Giulio Cesare
Becelli
L’Agnesa da Faenza
Commedia
a cura di Monica Bisi
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2018
Giulio Cesare Becelli
L’Agnesa
da Faenza
a cura di
Monica Bisi
Ó 2018 Monica Bisi
Ó 2018 lineadacqua edizioni
Biblioteca Pregoldoniana,
nº 23
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN
dell’edizione completa: 978-88-95598-92-5
La presente edizione è risultato dalle
attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano
II: base de datos y biblioteca pregoldoniana (ARPREGO II: FFI2014-53872-P), finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad
spagnolo. Lettura, stampa e
citazione (indicando nome della curatrice, titolo e sito web) con finalità
scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o
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autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.
Biblioteca Pregoldoniana, nº 23
Nota al testo
Per il testo de L’Agnesa da Faenza di Giulio Cesare Becelli l’edizione di riferimento è quella realizzata nel
1743 dalla stamperia veronese di Jacopo Vallarsi.
Per
quanto concerne i criteri grafici di trascrizione si seguono le Norme
filologiche generali previste dell’Edizione Nazionale di Carlo Gozzi. In
particolare sono stati ricondotti all’uso moderno l’uso dell’apostrofo e
dell’apocope; le maiuscole
(riassorbendo anche tutte quelle occorrenti nelle parole iniziali di verso);
l’accentazione (con la distinzione di accento grave e accento acuto per e e per o). Sono state aggiunte le indicazioni
degli a parte. Contrariamente all’uso
settecentesco, è stata eliminata la virgola davanti a che nei casi in cui non è necessaria e sono state corrette alcune
sviste della stampa. In alcuni casi in cui l’interpunzione è apparsa fortemente
fuorviante si è aggiornata secondo l’uso moderno: si tratta soprattutto di
proposizioni causali e consecutive precedute da punto fermo al quale è stata
sostituita la virgola, come in I.2.76-77 (Ma pensiamo un po’ meglio a
quest’affare. / Poiché non posso... > Ma pensiamo un po’ meglio a
quest’affare, / poiché non posso); II.2.33-35 (degnati allora / di farlo sepelir in casa tua. / Acciocchè
morto almen teco ti stia > di farlo sepelir in casa tua, / acciocchè...);
IV.1.5-6 (timor avrei di non venirne a capo. / Poiché veder non posso la
finestra > timor avrei di non venirne a capo, / poiché veder non posso); V.4.19-21 (Onde vedete che / son de’ vostri almen tre quarti meno. / Poiché n’avrete ottanta > son
de’ vostri almen tre quarti meno, / poiché n’avrete
ottanta). Ulteriori casi si riscontrano in II.5.25-26,
II.6.31-33, III.3.65-67,
IV.1.53-54, IV.6.56-57, V.1.20-21, V.3.93-94, V.4.66-67, V.5.58-59. Si è
inoltre anticipata la dedica, che nella stampa settecentesca è collocata fra le
dramatis personae e il primo atto.
Giulio Cesare Becelli
L’Agnesa
da Faenza
Commedia
Agli Illustrissimi Signori
IL CONTE LUDOVICO NOGAROLA
Vicario della Casa de’ Mercatanti[1]
IL CONTE SEBASTIANO MURARI,
IL CONTE GIROLAMO GIULIARI[2]
Provveditori
Giulio Cesare Becelli.
Questa mia favoletta la quale non ha altro
pregio che d’aver preso l’argomento suo dalle Novelle di Giovanni Boccaccio, alle Signorie loro Illustrissime do
dono e dedico, usando l’antica romana formola della più viva estimazione e
reverenza. Li sommi loro meriti e la più pura e scelta nobiltà questo
esigerebbero da me, quando molto più non lo richiedesse la Rappresentanza cui
fanno ora gloriosamente delle prime dignità della mia patria. Alla quale io
essendo nato, e dovendo quanto so e posso, con questo picciolo tributo vengo
ora a pagare un grande e gravissimo debito. Se li ristretti termini d’una
lettera, e se la virtù loro il permettesse, renderei in questo luogo di essa
una splendida testimonianza, e direi della vostra antica e ben nota giustizia,
discrezione e bontà, o Sig. Conte Ludovico Nogarola,
e Sig. Conte Sebastiano Murari; siccome dell’affabilità, acume d’ingegno e
grazia di favellare e destrezza d’operare, nuovi pregi vostri, o Sig. Conte
Girolamo Giuliari; il quale adesso solamente per
nostra gran sorte e per salute e gloria della città nostra a provvederla
v’applicate. Ma perché questo non è luogo né tempo da trattare l’ampia materia
delle lodi di tutti e tre, da esse m’astengo e faccio fine, pregandovi solo a
ricevere in buona parte il mio povero dono, e a lui contribuire con
l’aggradimento, ciò che gli manca di valore di grazia e poetica facultà.[3]
PERSONE
giacomo da pavia, creduto padre
dell’Agnesa.[4]
crivello, servo.
la trecca, fantesca.
gianni
di severino, amico di Crivello.
minghino
di mingole, amico della Trecca.
l’agnesa.
guglielmo
da medicina.[5]
barnaba
da faenza.[6]
ser carlo carpione Cancellieri.[7]
ATTO PRIMO
SCENA
PRIMA
Giacomo,
Crivello.
giacomo Crivello mio, tu sai quanto ch’io t’amo
per
la tua fedeltà, e ancor per certe
facezie
tue, motti, buffonerie,
che
soglion mie tristezze ricreare.
5 Poiché
sebben non ho della fortuna
a
lagnarmi, che molto già acquistai
nel
mestier di soldato, e d’oro e averi
ho
quanto si conviene a gentiluomo,
per
giovare agli amici e intrattenere
10 i
forestier, nulla però di meno,
nell’età
dei cinquanta con alcuno
anno
di giunta, le cose del mondo
m’empiono
spesso di fastidio e noia.[8]
crivello Signor
padrone, anco le donne sono
15 cose
del mondo: sonvi elle noiose?[9]
giacomo Lasciami
pria finir il mio discorso,
e poi risponderò ancora a questo.
Io
dico che ad un uomo, cui natura
dotò
d’ingegno non sì basso e vile,[10]
20 ed
ei con l’uso degli affar mondani
guadagnò
sperienza e in un valore,[11]
non
può a men di non essere più volte
l’umana
vita e questo mondo a noia.
Che
i mali son maggiori assai de’ beni
25 nel
viver nostro, e più sono i malvagi
in
terra, e meno i buoni i giusti i retti.
Aggiungi
a ciò che crescendo l’umana
prudenza
sempre più di giorno in giorno,
negli
stessi diletti e ne’ piaceri
30 o
naturali o di qualunque sorte,
sempre
ritrova l’uom onde appagarsi
meno,
per lo perfetto suo giudicio.
A
cagione d’esempio (ed ecco al tuo
interrogar
rispondo) nelle donne
35 un
giovane ritrova più di mille
che
gli piacciono; un uomo attempatetto[12]
per
ogni mille appena una ne trova.
Ma
lasciam queste cose; io dico che
il
tuo adoprar e il tuo parlar finora
40 grati
mi sono quanto cosa al mondo.
Ma
ancor non sai ciò che mi piacerebbe
al
sommo ne’ tuoi modi e nel far tuo.
crivello Che
devo saper io? Son io indovino?
giacomo Vorrei
che della casa un po’ di cura
45 tu
ti pigliassi e meglio che non fai.
Non
dico della casa materiale,
cioè, che sien
le stanze e i suoi arredi
politi
e posti al suo loco decente,[13]
e
la cucina e la cantina sieno[14]
50 ben
proviste e la tavola imbandita;
che
lo sai far mirabilmente, pur che
tu
il voglia.
crivello Or di qual casa dite voi?
E di quali dimestiche
facende?[15]
giacomo Non
parlo della casa materiale,
55 della
formale dico, e viva e sé
movente.[16]
crivello Padron mio, di grazia qual è
questa casa che vive e che si move?
Stiamo
a veder che voi siete stregone,
non
pur soldato, e la casa movete
60 e
fate andar le mura in visibilio.[17]
giacomo Tu
se’ pazzo. Non sai che di famiglia
noi siamo sol due uomini e due
donne?
crivello Lo
so; che questo conto farìa un cieco.
giacomo Adunque
odimi attento. Questa Agnesa[18]
65 ch’ognun
crede mia figlia, non è tale.
crivello Né
meno è mia. Ora di chi sarà?
Del
comune cred’io figlia e di tutti.[19]
giacomo Ti
prego ora a tacer che d’importante
cosa
parlar ti deggio per brev’ora.
70 Costei
dunque non è mia figlia, ma
a
me lasciata fu da un caro amico
che
si morì mentr’ella era bambina.[20]
Non
posso io dir d’amarla come figlia,
che
dell’amor figliale non ho idea,
75 perch’io
non fui unquanco maritato.[21]
Bensì
dirò ch’io l’amo grandemente,
e
desidero un giorno maritarla
in
uomo tal che gentilmente nato
abbia
altresì gentili atti e pensieri;[22]
80 ma
ancora non mi avvenni a un giovin tale.
Perché
ben sai, Crivello, quale ad ora
sia,
non che questa terra, Italia tutta.
Le
fazioni e gli ostinati ingegni[23]
fan
sì che a nulla altro la gente attende
85 se
non che a risse ad omicidi e morti,
per
quelle due parti d’inferno nate,
già
bianchi e neri, or guelfi e ghibellini.[24]
E
perciò tutti volti a farsi oltraggio
gli
uomini sono, o nell’onore o nella
90 vita
o robba; e non è cosa sicura
per
questo, e singolarmente le donne
convien
con ogni studio custodire.
L’Agnesa non ha madre, ed io che sono
suo
padre, più d’amor e di tutela,
95 che
d’altro, debbo attendere agli affari,
per quegli aver che molti ho
comperati
in
questa terra; assistere ad alcuno
amico,
e sollazzarmi ancor nel tempo
che
alle fatiche mie giornali avanza.[25]
100 La
Trecca a cui conviensi l’assistenza[26]
della
fanciulla più continua, e che
di notte e giorno sempre mai la
guarda,[27]
alfine
è donna e sai che di cervello
e
di forze son debili le donne,[28]
105 per
ordinario.[29]
crivello Pur troppo lo so.
E
questo è ciò che non mi fa menare
moglie
e viver più tosto alla ventura.
giacomo Dunque tu dei ben bene aver la mira
che alcun non
le favelli di soppiatto
110 e quando ella le
feste esce di casa
(ch’una sol
volta ce la lascio andare
nella mattina
anzi la mezza terza)[30]
fa sì che
badi e lontano e vicino,[31]
s’ella in
istrada parla ad uomo, o fa
115 inchini o
baciamani disusati.[32]
crivello Or sono inchini e baciamani ancora
secondo uso e
fuor d’uso qual le vesti?
giacomo Non dico ciò, ma dico che dal modo
scorger si
può se pura cortesia
120 sia l’inchino.
crivello Padron, noi
baderemo
all’Agnesa, ed in tanto si starà
digiun la mula, o la cucina fredda,
e la tavola disapparecchiata.[33]
Che importa a
voi, se le fanciulle fanno
125 all’amore? O se
ridono per via,
e vien lor
detta alcuna paroluccia?
Parola non fa
buco gli è in proverbio,[34]
e se ancora
di sotto le finestre
alcun le
parla che mal c’è? Sarebbe
130 mal grande s’egli
entrasse per la porta,
o sia
pertugio, che due n’ha la casa.
Però, padron,
di ciò siate sicuro
ch’ei non accaderà.
giacomo Basta:
t’ho detto
il voler mio.
E sai che son di poche
135 parole e d’assai
fatti. Or tu ti sia
di meglio
orecchio. Se succederà
scandalo
alcuno, lo sapran le tue
spalle, che
quando parlo in cosa di
importanza,
voglio essere ubbidito.
140 E so egualmente a
chi ubbidisce e fa
il mio
piacer, rendere il contraccambio.
Io vado in
piazza, tu alla casa attendi.
SCENA SECONDA
Crivello,
Gianni.
crivello Il vecchio è andato, e il giovine s’accosta.
E il giovine
farà ch’io dal vecchio abbia
le busse e
ancor di peggio.
gianni Addio Crivello.
Che barbottando
vai così tra te?
5 crivello Dico che voi cagion
sarete un dì
ch’io non
sarò.[35]
gianni Parla più chiaramente;
io non intendo.
crivello Voi non
intendete;[36]
ma a me
conviene intender che per voi
presto sarò
frustato a maraviglia.
