Giulio Cesare Becelli

 

L’Agnesa da Faenza

Commedia

 

a cura di Monica Bisi

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

lineadacqua edizioni

 

2018

 

 

 

Giulio Cesare Becelli

L’Agnesa da Faenza

a cura di Monica Bisi

 

 

Ó 2018 Monica Bisi

Ó 2018 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 23

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

www.usc.es/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.es

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-92-5

 

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano II: base de datos y biblioteca pregoldoniana (ARPREGO II: FFI2014-53872-P), finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome della curatrice, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 23

 

 

 

Nota al testo

Per il testo de L’Agnesa da Faenza di Giulio Cesare Becelli l’edizione di riferimento è quella realizzata nel 1743 dalla stamperia veronese di Jacopo Vallarsi.

            Per quanto concerne i criteri grafici di trascrizione si seguono le Norme filologiche generali previste dell’Edizione Nazionale di Carlo Gozzi. In particolare sono stati ricondotti all’uso moderno l’uso dell’apostrofo e dell’apocope; le maiuscole (riassorbendo anche tutte quelle occorrenti nelle parole iniziali di verso); l’accentazione (con la distinzione di accento grave e accento acuto per e e per o). Sono state aggiunte le indicazioni degli a parte. Contrariamente all’uso settecentesco, è stata eliminata la virgola davanti a che nei casi in cui non è necessaria e sono state corrette alcune sviste della stampa. In alcuni casi in cui l’interpunzione è apparsa fortemente fuorviante si è aggiornata secondo l’uso moderno: si tratta soprattutto di proposizioni causali e consecutive precedute da punto fermo al quale è stata sostituita la virgola, come in I.2.76-77 (Ma pensiamo un po’ meglio a quest’affare. / Poiché non posso... > Ma pensiamo un po’ meglio a quest’affare, / poiché non posso); II.2.33-35 (degnati allora / di farlo sepelir in casa tua. / Acciocchè morto almen teco ti stia > di farlo sepelir in casa tua, / acciocchè...); IV.1.5-6 (timor avrei di non venirne a capo. / Poiché veder non posso la finestra > timor avrei di non venirne a capo, / poiché veder non posso); V.4.19-21 (Onde vedete che / son de’ vostri almen tre quarti meno. / Poiché n’avrete ottanta > son de’ vostri almen tre quarti meno, / poiché n’avrete ottanta). Ulteriori casi si riscontrano in II.5.25-26, II.6.31-33, III.3.65-67, IV.1.53-54, IV.6.56-57, V.1.20-21, V.3.93-94, V.4.66-67, V.5.58-59. Si è inoltre anticipata la dedica, che nella stampa settecentesca è collocata fra le dramatis personae e il primo atto.

 

 

 

Giulio Cesare Becelli

L’Agnesa da Faenza

Commedia

 

Agli Illustrissimi Signori

 

IL CONTE LUDOVICO NOGAROLA

Vicario della Casa de’ Mercatanti[1]

 

IL CONTE SEBASTIANO MURARI,

IL CONTE GIROLAMO GIULIARI[2]

Provveditori

 

Giulio Cesare Becelli.

 

Questa mia favoletta la quale non ha altro pregio che d’aver preso l’argomento suo dalle Novelle di Giovanni Boccaccio, alle Signorie loro Illustrissime do dono e dedico, usando l’antica romana formola della più viva estimazione e reverenza. Li sommi loro meriti e la più pura e scelta nobiltà questo esigerebbero da me, quando molto più non lo richiedesse la Rappresentanza cui fanno ora gloriosamente delle prime dignità della mia patria. Alla quale io essendo nato, e dovendo quanto so e posso, con questo picciolo tributo vengo ora a pagare un grande e gravissimo debito. Se li ristretti termini d’una lettera, e se la virtù loro il permettesse, renderei in questo luogo di essa una splendida testimonianza, e direi della vostra antica e ben nota giustizia, discrezione e bontà, o Sig. Conte Ludovico Nogarola, e Sig. Conte Sebastiano Murari; siccome dell’affabilità, acume d’ingegno e grazia di favellare e destrezza d’operare, nuovi pregi vostri, o Sig. Conte Girolamo Giuliari; il quale adesso solamente per nostra gran sorte e per salute e gloria della città nostra a provvederla v’applicate. Ma perché questo non è luogo né tempo da trattare l’ampia materia delle lodi di tutti e tre, da esse m’astengo e faccio fine, pregandovi solo a ricevere in buona parte il mio povero dono, e a lui contribuire con l’aggradimento, ciò che gli manca di valore di grazia e poetica facultà.[3]

 

 

 

PERSONE

 

giacomo da pavia, creduto padre dell’Agnesa.[4]

crivello, servo.

la trecca, fantesca.

gianni di severino, amico di Crivello.

minghino di mingole, amico della Trecca.

l’agnesa.

guglielmo da medicina.[5]

barnaba da faenza.[6]

ser carlo carpione Cancellieri.[7]

 

 

 

                                   ATTO PRIMO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Giacomo, Crivello.

 

            giacomo        Crivello mio, tu sai quanto ch’io t’amo

                                   per la tua fedeltà, e ancor per certe

                                   facezie tue, motti, buffonerie,

                                   che soglion mie tristezze ricreare.

5                                  Poiché sebben non ho della fortuna

                                   a lagnarmi, che molto già acquistai

                                   nel mestier di soldato, e d’oro e averi

                                   ho quanto si conviene a gentiluomo,

                                   per giovare agli amici e intrattenere

10                                i forestier, nulla però di meno,

                                   nell’età dei cinquanta con alcuno

                                   anno di giunta, le cose del mondo

                                   m’empiono spesso di fastidio e noia.[8]

 

            crivello        Signor padrone, anco le donne sono

15                                cose del mondo: sonvi elle noiose?[9]

 

            giacomo        Lasciami pria finir il mio discorso,

                                    e poi risponderò ancora a questo.

                                   Io dico che ad un uomo, cui natura

                                   dotò d’ingegno non sì basso e vile,[10]

20                                ed ei con l’uso degli affar mondani

                                   guadagnò sperienza e in un valore,[11]

                                   non può a men di non essere più volte

                                   l’umana vita e questo mondo a noia.

                                   Che i mali son maggiori assai de’ beni

25                                nel viver nostro, e più sono i malvagi

                                   in terra, e meno i buoni i giusti i retti.

                                   Aggiungi a ciò che crescendo l’umana

                                   prudenza sempre più di giorno in giorno,

                                   negli stessi diletti e ne’ piaceri

30                                o naturali o di qualunque sorte,

                                   sempre ritrova l’uom onde appagarsi

                                   meno, per lo perfetto suo giudicio.

                                   A cagione d’esempio (ed ecco al tuo

                                   interrogar rispondo) nelle donne

35                                un giovane ritrova più di mille

                                   che gli piacciono; un uomo attempatetto[12]

                                   per ogni mille appena una ne trova.

                                   Ma lasciam queste cose; io dico che

                                   il tuo adoprar e il tuo parlar finora

40                                grati mi sono quanto cosa al mondo.

                                   Ma ancor non sai ciò che mi piacerebbe

                                   al sommo ne’ tuoi modi e nel far tuo.

 

            crivello        Che devo saper io? Son io indovino?

 

            giacomo        Vorrei che della casa un po’ di cura

45                                tu ti pigliassi e meglio che non fai.

                                   Non dico della casa materiale,

                                    cioè, che sien le stanze e i suoi arredi

                                   politi e posti al suo loco decente,[13]

                                   e la cucina e la cantina sieno[14]

50                                ben proviste e la tavola imbandita;

                                   che lo sai far mirabilmente, pur che

                                   tu il voglia.

 

            crivello                               Or di qual casa dite voi?

                                    E di quali dimestiche facende?[15]

 

            giacomo        Non parlo della casa materiale,

55                                della formale dico, e viva e sé

                                   movente.[16]

 

            crivello                               Padron mio, di grazia qual è

                                    questa casa che vive e che si move?

                                   Stiamo a veder che voi siete stregone,

                                   non pur soldato, e la casa movete

60                                e fate andar le mura in visibilio.[17]

 

            giacomo        Tu se’ pazzo. Non sai che di famiglia

                                    noi siamo sol due uomini e due donne?

 

            crivello        Lo so; che questo conto farìa un cieco.

 

            giacomo        Adunque odimi attento. Questa Agnesa[18]

65                                ch’ognun crede mia figlia, non è tale.

 

            crivello        Né meno è mia. Ora di chi sarà?

                                   Del comune cred’io figlia e di tutti.[19]

 

            giacomo        Ti prego ora a tacer che d’importante

                                   cosa parlar ti deggio per brev’ora.

70                                Costei dunque non è mia figlia, ma

                                   a me lasciata fu da un caro amico

                                   che si morì mentr’ella era bambina.[20]

                                   Non posso io dir d’amarla come figlia,

                                   che dell’amor figliale non ho idea,

75                                perch’io non fui unquanco maritato.[21]

                                   Bensì dirò ch’io l’amo grandemente,

                                   e desidero un giorno maritarla

                                   in uomo tal che gentilmente nato

                                   abbia altresì gentili atti e pensieri;[22]

80                                ma ancora non mi avvenni a un giovin tale.

                                   Perché ben sai, Crivello, quale ad ora

                                   sia, non che questa terra, Italia tutta.

                                   Le fazioni e gli ostinati ingegni[23]

                                   fan sì che a nulla altro la gente attende

85                                se non che a risse ad omicidi e morti,

                                   per quelle due parti d’inferno nate,

                                   già bianchi e neri, or guelfi e ghibellini.[24]

                                   E perciò tutti volti a farsi oltraggio

                                   gli uomini sono, o nell’onore o nella

90                                vita o robba; e non è cosa sicura

                                   per questo, e singolarmente le donne

                                   convien con ogni studio custodire.

                                   L’Agnesa non ha madre, ed io che sono

                                   suo padre, più d’amor e di tutela,

95                                che d’altro, debbo attendere agli affari,

                                    per quegli aver che molti ho comperati

                                   in questa terra; assistere ad alcuno

                                   amico, e sollazzarmi ancor nel tempo

                                   che alle fatiche mie giornali avanza.[25]

100                              La Trecca a cui conviensi l’assistenza[26]

                                   della fanciulla più continua, e che

                                    di notte e giorno sempre mai la guarda,[27]

                                   alfine è donna e sai che di cervello

                                   e di forze son debili le donne,[28]

105                              per ordinario.[29]

 

            crivello                               Pur troppo lo so.

                                   E questo è ciò che non mi fa menare

                                   moglie e viver più tosto alla ventura.

 

            giacomo        Dunque tu dei ben bene aver la mira

                                   che alcun non le favelli di soppiatto

110                              e quando ella le feste esce di casa

                                   (ch’una sol volta ce la lascio andare

                                   nella mattina anzi la mezza terza)[30]

                                   fa sì che badi e lontano e vicino,[31]

                                   s’ella in istrada parla ad uomo, o fa

115                              inchini o baciamani disusati.[32]

 

            crivello        Or sono inchini e baciamani ancora

                                   secondo uso e fuor d’uso qual le vesti?

 

            giacomo        Non dico ciò, ma dico che dal modo

                                   scorger si può se pura cortesia

120                              sia l’inchino.

 

            crivello                               Padron, noi baderemo

                                   all’Agnesa, ed in tanto si starà

                                   digiun la mula, o la cucina fredda,

                                    e la tavola disapparecchiata.[33]

                                   Che importa a voi, se le fanciulle fanno

125                              all’amore? O se ridono per via,

                                   e vien lor detta alcuna paroluccia?

                                   Parola non fa buco gli è in proverbio,[34]

                                   e se ancora di sotto le finestre

                                   alcun le parla che mal c’è? Sarebbe

130                              mal grande s’egli entrasse per la porta,

                                   o sia pertugio, che due n’ha la casa.

                                   Però, padron, di ciò siate sicuro

                                   ch’ei non accaderà.

 

            giacomo                                            Basta: t’ho detto

                                   il voler mio. E sai che son di poche

135                              parole e d’assai fatti. Or tu ti sia

                                   di meglio orecchio. Se succederà

                                   scandalo alcuno, lo sapran le tue

                                   spalle, che quando parlo in cosa di

                                   importanza, voglio essere ubbidito.

140                              E so egualmente a chi ubbidisce e fa

                                   il mio piacer, rendere il contraccambio.

                                   Io vado in piazza, tu alla casa attendi.

 

 

                                    SCENA SECONDA

 

                                   Crivello, Gianni.

 

            crivello        Il vecchio è andato, e il giovine s’accosta.

                                   E il giovine farà ch’io dal vecchio abbia

                                   le busse e ancor di peggio.

 

            gianni                                                           Addio Crivello.

                                   Che barbottando vai così tra te?

 

5          crivello        Dico che voi cagion sarete un dì

                                   ch’io non sarò.[35]

 

            gianni                                   Parla più chiaramente;

                                   io non intendo.

 

            crivello                               Voi non intendete;[36]

                                   ma a me conviene intender che per voi

                                   presto sarò frustato a maraviglia.

 

10        gianni            Perché? Qual è la nuova tua disgrazia?

 

            crivello        La nuova mia disgrazia sete voi

                                   e sarete la morte io credo ancora.[37]

            gianni            Dimmi; ond’è ciò che tu così m’incolpi?

 

            crivello        Voi sapete che amando voi l’Agnesa

15                                perdutamente, mi date a recarle

                                   lettere ed ambasciate ancora in voce.

                                   Con qual profitto voi sapete ancora

                                   per parte della vostra innamorata,

                                   che non vi cura, non v’ascolta, e fa

20                                di voi come dell’unghie che si taglia,

                                   ed a’ cani vi manda, o se v’è peggio.

 

            gianni            Pur troppo il so, e ne muoio di dolore.

 

            crivello        Or un’altra fortuna avete voi,

                                   e l’ho pur io, che Giacomo suo padre,

25                                ma non più padre, mi ha detto pur ora

                                   ch’io badi bene e che la custodisca,

                                   e mi fe’ una lunghissima leggenda[38]

                                   d’intorno a ciò.

 

            gianni                                   Narrami, che ti disse?

 

            crivello        Prima mi disse ch’ei non è suo padre.

 

30        gianni            O questa è bella! Ella fia dunque mula.[39]

 

            crivello        Non già; ma disse che non è sua figlia;

                                   bensì d’un altro grande amico suo,

                                   che a lui lasciolla in morte.

 

            gianni                                                            Questo nulla

                                   importa al caso. Or di’, che ti ordinò

35                                egli in materia dell’Agnesa?

 

            crivello                                                       Disse,

                                   che in casa molto ben la custodisca io.

                                   E quando va a’ perdoni molto io guardi[40]

                                   s’ella travalca, e s’a alcun fa bs bs[41]

                                   nell’orecchio, se adocchia troppo fiso,[42]

40                                o pur s’ella sciorina alcuno inchino.

                                   Che il mondo è pien di furbi, e che non vuole,

                                   sendo ella guelfa, e gli altri ghibellini,[43]

                                   che seco farla vogliano in tre pace.[44]

                                   Aggiunse il vecchio che la Trecca non è

45                                donna da far la guardia alle fanciulle;

                                   e poi tutte le femmine son pazze.

                                   Onde che tutta la custodia d’essa

                                   toccar a me dovesse, in casa, e fuori.

                                   Or vedi se più aitar ti posso, o se

50                                aitandoti porrò schifar la forca.[45]

                                   Poi se il padrone s’accorgesse mai

                                   del mio rofianeggiar, ne sarei tristo.

 

            gianni            O fortuna perversa e all’amor mio

                                   contraria! Non ti basta avermi posto

55                                in balia d’una donna che non ha

                                   meco altro cor che di pestifer angue,

                                   se ancor non mi toglievi ogn’altro aiuto?

                                   L’amata m’abborrisce, il padre ponsi

                                   in guardia contro me gelosa e fiera.[46]

60                                E costui che sol era refrigerio

                                   alla mia pena, e un sottil filo d’aria

                                   quasi alla debil mia morta speranza,[47]

                                   or m’abbandona in mezzo alle tempeste.

                                   Che resta a me, se non darmi la morte?

65                                O menar una vita tormentosa,

                                   grave a me stesso, et odioso agli altri?

 

            crivello        Gianni, se fosti a me fratello o figlio,

                                   non potresti doler quanto mi duoli.[48]

                                   Sai ch’io sempre t’amai, e che per farti

70                                amar ancora dalla tua nemica,

                                   spesi pensier, opre, parole, e passi

                                   infino a qui. Ma or che vedo espresso[49]

                                   di non poter far più, anzi te stesso

                                   odo con pena tal rammaricarti,

75                                sento fendermi il cor quasi per mezzo.

                                   Ma pensiamo un po’ meglio a quest’affare,

                                   poiché non posso in modo alcuno, a costo

                                   ancor del dosso mio e della vita[50]

                                   abbandonarti. Pria d’ogn’altra cosa,

80                                secondo che il padron mi comandò,

                                   e posso e debbo far la guardia, e giorno,

                                   e notte alla tua donna contro ognuno.

                                   Così almeno sarai di lei sicuro,

                                   né puoi temer che all’esca altri s’accosti.

 

85        gianni            Che monta ciò quand’io non posso averla?

 

            crivello        Monta che almeno il can dell’ortolano[51]

                                   tu sei fatto, e dir puoi: né a me, né a te.

 

            gianni            Deh, solo a te possa venir il canchero.

                                   Questo è il ristoro che sai dare ad uno

90                                disperato? Se tu morto di sete

                                   fossi, o di fame, a te saria bastante

                                   poter dal vino, o sia dalla minestra

                                   a viva forza ripulsare ognuno?

                                   O pur l’inedia altrui ti pascerebbe?

95                                Deh moviti a pietà, Crivello mio,

                                   non mi lasciar morir di puro stento,

                                   quando in tua mano è la mia morte o vita.

                                   Odimi. Questa è l’imbandita mensa,

                                   cioè l’Agnesa. Crivello è seduto

100                              a tavola, e un baston si tiene in mano.

                                   Alcun s’accosta de’ golosi. Il primo[52]

                                   Minghin forse sarà, ch’è il mio rivale.

                                   Allor Crivello mena un duro colpo

                                   tra capo e collo sì ch’egli è spacciato.

105                              Di poi Gianni sen viene umile e chino,

                                   dicendo: «Mio Crivello, mia speranza,

                                   luce degli occhi miei, per quell’amore

                                   che mi portasti e tuttora mi porti,

                                   seder lasciami a mensa per brev’ora

110                              sicch’io ristori la mia lunga fame

                                   e la sete che m’arde». Allor Crivello:

                                   «ben venga Gianni», e s’alza da sedere,

                                   cedendo a Gianni il luogo. Anzi di scalco[53]

                                   lo serve e di coppiere.[54]

 

            crivello                                           Sai che fa

115                              allor Crivello?

