno.

 

            artenice       Deh! Che mi narri? Arsace

30                                oggi al trono paterno? Oggi al mio letto?

 

            mitrane         Sì, qualor tua virtù non vi si opponga.[57]

                                    Dura impresa al tuo amor: ma se lo ascolti,

                                   di te che si diria? Che fosti il prezzo

                                    dell’altrui tradimento, e ch’ei ti piacque.

35                                Quegli, cui giova il male,

                                    n’è creduto l’autor. Con sì rea fama

                                    qual da’ sudditi amor? Qual dagli estrani

                                    lode a te ne verria? Qual sovra il trono

                                    sicurezza per te? Qual per Arsace?

40                                Cosroe vivo, od ucciso

                                    è ugualmente a temer. Soldati, e plebe

                                   coronato il vorranno, o vendicato.

                                   Io ne tremo per te.

 

            artenice                                           Lodo il tuo zelo.

                                   Accuso il tuo timore.

45                                Cosroe vuoi salvo? Io pur lo bramo. All’opra

                                   moverò Arsace, e tu disponi il campo.[58]

                                    Seguanti i miei: ma forza

                                    si adopri allor, che più non giovi ingegno.

 

            mitrane         Nata a regnar, tal ben cominci il regno.

 

50                                            Segui a regnar così sul proprio cor;

                                               e facil ti sarà

                                               regger a senno tuo l’altrui dover.

                                               Se in lega, e in amistà

                                                con la virtude ognor fosse il poter,

55                                            pace saria il regnar,

                                               ed il servir piacer. (si parte seguito dagli Armeni di Artenice)

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Artenice, ed Arsace.

 

            artenice       Viene Arsace. Sostengami virtude.

 

            arsace           In sì strane vicende

                                   di fortuna, e di amor, non so, Artenice,

                                   che sperar, che temer. L’altrui sciagura

                                   mi fa re, mi fa sposo:

5                                  ma se manca il tuo voto,

                                    resto misero ancor.

 

            artenice                                           Ben temi, Arsace:

                                    non ch’io fugga quel ben che mi si appresta

                                    nel tuo possesso. Io fuggo

                                    la man che mel presenta, empia, e tiranna.

10                                Un figlio si condanna

                                    sol dell’altro in favor.

 

            arsace                                               Cosroe fu iniquo...

 

            artenice       Tal lo creda chi ‘l finse.

                                   Io l’assolvo, e tu stesso

                                   gli faresti ragion, se non mi amassi.

 

15        arsace           Deh! Che creder poss’io

                                    di cotesta pietà, con cui l’assolvi?

 

            artenice       E che pensar degg’io

                                    di cotesta viltà, con cui ‘l condanni?

 

            arsace           Lo condanna un re padre.

 

20        artenice       Piuttosto un re marito. Odimi, Arsace,[59]

                                   la sciagura di Cosroe

                                   può farti re, ma non mio sposo. Io t’amo

                                    col più tenero amore,

                                    e col più generoso.

25                                Segui l’esempio mio. Trono, cui base

                                    sia la ruina altrui, più che lusinga,

                                    ti faccia orror. Cosroe difendi, e in lui

                                    salviam la nostra gloria.

                                    E comunque di noi disponga il fato,

30                                rendiamoci più degni

                                    io di te: tu di me. Soffriam miseria;

                                    ma non rossor. Vero, e durevol bene

                                    la colpa no: sol la virtù l’ottiene.

 

                                                Son amante

35                                            del tuo cor, del tuo sembiante;

                                               ma se quel reo fosse, e vile,

                                                né men questo io più amerei.

                                               Sii tu forte, e poi la sorte

                                               far potrà ch’io tua non sia:

40                                            non mai torti, anima mia,

                                               gl’innocenti affetti miei.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Arsace, poi Palmira, ed Erismeno.

 

            arsace           Vergogna, o cor di Arsace,

                                   che una donna t’insegni ad esser forte.

                                   Qui vien la madre, ed Erismeno è seco.

                                   Si ascoltino in disparte. Io temo inganni.

5                                  Altri ne udii poc’anzi, allor che tacqui,

                                    e n’ebbi orror. Sol per soffrire io nacqui. (nascondesi dietro le colonnate de’ portici)

 

            erismeno       Ben cominciammo: è vero:

                                    ma il più resta a compir. Cosroe ancor vive.

 

            palmira          Fra ceppi, ed impotente.

 

10        erismeno       Ei può sortirne, e sue minacce udisti.

 

            palmira          Troverà Arsace e coronato, e sposo.

 

            erismeno       Eh! Regina, se l’ami,

                                   non lo creder ben fermo in sua grandezza,

                                   finché Cosroe respiri.

 

15        palmira          Che far vorresti?

 

            erismeno                                           Un colpo

                                   degno della mia fede.

                                   Dammi il tuo voto; e il prigionier nimico

                                   ucciderò. Lo custodisce Ostane,

                                    e di Ostane dispor posso a mio grado.

 

20        palmira          No. Sovente un rimedio

                                   che troppo è violento,

                                   in luogo di sanar, nuoce, ed uccide.

                                    Il colpo n’esporrebbe al comun odio,

                                    e a quel del re. Ma il re dee farlo; e il faccia.

25                                Lasciane a me il pensier.

 

            erismeno                                                      Mi acheto, e taccio.

 

            palmira          Cosroe ben custodisci.

 

            erismeno       Senza il mio cenno a tutti

                                   se ne vieta l’ingresso;

                                   e forza nol potria: che, se il tentasse,

30                                lui troverebbe entro il suo sangue involto.

                                    Tanto imposi ad Ostane, e ne ho la fede.

 

            palmira          Per te Arsace sarà sposo, ed erede.

 

            erismeno                   Non sortirà

                                               di sua prigione

35                                            quel fier leone

                                               che ne minaccia,

                                                e insieme perderà vendetta, e vita.

                                               Orror di colpa

                                               non mi tormenta.

40                                            Timor di pena

                                               non mi spaventa.

                                               Ch’esser suol fortunata un’alma ardita.

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Palmira, ed Arsace.

 

            palmira          (A parte) Quanto è fido Erismeno!

 

            arsace                                                                       O dèi! Che intesi?

 

            palmira          Tu Arsace qui?

 

            arsace                                   Così nol fossi, e fossi

                                   o tra i barbari sciti,

                                    o tra i libici mostri.[60]

 

5          palmira          Perché?

 

            arsace                       Povero Cosroe! Empio Erismeno!

                                   Ahi! Che facesti, o madre? Ahi! Che far tenti?

 

            palmira          Intendo. Il tutto udisti.

 

            arsace           E tanto orror mi si svegliò nell’alma,

                                   che quasi m’increscea d’esser tuo figlio.

 

10        palmira          Semplice! In tuo riposo

                                   travaglio, e in tua grandezza; e te ne incresce?

 

            arsace           O piuttosto ti adopri in mia ruina.

 

            palmira          Sì non dirai, sovra del trono assiso,

                                   e al fianco di Artenice.

 

15        arsace           No, no: quello rifiuto, e a questa in odio

                                   sarò, se l’empie trame io non recido. (furioso, e in atto di partire)

 

            palmira          Dove ten vai?

 

            arsace                                   Del perfido Erismeno

                                   a punir con la morte il tradimento.

 

            palmira          Ingrato! E poi Palmira

20                                vattene ancora ad accusare al padre,

                                   e in salvando il fratel, perdi la madre.

 

            arsace           Oimè!

 

            palmira                      Qui vieni, e giura

                                   di tacer quanto udisti.

 

            arsace           Sono a Cosroe germano...

 

            palmira                                                         E a me sei figlio.

 

25        arsace           Movati l’innocenza...

 

            palmira          Eh! Di cor generoso or non è tempo.

                                   Giura, diss’io.

 

            arsace                                   Per la salute il giuro

                                   di Ormisda, e per la tua.

 

            palmira                                              Giurami ancora

                                   di nulla osar contra Erismeno.

 

            arsace                                                           Il giuro.

 

30        palmira          Arsace, è un gran difetto

                                   virtù troppo guardinga.

                                   Tu del regnar nell’arti

                                   giovane ancor sei: sei poco esperto.[61]

                                    Chetati, e all’amor mio lascia guidarti.

 

35                                            Vedi la navicella

                                               che senza la sua stella

                                               erra fra rupi, e sassi, e resta assorta.

                                               Torbida è l’aria, e l’onda;

                                               ma afferrerai la sponda,

40                                            se presso a me verrai, tua fida scorta.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Arsace.

 

            arsace           Giurai, ma senza offesa

                                   del mio dover. La madre

                                   non mi vedrà spergiuro:

                                    non ingiusto l’amante.

5                                  Salverò Cosroe iniquamente oppresso.

                                    Vincerò il padre, e tradirò me stesso.

 

                                                Che vuoi far, povero Arsace?

                                                Dei pugnar contra il tuo core.

                                               Dei nimico alla tua pace

10                                           cercar danno, e amar dolore.

 

                                   Il fine dell’atto secondo.

 

 

 

                                   ATTO TERZO

 

 

                                   Sala rappresentante la reggia di Marte.

 

                                   SCENA I

 

                                   Ormisda con guardie.

 

            ormisda         A me Cosroe si guidi. In quanti affanni

                                   l’anima ondeggia! Al fianco di Palmira

                                   non so d’esser che sposo; e lei lontana,[62]

                                   sento che ancor son padre.

5                                  O re nato a servir! Tiranni tuoi...

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Palmira con guardie, e Ormisda.

 

            palmira          Sì: re nato a servir, poiché lo vuoi.

 

            ormisda         Palmira...

 

            palmira                                  Nol diss’io che al figlio iniquo

                                   dato avresti perdono?

 

            ormisda                                             Io perdonargli?

 

            palmira          Eh! Son tuoi sdegni, Ormisda,

10                                spurio ed errante foco,

                                   senz’ardor, senza possa, e che si volge,

                                    dovunque ogni aura lo sospinge, e il preme.

 

            ormisda         Non temer da pietade ira in me vinta,

                                   s’ei ti nieghi compenso.

 

            palmira                                              E qual può darlo?

 

15        ormisda         Implorando al tuo piè grazia, e perdono.

 

            palmira          Pentito del suo error, Cosroe al mio piede?

 

            ormisda         Rimorso di suo fallo,

                                   timor di suo periglio, amor di regno

                                    domo avranno quel cor.

 

            palmira                                              Quel cor superbo?

 

20        ormisda         E se umil ei ti prieghi?

 

            palmira          Lo fingeria, per poi tradirne entrambi.

 

            ormisda         Ceda in prova Artenice; e con lei regga

                                   gli Armeni Arsace, e con me Cosroe i Persi.[63]

 

            palmira          Venga. Vi aggiungo il voto, (si parte una delle sue guardie)

25                                per non parer troppo ostinata, e ria;

                                   ma il credi a me: nulla otterrai.

 

            ormisda                                                         Più giusta

                                   sarà allor la sua pena, e l’ira mia.

 

                                               Stringe una mano il fulmine:

                                               grazia tien l’altra e vita;

30                                            e il figlio eleggerà.

                                               Di lui son padre, e giudice:[64]

                                                giudice, se vuol pena:

                                                padre, se vuol pietà.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Cosroe con guardie, Ormisda, e Palmira come in disparte.

 

            cosroe           Palmira qui? Solo ingiustizia attendo.

 

            ormisda         Cosroe, tempo non è di usar fierezza.

                                   Chi finor ti fu padre,

                                   esser brama ancor padre. Ei sa tue colpe,

5                                  e il far ch’egli le obblii, da te dipende.

                                    Orgoglio in te ne fremerà: ma sappi

                                    che, chi sprezza bontà, provoca a sdegno:

                                    che il castigo è in mia man: che tuo re sono;

                                    e che un sol tuo rifiuto

10                                porrà te nella tomba, e Arsace in trono.

 

            cosroe           In tua mano, o signor, stan vita, e morte:

                                   lo so. Se nel tuo core

                                   trionfa la calunnia, io piego il capo,

                                    né d’ingiusto ti accuso.

15                                Ma se vuoi legge impormi

                                    che il chiaror del mio nome adombri, e copra,

                                    sappi tu ancor che mali

                                    non paventa l’innocenza:

                                    che chi visse all’onore,

20                                viver non sa all’infamia; e che la morte

                                    fa meno orror che la viltade al forte.

 

            ormisda         La viltà sta nel fallo,

                                   e non nel pentimento. A chi oltraggiasti,

                                   chiedi perdon dell’impostura atroce.

25                                Sua bontà ne fia paga; ed io ti assolvo.

 

            cosroe           Che? Palmira al suo piede

                                   Cosroe vorria? Ch’ei confessasse il fallo,

                                   ricevendo il perdono?

                                    Uom, qual io, non ha colpa, o l’ha da grande.[65]

30                                Entrar ne’ regni tuoi: del mio retaggio

                                    sostenere i diritti; e dalle braccia

                                    di Arsace, e di Palmira

                                    trarre Artenice, esser potean mie colpe,

                                    se mia fede, e rispetto eran men forti.

35                                Sol per l’anime basse è l’impostura;

                                    e dove abbondan le querele, e gli odi, (guardando verso Palmira)

                                    di femmina è costume usar le frodi.

 

            ormisda         Quale audacia?... (Palmira si avanza)

 

            palmira                                  No, Ormisda.

                                   Giusto non è che mi si vegga al piede

40                                un vincitor dell’Asia, un regio erede.

                                    Ei non errò; e se volle

                                    me di obbrobrio coprir, scusane l’odio,

                                    e scusane l’amor. Rival gli è Arsace,

                                    e matrigna Palmira; e tu ben sai,

45                                quanto feroce tiranneggi un core[66]

                                    instinto d’odio, e gelosia di amore.

 

            cosroe           Madre in favor di figlio

                                   mai non parlò, qual tu, regina, in mio.[67]

 

            ormisda         Sempre il perfido è ingrato.[68]

50                                Orsù: tentisi ancora

                                   una via per salvarti, e sia l’estrema.

                                    Tu successor di Ormisda,

                                    regna su’ Persi; e sposo ad Artenice

                                    dia le leggi all’Armenia il tuo germano.

 

55        cosroe           In prezzo di Artenice

                                   tu non m’offri, o signor, che un ben già mio.

                                   Nello stesso momento

                                    nacqui al regno, e alla vita. Ambo mi desti:

                                    ambo insieme puoi tormi.

 

60        ormisda         E li torrò. Della real possanza

                                   oggi vestirò Arsace. A lui mio erede

                                   fia congiunta Artenice;

                                    e de’ pubblici «viva» il lieto suono

                                    udrai dal carcer tuo.

 

            cosroe                                              Ci vuole, o sire,

65                                ci vuole il sangue mio, per compir l’opra.

                                   Per Cosroe anche fra ceppi

                                   tremino e madre, e figlio;

                                    tu immortal non nascesti; e s’ami Arsace,

                                    te lo consiglio, o non alzarlo al trono,

70                                o con la morte mia glielo assicura.

                                    Previeni il suo periglio;

                                    e un figlio salverai, perdendo un figlio.

 

                                               Sì, un figlio: ma quale?

                                               Invitto, leale:

75                                            che vinse, ch’estinse

                                               nimici, rubelli:

                                                che far, né soffrire

                                               mai seppe viltà.

                                               In figlio sì indegno

80                                            giust’è che lo sdegno

                                                di un padre si accenda:

                                               che premio gli renda

                                                di pena, e di morte;

                                               né gli usi pietà.

                                                                      

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Ormisda, e Palmira.

 

            ormisda         Oimè!

 

            palmira                      Tu torni, Ormisda,

                                   a’ tuoi primi timori.

 

            ormisda                                             Ultimo sforzo

                                   di un amor moribondo. Andiam, Palmira,

                                   di Cosroe in onta a coronare Arsace;

5                                  e al nuovo re si lasci

                                    sul destino di Cosroe arbitrio intero.

 

            palmira          Figlio, avrai della Persia anche l’impero.

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Erismeno, e i suddetti.

 

            erismeno       Signore, al vicin mal pronto riparo.

 

            ormisda         Che avvenne?

 

            erismeno                               Il campo è in armi;

                                   e Cosroe in re si acclama.[69]

 

            palmira          O cieli!

 

            erismeno                   Ed alla testa

5                                  n’è il perfido Mitrane.

 

            ormisda         Mitrane ebbe il mio cenno...

 

            erismeno                                                      E ti ha tradito.

 

            palmira          Il fellon!

 

            ormisda                     Che far deggio?

 

            erismeno       Lasciar, per esser re, d’esser più padre.

 

            ormisda         Solo in udirlo raccapriccio. Un figlio?

 

10        erismeno       Un reo figlio non è che un reo vassallo.

 

            ormisda         Colpo sì atroce irriteria il tumulto.

 

            erismeno       Dì che lo arresteria. Toltone il capo,

                                   muor negli altri l’ardir: manca il pretesto.

 

            ormisda         Palmira, non ho cor: dammi consiglio.

 

15        palmira          Veggo il tuo danno, e piango il tuo periglio.

 

            erismeno       Eh! Risolviti, o sire.

                                   O punire, o servir. Cosroe anche lungi

                                   meditò tua ruina. Il fier disegno

                                    qui lo trasse dal Ponto, e vel seguiro

20                                duci, e soldati; e se più tardi ancora...[70]

 

            ormisda         Rubello, e traditor? Convien ch’ei mora.

                                   Già natura vi assente.

                                   Ei fu il primo a oltraggiarla. O figlio! O figlio!

 

            erismeno       Regina, il passo affretto,

                                   pria che quel debol cor tremi, e si penta.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Ormisda, e Palmira.

 

            ormisda         Partì Erismeno. Or tu sarai contenta.

 

            palmira          Ormisda, al tuo dolor non darti in preda.

 

            ormisda         Lasciami. Per te feci

                                   più di quel che dovea. Della cittade

5                                  provvedi, e della reggia alla difesa.[71]

                                    L’angoscia mia senno mi toglie, e core.

 

            palmira          Veglieranno per te fede, e valore.

 

                                               Parte troncar col ferro infetta, e guasta

                                               dà pena ad egro sangue;

10                                           ma poi gli dà vigor.

                                               In mal che rio sovrasta,

                                                trar suol medica mano il peggior sangue,

                                                e con crudel pietà salva il miglior.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Ormisda.

 

            ormisda         Colpe di figlio reo, protervia, orgoglio,

                                   tradimento, impostura,

                                   venite in mio soccorso, e sostenete

                                    le ragioni di un re che lo condanna.

5                                  Tutto io fei per salvarlo:

                                    ei tutto per perir.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Arsace, e Ormisda.

 

            arsace           Padre, qual voce?

                                   Condannato da te Cosroe avrà morte?

 

            ormisda         Sì: morte avrà: già la sentenza è data.

 

10        arsace           Può revocarla il re: la deve il padre.

 

            ormisda         Il padre, e il re sono egualmente offesi.

 

            arsace           Quanto Cosroe è infelice!

 

            ormisda                                                        E quanto iniquo!

                                   La tua pietà non ha per lui discolpe.

 

            arsace           Le avria... ma...

 

            ormisda                                 Che ti arresta?

 

15        arsace           O Dio! Salvalo, o padre,

                                   troppo importa un momento.

                                   Parlar potessi! (a parte) O madre! O giuramento!

 

            ormisda         Figlio, il vorrei: ma data è la sentenza.

 

            arsace           Deh! Per queste, ch’io spargo (s’inginocchia)

20                                lagrime al regal piè; deh! Se pur m’ami,

                                   a me rendi il fratel: rendi a te il figlio.

                                    Tardo poi lo vorrebbe il tuo dolore.

 

            ormisda         Non più: già cede l’ira, e piange amore.

                                   Vanne. Sospendi... Ma il real decoro?... (Arsace si leva)

 

25        arsace           Qual decoro ti fingi in crudeltade?

 

            ormisda         Deggio al campo rubel tronco quel capo.

 

            arsace           Furor vi crescerebbe in tuo periglio.

 

            ormisda         I rimproveri udrei d’irata moglie.

 

            arsace           La madre placheran pianti di figlio.

 

30        ormisda         Salvando lui, perdi Artenice, e il trono.

 

            arsace           In odio a me, se lui non salvo, io sono.