10 gianni Perché? Qual è la nuova tua disgrazia?
crivello La nuova mia disgrazia sete voi
e sarete la
morte io credo ancora.[37]
gianni Dimmi; ond’è ciò che tu così
m’incolpi?
crivello Voi sapete che amando voi l’Agnesa
15 perdutamente, mi
date a recarle
lettere ed
ambasciate ancora in voce.
Con qual
profitto voi sapete ancora
per parte
della vostra innamorata,
che non vi
cura, non v’ascolta, e fa
20 di voi come
dell’unghie che si taglia,
ed a’ cani vi manda, o se v’è peggio.
gianni Pur troppo il so, e ne muoio di dolore.
crivello Or un’altra fortuna avete voi,
e l’ho pur
io, che Giacomo suo padre,
25 ma non più
padre, mi ha detto pur ora
ch’io badi
bene e che la custodisca,
e mi fe’ una lunghissima leggenda[38]
d’intorno a
ciò.
gianni Narrami, che ti disse?
crivello Prima mi disse ch’ei non è suo padre.
30 gianni O questa è bella! Ella fia
dunque mula.[39]
crivello Non già; ma disse che non è sua figlia;
bensì d’un altro
grande amico suo,
che a lui lasciolla in morte.
gianni Questo
nulla
importa al
caso. Or di’, che ti ordinò
35 egli
in materia dell’Agnesa?
crivello Disse,
che in casa
molto ben la custodisca io.
E quando va a’ perdoni molto io guardi[40]
s’ella
travalca, e s’a alcun fa bs
bs[41]
nell’orecchio,
se adocchia troppo fiso,[42]
40 o pur s’ella
sciorina alcuno inchino.
Che il mondo
è pien di furbi, e che non vuole,
sendo ella guelfa, e gli altri ghibellini,[43]
che seco farla
vogliano in tre pace.[44]
Aggiunse il
vecchio che la Trecca non è
45 donna da far la
guardia alle fanciulle;
e poi tutte
le femmine son pazze.
Onde che
tutta la custodia d’essa
toccar a me dovesse,
in casa, e fuori.
Or vedi se
più aitar ti posso, o se
50 aitandoti porrò schifar la forca.[45]
Poi se il padrone
s’accorgesse mai
del mio rofianeggiar, ne sarei tristo.
gianni O fortuna perversa e all’amor mio
contraria!
Non ti basta avermi posto
55 in balia d’una
donna che non ha
meco altro cor che di pestifer angue,
se ancor non
mi toglievi ogn’altro aiuto?
L’amata
m’abborrisce, il padre ponsi
in guardia
contro me gelosa e fiera.[46]
60 E costui che sol
era refrigerio
alla mia
pena, e un sottil filo d’aria
quasi alla debil mia morta speranza,[47]
or
m’abbandona in mezzo alle tempeste.
Che resta a
me, se non darmi la morte?
65 O menar una vita
tormentosa,
grave a me
stesso, et odioso agli altri?
crivello Gianni, se fosti
a me fratello o figlio,
non
potresti doler quanto mi duoli.[48]
Sai
ch’io sempre t’amai, e che per farti
70 amar
ancora dalla tua nemica,
spesi
pensier, opre, parole, e
passi
infino
a qui. Ma or che vedo espresso[49]
di
non poter far più, anzi te stesso
odo
con pena tal rammaricarti,
75 sento
fendermi il cor quasi per mezzo.
Ma
pensiamo un po’ meglio a quest’affare,
poiché
non posso in modo alcuno, a costo
ancor
del dosso mio e della vita[50]
abbandonarti.
Pria d’ogn’altra cosa,
80 secondo
che il padron mi comandò,
e
posso e debbo far la guardia, e giorno,
e
notte alla tua donna contro ognuno.
Così
almeno sarai di lei sicuro,
né
puoi temer che all’esca altri s’accosti.
85 gianni Che monta ciò quand’io non posso averla?
crivello Monta che almeno il can dell’ortolano[51]
tu sei fatto,
e dir puoi: né a me, né a te.
gianni Deh, solo a te possa venir il canchero.
Questo è il
ristoro che sai dare ad uno
90 disperato? Se tu
morto di sete
fossi, o di
fame, a te saria bastante
poter dal
vino, o sia dalla minestra
a viva forza
ripulsare ognuno?
O pur
l’inedia altrui ti pascerebbe?
95 Deh moviti a pietà, Crivello mio,
non mi
lasciar morir di puro stento,
quando in tua
mano è la mia morte o vita.
Odimi. Questa
è l’imbandita mensa,
cioè l’Agnesa. Crivello è seduto
100 a tavola, e un baston si tiene in mano.
Alcun
s’accosta de’ golosi. Il primo[52]
Minghin forse sarà, ch’è il mio rivale.
Allor Crivello
mena un duro colpo
tra capo e collo
sì ch’egli è spacciato.
105 Di poi Gianni sen
viene umile e chino,
dicendo: «Mio
Crivello, mia speranza,
luce degli
occhi miei, per quell’amore
che mi
portasti e tuttora mi porti,
seder
lasciami a mensa per brev’ora
110 sicch’io ristori la mia lunga fame
e la sete che
m’arde». Allor Crivello:
«ben venga
Gianni», e s’alza da sedere,
cedendo a
Gianni il luogo. Anzi di scalco[53]
lo serve e di
coppiere.[54]
crivello Sai
che fa
115 allor Crivello?
gianni Non
so s’egli nol dice.
crivello La mensa e il convitato a terra getta,
ed il tutto
calpesta e manda in polve.
gianni E avresti cor di farlo? E nulla
ti
moverebbe sì
bella imbandigione,
120 e dolce e cara?[55]
crivello Non più che un chirurgo
qualor deve tagliare o gambe o braccia.
Ma parliam da dovvero. Io, Gianni, penso
tuttavia di
giovarti in questo amore;
non sol
tenendo un occhio d’avvoltoio
125 sopra la Trecca
viso di carogna,[56]
che vuol dar
a Minghin l’Agnesa in
preda,
ma facendo da
veltro in favor tuo,[57]
così che cada
ella nelle tue mani.
E ciò fia senza dubbio, se non manca
130 a me lo spirto. Ma convien che tu
dall’ira
del padron mi salvi e dalla
fame,
quand’ei mi caccerà di casa.
Che certo lo farà, pur
che s’accorga
ch’io fui vento
contrario alla sua barca,
135 e
lo tradii, la merce consegnando
ch’egli
affidata alla mia cura avea.
Dunque tal
patto fia tra noi: ch’io ponga
per te la
vita e che tu pur per me.[58]
gianni Accetto il patto. Non lasciar, Crivello,
140 di battere il focil. Priega, scongiura[59]
adopra
inganni, togli ad altri ciò
che a me
darai, avaro con ciascuno,
e meco
liberal di sì gran bene.
Per la mia fe’, per quella man ti giuro
145 che ti difenderò,
che la mia vita
per te porrò,
e che se il vecchio mai
ti scacciasse
da sé, nella mia casa
ti
accoglierò; e d’ogni aver con meco
in fatti e in
voce tu sarai padrone.[60]
150 crivello Altro qui non occor.
Tu dal tuo lato
attendi, ch’io
farò mia parte intera.
SCENA
TERZA
La Trecca, Minghino.
la trecca Non
dubitar, Minghino. Ella, conosco,
che
t’ama; ed io non lascio giorno e notte
di
lodartele, e far vento al suo fuoco.[61]
minghino Ma credi, Trecca, che frappor si possa
5 alcun?
Le cose graziose e belle
piacciono
a tutti, e so che di costei
non
è in Faenza donna più vezzosa.[62]
Temo
dell’ombra mia; tu vedi se
de’
corpi altrui. Sai tu che quinci passi
10 alcuno?
Che si fermi? O faccia motto?
O
che sospiri?
trecca Un can ier
sera udii
che forte si lagnava per
avere
datogli alcun
d’un sasso nella schiena.
Che vuoi tu
che ti dica?
minghino Tu se’ pazza.
15 Pur Gianni non
la segue a amoreggiare?[63]
Le donne
presto volgono il rovescio,[64]
dico le
spalle, e più le giovinette.
Ei priega, ei manda le ambasciate spesse
per Crivello
quel tristo. Ed una goccia[65]
20 che seguiti a
cader bagna la terra:
e una
scintilla aggiunta all’altra, spesso
un incendio
cagiona irreparabile.
trecca Tu in parte mi fai ridere, ed in
parte
sdegnar,
quando mi nomini Crivello
25 e Gianni; questi
è un pazzo da catena,
e quegli il
più bell’asino del mondo.
Quando noi
donne non abbiam all’uomo
quella
pendenza naturale e quel[66]
nonsoché, il
qual ci tira quasi a forza,[67]
30 possono scongiurar
e co’ sospiri
romper le
pietre, ed allagar col pianto
le strade e
piazze, che non fanno tela;[68]
anzi fan
peggio. E tanto più l’amata
s’insuperbisce
e dura ne diviene,
35 che vede il gocciolon perduto e morto.[69]
L’Agnesa è quale un cane che si fugge
dal baston quinci, e segue il pane quindi.
Il bastone è
per lei l’odio di Gianni:
e il pan
bianco l’amore di Minghino.
40 minghino Temo però di alcuno stratagemma,
Trecca mia cara,
e Crivello ne sa
di roffianesmo quanto alcun sapesse.
trecca Lascialo far, che s’ei veglia, io non
dormo,
e s’egli è in
casa, io non ne sono fuori.
45 Io più vedo l’Agnesa in tutto il giorno
e più le
parlo del tuo amor, che non
può far Crivello
in una settimana
di quel di
Gianni. Nella notte poi
fo
addormentarla col tuo nome in bocca,[70]
50 e con quello il
mattino anco la sveglio.
Credi, Minghin che a te è vantaggio grande
ch’io le sia
a lato e parli sempre mai.
Come vuoi che
Crivello faccia tanto?
Quel
scimunito? Quand’anch’ella fosse
55 indifferente, a
me darebbe il core
di vincerla.
Or tu vedi che farà
s’ell’odia il tuo rivale, ed ama te.
Ma eccola che
stassi alla finestra.
Io entro in
casa. Tu vagheggia in tanto
60 il caro bene, e
ancor dille non più
che due
parole, poi potrebbe il vecchio[71]
sopravenir
che già uscì fuor di casa.[72]
SCENA
QUARTA
Minghino, l’Agnesa alla finestra.
minghino Qual
è la mia fortuna, mentre io veggio[73]
spuntar dall’oriente
il mio bel sole?[74]
agnesa Signor mio, non vogliate con tai
detti
confondermi,
e co’ nomi ch’io non merto.
5 A me basta,
che sono vostra serva,
se mi date il
buon giorno, e mi chiamate
col nome mio.
minghino Unica mia speranza,
troppo basso
di voi, troppo di me[75]
altamente
pensate. Io, se la mia
10 servitute v’è a cor, non cangerei
tal sorte con
un regno; e, pur che avessi
la grazia
vostra di cui temo sempre,[76]
soffrirei
mille morti volentieri.
agnese Già queste son le solite parole
15 che voi giovani
dite a tutte l’ore
stando
avanti noi povere donzelle.
Chi sa se poi
la lingua è quale il core?
minghino O Agnesa, potess’io
mostrarvi appunto
questo cor mio invece di parole!
20 So ben che credereste
anco alla lingua
che forse non
ha grazia innanzi a voi,
poiché chi la
fa dir voi non vedete,[77]
e sol la
udite senza testimonio.
Ma odo
aprirsi ora la vostra porta:
25 chi mai n’esce?
agnesa Gli è il servo mio Crivello.
Non vi partite
già per ciò, e né meno
mostrate di
badargli poco o molto.
SCENA
QUINTA
Crivello,
e detti.
crivello Convien ch’oggi sien tutti di
Faenza
usciti, che
non hai con chi parlare,
Minghino, se non parli con costei.
Che fai qui?
Che non vai per la tua via?
5 Sei mutolo?
Se’ immobile di pietra?
Che guardi?
Tu non leggi ciò che sia
scritto tra
quella porta e la finestra
soprastante,
ben mira, se sai leggere:
«Chi qua si
ferma a rimirar, o parla
10 con chi suole abitar
tra queste mura,
crede esser
vivo e un morto è che camina».
agnesa E tu, Crivello, che sì legger sai,
non vedi ciò
che alla leggenda è aggiunto?[78]
crivello Nol veggo, se d’occhial tu non mi
servi.[79]
15 agnesa «E qualunque si vuol frappor tra due
che parlino
tra lor, standosi l’uno
alla
finestra, e l’altro nella strada,
colui non sa
che al laccio è destinato».[80]
Or vedi se
lasciavi fuori il meglio
20 dello spataffio.[81]
crivello Agnesa, non più stiamo
sulle burle.