 

            gianni                                    Non so s’egli nol dice.

 

            crivello        La mensa e il convitato a terra getta,

                                   ed il tutto calpesta e manda in polve.

 

            gianni            E avresti cor di farlo? E nulla ti

                                   moverebbe sì bella imbandigione,

120                              e dolce e cara?[55]

 

            crivello                               Non più che un chirurgo

                                   qualor deve tagliare o gambe o braccia.

                                   Ma parliam da dovvero. Io, Gianni, penso

                                   tuttavia di giovarti in questo amore;

                                   non sol tenendo un occhio d’avvoltoio

125                              sopra la Trecca viso di carogna,[56]

                                   che vuol dar a Minghin l’Agnesa in preda,

                                   ma facendo da veltro in favor tuo,[57]

                                   così che cada ella nelle tue mani.

                                   E ciò fia senza dubbio, se non manca

130                              a me lo spirto. Ma convien che tu

                                   dall’ira del padron mi salvi e dalla

                                   fame, quand’ei mi caccerà di casa.

                                    Che certo lo farà, pur che s’accorga

                                    ch’io fui vento contrario alla sua barca,

135                              e lo tradii, la merce consegnando

                                   ch’egli affidata alla mia cura avea.

                                   Dunque tal patto fia tra noi: ch’io ponga

                                   per te la vita e che tu pur per me.[58]

 

            gianni            Accetto il patto. Non lasciar, Crivello,

140                              di battere il focil. Priega, scongiura[59]

                                   adopra inganni, togli ad altri ciò

                                   che a me darai, avaro con ciascuno,

                                   e meco liberal di sì gran bene.

                                   Per la mia fe’, per quella man ti giuro

145                              che ti difenderò, che la mia vita

                                   per te porrò, e che se il vecchio mai

                                   ti scacciasse da sé, nella mia casa

                                   ti accoglierò; e d’ogni aver con meco

                                   in fatti e in voce tu sarai padrone.[60]

 

150      crivello        Altro qui non occor. Tu dal tuo lato

                                   attendi, ch’io farò mia parte intera.

 

 

                                   SCENA TERZA

 

                                   La Trecca, Minghino.

 

            la trecca      Non dubitar, Minghino. Ella, conosco,

                                   che t’ama; ed io non lascio giorno e notte

                                   di lodartele, e far vento al suo fuoco.[61]

 

            minghino      Ma credi, Trecca, che frappor si possa

5                                  alcun? Le cose graziose e belle

                                   piacciono a tutti, e so che di costei

                                   non è in Faenza donna più vezzosa.[62]

                                   Temo dell’ombra mia; tu vedi se

                                   de’ corpi altrui. Sai tu che quinci passi

10                                alcuno? Che si fermi? O faccia motto?

                                   O che sospiri?

 

            trecca                                   Un can ier sera udii

                                    che forte si lagnava per avere

                                   datogli alcun d’un sasso nella schiena.

                                   Che vuoi tu che ti dica?

 

            minghino                                          Tu se’ pazza.

15                                Pur Gianni non la segue a amoreggiare?[63]

                                   Le donne presto volgono il rovescio,[64]

                                   dico le spalle, e più le giovinette.

                                   Ei priega, ei manda le ambasciate spesse

                                   per Crivello quel tristo. Ed una goccia[65]

20                                che seguiti a cader bagna la terra:

                                   e una scintilla aggiunta all’altra, spesso

                                   un incendio cagiona irreparabile.

 

            trecca           Tu in parte mi fai ridere, ed in parte

                                   sdegnar, quando mi nomini Crivello

25                                e Gianni; questi è un pazzo da catena,

                                   e quegli il più bell’asino del mondo.

                                   Quando noi donne non abbiam all’uomo

                                   quella pendenza naturale e quel[66]

                                   nonsoché, il qual ci tira quasi a forza,[67]

30                                possono scongiurar e co’ sospiri

                                   romper le pietre, ed allagar col pianto

                                   le strade e piazze, che non fanno tela;[68]

                                   anzi fan peggio. E tanto più l’amata

                                   s’insuperbisce e dura ne diviene,

35                                che vede il gocciolon perduto e morto.[69]

                                   L’Agnesa è quale un cane che si fugge

                                   dal baston quinci, e segue il pane quindi.

                                   Il bastone è per lei l’odio di Gianni:

                                   e il pan bianco l’amore di Minghino.

 

40        minghino      Temo però di alcuno stratagemma,

                                   Trecca mia cara, e Crivello ne sa

                                   di roffianesmo quanto alcun sapesse.

 

            trecca           Lascialo far, che s’ei veglia, io non dormo,

                                   e s’egli è in casa, io non ne sono fuori.

45                                Io più vedo l’Agnesa in tutto il giorno

                                   e più le parlo del tuo amor, che non

                                   può far Crivello in una settimana

                                   di quel di Gianni. Nella notte poi

                                   fo addormentarla col tuo nome in bocca,[70]

50                                e con quello il mattino anco la sveglio.

                                   Credi, Minghin che a te è vantaggio grande

                                   ch’io le sia a lato e parli sempre mai.

                                   Come vuoi che Crivello faccia tanto?

                                   Quel scimunito? Quand’anch’ella fosse

55                                indifferente, a me darebbe il core

                                   di vincerla. Or tu vedi che farà

                                   s’ell’odia il tuo rivale, ed ama te.

                                   Ma eccola che stassi alla finestra.

                                   Io entro in casa. Tu vagheggia in tanto

60                                il caro bene, e ancor dille non più

                                   che due parole, poi potrebbe il vecchio[71]

                                   sopravenir che già uscì fuor di casa.[72]

 

 

                                   SCENA QUARTA

 

                                   Minghino, l’Agnesa alla finestra.

 

            minghino      Qual è la mia fortuna, mentre io veggio[73]

                                   spuntar dall’oriente il mio bel sole?[74]

            agnesa           Signor mio, non vogliate con tai detti

                                   confondermi, e co’ nomi ch’io non merto.

5                                  A me basta, che sono vostra serva,

                                   se mi date il buon giorno, e mi chiamate

                                   col nome mio.

 

            minghino                              Unica mia speranza,

                                   troppo basso di voi, troppo di me[75]

                                   altamente pensate. Io, se la mia

10                                servitute v’è a cor, non cangerei

                                   tal sorte con un regno; e, pur che avessi

                                   la grazia vostra di cui temo sempre,[76]

                                   soffrirei mille morti volentieri.

 

            agnese           Già queste son le solite parole

15                                che voi giovani dite a tutte l’ore

                                    stando avanti noi povere donzelle.

                                   Chi sa se poi la lingua è quale il core?

 

            minghino      O Agnesa, potess’io mostrarvi appunto

                                   questo cor mio invece di parole!

20                                So ben che credereste anco alla lingua

                                   che forse non ha grazia innanzi a voi,

                                   poiché chi la fa dir voi non vedete,[77]

                                   e sol la udite senza testimonio.

                                   Ma odo aprirsi ora la vostra porta:

25                                chi mai n’esce?

 

            agnesa                                  Gli è il servo mio Crivello.

                                   Non vi partite già per ciò, e né meno

                                   mostrate di badargli poco o molto.

 

 

                                   SCENA QUINTA

 

                                   Crivello, e detti.

 

            crivello        Convien ch’oggi sien tutti di Faenza

                                   usciti, che non hai con chi parlare,

                                   Minghino, se non parli con costei.

                                   Che fai qui? Che non vai per la tua via?

5                                  Sei mutolo? Se’ immobile di pietra?

                                   Che guardi? Tu non leggi ciò che sia

                                   scritto tra quella porta e la finestra

                                   soprastante, ben mira, se sai leggere:

                                   «Chi qua si ferma a rimirar, o parla

10                                con chi suole abitar tra queste mura,

                                   crede esser vivo e un morto è che camina».

 

            agnesa           E tu, Crivello, che sì legger sai,

                                   non vedi ciò che alla leggenda è aggiunto?[78]

 

            crivello        Nol veggo, se d’occhial tu non mi servi.[79]

 

15        agnesa           «E qualunque si vuol frappor tra due

                                   che parlino tra lor, standosi l’uno

                                   alla finestra, e l’altro nella strada,

                                   colui non sa che al laccio è destinato».[80]

                                   Or vedi se lasciavi fuori il meglio

20                                dello spataffio.[81]

 

            crivello                               Agnesa, non più stiamo

                                   sulle burle. Ti dico che tu tiri[82]

                                   addentro il capo, se non vuoi ch’io faccia

                                   murar la testa tua con la finestra.

                                   E tu, cacazibetto, che ti stai[83]

25                                piantato come un termine di campo,[84]

                                   fatti con Dio. Se non ti fai, ben presto[85]

                                   io farò che il baston sia quella leva

                                   che ti rovesci, e che ti mandi in pezzi

                                   e capo e schiena e pancia e braccia e gambe.

 

30        minghino      Odi, bestia, non servo: io non ti parlo

                                   di me, bensì ti dico per costei

                                   ch’è sopra che tu vada in altra banda

                                   se fusse anco in galera, o tenga quella

                                   che ti sarà mozzata, dentro a’ denti,

35                                se non vuoi da questo mio pugnale

                                    esser piantato sopra questa porta.

 

            agnesa           Minghino, con costui non far parole,

                                   sta’ zitto, poi tra poco egli sarà

                                   senza fatica tua, dell’ospitale[86]

40                                cibo gradito o della sepoltura.

 

            crivello        Io parlo a tutti e due, ben m’intendete.

                                   Tuo padre, Agnesa, non vuol che ad alcuno

                                   favelli, o nella via o nella casa,

                                   o in camera, o in cucina, od in cantina,

45                                o sotto le coltrici o in altra parte.

 

            agnesa           Ma s’altri fosse qui a parlarmi giunto

                                   che non fosse Minghino, io so, Crivello,

                                   tu serreresti gli occhi e lascieresti

                                   ch’io gli parlassi al chiaro ed all’oscuro.

 

50        minghino      E posso io starmi cheto? E soffrirò

                                   di costui l’insolenza? Egli è guardiano

                                   sol rigoroso contro me. Ed è tale[87]

                                   cui non sol lascerebbe favellare

                                   ma in casa introdurrebbe. Olà, Crivello,

55                                vieni al mio lato, e una parola sola

                                   odi da me, poi subito mi parto.

 

            crivello        Eccomi, che più vuoi?

 

            minghino                                          Voglio che tu

                                   impari il favellar meglio che mamma

                                   e babbo t’insegnò. Piglia e ancor piglia

60                                e questa per aggiunta alla derrata,[88]

                                   e questa per suggello dell’affare.

 

            crivello        Ahimè, Minghino, ahi ahi ahi ahi ahi ahi.

                                   Misero me son tutto pesto e rotto.

 

            agnesa           Lascialo, io te ne prego, nol sonare

65                                di più, Minghino.

 

            minghino                                         A tanto intercessore

                                   nulla si nieghi. E tu per questo raro

                                   dono, o Crivello, fa d’esserci grato

                                   e lasciarci parlar quando vogliamo.

                                   Agnesa, addio.

 

            crivello                               Tu medicata sei,[89]

70                                lascia ch’io pure a medicarmi vada

                                   delle busse ch’io ebbi sol per te.

 

            agnesa           Date ti furno perché le volesti.

 

 

 

                                   ATTO SECONDO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Crivello col braccio al collo, e Giacomo.

 

            crivello        Elli è come vi dico, padron mio,

                                   la fedeltà sarà la mia ruina,

                                   la malora, la morte, lo sterminio.

                                   Lo so ben io perché i famigli sono[90]

5                                  poco fedeli ed ubbidiscon poco

                                   li lor padroni, perché arrischian spesso

                                   le battiture, e ben la morte ancora.[91]

 

            giacomo        Costui mi fa pietà. Ma dimmi un poco

                                   Crivello, e narra interamente il fatto.

 

10        crivello        Padrone, mi stava io qual comandaste

                                   dell’Agnesa in custodia, quando voi

                                   fuor di casa eravate. Or della porta

                                   uscendo io per andare in sul mercato

                                   a far ispesa, ritrovai Menghino

15                                di Mingole che stava ritto ritto

                                   per me’ la porta e sotto la finestra.[92]

 

            giacomo        Sin qui non è alcun male.

 

            crivello                                                       Or viene il male

                                   e il peggio ancor. Alla finestra s’era

                                   appoggiata l’Agnesa, e l’uno all’altra

20                                parlava come fussero fratelli.

 

            giacomo        Or che a te parve di tal fratellanza,

                                   la biasimasti o lodasti?

 

            crivello                                           Io preso allora

                                   da collera, sgridai l’Agnesa, acciò

                                   si ritirasse, ed all’amante ancora

25                                dissi la villania maggior del mondo.

                                   Il resto che n’avvenne, a me patirlo

                                   tocca, e scorgerlo a voi. Ma non vedete

                                   neppur il tutto. Oltre che il braccio al collo

                                   reco, le spalle ho tutte lividure,

30                                ed una ammaccatura anco ho sul capo.

                                   Onde allo spezial gir mi convenne.[93]

                                   per far ungermi, e ancora il lardo bere.

                                   Finché veduto voi passare innanzi

                                   la spezieria vosco ne venni a darvi[94]

35                                conto di questa mia nuova ventura[95]

                                    ch’oggi ho incontrata per comando vostro.

 

            giacomo        Bene istà: tu facesti il tuo dovere,

                                   e Minghin fece il suo. Un’altra volta,

                                   se il vedi così far, sgridalo meglio.

 

40        crivello        Ed egli meglio batterammi assai.

 

            giacomo        Ed allor io che so di cortesia

                                   raddoppierò la mancia. E s’ora solo

                                   ti do due doppie allor saranno quattro.[96]

                                   Io vado in casa. Tu fa ciò che devi

45                                in piazza, e torna tosto alla custodia

                                   di casa.

 

            crivello                    E sarà meglio ch’io mi vesta

                                   d’un giacco sotto i panni, acciò la frusta[97]

                                   non opri meco e corrano le doppie.[98]

 

 

                                   SCENA SECONDA

 

                                   La Trecca.

 

            trecca           Io credo che Minghino avuto avrà

                                   tempo e comodità di consolare

                                   e sé e gli altri, mentr’io stava addentro.[99]

                                   Pur sarebbe gran cosa che Crivello

5                                  se mai s’avvide il giovane esser qui,

                                   non fece o disse delle sue. Per certo

                                   egli ora non è in casa. Se uscì fuori

                                   dopo sciolto il congresso, sarà nulla.[100]

                                   Ma s’egli andò, nel tempo dei trattati,

10                                temo di alcun disturbo. Egli dirà[101]

                                   il tutto al vecchio, come un banditore

                                   che la voce accompagna con la tromba.

                                   Deh fossi un uomo, o pur Minghino stesso!

                                   Io ben vorrei trattarlo come ei merta,

15                                e frustarlo così da capo a piedi

                                    ch’ei ne recasse il braccio appeso al collo.

                                   Gran cosa! Quel ch’io voglio e vuol l’Agnesa

                                   egli non vuole; e guardian si fa

                                   contro il nostro piacer. Ma lascia che[102]

20                                della stessa moneta fia pagato.

                                   Io guarderolla ben da Gianni, come

                                   ei da Minghin la guarda. Ed io Minghino

                                   serberò in grazia sua, come Crivello

                                   vorrebbe introdur Gianni. Un sol momento

25                                non vo’ lasciargli libero, e continua-

                                   mente osservare gli andamenti suoi.[103]

                                   Anzi voleva di presente andarmi

                                   dal sarto a ripigliare il mio guarnello.[104]

                                   Non vo più. Lo dirò alla Zitta mia

30                                comare, e manderolla a riaverlo.

                                   Né da casa avverrà pur che mi scosti.

                                   Vedrem chi saprà vincer, la volpe

                                   o il corvo. Ma passa or tal differenza

                                   dalla favola a noi; che già il formaggio

35                                è in mio poter, perché l’Agnesa fa

                                   a mio modo, ed il corvo ch’è Crivello,

                                   ben attenderlo può, ma non averlo.[105]

 

 

                                   SCENA TERZA

 

                                   Gianni, Crivello, l’Agnesa.

 

            gianni             Vedi, Crivello mio, alla finestra

                                   l’Agnesa. Fa’, digli alcuna parola[106]

                                   acciò che intanto vagheggiar io possa.[107]

 

            crivello        Tu hai un occhio di sparviere. Io non

5                                  l’avea veduta. Fermati alcun poco,

                                   che quanto io vaglio la trattenirò.[108]

 

            gianni            Va’ innanzi tu ch’io starò qui in disparte.

 

            crivello        Agnesa, non partir dalla finestra

                                   che ho cosa da parlarti.

 

            agnesa                                              O buono affé![109]

10                                Non puoi venirti in casa?

 

            crivello                                                       Or non si puote.

 

            gianni            [(a parte)] Cos’io venir potessi!

 

            agnesa                                                          Perché ciò?

 

            crivello        Non vedi tu com’io mi movo appena?

 

            agnesa           Tu pur venisti poco fa per via

                                   e ti movevi, or se’ assiderato?[110]

 

15        crivello        Questo dolor di spalle, di ginocchia,

                                   e di testa m’assal talor sì forte

                                   che mi leva il poter come ora fa;[111]

                                   onde convien ch’io mi rimanga qui.

 

            agnesa           E colui ch’hai di dietro, ha egli ancora

20                                dolori tai che non si può partire?

                                   Anzi fiso mi guarda come un pazzo?

                                   Fu egli bastonato qual tu fosti?

 

            crivello        Non so. Ma qual meschino ha un mal di core[112]

                                   sì grande, che stordisce all’improviso.[113]

25                                E se tu non lo svegli con alcuna

                                   cortese paroletta, ei si starà

                                   attonito, qual è, tutto oggi, e tutta[114]

                                   questa notte, né mai si moverà.

 

            agnesa           Per me si stia sino alla fin del mondo,

30                                o morto o statua, ch’io non me ne curo.

 

            crivello        Almen poich’egli sarà stato un anno

                                   fitto come una pietra in questo loco

                                   e poi morto cadrà, degnati allora

                                   di farlo sepelir in casa tua,

35                                acciocché morto almen teco si stia,

                                   s’ei non può starci qual è ritto e vivo.

                                   Deh, Agnesa, qual fierezza e crudeltate[115]

                                    è questa? Non voler l’uomo né vivo

                                   né morto? Pur almen, già ch’io non posso

40                                vincerti con preghiere e con quest’atto

                                   mio di giacer a terra che più basso

                                   non posso star, la sentenza di morte

                                   ad esso stesso di tua bocca dona

                                    ch’io vengo in casa, e lascio che voi due

45                                restiate, una ad uccidere, e il secondo

                                   a rimanersi crudelmente ucciso.