 

            ormisda         Vincesti. Al carcer vanne.

                                   Artenice vi guida; e fa’ che Cosroe

                                   ti ceda in lei le sue ragioni. Espugna

35                                quel fiero cor. Piangi. Minaccia. Prega.

                                    Abbia vita, se il fa: morte, se il niega.

 

            arsace           O due volte a me padre! A Cosroe io vado.

                                   Ma come entrar?

 

            ormisda                                             Prendi il mio regio anello. (gli dà l’anello reale)

 

            arsace           Non basta.

 

            ormisda                                 E vengan teco i miei custodi.

 

40        arsace           Ah! Tu nol sai. Tentar l’ingresso a Cosroe

                                   è un affrettarne il fato.

 

            ormisda         Perché?

 

            arsace                       Tacer mi è forza.

 

            ormisda         Sempre novelli arcani in mio tormento?

 

            arsace           Parlar potessi! (a parte) O madre! O giuramento!

 

45        ormisda         Qui attendi. A quai vicende un re soggiace! (si parte)

 

            arsace           Oh! Per me spunti alfin raggio di pace.

 

                                               Un’aura placida

                                               mi vien d’intorno;

                                               e il fosco nubilo

50                                            ne rasserena.

                                               L’alma lusingasi

                                               di più bel giorno:

                                                l’alma che torbida

                                                sinor fu in pena.

 

                                   (Ritorna Ormisda, e dà ad Arsace una chiave dell’uscio segreto delle prigioni reali)

 

55        ormisda         Prendi, Arsace. Con questa

                                   sicuro avrai nella prigion l’ingresso.

                                   La via ti è nota, e ne sai l’uscio, e il varco.

                                    Oh! Si plachi al tuo dir l’alma orgogliosa.

 

            arsace           Oprerò quanto deggio: in me riposa.

 

60        ormisda                     Siepe di spini al core

                                               fan pietà, sdegno, amore,

                                               e nel volerlo tutti, ognun lo straccia.

                                               Rendersi a lui non giova:

                                               che mentre ognun lo trova

65                                            sì informe, e sì meschin, l’odia, e lo scaccia.

 

 

                                   SCENA IX.

 

                                   Prigione.

 

                                   Cosroe incatenato per un braccio ad un sasso.

 

            cosroe           Genti che vi lagnate

                                   di re ingiusto talvolta, e di re iniquo,

                                   mirate il mio destin. Principe, e figlio

                                   trovo un padre crudel, trovo un re ingrato.

5                                  Questo braccio, il sapete,

                                   colse lauri, e trofei. Sostenne il regno.

                                   All’oppressa virtù diede soccorso:

                                    a’ miseri rifugio: a’ rei spavento.

                                    Eccolo in ferrei ceppi; e tal riporta,

10                                tanto può iniquità! grazia, e mercede.

                                    Ma stride l’uscio, e v’entra

                                    perfidia, e crudeltà con Erismeno. (apresi la porta della prigione. Cosroe siede sul sasso)

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Erismeno con arcieri, e Cosroe.

 

            erismeno       Prence, hai d’uopo di tutta (stando in lontano)

                                   la tua fortezza.

 

            cosroe                                  È vero,

                                   or che mostro letal mi veggo a fronte.

 

            erismeno       Soffrilo. Io reco morte. Il re l’impone.

 

5          cosroe           Troppo è buon, troppo è giusto il re mio padre,

                                   né da lui puote uscir l’empia sentenza.

 

            erismeno       Scegli ferro, o velen. Questo è suo impero.[72]

 

            cosroe           De’ malvagi, qual tu, questa è sol trama.

                                   Venga il padre, e comandi, ed io ubbidisco.

 

10        erismeno       Egli è un esser rubel fargli contrasto:

                                   colpa aggiugner a colpa. Io ti consiglio...

 

                                   (Cosroe improvviso, e impetuosamente si leva per avventarsi alla vita di Erismeno, ma non può arrivarlo, impeditone dalla catena del braccio)

 

            cosroe           Traditor, questo braccio... Empia catena,

                                   che mi togli il poter della vendetta!

 

            erismeno       Previdi il tuo furor: ma sulla punta

15                                sta di que’ strali il tuo destin. Soldati.

 

                                   (Gli arcieri prendono in mano i loro archi, e gli armano delle lor frecce.)

 

            cosroe           Barbaro, e che ti feci

                                   per avermi a tradir sì iniquamente?

                                   La memoria è sol piena

                                   di benefici in te profusi.

 

            erismeno                                          Eh! Cosroe,

20                                chi riceve le offese,

                                   le scrive in marmo, e chi le fa, in arena.[73]

                                    Il governo del Ponto a me negato (si apre intanto nel muro una porta segreta della prigione, e ne calano Artenice, ed Arsace)

                                    io meritava. In cor ne chiusi il torto

                                    per vendicarlo. Eccone il tempo. Arcieri,

                                    per molte vie fate là entrar la morte.

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Artenice, Arsace, e i suddetti.

 

            artenice       Fermate. Ecco, Erismeno, il regio impronto. (gli mostra l’anello reale)

                                   Rechiam novi comandi; e poi se Cosroe

                                   persiste in sua sentenza,

                                    fa’ il tuo dover.[74]

 

            erismeno                              O inciampo!

 

5          arsace           Vanne, amor mio. Da te pendon due vite. (ad Artenice. Arsace si ferma in lontano a piè della scaletta dell’uscio segreto, e Artenice si avanza)

 

            cosroe           Qual fortuna per me, bella Artenice,

                                   vederti, e poi morire?

 

            artenice       Di morir non si parli. Hai grazia, e vita.

 

            cosroe           Chi non sa d’esser reo, grazia ricusa;

10                                e vita meritar può chi è innocente.

 

            artenice       Innocente ti abbraccia il re tuo padre.

                                   Soddisfatta è Palmira.

                                   Torna al regno la calma: a me la gioia.

                                   Tanto far puote un solo

15                                tuo magnanimo sforzo in mio riposo.

 

            cosroe           E qual?

 

            artenice                   Signor, gli affetti

                                   per te astrinsi a languir. Amando Arsace,

                                   sostenni i tuoi diritti:

                                    con qual forza, tu il sai: lo sa il mio core.

20                                Un atto or da te esigo,

                                    sia di virtù, sia di dover. Te stesso[75]

                                    salva. Salva il mio amor: la gloria mia.

                                    Col tuo voto Artenice abbia il suo sposo;

                                    l’Armenia il suo regnante; e Arsace il sia. (Cosroe sta alquanto pensoso)

 

25        arsace           (A parte) Fate, o dei, che quell’alma alfin si renda.

 

            cosroe           Regina, a te più deggio in ciò che oprasti,

                                   quanto meno mi amasti. Amarmi, e farlo

                                   saria stato di amore util consiglio.

                                   Ma in farlo senz’amarmi

30                                generosa virtù ne ha tutto il merto.

                                    Or questa avria ragion di abbandonarmi,

                                    s’io ti cedessi per campar di rischio.

                                   Di Arsace sii. Mia morte a te il concede;

                                   nol potria la mia vita.

35                                Lasciami al mio destin. Così mi resta

                                   in morendo un gran ben: che di Artenice,

                                   non potendo l’affetto, avrò la stima:

                                    e talvolta anche a me, sposa di Arsace,

                                    darai lode, e dirai: riposa in pace.

 

40        erismeno       Già rispose il feroce. Al re si serva. (ad Artenice)

 

            artenice       Attendi; e più rispetto ad Artenice. (ad Erismeno)

 

            arsace           (A parte) Ciel, qui proteggi amore, ed innocenza.

 

            artenice       Cosroe, con la tua morte al caro Arsace

                                   tu mi togli per sempre.

 

45        cosroe           Chi tel vieta, me estinto?

 

            artenice       La gloria mia: che della tua sciagura[76]

                                   esser non voglio il prezzo.

 

            cosroe                                                          O generosa!

                                   Tu m’insegni la via di vendicarmi.

                                   Renderà i miei nimici

50                                la mia morte infelici.

 

            artenice                                           E me con loro.

                                   Son io degna, o crudel, di tal mercede?

                                   Me ancor confondi nella tua vendetta?

                                    Mi amasti sol per mia miseria? O Cosroe,

                                    a me sempre fatal, vivo ed estinto.

 

55        cosroe           I rimproveri tuoi quasi m’han vinto.

                                   Ma vedi. In questi ceppi, in quegli strali

                                   più che la pena mia, sta la mia fama.

                                   Se tal ti cedo, si dirà che astretto

                                    vi fui, e non da pietà, ma da timore.

60                                Nol farò. Morir deggio. Il vuole onore.

 

            erismeno       E vel comanda il re. Non più dimore. (agli arcieri)

 

            cosroe           Ferite. Eccovi il petto.

 

            artenice       Oimè!

 

            arsace                       Festi, o regina, (avanzandosi)

                                   il tuo dovere. Il suo pur faccia Arsace.

65                                Arcieri, giù quell’armi,

                                    o cadrà chi di voi primo le tenda.

 

            erismeno       Prence, vorrai disubbidire al padre?

 

            arsace           Perché padre egli sia, difendo il figlio.

 

            erismeno       La genitrice offesa...

 

70        arsace           Me punirà, se in lui salvar la offendo.

 

            erismeno       Lui salvo? Me presente,

                                   non è facile campar Cosroe da morte. (prende di mano ad una guardia un arco con freccia)

 

            arsace           Tu insolente l’avrai. (in atto di avventarsi con uno stilo alla vita di Erismeno)

 

            erismeno                                          Può farmi oltraggio

                                   il figlio di Palmira?

 

            arsace                                               Ah! Mi sovviene, (si ferma, e sta sospeso)

75                                (A parte) o fatal giuramento, e l’ire affreno.

           

            erismeno       Ora è il tempo, ire mie. (tende l’arco per ferir Cosroe)

 

            arsace                                               Saziati, iniquo,

                                   e comincia da me. (copre con la sua persona quella di Cosroe)

                                   Non si passa a quel sen per altra via.

 

            artenice       (A parte) Chi sì bella virtù non ameria?

 

80        erismeno       Stelle! Tu in lui proteggi un parricida.

 

            arsace           Cosroe conosco, ed Erismeno ancora.

 

            erismeno       Vuol la madre ch’ei mora.

 

            arsace           E troverà morto al suo fianco Arsace.

 

            erismeno       Trema la man sul ferro. Ire infelici! (si lascia cader l’arco di mano)

85                                Che far degg’io? Si vada

                                   con l’avviso a Palmira.

 

            arsace                                               Io qui l’attendo.

 

            erismeno       Ella al figlio dia leggi, e il reo poi cada.

 

                                               Non ti lascio che un solo momento,

                                               per recarti più barbara morte.

90                                            L’aspettarla ti fia più tormento:

                                               che sospesa non placa l’irato;

                                                ma fa attesa tremare anche il forte.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Arsace, Artenice, e Cosroe.

 

            cosroe           Che vidi?

 

            artenice                               O degno amante!

 

            cosroe           Tu figlio di Palmira, in mia difesa?

 

            arsace           Io fratello di Cosroe, in sua salvezza.

 

            cosroe           È ver. Sol riconosco in te il mio sangue.

 

5          arsace           La mia regina in me svegliò fortezza.

 

            artenice       Nobil cor, quale il tuo, cote è a sé stesso.

 

            arsace           Ah! Nulla ancor fec’io, se resti avvinto. (snuda il suo stilo)

 

            cosroe           Che far pensi?

 

            arsace                                   Con questo aprir tuoi ceppi.

                                   Farti scudo io ben seppi

10                                dall’ire di un fellon. Forse da quelle

                                   non potrei della madre,

                                    e perderei di sì bell’opra il frutto. (Arsace va aprendo col ferro le manette, a cui sta inchiavato il braccio di Cosroe)

 

            cosroe           Tua pietà sia più cauta. Io son del regno

                                   l’erede, e tuo rivale.

15                                Nella mia libertà, nella mia vita

                                    dispera di ottener scettro, e Artenice.

 

            arsace           Il duol ne soffrirò senza rimorso.

 

            artenice       E purché generoso, ei sia infelice.

 

            arsace           Sciolto, o Cosroe, già sei. Fuor dell’infausto

20                                carcere affretta il passo.

                                   Seguanti questi arcieri, onde in lor danno

                                    non torni la pietà che li rattenne.

                                    Riedi al tuo campo. Estingui

                                    il tumulto che v’arde; o se ti spinge

25                                rimembranza di torto alla vendetta,

                                    sovvengati che Arsace, quell’Arsace

                                    che ti tolse a periglio,

                                    sì, quell’Arsace è di Palmira il figlio.

 

            cosroe           Del dono che ricevo, il dover mio[77]

30                                farà buon uso. Amanti cori, addio. (si parte per la scaletta seguito dagli arcieri)

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Arsace, ed Artenice.

 

            artenice       Giovi seguirlo. Tu sospiri, Arsace?

 

            arsace           Regina, io t’ubbidii.

 

            artenice                                           Da forte oprasti;

                                   ed or più del tuo volto amo il tuo core.

 

            arsace           Ma di un altro io ti fei regina, e sposa.

 

5          artenice       Premio vien da virtù. Spera in tuo merto.

 

            arsace           La beltà di Artenice ha troppo prezzo,

                                   e gli affetti di Cosroe han troppo ardore.

 

            artenice       Anche nel tuo timor veggo il tuo amore.

 

            arsace           Fedele, e sventurato.

 

10        artenice       E giusto il ciel, se sarà Cosroe ingrato.

 

                                               Nero turbine si aggira.

                                               e sospira il villanello

                                               per timor che dal flagello

                                               della grandine percosse

15                                            sien le spiche biondeggianti.

                                               Ma al soffiar di amico vento,

                                               ad un tratto il nembo fugge;

                                               si dilegua il suo spavento;

                                               ed ei torna a’ giochi, a’ canti.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Arsace.

 

            arsace           Perderti sì amorosa

                                   quanto più mi dorria!...

                                   Ma qual romor, misto di trombe, e grida?

                                    Veggo la soglia abbandonata: in fuga

5                                  spaventati i custodi.

                                    Non ritorna Erismen: non vien la madre.

                                    Che sarà? Forse, o stelle,

                                    a’ vostri influssi rei

                                    non bastano, e son tanti, i mali miei.

 

10                                            Sorte vuol ch’io disperi:

                                                ch’io speri, l’idol mio:

                                               penar mi fa la sorte,

                                               ma credo alla speranza.

                                                Così l’amato bene

15                                           mi rende invitto, e forte;

                                               e fa che sin la spene

                                               mi serva di costanza.

                                                                      

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Campagna con colline deliziose, dalle quali vanno scendendo i soldati Persiani di Cosroe. Appiè di esse vedesi l’attendamento dell’esercito di Ormisda, con padiglione reale al fianco. Trono militare a canto del medesimo padiglione. A un altro fianco la città di Tauri, con nobil ponte di marmo dinanzi alla maggior porta, ornato di obelischi, e di guglie.

 

                                   Cosroe, Mitrane, soldati Persiani, ed Armeni.

 

            cosroe           Non credibile sembra un cangiamento

                                   sì subito, e sì grande.

            mitrane         Facili eventi, ove conformi i voti.

 

            cosroe           Raro esempio saran Palmira, e Ormisda

5                                  d’instabile fortuna.

 

            mitrane         Agl’ingiusti regnanti

                                   corte fan, più che guardia, armati, e servi.

                                   Quegli ch’util ritien, sono i codardi.

                                   Quei che forza, e timor, sono i nemici.

10                                Loro forte custodia è amor sincero,

                                   che nasca da giustizia, o da bontade.

 

            cosroe           Tardo, o Mitrane, e vano

                                   mi giungea, senz’Arsace, il vostro amore.

 

            mitrane         Arsace abbiane premio;

15                                ma pena i tuoi nimici.

                                   Palmira in tuo poter si custodisce

                                    nella real tua tenda.

 

            cosroe                                              E il padre? O Dio!

 

            mitrane         Già lo ridissi. Al grado

                                   nella sciagura sua si usò rispetto,

20                                e verrà in breve al tuo giudizio anch’esso.

                                    Guardati che pietà te non rispinga

                                    in più profondo di miseria abisso.

                                    Chi una volta al suo re può far timore,

                                    sempre è fellon. Gran colpa è un gran potere.

 

25        cosroe           Lodo il tuo zel. Vo’ vendicarmi. Incontro

                                   va’ al genitor; ma d’ogni oltraggio il serba.

                                   Cerchisi di Erismeno;

                                   e a me venga Palmira.

 

            mitrane                                             Entro i tuoi lumi

                                    scorgo un ardor che ti assicura il trono.

 

30        cosroe           Adempiasi vendetta, e re poi sono.

 

            mitrane                     Riconosco in quell’ardore

                                               il tuo fato, ed il tuo core.

                                                Sarai sposo, e sarai re.

                                                Se pietà lo ammorza, o frena,

35                                           sol ti resta obbrobrio e pena

                                               in retaggio, ed in mercè. (entra nella città)

 

 

                                   SCENA XVI.

 

                                   Cosroe, e Palmira dal padiglione fra guardie.

 

            cosroe           Vedrem come ben soffra il fato avverso,

                                   chi sì mal seppe sostener l’amico.

 

            palmira          Son io regina, o prigioniera? E dove

                                   mi traete, o soldati?

 

5          cosroe           Ove? Al tuo re, o Palmira.

 

            palmira          Tu mio re? Qui non regna altri che Ormisda.

 

            cosroe           Ma por tentasti in su quel trono Arsace.[78]

 

            palmira          Il padre lo volea.

 

            cosroe                                              Da te sedotto.

                                   Ne han disposto altrimenti

10                                la giustizia, e gli dii.

 

            palmira          Gli dii talvolta esaltano i malvagi,

                                   e giustizia non è rapina, e forza.

 

            cosroe           Ciò che festi in mio danno, or ti sovvenga.

 

            palmira          Ciò che fei, mi condanna;

15                                ma sai perché? Perché lo feci, e vivi.

 

            cosroe           Vendicarmi ora posso

                                   e di Ormisda, e di Arsace, e di Palmira.

 

            palmira          Crudel, non aspettar ch’io qui ti preghi

                                   né per me, né per loro.

 

20                                            Tradita, odio la vita,

                                               né pregherò per me.

                                               Non per Arsace, no:

                                                morrà, ma nol vedrò

                                               servir vassallo a te.

25                                            Non per Ormisda. Avrai

                                               peggior destino, il so,

                                               se incrudelir potrai

                                               in lui tuo padre, e re.

 

            cosroe           Serba fino all’estremo,

30                                che ben d’uopo ne avrai, la tua fierezza.

                                   Unirò al tuo destino Arsace, e Ormisda.

 

            palmira          E Ormisda vien. Fagli apprestar le scuri.

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Ormisda dalla città fra guardie, e i suddetti.

 

            cosroe           Sire, soffri, che umile...[79]

 

            ormisda         Mal cominciano, o Cosroe,

                                   l’ire tue dal rispetto.

                                   Eccoti nel tuo campo,

5                                  commosso in mia ruina.

                                   Eccoti fra que’ prodi

                                    che traesti dal Ponto in reo disegno.

                                    Vedi. Tuo soglio è quel. Su: colà ascendi;

                                    e fa’ con scelleraggine inaudita

10                                che si vegga un ribello iniquo figlio

                                    seder giudice, e re della mia vita.

 

            cosroe           Dalle accuse d’iniquo, e di ribello

                                   facile a me, o signor, sia la discolpa.

                                    Ma quella, onde tentò l’empio Erismeno

15                                d’insultar la mia fama,

                                   più mi punge, e mi fiede. Ella si levi

                                   dal tuo cor, dal mio nome.

 

            palmira                                                         E come farlo,

                                    morto Erismeno, e per tuo cenno ucciso?

 

 

                                   SCENA ULTIMA

 

                                   Mitrane, e poi Artenice, ed Arsace, e i suddetti.

 

            cosroe           Come? Ucciso Erismeno?

                                   Mitrane...

 

            mitrane                                 È vero. In lui l’irata plebe,

                                   che autor già lo sapea del tuo periglio,

                                   si avventò nel tumulto, e con più colpi

5                                  gli fe’ uscir dal sen l’alma esecranda.