Ti dico che tu tiri[82]
addentro il
capo, se non vuoi ch’io faccia
murar la
testa tua con la finestra.
E tu, cacazibetto,
che ti stai[83]
25 piantato come un
termine di campo,[84]
fatti con
Dio. Se non ti fai, ben presto[85]
io farò che
il baston sia quella leva
che ti
rovesci, e che ti mandi in pezzi
e capo e
schiena e pancia e braccia e gambe.
30 minghino Odi, bestia, non servo: io non ti parlo
di me, bensì
ti dico per costei
ch’è sopra
che tu vada in altra banda
se fusse anco in galera, o tenga quella
che ti sarà
mozzata, dentro a’ denti,
35 se non vuoi da
questo mio pugnale
esser piantato sopra questa porta.
agnesa Minghino, con costui non far
parole,
sta’ zitto,
poi tra poco egli sarà
senza fatica
tua, dell’ospitale[86]
40 cibo gradito o
della sepoltura.
crivello Io parlo a tutti e due, ben m’intendete.
Tuo padre, Agnesa, non vuol che ad alcuno
favelli, o
nella via o nella casa,
o in camera,
o in cucina, od in cantina,
45 o sotto le
coltrici o in altra parte.
agnesa Ma s’altri fosse qui a parlarmi giunto
che non fosse
Minghino, io so, Crivello,
tu serreresti
gli occhi e lascieresti
ch’io gli
parlassi al chiaro ed all’oscuro.
50 minghino E posso io starmi cheto? E soffrirò
di costui l’insolenza?
Egli è guardiano
sol rigoroso
contro me. Ed è tale[87]
cui non sol
lascerebbe favellare
ma in casa
introdurrebbe. Olà, Crivello,
55 vieni al mio
lato, e una parola sola
odi da me,
poi subito mi parto.
crivello Eccomi, che più vuoi?
minghino Voglio che tu
impari il favellar
meglio che mamma
e babbo
t’insegnò. Piglia e ancor piglia
60 e questa per
aggiunta alla derrata,[88]
e questa per
suggello dell’affare.
crivello Ahimè, Minghino,
ahi ahi ahi ahi ahi ahi.
Misero me son
tutto pesto e rotto.
agnesa Lascialo, io te ne prego, nol
sonare
65 di più, Minghino.
minghino A
tanto intercessore
nulla si
nieghi. E tu per questo raro
dono, o
Crivello, fa d’esserci grato
e lasciarci
parlar quando vogliamo.
Agnesa, addio.
crivello Tu medicata sei,[89]
70 lascia ch’io
pure a medicarmi vada
delle busse
ch’io ebbi sol per te.
agnesa Date ti furno perché le volesti.
ATTO SECONDO
SCENA
PRIMA
Crivello col
braccio al collo, e Giacomo.
crivello Elli
è come vi dico, padron mio,
la
fedeltà sarà la mia ruina,
la
malora, la morte, lo sterminio.
Lo
so ben io perché i famigli sono[90]
5 poco
fedeli ed ubbidiscon poco
li lor padroni, perché arrischian
spesso
le
battiture, e ben la morte ancora.[91]
giacomo Costui
mi fa pietà. Ma dimmi un poco
Crivello,
e narra interamente il fatto.
10 crivello Padrone,
mi stava io qual comandaste
dell’Agnesa in custodia, quando voi
fuor
di casa eravate. Or della porta
uscendo
io per andare in sul mercato
a
far ispesa, ritrovai Menghino
15 di Mingole
che stava ritto ritto
per
me’ la porta e sotto la finestra.[92]
giacomo Sin
qui non è alcun male.
crivello Or
viene il male
e
il peggio ancor. Alla finestra s’era
appoggiata
l’Agnesa, e l’uno all’altra
20 parlava
come fussero fratelli.
giacomo Or
che a te parve di tal fratellanza,
la
biasimasti o lodasti?
crivello Io
preso allora
da
collera, sgridai l’Agnesa, acciò
si
ritirasse, ed all’amante ancora
25 dissi
la villania maggior del mondo.
Il
resto che n’avvenne, a me patirlo
tocca,
e scorgerlo a voi. Ma non vedete
neppur
il tutto. Oltre che il braccio al collo
reco,
le spalle ho tutte lividure,
30 ed
una ammaccatura anco ho sul capo.
Onde
allo spezial gir mi convenne.[93]
per
far ungermi, e ancora il lardo bere.
Finché
veduto voi passare innanzi
la
spezieria vosco ne venni a darvi[94]
35 conto
di questa mia nuova ventura[95]
ch’oggi ho incontrata
per comando vostro.
giacomo Bene
istà: tu facesti il tuo dovere,
e
Minghin fece il suo. Un’altra volta,
se
il vedi così far, sgridalo meglio.
40 crivello Ed
egli meglio batterammi assai.
giacomo Ed
allor io che so di cortesia
raddoppierò
la mancia. E s’ora solo
ti
do due doppie allor saranno quattro.[96]
Io
vado in casa. Tu fa ciò che devi
45 in piazza, e torna tosto
alla custodia
di
casa.
crivello E sarà meglio ch’io mi vesta
d’un
giacco sotto i panni, acciò la frusta[97]
non
opri meco e corrano le doppie.[98]
SCENA
SECONDA
La Trecca.
trecca Io
credo che Minghino avuto avrà
tempo
e comodità di consolare
e
sé e gli altri, mentr’io stava addentro.[99]
Pur
sarebbe gran cosa che Crivello
5 se
mai s’avvide il giovane esser qui,
non
fece o disse delle sue. Per certo
egli
ora non è in casa. Se uscì fuori
dopo
sciolto il congresso, sarà nulla.[100]
Ma
s’egli andò, nel tempo dei trattati,
10 temo
di alcun disturbo. Egli dirà[101]
il
tutto al vecchio, come un banditore
che
la voce accompagna con la tromba.
Deh
fossi un uomo, o pur Minghino stesso!
Io
ben vorrei trattarlo come ei merta,
15 e
frustarlo così da capo a piedi
ch’ei ne recasse il braccio appeso
al collo.
Gran
cosa! Quel ch’io voglio e vuol l’Agnesa
egli
non vuole; e guardian si fa
contro
il nostro piacer. Ma lascia che[102]
20 della
stessa moneta fia pagato.
Io
guarderolla ben da Gianni, come
ei
da Minghin la guarda. Ed io Minghino
serberò
in grazia sua, come Crivello
vorrebbe
introdur Gianni. Un sol momento
25 non
vo’ lasciargli libero, e continua-
mente
osservare gli andamenti suoi.[103]
Anzi
voleva di presente andarmi
dal
sarto a ripigliare il mio guarnello.[104]
Non
vo più. Lo dirò alla Zitta mia
30 comare,
e manderolla a riaverlo.
Né
da casa avverrà pur che mi scosti.
Vedrem chi saprà vincer, la volpe
o
il corvo. Ma passa or tal differenza
dalla
favola a noi; che già il formaggio
35 è
in mio poter, perché l’Agnesa fa
a
mio modo, ed il corvo ch’è Crivello,
ben
attenderlo può, ma non averlo.[105]
SCENA
TERZA
Gianni, Crivello, l’Agnesa.
gianni Vedi, Crivello mio, alla finestra
l’Agnesa. Fa’, digli alcuna parola[106]
acciò
che intanto vagheggiar io possa.[107]
crivello Tu hai un occhio di sparviere. Io non
5 l’avea veduta. Fermati alcun poco,
che
quanto io vaglio la trattenirò.[108]
gianni Va’ innanzi tu ch’io starò qui in
disparte.
crivello Agnesa, non partir dalla finestra
che
ho cosa da parlarti.
agnesa O
buono affé![109]
10 Non
puoi venirti in casa?
crivello Or non si puote.
gianni [(a parte)] Cos’io venir potessi!
agnesa
Perché ciò?
crivello Non
vedi tu com’io mi movo appena?
agnesa Tu pur venisti poco fa per via
e
ti movevi, or se’ assiderato?[110]
15 crivello Questo
dolor di spalle, di ginocchia,
e
di testa m’assal talor sì forte
che
mi leva il poter come ora fa;[111]
onde
convien ch’io mi rimanga qui.
agnesa E colui ch’hai di dietro, ha egli
ancora
20 dolori tai che non si può partire?
Anzi
fiso mi guarda come un pazzo?
Fu
egli bastonato qual tu fosti?
crivello Non
so. Ma qual meschino ha un mal di core[112]
sì
grande, che stordisce all’improviso.[113]
25 E se tu non lo svegli
con alcuna
cortese
paroletta, ei si starà
attonito,
qual è, tutto oggi, e tutta[114]
questa
notte, né mai si moverà.
agnesa Per me si stia sino alla fin del
mondo,
30 o morto o statua, ch’io
non me ne curo.
crivello Almen poich’egli sarà
stato un anno
fitto come
una pietra in questo loco
e poi morto
cadrà, degnati allora
di farlo sepelir in casa tua,
35 acciocché morto almen teco si stia,
s’ei non può
starci qual è ritto e vivo.
Deh, Agnesa, qual fierezza e crudeltate[115]
è questa? Non voler l’uomo né vivo
né morto? Pur
almen, già ch’io non posso
40 vincerti con
preghiere e con quest’atto
mio
di giacer a terra che più basso
non
posso star, la sentenza di morte
ad
esso stesso di tua bocca dona
ch’io vengo in casa, e lascio che
voi due
45 restiate,
una ad uccidere, e il secondo
a
rimanersi crudelmente ucciso.
SCENA
QUARTA
Gianni, e l’Agnesa.
gianni Agnesa, dunque a che ti stai? Finisca[116]
con la tua
crudeltà questa mia vita.[117]
Dimmi se vuoi
la morte e ’l sangue mio,
che questi è
pronto a uscir, e sarà quella
5 in luogo a me
di refrigerio e di[118]
salute. Io da
quel giorno in cui la prima
volta
ti vidi, e tu volgesti a me
gli occhi, da quei passò una forza
al core
che disse: tu
se’ mio, e parve appunto
10 una mano ferrata
che il togliesse.[119]
Di poi
piangendo, amando, sospirando[120]
son giunto
fino a tal che più non posso[121]
oltre
soffrir, né bramo altro che morte,[122]
e questa mi
darò solo che il brami.
SCENA QUINTA
La Trecca sulla porta, Gianni, l’Agnesa.
la
trecca Gianni, fatti in costà,
lasciala stare.[123]
gianni Io non la tocco.
la
trecca Né
men vo’ che parli
con lei.
gianni Parlerò dunque teco invece,
poiché n’ho
la maggior voglia del mondo.
5 trecca Buon cambio affé tu fai, come chi
suole,
non potendo
il caval, montar la sella.[124]
Or a chi
dico? Parti quinci e vanne[125]
dove né pur
t’immagini di noi.
gianni Né vo’ partir, né immaginar mi voglio
10 d’altre donne se
non se di costei,
benché l’amo
di core ed ella m’odia:
e di te
unitamente, come della
maliarda lavacecci e malalingua[126]
che sia in
tutta Romagna od in maremma.
15 trecca Messere, adagio, che sarebbe troppo
se mi avesti
ricolta dal letame.
Ma voi di
gentiluomini volete
l’onor e ’l nome, e ancor le gentildonne
più belle e
fresche chiedete in ispose
20 o pur le
amoreggiate, che cotanto
avete e molto
più di feccia d’asino.[127]
gianni Così sparli di me brutta troiata?
Né ti
vergogni? Or senti, se la mano
mi pesa.
trecca Ahimè ahimè
deserta; e questo[128]
25 mi fai? Ti
caverò occhi e capelli
se a te posso
accostarmi.[129]
gianni Nulla fia.[130]
Ben io ti
farò rosso assai più il viso.
trecca Ahimè ahimè.
agnesa Che fai? Fermati, Gianni,
lascia la Trecca
star ch’è cosa mia.
30 gianni Io la finiva affatto. Ma per tuo[131]
comando, Agnesa, e come a cosa tua
più non la
tocco e le dono la vita.