 

 

                                   SCENA QUARTA

 

                                   Gianni, e l’Agnesa.

 

            gianni            Agnesa, dunque a che ti stai? Finisca[116]

                                   con la tua crudeltà questa mia vita.[117]

                                   Dimmi se vuoi la morte e ’l sangue mio,

                                   che questi è pronto a uscir, e sarà quella

5                                  in luogo a me di refrigerio e di[118]

                                   salute. Io da quel giorno in cui la prima

                                    volta ti vidi, e tu volgesti a me

                                   gli occhi, da quei passò una forza al core

                                   che disse: tu se’ mio, e parve appunto

10                                una mano ferrata che il togliesse.[119]

                                   Di poi piangendo, amando, sospirando[120]

                                   son giunto fino a tal che più non posso[121]

                                   oltre soffrir, bramo altro che morte,[122]

                                   e questa mi darò solo che il brami.

 

 

                                   SCENA QUINTA

 

                                   La Trecca sulla porta, Gianni, l’Agnesa.

 

            la trecca      Gianni, fatti in costà, lasciala stare.[123]

 

            gianni            Io non la tocco.

 

            la trecca                              Né men vo’ che parli

                                   con lei.

 

            gianni                        Parlerò dunque teco invece,

                                   poiché n’ho la maggior voglia del mondo.

 

5          trecca           Buon cambio affé tu fai, come chi suole,

                                   non potendo il caval, montar la sella.[124]

                                   Or a chi dico? Parti quinci e vanne[125]

                                   dove né pur t’immagini di noi.

 

            gianni            Né vo’ partir, né immaginar mi voglio

10                                d’altre donne se non se di costei,

                                   benché l’amo di core ed ella m’odia:

                                   e di te unitamente, come della

                                   maliarda lavacecci e malalingua[126]

                                   che sia in tutta Romagna od in maremma.

 

15        trecca           Messere, adagio, che sarebbe troppo

                                   se mi avesti ricolta dal letame.

                                   Ma voi di gentiluomini volete

                                   l’onor e ’l nome, e ancor le gentildonne

                                   più belle e fresche chiedete in ispose

20                                o pur le amoreggiate, che cotanto

                                   avete e molto più di feccia d’asino.[127]

 

            gianni            Così sparli di me brutta troiata?

                                   Né ti vergogni? Or senti, se la mano

                                   mi pesa.

 

            trecca                       Ahimè ahimè deserta; e questo[128]

25                                mi fai? Ti caverò occhi e capelli

                                   se a te posso accostarmi.[129]

 

            gianni                                                             Nulla fia.[130]

                                   Ben io ti farò rosso assai più il viso.

 

            trecca           Ahimè ahimè.

 

            agnesa                                  Che fai? Fermati, Gianni,

                                   lascia la Trecca star ch’è cosa mia.

 

30        gianni            Io la finiva affatto. Ma per tuo[131]

                                   comando, Agnesa, e come a cosa tua

                                   più non la tocco e le dono la vita.

 

 

                                   SCENA SESTA

 

                                   Giacomo, e la Trecca.

 

            giacomo        Che rumore fu questo da me udito

                                   sin dall’ultime stanze della casa?[132]

                                   Trecca, che hai? Perché sì rabuffata[133]

                                   e piangente sei? E pare ancora

5                                  che alcune ammaccature abbi sul viso.

 

            trecca           Dirò, signor. Per essere nel vostro

                                   servigio così attenta, e non volere[134]

                                   ch’altri parli all’Agnesa ciò m’avvenne.

                                   Il danno è mio, l’utilità fu vostra.

 

10        giacomo        Ma qual fu che voleva vagheggiarla?

                                   Perch’ebbe anco l’ardir di maltrattarti?

 

            trecca           Udite: mi stava io nella cucina

                                   attenta a’ miei stavigli, e nella via[135]

                                   odo una flebil voce che parlava

15                                con persona di casa e che diceva

                                   molte parole dolenti amorose.

                                   Io che del vostro onor alla custodia

                                   e dell’Agnesa veglio sola in casa,[136]

                                   tosto precipitai giù per le scale

20                                e pianamente questa porta aprii[137]

                                   della strada. Allor vedo Gianni sotto

                                   della finestra a cui era l’Agnesa,

                                   come sta il cane sotto della carne

                                   che pende in beccaria. Gli denonziai[138]

25                                tosto che si partisse, sotto pena

                                   dell’ira mia tremenda.[139]

 

            giacomo                                           Ed egli allora

                                   si sarà meglio accostato, non è

                                   vero?

 

            trecca                       Non s’accostò. Ma tra noi due

                                   seguirono parole.

 

            giacomo                                            E fatti ancora,

30                                com’io mi penso, anzi ben vedo espresso.

 

            trecca           Siete indovin. Mirate come ei m’ha

                                   concia per la giornata della festa,

                                   che in capo non ho treccia che sia mia.

                                   E son graffiata come aia da’ polli.[140]

35                                Ma così va. A servir ciò si guadagna

                                   e servir come se si fosse li

                                   padroni stessi; e conservar le loro

                                   cose come se fussero le proprie.

                                   Ti so dir io ch’anche Crivello arebbe

40                                ciò fatto. Anzi egli avrebbe aperta ancora[141]

                                   la porta, se non era la finestra

                                   bastante. Ora, padron, vedrete di chi

                                   vi dovete fidar. Ben vi prego io

                                   quando a me venga un dì da maritarmi,

45                                che a voi sovvenga di mia fedeltate.

                                   E che di queste busse mi paghiate

                                   il frutto coll’accrescermi la dote.[142]

 

            giacomo        Non dubitar. Va dentro, e tuttavia

                                   segui a far fedelmente; che n’avrai

                                    da me tal premio col debito tempo

50                                da benedirne chi ti percosse ora,

                                   e chi ti batterà nell’avvenire.

 

 

                                    SCENA SETTIMA

 

                                   Giacomo solo.

 

                                   Come s’inganna l’uomo! Io mi credea

                                   che di due servi cui pasco e sostengo,[143]

                                   l’uno discreto fosse, e l’altra no:[144]

                                   per la maladizion del sesso imbelle

5                                  che sempre tende al peggio in detti e ’n fatti.

                                   E pur quando dei due, l’una peggiore,

                                   e l’altro miglior fosse, non sarebbe

                                   ciò poco; poi di due braccia e due piedi

                                   ha gran ventura l’uom quand’un n’ha sano.

10                                Or vedi come fortunato io sono

                                   che famiglio e fantesca son sì buoni![145]

                                   E posso viver col mio cor contento

                                   di giorno e notte, come fossi io stesso

                                   in casa a ben guardarla e custodirla.

15                                Or dell’Agnesa che pensar mi debbo?

                                   Nol so. Certo lo starsi alla finestra

                                   esser può effetto di curiosità;

                                   ma poi tenir a bada un uom che parli,[146]

                                   (anzi fur due) può aver dell’amoreggio.[147]

20                                Pur non mi vo’ d’intorno a questo rompere

                                   il capo. Ognuno sa che le fanciulle

                                   da marito lo cercano da sé

                                   naturalmente, e senza forza o prieghi.

                                   A me basta d’aver in casa chi

25                                abbia due occhi in testa, ed uno solo

                                   ma acuto nella mente, e all’intelletto

                                   unisca una fedele volontate,

                                   come fanno costor cui lodo, e un giorno

                                   ancora premierò del ben oprare.

30                                Ma non credano già Minghino e Gianni,

                                   ch’io leggermente per passarmi sia[148]

                                   il loro ardir e l’insolenza matta[149]

                                   di battermi i due servi come han fatto.

                                   Chi la fa se la si scorda; a cui vien fatta

35                                la memoria è di sé troppo cortese.[150]

                                   Oggi non posso, poiché sera è quasi;

                                   ed ho alcune faccende, e dopo quelle

                                   a cena devo andar con certi amici:

                                   ma la dimane voglio girne io stesso

40                                al sindacato, e vogliomi appellare[151]

                                   della costor ingiuria. Se sarà[152]

                                   in Faenza giustizia ben vedranno

                                   i mariuoli, se più possa il loro[153]

                                   impronto ardire, o pur la mia prudenza.[154]

45                                Intanto a me conviene confortare

                                   così il famiglio, come la fantesca

                                   a ben oprar nell’avvenir qual fanno,

                                   e custodir la casa spezialmente

                                   ista notte; poiché nelle sue cose

50                                chi con timor cammina e vigilanza

                                   può salvo dirsi e vivere sicuro.

 

 

 

                  ATTO TERZO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Giacomo, la Trecca, Crivello.

 

            giacomo        Tu vedi, Trecca, che Crivello ancora

                                   è maltrattato, ed è fedele come

                                   tu se’, né per disuguaglianza alcuna[155]

                                   hai di lui che lagnarti. Ognun di voi

5                                  fe’ il suo dover, ognun n’ebbe la mala

                                   ventura e fu battuto molto bene.

                                   Della qual cosa, sebben prima vosco

                                   mostrai burlarmi e non farne gran caso,

                                   sappiate che ne son molto dolente,

10                                e l’ingiuria mi spiace fatta a voi

                                   sì fortemente come fosse a me.

                                   Però vo’ far due cose molto giuste.[156]

                                   In prima farò a te quando che sia

                                   Trecca, tal donativo in oro e argento,

15                                che ne avrai buona dote, acciò giammai

                                   non ti raffreddi ma raddoppi la

                                   custodia dell’Agnesa, ripulsando[157]

                                   ogni amatore che a tentar la venga,

                                   o per sé stesso, o per mezzani, e lettre.[158]

20                                Secondo io voglio che sappiate entrambi

                                   che delle ricevute battiture

                                   n’avranno il guiderdon Gianni e Minghino:[159]

                                   poiché vo’ querelargli al podestà[160]

                                   diman di buon mattino, e non partirmi

25                                da lui s’ei non ne fa giusta vendetta.

 

            trecca           Signor, Minghino avrà ragione avuta

                                   di batter quel tristo di Crivello.

                                   Onde potreste la querela solo

                                   drizzar contro Gianni che me offese.

 

30        crivello        Odi la scempia e in un maliziosa:[161]

                                   anzi solo Minghino si fu il reo

                                   a scuotermi il giubbone; e a sonar te

                                   Gianni si meritò una corona.[162]

 

            giacomo        È naturale che a ciascun di voi

35                                pesin le sue, e ch’odio abbia e vendetta

                                   più contro l’offensor suo che con altri.

                                   Ma d’altra sorte è l’affar mio, che d’ambi[163]

                                   ho il vituperio e l’onta ricevuta,

                                   chi il cane batte più il padrone offende.[164]

40                                Però basti di questo: a me lasciate

                                   la cura, e mi saprò cacciar le mosche.

                                   Or ciò che voglio dirvi (e pur mi cale

                                   quanto cosa del mondo) è che istasera

                                   cenerò fuor di casa e dormirò,

45                                sì che non mi vedrete fino a giorno.

                                   Tu, Trecca, all’ore ventitré farai[165]

                                   che sien tutte serrate le finestre.

                                   E cenato che avrai, porraiti in letto

                                   con l’Agnesa, vedendo destramente[166]

50                                di legar al suo braccio una fettuccia

                                   il cui capo tu tenga nella mano

                                   per far ch’ella scappate non sciorini,[167]

                                   né vada pianamente alla finestra.

                                   E tu, Crivello, serrerai la porta

55                                di dentro a chiave, posti prima a suo

                                   luogo col lume i chiavistelli fermi,

                                   e dopo ognuno vadasi a dormire.

 

            trecca           Padrone, farò il tutto d’ubbidirvi.

                                   Ma l’Agnesa sappiate che si dorme

60                                alto così che il tuono non la sveglia,[168]

                                   e recar la potresti dentro il fiume,

                                   senza che si svegliasse poco o molto.

 

            crivello        Per me serrerò a chiave ed usci e porte,

                                   e a riposare andrò nella mia stanza,

65                                ch’ho più bisogno e voglia di far ciò

                                   che d’altro.

 

            giacomo                                A così far bene farai.

 

 

                                    SCENA SECONDA

 

                                   La Trecca, Minghino.

 

            trecca           Attendi un po’ ch’io vegga se il padrone

                                   si dilungò abbastanza. Ei se n’è andato[169]

                                   di buon passo, e alle mani ha più faccende,

                                   né credo tornerà più inanzi sera.

5                                  Anzi ista notte se ne cena e dorme

                                   fuori di casa, onde puoi dirmi ciò

                                   che vuoi.

 

            minghino                              Prima ti dico, o Trecca, ond’è[170]

                                   ch’hai sul viso cotali ammaccature?

 

            trecca           Ond’è, Minghino, che Crivello è pesto

10                                pur egli?

 

            minghino                              Nol sai tu? Perché non volle

                                   che a voglia mia all’Agnesa favellassi.[171]

 

            trecca           E perch’io non permisi a Gianni ancora

                                   il far lo stesso, egli così m’ha concia.[172]

 

            minghino      Insomma amor fu la disgrazia sola

15                                d’entrambi.

 

            trecca                                   Or sia ben maledetto amore.

                                   che s’egli a te diletta, a me non piace.

                                   Ma appunto per tuo amor vedi, Minghino,

                                   a che mi adduco. Anzi sebben son pesta[173]

                                   e maltrattata, voglio dirti cosa

20                                che per tuo bene convienti sapere.

 

            minghino      E qual sarà?

 

            trecca                                   Giacomo vuole a tutti

                                   i modi riscatarsi dell’ingiuria[174]

                                   che tu e Gianni facesti a noi suoi servi

 

            minghino      E in qual modo?

 

            trecca                                   Domattina all’alba

25                                vuol girne al capitano della terra

                                   ed accusarvi.

 

            minghino                              Il capitano è guelfo

                                   ed io son ghibellino. Non mi posso

                                   ora star peggio. Odimi un poco, Trecca,

                                   darebbe il core a te di far tal cosa

30                                da porre in calma il mio possente ardore,[175]

                                   da ingannar Giacomino, e a un’ora stessa

                                   render libero me dalla giustizia?

 

            trecca           Sol che cosa possibile ella sia,

                                   parla, figliuolo, che io farò di tutto.

 

35        minghino      Quando che sia Crivello addormentato,

                                    tu devi un segno farmi e aprirmi la

                                   porta per un momento della casa.

 

            trecca           Gnaffe! Vedi tu un poco se la intendi.[176]

                                   Tu di notte andatore, ed apritore[177]

40                                di porte, e salitore sei di scale?

                                   Infino a qui tal uomo ti credea

                                   che t’avrei preso per compare ed in

                                   avvocato ed in padre putativo.[178]

                                   Ma or m’accorgo che non è sì piano[179]

45                                a romagnuoli il credere.

 

            minghino                                          Or ch’è ciò,

                                   Trecca? Vuoi tu ch’io sia uomo sì reo,

                                   che se l’Agnesa conducessi meco[180]

                                   non la sposassi ancor? Qual altra mai

                                   donna feci signora del mio core?

50                                E non vuoi tu che la facessi ancora

                                   parte di me, quando in balia l’avessi?[181]

                                   Sì il farò. Né cred’io ch’ella vorrà

                                   altrimenti: poiché sai tu, e so io,

                                   ch’ella al mio ardor ritrosa non si mostra.

 

55        trecca           Gli è ver, e se’ da lei ben corrisposto,

                                   come il conosco al viso, agli occhi, non pur

                                   alle parole, onde mostra gradire

                                   che l’ami ora e che seguiti ad amarla.

                                   Che però fora colpa tua maggiore[182]

60                                l’ingannarla.

 

            minghino                              Di ciò l’una né l’altra

                                   temer dovete.

 

            trecca                                   Ma facciam che un segno

                                   ti dia, che la porta apra, ed entri tu,

                                   e paceficamente venga teco

                                   l’Agnesa, e sia come sono le spose,

65                                che dicono di no e fan di sì:

                                   e della Trecca allor che mai sarà?

                                   Il padron certo non mi lascia viva,

                                   tanto che sputar possa.[183]

 

            minghino                                         Io già ho pensato

                                   a questo. Con l’Agnesa verrai meco.

70                                Giacomo la dimane, levi quanto

                                   romor si vuol. Anch’io padre e parenti

                                   ho molti e forse i meglio del paese.

                                   Quando l’avrò sposata io so che il tutto

                                   si comporrà: poiché la cosa fatta

75                                ha capo onde pigliarsi e maneggiarsi.[184]

                                   Già vuol Giacomo sol, perch’io battei

                                   il servo suo, recarmi al maleficio.[185]

                                   Meglio è ch’ei mi ci rechi per le due,[186]

                                   che per l’una.

 

            trecca                                   Tu sai tanto ben dire

80                                e meco far, che mi ti do per vinta.

                                   Ma qual segno potrò mai farti, che

                                   sia da te solo inteso e non da alcuno

                                   altro? Pensiamo un poco. Io l’ho trovata.[187]

                                   Vedi colà quell’ultima finestra

85                                della casa? Il balcone io lascierò

                                   di serrare, ed un lume dietro ai vetri

                                   riporrò. Tu fallir già non potrai,

                                   poiché l’altre finestre appariranno

                                   oscure, e questa sola illuminata.

 

90        minghino      Ottimamente parli, ottimamente

                                   la gherminella tua a me va a sangue:[188]

                                    altro non resta se non che il segreto

                                   si stia tra noi.

 

            trecca                                   Non sarà chi lo sappia.

 

 

                                   SCENA TERZA

 

                                   Gianni, Crivello.

 

            gianni             E se tu dici d’avermi trovato

                                   in buon punto, io rispondo che ti trovo

                                   in miglior molto.

 

            crivello                                Perché, Gianni, questo?

 

            gianni            Perché vo’ darti l’ultimo saluto,

5                                  e andarmi ad affogar entro in un pozzo.

 

            crivello        Odi la bestia! E qual nuova avventura

                                   ti fa impazzir?

 

            gianni                                    Nol sai tu che se’ solo

                                   il segretario mio?[189]

 

            crivello                                Ma non pagato.

 

            gianni            Che dunque?

 

            crivello                                Non son io il messo vostro

10                                e da voi non pagato più né meno?

                                   Le busse ch’io ricevo chi mi paga?

                                   Ma volete che parli vero e schietto,

                                   insegnatemi il pozzo in cui volete

                                   gettarvi, poi meglio è ch’io mi vi getti.

 

15        gianni            Odi l’asino!

 

            crivello                                Or dite, e chi di noi

                                    ha maggiori sventure? Io sono servo,

                                   voi libero. Io fatico notte e giorno;[190]

                                   voi vivete d’entrata e fate nulla.

                                   Io son battuto, e voi sano qual pesce.

 

20        gianni            Ahi, Crivello, veder vuoi che sto peggio?