 

            cosroe           Pena a lui ben dovuta, e pur ne piango:

                                   che solo egli potea

                                   altrui render ragion di mia innocenza.

 

            artenice       Sul labbro di Artenice[80]

10                                ella avrà più di fede. Io ritrovai

                                   nell’ultime agonie della sua vita,

                                   steso Erismeno. Alma a spirar vicina

                                    quai rimorsi non soffre! In fiochi accenti

                                    confessò l’error suo, la sua impostura,

15                                l’innocenza di Cosroe, e che sedotto...

 

            cosroe           Basti così. Difesa

                                   sia l’altrui gloria, or che la mia va illesa.

 

            palmira          (A parte) Tutto in mio male, e in onta mia congiura.

 

            cosroe           Padre, il rubel, l’iniquo (mettesi a piè del padre)

20                                ora venga al tuo piè. Torni ne’ ceppi,

                                   se tua legge l’impone.

                                   Rendimi l’amor tuo. Perdona a questi

                                   duci, e soldati tuoi quella pietade

                                    che lor desta ha nel sen la mia sciagura;

25                                e per tutti ti basti,

                                    se colpevol lo trovi, il sangue mio...

 

            ormisda         Non più, figlio, non più: che il reo son io.

                                   Tu di regnar sei degno

                                   sui Persi, e sugli Armeni. Ecco il mio erede,

30                                o popoli. Il tuo sposo ecco, Artenice;

                                    e fine abbiano gli odi. (verso Palmira)

 

            artenice

            e arsace                                             Alma infelice!

 

            cosroe           No: per me nol sarete, o generosi.

                                   Sappialo ognun. Di morte, e di catena

                                   senza voi non uscia. Premio chiedeste.

35                                Fra ceppi io nol potea, senza esser vile;

                                    ma più vile or sarei, se lo negassi.

 

            arsace           Che sarà? (verso Artenice)

 

            artenice                               Di buon’opra ecco il buon frutto. (verso Arsace)

 

            cosroe           Il tuo materno amor volea sul crine

                                   al tuo Arsace un diadema.

40                                Non ti spiaccia, o regina,

                                    che dalla man di Cosroe egli il riceva.

                                    Col cedergli Artenice

                                    a lui cedo l’Armenia; e se in mercede

                                    luogo avrò nel tuo cor, son lieto, e pago.

 

45        palmira          Prence, a quel segno porti i tuoi trionfi?

                                   Signor della mia vita, e del mio onore,

                                   già divien tua conquista anche il mio core.

                                    Gradiscilo. In Palmira

                                    sol guarda il figlio. Omai

50                                diasi alle andate cose eterno esiglio;

                                    e avrò in Cosroe, tel giuro, un altro figlio.[81]

 

            arsace           Madre, sposa, fratel, quai gioie e quante!

 

            artenice       Or sono in libertà gli affetti miei,

                                   e tu mio sposo, e tu mio re già sei.

 

55        ormisda         Venga, e chiuda i miei dì sonno di pace;

                                   e se natura il tarda,

                                   amore il premio affretti. Oggi al mio impero

                                   Cosroe sottentri con sì lieti auspici;[82]

                                   ed Ormisda sia il primo a dargli onore.

 

60        cosroe           No, genitor...

 

            ormisda                                 Lieto abbandono un peso

                                   a me grave, a me infausto.

                                   né Palmira si sdegni.

 

            palmira          Son paga. Arsace è re. Cosroe anche regni.

 

            mitrane                     Cosroe regni.

65                                            Viva Cosroe, il nostro re.

 

            coro                          Cosroe regni.

                                               Viva Cosroe, il nostro re.

 

            cosroe           Sarò in qualunque sorte e servo, e figlio.

 

            ormisda         Figlio sì degno è la maggior mia gloria.

 

70        mitrane         Tu vincitor dell’odio, e dell’amore

                                   avesti da virtù regno migliore.

 

            coro                          Regni dà natura e sorte;

                                               ma più bei li dà virtù.

                                               Cor più degno di gran regno,

75                                            più magnanimo e più forte

                                               del tuo, Cosroe, mai non fu.

                                              

 

           

 

                                   Il fine dell’Ormisda.

 

 

 

Apparato

 

 

Frontespizio del libretto 1721 (VG)

 

ORMISDA

DRAMMA

PER MUSICA,

DA RAPPRESENTARSI

NELLA CESAREA CORTE

PER

IL NOME GLORIOSISSIMO

DELLA

SACRA CESAREA E CATTOLICA REAL MAESTA’

DI

CARLO VI

IMPERADORE

DE’ ROMANI,

SEMPRE AUGUTSO.[83]

PER COMANDO DELLA

SACRA CESAREA E CATTOLICA REAL MAESTA’

DI

ELISABETTA

CRISTINA

IMPERADRICE REGNANTE,

L’ANNO MDCCXXI.

 

La Poesia è del Signor Apostolo Zeno, Poeta, ed Istorico di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.

La Musica è del Signor Antonio Caldara, Vice-Maestro di Cappella di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.

Vienna d’Austria,

appresso Gio. Pietro Van Ghelen, Stampatore di Corte di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.

 

 

Licenza dell’edizione 1721

 

Le adulatrici lodi

taccia Musa bugiarda. Ella un Re finse,

non qual ei fu, ma quale esser dovea.

Che se un’eccelsa idea d’alto Regnante

vuole ammirar, dall’Istro,

ove l’Augusto impera Ottimo CARLO,

il cui gran NOME oggi si onora, e cole,

il piè non volga, e non richiami il guardo.

Ma disio non l’accenda

di ritrarne col canto il pregio, e il merto.

Troppo è sopra al poter l’oggetto, e il vero:

tanto maggior degli altrui plausi, quanto

vincon le sue virtù la sua fortuna.

Riconoscerlo appieno

mai non si può. Ciò che CARLO, avanza

le glorie altrui: ciò ch’egli fa, le sue;

e sovra le presenti avran la palma

l’altre sue che verranno.

Virtù mai di sé stessa

paga non è. Cresce di pregio in pregio,

e riposo non ha, giunta anche al sommo.

Tu che m’ascolti, Alma di CARLO Augusta,

ben senti, e sai, che in darti lode io parlo

non al Romano Cesare, ma a CARLO.

 

                                    Chi a te rende omaggio

                                    di applauso sincero,

                                    non pensa al tuo impero,

                                    ma parla al tuo cor.

                                    E il cor che si sente

                                    dir giusto, clemente,

                                    magnanimo, e saggio,

                                    ne ha gioia, e ne ha pace.

                                    Da lode verace

                                    non vien mai rossor.

 

                                    Coro.

 

                                    Per lodar di CARLO il NOME,

                                    ci dà ardir la sua virtù.

                                    Né ci affrena altro timore,

                                    che il rimorso, in dargli onore,

                                    di dir poco, e dover più.

 

 

Argomento

In un altro dramma ] VG Nel dramma passato ; procurato ] VG proccurato ; da’ diritti ] VG da i diritti.

 

 

ATTORI.

 

ORMISDA,                 re di Persia.

PALMIRA,                  sua seconda moglie.

ARSACE,                    loro figliuolo, amante di Artenice.

COSROE,                   figliuolo di Ormisda, e d’altra sua prima moglie, amante anch’esso di Artenice.

ARTENICE,               regina di Armenia, amante di Arsace.

MITRANE,                 satrapo Persiano, e capo dell’ambasciata armena, confidente di Cosroe.

ERISMENO,              altro satrapo persiano, confidente di Palmira.

 

L’azione si rappresenta in Tauri, città capitale della Persia.

 

 

COMPARSE. (VG)

 

Di satrapi, e nobili Persiani con Ormisda.

Di Sciti con Palmira.

Di Medi con Arsace.

Di soldati Persiani con Cosroe.

Di Armeni con Artenice.

Di paggi Persiani con Palmira.

Di paggi Armeni con Artenice.

 

 

MUTAZIONI DI SCENE. (VG)

 

NELL’ATTO PRIMO.

Piazza reale apparata di ricchi drappi alla persiana, con due troni l’uno rincontro all’altro.

Galleria, per cui si passa nel serraglio reale.

Giardino con parco reale.

 

NELL’ATTO SECONDO.

Spelonca di Mitra col simulacro di quella deità, e grand’ara con fuoco ardente avanti di lui.

Bipartita di portici, sostenuta da doppio ordine di colonnati che introducono a i bagni reali.

 

NELL’ATTO TERZO.

Sala rappresentante la reggia di Marte.

Prigione.

Campagna con colline deliziose, e a piè d’esse l’attendamento dell’esercito persiano. Veduta della città con ponte di marmo dinanzi alla maggior porta.

 

Il tutto rara invenzione del Sig. Giuseppe Galli Bibiena, Secondo Ingegnere Teatrale di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.

 

 

BALLI. (VG)

 

NEL PRINCIPIO DELL’ATTO SECONDO.

Ballo di ministri di Mitra.

 

NEL FINE DELL’ATTO SECONDO.

Ballo di Persiani, e d’altri Orientali usciti de i bagni.

 

NEL FINE DELL’ATTO TERZO.

Ballo di capitani, e soldati Persiani.

 

Il primo, e’l terzo ballo, furono vagamente concertati dal Sig. Alessandro Philebois, Maestro di Ballo di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.

Il secondo ballo fu altresì vagamente concertato dal Sig. Pietro Simone Levassori de la Motta, Maestro di Ballo di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.

Con l’arie per li detti balli del Sig. Nicola Matteis, Direttore della Musica Instrumentale di Sua Maestà Cesarea e Cattolica.

 

 

Apparato di varianti nel testo

 

Varianti sostanziali

 

I.6.31: tutto il fasto mio. Se questo ] VG tutto il fasto mio, e se questo

 

I.10.1: in VG, la didascalia viene significativamente anticipata: VG Né sposa tua (a Cosroe) né tua regina ancora (ad Arsace). Questo porta a uno spostamento del senso della battuta di Palmira, che nel libretto originale sembra voler quasi separare i due litiganti negando all’uno la sua sposa, all’altro —in situazione, come sempre, di subalternità— la sua regina. Secondo la versione di Gozzi, Palmira riferisce invece entrambi gli attributi della negazione a Cosroe, rivolgendosi ad Arsace solo per rincuorarlo, come sembra più corretto anche alla luce delle battute che seguono.

 

I.15.14: temer; vicino ] VG temer. Vicino

 

I.17didascalia.1: Erismeno, e Palmira ] VG Palmira, ed Erismeno.

 

II.1didascalia.1: facelle accese ] VG facelle ardenti

 

II.7.61-62: e sarà vano | gridar pietà. ] VG e sarà vano – gridar pietà.

 

II.9.17: non ha loco ] VG non ha luogo

 

II.13.22: Oimè! ] VG Aimè!

 

II.13.26: Di cor generoso or non è tempo ] VG Di far non è tempo il generoso

 

III.4.1: Oimè! ] VG Aimè!

 

III.11.63: Oimè! ] VG Aimè!

 

 

Varianti ortografiche

 

I.1.2: all’Armenia ] VG a l’Armenia

 

I.1.6: te all’amor ] VG te a l’amor

 

I.1.8: all’onor ] VG a l’onor

 

I.1.14: quei diritti ] VG que’ diritti

 

I.1.18: e il tuo regno ] VG e’l tuo regno

 

I.2.26: e il cingerò ] VG e’l cingerò

 

I.3.16: il tuo sdegno ] VG ‘l tuo sdegno

 

I.3.18: è il consiglio ] VG è’l consiglio

 

I.4.3: or che ] VG orchè

 

I.4.30: dell’età ] VG de l’età

 

I.4.37: coll’amor ] VG con l’amor

 

I.5.6: alla legge ] VG a la legge

 

I.5.15: dalle schiere oziose ] VG da le schiere oziose

 

I.5.26: altra colpa all’ire ] VG altra colpa a l’ire

 

I.5.27: un’amor ] VG un amor

 

I.5.39: sino alla goccia ] VG sino a la goccia

 

I.6.16: alla sfortuna ] VG a la sfortuna

 

I.6.28: un angolo ] VG un’angolo

 

I.7.11: degli odi ] VG de gli odi

 

I.8.28: della Persia ] VG de la Persia

 

I.9.1: All’aspetto ] VG A l’aspetto

 

I.9.11: dalle vene ] VG da le vene

 

I.9.14: non della madre ] VG non de la madre

 

I.10.13: Segui. ] VG Siegui.

 

I.13.3: nell’odio dell’una ] VG ne l’odio de l’una

 

I.13.4: dell’altro ] VG de l’altro

 

I.13.7: all’ira ] VG a l’ira

 

I.13.16: nella real ] VG ne la real

 

I.14.6: e il trono ] VG e’l trono

 

I.15.6: ben d’uopo ] VG ben duopo

 

I.15.30: è il periglio ] VG è’l periglio

 

I.16.3: siate alle leggi ] VG siate a le leggi

 

I.16.14: de’ Persi ] VG de i Persi

 

I.17.3: della mia fede ] VG de la mia fede

 

I.17.5: all’ardua ] VG a l’ardua

 

I.17.7: novi ] VG nuovi

 

I.17.8: dall’onor ] VG da l’onor

 

I.17.11: alla colpa ] VG a la colpa

 

I.18.5: un acciar ] VG un’acciar

 

I.18.7: il move ] VG il muove

 

I.18.12: è il rimorso ] VG è’l rimorso

 

I.18.36: Allora ] VG A l’ora

 

I.18.37: dalle fauci ] VG da le fauci

 

I.18.39: è il pentimento ] VG è’l pentimento

 

I.18.45: della perfida ] VG de la perfida

 

I.18.48: prova dell’altrui ] VG prova de l’altrui

 

I.18.49: e il mio perdono ] VG e’l mio perdono

 

I.18.55: un’eccesso ] VG un eccesso

 

I.18.56: e il mondo ] VG e’l mondo

 

I.18.58: all’atroce ] VG a l’atroce

 

I.18.59: alla ria ] VG a la ria

 

II.1.7: fier nimico ] VG fier nemico

 

II.1.19: alla grand’ara ] VG a la grand’ara

 

II.1.23: che d’ostro, e d’oro ] VG che d’ostro e d’oro

 

II.2.34: sulle mie labbra ] VG su le mie labbra

 

II.2.43: Cosroe, ed Arsace ] VG Cosroe ed Arsace

 

II.2.52: alla mia gloria ] VG a la mia gloria

 

II.2.58: non cederà, ] VG non cederà

 

II.2.60: della grandezza ] VG de la grandezza

 

II.2.62: della beltà ] VG de la beltà

 

II.3.9: qual implacabil ] VG qual’implacabil

 

II.3.17: e il sono ] VG e’l sono

 

II.4.7: son io ] VG son’io ; didascalia a l’ara ] VG all’ara

 

II.4.11: sulle mie tempia ] VG su le mie tempia

 

II.5.13: dall’aspetto ] VG da l’aspetto

 

II.5.15: tu il vedi ] VG tu’l vedi

 

II.5.19: all’attonite ] VG a l’attonite

 

II.6.1: dell’impostura ] VG de l’impostura

 

II.6.5: è il dover ] VG è’l dover

 

II.6.10: io non son; tu l’uno ] VG io non son, tu l’uno

 

II.7.4: alla pena ] VG a la pena

 

II.7.6: all’offesa ] VG a l’offesa

 

II.7.11: tu il punisca ] VG tu’l punisca

 

II.7.26: dall’ire tue ] VG da l’ire tue

 

II.7.29: in qual uso ] VG in qual’uso

 

II.7.31: Tu allora ] VG tu a l’ora

 

II.7.59: per monte, e piano ] VG per monte e piano

 

II.8.1: Ostane a te il consegno ] VG Ostane, a te il consegno

 

II.8.4: De’ mali ] VG de i mali

 

II.8.11: è il tuo amore ] VG è’l tuo amore

 

II.8.12: e un empio figlio ]VG e un’empio figlio

 

II.8.13: Lui, che mi offese ] VG Lui che mi offese

 

II.8.14: nella parte ] VG ne la parte ; dell’alma ] VG de l’alma

 

II.8.21: tu il vedesti ] VG tu’l vedesti

 

II.8.31: della sola ] VG de la sola

 

II.8.45: lieto, o rio ] VG lieto o rio

 

II.9.6: all’atto ] VG a l’atto

 

II.9.7: alla mia scelta ] VG a la mia scelta

 

II.9.13: reggie ] VG regge

 

II.9.16: delle sue leggi ] VG de le sue leggi

 

II.9.23: d’uopo ] VG duopo

 

II.9.31: dell’Austro ] VG de l’Austro

 

II.9.34: Questi ori ] VG Quest’ori

 

II.10.7: novi mali ] VG nuovi mali

 

II.10.8: novi rimedi ] VG nuovi rimedi

 

II.10.10: alla tua gloria ] VG a la tua gloria

 

II.10.12: dell’oppressa ] VG de l’oppressa

 

II.10.14: della matrigna ] VG de la matrigna

 

II.10.37: da’ sudditi ] VG da i sudditi

 

II.10.45: all’opra ] VG a l’opra

 

II.10.48: allor ] VG a l’or

 

II.12.5: allor che ] VG a l’or che ; de’ portici ] VG de i portici

 

II.12.16: della mia fede ] VG de la mia fede

 

II.12.17: e il prigionier nimico ] VG e’l prigionier nemico

 

II.12.22: nuoce, ed uccide ] VG nuoce ed uccide

 

II.12.24: e il faccia ] VG e’l faccia

 

II.13.8: nell’alma ] VG ne l’alma

 

II.13.12: piuttosto ] VG più tosto

 

II.13.32: nell’arti ] VG ne l’arti

 

II.13.34: all’amor mio ] VG a l’amor mio

 

II.14.9: alla tua pace ] VG a la tua pace

 

III.2.12: e il preme ] VG e’l preme

 

III.2.26: ma il credi ] VG ma’l credi

 

III.2.27: allora ] VG a l’or

 

III.2.30: e il figlio ] VG e’l figlio

 

III.3.5: e il far ] VG e’l far

 

III.3.16: e copra ] VG e cuopra

 

III.3.29: qual io ] VG qual’io

 

III.3.31: dalle braccia ] VG da le braccia

 

III.3.40: dell’Asia ] VG de l’Asia

 

III.3.53: su’ Persi ] VG su i Persi

 

III.3.54: all’Armenia ] VG a l’Armenia

 

III.3.57: Nello stesso ] VG Ne lo stesso

 

III.3.58: alla vita ] VG a la vita

 

III.3.60: Della real ] VG De la real

 

III.3.63: de’ pubblici ] VG de i pubblici

 

III.3.76: nimici ] VG nemici

 

III.4.3: un amor ] VG un’amor

 

III.4.7: della Persia ] VG de la Persia

 

III.5.5: n’è il perfido ] VG n’è’l perfido

 

III.6.4: Della cittade ] VG De la cittade

 

III.6.5: e della reggia alla difesa ] VG e de la reggia a la difesa

 

III.8.11: e il re ] VG e’l re

 

III.8.21: a te il figlio ] VG a te’l figlio

 

III.8.30: e il trono ] VG e’l trono

 

III.8.47: sia in VG che in Gozzi è «aurea», quasi certamente un refuso.