SCENA SESTA
Giacomo,
e la Trecca.
giacomo Che rumore fu questo da me udito
sin
dall’ultime stanze della casa?[132]
Trecca, che
hai? Perché sì rabuffata[133]
e piangente
sei? E pare ancora
5 che alcune
ammaccature abbi sul viso.
trecca Dirò, signor. Per essere nel vostro
servigio così
attenta, e non volere[134]
ch’altri
parli all’Agnesa ciò m’avvenne.
Il danno è
mio, l’utilità fu vostra.
10 giacomo Ma qual fu che voleva vagheggiarla?
Perch’ebbe anco l’ardir di maltrattarti?
trecca Udite: mi stava io nella cucina
attenta a’ miei stavigli, e nella via[135]
odo una flebil voce che parlava
15 con persona di
casa e che diceva
molte parole
dolenti amorose.
Io che del
vostro onor alla custodia
e dell’Agnesa veglio sola in casa,[136]
tosto
precipitai giù per le scale
20 e pianamente
questa porta aprii[137]
della strada.
Allor vedo Gianni sotto
della
finestra a cui era l’Agnesa,
come sta il
cane sotto della carne
che pende in beccaria. Gli denonziai[138]
25 tosto che si
partisse, sotto pena
dell’ira mia
tremenda.[139]
si
sarà meglio accostato, non è
vero?
trecca Non
s’accostò. Ma tra noi due
seguirono
parole.
giacomo E fatti ancora,
30 com’io
mi penso, anzi ben vedo espresso.
trecca Siete
indovin. Mirate come ei m’ha
concia
per la giornata della festa,
che
in capo non ho treccia che sia mia.
E son
graffiata come aia da’ polli.[140]
35 Ma così va. A
servir ciò si guadagna
e servir come
se si fosse li
padroni stessi;
e conservar le loro
cose come se fussero le proprie.
Ti so dir io
ch’anche Crivello arebbe
40 ciò fatto. Anzi
egli avrebbe aperta ancora[141]
la porta, se
non era la finestra
bastante.
Ora, padron, vedrete di chi
vi dovete
fidar. Ben vi prego io
quando a me
venga un dì da maritarmi,
45 che a voi
sovvenga di mia fedeltate.
E che di
queste busse mi paghiate
il frutto
coll’accrescermi la dote.[142]
giacomo Non dubitar. Va dentro, e tuttavia
segui a far
fedelmente; che n’avrai
da me tal premio col debito tempo
50 da benedirne chi
ti percosse ora,
e chi ti
batterà nell’avvenire.
SCENA SETTIMA
Giacomo solo.
Come
s’inganna l’uomo! Io mi credea
che
di due servi cui pasco e sostengo,[143]
l’uno
discreto fosse, e l’altra no:[144]
per
la maladizion del sesso imbelle
5 che
sempre tende al peggio in detti e ’n fatti.
E
pur quando dei due, l’una peggiore,
e
l’altro miglior fosse, non sarebbe
ciò
poco; poi di due braccia e due piedi
ha
gran ventura l’uom quand’un n’ha sano.
10 Or
vedi come fortunato io sono
che
famiglio e fantesca son sì buoni![145]
E
posso viver col mio cor contento
di
giorno e notte, come fossi io stesso
in
casa a ben guardarla e custodirla.
15 Or
dell’Agnesa che pensar mi debbo?
Nol so. Certo lo starsi alla finestra
esser
può effetto di curiosità;
ma
poi tenir a bada un uom che parli,[146]
(anzi
fur due) può aver dell’amoreggio.[147]
20 Pur
non mi vo’ d’intorno a questo rompere
il
capo. Ognuno sa che le fanciulle
da
marito lo cercano da sé
naturalmente,
e senza forza o prieghi.
A
me basta d’aver in casa chi
25 abbia
due occhi in testa, ed uno solo
ma
acuto nella mente, e all’intelletto
unisca
una fedele volontate,
come
fanno costor cui lodo, e un giorno
ancora
premierò del ben oprare.
30 Ma
non credano già Minghino e Gianni,
ch’io
leggermente per passarmi sia[148]
il
loro ardir e l’insolenza matta[149]
di
battermi i due servi come han fatto.
Chi
la fa se la si scorda; a cui vien fatta
35 la
memoria è di sé troppo cortese.[150]
Oggi
non posso, poiché sera è quasi;
ed
ho alcune faccende, e dopo quelle
a
cena devo andar con certi amici:
ma
la dimane voglio girne io stesso
40 al
sindacato, e vogliomi appellare[151]
della
costor ingiuria. Se sarà[152]
in
Faenza giustizia ben vedranno
i
mariuoli, se più possa il loro[153]
impronto
ardire, o pur la mia prudenza.[154]
45 Intanto
a me conviene confortare
così
il famiglio, come la fantesca
a
ben oprar nell’avvenir qual fanno,
e
custodir la casa spezialmente
ista
notte; poiché nelle sue cose
50 chi
con timor cammina e vigilanza
può
salvo dirsi e vivere sicuro.
ATTO
TERZO
SCENA
PRIMA
Giacomo, la Trecca,
Crivello.
giacomo Tu
vedi, Trecca, che Crivello ancora
è
maltrattato, ed è fedele come
tu
se’, né per disuguaglianza alcuna[155]
hai
di lui che lagnarti. Ognun di voi
5 fe’ il suo dover, ognun n’ebbe la mala
ventura
e fu battuto molto bene.
Della
qual cosa, sebben prima vosco
mostrai
burlarmi e non farne gran caso,
sappiate
che ne son molto dolente,
10 e
l’ingiuria mi spiace fatta a voi
sì
fortemente come fosse a me.
Però
vo’ far due cose molto giuste.[156]
In
prima farò a te quando che sia
Trecca,
tal donativo in oro e argento,
15 che
ne avrai buona dote, acciò giammai
non
ti raffreddi ma raddoppi la
custodia
dell’Agnesa, ripulsando[157]
ogni
amatore che a tentar la venga,
o
per sé stesso, o per mezzani, e lettre.[158]
20 Secondo
io voglio che sappiate entrambi
che
delle ricevute battiture
n’avranno
il guiderdon Gianni e Minghino:[159]
poiché
vo’ querelargli al podestà[160]
diman di buon mattino, e non partirmi
25 da
lui s’ei non ne fa giusta vendetta.
trecca Signor, Minghino avrà ragione
avuta
di
batter quel tristo di Crivello.
Onde
potreste la querela solo
drizzar
contro Gianni che me offese.
30 crivello Odi
la scempia e in un maliziosa:[161]
anzi
solo Minghino si fu il reo
a
scuotermi il giubbone; e a sonar te
Gianni
si meritò una corona.[162]
giacomo È naturale che a ciascun di voi
35 pesin le sue, e ch’odio abbia e vendetta
più
contro l’offensor suo che con altri.
Ma
d’altra sorte è l’affar mio, che d’ambi[163]
ho
il vituperio e l’onta ricevuta,
chi
il cane batte più il padrone offende.[164]
40 Però
basti di questo: a me lasciate
la
cura, e mi saprò cacciar le mosche.
Or
ciò che voglio dirvi (e pur mi cale
quanto
cosa del mondo) è che istasera
cenerò
fuor di casa e dormirò,
45 sì
che non mi vedrete fino a giorno.
Tu,
Trecca, all’ore ventitré farai[165]
che
sien tutte serrate le finestre.
E cenato che avrai, porraiti in
letto
con
l’Agnesa, vedendo destramente[166]
50 di
legar al suo braccio una fettuccia
il
cui capo tu tenga nella mano
per
far ch’ella scappate non sciorini,[167]
né
vada pianamente alla finestra.
E
tu, Crivello, serrerai la porta
55 di
dentro a chiave, posti prima a suo
luogo
col lume i chiavistelli fermi,
e
dopo ognuno vadasi a dormire.
trecca Padrone, farò il tutto d’ubbidirvi.
Ma
l’Agnesa sappiate che si dorme
60 alto così che il tuono non la
sveglia,[168]
e
recar la potresti dentro il fiume,
senza
che si svegliasse poco o molto.
crivello Per me serrerò a chiave ed usci e porte,
e
a riposare andrò nella mia stanza,
65 ch’ho
più bisogno e voglia di far ciò
che
d’altro.
giacomo A così far bene farai.
SCENA SECONDA
La Trecca, Minghino.
trecca Attendi un po’ ch’io vegga se il
padrone
si dilungò abbastanza. Ei se n’è andato[169]
di
buon passo, e alle mani ha più faccende,
né
credo tornerà più inanzi sera.
5 Anzi
ista notte se ne cena e dorme
fuori
di casa, onde puoi dirmi ciò
che
vuoi.
minghino Prima ti dico, o Trecca, ond’è[170]
ch’hai
sul viso cotali ammaccature?
trecca Ond’è, Minghino, che Crivello è pesto
10 pur
egli?
minghino Nol sai
tu? Perché non volle
che
a voglia mia all’Agnesa favellassi.[171]
trecca E perch’io non permisi a Gianni
ancora
il
far lo stesso, egli così m’ha concia.[172]
minghino Insomma amor fu la disgrazia sola
15 d’entrambi.
trecca Or
sia ben maledetto amore.
che
s’egli a te diletta, a me non piace.
Ma
appunto per tuo amor vedi, Minghino,
a
che mi adduco. Anzi sebben son pesta[173]
e
maltrattata, voglio dirti cosa
20 che
per tuo bene convienti sapere.
minghino E qual sarà?
trecca Giacomo
vuole a tutti
i
modi riscatarsi dell’ingiuria[174]
che
tu e Gianni facesti a noi suoi servi
minghino E in qual modo?
trecca Domattina all’alba
25 vuol
girne al capitano della terra
ed
accusarvi.
minghino Il capitano è guelfo
ed
io son ghibellino. Non mi posso
ora
star peggio. Odimi un poco, Trecca,
darebbe
il core a te di far tal cosa
30 da
porre in calma il mio possente ardore,[175]
da
ingannar Giacomino, e a un’ora stessa
render
libero me dalla giustizia?
trecca Sol che cosa possibile ella sia,
parla,
figliuolo, che io farò di tutto.
35 minghino Quando che sia Crivello addormentato,
tu devi un segno farmi e aprirmi la
porta
per un momento della casa.
trecca Gnaffe! Vedi tu un poco se la
intendi.[176]
Tu
di notte andatore, ed apritore[177]
40 di
porte, e salitore sei di scale?
Infino
a qui tal uomo ti credea
che
t’avrei preso per compare ed in
avvocato
ed in padre putativo.[178]
Ma
or m’accorgo che non è sì piano[179]
45 a
romagnuoli il credere.
minghino Or ch’è ciò,
Trecca?
Vuoi tu ch’io sia uomo sì reo,
che
se l’Agnesa conducessi meco[180]
non
la sposassi ancor? Qual altra mai
donna
feci signora del mio core?
50 E
non vuoi tu che la facessi ancora
parte
di me, quando in balia l’avessi?[181]
Sì
il farò. Né cred’io ch’ella vorrà
altrimenti:
poiché sai tu, e so io,
ch’ella
al mio ardor ritrosa non si mostra.
55 trecca Gli
è ver, e se’ da lei ben corrisposto,
come
il conosco al viso, agli occhi, non pur
alle
parole, onde mostra gradire
che
l’ami ora e che seguiti ad amarla.
Che
però fora colpa tua maggiore[182]
60 l’ingannarla.
minghino Di
ciò l’una né l’altra
temer
dovete.
trecca Ma facciam
che un segno
ti
dia, che la porta apra, ed entri tu,
e
paceficamente venga teco
l’Agnesa, e sia come sono le spose,
65 che
dicono di no e fan di sì:
e
della Trecca allor che mai sarà?
Il
padron certo non mi lascia viva,
tanto
che sputar possa.[183]
minghino Io
già ho pensato
a
questo. Con l’Agnesa verrai meco.
70 Giacomo la dimane, levi quanto
romor si vuol. Anch’io padre e parenti
ho
molti e forse i meglio del paese.
Quando
l’avrò sposata io so che il tutto
si
comporrà: poiché la cosa fatta
75 ha
capo onde pigliarsi e maneggiarsi.[184]
Già
vuol Giacomo sol, perch’io battei
il
servo suo, recarmi al maleficio.[185]
Meglio
è ch’ei mi ci rechi per le due,[186]
che
per l’una.
trecca Tu sai tanto ben dire
80 e
meco far, che mi ti do per vinta.
Ma
qual segno potrò mai farti, che
sia
da te solo inteso e non da alcuno
altro?