                                   Io sono amante, e non son corrisposto.

 

            crivello        Io ’l sapea che son vostro segretario.

 

            gianni             Ma non sapesti già ciò che mi disse

                                   la donna mia con l’ultime parole?

 

25        crivello        Muori tu, Gianni, o fai la gatta morta?[191]

 

            gianni            Mi disse, ahimè! Che mai più le parlassi

                                   né la guardassi.

 

            crivello                                E che importa ciò a voi?

 

            gianni            Manigoldo! Che importa? La salute

                                   la vita, la ricchezza, l’onor mio.

30                                La salute, perché mi fe’ venire

                                   la febbre con quel barbaro parlare.

                                   La vita perch’ell’è la vita mia,

                                   e sì mi fugge; la ricchezza ancora,

                                   perché l’Agnesa è l’unico mio bene.

35                                Finalmente l’onore, perché il toglie

                                   a me Minghino avendola in balia.

 

            crivello        Poveri amanti! E non «poveri fiori»,[192]

                                   come disse colui. Come mi fate

                                   pietà! Ma dimmi, Gianni, un poco, vuoi

40                                aver l’Agnesa?

 

            gianni                                     Maisì lo vorrei.[193]

 

            crvello         Pigliala.

 

            gianni                         Come far? S’ella è serrata

                                   e custodita e incatenata più

                                   che la secchia non è da’ modonesi?[194]

 

            crivello        E pur è in me far che tu l’abbia o no.

 

45        gianni            In qual guisa? Non le hai tentate tutte?

                                   Hai pregato, hai portato doni e carte,

                                   m’hai fatto a lei parlar più d’una fiata,

                                   e sempre dura fu più che colonna.

                                   Ultimamente a me medesmo disse

50                                e non ad altri, che più non ponessi

                                   piè innanzi a lei né più le ragionassi.

 

            crivello        Dunque ella ti vietò la lingua e i piedi

                                   ma non le mani. Or non puoi tu pigliarla

                                   con mano e via condurla?

 

            gianni                                                             S’io potessi,

55                                non lo farei con una, ma con cento.

 

            crivello        E se Crivello ti dasse il potere?[195]

 

            gianni            Come? Quando? Facciamolo ora più tosto

                                   che la dimane.

 

            crivello                                Adagio adagio. Prima

                                   udire si conviene ed accordare[196]

60                                più cose. E sopra tutto che sarà

                                   di me? So che poche ore fa dicesti,

                                   se nasce alcuna ostilità tra me

                                   e ’l padrone, d’accogliermi in tua casa,

                                   ma questo è il ben servito perché a te

65                                sono mezzano. E per quest’opra mia[197]

                                   di valor fedeltate ed ardimento

                                   che sia l’Agnesa consegnarti in mano,

                                   qual frutto avrò? Qual don tu mi prometti?

 

            gianni            Vien qua: questi son cento scudi d’oro

70                                e sono tuoi. Tu accorda il modo e il tempo.

 

            crivello        Quasi che non ne voglio far più nulla.

                                   E Gianni dona a me? Quando per lui

                                   mi getterei nel foco non che altrove?

 

            gianni            Pensa ch’io vo’ gettarteli di retro

75                                quando nel foco andrai.

 

            crivello                                           Fa’ che ti meni

                                   teco l’Agnesa. Allor in casa più

                                   non posso star del signor mio.

 

            gianni                                                           Verrai

                                   a casa mia, né più sarai famiglio,

                                   ma padron qual sono io.

 

            crivello                                                       Credo che altrove

80                                e in altra terra, non già qui in Faenza;

                                   poi la campana sonerà a martello.

 

            gianni            Andremo ove vorrai.

 

            crivello                                           I patti fermi

                                   sieno. Tu ti verrai a un’ora e mezzo[198]

                                   della notte. I’ sarò a quella finestra.

85                                La vedi? Non fallire, e darò il fischio

                                   solito mio. T’accosterai alla porta.

                                   Io pianamente l’aprirò. Tu il resto

                                   ben sai.

 

            gianni                        Non fallirò, farò qual dici.

                                   Ma Giacomo che poi farà?

 

            crivello                                                       Non sai?

90                                Dimenticava il dirtelo. Egli cena

                                   fuori di casa e presso ad un amico.

                                    E’ ci starà fino che spunti l’alba.

                                   Onde tutta la notte sarà tua,

                                   o nostra per dir meglio.

 

            gianni                                                O mio Crivello,

95                                da morte a vita ritornato mi hai.

 

 

                                   SCENA QUARTA

 

                                   La Trecca, l’Agnesa.

 

            trecca           Figliuola mia, ista sera qui non cena

                                   tuo padre. Anzi starà appo gli Spadi

                                   infino all’alba beendo e mangiando.[199]

                                   E ben fa il vecchio a darsi passatempo;

5                                  che in vita sua mai sempre ebbe a penare,[200]

                                   de’ guelfi e ghibellini nelle mischie.

                                   E miracolo fu ch’egli salvasse

                                   la vita e che giungesse a possedere

                                   quegli averi ch’or gode ma ben tardi.

10                                Con tutto questo, quando manda il cielo

                                   del bene, è gran pazzia a non pigliarlo;

                                   e da ognuno così vorriasi fare,

                                   fuggendo a suo poter ogni disagio.[201]

                                   O Agnesa, se sapessi quanto duolmi

15                                d’essere giunta omai a quella etate[202]

                                   in cui tenute siamo per un nulla

                                   noi donne; e non son più che tra li trenta

                                   e li quaranta.

 

            agnesa                                  E che vuoi dunque dire,

                                   Trecca, con questo tuo ragionamento?

 

20        trecca           Che tu pensar dovresti ancora in tempo

                                   a quello a cui fuori di tempo io penso.

 

            agnesa           Né pur con ciò t’intendo.

 

            trecca                                                          Io dico che

                                   mentre sei fresca e bella, ti dovresti[203]

                                   unir ad uomo tal che ti stimasse

25                                e amasse sopra delle cose tutte.

                                   E che fosse prudente e valoroso,

                                   quanto tu graziosa e bella sei.

 

            agnesa           Trecca, non è tempo di predicare,[204]

                                   ma di mangiar più tosto e di dormire.

30                                Io so quello che far mi si convenga

                                   meglio di te. So d’esser giovinetta

                                   e che ho bisogno di marito, come

                                   dell’olmo ha d’uopo la tenace vite.[205]

                                   Poiché mio padre è vecchio, e mi potrebbe

35                                lasciar sola ed incerta della via

                                   ch’abbia a tener vivendo da me stessa.

                                   Ma tampoco non voglio dire a lui[206]

                                   che mi mariti. Ben quand’egli a me

                                   parlasse d’accasarmi, io gli direi

40                                schietto la opinione e il senso mio.[207]

 

            trecca           O figlia, se tu aspetti ch’egli il dica,

                                   sconcia ti morirai di questa voglia.[208]

                                   Buon patto avrian le povere fanciulle

                                   ad aspettar l’altrui discrezione[209]

45                                per maritarsi ed uscire de’ guai.

                                   Le più sagge, o che il fanno da sé stesse,

                                   o che dicono tanto ed opran tanto

                                   che al fine ad accasarle son costretti.

                                   Non t’ama egli Minghino? E tu non l’ami?

50                                Perché non segue a tanto amor l’effetto?[210]

 

            agnesa           Or non parliam di ciò. Lascia ch’io ceni

                                   a mio grand’agio e poi stia da me sola,

                                   infin che il sonno a ritrovar mi venga.

                                   Tu, poiché avrai spedite le faccende

55                                domestiche, verrai pure a dormire.

 

            trecca           Vanne, che teco tra poco sarò.

 

 

                                   SCENA QUINTA

 

                                   La Trecca, Crivello

 

            trecca           Che ti vai aggirando per la casa,

                                   Crivello? Ti recai nella tua stanza

                                   la cena e quella omai ti si raffredda,

                                   onde andar ti dovresti e ritirarti;

5                                  e bere e manicar e poi dormire.[211]

 

            crivello        Or tu mi fai ben ridere. Devo io

                                   mangiar e bere quando pare a te?

                                   E dormir anco? E se s’agghiaccia forse[212]

                                   la minestra, a mangiarla hai tu, o pur io?

10                                Ben io di te mi maraviglio assai,

                                   che non riffini d’andare e tornare[213]

                                   per casa, e vai battendo la scarpetta.[214]

                                   Non son queste ore da alcun lavorio:[215]

                                   e meglio assai faresti di dormire.

15                                Siccome anco l’Agnesa ciò faria.

 

            trecca           Come tu sei sì tenero di me[216]

                                   e di lei? Mi vo’ andare innanzi e ’ndietro

                                   a mia posta. Or è ella una bambina

                                   che pigli il latte? O teme la befana

20                                che non può starsi sola e addormentarsi?

                                   Tu ben dovresti girtene a dormire

                                   acciò sii pronto a portarti sull’alba

                                   per signorto.[217]

 

            crivello                                Io non sono un fanciullo.

                                   Io so ciò che mi debbo dire e fare,

25                                senza che monna zucca al vento il dica.[218]

                                   Anzi tu ti dovresti ire a covacciolo[219]

                                   per venire ad aprirci in sull’aurora

                                   e non farci picchiar ben cento volte.

 

            trecca           Or su, vedo che getto le parole.

30                                Tu veglia quanto vuoi, ch’io fo lo stesso

                                   poiché se’ della razza di can botolo.[220]

 

            crivello        Il malan che t’accolga. E tu pur vivi[221]

                                   a posta tua, né voller comandarmi,

                                   ché se replicherai parola io ti

35                                farò del grugno qual una schiacciata.[222]

                                   [(a parte)] Ma se n’andò. So che costei per sola

                                    curiosità sarà d’impedimento

                                   al mio voler, ma i’ le farò tal gioco,

                                   che se n’avrà per sempre da pentire.

 

 

 

                                   ATTO QUARTO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Gianni dall’una parte della scena con uno armato, e Minghino dall’altra con un altro.

 

            gianni            La notte è buia assai, e par che il tempo

                                   quasi minacci d’improvvisa pioggia.

                                   E se Crivello non si fosse meco,

                                   di dar fischiando il segno convenuto,

5                                  timor avrei di non venirne a capo,

                                   poiché veder non posso la finestra,

                                   ond’ei mi disse di starmi attendendo.

                                   Però s’egli si fosse posto a quella,

                                   è impossibile ch’ei non desse il fischio.

10                                Dunque meglio è aspettar, potendo starsi

                                   quegli occupato negli affar di casa.

 

            minghino      Io non vidi giammai sera sì bruna.

                                   E pur appena son due della notte.[223]

                                   Ma appunto perché il tempo è molto buio,

15                                la lucerna o candela della Trecca

                                   posta dietro i cristalli, si dovrebbe

                                   meglio veder. Ond’è segno evidente

                                   ch’ella non ha potuto ancora il lume

                                   recare al luogo tra noi divisato.[224]

20                                Che si può dunque far, se non attendere

                                   il suo voler, o sia comodità?

 

            gianni            O pena degli amanti! A quali un solo

                                   momento pare un’ora, un’ora un giorno,

                                   e il giorno un anno, e un anno più di cento.

25                                Poi ch’ebbi con Crivello concertata

                                   la cosa, andai per allestire il tutto,

                                   arme, ed armati, e tanto era io confuso

                                    tra il desiderio, la speranza e tema,[225]

                                   ch’io non trovava la porta di casa

30                                e le colonne mi parean persone,

                                   e gli uomin pietre. Alfin vo innanzi, indietro,

                                   parto, ritorno, mi dimenticai

                                   il fodro del pugnale. Ma ciò è nulla

                                   poiché meglio è recarlo ignudo in mano.

35                                E pur con tante andate e ritornate,

                                   e coll’aver armato ancor costui,[226]

                                   pareva a me che non venisse mai

                                   all’uopo mio il bruno della notte,

                                   per venirne secondo l’appuntato.[227]

40                                Or che son giunto appena, un secol parmi

                                   che Crivello ritardi a dare il segno.

 

            minghino      Veramente, per quanto un uomo sia

                                   fortunato in amor, caro, ben visto,

                                   e sperar possa il tutto, e la sorte abbia

45                                presa, qual si suol dir, per li capelli,[228]

                                   ancor vi è luogo e causa di temere.

                                   A quale amante più secondo il vento[229]

                                   spira che a me? Di bocca dell’Agnesa

                                   più volte ho udito che son caro a lei,

50                                e che sopra d’ognun mi stima ed ama.

                                   Colei che sempre si sta a lato ad essa,

                                   e la depositaria è del suo cuore,

                                   ha uno stesso voler col voler mio

                                   ed ho del favor suo prove evidenti.

55                                Anzi ella stessa mi accordò il portarmi

                                   in questa sera appresso questa casa

                                   e m’avvisò, senza ch’io più sapessi,

                                   dell’andare del vecchio a cenar fuori.

                                   Onde chi più sicuro esser dovrebbe

60                                di me? E pur tuttavia con tante prove,

                                   ancor non posso a men di non temere,

                                   che al fine ho a far con donne; e l’una e l’altra

                                   cangiata esser potrebbe, od ambedue.

                                   O vita degli amanti! Ai quali non è

65                                giammai concessa un’allegrezza intera![230]

 

            gianni            Se Crivello non fosse un uomo, e tale

                                   che a me dato ha di fede mille prove,

                                   certo direi che mi tradì, o che meno

                                   mi venne di parola. Ora perché

70                                egli stesso del vecchio confidarmi

                                   la dimora ch’ei fa fuori di casa

                                    in questa notte? Ed ei perché spronarmi

                                   a venire a quest’ora ed a rapirla,

                                   se or non vuole il segno concertato

75                                porgermi? Se mi lascia nella strada

                                   come colonna sopra della base?

                                   Pur Gianni non smarrirti. Attendi e pensa,

                                   che se questa ti sfugge, non avrai

                                   occasion migliore onde venire,

80                                voglia o non voglia a capo del tuo amore.[231]

 

            minghino      Il tempo scema, ed il sospetto più

                                   s’accresce, e il lume acceso non si vede,

                                   e la notte si fa più cupa e oscura.

                                   Ond’io voglio portarmi qui vicino

85                                per avvivar della lanterna il lume,

                                   e poi con essa chiusa ritornarmi

                                   a questo luogo stesso. Andiamo Stramba.

 

 

                                   SCENA SECONDA

 

                                   Crivello dalla finestra, e Gianni nella strada.

 

            crivello        Gianni Gianni, se’ tu?

 

            gianni                                                Cos’io non fossi,

                                   poiché un’ora passò, se più non è

                                   ch’io son ad aspettar, qual segno a strale.[232]

 

            crivello        Fratel mio, saranno ore più di due

5                                  ch’io attendo per aprirti. E di ciò fu

                                   la Trecca strega l’unica cagione.

 

            gianni            O la strega, o la Trecca, o la befana:

                                   aprimi tosto.

 

            crivello                                Hai dunque una gran fretta?

                                   Guarda prima se alcuno è nella via.

 

10        gianni            Rinegar mi faresti. Or che vuoi tu[233]

                                   ch’io guardi in questo buio dell’inferno?

                                    O scendi, o ch’io ti do d’un sasso in testa.

 

            crivello        Dunque ci vedi come a mezzo giorno.

                                   Ed hai gli occhi di gatta, e fai la talpa,

15                                quando colpir mi vuoi. Meglio sarà

                                   ch’io mi ritiri.

 

            gianni                                    Crivello, Crivello.

                                   Più non risponde il manigoldo. A te

                                   dico, Crivello. Il diavol se lo porti.

                                   Come egli mi ha burlato! Ma possa io

20                                morir, se non lo pago a mille doppi

                                   del mancarmi così. Or che far debbo?

                                   Che più cresce la notte e mi vien meno

                                   la speranza e l’aiuto? O me deluso!

                                   O misero e deserto! A chi poss’io[234]

25                                ricorrer più? Star devo, o pure andarmi?

                                   Ahi come son tradito! Ahi me meschino!

                                   Che aspetto più? Che più sperar poss’io?

                                   Amo e sono mal visto, e in contraccambio

                                   d’amor, ira ricevo odio dispetto.

30                                Ed ho a fronte un rival gradito e caro.

                                   Contro fortuna e amor che sì m’offende

                                   alla forza mi volgo; e colui solo

                                   ch’era il mezzano e mio fedel ministro

                                   m’inganna, m’abbandona, è mancatore.

35                                In tal misero stato lagrimoso

                                   che mi rimane a far, se non morire?

                                   Morirò dunque, e questo ignudo ferro[235]

                                   m’immergerò nel sen.

 

                                   Crivello aperta la porta ed uscito nella strada, piglia Gianni per il braccio.

 

            crivello                                            Gianni vien meco:

                                    entriamo in casa. Che più tardi o badi?

40                                Vieni, e ascese le scale troverai

                                   l’Agnesa sola: pigliala e ne fa

                                   ciò che più vuoi come di cosa tua.

 

            gianni            Chi sono e dove? Son io vivo o morto?

                                   Non lo so ancor: tu sol lo sai Crivello.

 

 

                                   SCENA TERZA

 

                                   Minghino nella strada, e la Trecca parlando dentro.

 

            minghino      Or che tengo il lume io vedo assai

                                   meno di prima. Io credo che ista notte

                                   per mia disgrazia non luca la luce,

                                   e il foco non riscaldi. Vero è che

5                                  a un cotal sarto la lucerna diedi

                                    che la candela avrà accorciata molto,

                                   come fanno la roba de’ vestiti,

                                   che l’accorciano acciò si assettin meglio,[236]

                                   ma chiudiam la lanterna, per vedere

10                                se la finestra illuminata sia.

 

            trecca           Ahi misere di noi! Soccorso, aita.

 

            minghino      Qual voce è questa che odo nella casa?

 

            trecca           Ahi Trecca e che farai? Siamo traditi.

 

            minghino      Questa certo è la voce della Trecca.

15                                Che mai fia? Se la porta aperta fosse

                                   entrerei tosto in casa per vederne.

 

            trecca           Pietà, pietà contro de’ traditori.

 

            minghino      Certo fu questa ancor la voce sua

                                   di dolor piena. Ahi che sarà? Ma pure

20                                non vedo ancora aprir la porta, ed odo

                                   dentro grande rumor misto con pianto.

            agnesa           Ahimè tradita! Ahimè misera Agnesa!

 

            minghino      Misera Agnesa? Certo la sua voce

                                   è questa. E par che scendano le scale,

25                                e già s’apre la porta. Or ben m’accorgo

                                   che sia.

 

 

                                   SCENA QUARTA

 

                                   L’Agnesa, Gianni, Minghino.

 

            agnesa                      O tu dal lume, aita aita.

 

            gianni            In van lo chiami. E te ed il ferro stringo.