 

III.8.49: e il fosco ] VG e’l fosco

 

III.8.57: e il varco ] VG e’l varco

 

III.9.7: All’oppressa ] VG A l’oppressa

 

III.9.8: a’ miseri rifugio: a’ rei spavento ] VG a i miseri rifugio: a i rei spavento

 

III.10.1: d’uopo ] VG duopo

 

III.10.8: De’ malvagi ] VG de i malvagi

 

III.10.13: della vendetta ] VG de la vendetta

 

III.10.14: sulla punta ] VG su la punta

 

III.11.2: novi comandi ] VG nuovi comandi

 

III.11.19: tu il sai ] VG tu’l sai

 

III.11.46: della tua sciagura ] VG de la tua sciagura

 

III.11.49: nimici ] VG nemici

 

III.11.52: nella tua vendetta ] VG ne la tua vendetta

 

III.11.74: Mi sovviene ] VG Mi sovvieni

 

III.11.75: l’ire affreno ] VG l’ire affreni

 

III.11.76: è il tempo ] VG è’l tempo

 

III.11.77didascalia: copre ] VG cuopre

 

III.11.87: e il reo ] VG e’l reo

 

III.12.10: dall’ire ] VG da l’ire

 

III.12.15: nella mia libertà, nella mia vita ] VG ne la mia libertà, ne la mia vita

 

III.12.19: dell’infausto ] VG de l’infausto

 

III.12.25: alla vendetta ] VG a la vendetta

 

III.12.30: buon uso ] VG buon’uso

 

III.13.14: della grandine ] VG de la grandine

 

III.13.19: a’ giochi, a’ canti ] VG a i giochi, a i canti

 

III.14.8: A’ vostri influssi ] VG A i vostri influssi

 

III.14.13: alla speranza ] VG a la speranza

 

III.15.15: nimici ] VG nemici

 

III.15.17: nella real ] VG ne la real ; E il padre ] VG E’l padre

 

III.15.19: nella sciagura ] VG ne la sciagura

 

III.15.20: giudizio ] VG giudicio

 

III.15.29: un ardor ] VG un’ardor

 

III.16.29: all’estremo ] VG a l’estremo

 

III.16.30: d’uopo ] VG duopo

 

III.17.11: della mia vita ] VG de la mia vita

 

III.18.11: nell’ultime agonie della sua vita ] VG ne l’ultime agonie de la sua vita

 

III.18.17: or che ] VG orché

 

III.18.41: dalla man ] VG da la man

 

III.18.46: della mia vita ] VG de la mia vita

 

III.18.50: alle andate ] VG a le andate

 

III.18.51: un altro ] VG un altro

 

III.18.59: sia il primo ] VG sia’l primo

 

III.18.70: dell’odio, e dell’amore ] VG de l’odio, e de l’amore

 

Licenza: dall’Istro ] VG da l’Istro ; e il merto ] VG e’l merto ; e il vero ] VG e’l vero ; appieno ] VG a pieno

 

 

N.B. Nelle didascalie dell’edizione Gozzi, tutti i «Parte» sono sostituiti da «Si parte».

 

 

 

Appendice

Variazioni nelle rappresentazioni successive

 

Si propone qui di seguito una breve rassegna dei cambiamenti più significativi apportati dalle rappresentazioni successive dell’Ormisda, precisando che in tutti i casi si tratta di varianti allografe.

 

 

Ormisda 1722 (Bologna)

 

Atto I

- scena iii, termina con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».

- scena xv e xvi, queste scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe nella scena xiv.

 

Atto II

- scena vi, viene eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.

- scena x, la prima parte del monologo di Artenice diventa una scena a sé:

               artenice                             De l’uscignolo il canto

                                                            altro non è, che pianto

                                                            d’innamorato cor.

                                                            La gloria, ond’io mi vanto,

                                                            quant’è crudele amore.

                                             Affetti del cor mio, siete infelici,

                                             sol perché generosi.

                                             Abbandonar conviene il caro Arsace;

                                             lo diceste, e si faccia.

                                             Entrar può pentimento in sen di amante;

                                             non in quel di reina.

- scena x (xi), l’aria di Mitrane è così sostituita:

               mitrane                              Come vuol che a’ rai del Sole

                                                            volga i lumi la sua prole

                                                            fin da nido acquila altera;

                                                            così volge i desir suoi

                                                            a la luce de gli eroi

                                                            tua reale alma sincera.

- scena xii (xiii), l’aria di Erismeno è così sostituita:

               erismeno                            Orgoglioso

                                                            alza le spume

                                                            real fiume,

                                                            e più s’adira,

                                                            quando mira

                                                            quello scoglio che lo arresta.

                                                            L’empio ancor tra sue catene

                                                            fremerà, ma senza spene.

                                                            Quanto più sarà fastoso,

                                                            avrà morte più funesta.

- scena xiii (xiv), l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                               Non temer di stella infida,

                                                            se ti guida

                                                            de la madre il fido amor.

                                                            Sarai re, sarai felice,

                                                            tel predice,

                                                            tel predice questo cor.

- scena xiv (xv), l’aria di Arsace è così sostituita:

               arsace                                 Qual nocchier che il suo naviglio

                                                            rimirò già quasi assorto,

                                                            tolto al fin dal rio periglio

                                                            dal bramato caro porto

                                                            guarda il mare, e si consola.

                                                            Tale anch’io, se dopo il pianto

                                                            vedrò in porto l’amor mio,

                                                            gioirò: ma l’alma intanto,

                                                            pena, e langue afflitta, e sola.

 

Atto III

- scena iii, l’aria di Cosroe è così sostituita:

               cosroe                                Fia tuo sangue il sangue sparso

                                                            da mie vene, o genitor.

                                                            Nel veder che invitto, e forte,

                                                            sarò grande in faccia a morte,

                                                            tu dirai: quegli è il mio cor.

- scena vi, l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                               Mio re, mio dolce sposo,

                                                            serena il mesto ciglio,

                                                            lasciò d’esserti figlio,

                                                            un empio, un infedel.

                                                            Vapor così orgoglioso,

                                                            talora il sole ingombra,

                                                            poi si dilegua in ombra,

                                                            lascia sereno il ciel.

- scena viii, l’aria di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace. Viene aggiunta una nuova scena con il seguente monologo di Ormisda:

               ormisda               Vanne, che troppo è dolce al cor paterno

                                             il pensier che nel figlio in mente cadde

                                             a prò de l’altro figlio.

                                             Il suo mortal periglio

                                             (in onta al giusto sdegno) è mio tormento:

                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi sento.

                                                            Son re sdegnato

                                                            consorte offeso,

                                                            ma padre ancor.

                                                            Quel core ingrato

                                                            vuol pur difeso

                                                            paterno cor.

- scena xiii, l’aria di Artenice è sostituita dalla seguente battuta di Arsace:

               arsace                  Addio, bella reina; oprai da forte,

                                             tu sei mio ciel, mio nume, e sei mia sorte.

- scena xiv, la scena è sostituita dalla seguente:

               artenice              Va’ pur, misero amante;

                                             ma prode, e generoso, a compier l’opra

                                             che di fama immortal degna facesti;

                                             il tuo raro valor già mi assicura:

                                             e le sognate larve ormai discaccia,

                                             ed ogni rio timore

                                             per tua virtù speme diviene al core.

                                                            Nera larva che sognai

                                                            luminosa oggi a’ mei rai,

                                                            rendi amabil lo spavento.

                                                            Fu d’orror squallida allora

                                                            la feral sanguigna aurora,

                                                            ma piacer nel giorno io sento.

-  scena xvi, l’aria di Palmira è sostituita dalla seguente:

               palmira                               Mira la quercia annosa,

                                                            mira lo scoglio in mar,

                                                            ch’aura piegar non osa,

                                                            ch’onda non può spezzar.

                                                            Così quest’alma mia,

                                                            e quercia, e scoglio sia,

                                                            che non potrai piegar.

 

 

Cosroe 1723 (Roma)

Atto I

- scena iii, termina con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».

- scena xv e xvi, queste scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe nella scena XIV.

- scena xvii, l’aria di Palmira è sostituita così:

            palmira                No, no: vuo’ che tua fede

                                             da me, dal figlio mio

                                             maggior dell’opra ancor sper mercede.

                                                            Se un dì sul patrio soglio

                                                            il figlio mio vedrò,

                                                            i rai volgendo a te,

                                                            a lui così dirò:

                                                            questo ti fece re,

                                                            questo mi vendicò.

                                                            Pensa, dirogli ancor,

                                                            che devo al suo gran cor

                                                            il premio, e la mercè,

                                                            se un regno ei ti donò.

 

Atto II

- scena ii, l’aria di Artenice è così sostituita:

            artenice                             Voglio che gloria sia

                                                            della costanza mia

                                                            rendere ai figli un padre,

                                                            et alla Persia un re.

                                                            Che poi benigna stella

                                                            cessata la procella

                                                            risplenderà per me.

- scena vi, viene eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.

- scena vii, l’aria di Cosroe viene sostituita così:

               cosroe                                Leon che freme,  

                                                            mai non si teme,

                                                            finché ristretto

                                                            fra i lacci sta.

                                                            Ma se la sorte

                                                            quelle ritorte

                                                            spezzar li fa;

                                                            il monte, e‘l piano

                                                            empio, inumano

                                                            tremar farà.

- scena ix, l’aria di Ormisda è così sostituita:

               ormisda                              Saprò con il rigore

                                                            d’offesa maestà

                                                            punir l’infedeltà

                                                            d’un figlio traditor.

                                                            Son re, son padre, e sposo,

                                                            giusto mi vuol la sorte,

                                                            barbaro la consorte,

                                                            ma lo contende amor.

- scena x, la prima parte del monologo di Artenice diventa una scena a sé:

            artenice              Stai pensando, o cor, ti sento

                                             nell’ardore, in cui ten giaci.

                                             Pietà chiedi... ah, taci, taci.

                                             Taci, e voi pur tacete

                                             affetti del cor mio, siete infelici,

                                             sol perché generosi.

                                             Abbandonar conviene il caro Arsace;

                                             lo diceste, e si faccia.

                                             Entrar può pentimento in sen di amante;

                                             non in quel di reina.

- scena x (xi), l’aria di Mitrane è così sostituita:

            mitrane                              Alma grande, alla tua gloria

                                                            servirà l’iniquo fato.

                                                            Che rispetta il suo furore

                                                            regio cor di virtù armato.

- scena xi (xii), l’aria di Artenice è così sostituita:

            artenice                             Non saria, bell’idol mio,

                                                            il tuo core

                                                            degno oggetto del mio amore,

                                                            se chiudesse in sé viltà.

                                                            Amo il volto, ma desio

                                                            che la bella,

                                                            di virtù chiara facella

                                                            dia splendore alla beltà.

- scena xii (xiii), l’aria di Erismeno è così sostituita:

            erismeno                            Regnerà;

                                                            e quell’alma ardita, e fiera,

                                                            che oggi vuol rapirli il soglio,

                                                            l’orgogliosa fronte altera

                                                            al suo trono piegherà.

                                                            Gema intanto fra ritorte,

                                                            e sol speri con la morte

                                                            di ottener la libertà.

- scena xiii (xiv), l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                               Varchi un mar di scogli pieno,

                                                            ma del lido amato in seno

                                                            io guidarti ben saprò.

                                                            Quando giunto al fin sarai,

                                                            quella destra bacierai;

                                                            che nel porto ti guidò.

- scena xiv (xv), l’aria d Arsace è così sostituita:

               arsace                                 Nella fosca, e ria procella

                                                            altri pur speri la calma,

                                                            e dovrà solo quest’alma

                                                            penar sempre, e senza speme.

                                                            Ma se pensa che l’onore

                                                            è sua guida, ed è sua stella;

                                                            va mancando il suo timore,

                                                            né più in sen sospira, e geme.

 

Atto III

- scena iii, l’aria di Cosroe è così sostituita:

               cosroe                                Sul freddo busto esangue,

                                                            su le mie membra lacere

                                                            passi chi vuol regnar

                                                            sovra il tuo soglio.

                                                            Ma fin che tutto il sangue

                                                            mi scorre per le vene,

                                                            in trono rimirar

                                                            altri non voglio.

- scena vi, l’aria di Palmira è così sostituita:

            palmira                               Non è degno quel reo del tuo dolore.

                                                            D’un indegno che ti offese,

                                                            d’un crudel che ti oltraggiò,

                                                            è follia sentir pietà.

                                                            Se punisci un traditore

                                                            che le leggi vilipese,

                                                            il tuo core

                                                            qual rimorso aver dovrà?

- scena vii, il monologo di Ormisda è così sostituito:

            ormisda               Colpe di figlio reo, protervia, orgoglio,

                                             tradimento, impostura,

                                             venite in mio soccorso, e sostenete

                                             le ragioni di un re che lo condanna.

                                             Tutto io fei per salvarlo:

                                             ei tutto per perir: mora: ma sento

                                             un non so che nel seno

                                             che mi muove a pietà: torna Erismeno.

                                             Vedo girarmi intorno

                                             ombra che mesta piange, e così grida:

                                             barbaro genitore,

                                             di permettere hai core

                                             che destra infame il nostro figlio uccida?

                                             Son l’estinta tua sposa,

                                             l’infelice sua madre:

                                             se il re lo condannò, l’assolva il padre.

                                             Delle viscere tue,

                                             delle viscere mie parte sì cara

                                             cadrà di vita prima?

                                             Ah pensa che sei padre, e il figlio viva.

                                             Sparve l’ombra dolente,

                                             e mi lasciò ripieno

                                             di spaventoso orror: torna Erismeno.

                                             No: s’ei vivesse, e che direbbe allora

                                             e la Persia, e l’Armenia? Il figlio mora.

                                             Par genitore atroce,

                                             e Ormisda è giusto re.

               ormisda               Vanne, che troppo è dolce al cor paterno

                                             il pensier che nel figlio in mente cadde

                                             a prò de l’altro figlio.

                                             Il suo mortal periglio

                                             (in onta al giusto sdegno) è mio tormento:

                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi sento.

                                                            Di padre il dolce nome

                                                            con quel di giusto re

                                                            in me

                                                            confonde amor.

                                                            Se il re condanna il figlio,

                                                            cangiando poi consiglio

                                                            l’assolve il genitor.

- scena x, la scena è sostituita dalla seguente:

                                          Cosroe incantenato per un braccio ad un sasso.

               cosroe                 Crudo re, padre inclemente!

                                             Cielo ingiusto! Un innocente,

                                             perché dee penar così?

               erismeno             Prence, hai duopo di tutta (stando di lontano)

                                             la tua fortezza. Io vengo

                                             a te nunzio di morte, e ‘l re l’impone.

               cosroe                 D’un malvagio, qual tu, questa è sol trama.

                                             Venga il padre, e comandi, io lieto moro.

               erismeno             È vano lo sperar. Scegli qual vuoi

                                             ferro, o velen. Questo è il voler del padre.

               cosroe                 Sì morirò: barbaro, iniquo mostro

                                             toglimi pur la vita,

                                             giacché la fama m’involasti: indegno;

                                             di ciò che oprai per te, questa mi rendi

                                             degna mercede?

               erismeno                                           Eh! Cosroe,

                                             chi riceve le offese,

                                             le scrive in marmo, e chi le fa, in arena.

Il governo del Ponto a me negato (si apre intanto nel muro una porta segreta della prigione, e ne calano Artenice, ed Arsace)

                                             io meritava. In cor ne chiusi il torto

                                             per vendicarlo. Eccone il tempo. Or mori.

                                             Arcieri, saettate

                                             di Cosroe il cor...

- scena xi, la scena è sostituita dalla seguente:

                                             Artenice, Arsace, e detti.

               artenice              Fermate.

                                             Ecco, Erismeno, il regio impronto, e noi

                                             rechiam nuovi comandi. (gli mostra l’anello)

                                             Lascia che a Cosroe io parli, e s’ei non cede,

                                             la ria sentenza esseguirai.

               erismeno                                                          Che inciampo!

               arsace                 Vanne, amor mio; da te pendon due vite. (ad Artenice) (Arsace si ritira in disparte, e Artenice si avanza)

               cosroe                 Qual fortuna per me, bella Artenice,

                                             vederti, e poi morire?

               artenice              Di morir non si parli; hai grazia, e vita.

               cosroe                 Chi non sa d’esser reo, grazia ricusa;

                                             ma pur come ciò sia?

               artenice              Un atto generoso

                                             puote salvar te stesso,

                                             spegner l’ira del padre,

                                             Palmira sodisfar, e render lieti

                                             il mio costante amor, la gloria mia.

                                             Col tuo voto Artenice abbia lo sposo,

                                             l’Armenia il suo regnante, e Arsace il sia. (Cosroe sta pensoso)

               arsace                  (A parte) Fate, o dei, che quell’alma al fin si renda.

               cosroe                 Reina, a te più deggio in ciò che oprasti

                                             quando meno mi amasti; amarmi, e farlo

                                             sara stato di amore util consiglio;

                                             ma in farlo senza amarmi

                                             generosa virtù ne ha tutto il merto.

                                             Or questa avria ragion d’abbandonarmi,

                                             s’io ti cedessi per campar di rischio:

                                             di Arsace sii. Mia morte a tel concede;

                                             nol potria la mia vita; e morte sola

                                             può Arsace unito a te render felice.

               erismeno             Già rispose il feroce, al re si serva. (ad Artenice)

               artenice              Attendi, e più rispetto ad Artenice. (ad Erismeno)

                                             Cosroe, con la tua morte al caro Arsace

                                             tu mi togli per sempre.

               cosroe                 Chi tel vieta me estinto?

               artenice              La gloria mia; che de la tua sciagura,

                                             esser non voglio il prezzo.

               cosroe                                                              O generosa!

                                             Tu m’insegni la via di vendicarmi;

                                             renderà i miei nemici

                                             la mia morte infelici.

               artenice              E me con loro.

                                             Son io degna, o crudel, di tal mercede?

                                             Me ancor confondi nella tua vendetta?

               cosroe                 I rimproveri tuoi, quasi m’han vinto:

                                             ma vedi, in questi ceppi, in quegli strali

                                             più che la pena mia, sta la mia fama;

                                             se tal ti cedo, si dirà che astretto

                                             vi fui non da pietà, ma da timore;

                                             nol farò; morir deggio; il vuole onore.

               erismeno             E lo comanda il re; non più dimore.

                                             Non è facile campar Cosroe da morte. (Arsace col stilo si avventa verso Erismeno)

               arsace                  Perfido, tu l’avrai;

               artenice              crudel, tu morrai;

               erismeno             E tu in Cosroe proteggi un parricida? (ad Artenice)

                                             E il figlio di Palmira

                                             può farmi un tal oltraggio? (ad Arsace)

               arsace                  Ah! Mi sovvieni

                                             o fatal giuramento, e l’ire affreni.

               erismeno             Ma di tutto si vada

                                             con l’avviso a Palmira.

               arsace                                                               Io qui l’attendo.

               erismeno                            Ella al figlio dia leggi, e’l reo poi cada.

                                                            Non ti lascio che un solo momento

                                                            per recarti più barbara morte.

                                                            L’aspettarla ti sia più tormento;

                                                            che sospesa non placa l’irato,

                                                            ma fa attesa tremare anche il forte.

- scena xiii: la scena è sostituita in questo modo:

                                          Arsace, ed Artenice.

               arsace                  Regina, io t’ubbidii.

               artenice                                            Da forte oprasti;

                                             ed or più del tuo volto amo il tuo core.

               arsace                  Che mi giova infelice,

                                             che tu dica d’amarmi, e amarmi tanto,

                                             se d’esser mia poscia ricusi?

               artenice                                                           Ah taci.

                                             Sa il ciel, se io bramo d’esser tua; ma spera;

                                             ch’io pur fremo nel petto

                                             che la speme gradita ognor s’avanza.

               arsace                  Menzognera non sia nostra speranza.

               artenice

               e arsace                Doppo tante, e tante pene

               artenice                             Idol mio,

               arsace                                                Caro mio bene

               artenice                             giunga il dì

               arsace                                                               venga il momento

               artenice

               e arsace                               in cui goda il cor contento,

                                                            e sia pago il nostro amor.

                                                            Non andrà senza mercede

               artenice                             tua virtù,

               arsace                                                               tua bella fede:

               artenice

               e arsace                               e vedrassi l’empio fato

                                                            disarmato di rigor.

- scena xv, l’ultima battuta di Palmira è così sostituita:

            palmira                Sì sì per vendicarti

                                             usa tutto il rigore:

                                             benché fra strazi, e da tormenti oppressa

                                             sarò contro di te sempre l’istessa.

                                                            Benché estinta, a farti guerra

                                                            dal profondo, e cieco regno.

                                                            Pallid’ombra a te verrò.

                                                            E se toglierti dal seno

                                                            non potrò lo spirto indegno

                                                            in sembianza orrida almeno            

                                                            la tua pace io turberò.

 

Dedica per l’edizione 1723:

SIRE.