Pensiamo un poco. Io l’ho trovata.[187]
Vedi
colà quell’ultima finestra
85 della
casa? Il balcone io lascierò
di
serrare, ed un lume dietro ai vetri
riporrò.
Tu fallir già non potrai,
poiché
l’altre finestre appariranno
oscure,
e questa sola illuminata.
90 minghino Ottimamente parli, ottimamente
la
gherminella tua a me va a sangue:[188]
altro non resta se non
che il segreto
si
stia tra noi.
trecca Non sarà chi lo sappia.
SCENA
TERZA
Gianni,
Crivello.
gianni E
se tu dici d’avermi trovato
in
buon punto, io rispondo che ti trovo
in
miglior molto.
crivello Perché, Gianni, questo?
gianni Perché vo’ darti l’ultimo saluto,
5 e
andarmi ad affogar entro in un pozzo.
crivello Odi la bestia! E qual nuova avventura
ti
fa impazzir?
gianni Nol sai tu che se’ solo
il
segretario mio?[189]
crivello Ma non pagato.
gianni Che dunque?
crivello Non son io il messo vostro
10 e
da voi non pagato più né meno?
Le
busse ch’io ricevo chi mi paga?
Ma
volete che parli vero e schietto,
insegnatemi
il pozzo in cui volete
gettarvi,
poi meglio è ch’io mi vi getti.
15 gianni Odi l’asino!
crivello Or dite, e chi di noi
ha maggiori sventure? Io sono servo,
voi
libero. Io fatico notte e giorno;[190]
voi
vivete d’entrata e fate nulla.
Io
son battuto, e voi sano qual pesce.
20 gianni Ahi, Crivello, veder vuoi che sto peggio?
Io
sono amante, e non son corrisposto.
crivello Io ’l sapea che son vostro
segretario.
gianni Ma
non sapesti già ciò che mi disse
la
donna mia con l’ultime parole?
25 crivello Muori
tu, Gianni, o fai la gatta morta?[191]
gianni Mi disse, ahimè! Che mai più le
parlassi
né
la guardassi.
crivello E
che importa ciò a voi?
gianni Manigoldo! Che importa? La salute
la
vita, la ricchezza, l’onor mio.
30 La
salute, perché mi fe’ venire
la
febbre con quel barbaro parlare.
La
vita perch’ell’è la vita mia,
e
sì mi fugge; la ricchezza ancora,
perché
l’Agnesa è l’unico mio bene.
35 Finalmente l’onore, perché il toglie
a
me Minghino avendola in balia.
crivello Poveri amanti! E non «poveri fiori»,[192]
come
disse colui. Come mi fate
pietà!
Ma dimmi, Gianni, un poco, vuoi
40 aver
l’Agnesa?
gianni Maisì
lo vorrei.[193]
crvello Pigliala.
gianni Come
far? S’ella è serrata
e
custodita e incatenata più
che
la secchia non è da’ modonesi?[194]
crivello E pur è in me far che tu l’abbia o no.
45 gianni In qual guisa? Non le hai tentate
tutte?
Hai
pregato, hai portato doni e carte,
m’hai
fatto a lei parlar più d’una fiata,
e
sempre dura fu più che colonna.
Ultimamente
a me medesmo disse
50 e
non ad altri, che più non ponessi
piè
innanzi a lei né più le ragionassi.
crivello Dunque ella ti vietò la lingua e i piedi
ma
non le mani. Or non puoi tu pigliarla
con
mano e via condurla?
gianni S’io potessi,
55 non
lo farei con una, ma con cento.
crivello E se Crivello ti dasse il potere?[195]
gianni Come? Quando? Facciamolo ora più
tosto
che
la dimane.
crivello Adagio adagio. Prima
udire
si conviene ed accordare[196]
60 più
cose. E sopra tutto che sarà
di
me? So che poche ore fa dicesti,
se
nasce alcuna ostilità tra me
e
’l padrone, d’accogliermi in tua casa,
ma
questo è il ben servito perché a te
65 sono
mezzano. E per quest’opra mia[197]
di
valor fedeltate ed ardimento
che
sia l’Agnesa consegnarti in mano,
qual
frutto avrò? Qual don tu mi prometti?
gianni Vien qua: questi son cento scudi
d’oro
70 e
sono tuoi. Tu accorda il modo e il tempo.
crivello Quasi che non ne voglio far più nulla.
E
Gianni dona a me? Quando per lui
mi
getterei nel foco non che altrove?
gianni Pensa ch’io vo’ gettarteli di retro
75 quando
nel foco andrai.
crivello Fa’ che ti
meni
teco
l’Agnesa. Allor in casa più
non
posso star del signor mio.
gianni Verrai
a
casa mia, né più sarai famiglio,
ma
padron qual sono io.
crivello Credo che
altrove
80 e
in altra terra, non già qui in Faenza;
poi
la campana sonerà a martello.
gianni Andremo ove vorrai.
crivello
I patti fermi
sieno. Tu ti verrai a un’ora e mezzo[198]
della
notte. I’ sarò a quella finestra.
85 La
vedi? Non fallire, e darò il fischio
solito
mio. T’accosterai alla porta.
Io
pianamente l’aprirò. Tu il resto
ben
sai.
gianni Non
fallirò, farò qual dici.
Ma
Giacomo che poi farà?
crivello Non sai?
90 Dimenticava
il dirtelo. Egli cena
fuori
di casa e presso ad un amico.
E’ ci starà
fino che spunti l’alba.
Onde
tutta la notte sarà tua,
o
nostra per dir meglio.
gianni O
mio Crivello,
95 da
morte a vita ritornato mi hai.
SCENA
QUARTA
La Trecca, l’Agnesa.
trecca Figliuola mia, ista sera qui non cena
tuo
padre. Anzi starà appo gli Spadi
infino
all’alba beendo e mangiando.[199]
E
ben fa il vecchio a darsi passatempo;
5 che
in vita sua mai sempre ebbe a penare,[200]
de’
guelfi e ghibellini nelle mischie.
E
miracolo fu ch’egli salvasse
la
vita e che giungesse a possedere
quegli
averi ch’or gode ma ben tardi.
10 Con
tutto questo, quando manda il cielo
del
bene, è gran pazzia a non pigliarlo;
e
da ognuno così vorriasi fare,
fuggendo
a suo poter ogni disagio.[201]
O
Agnesa, se sapessi quanto duolmi
15 d’essere
giunta omai a quella etate[202]
in
cui tenute siamo per un nulla
noi
donne; e non son più che tra li trenta
e
li quaranta.
agnesa E che vuoi dunque
dire,
Trecca,
con questo tuo ragionamento?
20 trecca Che
tu pensar dovresti ancora in tempo
a
quello a cui fuori di tempo io penso.
agnesa Né pur con ciò t’intendo.
trecca Io
dico che
mentre
sei fresca e bella, ti dovresti[203]
unir
ad uomo tal che ti stimasse
25 e
amasse sopra delle cose tutte.
E
che fosse prudente e valoroso,
quanto
tu graziosa e bella sei.
agnesa Trecca, non è tempo di predicare,[204]
ma
di mangiar più tosto e di dormire.
30 Io
so quello che far mi si convenga
meglio
di te. So d’esser giovinetta
e
che ho bisogno di marito, come
dell’olmo
ha d’uopo la tenace vite.[205]
Poiché
mio padre è vecchio, e mi potrebbe
35 lasciar
sola ed incerta della via
ch’abbia
a tener vivendo da me stessa.
Ma
tampoco non voglio dire a lui[206]
che
mi mariti. Ben quand’egli a me
parlasse
d’accasarmi, io gli direi
40 schietto
la opinione e il senso mio.[207]
trecca O figlia, se tu aspetti ch’egli il dica,
sconcia
ti morirai di questa voglia.[208]
Buon
patto avrian le povere fanciulle
ad
aspettar l’altrui discrezione[209]
45 per
maritarsi ed uscire de’ guai.
Le
più sagge, o che il fanno da sé stesse,
o
che dicono tanto ed opran tanto
che
al fine ad accasarle son costretti.
Non
t’ama egli Minghino? E tu non l’ami?
50 Perché
non segue a tanto amor l’effetto?[210]
agnesa Or non parliam
di ciò. Lascia ch’io ceni
a
mio grand’agio e poi stia da me sola,
infin
che il sonno a ritrovar mi venga.
Tu,
poiché avrai spedite le faccende
55 domestiche,
verrai pure a dormire.
trecca Vanne, che teco tra poco sarò.
SCENA
QUINTA
La Trecca, Crivello
trecca Che ti vai aggirando per la casa,
Crivello?
Ti recai nella tua stanza
la
cena e quella omai ti si raffredda,
onde
andar ti dovresti e ritirarti;
5 e
bere e manicar e poi dormire.[211]
crivello Or tu mi fai ben ridere. Devo io
mangiar
e bere quando pare a te?
E
dormir anco? E se s’agghiaccia forse[212]
la
minestra, a mangiarla hai tu, o pur io?
10 Ben
io di te mi maraviglio assai,
che
non riffini d’andare e tornare[213]
per
casa, e vai battendo la scarpetta.[214]
Non
son queste ore da alcun lavorio:[215]
e
meglio assai faresti di dormire.
15 Siccome
anco l’Agnesa ciò faria.
trecca Come tu sei sì tenero di me[216]
e
di lei? Mi vo’ andare innanzi e ’ndietro
a
mia posta. Or è ella una bambina
che
pigli il latte? O teme la befana
20 che
non può starsi sola e addormentarsi?
Tu
ben dovresti girtene a dormire
acciò
sii pronto a portarti sull’alba
per
signorto.[217]
crivello Io non sono un fanciullo.
Io
so ciò che mi debbo dire e fare,
25 senza
che monna zucca al vento il dica.[218]
Anzi
tu ti dovresti ire a covacciolo[219]
per
venire ad aprirci in sull’aurora
e
non farci picchiar ben cento volte.
trecca Or su, vedo che getto le parole.
30 Tu
veglia quanto vuoi, ch’io fo lo stesso
poiché
se’ della razza di can botolo.[220]
crivello Il malan che t’accolga. E tu pur
vivi[221]
a
posta tua, né voller comandarmi,
ché
se replicherai parola io ti
35 farò
del grugno qual una schiacciata.[222]
[(a parte)] Ma se n’andò. So che costei
per sola
curiosità sarà d’impedimento
al
mio voler, ma i’ le farò tal gioco,
che
se n’avrà per sempre da pentire.
ATTO QUARTO
SCENA
PRIMA
Gianni
dall’una parte della scena con uno armato, e Minghino
dall’altra con un altro.
gianni La notte è buia assai, e par che il
tempo
quasi
minacci d’improvvisa pioggia.
E
se Crivello non si fosse meco,
di
dar fischiando il segno convenuto,
5 timor
avrei di non venirne a capo,
poiché
veder non posso la finestra,
ond’ei mi disse di starmi attendendo.
Però
s’egli si fosse posto a quella,
è
impossibile ch’ei non desse il fischio.
10 Dunque
meglio è aspettar, potendo starsi
quegli
occupato negli affar di casa.
minghino Io non vidi giammai sera sì bruna.
E
pur appena son due della notte.[223]
Ma
appunto perché il tempo è molto buio,
15 la
lucerna o candela della Trecca
posta
dietro i cristalli, si dovrebbe
meglio
veder. Ond’è segno evidente
ch’ella
non ha potuto ancora il lume
recare
al luogo tra noi divisato.[224]
20 Che
si può dunque far, se non attendere
il
suo voler, o sia comodità?
gianni O pena degli amanti! A quali un solo
momento
pare un’ora, un’ora un giorno,
e
il giorno un anno, e un anno più di cento.
25 Poi
ch’ebbi con Crivello concertata
la
cosa, andai per allestire il tutto,
arme,
ed armati, e tanto era io confuso
tra il desiderio, la
speranza e tema,[225]
ch’io
non trovava la porta di casa
30 e
le colonne mi parean persone,
e
gli uomin pietre. Alfin vo
innanzi, indietro,
parto,
ritorno, mi dimenticai
il
fodro del pugnale. Ma ciò è nulla
poiché
meglio è recarlo ignudo in mano.
35 E
pur con tante andate e ritornate,
e
coll’aver armato ancor costui,[226]
pareva
a me che non venisse mai
all’uopo
mio il bruno della notte,
per
venirne secondo l’appuntato.[227]
40 Or
che son giunto appena, un secol parmi
che
Crivello ritardi a dare il segno.
minghino Veramente, per quanto un uomo sia
fortunato
in amor, caro, ben visto,
e
sperar possa il tutto, e la sorte abbia
45 presa,
qual si suol dir, per li
capelli,[228]
ancor
vi è luogo e causa di temere.