 

            minghino      E l’uno e l’altra lascerai, fellone,

                                   se questa ch’io maneggio non fallisce.

 

5          agnesa           O ciel! Questi è Minghino. Deh mi leva,

                                   Minghin dalle costui mani crudeli.

 

            minghino      Non dubitar, mia vita. E forze e sangue[237]

                                   porrò per te.

 

            gianni                                   In van prometti a lei,

                                   in van minacci me. Con questa spada

10                                saprò difender e serbar la preda.

 

            minghino      Ciò che è parte di me non è tua preda.

 

            agnesa           Lasciami traditor.

 

            minghino                                          Vano è il tuo sforzo

                                   incontro due.

 

            gianni                                   Contro di cento ancora

                                   amor e gelosia mi faran forte.

 

                                   Cade a Minghino la lanterna. L’Agnesa si scioglie da Gianni e menano colpi all’oscuro.

 

 

                                   SCENA QUINTA

 

                                   Crivello con lume che piglia per mano l’Agnesa mentre vuol entrare in casa, e la Trecca con una scopa che percote Crivello. Intanto Gianni e Minghino rinovano il duello.

 

            crivello        Agnesa non ci entrar. Convien che stia[238]

                                   tu qui a veder il fine.

 

            trecca                                              Io lo vedrò

                                   che dei lasciarla a me, o morirai

                                   frustato.

 

            crivello                                Fa’ quanto che vuoi. Non fia

5                                  ch’io questa mano allenti, o che la lasci.

 

            agnesa           O misera di me che son fuggita

                                   di mano al rapitor, e sono in preda

                                   de’ servi che a noi son maggiori nemici.

 

            trecca           Lascia l’Agnesa, cane manigoldo.

10                                Con qual ragion fai schiava la padrona?

 

            crivello        Non la fo schiava: in libertà la pongo,

                                   serbandola a colui che l’ama e adora.

                                   Ma tu cessa oggimai di molestarmi,

                                   che se ti giungo al pel, farò di te[239]

15                                più pezzi che non hai capelli in testa.

 

                                   In questo cade la spada di mano a Minghino, e Gianni impossessatosi di quella, torna a pigliar per mano l’Agnesa.

 

            gianni            Meco devi venir, che la vittoria

                                   è mia.

 

            agnesa                      O me infelice, o me perduta!

 

 

                                   SCENA SESTA

 

                                   Carlo Carpione Cancellieri, co’ birri, e lumi.

 

            carlo             Olà qualunque tu ti sia, costei

                                   lascia. Ma voi ministri di giustizia,

                                   quanti si trovan qui fate prigioni.

 

                                   L’Agnesa liberata da Gianni si ritira in casa e chiude la porta, e dipoi si fa alla finestra.

 

                                   Or che tutti son presi, dimmi tu

5                                  il primo che tenevi la fanciulla,

                                   qual sei?

 

            gianni                        Tosto dirò: Gianni mi sono

                                   di Severino. E la fanciulla è di

                                   Giacomo da Pavia la quale tolsi

                                   a costui in guerra giusta, e lo privai

10                                dell’armi sue.

 

            carlo                                     E tu che rimanesti

                                   vinto, di Gianni al dir, dimmi il tuo nome,

                                   e la rissa onde nacque?

 

            minghino                                         Io son Minghino

                                   di Mingole. Il contrasto nacque pria

                                   perché costui trovai che conduceva

15                                colei ch’ha nome Agnesa, fuor di casa

                                   armato a viva forza e la rapia.

                                   E a lui pure di toglierla tentai.

 

            carlo             E tu qual sei che rechi in mano il lume?

 

            crivello        Il nome mio è Crivello, e servo sono

20                                di Giacomo, e d’Agnesa. E facea lume

                                   al valore di Gianni, e di Minghino

                                   alla poltroneria nel tempo stesso.[240]

 

            carlo             E tu dalla granata, che facevi[241]

                                   costì? Che a’ modi, ed al gentil contegno

25                                hai viso di pulir ma non la casa?

 

            trecca           Messere io con la scopa me ne stava

                                   per isgombrar i morti dalla via.[242]

                                   Vero è che tutta era la mia speranza

                                    di purgar l’aia da Gianni e Crivello.

30                                Ma la cagna fortuna fece sì

                                   poco men ch’io non iscopai Minghino.

                                   Il quale, all’opra sua sì generosa

                                   di difender l’Agnesa dalle altrui

                                   mani, e se mai poteva nelle sue

35                                metterla, ha auto sì contrario fine.

 

            carlo             Da tutti voi ciò che voluto avete

                                   dirmi già intesi. Ora mi volgo a te

                                   Agnesa, e senza scender dal balcone,

                                   vo’ che mi narri, come il fatto andò.

 

40        agnesa           Signor: mio padre questa notte è stato

                                   fuori di casa a cena, ed evvi ancora.

                                   Per tale assenza sua, non sapendo io

                                   del tradimento, Crivello introdusse

                                   al buio Gianni aprendogli la porta.

45                                Ei, salite le scale, in sala venne

                                   e trovommi che andava alla mia stanza

                                   per riposarmi, e per un braccio presa

                                   trassemi a forza per la scala giù,

                                   e fuori della porta, e mi traea

50                                dove io non so; né il pianto a me valendo

                                   né le grida né il chiedere mercé.

                                   Se non che in mezzo della strada a tempo

                                   Minghin s’oppose a Gianni traditore.

                                   Ma con fortuna avversa alla sua voglia

55                                e mia, che dopo un ben lungo contrasto

                                   rimase ei senza spada e perditore,

                                   onde Gianni rapiami tuttavia.

                                   Voi veniste con l’inclita famiglia,[243]

                                   ed ei fu preso, e in casa io mi salvai.

 

60        carlo             Agnesa tu con semplici parole

                                   meglio che altri del fatto favellasti.[244]

                                   E quasi oggimai so chi meno o più

                                   colpa, o niuna abbia nell’accidente.

                                   Ma il giudice assai meglio lo saprà

65                                da costor con esame e con tormenti.[245]

                                   Tu intanto ti riman. Voi conducete

                                   tutti li quattro insieme alle prigioni.

 

            trecca           Messer volete voi che sola resti

                                   l’Agnesa? Deh, lasciatemi con lei,

70                                che nel mattino debbo pettinarla.

 

            carlo             Per questa volta converrà da sé

                                   che amoreggi senz’opra di mezzana.

                                   Poiché o rea per esame apparirai

                                   tu pure, o potrai esser testimonio

75                                o vero o falso ad ingrossar le carti.[246]

                                   Ma io scordava il punto più importante.

                                   Giovani udite: birri ritiratevi.

 

            gianni e

            minghino      Che vuoi?

 

            carlo             Io so ch’entrambi voi vi siete

                                   d’ottimo parentado e ricchi molto.

80                                Però se addosso aveste cento scudi

                                   ciascuno, io tosto vi libererei.

 

            gianni             Io non gli ho.

 

            minghino                              Ed io quantunque gli avessi

                                   non li darei che non ho alcun demerto.

 

            carlo             Né più né men, andate col bargello.[247]

 

 

 

                  ATTO QUINTO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Ser Carlo Carpione, Giacomo.

 

            carlo             Giacomo ella passò com’io vi dissi.[248]

                                   In questa terra sì ben governata,

                                   e in casa vostra è succeduto poco

                                   fa, il male e il maggior scandalo del mondo.

5                                  Ch’uno introdotto fu, e amoreggiò

                                   la figlia vostra, e quinci la rapì,[249]

                                   e un altro al rapitor volea rapirla.

                                   Ond’io stesso in persona son venuto

                                   a casa degli Spadi ove eri a cena

10                                ad avvisarvi del successo intera-[250]

                                   mente. Anzi spero ancora per quest’opra

                                   cento ducati almeno, oltre le spese[251]

                                   ordinarie e correnti del processo;

                                   caso che non le paghino gli rei.

 

15        giacomo        Signor lo cancelliere, dell’avviso

                                   vi ringrazio: del caso mi dispiace

                                   al sommo, perché a me non è di grande

                                   onore, agli altri è di dolore, e a voi

                                   di fastidio, dovendo andare attorno

20                                di notte tempo invece di dormire,

                                   sebben voi fate sol l’uffizio vostro.

                                   Ma in quanto a ciò che dite di pagarvi

                                   cento ducati, e del processo ancora

                                   le spese, caso che non sien pagate

25                                dalli rei stessi questo pare a me

                                   giunta peggiore a una mala derrata;[252]

                                   e un danno che mi fate appresso quello

                                   ch’oggi ricevo per mia mala sorte.

 

            carlo             Or vi par poca cosa ella, messere,

30                                l’aver io per mia sola diligenza

                                   e vigilanza fermati li rei,

                                   e i testimoni ancora, e assicurato[253]

                                   quel pochetto d’onor che vi restava?

                                   Rimettendo la figlia in casa vostra?

 

35        giacomo        Se questo voi volete attribuire

                                   al gran consiglio vostro, converrebbe

                                   che fosti mago, non pur cancellieri,[254]

                                   indovinando il bieco atto di Gianni

                                   che ista notte rubar volea l’Agnesa.

40                                E se lo indovinaste, siete reo

                                   non men d’ogni altro e della prigion degno.

                                   Poi dovevate anzi impedir il fatto,

                                   che quando era successo rimediarvi.

                                   Dunque se non lo indovinaste, fu

45                                caso, non già disegno lo scuoprirlo.

                                   E se andator di notte voi vi siete,[255]

                                   per meglio assicurar il vostro affare,

                                   e fate il birro, e il cancellier insieme,

                                   perché volete voi mentre son io

50                                attor, non reo che premi l’opra vostra,[256]

                                   e che il mio danno accresca ancor pagando?

 

            carlo             Udite. Il vostro servo non è egli

                                   reo quanto ognun? Non introdusse ei Gianni?

 

            giacomo        Sia ver. E che ne segue egli perciò?

 

55        carlo             Egli ne segue che il padrone è reo

                                   siccome il servo, se non anche più.

                                   E poi la Trecca è rea quasi confessa

                                   che favorì Minghino più che Gianni.

                                   E non è rea la vostra figlia stessa?

60                                Poi con inchini e sguardi fece sì[257]

                                   che l’un dei due di lei s’innamorasse,

                                   e che n’avesse l’altro ira e dispetto?

                                   Or mirate se siete attore o reo,

                                   e se alla multa avete a soggiacere.

65                                Considerate ancora ch’io poteva

                                   condur prigione pur l’Agnesa vostra

                                   e in casa la lasciai per lo migliore.

 

            giacomo        [(A parte)] Io da costui non potrò liberarmi

                                    se non col soldo. Onde risolvo dargliele

70                                per l’importunità non già per altro.[258]

                                   [(Ad alta voce)] Ser Carlo: o bene o male abbiate fatto,

                                   o reo ed innocente ch’io mi sia,

                                   questi son cento scudi e ve gli dono.

                                   Ma almen fate d’averne dai cattivi[259]

75                                di Gianni, e di Minghino mille almeno.

                                   De’ servi miei vi dico che puniti

                                   sieno egualmente, senza alcun perdono.

 

            carlo             Dell’affar vostro sarete ubbidito.

                                   Del mio non vi curate che saprò

80                                non già tosar la pecora, tagliarla.[260]

 

 

                                   SCENA SECONDA

 

                                   Giacomo, l’Agnesa.

 

            giacomo        Escine tu che se’ rimasta sola

                                   entro la casa contro la tua voglia:

                                   che star volevi o addentro accompagnata

                                   col drudo, o andartene rapita.[261]

5                                  Escine. È questo ciò ch’io meritava

                                   da te, col farti meglio, che da padre?

                                   Col pascerti vestirti sostentarti

                                   come figliuola mia, benché nol sei?

                                   Questo mi rendi, che te ognun credendo

10                                nata di me, per la tua colpa infame,

                                   mi biasimi maledica e disonori?[262]

 

            agnesa           Deh padre.

 

            giacomo                                Taci e non mi chiamar più

                                    con nome tal; che se pietà mel diede

                                   ora il rigor mel toglie, e ’l tuo peccato.[263]

 

15        agnesa           Signor, io non peccai, ma fui tradita.

                                   Gianni fu da Crivello in casa posto,

                                   e Minghino al romore al pianto mio

                                   accorse, mentre Gianni mi menava

                                   via contro il voler mio sforzatamente.

 

20        giacomo        Or chi avvisò Minghin che ci venisse?

                                   Che rondava egli qui d’intorno? E non[264]

                                   se ne stava dormendo in casa sua?

 

            agnesa           Io non so. Forse a caso egli passò:

                                   o pur ci venne a invito della Trecca,

25                                non mio.

 

            giacomo                                O me infelice! Che di questi

                                   due maledetti mi fidava tanto:

                                   bensì opra darò che sien puniti

                                   dal boia co’ due altri rapitori.

                                   Ma di te che far debbo? In casa mia

30                                tenerti ancor sì svergognata? Altrove

                                   mandarti per accrescer tue vergogne?

 

            agnesa           Fate di me ciò che volete, ma

                                   di colpa ch’io non ho non m’accusate.

                                   E se padre non siete per natura

35                                e ricusate per benevolenza[265]

                                   esser; né meno, invidiate a me[266]

                                   quel fiore per cui sol bramo la vita.

                                   Fiore che perderei col pensamento[267]

                                   se non in fatti, quando convenuta[268]

40                                mi fossi di fuggir con l’un dei due

                                   e se v’ho a dir di più (già che volete

                                   ch’io vi tenga come un dell’altra gente)

                                   vero è ch’amo Minghin, ma quando ancora

                                   ottenuta mi avesse nel contrasto,

45                                di darmi in sua balia non passò a me

                                   pel capo, anzi avrei fatto come feci

                                   quando fur presi, entrando tosto in casa

                                   e della porta il chiavistel chiudendo.

                                   Qual mentre voi picchiaste son restata.

50                                Però colà ritorno, e vi starò

                                   sinché provegga a me il governo d’altro

                                   padre o tutor che meglio fia di voi.

 

            giacomo        Veramente le forze dell’usanza

                                   eguali sono a quelle di natura.

55                                Ond’io che usato sono con costei

                                   quasi con figlia per amor, mi sento

                                    stringer il core per le sue parole,

                                   che ben la sua innocenza mostran chiaro

                                   e la grandezza d’amor. Onde a lei

60                                rendo dentro di me la grazia prima,

                                   e la benevolenza anzi maggiore.

                                   Ma chi sono costor che a questa parte

                                   così per tempo vengono? Sarebbe

                                   ad essi pur alcun duolo avvenuto?

 

 

                                   SCENA TERZA

 

                                   Guglielmo da Medicina, Giacomo, Barnaba da Faenza.

 

            guglielmo    Giacomo, benché l’ora e il luogo sia

                                   anco importuno, è forza d’un affare

                                   che d’importanza a voi facciam parole.

                                   E prima vi diciam che sommamente

5                                  l’accidente a noi spiace succeduto.

                                   E Barnaba ch’è qui padre di Gianni,

                                   perdon vi chiede dell’ardir del figlio.

                                   Ed io lo fo in persona di Minghino,

                                   con umili parole quanto posso.

10                                D’amor fu la lor colpa e giovinezza,[269]

                                   e presto n’ebber la dovuta pena;

                                   send’ora ambi in poter della giustizia.

                                   S’aggiunge a ciò che la figliuola vostra,

                                   per buona sorte sua non fu rapita,

15                                né in altra parte condotta, e l’avete

                                   in casa. Onde se il fatto non fu bene

                                   ed anzi mal, a sorte è minor male.[270]

                                   Dunque, poiché l’offeso siete voi,

                                   e contro gli offensor ragione avete,

20                                vi supplichiam per quella che portate

                                   a noi benivolenza di non fare

                                   istanza avanti il giudice contro essi.

                                   Ma se volete soddisfacimento[271]

                                   qual sia ragionevole, siam pronti

25                                a prometterlo noi, ed essi a darlo.

 

            giacomo        Signori, s’io qual sono in casa vostra,

                                   esser così potessi nella mia,

                                   e se questa cui voi per mia figliuola

                                   tenete, tal si fosse; mi farebbe

30                                assai più facil cosa, acconsentendo

                                   ai vostri caldi uffizi, meritare

                                   nome d’uom moderato e di discreto.

                                   Ma sendo io forestiere in questa terra,

                                   e presso a ciò sendo l’Agnesa nata

35                                in mezzo a voi di padre faentino,

                                   ben vedete che voi stessi offendeste,

                                   a lei facendo cotal forza e onta.

                                   Onde per quanto è in me (che poco è certo)[272]

                                   m’arrendo in tutto a i piacer vostri ai prieghi.

40                                E non sol non farò veruna istanza

                                   contro de’ rei. Ma anzi di donare[273]

                                   loro dirò qualunque sia l’offesa.

 

            barnaba         Signor mio vi ringrazio quanto posso.

                                   Ma che mai dite non è figlia vostra

45                                questa fanciulla?

 

            guglielmo                            E pur non è tra noi

                                   uomo che non la creda se non tale.

 

            giacomo        Quante cose si credono e non sono?

                                   Ma perché non dee l’uom ciò ch’è secreto

                                   manifestar senza la sua cagione,

50                                ora che il caso d’ista notte il chiede,

                                   dirò il vero dell’esser di costei.[274]

                                   Guidotto da Cremona a me bambina

                                   la consegnò già in Fano, nei momenti

                                   ultimi di sua vita, e mi pregò,

55                                per la nostra amicizia di molti anni,

                                   che com’ei per figliuola già tenuta

                                   l’avea, per tale la pigliassi anch’io.

                                   E che gli averi suoi ei mi lasciava

                                   (né pochi erano) acciò onorevolmente

60                                a tempo e luogo avessi onde sposarla.

                                   Chiesto da me dipoi come in sue mani

                                   venuta fosse, mi rispose che

                                   quando Faenza fu da Federigo

                                   Imperator già presa, e a ferro a foco[275]

65                                il tutto andava, entrò egli in una casa

                                   co’ suoi armato, e la trovò deserta.

                                   Ma una bambina in capo della scala

                                    vi fu che tosto presegli la mano,

                                   e il chiamò padre, e questa (disse) è quella,

70                                amico che ti lascio ora: e spirò

                                   con tali accenti.

 

            guglielmo                            O vicende mortali,

                                   chi può dir vostre forze e chi le aggiunge!

                                   Sai Barnaba qual casa si fu quella?

                                   La tua.

 

            barnaba                    Chi ciò ti disse, o come tu

75                                sapestilo?

 

            guglielmo                            Niun mel disse: era io

                                   giù nella strada, quando a forza d’armi

                                   e come cosa sua prese Guidotto

                                   le tue mobilie, e benché espressamente[276]

                                   la tua fanciulla non potei vedere

80                                (che creduta fu allor perduta o morta)

                                   certo per ciò, che Giacomo ne dice,

                                   e a lui Guidotto raccontò, costei,

                                    Barnaba, è Agnesa tua.