Sono tante, e così forti le ragioni di consacrare alla MAESTÀ VOSTRA questo drama, che rendono quasi necessario in noi l’ardimento, o lo discolpano almeno col pretesto di pubblicare in tal guisa il profondo rispetto, e di provedere al nostro particolare interesse. Egli è un naturale instinto di chi teme una caduta, il cercare anche temerariamente alcun sostegno, ed il mettere un’illustre protezione in fronte alla debolezza, è un’arte ingegnosa, per nascondere sotto lo splendore di quella, le imperfezioni di questa. Un platano, quantunque pianta sterilissima di frutti, meritò gl’applausi di tutta l’Asia, perché questa lo vidde contrasegnato dalla benefica affezzione di uno sovrano, e noi assicuriamo la fortuna di codesto componimento, col mostrarlo al mondo fregiato della generosità della MAESTÀ VOSTRA, essendo fuor d’ogni dubbio che in grazia del Patrocinio che lo difende, si perdoneranno in esso i difetti; ed il benefizio ch’ella ne fa, perché sarà creduto un’approvazione dell’opera, darà legge, ed esempio al favore de gl’altri. Supplichiamo umilmente VOSTRA MAESTÀ d’un benignissimo perdono, se ardimo di dedicarle con noi medesimi, ancora il Teatro, e se per farlo con qualche scusa della nostra presunzione siam ricorsi alla gloria del di Lei Nome, che umilmente imploriamo per sua tutela, e con l’ossequio più profondo se gl’inchiniamo.

 

 

Artenice 1723 (Torino)

Atto I

- scena iii, termina con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».

- scena v, l’aria di Cosroe è così sostituita:

               cosroe                                Sin che Febo in ciel vedrai,

                                                            lo splendore di quera,

                                                            qual farfalla, adorerò.

                                                            S’armi pure odio, e furore

                                                            di quel soglio, e dell’amore

                                                            la ragion difenderò.

- scena vi, l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                               Se mi dici, e cara, e sposa

                                                            non ti credo ingrato cor:

                                                            se ne andaro i dì felici

                                                            io ben vedo il tuo rigor.

- scena viii, nuova scena.

                                             Cleonzio, poi Zaira.

               cleonzio             Da rabbia d’una donna il ciel mi guardi.

                                             Ormisda egli è pur buono!

                                             «Palmira, anima mia, di che paventi?»

                                             E quella gli risponde in mesto suono,

                                             «eh sì teneri nomi

                                             non son più per Palmira»

                                             Uh che rabbia! Uh che ira!

               zaira                    Maledetto il sartore,

                                             che s’è fatto aspettar più di due ore;

                                             la sala è senza gente; ma che veggio?

               cleonzio             Signora, io le son servo.

               zaira                                                                 Anzi padrone.    

                                             Qual sorte qui condusse uom sì cortese?

               cleonzio             Son cavalier di Cosroe confidente.

               zaira                    Io dama d’Artenice.

               zaira

               e cleonzio           (A parte) Se di me s’innamora io son felice.

               cleonzio             Eh signora, se mai...

               zaira                                                  Che?

               cleonzio             Le piacesse.

               zaira                                                  Che cosa?

               cleonzio                                                          D’accettarmi...

               zaira                    In che?

               cleonzio                            Per suo.

               zaira                                                  Via, dica?

               cleonzio                                                          Cavaliere.

               zaira                    Mi farà tanto onor di gran piacere.

                                             Che cavalier ben fatto, e tutto grazia!

               cleonzio             Signora, mi confonde;

                                             veda, son uom di merto,

                                             tutti de’ cavalieri ho i pregi addosso.

                                             In trattar l’armi non cedo a Marte.

                                             Canto come un’orchestra.

                                             E per farle vedere,

                                             quanto io sia singolare nella danza,

                                             eccole la maniera

                                             d’entrar con garbo, e grazie in una stanza.

                                                            Favorisca: alta la testa:

                                                            eh cammini un po’ più lesta,

                                                            guardi in faccia i più vicini;

                                                            via, su, replichi gl’inchini:

                                                            dica a quello, dica a questa,

                                                            serva, schiava, addio, buondì.

               zaira                    Mi permetta: io torno a fare:

                                                            veda, veda?

               cleonzio                            È singolare.

               zaira                                   Serva schiava, addio, buondì.

                                                            Non va ben così?

               zaira

               e cleonzio                                                        Così.

               cleonzio                            (A parte) Quanto semplice è costei.

               zaira                                   (A parte) Per mio ben l’eleggerei.

                                                            (ad alta voce) Dica in grazia, è forestiero?

               cleonzio                            Eh, mi burla! Non è vero.

                                                            Per la terra tutta quanta

                                                            il mio nome si decanta;

                                                            ma per altro son di qui.

               zaira                                   È di qui?

               cleonzio                                           Di qui.

               zaira                                                                 Di qui?

               cleonzio                            Sì, signora.

               zaira                                                                 Sì?

               cleonzio                                                                        Sì, sì.

               zaira

               e cleonzio                          .

- scena x, la scena è introdotta da un’aria di Artenice:

               artenice                             Tra la spene, e fra’l timore

                                                            il mio cor pace non ha.

                                                            E già vinto al suo dolore  

                                                            più resistere non sa.

- scena xii (xiii), l’aria di Arsace è la seguente:

               arsace                                 A parlar m’invita onore;

                                                            poi severo, e lusinghiero

                                                            a tacer m’impegna amor.

                                                            Io vi cheggio,

                                                            che far deggio?

                                                            Se favello, il cor mi dice,

                                                            se’ infelice, o traditor.

- scena xv e xvi: queste scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe nella scena xiv. L’aria di Cosroe diventa la seguente:

               cosroe                                Mesto si lagna

                                                            quell’usignolo

                                                            che laccio infido,

                                                            o fiero artiglio,

                                                            vicino al nido

                                                            de la compagna

                                                            mirando va.

                                                            Fra l’ira e‘l duolo

                                                            la chiama al piano;

                                                            la cerca al monte.

                                                            Se trema fronda;

                                                            se palpita onda,

                                                            crede in periglio

                                                            de la sua cara

                                                            la libertà.

- scena xviii (xvii), l’aria di Erismeno è così sostituita:

               erismeno                            Or fieri, or lusinghieri,

                                                            tiranni i miei pensieri

                                                            m’invitano a temer, ed a sperare,

                                                            di pena, e di contento

                                                            questo è‘l fatal momento

                                                            che d’infamia, o d’onor pompa dee far.

- scena xviii, nuova, seguita dal ballo dei Giardinieri:

               cleonzio                            Che gran fortuna mia

                                                            di trovar così buona compagnia!

                                                            gente di più paesi

                                                            Alemanni, Franzesi,

                                                            ad onor d’Artenice,

                                                            oggi stata regina incoronata,

                                                            più d’una grossa botte hanno votata.

                                                            Oh quanto è allegro questo giardiniere!

                                                            Che bel gusto, il vedere

                                                            que’ suoi garzoni Armeni pieni di vino!

                                                            In un paese, ove non piace punto.

                                                            La festa andrà benissimo:

                                                            orsù, messer Cleonzio

                                                            siete Bacco stessissimo.

                                                            Alberi, sassi, piante

                                                            tremate a noi davante.

                                                                           Al suon di corni, e pifferi

                                                                           si sveni al dio de’ grappoli

                                                                           un’ecatombe d’asini;

                                                                           su presto alla gran caccia.

                                                                           Olà, la testa frangasi

                                                                           a quel bestion selvatico,

                                                                           che rode viti, e pampani,

                                                                           o sempre in lor s’impaccia.

 

Atto II

- scena i, la prima scena è quasi del tutto eliminata (rimane solo la prima battuta del coro) e unita con la seconda.

- scena vii (vi), l’aria di Cosroe è così cambiata:

               cosroe                                Padre, fedel ti sono:

                                                            perché son base al trono,

                                                            queste catene al piè!

                                                            Parlano pur per me

                                                            palme, ed allori.

                                                            Ma tremi l’empietà,

                                                            se il ciel le spezzerà:

                                                            vendetta far saprò;

                                                            armato spirerò

                                                            sdegni, e furori.

- scena ix (viii), aggiunta un’aria di Mitrane:

               mitrane                              La nuvoletta

                                                            talor vedrai

                                                            del Sole i rai

                                                            coprir d’orrore

                                                            poi si dilegua

                                                            l’oscuro velo,

                                                            ritorna al cielo

                                                            il suo splendore.

Nella stessa scena, l’aria di Ormisda è così cambiata:

               ormisda                              Monti alpestri, selve amene,

                                                            voi recate quella pace

                                                            che fra gli ostri un re non ha.

                                                            De’ pensieri, e de le pene

                                                            sempre in voi l’orgoglio tace,

                                                            e‘l contento, e‘l riso sta.

- scena ix, nuova scena:

                                             Artenice, Zaira.

               artenice                             Di ruscello onda tramente

                                                            o da l’aure scossa fronda

                                                            è un ritratto del mio cor.

                                                            Del cor mio, che palpitante

                                                            or lusingasi, or s’affanna

                                                            fra la spene, e fra‘l timor.

                                             Affetti del cor mio,

                                             siete infelici, perch’eroici siete:

                                             abbandonar conviene il caro Arsace.

               zaira                    Notte, e dì per Arsace sospirate;

                                             gli dite anima mia, mio ben, mio core;

                                             farvelo re d’Armenia voi potete:

                                             pensate, e ripensate;

                                             e a l’uso delle donne,

                                             il peggio risolvete.

               artenice              Lasciami in pace.

               zaira                                                  Addio:

                                             ma sappiate, signora, che se amassi,

                                             come voi fate, non sarei già io.

                                                            Egli v’ama, voi l’amate;

                                                            perché, dite, non gli date

                                                            quella man, s’ei tiene il cor.

                                                            Mentre al regno lo chiamate,

                                                            ei vi dee con grato affetto,

                                                            gran rispetto, e grande amor.

- scena x, l’aria di Mitrane cambia in questo modo:

               mitrane                              Il rio dal mar si parte;

                                                            da le nascoste vene

                                                            va per ignote arene;

                                                            ma poi ritorna al mar.

                                                            Tal volge i desir suoi

                                                            l’anima tua reale

                                                            di tanti chiari eroi

                                                            la luce a vegheggiar.

- scena xii, l’aria di Erismeno è così mutata:

               erismeno                            ll fellon finché non cada

                                                            non sarai mai trionfante.

                                                            Veder parmi la sua spada

                                                            balenar a te davante.

- scena xiii, l’aria di Palmira viene sostituita:

               palmira                               Non temer di stella infida,

                                                            se ti guida

                                                            de la madre il fido amor.

                                                            Sarai re, sarai felice,

                                                            tel predice,

                                                            tel predice questo cor.

- scena xiv, l’aria di Arsace è così sostituita:

               arsace                                 Se l’amore s’armerà,

                                                            la mia gloria il vincerà,

                                                            pugnerò contro il mio cor.

                                                            Di quest’alma sarà vanto

                                                            fugir pace, ed amar pianto,

                                                            cercar danno, rio dolor.

- scena xv, nuova scena, prima del ballo dei Custodi.

                                             Cleonzio, Zaira.

               cleonzio                            Oh che mondo! Così va,

                                                            fra‘l mentire, e‘l simulare

                                                            la fortuna se ne sta.

                                                            Per campare, può sudare

                                                            fra gran pene l’uom dabbene,

                                                            come viver ei non sa.

                                             Di Cosroe mio padrone il caso acerbo

                                             io piango; è galantuomo,

                                             nessun meglio di me lo sa, che sempre

                                             gli sono stato a’ fianchi,

                                             e che sempre gli ho dato un buon esempio:

                                             è galantuom da vero;

                                             lo giurerò per Mitra stesso, e pure,

                                             con tutto il suo valore,

                                             son costretto a mirarlo in duri guai.

               zaira                    Datti pace: vedrai

                                             quanto possa Artenice,

                                             no, Cosroe non sarà sempre infelice.

                                             Quando la posso chiappar sola, o quando

                                             è nel suo gabinetto,

                                             glielo vo ramentando.

               cleonzio             Fallo di grazia, anima mia, deh fallo.

                                             Tu sai che un buon padrone

                                             fa di tutto pel servo; or è ben giusto

                                             che‘l servo pel padron faccia di tutto;

                                             e nelle sue disgrazie

                                             serbi fede, e costanza.

               zaira                    In Persia già regnò sì bella usanza;

                                             ma il mondo d’oggidì

                                             non l’intende così.

               cleonzio             Perché nelle cittadi

                                             son gli uomini a l’antica radi, radi.

               cleonzio                            Quanto saria dolcissimo,

               zaira                                   che vita giocondissima!

               cleonzio                            Fuor delle cure orribili

               zaira                                   Fuor de la sorte instabile

               zaira

               e cleonzio                          cantar su l’erbe tenere

                                                            ne’ monti più salvatici

                                                            La fa li le la la.

               cleonzio                            Invidia là non trovasi;

               zaira                                   Invide là non temonsi;

               zaira

               e cleonzio                          ma unite insieme albergano

                                                            virtù con en candida,

                                                            bellezza, ed onestà.

               zaira                    A più lieti pensieri

                                             diam luogo; e poiché tanto

                                             del ballo ti compiaci: olà, custodi, (escono facendo diversi inchini.)

                                             sciogliete in liete danze il piede intorno.

               cleonzio             Felice questa gente,

                                             se quanto ha bravo il piè, brava è la mente.

               zaira                                   Oggidì si mostra a dito

                                                            chi erudito non ha‘l piè.

                                                            Se qualcuno mai s’avanza,

                                                            senza inchini in una stanza,

                                                            v’ha chi dice, un goffo egli è.

 

Atto III

- scena i, la scena è introdotta in questo modo:

               ormisda                              Tra l’amore, e fra lo sdegno

                                                            di due fiamme avvampa il cor:

                                                            e non so nel grande impegno

                                                            chi di lor sia vincitor.

- scena vi, l’aria di Palmira è così mutata:

               palmira                               Mio re, mio dolce sposo,

                                                            serena il mesto ciglio,

                                                            lasciò d’esserti figlio,

                                                            un empio, un infedel.

                                                            Vapor così orgoglioso,

                                                            talora il sole ingombra,

                                                            poi si dilegua in ombra,

                                                            lascia sereno il ciel.

- scena viii, l’aria di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, mutata così:

               arsace                                 Qual tra fosca, e ria tempesta

                                                            al già pallido nocchiero

                                                            spunta un raggio lusinghiero,

                                                            che gli addita il vicino porto.

                                                            Tal vegg’io del tuo gran core

                                                            sfolgorar lampo di luce,

                                                            che fedel già mi conduce,

                                                            ove spero il mio conforto.

Viene inoltre aggiunta una nuova scena (ix) con il seguente soliloquio di Ormisda:

               ormisda               Vanne, che troppo è dolce al cor paterno

                                             il pensier che nel figlio in mente cadde

                                             a pro de l’altro figlio.

                                             Il suo mortal periglio

                                             (in onta al giusto sdegno) è mio tormento:

                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi sento.

                                                            Son re sdegnato

                                                            consorte offeso,

                                                            ma padre ancor.

                                                            Quel core ingrato

                                                            vuol pur difeso

                                                            paterno cor.

- scena xiii, viene aggiunta la seguente aria e eliminata la scena XIV, integrata alla precedente:

               arsace                                 La mia sorte a te fidai; (a Cosroe)

                                                            ma il cor mio sol fido a te. (ad Artenice)

               artenice                             So che ingrato non sarai; (a Cosroe)

                                                            ma il cor mio teme per te. (ad Arsace)

               cosroe                                Amo è vero; ma forse ancora

                                                            mi vedrete oprar da forte.

               arsace

               e artenice                           Ami è ver: ma forse ancora

                                                            ti vedremo oprar da forte.

               arsace                                 Cosroe, bella, ahimè ch’io moro!

               artenice                             Cosroe, Arsace ahi che t’adoro

               cosroe                                Sta il mio core in servitù

                                                            de l’amor, de la virtù,

                                                            benché il piè fuor di ritorte.            

               artenice              Va pur, misero amante;

                                             ma prode, e generoso, a compier l’opra

                                             che di fama immortal degna facesti;

                                             il tuo raro valor già mi assicura:

                                             e le sognate larve ormai discaccia.

                                             Ma novello timore,

                                             per tua virtù, viene a dar pena al core.

                                                            Basta dir che la mia pena

                                                            è l’amar senza speranza;

                                                            e l’aver troppa costanza

                                                            e’l dolor, che il cor m’impiaga.

                                                            Chi provò l’egual tormento,

                                                            sol può dir quel rio spavento,

                                                            che mortal mi fa la piaga.

- scena xv, aggiunta nuova scena:

                                             Cleonzio, Zaira.

               cleonzio             Viva, mia Zaira, viva:

                                             è Cosroe in libertade,

                                             mercè a la tua padrona, e al suo fratello.

                                             Dice pur bene quel proverbio antico,

                                             che contra l’innocenza

                                             l’impostura non vale un acca, un fico.

                                                            O che gusto! La matrigna

                                                            storge gli occhi, poi digrigna,

                                                            sbruffa, smania, e batte i piè.

                                                            E frattanto nella piazza

                                                            ognun grida, ammazza, ammazza:

                                                            viva Cosroe nostro re.

               zaira                    Compatisco quel povero d’Arsace,

                                             che insieme ad Artenice

                                             l’ha tolto di prigione;

                                             ed ora l’infelice

                                             dovrà ceder l’amata al suo padrone.

               cleonzio             Eh! Non conosci Cosroe:

                                             ei non è di quel popol sempliciaccio,

                                             che si lascia guidar da un bel mostaccio.

                                             Ama all’uso de’ grandi;

                                             e dice che la gloria

                                             è la sua prima donna; e per la gloria

                                             cederà la signora

                                             al fratello, il vedrai.

               zaira                    Di questi amori non ne veggio assai.

                                                            Quanti, quanti uomini

                                                            che fan da satrapi,

                                                            son debolissimi,

                                                            se mai s’incontrano

                                                            in una femmina,

                                                            l’arte di prenderli,

                                                            che intende, e fa.

                                                            I prudentissimi

                                                            fanno spropositi

                                                            arcigrandissimi:

                                                            co’ più salvatici

                                                            fino i più stitichi

                                                            piangon, sospirano

                                                            per la beltà.

                                             S’ode suono di trombe.

                                             Senti, senti le trombe?

               zaira                                                                 Che sia mai?

               cleonzio             Andiam, mia vita, andiamo.

                                             Chi sa che in sì bel giorno, amica sorte

                                             non mi faccia marito, e te consorte.

               zaira                                   Qual foglia sopra un albero,

                                                            cui muove d’aura un sibilo,

                                                            nel petto il cor mi palpita,

                                                            e mi fa ticche, ticchete.

               cleonzio                            Qual ferro su l’incudine,

                                                            che il fabbro vuol distendere,

                                                            mi sento il core a battere,

                                                            e a farmi tocche tocchete

               zaira

               e cleonzio                          Perché mio ben? Per te.

               cleonzio                            Dì il vero, dolce spene.

               zaira                                   Sì, caro mio tesoro.

                                                            Io t’amo,

               cleonzio                                           Ed io t’adoro,

                                                            mia vita,

               zaira                                                  caro bene,

               zaira

               e cleonzio                          per te son tutto/tutta .

- scena xvi, l’aria di Mitrane è così sostituita:

               mitrane                              Riconosco in quell’ardore

                                                            il tuo fato, il tuo riposo;

                                                            sarai sposo,

                                                            sarai re, mel dice amor.

                                                            Se pietà lo smorza, o frena,

                                                            sol ti resta in danno, in pena,

                                                            vil catena,

                                                            ira inerme, e rio dolor.

- scena xvi, l’aria di Palmira è sostituita dalla seguente:

               palmira                               Mira la quercia annosa,

                                                            mira lo scoglio in mar,

                                                            ch’aura piegar non osa,

                                                            ch’onda non può spezzar.

                                                            Così quest’alma mia,

                                                            e quercia, e scoglio sia,

                                                            che non potrai piegar.

 

 

Ormisda 1723 (Genova)

Atto I

- scena i, la prima parte della scena è sostituita dalla seguente:

               ormisda               O del grande Artabano,

                                             che a l’Armenia diè leggi, inclita figlia,

                                             bella Artenice, il lieto giorno è questo

                                             che por ti dee l’aurea corona in fronte,

                                             e darti al popol tuo sposa, e regina.