A
quale amante più secondo il vento[229]
spira
che a me? Di bocca dell’Agnesa
più
volte ho udito che son caro a lei,
50 e che sopra d’ognun mi
stima ed ama.
Colei
che sempre si sta a lato ad essa,
e
la depositaria è del suo cuore,
ha
uno stesso voler col voler mio
ed
ho del favor suo prove evidenti.
55 Anzi
ella stessa mi accordò il portarmi
in
questa sera appresso questa casa
e
m’avvisò, senza ch’io più sapessi,
dell’andare
del vecchio a cenar fuori.
Onde
chi più sicuro esser dovrebbe
60 di
me? E pur tuttavia con tante prove,
ancor
non posso a men di non temere,
che
al fine ho a far con donne; e l’una e l’altra
cangiata
esser potrebbe, od ambedue.
O
vita degli amanti! Ai quali non è
65 giammai
concessa un’allegrezza intera![230]
gianni Se Crivello non fosse un uomo, e
tale
che
a me dato ha di fede mille prove,
certo
direi che mi tradì, o che meno
mi
venne di parola. Ora perché
70 egli
stesso del vecchio confidarmi
la
dimora ch’ei fa fuori di casa
in questa notte? Ed ei
perché spronarmi
a
venire a quest’ora ed a rapirla,
se
or non vuole il segno concertato
75 porgermi?
Se mi lascia nella strada
come
colonna sopra della base?
Pur
Gianni non smarrirti. Attendi e pensa,
che
se questa ti sfugge, non avrai
occasion migliore onde venire,
80 voglia
o non voglia a capo del tuo amore.[231]
minghino Il tempo scema, ed il sospetto più
s’accresce,
e il lume acceso non si vede,
e
la notte si fa più cupa e oscura.
Ond’io voglio portarmi qui vicino
85 per
avvivar della lanterna il lume,
e
poi con essa chiusa ritornarmi
a
questo luogo stesso. Andiamo Stramba.
SCENA
SECONDA
Crivello dalla
finestra, e Gianni nella strada.
crivello Gianni Gianni, se’ tu?
gianni Cos’io non
fossi,
poiché
un’ora passò, se più non è
ch’io
son ad aspettar, qual segno a strale.[232]
crivello Fratel mio, saranno ore più di due
5 ch’io
attendo per aprirti. E di ciò fu
la
Trecca strega l’unica cagione.
gianni O la strega, o la Trecca, o la
befana:
aprimi
tosto.
crivello Hai dunque una gran fretta?
Guarda
prima se alcuno è nella via.
10 gianni Rinegar mi faresti. Or che vuoi tu[233]
ch’io
guardi in questo buio dell’inferno?
O scendi, o ch’io ti do d’un sasso
in testa.
crivello Dunque ci vedi come a mezzo giorno.
Ed
hai gli occhi di gatta, e fai la talpa,
15 quando
colpir mi vuoi. Meglio sarà
ch’io
mi ritiri.
gianni Crivello,
Crivello.
Più
non risponde il manigoldo. A te
dico,
Crivello. Il diavol se lo porti.
Come
egli mi ha burlato! Ma possa io
20 morir,
se non lo pago a mille doppi
del
mancarmi così. Or che far debbo?
Che
più cresce la notte e mi vien meno
la
speranza e l’aiuto? O me deluso!
O
misero e deserto! A chi poss’io[234]
25 ricorrer
più? Star devo, o pure andarmi?
Ahi
come son tradito! Ahi me meschino!
Che
aspetto più? Che più sperar poss’io?
Amo
e sono mal visto, e in contraccambio
d’amor,
ira ricevo odio dispetto.
30 Ed
ho a fronte un rival gradito e caro.
Contro
fortuna e amor che sì m’offende
alla
forza mi volgo; e colui solo
ch’era
il mezzano e mio fedel ministro
m’inganna,
m’abbandona, è mancatore.
35 In
tal misero stato lagrimoso
che
mi rimane a far, se non morire?
Morirò
dunque, e questo ignudo ferro[235]
m’immergerò
nel sen.
Crivello
aperta la porta ed uscito nella strada, piglia Gianni per il braccio.
crivello Gianni
vien meco:
entriamo in casa. Che più tardi o
badi?
40 Vieni,
e ascese le scale troverai
l’Agnesa sola: pigliala e ne fa
ciò
che più vuoi come di cosa tua.
gianni Chi sono e dove? Son io vivo o
morto?
Non
lo so ancor: tu sol lo sai Crivello.
SCENA
TERZA
Minghino nella strada, e la Trecca parlando dentro.
minghino Or che tengo il lume io vedo assai
meno
di prima. Io credo che ista notte
per
mia disgrazia non luca la luce,
e
il foco non riscaldi. Vero è che
5 a
un cotal sarto la lucerna diedi
che la candela avrà
accorciata molto,
come
fanno la roba de’ vestiti,
che
l’accorciano acciò si assettin meglio,[236]
ma
chiudiam la lanterna, per vedere
10 se
la finestra illuminata sia.
trecca Ahi misere di noi! Soccorso, aita.
minghino Qual voce è questa che odo nella casa?
trecca Ahi Trecca e che farai? Siamo traditi.
minghino Questa certo è la voce della Trecca.
15 Che
mai fia? Se la porta aperta fosse
entrerei
tosto in casa per vederne.
trecca Pietà, pietà contro de’ traditori.
minghino Certo fu questa ancor la voce sua
di
dolor piena. Ahi che sarà? Ma pure
20 non vedo ancora aprir la
porta, ed odo
dentro
grande rumor misto con pianto.
agnesa Ahimè tradita! Ahimè misera Agnesa!
minghino Misera Agnesa?
Certo la sua voce
è
questa. E par che scendano le scale,
25 e
già s’apre la porta. Or ben m’accorgo
che
sia.
SCENA
QUARTA
L’Agnesa, Gianni, Minghino.
agnesa O tu dal lume, aita aita.
gianni In van lo chiami. E te ed il ferro
stringo.
minghino E l’uno e l’altra lascerai, fellone,
se
questa ch’io maneggio non fallisce.
5 agnesa O ciel! Questi è Minghino.
Deh mi leva,
Minghin dalle costui mani crudeli.
minghino Non dubitar, mia vita. E forze e sangue[237]
porrò
per te.
gianni In van prometti
a lei,
in
van minacci me. Con questa spada
10 saprò
difender e serbar la preda.
minghino Ciò che è parte di me non è tua preda.
agnesa Lasciami traditor.
minghino Vano è il tuo sforzo
incontro
due.
gianni Contro di
cento ancora
amor
e gelosia mi faran forte.
Cade a Minghino la lanterna. L’Agnesa si
scioglie da Gianni e menano colpi all’oscuro.
SCENA
QUINTA
Crivello con
lume che piglia per mano l’Agnesa mentre vuol entrare
in casa, e la Trecca con una scopa che percote Crivello. Intanto Gianni e Minghino rinovano il duello.
crivello Agnesa non ci entrar. Convien che
stia[238]
tu
qui a veder il fine.
trecca Io lo vedrò
che
dei lasciarla a me, o morirai
frustato.
crivello Fa’ quanto che vuoi. Non
fia
5 ch’io questa mano allenti, o che la
lasci.
agnesa O misera di me che son fuggita
di
mano al rapitor, e sono in preda
de’
servi che a noi son maggiori nemici.
trecca Lascia l’Agnesa, cane manigoldo.
10 Con
qual ragion fai schiava la padrona?
crivello Non la fo schiava: in libertà la pongo,
serbandola
a colui che l’ama e adora.
Ma
tu cessa oggimai di molestarmi,
che
se ti giungo al pel, farò di te[239]
15 più
pezzi che non hai capelli in testa.
In questo
cade la spada di mano a Minghino, e Gianni
impossessatosi di quella, torna a pigliar per mano l’Agnesa.
gianni Meco devi venir, che la vittoria
è
mia.
agnesa O me infelice, o me
perduta!
SCENA
SESTA
Carlo Carpione
Cancellieri, co’ birri, e lumi.
carlo Olà qualunque tu ti sia, costei
lascia.
Ma voi ministri di giustizia,
quanti
si trovan qui fate prigioni.
L’Agnesa liberata da Gianni si ritira in casa e chiude la
porta, e dipoi si fa alla finestra.
Or che tutti son
presi, dimmi tu
5 il
primo che tenevi la fanciulla,
qual
sei?
gianni Tosto
dirò: Gianni mi sono
di
Severino. E la fanciulla è di
Giacomo
da Pavia la quale tolsi
a
costui in guerra giusta, e lo privai
10 dell’armi
sue.
carlo E tu che rimanesti
vinto,
di Gianni al dir, dimmi il tuo nome,
e
la rissa onde nacque?
minghino Io
son Minghino
di
Mingole. Il contrasto nacque pria
perché
costui trovai che conduceva
15 colei
ch’ha nome Agnesa, fuor di casa
armato
a viva forza e la rapia.
E
a lui pure di toglierla tentai.
carlo E tu qual sei che rechi in mano il
lume?
crivello Il nome mio è Crivello, e servo sono
20 di
Giacomo, e d’Agnesa. E facea
lume
al
valore di Gianni, e di Minghino
alla
poltroneria nel tempo stesso.[240]
carlo E tu dalla granata, che facevi[241]
costì?
Che a’ modi, ed al gentil contegno
25 hai
viso di pulir ma non la casa?
trecca Messere io con la scopa me ne stava
per
isgombrar i morti dalla via.[242]
Vero
è che tutta era la mia speranza
di purgar l’aia da Gianni e Crivello.
30 Ma
la cagna fortuna fece sì
poco
men ch’io non iscopai Minghino.
Il
quale, all’opra sua sì generosa
di
difender l’Agnesa dalle altrui
mani,
e se mai poteva nelle sue
35 metterla,
ha auto sì contrario fine.
carlo Da tutti voi ciò che voluto avete
dirmi
già intesi. Ora mi volgo a te
Agnesa, e senza scender dal balcone,
vo’
che mi narri, come il fatto andò.
40 agnesa Signor: mio padre questa notte è
stato
fuori
di casa a cena, ed evvi ancora.
Per
tale assenza sua, non sapendo io
del
tradimento, Crivello introdusse
al
buio Gianni aprendogli la porta.
45 Ei,
salite le scale, in sala venne
e
trovommi che andava alla mia stanza
per
riposarmi, e per un braccio presa
trassemi a forza per la scala giù,
e
fuori della porta, e mi traea
50 dove
io non so; né il pianto a me valendo
né
le grida né il chiedere mercé.
Se
non che in mezzo della strada a tempo
Minghin s’oppose a Gianni traditore.
Ma
con fortuna avversa alla sua voglia
55 e
mia, che dopo un ben lungo contrasto
rimase
ei senza spada e perditore,
onde
Gianni rapiami tuttavia.
Voi
veniste con l’inclita famiglia,[243]
ed
ei fu preso, e in casa io mi salvai.
60 carlo Agnesa tu
con semplici parole
meglio
che altri del fatto favellasti.[244]
E
quasi oggimai so chi meno o più
colpa,
o niuna abbia nell’accidente.
Ma
il giudice assai meglio lo saprà
65 da
costor con esame e con tormenti.[245]
Tu
intanto ti riman. Voi conducete
tutti
li quattro insieme alle prigioni.
trecca Messer volete voi che sola resti
l’Agnesa? Deh, lasciatemi con lei,
70 che
nel mattino debbo pettinarla.
carlo Per questa volta converrà da sé
che
amoreggi senz’opra di mezzana.
Poiché
o rea per esame apparirai
tu
pure, o potrai esser testimonio
75 o
vero o falso ad ingrossar le carti.[246]
Ma
io scordava il punto più importante.
Giovani
udite: birri ritiratevi.
gianni e
minghino Che
vuoi?
carlo Io so ch’entrambi voi vi siete
d’ottimo
parentado e ricchi molto.
80 Però
se addosso aveste cento scudi
ciascuno,
io tosto vi libererei.
gianni Io
non gli ho.
minghino Ed io quantunque
gli avessi
non
li darei che non ho alcun demerto.
carlo Né più né men, andate col bargello.[247]
ATTO
QUINTO
SCENA
PRIMA
Ser Carlo Carpione,
Giacomo.
carlo Giacomo ella passò com’io vi dissi.[248]
In
questa terra sì ben governata,
e
in casa vostra è succeduto poco
fa,
il male e il maggior scandalo del mondo.