 

            barnaba                                            La maraviglia

                                   e la pietate, e la speranza insieme

85                                la mia credenza tengono sospesa.[277]

 

            giacomo        Uno stupor medesimo provo io.

                                    Pur qual via vi sarebbe di venirne,

                                   o Barnaba, perfettamente in chiaro?

                                   Poiché al certo l’Agnesa oggi perdendo

90                                la mia paternità, miglior l’acquista,

                                   amico, in voi.

 

            guglielmo                            Ancora in parte si

                                   rifarebbe il discapito d’onore,

                                   che feo testé la misera fanciulla,

                                   poiché rapita fora dal fratello.

 

95        barnaba         Or mi sovvien di cosa, benché tardi,

                                   che far potrebbe indubitata fede[278]

                                   d’esser costei mia figlia. Deh se mai

                                   Giacomo io meritar posso di voi,[279]

                                   al mio dubbio al mio amor non dinegate

100                              che mirar possa la fanciulla io stesso,

                                   e col vostro consenso anco parlarle.

 

            giacomo        Facciasi quel che più volete. Agnesa,

                                   esci ti dico Agnesa, il padre tuo

                                   ti chiama.

 

 

                                   SCENA QUARTA

 

                                   Agnesa, e detti.

 

            agnesa                                  Se non è miglior di voi

                                   quel padre che mi chiama, io torno in casa.

 

            giacomo        Forse fia, volgi in qua, mira costui.

 

            agnesa           Qual è? Che da me vuol? Forse rapirmi

                                   ei pur? Io mai non vidi uom di tal sorte.

 

5          giacomo        Deh non isbigottir, rispondi e fa’

                                   quanto ei ti dice. Tu sai qual custodia

                                   sinor ti feci, e se sgridaiti, forse

                                   oltre il dover, della colpa non tua

                                   e di ciò che t’avvenne in questa notte.

10                                Vuoi ora ch’io t’inganni? Ed in potere

                                   altrui ti ponga io stesso? Orsù fa core.

                                   Lascia costui che ben ti rimiri, e parli

                                   anco a suo modo.

 

            agnesa                                              E che di poi per giunta

                                   n’avverrà? Vuol forse ei dimandarmi[280]

15                                in isposa? Non fia. Dico di no

                                   pria ch’egli parli.

 

            barnaba                                            Dimmi Agnesa, i tuoi

                                   anni quanti saranno.

 

            agnesa                                              Di gran lunga

                                   meno de’ vostri.

 

            barnaba                                            Digli in ogni modo.

 

            agnesa           Diciasette. Onde voi vedete che

20                                sono de’ vostri almen tre quarti meno,

                                   poiché n’avrete ottanta. E per ciò dico

                                   che se voi mi volete, io non vi voglio.

 

            barnaba         Li diciasette appunto m’abisognano.[281]

 

            agnesa           Ma non già i miei.

 

            barnaba                                            Appunto i tuoi.

 

            agnesa                                                                      Potete

25                                farne senza, perché mai non mi avrete.

 

            barnaba         Ti ebbi, ti perdei, ed or ti acquisto,

                                   se fia ver ciò che io penso, e s’abbi ancora[282]

                                   certo segnale ch’ora vo’ vedere.[283]

 

            agnesa           Giacomo, io ben non so chi sia costui.

30                                Ma credo ch’ei sia pazzo. E qual segnale

                                   vuol veder ei?

 

            giacomo                                Mostragli ciò ch’ei vuole:

                                   non dubitar.

 

            agnesa                                  Non dubito, ma tengo

                                   per certo ch’egli è un giuntator solenne.[284]

                                   Di voi ben istupisco che a sue fole

35                                crediate.

 

            giacomo                    Io vo’ levarti fuor d’errore.

                                   Sappi che tu nascesti faentina,

                                   e che la terra tua a ferro e a foco

                                   andando per assalto de’ nemici

                                   la casa tua fu saccheggiata e presa

40                                tu fosti via condotta ancor fanciulla,

                                   e a me poi consegnata da quel tale

                                   che ti prese e condusse. Ora costui[285]

                                   che incolpi a torto come ingannatore,

                                   tutti sappiamo ch’è di quella casa

45                                in cui trovata fusti, il padron vero.

                                   Ed ei sol cerca nel tuo corpo un segno

                                   che avea la sua figliuola, e che tu arrai

                                   per certo. Onde perché vuoi far contrasto?

 

            agnesa           Intendo così al buio. Or qual, buon uomo,[286]

50                                parte del corpo io dimostrar ti deggio

                                   per venir tua figliuola interamente?

 

            barnaba         T’accosta e lascia che t’alzi.

 

            agnesa                                                          Qual cosa?

 

            barnaba         I capelli di dietro ad una orecchia.

 

            agnesa           Sia fatto quando alzar altro non vuoi.

 

55        barnaba         O me felice! O sospirata e cara

                                    parte di me! Quest’è mia figlia. Vedi

                                   Guglielmo tu questa crocetta rossa?

                                   La vedi tu pur Giacomo?

 

            guglielmo                                                   La scorgo.

 

            giacomo        La veggo.

 

            barnaba                                Or sappiate che bambina

60                                sendo costei, in questa parte ell’ebbe

                                   certa nascenza cui tagliar convenne.[287]

                                   E le restò dal taglio del cirurgo

                                   un cotal segno.

 

            guglielmo                            O grande maraviglia!

                                   Ciò che già fu disgrazia, or è salvezza!

 

65        giacomo        Dunque tu Agnesa nel cangiar il padre

                                   poca perdita fai, molto guadagni,

                                   onde teco e col padre mi rallegro.

 

            agnesa           Ma qual è questi che mi divien padre?

 

            giacomo        Egli è de’ più gentili ed onorati

70                                e ricchi di Faenza: se non fosse

                                   poco gradito a te, sol perch’è padre

                                   di Gianni.

 

            agnesa                                  Dunque Gianni è mio fratello?

 

            giacomo        Non men di quello che Minghin ti sia

                                   gradito amante.[288]

 

            agnesa                                  L’uno e l’altro in sua

75                                persona mi è gradito s’è così.

                                   E Barnaba egualmente, s’è mio padre.

 

            barnaba         Orsù Giacomo addio. Figlia m’attendi

                                   infin che il tutto al giudice riporto,

                                   acciò i giovini sien liberi, e i servi.

 

80        giacomo        Barnaba i servi miei, meritan castigo,

                                   ma dono il tutto alle allegrezze vostre.

                                   Onde in tanto qui in casa, con la figlia

                                   vostra pur essi liberati attendo.

 

            guglielmo    Barnaba andate, ch’io tosto vi seguo

85                                per ragionarvi d’importante affare.

 

 

                                   SCENA QUINTA

 

                                   Ser Carlo Carpione, Guglielmo.

 

            carlo             Qual novella allegrezza inusitata[289]

                                   è questa ch’io ravviso in tutti voi?

                                   Le genti allegre poco fan per me

                                   più straggi e morti che ci sono, e più

5                                  furti violenze danni rapimenti,

                                   io son più lieto. Ma la gioia altrui

                                   mi fa morir di duol di fame e stento.

 

            guglielmo    Siete dunque di schiatta di bechini,

                                   che ridere non san, s’altri non piange.

10                                Or m’udite che voglio consolarvi.

                                   Per l’accidente ch’è successo questa

                                   notte più un soldo voi non beccherete.[290]

 

            carlo             Perché?

 

            guglielmo                La parte offesa è una sol cosa

                                   con l’offensor.

 

            carlo                                     Come ciò fia non so.

 

15        guglielmo    Perché l’offensor Gianni che fu preso

                                   è fratel dell’Agnesa.

 

            carlo                                                E ancor Minghino

                                   sarà germano per dritta linea.

                                   E che? Volete farci travvedere?[291]

                                   O ci credete asini della Marca?[292]

 

20        guglielmo    Minghin tra poco non sarà cugino

                                   ma sposo dell’Agnesa se le mie

                                   preghiere valeranno. I servi poi,

                                   o marciran nelle prigion, o tosto

                                   fien liberati, avrete per ciò

25                                oro da tranguggiar.

 

            carlo                                                 Or voi sapete

                                   poco di malefizio; e quel medesmo[293]

                                   onde fuggir si pensano le spese

                                   questi signor, farà che più incontrino.

 

            guglielmo    In qual guisa?

 

            carlo                                     Non vogliono i due servi

30                                lasciar prigioni?

 

            guglielmo                            Appunto.

 

            carlo                                                            Io gli porrò

                                   alla tortura, e formerò il processo

                                   di vita e mori sopra de’ padroni.[294]

                                   E sì vedrem che gherminelle fieno[295]

                                   queste, di affratellarsi, di sposarsi,

35                                per fuggire il giudicio e ’l parentorio.[296]

 

            guglielmo    Potete querelare, e processare

                                   quanto volete e quali e a vostra posta;

                                   poi non farete natura cangiare[297]

                                   alla natura né amore all’amore.

40                                Li fratelli saran sempre fratelli,

                                   e gli sposi fien sposi in ogni modo,

                                   e s’ameranno fino in infinito.

                                   Date tormenti, formate processi

                                   quanto a voi piace.

 

            carlo                                                 Appunto il matrimonio

45                                che si vuol far tra Minghino e l’Agnesa

                                   troverò io di scioglier per la via.

 

            guglielmo    [(A parte)] O potess’io veder costui impiccato!

                                   [(Ad alta voce)] Ma se si liberassero?[298]

 

            carlo                                                                       Farò

                                   né più né meno l’inquisizione[299]

50                                se cause dirimenti delle nozze[300]

                                   ci sieno, cercherò. Se non ci sono

                                   le inventerò.

 

            guglielmo                            Puoi cercare inventare

                                   staccare, ch’essi s’uniran più stretti.

                                   Or volete ser Carlo ch’io vi dica

55                                la cosa come sta? Non è terreno

                                   questo da vostri ferri. Onde potete[301]

                                   ripor le penne dentro il calamaio

                                   che avete assai men duro della testa,

                                   poi nulla scriverete in nostro danno.

60                                Però andate col diavolo, che noi

                                   dobbiamo ad altro attender che alle vostre

                                   gherminelle sofismi arti calunnie.

 

            carlo             Dunque vi lascio, e voglio andar pur ora

                                   a esaminar li due servi, Crivello

65                                e la Trecca, e veder di scriver tanto

                                   che possa civanzar altri dugento[302]

                                   scudi, oltre i cento che già piluccai.

 

 

                                   SCENA SESTA

 

                                   Guglielmo, Barnaba, Minghino.

 

            guglielmo    Se il Cancellieri non mi trattenea,

                                   amico, prima d’ora io ben raggiunto

                                   vi avria, ma perché sol Minghino vosco?

                                   E Gianni si restò nella prigione?

 

5          barnaba         Pensalo tu; s’io di salvar gli altrui

                                   figli avrei cura, e non li miei. Mandai

                                   Gianni per altra parte a consolare

                                   sua madre, onde Minghino sol vien meco.

 

            guglielmo    Appunto, or che Minghin viene con voi

10                                e soli vi ritrovo, abbracciareste

                                   o Barnaba un affare, che potria

                                    esservi grato e d’allegrezza ed utile?

 

            barnaba         Maisì l’abbraccierei.[303]

 

            guglielmo                                       E tu Minghino

                                   faresti cosa di tuo piacer sommo?

 

15        minghino      Non dubitar che la farei ben tosto.

 

            guglielmo    Dunque a voi prima, o Barnaba, mi volgo.

                                   E dicovi che sempre l’uom prudente,

                                   nelle cose d’onor, non solo il fatto

                                   impedir dee, ma il semplice sospetto.

 

20        barnaba         Voi ben parlate.

 

            guglielmo                            Un’altra mira ancora

                                   dee l’uomo aver. Che quando alcuna gara

                                   o rissa vien tra due rappatumata,[304]

                                   tra lor la pace assai durevol sia,

                                   e se mai far si puote ancora eterna.

 

25        barnaba         È ottimo l’avviso. Ma che poi

                                   da tai discorsi volete inferire?

 

            guglielmo    Tosto vel dico. Voi sapete che

                                   per mezzo mio la scorsa notte prima

                                   nella prigion la pace fu conchiusa[305]

30                                tra Minghin qui presente e Gianni ancora:

                                   e che di poi vo’ ed io unitamente

                                   alla casa di Giacomo n’andammo:

                                   il qual ratificò tal pace, e insieme

                                   ci disse che l’Agnesa sua non era

35                                ma vostra figlia; e voi ve n’accorgeste

                                    e ne veniste interamente in chiaro.

 

            barnaba         Sin qui va ben. Ma che avete di più?

 

            guglielmo    Io dico che a Minghino qui presente

                                   l’Agnesa dar in moglie voi potreste,

40                                e dovete non men. Dimmi Minghino

                                   la piglierestu?

 

            minghino                              Se la piglierei?

                                   Non sapete, messer, che quasi morto

                                   sono per lei d’amor, d’ira e dispetto?

 

            guglielmo    Or Barnaba così rimedierete

45                                alla fama non buona dell’Agnesa,

                                   ch’è per uscir dopo il notturno fatto.

                                   Rimedierete al foco di costui

                                   e farete in Faenza un parentado

                                   illustre e chiaro, e una durevol pace,

50                                che gl’inimici diveran cognati.[306]

 

            barnaba         Sia fatto.

 

            minghino                  O padre, mio secondo, e dolce

                                   suocer v’abbraccio e vi bacio per gioia.

 

            guglielmo    Serbati di baciare ed abbracciare

                                   l’Agnesa. Or ve n’andate tutti in casa

55                                ch’io torno al capitano della terra,

                                   per dirgli il fatto, acciò quella feccia d’asino[307]

                                   del cancellieri non segua più oltre

                                   nel processo.

 

            barnaba                                 Or ch’è ciò? Che far vuol egli?

                                   Mi dici tu di Carlo Carpione?

60                                Quel di faccia lavata e ricamata[308]

                                   alquanto dal vaiuolo che il naso ha

                                   aquilino e certi occhi molto bianchi?

                                    A cui fu posto il sopranome di

                                   Carpione, poiché il pesce di tal nome,

65                                dicono che si pasce d’oro e vive?[309]

 

            guglielmo    Quel dico. Sappi ch’egli poco fa

                                   si protestò di voler di danaro

                                   una summa già così mezzana:

                                   se no vuol seguitare a far processo.

 

70        barnaba         Io spero un dì che un tal processo facciasi

                                   sopra di lui e ch’egli vada sopra

                                   una galera, o per dir meglio forca.

 

 

                                   SCENA SETTIMA

 

                                   Ser Carlo Carpione, Crivello, la Trecca.

 

            carlo             Possibile? Di quattro che pigliai

                                   oggi pesci alla rete e a caso al varco,

                                   che i più grassi mi fuggano, e li magri

                                   restino? Io ben non so, ma ohimè infelice,

5                                  vuoi tu veder che questi manigoldi

                                   ancor dall’unghie mi saranno usciti?

                                   Torna il tempo che parlano le bestie,

                                   poiché la volpe e il becho vanno insieme.[310]

                                   Ditemi: come siete di prigione

10                                usciti?

 

            crivello                    Per la porta e con li piedi.

 

            carlo             Or vedi che ne uscisti con le natiche.

 

            trecca           Messere e tu, che mago in apparenza

                                   e in sostanza sei asino, in qual modo

                                    di chiasso uscisti, di berlina e peggio?[311]

 

15        carlo             Madonna poco fila, vuoi tacere?[312]

                                   O ch’io t’acconcio per il dì di festa?

                                   In somma chi vi diede il ben servito

                                   ad ambi dalle mani e piè del boia?

 

            crivello        Non so: ma certo i birri tuoi devoti

20                                in libertà ci misero e ci aprirno.

                                   Anzi Guglielmo, che incontrammo or ora

                                   ci disse che Minghin sposo è d’Agnesa,

                                   e che lo sposalizio oggi si celebra.

 

            carlo             Oggi fan nozze questi sciaurati,

25                                che il diavolo si muoia a quell’odore?

 

            trecca           fanno. Ma se tu volessi mai

                                   servir di spaventacchio ai fanciullini,[313]

                                   ci protesti venir, con quel tuo ceffo[314]

                                   da cataletto. Ma non creder punto[315]

30                                di manicar; poiché il danaro avuto

                                   per la libertà nostra ti ha legati

                                   i denti.

 

            crivello                    Sai ciò che puoi far? Andarti

                                   di là dal mar ove impalano i turchi,

                                   che posto in alto a contemplar le stelle,

35                                ti diranno in latin che chi non habe

                                   non pote dare.[316]

 

            carlo                                     È meglio ch’io mi tolga

                                   a costoro di mezzo, che fariano

                                   morir di rabbia di Pasquin la statua.

                                   Addio ladron, e tu sozza e sfacciata[317]

40                                trombetta resta in pace: a un’altra volta,[318]

                                   disse alla volpe il cacciator, allora

                                   che si fuggì e lasciò tra lacci il pelo.

 

                                    Crivello

 

            crivello        Spettatori: restatevi contenti

                                   e vi liberi il cielo da ser Carlo,

45                                quanto dalla moria da peste e fistolo.[319]

                                   Noi ce n’andiamo a nozze, poiché già

                                   mandò il nostro padron per liberarci,

                                   Giacomo dico, e ci pagò le chiavi,

                                   e l’altre spese tutte. Voi con mani

50                                e voci, se la nostra favoletta

                                   vi piacque, almeno dateci il buon pro.[320]

 

 

 

Bibliografia

 

Bibliografia su Giulio Cesare Becelli

 

Asor Rosa, Alberto, Becelli, Giulio Cesare, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della  Enciclopedia italiana, vol. VII, 1965, pp. 502-505.

Bertana, Emilio, Un precursore del Romanticismo (Giulio Cesare Becelli), «Giornale storico della letteratura italiana», XXVI (1895), pp. 114-140.

Caliaro, Ilvano, Il protopurismo di Giulio Cesare Becelli, in La nascita del Vocabolario, Atti del Convegno di Studio per i quattrocento anni del Vocabolario della Crusca, Udine 12-13 marzo 2013, a cura di Antonio Daniele e Laura Nascimben, Padova, Esedra, 2014, pp. 109-113.

Cappelletti, Cristina, «Il desiderio di riformare i mondani costumi»: Li poeti comici di Giulio Cesare Becelli, «Studi goldoniani», n. s., XIV/6 (2017), pp. 77-90.