                                             Te a l’amor mio commise il re tuo padre,

                                             e che passi un mio figlio

                                             a l’onor del tuo letto, è suo volere.

                                             Dal tuo reale assenso

                                             questo or si adempia, e regni

                                             di te, vergine illustre, il cenno altero

                                             sul perso insieme, e su l’armeno impero.

                                             Liberi sensi esponi, e quei diritti

                                             che inspira a nobil alma

                                             il nome di Reina, usa a tua voglia.

- scena ii, l’aria di Mitrane è sostituita dalla seguente battuta:

               mitrane               Bacio la man che a tant’onor m’inalza,

                                             e scorgo in questo dono

                                             il gran dover, a cui prescielto or sono.

- scena iii, termina con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».

- scena vi, l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                                Se mi dici, e cara, e sposa

                                                            non ti credo ingrato cor:

                                                            se ne andaro i dì felici

                                                            io ben vedo il tuo rigor.

- scena viii, l’aria di Artenice è sostituita dalla seguente:

               artenice                             Col rapirmi o regno, o core

                                                            di turbare il nostro amore

                                                            forse il ciel rimorso avrò:

                                                            ma più caro dell’impero

                                                            quel bel volto lusinghiero

                                                            sul mio cor trionferà.

- scena xii, l’aria di Arsace è così sostituita:

               arsace                                 Padre io taccio sai perché?

                                                            Perché temo ancor per te, (ad Ormisda)

                                                            ma tu pena non avrai: (a Cosroe)

                                                            placa l’ira, e fa svenarmi (ad Ormisda)

                                                            ma il tuo sdegno almen risparmi

                                                            l’innocenza che non sai.

- scena xv e xvi: queste scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe nella scena xiv.

- scena xvii (xv), l’aria di Palmira è sostituita dalla seguente:

               palmira                               Sul labro mio favella

                                                            d’una reina il cor

                                                            se brami gemme, ed or

                                                            tesori avrai:

                                                            se poi d’un sembiante

                                                            rendesti il cor amante

                                                            di bella sposa allor

                                                            lieto sarai.

- scena xviii (xvi), l’aria di Erismeno è così sostituita:

               erismeno                            Quando serve alla vendetta,

                                                            il rigor d’un’alma forte

                                                            è dover, non empietà.

                                                            Se virtude allora s’oppone

                                                            la virtù divien viltà.

 

Atto II

- scena i, la prima scena è quasi del tutto eliminata (rimane solo la prima battuta del coro) e unita con la seconda.

- scena ii (i), l’aria di Artenice è così sostituita:

               artenice                             Se chiedete che costante

                                                            serbi fede al vostro regno

                                                            la giurai, la serberò:

                                                            ma non vuol la gloria mia

                                                            che funesta or a voi sia,

                                                            se or lo sposo eleggerò.

- scena vi (v), viene eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.

- scena viii (vii), l’aria di Palmira viene così sostituita:

               palmira                Pace sì cor del mio cor

                                                            sì pietà del mio dolor,

                                                            e se ‘l sangue poi si vuole

                                                            il mio sen lo verserà:

                                                            vita imploro solo a te,

                                                            caro figlio a te pietà

                                                            m’intendesti o padre, o re?

                                                            Solo a me la crudeltà.

- scena ix (vii), viene eliminata l’ultima battuta con l’aria di Ormisda, spostata nella scena successiva. L’aria è la seguente:

               ormisda                              Monti alpestri, selve amene

                                                            voi recate quella pace

                                                            che fra gl’ostri un re non ha:

                                                            de’ pensieri, e delle pene

                                                            sempre in voi l’orgoglio tace,

                                                            e’l contento, e’l riso sta.

- scena x, la battuta di Artenice («Affetti del cor mio, siete infelici») è spostata da sola in una scena a sé.

- scena x (xi), l’aria di Mitrane è così sostituita:

               mitrane                              Orgoglioso alza le spume,

                                                            real fiume,

                                                            e più s’adira,

                                                            quando mira

                                                            quello scoglio che lo arresta:

                                                            al mirar tra le catene

                                                            l’innocenza, senza spene,

                                                            dal tuo corso luminoso,

                                                            la tua gloria or qui t’arresta.

- scena xii (xii), l’aria di Erismeno è così sostituita:

               erismeno                            Frema l’empio tra crude ritorte,

                                                            senza speme di qualche pietà:

                                                            all’aspetto di livida morte,

                                                            forse ancora quel cor tremerà.

- scena xiii (xiv), l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                               Non temer di stella infida,

                                                            se ti guida

                                                            de la madre il fido amor.

                                                            Sarai re, sarai felice,

                                                            tel predice,

                                                            tel predice questo cor.

- scena xiv (xv), l’aria di Arsace è così sostituita:

               arsace                                 Per quel bel volto

                                                            che m’innamora,

                                                            più non ti ascolto

                                                            pietà crudel:

                                                            per te non voglio,

                                                            regnar sul soglio,

                                                            quanto infelice,

                                                            tanto infedel.

 

Atto III

- scena ii, viene eliminata gran parte della scena, compresa l’aria di Ormisda.

- scena iii, l’aria di Cosroe è così sostituita:

               cosroe                                Fia tuo sangue il sangue sparso

                                                            da mie vene, o genitor.

                                                            Nel veder che invitto, e forte,

                                                            sarò grande in faccia a morte,

                                                            tu dirai: quegli è il mio cor.

- scena viii, l’aria di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, mutata così:

               arsace                                 Se all’urto di ria procella

                                                            freme l’onda, e’l ciel balena,

                                                            al brillar d’amica stella,

                                                            l’onda, e’l ciel si placherà:

                                                            tale ancor dopo il tormento,

                                                            raggio amico di contento,

                                                            lieta calma porterà.

Viene inoltre aggiunta una nuova scena con il seguente monologo di Ormisda:

               ormisda               Vanne, che troppo è dolce al cor paterno

                                             il pensier che nel figlio in mente cadde

                                             a pro de l’altro figlio.

                                             Il suo mortal periglio

                                             (in onta al giusto sdegno) è mio tormento:

                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi sento.

                                                            Son re sdegnato

                                                            consorte offeso,

                                                            ma padre ancor.

                                                            Quel core ingrato

                                                            vuol pur difeso

                                                            paterno cor.

- scena xii (xiii), viene aggiunta la seguente aria:

               arsace                                 La mia sorte a te fida,

                                                            ma il cor mio sol fido a te.

               artenice                             So che ingrato non sarai,

                                                            ma il mio cor teme per te.

               cosroe                                Amo, è ver: ma forse ancora

                                                            mi vedrete oprar da forte.

               arsace                                 Cosroe, bella, ahimè ch’io moro.

               artenice                             Cosroe, Arsace, ahi che...

               cosroe                                Sta il mio cuore in servitù,

                                                            dell’amor della virtù,

                                                            benché il più fuor di ritorte.

- scene xiii e xiv eliminate, insieme a gran parte della xv.

- scena xvi, l’aria di Palmira è sostituita dalla seguente:

               palmira                               Mira la quercia annosa,

                                                            mira lo scoglio in mar,

                                                            ch’aura piegar non osa,

                                                            ch’onda non può spezzar.

                                                            Così quest’alma mia,

                                                            e quercia, e scoglio sia,

                                                            che non potrai piegar.

 

 

Ormisda 1728 (Venezia)

Atto I

- scena iii, termina con la battuta di Artenice «Bella virtù, che m’innamora, e piace».

- scena xv e xvi, queste scene sono eliminate dal dramma, e le prime due battute di Cosroe e Mitrane nella scena xv sono integrate nel monologo di Cosroe nella scena xiv.

 

Atto II

- scena ii, l’aria di Artenice è così sostituita:

               artenice                             Tuoni a destra il cielo irato

                                                            urti, incalzi avverso fato

                                                            con più torbida procella:

                                                            la mia gloria fia mio scampo

                                                            e di lei seguendo il lampo

                                                            seguirò mia fida stella.

- scena vi, viene eliminata l’aria a due di Palmira e Cosroe.

- scena vii, l’aria di Cosroe viene sostituita così:

               cosroe                                Quel furor che già nel mio seno

                                                            freme d’ira, e di veleno

                                                            e il rigor d’un’alma infida

                                                            rabbia inspira, odio, e rigor;

                                                            spero ancor vendetta un giorno

                                                            se il mio piè salirà al trono

                                                            di far straggi col rigor.

- scena ix, l’aria di Ormisda è così sostituita:

               ormisda                              Son come alpino monte

                                                            che altero alza la fronte

                                                            ma il picciol ruscelletto,

                                                            col dolce mormorio,

                                                            poi divenuto un rio

                                                            il frange e atterra;

                                                            così mal vien difeso

                                                            il re da’ suoi tesori

                                                            ne vaglion geme ed ori

                                                            se la forza del fatto

                                                            a noi fa guerra.

- scena x, la battuta di Artenice («Affetti del cor mio, siete infelici») è spostata da sola in una scena a sé.

- scena x (xi): l’aria di Mitrane è così sostituita:

               mitrane                              Come vuol che a’ rai del Sole

                                                            volga i lumi la sua prole

                                                            fin da nido acquila altera;

                                                            così volge i desir suoi

                                                            a la luce de gli eroi

                                                            tua reale alma sincera.

- scena xii (xiii), l’aria di Erismeno è così sostituita:

               erismeno                            Orgoglioso

                                                            alza le spume

                                                            real fiume,

                                                            e più s’adira,

                                                            quando mira

                                                            quello scoglio che lo arresta.

                                                            L’empio ancor tra sue catene

                                                            fremerà, ma senza spene.

                                                            Quanto più sarà fastoso,

                                                            avrà morte più funesta.

- scena xiii (xiv), l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                               Non temer di stella infida,

                                                            se ti guida

                                                            de la madre il fido amor.

                                                            Sarai re, sarai felice,

                                                            tel predice,

                                                            tel predice questo cor.

- scena xiv (xv), l’aria di Arsace è così sostituita:

               arsace                                 Qual nocchier che il suo naviglio

                                                            rimirò già quasi assorto,

                                                            tolto al fin dal rio periglio

                                                            dal bramato caro porto

                                                            guarda il mare, e si consola.

                                                            Tale anch’io, se dopo il pianto

                                                            vedrò in porto l’amor mio,

                                                            gioirò: ma l’alma intanto,

                                                            pena, e langue afflitta, e sola.

 

Atto III

- scena iii, l’aria di Cosroe è così sostituita:

               cosroe                                Fia tuo sangue il sangue sparso

                                                            da mie vene, o genitor.

                                                            Nel veder che invitto, e forte,

                                                            sarò grande in faccia a morte,

                                                            tu dirai: quegli è il mio cor.

- scena vi, l’aria di Palmira è così sostituita:

               palmira                               Mio re, mio dolce sposo,

                                                            serena il mesto ciglio,

                                                            lasciò d’esserti figlio,

                                                            un empio, un infedel.

                                                            Vapor così orgoglioso,

                                                            talora il sole ingombra,

                                                            poi si dilegua in ombra,

                                                            lascia sereno il ciel.

- scena viii, l’aria di Ormisda viene eliminata, e viene spostata al suo posto quella di Arsace, così mutata:

               arsace                                 Viva al padre il regal figlio

                                                            forse il ciel miglior consiglio

                                                            fia che inspiri al giusto re;

                                                            se versato poi il tuo sangue

                                                            per il misero già esangue

                                                            saria vano il pianto in te.

Viene aggiunta una nuova scena con il seguente monologo di Ormisda:

               ormisda               Vanne, che troppo è dolce al cor paterno

                                             il pensier che nel figlio in mente cadde

                                             a pro de l’altro figlio.

                                             Il suo mortal periglio

                                             (in onta al giusto sdegno) è mio tormento:

                                             perir (s’egli perisce) anch’io mi sento.

                                                            Son re sdegnato

                                                            consorte offeso,

                                                            ma padre ancor.

                                                            Quel core ingrato

                                                            vuol pur difeso

                                                            paterno cor.

- scena xi (xiii), viene rimossa l’aria di Erismeno.

- scena xiv: la scena è sostituita dalla seguente:

               artenice              Va’ pur, misero amante;

                                             ma prode, e generoso, a compier l’opra

                                             che di fama immortal degna facesti;

                                             il tuo raro valor già mi assicura:

                                             e le sognate larve ormai discaccia,

                                             ed ogni rio timore

                                             per tua virtù speme diviene al core.

                                                            Nera larva che sognai

                                                            luminosa oggi a’ mei rai,

                                                            rendi amabil lo spavento.

                                                            Fu d’orror squallida allora

                                                            la feral sanguigna aurora,

                                                            ma piacer nel giorno io sento.

- scena xvi, l’aria di Palmira è sostituita dalla seguente:

               palmira                               Mira la quercia annosa,

                                                            mira lo scoglio in mar,

                                                            ch’aura piegar non osa,

                                                            ch’onda non può spezzar.

                                                            Così quest’alma mia,

                                                            e quercia, e scoglio sia,

                                                            che non potrai piegar.

- scena xviii (xix), la conclusione del dramma è così mutata:

               palmira                Son paga. Arsace è re. Cosroe anche regni.

               mitrane               Cosroe regni...

               coro                                    Regni dà natura e sorte;

                                                            ma più bei li dà virtù.

                                                            Cor più degno di gran regno,

                                                            più magnanimo e più forte

                                                            del tuo, Cosroe, mai non fu.

 

 

Ormisda 1730 (Londra)

Il pasticcio del 1730 è, per la sua stessa natura, una rielaborazione molto più marcata del testo originale zeniano, con consistenti tagli che riguardano tutta l’opera e fusioni di scene. Mi limito pertanto a segnalare le nuove arie e le scene inedite.

 

Atto I:

- scena iv (iii):

               artenice                             Pupillette vezzosette

                                                            dell’amato mio tesoro

                                                            se vi basta il dir ch’io moro

                                                            sia per voi questa pietà.

                                                            Siete belle come stelle,

                                                            che adornate il ciel d’amore,

                                                            ma al mio grado, e al regio onore

                                                            ceder deve la beltà.

- scena vi (v):

               palmira                               Infelice abbandonata

                                                            già mi scorgo o sposo ingrato

                                                            con un figlio sventurato

                                                            preda sol di crudeltà.

                                                            Ahi per me non v’è difesa

                                                            più consiglio non m’avanza

                                                            nel tuo ancor la mia costanza

                                                            ingannata al fin sarà.

- scena vii (vi):

               ormisda                              Se non sa qual vento il guida

                                                            spera invan folle nocchiero

                                                            di condur sua nave in porto.

                                                            Tal anch’io che stella infida

                                                            sol m’intorbida il pensiero

                                                            e non trovo alcun conforto.

- scena viii (vii):

               artenice                             O caro mio tesoro

                                                            tuo ciglio, il labbro, il crin

                                                            accende alletta annoda

                                                            il petto, l’alma il cor.

                                                            Il tuo bel crine è d’oro,

                                                            il labbro è di rubin,

                                                            e par che sempre goda

                                                            star nel tuo ciglio amor.

- scena xii (xi):

               arsace                                 Tacerò se tu lo brami

                                                            ma fai torto alla mia fede

                                                            se mi credi traditor

                                                            porterà lontano il piede

                                                            ma placati i sdegni tuoi

                                                            so che poi n’avrai rossor.

- scena xiii (xii):

               ormisda                              Se non pensi al dover di figlio

                                                            mai del padre sperar puoi la calma.

                                                            Dunque abbassa l’altero tuo ciglio

                                                            se goder vuoi la pace dell’alma.

- scena aggiuntiva (xvi):

               palmira                               Se quel cor con nobil vanto

                                                            serve fido al mio pensiero;

                                                            tutto spero, e allor quest’alma

                                                            lieta al fin trionferà.

                                                            Sarò grata al suo valore

                                                            e vedrà qual sia il mio core,

                                                            nel premiar sempre costante           

                                                            la sua bella fedeltà.

 

Atto II

- scena ii (i):

               artenice                             Se d’Aquilon lo sdegno

                                                            tronca la pianta amata,

                                                            la vite innamorata

                                                            languida cade al suol.

                                                            Del caro tronco priva

                                                            non ha chi la sostenga,

                                                            il rio non la ravviva

                                                            non l’alimenta il sol.

- scena viii (v):

               erismeno                            Come l’onda furibonda

                                                            d’orgoglioso fiume ondoso,

                                                            allo scoglio a franger va.

                                                            Tal del figlio’l cieco orgoglio

                                                            d’un regnante genitore.

                                                            Al vigore cederà.

- scena viii (vi):

            palmira                               Nel tuo amor o dolce sposo

                                                            la sua gioia è’l suo riposo

                                                            l’alma mia sol può sperar.

                                                            Per l’avverso e lieto fato

                                                            ti sovvenga sposo amato

                                                            che ti seppi ognor amar.

- scena ix (vii):

               ormisda                              Sì sì lasciatemi

                                                            tutta dell’anima

                                                            la libertà.

                                                            Che così vivere

                                                            l’oppresso spirito

                                                            non può non sa.

- scena xiii (xi): dall’ultima battuta di Arsace in poi, la scena è strutturata come segue:

               arsace                  Il giuro.

                                             (a parte) Pur Cosroe salverò: vincerò il padre.

                                             Né mai mi troverai ch’io sia spergiuro.

                                                            Lasciami amico Fato,

                                                            oprar con core grato,

                                                            e poi se mi vuoi morto

                                                            lieto morir saprò.

                                                            Né vana è mia speranza.

                                                            In sì crudel martire,

                                                            sostengo la costanza

                                                            che in petto aver dovrò.

 

               palmira                Quanto del caro Arsace,

                                             il bel cor generoso,

                                             turbò in un sol momento il mio riposo.

                                             Temea che non scoprisse

                                             il mio furor, e d’Erismen la vita,

                                             fosse da lui rapita.

                                             Or che giurò, son paga,

                                             del passato timore,

                                             sparisce il spettro, e si rischiara il core.

                                                            Timido pellegrin,

                                                            che‘l suo camin smarrì,

                                                            vede spuntar il dì, e si consola.

                                                            Tal dopo il mio tormento,

                                                            sen riede un bel contento

                                                            l’affanno ed il timor dal cor sen vola.

- scena xii, nuova:

                                             Artenice sola.

               artenice              Arsace anima mia,

                                             perché fedel mi sei

                                             sol mio sposo esser dei.

                                             A che mi gioveria,

                                             aver amante possessor del mondo?

                                             E poi che infido ingrato

                                             d’altra beltà in catene,

                                             mi dicesse spietato,

                                             tu non sei più l’idolatrato bene?

                                                            Sentirsi dire dal caro bene

                                                            ho cinto il core d’altre catene,

                                                            quest’è un dolore, quest’è un martire

                                                            che un’alma fida soffrir non può.

                                                            Che se ti lagni del traditore,

                                                            ti dirà forte con empio core,

                                                            se la mia fede così t’affanna.

                                                            Perché tiranna t’innamorò?

 

Atto III

- scena iv (iii), l’aria di Cosroe è così mutata:

               cosroe                                Fia tuo sangue il sangue sparso

                                                            da mie vene o genitor.

                                                            Nel veder ch’invitto e forte,

                                                            sarò grande in faccia a morte;

                                                            tu dirai: quegli è il mio cor.

- scena vii (vi), l’aria di Arsace diventa la seguente:

               arsace                                 Io corro pietoso

                                                            con alma fedele

                                                            da morte crudele

                                                            quel prode a salvar.

                                                            Del Fato funesto

                                                            men volo, m’appresto

                                                            a scioglier il nodo

                                                            perché sol io godo

                                                            potergli giovar.

- scena viii, l’aria di Ormisda, separata dalla scena precedente come per le rappresentazioni dal 1722 in poi, è la seguente:

               ormisda                              Ti sento amor di padre,

                                                            ch’estinto ogn’altro affetto

                                                            divampi nel mio petto

                                                            e tutto il vuoi per te.

                                                            Combattono il mio core

                                                            e la pietà, e‘l rigore;

                                                            ma in fine un cor di padre

                                                            ritrovo solo in me.