5 Ch’uno
introdotto fu, e amoreggiò
la
figlia vostra, e quinci la rapì,[249]
e
un altro al rapitor volea rapirla.
Ond’io stesso in persona son venuto
a
casa degli Spadi ove eri a cena
10 ad
avvisarvi del successo intera-[250]
mente.
Anzi spero ancora per quest’opra
cento
ducati almeno, oltre le spese[251]
ordinarie
e correnti del processo;
caso
che non le paghino gli rei.
15 giacomo Signor
lo cancelliere, dell’avviso
vi
ringrazio: del caso mi dispiace
al
sommo, perché a me non è di grande
onore,
agli altri è di dolore, e a voi
di
fastidio, dovendo andare attorno
20 di
notte tempo invece di dormire,
sebben
voi fate sol l’uffizio vostro.
Ma
in quanto a ciò che dite di pagarvi
cento
ducati, e del processo ancora
le
spese, caso che non sien pagate
25 dalli
rei stessi questo pare a me
giunta
peggiore a una mala derrata;[252]
e
un danno che mi fate appresso quello
ch’oggi
ricevo per mia mala sorte.
carlo Or vi par poca cosa ella, messere,
30 l’aver
io per mia sola diligenza
e
vigilanza fermati li rei,
e
i testimoni ancora, e assicurato[253]
quel
pochetto d’onor che vi restava?
Rimettendo
la figlia in casa vostra?
35 giacomo Se
questo voi volete attribuire
al
gran consiglio vostro, converrebbe
che
fosti mago, non pur cancellieri,[254]
indovinando
il bieco atto di Gianni
che
ista notte rubar volea l’Agnesa.
40 E
se lo indovinaste, siete reo
non
men d’ogni altro e della prigion degno.
Poi
dovevate anzi impedir il fatto,
che
quando era successo rimediarvi.
Dunque
se non lo indovinaste, fu
45 caso,
non già disegno lo scuoprirlo.
E
se andator di notte voi vi siete,[255]
per
meglio assicurar il vostro affare,
e
fate il birro, e il cancellier insieme,
perché
volete voi mentre son io
50 attor,
non reo che premi l’opra vostra,[256]
e
che il mio danno accresca ancor pagando?
carlo Udite. Il vostro servo non è egli
reo
quanto ognun? Non introdusse ei Gianni?
giacomo Sia ver. E che ne segue egli perciò?
55 carlo Egli ne segue che il padrone è reo
siccome
il servo, se non anche più.
E
poi la Trecca è rea quasi confessa
che
favorì Minghino più che Gianni.
E
non è rea la vostra figlia stessa?
60 Poi
con inchini e sguardi fece sì[257]
che
l’un dei due di lei s’innamorasse,
e
che n’avesse l’altro ira e dispetto?
Or
mirate se siete attore o reo,
e
se alla multa avete a soggiacere.
65 Considerate
ancora ch’io poteva
condur
prigione pur l’Agnesa vostra
e
in casa la lasciai per lo migliore.
giacomo [(A parte)] Io da
costui non potrò liberarmi
se non col soldo. Onde risolvo
dargliele
70 per
l’importunità non già per altro.[258]
[(Ad alta voce)] Ser Carlo: o bene o male
abbiate fatto,
o
reo ed innocente ch’io mi sia,
questi
son cento scudi e ve gli dono.
Ma
almen fate d’averne dai cattivi[259]
75 di
Gianni, e di Minghino mille almeno.
De’
servi miei vi dico che puniti
sieno egualmente, senza alcun perdono.
carlo Dell’affar vostro sarete ubbidito.
Del
mio non vi curate che saprò
80 non
già tosar la pecora, tagliarla.[260]
SCENA
SECONDA
Giacomo, l’Agnesa.
giacomo Escine tu che se’ rimasta sola
entro
la casa contro la tua voglia:
che
star volevi o addentro accompagnata
col
drudo, o andartene rapita.[261]
5 Escine.
È questo ciò ch’io meritava
da
te, col farti meglio, che da padre?
Col
pascerti vestirti sostentarti
come
figliuola mia, benché nol sei?
Questo
mi rendi, che te ognun credendo
10 nata
di me, per la tua colpa infame,
mi
biasimi maledica e disonori?[262]
agnesa Deh padre.
giacomo Taci e non mi chiamar
più
con nome tal; che se
pietà mel diede
ora
il rigor mel toglie, e ’l tuo peccato.[263]
15 agnesa Signor, io non peccai, ma fui
tradita.
Gianni
fu da Crivello in casa posto,
e
Minghino al romore al
pianto mio
accorse,
mentre Gianni mi menava
via
contro il voler mio sforzatamente.
20 giacomo Or
chi avvisò Minghin che ci venisse?
Che
rondava egli qui d’intorno? E non[264]
se
ne stava dormendo in casa sua?
agnesa Io non so. Forse a caso egli passò:
o
pur ci venne a invito della Trecca,
25 non
mio.
giacomo O me infelice! Che di questi
due
maledetti mi fidava tanto:
bensì
opra darò che sien puniti
dal
boia co’ due altri rapitori.
Ma
di te che far debbo? In casa mia
30 tenerti
ancor sì svergognata? Altrove
mandarti
per accrescer tue vergogne?
agnesa Fate di me ciò che volete, ma
di
colpa ch’io non ho non m’accusate.
E
se padre non siete per natura
35 e
ricusate per benevolenza[265]
esser;
né meno, invidiate a me[266]
quel
fiore per cui sol bramo la vita.
Fiore
che perderei col pensamento[267]
se
non in fatti, quando convenuta[268]
40 mi
fossi di fuggir con l’un dei due
e
se v’ho a dir di più (già che volete
ch’io
vi tenga come un dell’altra gente)
vero
è ch’amo Minghin, ma quando ancora
ottenuta
mi avesse nel contrasto,
45 di
darmi in sua balia non passò a me
pel
capo, anzi avrei fatto come feci
quando
fur presi, entrando tosto in casa
e
della porta il chiavistel chiudendo.
Qual
mentre voi picchiaste son restata.
50 Però
colà ritorno, e vi starò
sinché
provegga a me il governo d’altro
padre
o tutor che meglio fia di voi.
giacomo Veramente le forze dell’usanza
eguali
sono a quelle di natura.
55 Ond’io che usato sono con costei
quasi
con figlia per amor, mi sento
stringer il core per le sue parole,
che
ben la sua innocenza mostran chiaro
e
la grandezza d’amor. Onde a lei
60 rendo
dentro di me la grazia prima,
e
la benevolenza anzi maggiore.
Ma
chi sono costor che a questa parte
così
per tempo vengono? Sarebbe
ad
essi pur alcun duolo avvenuto?
SCENA
TERZA
Guglielmo da
Medicina, Giacomo, Barnaba da Faenza.
guglielmo Giacomo, benché l’ora e il luogo sia
anco
importuno, è forza d’un affare
che
d’importanza a voi facciam parole.
E
prima vi diciam che sommamente
5 l’accidente
a noi spiace succeduto.
E
Barnaba ch’è qui padre di Gianni,
perdon vi chiede dell’ardir del figlio.
Ed
io lo fo in persona di Minghino,
con
umili parole quanto posso.
10 D’amor
fu la lor colpa e giovinezza,[269]
e
presto n’ebber la dovuta pena;
send’ora ambi in poter della giustizia.
S’aggiunge
a ciò che la figliuola vostra,
per
buona sorte sua non fu rapita,
15 né
in altra parte condotta, e l’avete
in
casa. Onde se il fatto non fu bene
ed
anzi mal, a sorte è minor male.[270]
Dunque,
poiché l’offeso siete voi,
e
contro gli offensor ragione avete,
20 vi
supplichiam per quella che portate
a
noi benivolenza di non fare
istanza
avanti il giudice contro essi.
Ma
se volete soddisfacimento[271]
qual
sia ragionevole, siam pronti
25 a
prometterlo noi, ed essi a darlo.
giacomo Signori, s’io qual sono in casa vostra,
esser
così potessi nella mia,
e
se questa cui voi per mia figliuola
tenete,
tal si fosse; mi farebbe
30 assai
più facil cosa, acconsentendo
ai
vostri caldi uffizi, meritare
nome
d’uom moderato e di discreto.
Ma
sendo io forestiere in questa terra,
e
presso a ciò sendo l’Agnesa
nata
35 in
mezzo a voi di padre faentino,
ben
vedete che voi stessi offendeste,
a
lei facendo cotal forza e onta.
Onde
per quanto è in me (che poco è certo)[272]
m’arrendo
in tutto a i piacer vostri ai prieghi.
40 E
non sol non farò veruna istanza
contro
de’ rei. Ma anzi di donare[273]
loro
dirò qualunque sia l’offesa.
barnaba Signor mio vi ringrazio quanto posso.
Ma
che mai dite non è figlia vostra
45 questa
fanciulla?
guglielmo E
pur non è tra noi
uomo
che non la creda se non tale.
giacomo Quante cose si credono e non sono?
Ma
perché non dee l’uom ciò ch’è secreto
manifestar
senza la sua cagione,
50 ora
che il caso d’ista notte il chiede,
dirò
il vero dell’esser di costei.[274]
Guidotto
da Cremona a me bambina
la
consegnò già in Fano, nei momenti
ultimi
di sua vita, e mi pregò,
55 per la nostra amicizia di molti
anni,
che
com’ei per figliuola già tenuta
l’avea, per tale la pigliassi anch’io.
E
che gli averi suoi ei mi lasciava
(né
pochi erano) acciò onorevolmente
60 a
tempo e luogo avessi onde sposarla.
Chiesto
da me dipoi come in sue mani
venuta
fosse, mi rispose che
quando
Faenza fu da Federigo
Imperator
già presa, e a ferro a foco[275]
65 il
tutto andava, entrò egli in una casa
co’ suoi armato, e la trovò deserta.
Ma
una bambina in capo della scala
vi fu che tosto presegli la mano,
e
il chiamò padre, e questa (disse) è quella,
70 amico
che ti lascio ora: e spirò
con
tali accenti.
guglielmo O
vicende mortali,
chi
può dir vostre forze e chi le aggiunge!
Sai
Barnaba qual casa si fu quella?
La
tua.
barnaba Chi ciò ti disse, o come tu
75 sapestilo?
guglielmo Niun mel disse: era io
giù
nella strada, quando a forza d’armi
e
come cosa sua prese Guidotto
le
tue mobilie, e benché espressamente[276]
la
tua fanciulla non potei vedere
80 (che
creduta fu allor perduta o morta)
certo
per ciò, che Giacomo ne dice,
e
a lui Guidotto raccontò, costei,
Barnaba, è Agnesa tua.
barnaba La maraviglia
e
la pietate, e la speranza insieme
85 la
mia credenza tengono sospesa.[277]
giacomo Uno stupor medesimo provo io.
Pur qual via vi sarebbe di venirne,
o
Barnaba, perfettamente in chiaro?
Poiché
al certo l’Agnesa oggi perdendo
90 la
mia paternità, miglior l’acquista,
amico,
in voi.
guglielmo Ancora in parte si
rifarebbe
il discapito d’onore,
che
feo testé la misera fanciulla,
poiché
rapita fora dal fratello.
95 barnaba Or mi sovvien di cosa, benché tardi,
che
far potrebbe indubitata fede[278]
d’esser
costei mia figlia. Deh se mai
Giacomo
io meritar posso di voi,[279]
al
mio dubbio al mio amor non dinegate
100 che
mirar possa la fanciulla io stesso,
e
col vostro consenso anco parlarle.
giacomo Facciasi quel che più volete. Agnesa,
esci
ti dico Agnesa, il padre tuo
ti
chiama.
SCENA
QUARTA
Agnesa, e detti.
agnesa Se non è
miglior di voi
quel
padre che mi chiama, io torno in casa.
giacomo Forse
fia, volgi in qua, mira costui.
agnesa Qual è? Che da me vuol? Forse rapirmi
ei
pur? Io mai non vidi uom di tal sorte.
5 giacomo Deh
non isbigottir, rispondi e fa’
quanto
ei ti dice. Tu sai qual custodia
sinor ti feci, e se sgridaiti,
forse
oltre
il dover, della colpa non tua
e
di ciò che t’avvenne in questa notte.
10 Vuoi
ora ch’io t’inganni? Ed in potere
altrui
ti ponga io stesso? Orsù fa core.