——————————, Poeti in scena: «L’ariostista e il tassista» di Giulio Cesare Becelli, in Goldoni  «avant la lettre»: esperienze teatrali pregoldoniane (1650-1750), a cura di Javier Gutiérrez Carou, Venezia, lineadacqua, 2015, pp. 653-663.

Dilemmi, Giorgio, Tra Becelli e Andrucci: notizie settecentesche del Quattrocento volgare, «Quaderni di critica e filologia italiana», 2 (2005), pp. 179-198.

Dosio, Luciana, La fortuna di Dante nel Settecento, Napoli, Morano, 1965.

Fubini, Mario, Un preteso novatore: G. C. Becelli, in Id., Dal Muratori al Baretti. Studi sulla critica e sulla cultura del Settecento, Bari, Laterza, 1946, pp. 151-162.

Fumagalli, Giuseppina, «L’ariostista e il tassista». Commedia aristofanesca del tempo dell’Arcadia, in Torquato Tasso, a cura del Comitato per le celebrazioni di Torquato Tasso, Milano, Marzorati, 1957, pp. 574-605.

Gagliardi, Giuseppe, Un commediografo veronese del sec. XVIII (Giulio Cesare Becelli), «Ateneo  veneto», XXV/2 (1902), pp. 295-321.

Laita, Pierluigi, Il Boccaccio nell’epoca arcadico-razionalista. Una commedia di G.C. Becelli tratta dal «Decameron», in Studi in onore di Giovanni Doro, premessa di Francesco Peruffo, Annuario del liceo scientifico «A. Messedaglia», Verona, 1969, pp. 23-36: 25.

———————, G. C. Becelli nel II centenario dalla morte, «Vita Veronese», III/9 (1950), pp. 3-6; 10, pp. 9-11; 11, pp. 19-22.

———————, Scipione Maffei e Giulio Cesare Becelli, in Miscellanea maffeiana. Pubblicata nel II centenario della morte di Scipione Maffei, Liceo ginnasio «S. Maffei», Verona, Ghidini e Fiorini, 1955, pp. 51-64.

Toffanin, Giuseppe, Giulio Cesare Becelli, in Id., L’eredità del Rinascimento in Arcadia, Bologna, Zanichelli, 1923, pp. 267-280.

Vitale, Maurizio, Conservatorismo classicistico e tensione innovatrice in un letterato veronese del primo Settecento: G. C. Becelli, in Id., L’oro della lingua. Contributi per una storia del tradizionalismo e del purismo italiano, Milano-Napoli, Ricciardi, 1986, pp. 383-506.

 

 

Altri saggi

 

Merlini, Domenico, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Firenze, Loescher, 1894.

Moscardo, Lodovico, Historia di Verona, Verona, Rossi, 1668.

Porcelli, Bruno, I nomi in venti novelle del «Decameron», «Italianistica», XXIV/1 (1995), pp. 49-72.

Riolo, Salvatore, Ipocoristici e altre manipolazioni onomastico-letterarie, «Il nome nel testo», X (2008), pp. 155-168.

Tammi, Guido, Vocabolario piacentino-italiano, Piacenza, Banca di Piacenza, 1998.

Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da Tullio de Mauro, Torino, UTET, 1999.

Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, Giovanni Alberti, 1612.

 

Opere citate

 

Alighieri, Dante, La divina commedia, Firenze, Domenico Manzani, 1595.

Becelli, Giulio Cesare, Della novella poesia, cioè del vero genere e particolari bellezze della poesia italiana, Verona, Ramanzini, 1732.

——————————, Trattato nuovo della divisione degli ingegni e studi secondo la vita attiva, e contemplativa, Verona, Ramanzini, 1738.

Boccaccio, Giovanni, Decameron, a cura di Vittore Branca, Torino, Einaudi, 19916 (1980).

Boiardo, Matteo Maria, Orlando innamorato, Venezia, Piero de Plasiis, 1487.

Buonarroti, Michelangelo, Rime. Raccolte da Michelangelo suo nipote, Firenze, Giunti, 1623.

Colonna, Vittoria, Rime spirituali, Venezia, Valgrisi, 1546.

Domenico di Giovanni, detto il Burchiello, Rime, Venezia, Francesco Marcolini, 1553.

Giraldi Cinzio, Giambattista; Orbecche, Venezia, Eredi di Aldo Manuzio, 1543.

——————————-----------, Egle, Venezia, s. s. e s. d. ma 1545-46.

Guarini, Giovanbattista, Il pastor fido, Venezia, Giovanni Battista Bonfadino, 1590.

Magno, Celio Rime, Venezia, Andrea Muschio, 1600.

Manni, Domenico Maria, Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio, Firenze, s. s., 1742.

Nannini, Remigio, Rime, Venezia, Bindoni e Pasini, 1547.

Tasso, Bernardo, Rime, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1560.

Tasso, Torquato, Aminta, Venezia, Aldo Manuzio, 1583.

Tebaldeo, Antonio, Rime, Modena, s. s., 1498.

Trissino, Gian Giorgio, L’Italia liberata dai Goti, Roma, s. s., 1547.

 

Per le ricerche di alcune occorrenze nel corpus della letteratura italiana si è consultato il sito www.bibliotecaitaliana.it

 

 

 



[1] Vicario della Casa de’ Mercatanti: magistrato che, assistito da tre consoli, giudica le cause commerciali in un foro apposito (appunto, la Casa de’ Mercatanti).

[2] ludovico nogarola, sebastiano murari, girolamo giuliari: i tre dedicatari sono membri di nobili famiglie veronesi, di cui le Genealogie veronesi di Eugenio Morando di Custoza (Verona, s. e., 1980) possono fornire qualche dato utile ad una possibile identificazione. Un Ludovico Nogarola sposa Anna Maria Curti, dalla quale ha due figli, Marc’Antonio e Ferrante (nato nel 1718) e fa testamento nel 1745 (p. 214); un Sebastiano Murari è figlio (di seconde nozze) di Gianfrancesco (che aveva sposato in prime nozze Isabetta Becelli) e si sposa con una Giulia Bra il 3 ottobre 1714 (p. 200); un Gerolamo Giuliari, nato nel 1700, sposa Beatrice della Torre e muore nel 1784 (p. 143).

[3] in buona parte: con accoglienza favorevole. ♦ contribuire: assegnare, attribuire.

[4] giacomo: in Boccaccio, Giacomin(o).

[5] guglielmo da medicina: in Boccaccio, Guglielmino da Medicina.

[6] barnaba da faenza: in Boccaccio, Bernabuccio.

[7] ser carlo carpione Cancellieri: nella stampa occorre sempre la forma «cancellieri» invece del singolare «cancelliere» per indicare il ruolo istituzionale del personaggio.

[8] fastidio e noia: dittologia sinonimica, presente in Guittone d’Arezzo, Canzoni ascetiche e morali, XXIX (Il dovere e il piacere d’amare Iddio e gli obblighi dei frati).

[9] anco [...] noiose: la ripresta in polittoto noiose - noia accentua la deminutio stilistica e concettuale tra la battura del padrone e quella del servo, come da tradizione comica.

[10] basso e vile: altra dittologia, più frequente della precedente e di autorizzazione dantesca (Purg. XII 62).

[11] sperienza: aferesi di ascendenza toscanista che si riscontra anche in forme dialettali.

[12] attempatetto: già registrato in Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, Giovanni Alberti, 1612 (d’ora in poi Crusca), con rimando a Decameron VI 4.

[13] decente: conveniente, adatto. Registrato in Crusca (come latinismo) solo a partire dalla terza edizione, ma presente nel Filostrato e nella Commedia delle ninfe fiorentine.

[14] sieno: è forma che Becelli preferisce di gran lunga a siano (cfr. Maurizio Vitale, Conservatorismo classicistico e tensione innovatrice in un letterato veronese del primo Settecento: G. C. Becelli, in Id., L’oro della lingua. Contributi per una storia del tradizionalismo e del purismo italiano, Milano-Napoli, Ricciardi, 1986, pp. 383-506 470). Altre occorrenze in III.3.83, V.1.77, V.5.51.

[15] dimestiche: raro caso di i nella sillaba iniziale delle formule re- e de- secondo i modi fiorentini tradizionali, benché «l’uso becelliano rifletta generalmente il suono della lingua letteraria generalizzata» (Vitale, p. 446).

[16] sé / movente: nella Crusca 1691, unito; la scrizione staccata, pur autorizzata dal latino, accentua l’andamento prosastico del testo e la pseudoscientificità del discorso di Giacomo, subito messa in burla dalla replica di Crivello.

[17] in visibilio: la stampa riporta unita (invisibilio) una locuzione registrata con scrizione staccata, e sotto il lemma «andare», a partire da Crusca 1623 —con rimando al Pataffio (1360-1390, anonimo, ma ora attribuito a Franco Sacchetti)—  dove però è spiegata come «andare in cose che non si veggono, o non si conoscono, mentre qui ha il senso di ‘far diventare invisibile’, forse in quanto strafalcione linguistico del servo. Secondo bibliotecaitaliana.it (15/02/2018), la locuzione è solo in Burchiello, Rime, LXXIV 13.

[18] Agnesa: nella novella di Boccaccio il nome viene detto solo nelle ultime righe.

[19] comune: comunità (nello stesso senso in cui ancora don Abbondio può dire di essere «servitore del comune»).

[20] mentr: quando.

[21] unquanco: mai. Frequente in poesia, ma arcaismo già ai tempi di Becelli.

[22] gentilmente [...] pensieri: la figura etimologica mette in realtà in scena la dialettica tra nobiltà di nascita e nobiltà d’animo che già Dante aveva mostrato non necessariamente coincidenti. E infatti gentili atti e pensieri è locuzione di stampo stilnovistico, anche se non attestato in questa forma: atti gentili in Boccaccio, Ninfale fiesolano, 49, 7.

[23] fazioni: quadrisillabo. Il lamento sulle divisioni d’Italia provoca un innalzamento metrico e stilistico rispetto al livello medio del testo.

[24] già [...] ghibellini: l’identificazione tra bianchi e guelfi da una parte e ghibellini e neri dall’altra è evidentemente una disinvolta semplificazione, che inverte la successione storica e che è anacronistica rispetto al tempo in cui è ambientata la vicenda.

[25] giornali: giornaliere. Registrato in questa accezione solo in Crusca 1863-1923.

[26] Trecca: in Boccaccio, senza nome proprio, ma definita «una fante attempata».

[27] guarda: sorveglia.

[28] cfr. I.1.62.

[29] alfine [...] ordinario: consueto, quasi obbligato, inserto misogino, per altro almeno parzialmente sconfessato dall’atteggiamento di Agnesa durante la commedia.

[30] mezza terza: sette e mezza.

[31] fa sì che badi: sorveglia, sta’ attento.

[32] disusati: diversi dal solito, quindi sospetti.

[33] e la [...] disapparecchiata: endecasillabo anomalo, di 3a e 10a. Disapparecchiato non è attestato né dalla Crusca né in bibliotecaitaliana.it (15/02/2018).

[34] Parola non fa buco: una parola non fa danni, né lascia tracce. Proverbio diffuso in realtà nella versione «bacio non fa buco». Il contesto e le qualità del parlante legittimano un ammiccante rinvio alla sfera della sessualità.

[35] ch’io non sarò: ch’io non sarò frustato (cfr. I.2.9). Forse caduti i puntini di sospensione, richiesti dal senso.

[36] voi non intendete: tipico delle battute di Crivello è il ricorso all’antanaclasi, che instaura insieme vivacità dialogica e contrasto stilistico.

[37] ancora: anche.

[38] fe: forma consueta e ormai propria della lingua letteraria, ma con sapore anticheggiante (Vitale, p. 471). Altre occorrenze in III.1.5 e III.3.30. ♦ leggenda: secondo Crusca 1612 e 1691 «storietta breve»; qui nel senso più generico di ‘storia’.

[39] fia: forma largamente impiegata da Becelli (dodici le occorrenze in questa commedia) e già con valore anticheggiante in pieno Settecento (Vitale, p. 473). ♦ mula: figlia illegittima, bastarda (usato per lo più al maschile: cfr. Inf. XXIV 125).

[40] perdoni: luoghi (chiese, conventi, santuari ecc.) dove si ottengono le indulgenze.

[41] travalca: va oltre. Non registrato in Crusca, ma è probabilmente sincope, pochissimo usata, di travalicare.

[42] adocchia: recupero dantesco (Inf. XV 22, Purg. IV 109, XXI 30), come il successivo (v. 40) sciorina (Inf. XXI 116), qui piegato al senso di ‘esibisce’.

[43] sendo: aferesi di ascendenza toscanista; forma appartenente alla lingua bassa e media, ammessa dai grammatici solo nel linguaggio dei versi (cfr. Vitale, p. 476). Altre occorrenze in V.3.33-34 e V.6.60.

[44] farla vogliano in tre pace: vogliano far patta, cioè non far nulla. Cfr. Dec., II 10.

[45] schifar: schivare.

[46] gelosa e fiera: sintagma inedito, almeno stando a bibliotecaitaliana.it (15/02/2018), come il successivo vita tormentosa.

[47] debil: cultismo tradizionale in uso nel linguaggio poetico.

[48] non [...] duoli: espressione non del tutto perspicua: ‘non potresti provare tanto dolore quanto ne provo io (per il tuo)’.

[49] espresso: chiaramente.

[50] dosso: schiena, come nella Commedia (ad es., Inf. XXII 23).

[51] il can dell’ortolano: che non può mangiare le verdure, né le lascia mangiare ad altri. Titolo di una commedia di Lope de Vega (El perro del hortelano), uscita nel 1618.

[52] golosi: affamati.

[53] scalco: «al soprastante del convito, e che porta in tavola le vivande, diciamo scalco» (Crusca 1612).

[54] odimi [...] coppiere: per convincere Crivello ad aiutarlo, Gianni ricorre ad una narrazione, che sarebbe allegorica se l’allegoria non fosse così dichiarata.

[55] sì bella [...] cara: «l’imbandita mensa, / cioè l’Agnesa», dei vv. 98-99.

[56] I.2.123-125 l’allegoria gastronomica di Gianni viene volta da Crivello in metafora continuata, non priva di efficacia e abbassata di registro lessicale.

[57] veltro: cane da caccia.

[58] pur: (faccia) altrettanto.

[59] focil: «piccolo strumento d’acciaio, col quale si batte la pietra, per trarne il fuoco» (Crusca 1623, sotto fucile).

[60] in voce: legalmente.

[61] far [...] foco: ripresa della metafora consueta del fuoco d’amore: ma mentre Gianni pregava Crivello di accenderlo, la Trecca deve solo alimentarlo.

[62] Faenza: prima indicazione del luogo in cui è ambientata la vicenda.

[63] non la segue a amoreggiare?: non continua a corteggiarla?

[64] rovescio: altra allusione maliziosa.

[65] per: tramite, per mezzo di.

[66] pendenza: attrazione, come della forza di gravità.

[67] nonsoché: ripresa anodina di una locuzione messa in auge da Tasso e dalle critiche mossegli dai suoi avversari, in particolare Bouhours.

[68] non fanno tela: non riescono a ottenere nulla (non iniziano a tessere).

[69] gocciolon: scioccone. Cfr. Dec., VI 6.

[70] fo: Becelli preferisce qui la forma corrente a faccio, considerata propria alla lingua poetica (Vitale, p. 469). Altre occorrenze in III.5.30; IV.5.11; V.3.11.

[71] poi: poiché.

[72] sopravenir: «improvvisamente arrivare» (Crusca 1612, con citazioni soprattutto da Boccaccio).

[73] veggio: forma ricercata e rara alla quale qui Becelli preferisce spesso il letterario tema velare in veggo, come in I.5.14, III.2.1, V.2.51, V.4.59 (cfr. Vitale, p. 465).

[74] spuntar [...] sole: metafora consueta del linguaggio amoroso, in tutti i generi.

[75] basso: in funzione avverbiale, in facile in antitesi a altamente del verso successivo.

[76] di cui temo sempre: che ho sempre timore che mi venga meno.

[77] chi la fa dir: cioè, il cuore, testimonio (I.5.23) invisibile.

[78] leggenda: scritta.

[79] se d’occhial [...] servi: se non mi fai tu da occhiale (cioè, se non leggi tu per me).

[80] al laccio: alla forca.

[81] spataffio: inedita deformazione burlesca di epitaffio, da pataffio (che trovo in Aretino, Strambotti a la villanesca, 24).

[82] non più [...] burle: smettiamola di scherzare.

[83] cacazibetto: registrato solo in Crusca 1863-1923: «Dicesi di persona tutta profumata, attillata, leziosa», con rimando alle commedie di Fagiuoli. Bibliotecaitaliana.it (15/02/2018) ne registra due occorrenze, una nel Pentamerone, l’altra nei Ragguagli di Parnaso.

[84] termine: pietra di confine.

[85] fatti con Dio: vattene.

[86] ospitale: ospizio, ricovero.

[87] Ed è tale: eppure c’è un tale (cioè Gianni).

[88] per aggiunta alla derrata: come aggiunta alla mercanzia, alla parte principale. Locuzione proverbiale.

[89] tu medicata sei: delle ferite d’amore, poiché ha potuto parlare con Minghino.

[90] famigli: servitori.

[91] battiture: percosse.

[92] ritto [...] porta: in piedi davanti alla porta.

[93] spezial: farmacista (più sotto, spezieria, ‘farmacia’).

[94] vosco ne venni: venni con voi (‘ne’ pleonastico).

[95] ventura: caso, accidente.

[96] doppia: «Antica moneta d’oro del valore di due scudi, coniata in Italia fin dal sec. XVI».

[97] giacco: giacca pesante, usata anche in battaglia. Il lemma non è presente in Crusca.

[98] non opri: non funzioni, quindi non faccia danni.

[99] gli altri: cioè Agnesa.

[100] sciolto il congresso: terminato il colloquio.

[101] disturbo: complicazione.

[102] lascia: aspetta.

[103] continua / mente: tmesi.

[104] guarnello: «vesta bianca, fatta di panno, tessuto d’accia, e bambagia, ilqual panno similmente è detto guarnello» (Crusca 1612).

[105] la volpe [...] averlo: applicazione (un po’ forzata) al caso presente della nota favola di Esopo: con la differenza che il formaggio (Agnesa) è già in possesso della volpe (Trecca), per cui il corvo (Crivello) non riuscirà non si dice a tenerlo, ma tantomeno a prenderlo.

[106] digli: normale, a questa altezza cronologica, il pronome personale complemento maschile per il femminile.

[107] vagheggiar: contemplar[la], «da vago, per amante, fare all’amore, cioè stare a rimirar fisamente con diletto, e attenzione l’amata» (Crusca 1612).

[108] quanto io vaglio: quanto posso.

[109] affè: in verità, davvero.

[110] assiderato: «agghiadato [congelato], e quasi morto di freddo» (Crusca 1612).