- scena xiii/xiv (xi), diventa un monologo di Artenice, il seguente:

               artenice              Del germano al periglio

                                             tra mille dubbi involto

                                             non ardia non sapea l’amante Arsace

                                             recar a sé, né dar altrui la pace.

                                             Di donna amata, e che non può l’impero?

                                             Gli scopro il mio desio,

                                             succede al suo timor nobil vigore

                                             opera da grande, e ne trionfa amore.

                                                            Passaggier, che in selva oscura

                                                            muove errando il dubbio piede,

                                                            nell’orror non sa, né vede

                                                            qual sentiero rintracciar.

                                                            E nel suo piè non s’assicura

                                                            e’ nel rischio di cadere

                                                            ogni passo il fa temere

                                                            ogni fronda il fa tremar.

- scena xvi (xiii), l’aria di Palmira diventa la seguente:

               palmira                               Se mi toglie il furore

                                                            regno, sposo, e figlio ancor

                                                            puoi strappar dal seno il cor,

                                                            ne vedrai allorch’io mora

                                                            l’alma in gemiti spirar.

                                                            Io disprezzo ogni pietade

                                                            sazia pur tua crudeltade,

                                                            non saprò mai paventar.

- scena xviii (xv): la conclusione del dramma è la seguente:

               artenice              Ora sono in libertà gli affetti miei,

                                             e tu mio sposo, e tu mio re già sei.

                                                            Amico il fato, mi guida in porto

                                                            e tu mio caro, mi fai gioir.

                                                            Ti renda amore per mio conforto

                                                            fermo‘l tuo core per me a languir.

                                             Spenta di crudo Aletto al fin la face,

                                             splenda nell’alma, Amor, Concordia e Pace.

               coro                                    D’applausi e giubilo

                                                            l’aria risuone.

                                                            E al nuovo rege

                                                            d’allori e palme

                                                            tessiam corone.


 

Argomento e scenario

del Cosroe

tragedia italiana da recitarsi nel Seminario Romano nelle correnti vacanze

di Carnevale da Convittori delle Camere maggiori

(1662)[84]

 

Argomento

Cosroe tiranno della Persia, quanto di genio superbo, e crudele, altrettanto di natura codarda e effeminata, dopo aver afflitto il regno con molte guerre e con molte sceleraggini, in varie persecuzioni mosse a’ Cristiani, irritata la maestà divina, venuto in odio, e a popoli, e a Dio: mentre disegnava assicurare la sua cessione del regno in Martesane  suo secondogenito, che di nascosto avea già incoronato re della Persia, irritò di maniera  Syroe, a cui di ragione, come primogenito si doveva l’imperio Persiano, che fermata occultamente la pace con Eraclio Imperatore, il quale vittorioso scorreva quasi tutta la Persia, e promessogli di dargli in mano il sacro Legno della nostra Redenzione facilmente gli riuscì farsi padrone del regno e della vita di suo padre, il quale lungo tempo tormentato in prigione con poc’acqua e poco pane udendo pronunciata dal  proprio suo figlio quella rigorosa sentenza Comedat aurum, quod incassum collegit, propter quod esciam multos fame necavut mundumque delevit finalmente fu fatto morire saettato. Permettendo il Signore che siccome esso parricida era salito al soglio uccidendo il suo genitore Ormisda, così ne fusse dal medesimo scacciato, per mano d’un altro suo figlio parricida.

 

Prologo

Atlante, Mercurio, le tre Parche.

S’introducono le tre Parche, che dolcemente cantando ragguaglino i mortali degl’effetti della lor potenza. Ma vien tosto interrotto il loro canto dalle querule del vecchio Atlante, il quale già stanco gemente sotto il peso delle stelle e chiamando Mercurio suo nipote il prega a voler inviargli Alcide, che sottentri al grave incarco. Ma ode sì da questi, come dalle Parche, che Alcide avea già terminato i suoi giorni. Per il che chiedendo in grazia a Giove che almeno la terra da tante guerre scommossa gli lasci ferma, ove possa posare il suo piè vacillante. Viene pertanto assicurato dalle Parche di Cosroe, il quale inquietato con tante guerre l’Asia, di figlio parricida avea esser estinto. Promettendogli inoltre che dopo un lungo girar de’ lustri sarian venuti a sollevare con miglior fortuna gl’affanni dell’Asia una coppia d’eroi, e che meglio d’Alcide.

 

Un invitto Delfino un Regio Infante,

le veci sostener potran d’Atlante.

 

Atto primo

scena prima

S. Anastasio.

Aprirà la scena S. Anastasio, che poco prima con invitta pazienza per comandamento di Cosroe era stato svenato martire glorioso, publicando il divin decreto di punire con morte atroce le sceleragini del tiranno. Ed a tal fine risveglierà dall’Inferno l’ombra d’Ormisda padre di Cosroe, a cui darà in mano la spada della divina giustizia, con la quale Syroe il padre parricida con un altro parricidio tolga di vita.

 

Scena II

Ombra di Ormisda. S. Anastasio.

Risvegliata dall’Inferno l’ombra di Ormisda ode da S. Anastasio come lui deve incitare Syroe al parricidio per mezzo della spada consegnatagli in mano.

 

Scena III

Ombra d’Ormisda.

Sfogato in parte il suo dolore, s’accinge all’opra Ormisda.

 

Scena IV

Sarbara.

Sarbara prencipe del regno sospetto a Cosroe di ribellione, che perciò era stato da esso lui condannato a morte, purgata in parte la sua causa, va querelandosi della tirannia del suo re.

 

Scena V

Razete, Sarbara.

Razete anch’esso uno de’ prencipi della Persia, concordemente con Sarbara sospirano la Libertà della lor patria, passando perciò conseguire vari ragionamenti di ribellione.

 

Scena VI

Aramane, Sarbara, Razete.

Aramane sopraggiunge, e portando fresche notizie del mal’animo di Cosroe contro di loro, s’animano unitamente a torlo dal soglio, e dal mondo.

 

 

Atto secondo

Scena I

Cosroe, Martesane.

Cosroe gran re della Persia, tutta volta che per replicati messi fusse stato avvisato delle rotte che il suo esercito avea avute da Eraclio Imperatore, ebrio della sua antica felicità dopo aver superbamente di se stesso raccordate molte cose, chiama di nascosto successore della sua corona Martesane, che da Sira sua consorte dilettissima, e femina cristiana avea per secondogenito sortito, il quale, forzato vien constretto dal padre a regnare.

Scena II

Cosroe, Martesane, Vasace.

Nuovamente da Vasace vien avvisato del disfacimento del suo esercito, e come già il nemico fatto padrone della campagna mette a ferro e foco la Persia tutta.

 

Scena III

Cosroe, Martesane, Vasace, Cardariga.

Cardariga un de’ Generali di Guerra e prencipe savissimo, avendo riportate molte ferite nell’ultima battaglia racconta a Cosroe il modo maraviglioso col quale era stato risanato, e da parte del Cielo gl’intima la morte che gli sovrasta. Il che lui riceve con esecrande bestemmie.

 

Scena IV

Vasace, Pacoro.

Pacoro ragguagliando Vasace di quanto nella regia, e appresso Syroe da prencipi disgustati si discorreva sì dell’inalzamento al reame della Persia di Martesane, come dell’inimico, che già vittorioso minacciava l’ultimo esterminio del regno temono funesti avvenimenti alla Persia.

 

 

Atto terzo

Scena I

Syroe, Pacoro.

Syroe vedutosi posposto dal padre a Martesane suo fratello minore doppo qualche lamento cerca conciliare a suoi disegni gl’animi de’ Persiani, per altro offesi dal sanguinoso governo di Cosroe commettendo a’ prencipi suoi amici vari ordini concernenti al ben publico, e in particolare la scarceratione d’Emilio tribuno Romano fatto poco avanti prigione in guerra.

 

Scena II

Syroe.

Agitato da varii affetti or di pietà, or di vendetta, più tosto che incrudelire contro il padre determina di cancellare l’infamia del perduto diadema col darsi volontariamente la morte.

 

Scena III

Syroe, Sarbara, Razete.

Sopraggiungono fra tanto Sarbara e Razete, a’ quali riesce felicemente il distorlo dal darsi la morte, e con empia adulazione il piegano a difendere il ius della regia primogenitura anche se bisogna col parricidio.

 

Scena IV

Syroe, Emilio, Razete.

Scarcerato Emilio si presenta avanti il suo liberatore Syroe, il quale offerisce per suo mezzo ad Eraclio con tutta la preda de’ cattivi il Legno della S. Croce per restituire in Persia la pace. Promette Emilio favorevole la volontà dell’imperatore, quando venghi alla morte del padre.

 

Scena V

Syroe, Pacoro, Emilio.

S’avvisa da Pacoro Syroe, qualmente Cosroe venuto in cognizione della ribellione che la nobiltà persiana gli tramava, intimorito cercava sottrarsi da ogni pericolo con la fuga. Onde questi commanda che raggionto sii fatto prigione.

 

 

Atto quarto

Scena I

Syroe, Sarbara, Razete, Pacoro, Vasace.

Per chiuder dunque ogni strada al fratello Syroe richiesti de voti quattro prencipi del regno, piglia, seben tumultuariamente, giusta però l’antico costume de’ Persiani, de’ primi auguri del regno.

 

Scena II

Syroe, Cardariga, Sarbara, Razete, Pacoro, Vasace.

Vien interrotta la coronazione da Cardariga il quale porta nuova con giubilo di Syroe, e de’ congiurati della presa di Cosroe, Martesane, e di Vologese il più piccolo de’ fratelli, recusando poi riconoscere altro re che Cosroe. Commanda che con Cosroe, e fratelli, sia trattenuto fra ceppi.

 

Scena III

Syroe.

Disegna finalmente di macerare i suoi inimici tra le tenebre di quella carcere che fabbricata dal medesimo Cosroe Lethe appellavano con scarsezza di poc’acqua, e poco pane.

 

Scena IV

Cosroe, Cardariga.

Cosroe dalla prigione troppo vilmente querelasi della sua infelice sorte, ad andar contro la quale con generoso petto vien’ esortato da Cardariga.

 

Scena V

Cosroe, Vologese, Cardariga, Pacoro, Vasace.

S’offerisce con modi contumeliosi a’ prigioni acqua e pane giusto il commando di Syroe.

 

 

Atto quinto

Scena I

Syroe, Pacoro, Sarbara, Razete, Vasace.

Siroe accompagnato da prencipi del regno dà principio al giudizio, citando al tribunale Cardariga il primo.

 

Scena II

Cardariga con gli medesimi.

Cerca indarno difendere Cardariga la sua innocenza avanti Syroe, appresso il quale come ministro della crudele tirannia di Cosroe era stato accusato producendosi una lettera di Cosroe in cui s’ordinavano varie morti de’ principali cavalieri del regno commesse a Cardariga.

 

Scena III

Martesane con gli medesimi.

Martesane benché violentato dall’impero del padre a sottentrare al Governo della Persia come reo viene chiamato in giudizio.

 

Scena IV

Cosroe, Vologese con gli medesimi.

L’istesso Cosroe finalmente vien rapito al tribunale di suo figliolo, e accusato da rebelli ode fulminare sentenza di morte contro il suo figlio Martesane, contro il suo fedelissimo Cardariga.

 

Scena V

Cosroe, Syroe, Martesane, Vologese, Cardariga, Sarbara, Razete.

Si sforza indarno implorare mercè pel figlio il padre, come parimente scongiurasi Syroe da Martesane a voler smorzare tutto lo sdegno nel suo sangue.

 

Scena VI

Cosroe, Syroe, Vologese, Pacoro.

Rapito al supplicio Cardariga, e Martesane, Syroe risvegliato il favore de’ cittadini condanna il padre ad esser saettato, e ad esser accecato il fratello vologese.

 

Scena VII

Cosroe, Syroe, Vasace.

Mentre si toglie a forza dal Ppdre Vologese per esser condotto al luogo del supplicio, gli si porge a vagheggiare il teschio di Martesane già decapitato.

 

Scena VIII

Cosroe. Syroe. Vologese.

Torna in scena già fatto cieco Vologese per funestare gl’occhi del suo genitore.

 

Scena IX

Cosroe finalmente in varie maniere schernito da’ suoi nemici viene condotto ad esser saettato, restando Syroe parricida, del reame e della Persia intero ed assoluto padrone.

 

 

Interlocutori

S. Anastasio Martire                                                   Girolamo Martinelli

Ombra d’Ormisda                                                      Girolamo Borghese

Cosroe Gran Re della Persia                                       Abb. Urbano Taddeo Giori

Syroe                                                                          Angelo Palazzi

Martesane        figli di Cosroe                                    Anton Maria Zerletti

Vologese                                                                     Girolamo Martinelli

Cardariga                                                                    Giuseppe Luigi Nati

Sarbara                                                                       Lorenzo Gavotti

Razete                                                                        Girolamo Muselli

Vasace              prencipi del regno                               Luc’Angelo Testasecca

Pacoro                                                                        Girolamo Borghese

Aramane                                                                     Cont’Abbate Hercole Ternengo

Emilio Generalissimo de’ Romani                              Luc’Angelo Testasecca

 

Nel ballo del Prologo.

Girolamo Muselli                                                       Anton Maria Zerletti

Lorenzo Gavotti

 

Nella moresca de’ soldati Persiani.

Abbate Urbano Taddeo Giori                                     Girolamo Muselli

Conte Abbate Hercole Ternendo                                Anton Maria Zerletti

Francesco Riva                                                           Angelo Palazzi

 

Nella corte.

Conte Girolamo Honorato Rota                                 Gio. Rimbaldesi

Giovanni Tempi                                                          Luigi Gothi

Giulio Cesare Maria Venenti                                       Girolamo de Mari

Girolamo Naselli                                                        Bernardino Spigliati

Giovanni Lombardi                                                    Pietro Antonio Abbati Olivieri

Pietro Martini                                                             Gio. Battista Pontelli

Pietro Cianciani                                                          Lelio Tempi

D. Giacomo Cantelani                                                Federico Cittadini

Gio. Francesco Gavotti                                               Bernardo Clodio

Francesco Maria Gavotri                                            D. Ignacio de Paz

Agostino Vincenzo Locci                                           Francesco Mocronoski

Giustiniano Morosini                                                 Gio. Francesco Pollastri

Lelio del Taia                                                              Abb. Lorenzo Cafoni

Marchese Giuseppe Agraxz                                        Nicolò de Mari

D. Francesco Antonio Palmieri                                   Barone Giovanni de Spork

Abbate Giacinto Fedeli                                                           Abbate Francesco Rasponi

Girolamo Petrucci                                                      Marchese Alessandro Capponi

 

In Roma, per Ignatio de’ Lazari, 1662. Con licenza de’ Superiori.

 

 

 

Bibliografia

 

Opere citate di Apostolo Zeno

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———————, Ormisda, drama per musica, da rappresentarsi nel Teatro Malvezzi la primavera dell’anno MDCCXXII, Bologna, Clemente Maria Sassi, 1722.

———————, Ormisda, drama per musica, da rappresentarsi nel Teatro del Falcone la primavera dell’anno 1723, Genova, Giovanni Franchelli, 1723.

———————, Ormisda, dramma per musica, da rappresentarsi nel TeatroTron a San Cassiano nel Carnovale dell’anno 1728, Venezia, all’Insegna della Pace, 1728.

———————, Ormisda, an opera. As it is performed at the King’s Theatre in the Hay-Market, London, Campbell, 1730.

———————, Ormisda, in Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, a cura di Gasparo Gozzi, Venezia, Pasquali, 1744, tomo IV, pp. 1-92.

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Altre opere citate nell’introduzione e nel commento

Argomento e scenario del Cosroe tragedia italiana da recitarsi nel seminario romano nelle correnti vacanze del carneuale da conuittori delle camere maggiori, Roma, Ignazio de’ Lazzari, 1662.

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[Cellot, Louis], Argomento e scenario del Cosroe, tragedia italiana da recitarsi nel Seminario Romano nelle correnti vacanze del Carnevale da Convittori delle Camere Maggiori, Roma, Ignazio de’ Lazzari, 1662.

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[1] Lettere di Apostolo Zeno Cittadino Veneziano, Istorico e Poeta Cesareo, cit., vol. VI, pp. 286-288.

[2] Sul rapporto tra le opere zeniane e l’edizione Gozzi si veda anche Javier Gutiérrez Carou, La Griselda zeniana fra opera in musica e teatro di prosa: verso un’edizione comparativa, «Levia Gravia. Quaderno annuale di letteratura italiana», XV-XVI (2013-2014) [= «Umana cosa avercompassione degli afflitti...».Raccontare, consolare, curarenella narrativa europeada Boccaccio al Seicento], pp. 563-574, dove viene citata la lettera di Gozzi all’abate Luigi Pomo del 22 giugno 1744 : «Il Sig.r Appostolo Zeno vuol fare una raccolta de’ suoi drammi, e pubblicarla. L’età sua non gli concede questa fatica e l’ha data a me; io m’ingegno con tutto lo spirito perché ne riesca un[a] polita edizione, e già s’è cominciato a darla alla stamperia, e ne vedrete in breve il saggio, se di ciò vi curate». Anche per quanto riguarda l’Ormisda, Gozzi ha come si è detto dimostrato di non considerare le edizioni relative alle rappresentazioni successive alla 1721, confermando l’orientamento seguito per il resto delle Poesie drammatiche.

[3] Poesie drammatiche di Apostolo Zeno, cit., 1744, vol. 4, pp. X-XI.

[4] Ivi, p. XIII.

[5] Ivi, pp. XIII-XIV.

[6] Cfr. le note sulle arie bipartite in Zeno contenute in Paolo Gallarati, Musica e maschera. Il libretto italiano del Settecento, Torino, EDT, 1984, pp. 14-18.

[7] Artabano: Non il padre di Artenice ma probabilmente il suo avo più illustre, quell’Artabano III che regnò sui Parti dal 10 d. C. al 38 d. C., depose Vonone I e conquistò l’Armenia dove questi si era rifugiato, mettendo sul trono il figlio Arsace.

[8] Armenia: la grande regione del Caucaso negli anni in cui è ambientato l’Ormisda era divisa in due: da una parte l’Armenia bizantina, dall’altra l’Armenia persiana, molto più grande e sotto la corona della dinastia Sasanide. Dopo essere stata in buona parte strappata ai re persiani dall’imperatore Maurizio e poi Eraclio (egli stesso di origine armena), verrà infine conquistata dal califfato arabo nel 645 d.C.

[9] il lieto giorno è questo: la centralità di Artenice nel dramma è immediatamente evidente dalla sua apertura con l’incoronazione, dove i due troni (identici, poiché non diversamente connotati dalla didascalia) sono uno di fronte all’altro e Ormisda che, pur egli stesso re, attende il «reale assenso» della principessa. Non stupisce che il dramma abbia potuto essere presentato proprio con il titolo Artenice per la rappresentazione torinese del 1723.

[10] arbitra di me stessa: Artenice non accetta intermediari e sa quando dover soffocare i suoi «chiusi affetti», opponendosi a Palmira con fermezza, ma soprattutto è la sua essenza di regina e sovrana assoluta a darle un’inedita indipendenza.

[11] per lei giuriamo ossequio, amore, e fede: di questo verso si ricorderà probabilmente Metastasio per l’azione sacra Gioas Re di Giuda: «E voi giurate, amici, protesi al regio piede / ossequio, amore, ubbidienza e fede» (Gioas Re di Giuda, seconda parte, in Tutte le opere di Pietro Metastasio, a cura di Bruno Brunelli, Milano, Mondadori, 1965, vol. 2, p. 676).

[12] a custodir le leggi: più avanti (II.4.3) Cosroe non esiterà a tacciare Ormisda di essersi fatto «arbitro» e non «custode» della corona. Subito dopo aver proclamato la natura assoluta del potere di Artenice, Zeno lo tempera ricordando che non va gestito con protervia, ma con senso di responsabilità. Come scrisse Bodin, il massimo teorico dell’assolutismo monarchico, «durante il periodo in cui tengono il potere, non si può dar loro il nome di prìncipi sovrani, perché di tale potere essi non sono in realtà che custodi e depositari fino a che al popolo o al principe, che in effetti è sempre rimasto signore, non piaccia di revocarlo» (Jean Bodin, I sei libri dello Stato, a cura di Margherita Isnardi Parente, Torino, UTET, 1964, libro I, cap. 8, p. 345).