[111] mi leva il poter: mi impedisce.

[112] meschino: poveretto.

[113] stordisce: perde conoscenza.

[114] attonito: «stupido, e quasi insensato» (Crusca 1623).

[115] fierezza: ferocia.

[116] a che ti stai?: che cosa aspetti?

[117] con la: a causa della.

[118] sarà [...] in luogo: farà le veci. ♦ refrigerio: «rinfrescamento, conforto» (Crusca 1612).

[119] Io [...] togliesse: tipica sceneggiatura stilnovistica. ♦ ferrata: ricoperta di ferro.

[120] Piangendo, amando, sospirando: «servendo, amando, / piangendo, e sospirando» (Torquato Tasso, Aminta, V coro, vv. 2-3), da cui probabilmente «piangendo, amando, ardendo e sospirando» (Michelangelo Buonarroti, Oilmè oilmè ch’i’ son tradito in Rime, 51, v. 16).

[121] più non posso: «piangendo parea dicer: “Più non posso”» (Purg. X 139).

[122] né bramo altro che morte: «Non bramo altro, che morte, altra vaghezza / Non ho che del mio fine» (Giovanbattista Guarini, Il pastor fido, V.5.925-926).

[123] fatti in costà: «Fatti in costà, malvagio uccello!» (Inf. XXII 96).

[124] come chi suole, / non potendo il caval, montar la sella: variazione del più noto proverbio «batte la sella chi non può il cavallo»

[125] quinci: di qui.

[126] maliarda: ammaliatrice. ♦ lavacecci: «si dice a huomo scimunito, e dappoco» (Crusca 1612, con forma scempia e rimando al Decameron).

[127] Messere [...] asino: l’invettiva di Trecca contro Gianni è memore di quella della suocera di Arriguccio, beffato dalla moglie, nella quale ricorre pure l’espressione «feccia d’asino» (Decameron, VII 8, 45-46) e il successivo «troiata» (canaglia).

[128] deserta: sola, derelitta.

[129] Ti caverò [...] accostarmi: si corregge l’attribuzione del verso da Gianni alla Trecca.

[130] nulla fia: non importa.

[131] la finiva affatto: l’avrei senz’altro uccisa.

[132] sin dall’ultime: perfino dalle più lontane.

[133] rabuffata: scarmigliata.

[134] attenta: zelante e precisa.

[135] stavigli: forse refuso per stovigli, cioè, «generalmente tutti i vasi di terra, de' quali ci serviamo, per mettervi entro vivanda, e diciamo più comunemente stoviglie» (Crusca 1612).

[136] sola: non ‘da sola’, ma ‘soltanto io’.

[137] pianamente: silenziosamente.

[138] beccaria: macelleria. ♦ denonziai: ingiunsi.

[139] ira mia tremenda: lessico eroico, con effetto di autoironia preterintenzionale.

[140] come aia da’ polli: come il terreno dell’aia dalle zampe dei polli. Efficace paragone in stile comico.

[141] Ti so [...] fatto: ironico.

[142] il frutto: l’interesse.

[143] pasco e sostengo: nutro e mantengo.

[144] discreto: avveduto, saggio.

[145] famiglio: servitore.

[146] tenir a bada: dare corda, intrattenere. Probabilmente un francesismo (da «tenir»: tenere): la forma si registra in Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato, Venezia, Piero de Plasiis, 1487; Antonio Tebaldeo, Rime, Modena, s. s., 1498; in Giambattista Giraldi Cinzio, Orbecche, Venezia, Eredi di Aldo Manuzio, 1543 e Id., Egle, Venezia, s. s., s. d. ma 1545-1546; Gian Giorgio Trissino, L’Italia liberata dai Goti, Roma, s. s., 1547; Bernardo Tasso, Rime, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1560.

[147] amoreggio: deverbale (a mia conoscenza, inedito) da amoreggiare.

[148] ch’io [...] sia: che non voglia dare peso.

[149] l’insolenza matta: la folle offesa.

[150] chi la [...] cortese: proverbio che ben chiude una prima parte di monologo ricca di sentenze e luoghi comuni.

[151] sindacato: nel senso generico di magistrato (diverso il significato in Dec. VIII 5, 17, citato già in Crusca 1612).

[152] ingiuria: sopruso, offesa.

[153] mariuoli: bricconi.

[154] impronto: sfacciato.

[155] disugguaglianza: differenza di trattamento.

[156] Però: causale.

[157] ripulsando: respingendo.

[158] o per sé: di persona. ♦ per: per mezzo di. ♦ lettre: sincope non rara, in versi e in prosa.

[159] guiderdon: ricompensa.

[160] querelargli: accusarli.

[161] scempia: «di poco senno» (Crusca 1612).

[162] meritò una: in dialefe.

[163] d’ambi: da entrambi.

[164] chi il cane [...] padrone: variazione sul più noto proverbio «si tratta bene il cane per rispetto del padrone».

[165] all’ore ventitré: un’ora prima del tramonto, che all’epoca coincideva con le ore 24.

[166] destramente: abilmente.

[167] scappate non sciorini: non riesca a fuggire (per sciorini, v. I.2.40 e nota)

[168] alto così: tanto profondo.

[169] si dilungò: si allontanò.

[170] ond’è: per qual causa, come mai.

[171] a voglia mia: a mio piacere, in polittoto col precedente volle.

[172] concia: diffusa forma forte del participio passato.

[173] a che mi adduco: a punto mi conduco.

[174] riscatarsi: vendicarsi.

[175] possente ardore: l’amore per Agnesa. Il sintagma compare nelle Rime spirituali di Vittoria Colonna (dove indica l’amore di Dio) e nelle Rime di Remigio Nannini.

[176] Gnaffe: «spezie di giuramento, ed è lo stesso, che, a fe, come il lat. me hercule, medius fidius, aedepol, e simili» (Crusca 1612).

[177] andator: camminatore. L’impiego di forme in -tore (subito dopo, al v. 40, salitore) attesta l’inclinazione dell’autore verso elementi tradizionali di ascendenza antica: i sostantivi in -tore, come quelli in -ento (cfr. V.2.38), sono già in parte in declino nel XVIII secolo. Cfr. Vitale, p. 502).

[178] per compare [...] putativo: come socio, come avvocato e come padre putativo (cioè, come persona della quale fidarsi ciecamente).

[179] piano: semplice.

[180] conducessi meco: portassi via con me.

[181] in balia: in mio potere.

[182] che però: ragion per cui.

[183] viva, / tanto che sputar possa: tanto viva che io possa ancora sputare, cioè dare un segno di vita umana (cfr. Inf. XXV 138).

[184] la cosa fatta [...] maneggiarsi: amplificazione interpretativa del proverbio già usato da Dante in Inf. XXVIII 107: «Capo ha cosa fatta».

[185] recarmi al maleficio: accusarmi di delitto.

[186] per le due: per due accuse, cioè anche per il rapimento di Agnesa.

[187] trovata: concordanza a senso.

[188] gherminella: «inganno, barattería» (Crusca 1612).

[189] solo [...] mio: il mio unico confidente.

[190] Io fatico notte e giorno: la battuta non può non evocare quella notissima di Leporello nel Don Giovanni: «notte e giorno faticar».

[191] Muori tu [...] gatta morta?: muori davvero d’amore per me o fingi?

[192] poveri fiori: trovo il sintagma solo nelle Rime di Celio Magno (342, 14).

[193] Maisì: certo che sì

[194] secchia [...] modonesi?: chiara allusione a La secchia rapita di Alessandro Tassoni.

[195] dasse: forma occorrente anche nella traduzione becelliana delle Storie di Erodoto e classificata da Vitale come «plebeismo toscano corrente», ma senza escludere che sia retaggio dell’influsso dialettale del territorio linguistico di Becelli (Vitale, p. 468 e p. 443).

[196] accordare: ordinare.

[197] ma [...] mezzano: cioè, il licenziamento (il ben servito) sarebbe il risultato del mio farti da messaggero.

[198] I patti [...] sieno: stabiliamo gli accordi.

[199] beendo: forma che appartiene alla «tradizione toscana più conseguente» (cfr. Vitale, p. 467).

[200] mai sempre: tradizionale forma avverbiale conforme agli usi correnti toscani e letterari (cfr. Vitale, p. 478).

[201] a suo poter: per quanto possibile.

[202] giunta [...] etate: «quando mi vidi giunto in quella parte / di mia etade» (Inf. XXVII 79-80).

[203] mentre: finché.

[204] Trecca [...] predicare: endecasillabo di 5a, non raro né in questa commedia né nel genere comico, ma qui particolarmente significativo, perché facilmente evitabile con una semplice inversione (*Trecca, tempo non è di predicare).

[205] dell’olmo [...] vite: paragone diffusissimo, appoggiato a un sintagma (tenace vite) però inedito o almeno raro in poesia prima di Becelli, forse coniato sul modello della «tenace pece» dantesca (Inf. XXI 8 e XXXIII 143).

[206] tampoco: ispanismo per «nondimeno» (Crusca 1691), che diventa «né meno» in Crusca 1729-1738: nel XVIII secolo la funzione rafforzativa della negazione, che pertiene al termine spagnolo corrispondente all’italiano «nemmeno», prevale sulla sfumatura avversativa ad esso attribuita nell’edizione del 1691.

[207] schietto: con valore avverbiale. ♦ senso: pensiero.

[208] sconcia ti morirai di questa voglia: morirai consumata per questo desiderio insoddisfatto (Crusca 1612).

[209] discrezione: amorevole intervento.

[210] l’effetto: il risultato, i fatti.

[211] manicar: mangiare.

[212] s’agghiaccia: si gela.

[213] non riffini: non smetti.

[214] battendo la scarpetta: dandoti un gran da fare, agitandoti con impazienza.

[215] lavorio: lavoro manuale.

[216] tenero: teneramente sollecito.

[217] signorto: diffuso toscanismo.

[218] monna zucca al vento: donna sciocca (cfr. Dec., IV ii, 20: «Donna zucca al vento»).

[219] covacciolo: «luogo dove dorme, e si riposa l’animale» (Crusca 1612).

[220] can botolo: cane che ringhia, ma da lontano.

[221] che t’accolga: che ti colga.

[222] schiacciata: pagnotta piatta.

[223] due della notte: due ore dopo il tramonto, che corrispondono alle 20 attuali.

[224] divisato: ordinato, stabilito.

[225] speranza e tema: tipica coppia lessicale del frasario d’amore (profano e sacro).

[226] costui: ne sapremo il nome al v. 87: Stramba.

[227] l’appuntato: l’orario stabilito.

[228] per li capelli: uso tradizionale ma già un po’ antiquato (cfr. Vitale, p. 457).

[229] secondo: favorevole.

[230] allegrezza: tra le forme lessicali che rimandano ai modi della tradizione toscana più antica (Vitale, p. 502). Altre occorrenze in V.5.1, V.6.12.

[231] voglia o non voglia: il soggetto è Agnesa.

[232] segno: bersaglio.

[233] Rinegar: rinnegare la fede.

[234] deserto: abbandonato (cfr. II.5.24).

[235] ignudo ferro: Becelli recupera un sintagma che compare quattro volte nella Gerusalemme liberata, ma inverte l’ordine dei lessemi.

[236] si assettin: si adattino.

[237] forse: forze.

[238] non ci entrar: non ti immischiare.

[239] ti giungo al pel: ti prendo

[240] poltroneria: funfanteria.

[241] granata: scopa.

[242] i morti: i corpi morti, l’immondizia.

[243] inclita famiglia: illustre schiera.

[244] Agnesa [...] favellasti: valutazione positiva del personaggio femminile, che contrasta con la misoginia presente altrove nel testo.

[245] esame: interrogatorio.

[246] carti: carte processuali.

[247] bargello: «Capitan de' birri» (Crusca 1612).

[248] ella passò: la cosa è andata

[249] quinci: da qui.

[250] successo: «avvenimento» (Crusca 1612).

[251] ducati: monete d’oro, coniate in vari stati italiani, simili al ducato originariamente coniato nella Repubblica Veneta.

[252] giunta [...] derrata: cfr. I 60 e nota.

[253] assicurato: messo al sicuro.

[254] fosti: cfr. eri.

[255] andator: cfr. II.2.I

[256] attor: «quegli, che nel litigare domanda: e l’avversario si chiama, reo» (Crusca 1612).

[257] Poi: causale, come di frequente.

[258] Onde risolvo dargliele / per l’importunità non già per altro: uso parodico della citazione evangelica (cfr. Lc 11,8).

[259] cattivi: colpevoli, ma anche prigionieri.

[260] tosar la pecora: spogliare del denaro con imposte gravose.

[261] drudo: «disonesto amante» (Crusca 1612).

[262] biasmi maledica disonori: terna verbale che riprende, a sottolineare l’ingratitudine, quella del v. 7.

[263] che se [...] peccato: l’indignazione si manifesta in un aumento di intensità retorica: doppia antitesi (pietà - rigor, diede - toglie) inserita in una struttura in parallelismo, seguita da epifrasi.

[264] rondava: il verbo non è attestato in Crusca prima di Becelli.

[265] ricusate per benevolenza: raro endecasillabo su due accenti.

[266] né meno, invidiate a me: non toglietemi.

[267] col pensamento: nell’opinione comune. Per l’impiego di pensamento cfr. III.2.39.

[268] quando: nel caso che.

[269] giovinezza: epifrasi (la loro fu colpa d’amore e di giovinezza).

[270] a sorte: accidentalmente (Crusca 1612).

[271] Ma [...] soddisfacimento: altro endecasillabo su due accenti.

[272] che poco è certo: anastrofe (che certo è poco).

[273] donare: condonare.

[274] V.3.47-51 Giacomo conferma la saggezza che gli ha consentito di ricevere in affidamento Agnesa, di garantirsi il benessere economico, di superare indenne le lotte cittadine, manifestandola attraverso sentenze e assiomi, sia pure di non grande profondità.

[275] quando Faenza [...] presa: ricalco quasi letterale dal testo di Boccaccio: «quando questa città da Federigo imperatore fu presa» (Branca annota che «l’assedio e la presa di Faenza da parte di Federico II (1240-41) avevano avuto grande eco in Toscana»). Ma tutto il racconto di Giacomo segue molto da vicino la novella.

[276] mobilie: tutti i beni mobili. ♦ espressamente: manifestamente.

[277] credenza: fede.

[278] indubitata: in senso attivo, ‘indubitabile’.

[279] meritar di voi: «s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o poco» (Inf. XXVI 80-81).

[280] dimandarmi: cfr. I.1.53.

[281] m’abisognano: fanno al caso mio.

[282] s’abbi: concessiva (purché tu abbia).

[283] segnale: contrassegno.

[284] giuntator: truffatore (Crusca 1612, che rimanda a Barattiere).

[285] condusse: portò con sé.

[286] al buio: confusamente.

[287] nascenza: «enfiato, come fignolo, ciccione, e simili» (Crusca 1612), vale a dire tumore, ascesso.

[288] gradito amante: Pastor Fido, IV.5 e III.8 («l’amante gradito»).

[289] Qual [...] inusitata: attacco di inconsueta solennità metrico-stilistica.

[290] beccherete: in efficace figura etimologica con becchino, pure a fine verso (v. 8 «bechini»).

[291] travvedere: prendere una cosa per l’altra.

[292] asini della Marca: somaracci.

[293] malefizio: proprio della tradizione toscana.

[294] il processo / di vita e mori: l’espressione non è chiara. Se «mori» corrisponde all’infinito del verbo latino morior, potrebbe trattarsi, con anacronismo non inconsueto nel Becelli, di un processo in cui si chiede la pena capitale, in quanto nel diritto romano il ratto di donna onesta era punito con la pena di morte, in seguito sostituita da pene di carattere pecuniario; se «mori» è, invece, una sorta di traduzione del sostantivo latino mos (pl. mores, costumi, abitudini), potrebbe trattarsi anche di un processo sulla vita e le abitudini dell’indagato (in questo caso del padrone su cui ricade la colpa dei servi).

[295] gherminelle: cfr. III.2.91.

[296] parentorio: per perentorio, ‘citazione’.

[297] cangiare: tema verbale letterario e tradizionale, ampiamente entrato nell’uso scritto comune (Vitale, p. 464).

[298] si liberassero: fossero prosciolti.

[299] né più né meno: in ogni caso.

[300] cause dirimenti: i celebri «impedimenti dirimenti» al matrimonio invocati da don Abbondio.

[301] ferri: strumenti (sia di tortura, sia di scrittura).

[302] civanzar: provvedere a proprio vantaggio, guadagnare (cfr. Dec. II 10, 41 e III 3, 3). ♦ dugento: fiorentinismo tradizionale.

[303] Maisì: cfr. II.3.40 e nota.

[304] rappattumata: rappacificata.

[305] conchiusa: antico e popolare per conclusa.

[306] inimici: cfr. I.1.53.

[307] feccia d’asino: cfr. I.5.21.

[308] di: dalla.

[309] V.6.64-65: secondo quanto attesta una leggenda viva ancora nel tardo Seicento: «È ammirabile ancora il detto lago [di Garda], per esser unico al mondo, che produca il delicatissimo pesce Carpione, come molti autori attestano, che di bontà non cede a qualsivoglia altra sorte di pesce, nutrito, come vien nutrito, dalle miniere d’oro, che sono nel fondo del lago; e portato in altri luoghi non vive. Già nell’Italia si dimandava Pione, il qual essendo così raro, e perché si vendeva molto caro, fu poscia detto Carpione» (Lodovico Moscardo, Historia di Verona, Verona, Rossi, 1668, p. 323).

[310] Torna il tempo [...] insieme: allusione alla favola IX di Esopo in cui la volpe inganna il caprone. Nel caso dell’Agnesa ingannatore e ingannato trovano invece un accordo.

[311] chiasso: postribolo. ♦ berlina: gogna.

[312] poco fila: che fila poco, cioè disutile e sciocca (con scrizione unita in Dec. IV 2, 27).

[313] spaventacchio: spaventapasseri.

[314] protesti: metatesi.

[315] cataletto: propriamente bara, feretro; per metonimia, morto.

[316] chi [...] dare: citazione del motto qui non habet, non potest dare, che sintetizza (estendendone l’ambito di applicazione) il principio del diritto civile secondo il quale non si può trasmettere ad altri un diritto che non si ha o un diritto più ampio di quello che si ha.

[317] ladron: si rivolge a Crivello.

[318] sozza e sfacciata / trombetta: si rivolge a Trecca.

[319] fistolo: diavolo.

[320] V.7.43-51: la didascalia che introduce queste ultime battute di commiato apponendo il solo nome di Crivello significa, probabilmente, che il servo pronuncia i versi facendosi avanti verso il pubblico e lasciando Trecca in secondo piano, una volta che Carlo è uscito di scena.