[13] auree maniglie: le armille (da armus, ‘omero’; erano bracciali che venivano indossati dai guerrieri romani come simbolo di valor militare).

[14] ricco lucente acciaro: l’acinace era la tipica spada persiana, di origine scita, cui l’aspetto più caratteristico era probabilmente il ricco fodero decorato. Era anche l’oggetto di doni regali e sacri, come racconta anche Erodoto (Storie, VII, 54): «Quando il sole spuntò, Serse, facendo libagioni in mare con una coppa d’oro, pregò, rivolto all’astro, che nessuna avversità lo cogliesse tale da fargli rinunciare ad assoggettare l’Europa, prima di essere giunto agli estremi confini di questo paese. Dopo aver rivolto la sua preghiera gettò nell’Ellesponto la coppa, un cratere d’oro e una spada persiana che chiamano “acinace”» (trad. di Luigi Annibaletto).

[15] il Ponto: la guerra romano-persiana del 572-591 è in Zeno del tutto stilizzata, alludendo a una generica ribellione del Ponto e della Media, risolta da Cosroe. Il riferimento può essere all’origine del conflitto, quando gli Armeni, sobillati dai Romani, si ribellarono contro la Persia e fu Cosroe I (padre di Ormisda) a riportare la calma nella regione, oppure a uno dei tanti scontri minori degli anni successivi, fino a quando Cosroe II chiese aiuto all’imperatore bizantino Maurizio per riappropriarsi del trono dando così di fatto origine a un periodo di pace. La vicenda politica è comunque tutta interna e manca l’incombere della potenza romana tanto cruciale sia in Rotrou che in Corneille.

[16] gran cori: non potendo attaccare Cosroe, eroe magnamimo per antonomasia del dramma, Palmira può suggerire quello che, in effetti, è il difetto del figlio primogenito di Ormisda: la sua hybris, che però, al contrario delle allusioni della regina, mai supererà il rispetto della legge (intesa anche nella sua origine divina, come dimostra la pietà nel rituale di Mitra) e del padre.

[17] non il padre, ma il re: per la prima volta viene espresso nei suoi termini essenziali il dilemma di Ormisda durante il dramma. La sua indecisione di fondo deriva dall’incapacità di sottrarsi al richiamo dell’uno e dell’altro polo. Si tratta, comunque, di una situazione diversa sia da quella di Prusia in Corneille —dove diventa cruciale anche la questione politica dell’alleanza con Roma— che quella del Cosroe di Rotrou, perennemente ossessionato dalla colpa del parricidio perpetrato per salire al trono e in attesa quasi preveggente di subire la stessa sorte per mano del figlio. Ormisda è una figura di spessore inferiore, senza ulteriori sfaccettature a mutarne o perlomeno ad attenuarne la natura di uomo in balia della propria moglie. Da segnalare che nel Cosroe del 1723 (III.7) il monologo di Ormisda fa una concessione alle atmosfere macabre e d’oltretomba di Cellot, con l’apparizione del fantasma della prima moglie del re, madre di Cosroe.

[18] base al regno: cfr. Pirro IV.2, «base ad un trono».

[19] né vien reo chi è vincitor: Arsace ha ben poco in comune sia con Mardesane che con Attalo, ed è figura che appare —come del resto il padre— dominata dagli affetti; non è sua priorità la gloria, tranne quando questa diventa essenziale per provare di essere degno di Artenice. Verso Cosroe non c’è mai una parola di risentimento.

[20] Perdona: Cosroe fa appena in tempo a pronunciare tre parole ed è subito interrotto da Artenice, che ha atteso proprio la sua comparsa per dichiarare i suoi sentimenti: l’amore per Arsace e la ferma estraneità alla scelta dell’erede. È interessante notare però come sia proprio Artenice a suggerire la possibilità che Ormisda decida di dare lo scettro ad Arsace.

[21] l’Armenia: in realtà, nel 591 —anno in cui Ormisda perse il trono e la vita— l’Armenia era passata in gran parte a Bisanzio, come premio offerto da Cosroe II per l’aiuto portato dall’imperatore Maurizio nelle questioni interne.

[22] Serve la legge al re: questo scambio tra Ormisda e Palmira deriva direttamente dalle problematiche legate al rapporto tra giusnaturalismo e assolutismo, mostrando come la degenerazione di un sovrano del tutto solutus legibus porti alla tirannide.

[23] disio mi allontanò: cfr. Corneille, Nicomède, II.2: «La seule ambition de pouvoir en personne / mettre à vos pieds, seigneur, encor une couronne».

[24] si puniria di morte: «Et tout autre que vous, malgré cette conqueste, / revenant sans mon ordre eust payé de sa teste» (Nicomède, II.2).

[25] Tauri: Tauri, o Tauris, era il modo con cui gli Europei chiamavano l’odierna città di Tabriz, una delle maggiori dell’Iran. La fondazione di Tauri risale, secondo alcune fonti, proprio al settimo secolo e all’era sasanide. La capitale dell’impero allora era in realtà Ctesifonte.

[26] goccia: respiro.

[27] tiranna degli affetti: cfr. Metastasio, Ezio, I.7: «Importuna grandezza, / tiranna degli affetti».

[28] In te, regina, il grado eccelso onoro: «Je vous honore en reine, ainsi que je le doi» (Rotrou, Cosroès, I.1).

[29] regnerà Arsace, o morirà Palmira: tutta questa scena ha come chiaro modello la prima della tragedia di Rotrou, e di alcune parti, come questo verso, è quasi traduzione letterale: «Mais je periray, traitre, ou mon fils regnera» (Rotrou, Cosroès, I.1).

[30] Convien dunque ch’io cada; / e che impotente sia / questo cor, questo braccio, e questa spada: traduzione da Rotrou «Il faut donc que ce fer me devienne inutile, / ce coeur sans sentiment, et ce bras immobile» (Cosroès, I.1). Nella scena successiva, in Rotrou solo Mardesane equivoca il significato della mano di Siroe sulla spada, mentre in Zeno sia Ormisda che Arsace assistono al gesto.

[31] Correggo l’a parte che in PA riguarda tutto il verso, ma che anche secondo VG non comprende «Cosroe voleva».

[32] sola / Palmira le leggi: «Ne luy laisse de roy, que le sang, et le nom; / le credit d’une femme, en à tout l’exercise, / toute la Perse agit, et meut par son caprice» (Cosroès, I.3).

[33] Se nol rapisci/ ti è rapito il diadema: cfr. Cosroès, I.3, «Ravissez vostre bien, qu’on ne vous le ravisse». Questa scena e quella successiva vengono sempre rimosse dalle rappresentazioni dell’Ormisda dal 1722 in poi, ricomparendo soltanto con l’edizione Gozzi.

[34] Ed è impietà voler cacciarne un padre: «Mais en chasser un père, est une impieté» (Cosroès, I.3). Il dilemma di Siroe in Rotrou è molto più profondo e porterà alla conclusione luttuosa della tragedia, mentre per Cosroe la tentazione di impadronirsi con la forza di ciò che gli appartiene legittimamente è di assai breve durata.

[35] Quando può prevenir, vile è chi attende: «Quand on peut prevenire, c’est foiblesse d’attendre» (Cosroès, I.3).

[36] il comando real nome alla colpa: Erismeno e Palmira ribadiscono, nel loro dialogo, il pericolo di personalizzazione estrema del potere da parte del sovrano assoluto, che porta alla tirannide.

[37] un eccesso crudel con altro eccesso: cfr. Metastasio, Artaserse, I.4: «Serve di grado / un eccesso talvolta a un altro eccesso». Il verso ritorna anche in una commedia in prosa del Borosini rappresentata a Vienna nel 1726, Il Cavalier Bevagna: «non dovevate mai vendicare un eccesso crudele con altro eccesso» (III.7; Francesco Borosini, Il Cavalier Bevagna, commedia da rappresentarsi alla presenza Augustissima Cesarea Cattolica Real Padronanza da una compagnia di cavalieri, Vienna, Andrea Heyinger, 1726).

[38] Dio del giorno: il rito in onore di Mitra arriva direttamente dall’apertura del quarto atto in Cellot, non comparendo in Rotrou né, ovviamente, in Corneille, che sposta in altro contesto la vicenda: «Mithra divum, Mithra mundi, Mithra Persarum decus, / tuque belli diva praeses laeta Persas Aspice» (Chosroes, IV.1). C’è però probabilmente anche un ricordo del Pirro: «Spirto degli elementi, alma del mondo / riverente ti adoro; e al tuo gran nume / queste del fier Macedone già vinto / spoglie guerriere, alti trofei di gloria, / il regnante di Epiro, / il figliuolo di Eacide, divoto / fra il sangue, e l’armi a te consacra in voto» (Pirro, I.1).

[39] Mitra invitto: in realtà la situazione religiosa era tutt’altro che omogenea nell’impero persiano, tanto più che la prima moglie di Cosroe era cristiana, così come la maggior parte dell’Armenia. Mitra, dio solare per eccellenza, rimaneva comunque la più importante divinità persiana.

[40] un sasso: la rappresentazione tradizionale di Mitra vede il dio emergere da una roccia, già adolescente, con il cappello frigio, il pugnale in una mano e una torcia nell’altra.

[41] d’ostro: di porpora.

[42] da più lustri: Ormisda IV regnò dal 579 al 590 d. C.

[43] crudel parricidio: anche se in realtà la possibilità di un parricidio non è mai realmente tangibile, e anche Mitrane, nel consigliare Cosroe, è molto vago, il ricordo della vicenda storica —del resto già adombrata nell’Argomento— e della trattazione di Rotrou ritorna nelle parole di Ormisda.

[44] Sulle mie labbra: è il momento più alto della regale assunzione di responsabilità da parte di Artenice: a un passo dalla corona, che viene offerta spontaneamente offerta da Ormisda, e dalla possibilità di scegliere Arsace come sposo, la fanciulla dà al re prima di tutto una vera lezione di realpolitik, mostrandosi attenta agli umori del popolo e conscia del favore di cui gode Cosroe; poi rinuncia non alla sua prerogativa regale —torna in Armenia a dare le leggi, come il suo avo Artabano— ma a un potere che non le appartiene, il tutto per la propria maggiore gloria. Gloria e virtù sono sempre i motivi dell’azione di Artenice, con l’amore relegato in secondo piano.

[45] che mi cal di grandezza: al contrario di Artenice, per Arsace la principessa è l’unico obiettivo, e l’ambizione di regnare non fa parte del suo carattere: «suddito nacqui, e il sono», ricorda poche battute più tardi.

[46] arbitro, ma custode: passaggio fondamentale, che chiarisce non solo l’operato di Cosroe ma il ruolo della regalità come viene trattato nell’Ormisda: la fedeltà alla legge, e ancora più in alto all’investitura divina, deve essere assoluta, né c’è discrezionalità per chi, in un determinato momento, è il titolare di questa potestà. Cfr. anche Pirro, I.7: «più che suo possessor, ne fui custode», e III.1: «te ne fecer custode, e non sovrano».

[47] deluso: ingannato.

[48] stupida: stupita.

[49] disdir: ritrattare quanto detto. Cfr. Nicomède, IV.2: «Il faut sous les tourmens que l’imposture expire».

[50] la sua sincerità sarà sua colpa: «Quoy, seigneur, les punir de la sincerité» (Nicomède, IV.2).

[51] Leon feroce: l’aria verrà integralmente riprodotta nella dodicesima scena del secondo atto nel Farnace musicato da Vivaldi, su libretto di Antonio Maria Lucchini, rappresentato a Venezia per il Carnevale del 1727 (Antonio Maria Lucchini, Farnace, drama per musica da rappresentarsi nel Teatro di Sant’Angelo nel carnovale dell’anno 1726, Venezia, Marino Rossetti, 1726 [ma 1727]).

[52] Ostane: capo delle guardie di Ormisda (residuo dell’Araspe di Corneille).

[53] cieca torre: cfr. Il falso Tiberino, II.14: «Traggasi in cieca torre, e colà gema / sotto il terror de’ ceppi e della scure».

[54] Se scorger vuoi tutto in tumulto, e in armi: «Si vous voulez (grand roy) voir le peuple en courroux» (Cosroès, II.1).

[55] or regnante, or marito, or genitore: in struttura chiastica, rimanda direttamente a II.7.3: «Oh non padre, oh non sposo, oh re non fossi!». Si confronti con la battuta di Nicomede in Corneille: «Un veritable roy n’est ny mary, ny père» (Nicomède, IV.3).

[56] non in quel di regina: ancora una volta la distanza tra Artenice e Arsace è l’impossibilità, per la prima, di rinunciare alla sua natura regale e quindi di curarsi soltanto di coronare il proprio sogno d’amore.

[57] Qualor tua virtù non vi si opponga: l’astuto Mitrane sa esattamente quali sono gli argomenti ai quali è sensibile Artenice, e infatti quando questa si recherà in prigione da Cosroe negherà —proprio per la sua maggior gloria— la possibilità di sposare Arsace, una volta fatto uccidere da Ormisda il primogenito. Qualsiasi breve esitazione data dalla prospettiva di avere Arsace è presto tacitata.

[58] moverò Arsace, e tu dispon il campo: anche nei confronti dell’amante, trattato alla stregua di una pedina, il piglio di Artenice è quello della sovrana e del capo militare, disposta anche, se necessario, all’uso della forza.

[59] un re marito: la battuta sprezzante di Artenice dimostra la sua maggiore attitudine a governare rispetto ad Ormisda, che non esita a violare le leggi umane e divine per compiacere i suoi affetti, cioè Palmira; esattamente il contrario di ciò che vuole evitare la principessa d’Armenia acconsentendo al matrimonio con l’amato.

[60] Libici mostri: in quanto considerata estremo occidente, la Libia era tradizionale dimora di mostri, come Anteo o il drago che custodiva il Giardino delle Esperidi; cfr. Gerusalemme Liberata, XV, 25: «Risponde: “Ercole, poi ch’uccisi i mostri / ebbe di Libia e del paese ispano”».

[61] giovane ancora sei: sei poco esperto: cfr. Corneille «Vous êtes peu du monde, et savez mal la cour» (Nicomède, III.8).

[62] non so d’esser che sposo: in tre battute è definita l’essenziale contraddizione di Ormisda: marito, quando c’è Palmira; padre, quando non è presente: ma in ogni caso «re nato a servir», schiavo dei suoi affetti.

[63] e con me Cosroe i Persi: si definisce qui quella che poi sarà la soluzione del dramma, che Cosroe non potrà accettare fin quando non avrà constatato il valore che anima Artenice e, in seconda battuta, Arsace.

[64] Di lui son padre, e giudice: cfr. II.4.14-15: «in avvenire, non più marito, e padre, / ma sol giudice, e re». Il tentativo di Ormisda di scindere le proprie nature ha avuto breve durata, così come la sua decisione di comandare l’esecuzione di Cosroe cambierà pochi istanti dopo averla presa.

[65] non ha colpa, o l’ha da grande: la magnanimità e la hybris di Cosroe sono qui fieramente rivendicate dal principe stesso, ma sempre nei limiti della fede e del rispetto.

[66] quanto feroce tiranneggi un core: «Tout est trop excusable en un amant jaloux» dice Arsinoe in Nicomède IV.2.

[67] mai non parlò, qual tu, regina, in mio: cfr. ancora Nicomède IV.2: «Que la reyne a pour moy des bontez, que j’admire».

[68] sempre il perfido è ingrato: «Ingrat! Que peux-tu dire?» (Nicomède, IV.2).

[69] e Cosroe in re si acclama: cfr. Metastasio, Siroe, III.3: «[...] e s’ode in un momento / di Siroe il nome in cento bocche e cento».

[70] Risolviti, o sire: Mitrane ed Erismeno, in quanto confidenti, da un punto di vista drammaturgico hanno la stessa funzione, e si comportano in modo speculare; ad esempio qui, con Erismeno che invita Ormisda a troncare gli indugi così come aveva fatto Mitrane con Cosroe nel primo atto.

[71] Della cittade / provvedi: anche le prerogative più preziose e irrinunciabili del re, quelle di difendere la città e il palazzo, vengono delegate a Palmira.

[72] ferro, o velen: la scelta classica tra l’avvelenamento e il suicidio con pugnale era stata offerta anche da Sira a Siroe imprigionato in Rotrou: «choisisse, en l’un des deux, l’instrument de sa perte» (Cosroès, III.1).

[73] e chi le fa, in arena: si tratta di un proverbio piuttosto comune (secondo la tradizione, Doni e l’Aretino erano solito porlo in calce ai loro ritratti, come riporta ad esempio la vita del Bongi; cfr. Anton Francesco Doni, I Marmi, Firenze, Barbera, 1863, vol. 2, p. LVI).

[74] regio impronto: anche Emira nel Siroe chiede il «regio impronto» a Cosroe per revocare la sentenza di morte per Siroe (Siroe, III.3).

[75] sia di virtù, sia di dover: il discorso di Artenice è un piccolo capolavoro di retorica, che cerca di toccare tutti i tasti più sensibili di Cosroe: la fedeltà al dovere e alla virtù, e —ancor più che l’amore— la gloria che si merita Artenice. Un’argomentazione del genere può ben far leva sul fiero principe.

[76] La gloria mia: ancora una volta Artenice non ha dubbi: da vera regina, tra la propria gloria e i suoi affetti, non esista a scegliere i primi.

[77] il dover mio: grazie al nobile gesto di Arsace, il dovere —oltre ai suoi diritti— torna a occupare una posizione predominante nelle priorità di Cosroe, in modo speculare rispetto al personalismo di Artenice; ma nei ceppi non può esprimerlo ancora.

[78] Ma por tentasti in su quel trono Arsace: cfr. «Mien, quand vous pretendés, y placer vostre fils» (Cosroès, III.3).

[79] Sire, soffri, che umile: nelle scene precedenti la decisione di Cosroe, con i suoi continui richiami alla necessità di vendetta (e con Mitrane a spronarlo a non cedere alla pietà), sembrava già presa; la pietà filiale attenua però la determinazione di Cosroe. Da notare che anche in Rotrou è la visione del padre a muovere a pietà Siroe e a convincerlo —ormai troppo tardi— a ritornare sui suoi passi, dopo che ha già deciso il destino di Sira e di Mardesane; qui, invece, l’incontro con il padre avviene prima, quando ancora non sono state prese decisioni irreparabili.

[80] Sul labbro di Artenice: è naturalmente la chiave della risoluzione del dramma, visto che Arsace, legato da giuramento, non può dire quanto ha visto. La provvidenziale confessione in punto di morte (sulla quale, a rigore, si potrebbe avere perfino qualche dubbio, conoscendo la pragmaticità di cui ha già dato mostra Artenice) scagiona Cosroe dalla sua colpa; colpa che, in assenza di una reale volontà di impadronirsi del trono da parte di Arsace, era l’ultimo nodo ancora da sciogliere.

[81] avrò in Cosroe, tel giuro, un altro figlio: «Et je croiray gagner en vous un second fils» (Nicomède, V.9).

[82] Cosroe sottentri: sventato il parricidio, che durante il dramma non è stato, del resto, altro che un’eco lontana della vicenda storica, può avvenire il passaggio incruento di potere da Ormisda, dichiaratamente stanco —e non più degno, si sottintende, di essere il ‘custode’ della corona— a Cosroe, che generosamente concede (in verità ancora prima di ricevere l’investitura ufficiale dal padre) al fratello una parte di quanto gli spetta. Cfr. Siroe, III.16: «Passi dal mio / su quel crin la corona. Io stanco alfine / volentier la depongo».

[83] Sic.

[84] Per quanto riguarda la trascrizione di questo testo – molto distante da quello zeniano in quanto non solo di ben altra paternità, ma anche infarcito di secentismi, grafie arcaiche e sgrammaticature – ho optato per un leggero ammodernamento, soprattutto grafico, mirato a migliorare la fruibilità e leggibilità, con l’eliminazione degli evidenti refusi, delle maiuscole, dell’h etimologica o paretimologica; sono stati corretti gli accenti e la punteggiatura, facendo la distinzione tra u e v secondo l’uso moderno.