Lascia
costui che ben ti rimiri, e parli
anco
a suo modo.
agnesa
E che di poi per giunta
n’avverrà?
Vuol forse ei dimandarmi[280]
15 in
isposa? Non fia. Dico di no
pria
ch’egli parli.
barnaba Dimmi Agnesa,
i tuoi
anni
quanti saranno.
agnesa Di
gran lunga
meno
de’ vostri.
barnaba Digli in ogni modo.
agnesa Diciasette.
Onde voi vedete che
20 sono
de’ vostri almen tre quarti meno,
poiché
n’avrete ottanta. E per ciò dico
che
se voi mi volete, io non vi voglio.
barnaba Li diciasette
appunto m’abisognano.[281]
agnesa Ma non già i miei.
barnaba Appunto i tuoi.
agnesa Potete
25 farne
senza, perché mai non mi avrete.
barnaba Ti ebbi, ti perdei, ed or ti acquisto,
se
fia ver ciò che io penso, e s’abbi ancora[282]
certo
segnale ch’ora vo’ vedere.[283]
agnesa Giacomo, io ben non so chi sia
costui.
30 Ma
credo ch’ei sia pazzo. E qual segnale
vuol
veder ei?
giacomo Mostragli ciò ch’ei vuole:
non
dubitar.
agnesa Non dubito, ma tengo
per
certo ch’egli è un giuntator solenne.[284]
Di
voi ben istupisco che a sue fole
35 crediate.
giacomo Io
vo’ levarti fuor d’errore.
Sappi
che tu nascesti faentina,
e
che la terra tua a ferro e a foco
andando
per assalto de’ nemici
la
casa tua fu saccheggiata e presa
40 tu
fosti via condotta ancor fanciulla,
e
a me poi consegnata da quel tale
che
ti prese e condusse. Ora costui[285]
che
incolpi a torto come ingannatore,
tutti
sappiamo ch’è di quella casa
45 in
cui trovata fusti, il padron vero.
Ed
ei sol cerca nel tuo corpo un segno
che
avea la sua figliuola, e che tu arrai
per
certo. Onde perché vuoi far contrasto?
agnesa Intendo così al buio. Or qual, buon
uomo,[286]
50 parte
del corpo io dimostrar ti deggio
per
venir tua figliuola interamente?
barnaba T’accosta e lascia che t’alzi.
agnesa Qual cosa?
barnaba I capelli di dietro ad una orecchia.
agnesa Sia fatto quando alzar altro non
vuoi.
55 barnaba O me felice! O sospirata e cara
parte di me! Quest’è mia figlia.
Vedi
Guglielmo
tu questa crocetta rossa?
La
vedi tu pur Giacomo?
guglielmo La scorgo.
giacomo La veggo.
barnaba Or sappiate che bambina
60 sendo costei, in questa parte ell’ebbe
certa
nascenza cui tagliar convenne.[287]
E
le restò dal taglio del cirurgo
un
cotal segno.
guglielmo O
grande maraviglia!
Ciò
che già fu disgrazia, or è salvezza!
65 giacomo Dunque
tu Agnesa nel cangiar il padre
poca
perdita fai, molto guadagni,
onde
teco e col padre mi rallegro.
agnesa Ma qual è questi
che mi divien padre?
giacomo Egli è de’ più gentili ed onorati
70 e
ricchi di Faenza: se non fosse
poco
gradito a te, sol perch’è padre
di
Gianni.
agnesa Dunque Gianni è mio fratello?
giacomo Non men di quello che Minghin ti
sia
gradito
amante.[288]
agnesa L’uno e l’altro in sua
75 persona
mi è gradito s’è così.
E
Barnaba egualmente, s’è mio padre.
barnaba Orsù Giacomo addio. Figlia m’attendi
infin
che il tutto al giudice riporto,
acciò
i giovini sien liberi, e i servi.
80 giacomo Barnaba
i servi miei, meritan castigo,
ma
dono il tutto alle allegrezze vostre.
Onde
in tanto qui in casa, con la figlia
vostra
pur essi liberati attendo.
guglielmo Barnaba andate, ch’io tosto vi seguo
85 per
ragionarvi d’importante affare.
SCENA
QUINTA
Ser Carlo
Carpione, Guglielmo.
carlo Qual novella allegrezza inusitata[289]
è
questa ch’io ravviso in tutti voi?
Le
genti allegre poco fan per me
più
straggi e morti che ci sono, e più
5 furti
violenze danni rapimenti,
io
son più lieto. Ma la gioia altrui
mi
fa morir di duol di fame e stento.
guglielmo Siete dunque di schiatta di bechini,
che
ridere non san, s’altri non piange.
10 Or
m’udite che voglio consolarvi.
Per
l’accidente ch’è successo questa
notte
più un soldo voi non beccherete.[290]
carlo Perché?
guglielmo La parte offesa è una sol cosa
con
l’offensor.
carlo Come ciò fia non so.
15 guglielmo Perché l’offensor
Gianni che fu preso
è
fratel dell’Agnesa.
carlo E ancor Minghino
sarà
germano per dritta linea.
E
che? Volete farci travvedere?[291]
O
ci credete asini della Marca?[292]
20 guglielmo Minghin tra poco
non sarà cugino
ma
sposo dell’Agnesa se le mie
preghiere
valeranno. I servi poi,
o
marciran nelle prigion, o
tosto
fien liberati, né avrete per ciò
25 oro
da tranguggiar.
carlo Or
voi sapete
poco
di malefizio; e quel medesmo[293]
onde
fuggir si pensano le spese
questi
signor, farà che più incontrino.
guglielmo In qual guisa?
carlo Non vogliono i due servi
30 lasciar
prigioni?
guglielmo Appunto.
carlo Io gli porrò
alla
tortura, e formerò il processo
di
vita e mori sopra de’ padroni.[294]
E
sì vedrem che gherminelle fieno[295]
queste,
di affratellarsi, di sposarsi,
35 per
fuggire il giudicio e ’l parentorio.[296]
guglielmo Potete querelare, e processare
quanto
volete e quali e a vostra posta;
poi
non farete natura cangiare[297]
alla
natura né amore all’amore.
40 Li
fratelli saran sempre fratelli,
e
gli sposi fien sposi in ogni modo,
e
s’ameranno fino in infinito.
Date
tormenti, formate processi
quanto
a voi piace.
carlo Appunto il matrimonio
45 che
si vuol far tra Minghino e l’Agnesa
troverò
io di scioglier per la via.
guglielmo [(A
parte)] O potess’io veder costui impiccato!
[(Ad alta voce)] Ma se si liberassero?[298]
carlo Farò
né
più né meno l’inquisizione[299]
50 se
cause dirimenti delle nozze[300]
ci
sieno, cercherò. Se non ci sono
le
inventerò.
guglielmo Puoi
cercare inventare
staccare,
ch’essi s’uniran più stretti.
Or
volete ser Carlo ch’io vi dica
55 la
cosa come sta? Non è terreno
questo
da vostri ferri. Onde potete[301]
ripor
le penne dentro il calamaio
che
avete assai men duro della testa,
poi
nulla scriverete in nostro danno.
60 Però
andate col diavolo, che noi
dobbiamo
ad altro attender che alle vostre
gherminelle
sofismi arti calunnie.
carlo Dunque vi lascio, e voglio andar
pur ora
a
esaminar li due servi, Crivello
65 e
la Trecca, e veder di scriver tanto
che
possa civanzar altri dugento[302]
scudi,
oltre i cento che già piluccai.
SCENA
SESTA
Guglielmo,
Barnaba, Minghino.
guglielmo Se il Cancellieri non mi trattenea,
amico,
prima d’ora io ben raggiunto
vi
avria, ma perché sol Minghino
vosco?
E
Gianni si restò nella prigione?
5 barnaba Pensalo tu; s’io di salvar gli altrui
figli
avrei cura, e non li miei. Mandai
Gianni
per altra parte a consolare
sua
madre, onde Minghino sol vien meco.
guglielmo Appunto, or che Minghin
viene con voi
10 e soli vi ritrovo, abbracciareste
o
Barnaba un affare, che potria
esservi grato e d’allegrezza ed
utile?
barnaba Maisì l’abbraccierei.[303]
guglielmo
E tu Minghino
faresti
cosa di tuo piacer sommo?
15 minghino Non dubitar che la farei ben tosto.
guglielmo Dunque a voi prima, o Barnaba, mi volgo.
E
dicovi che sempre l’uom prudente,
nelle
cose d’onor, non solo il fatto
impedir
dee, ma il semplice sospetto.
20 barnaba Voi ben parlate.
guglielmo Un’altra
mira ancora
dee
l’uomo aver. Che quando alcuna gara
o
rissa vien tra due rappatumata,[304]
tra
lor la pace assai durevol sia,
e
se mai far si puote ancora eterna.
25 barnaba È ottimo l’avviso. Ma che poi
da
tai discorsi volete inferire?
guglielmo Tosto vel dico.
Voi sapete che
per
mezzo mio la scorsa notte prima
nella
prigion la pace fu conchiusa[305]
30 tra
Minghin qui presente e Gianni ancora:
e
che di poi vo’ ed io unitamente
alla
casa di Giacomo n’andammo:
il
qual ratificò tal pace, e insieme
ci
disse che l’Agnesa sua non era
35 ma
vostra figlia; e voi ve n’accorgeste
e ne veniste interamente
in chiaro.
barnaba Sin qui va ben. Ma che avete di più?
guglielmo Io dico che a Minghino
qui presente
l’Agnesa dar in moglie voi potreste,
40 e
dovete non men. Dimmi Minghino
la
piglierestu?
minghino Se
la piglierei?
Non
sapete, messer, che quasi morto
sono
per lei d’amor, d’ira e dispetto?
guglielmo Or Barnaba così rimedierete
45 alla
fama non buona dell’Agnesa,
ch’è
per uscir dopo il notturno fatto.
Rimedierete
al foco di costui
e
farete in Faenza un parentado
illustre
e chiaro, e una durevol pace,
50 che
gl’inimici diveran cognati.[306]
barnaba Sia fatto.
minghino O padre, mio secondo, e dolce
suocer v’abbraccio e vi bacio per gioia.
guglielmo Serbati di baciare ed abbracciare
l’Agnesa. Or ve n’andate tutti in casa
55 ch’io
torno al capitano della terra,
per
dirgli il fatto, acciò quella feccia d’asino[307]
del cancellieri non segua più oltre
nel
processo.
barnaba Or
ch’è ciò? Che far vuol egli?
Mi
dici tu di Carlo Carpione?
60 Quel
di faccia lavata e ricamata[308]
alquanto
dal vaiuolo che il naso ha
aquilino
e certi occhi molto bianchi?
A cui fu posto il sopranome di
Carpione,
poiché il pesce di tal nome,
65 dicono
che si pasce d’oro e vive?[309]
guglielmo Quel dico. Sappi ch’egli poco fa
si protestò di voler di danaro
una
summa già così mezzana:
se
no vuol seguitare a far processo.
70 barnaba Io spero un dì che un tal processo facciasi
sopra
di lui e ch’egli vada sopra
una
galera, o per dir meglio forca.
SCENA
SETTIMA
Ser Carlo
Carpione, Crivello, la Trecca.
carlo Possibile? Di quattro che pigliai
oggi
pesci alla rete e a caso al varco,
che
i più grassi mi fuggano, e li magri
restino?
Io ben non so, ma ohimè infelice,
5 vuoi
tu veder che questi manigoldi
ancor
dall’unghie mi saranno usciti?
Torna
il tempo che parlano le bestie,
poiché
la volpe e il becho vanno insieme.[310]
Ditemi:
come siete di prigione
10 usciti?
crivello Per
la porta e con li piedi.
carlo Or vedi che ne uscisti con le
natiche.
trecca Messere e tu, che mago in apparenza
e
in sostanza sei asino, in qual modo
di chiasso uscisti, di berlina e
peggio?[311]
15 carlo Madonna poco fila, vuoi tacere?[312]
O
ch’io t’acconcio per il dì di festa?
In
somma chi vi diede il ben servito
ad
ambi dalle mani e piè del boia?
crivello Non so: ma certo i birri tuoi devoti
20 in libertà ci misero e
ci aprirno.
Anzi
Guglielmo, che incontrammo or ora
ci
disse che Minghin sposo è d’Agnesa,
e
che lo sposalizio oggi si celebra.
carlo Oggi fan nozze questi sciaurati,
25 che
il diavolo si muoia a quell’odore?
trecca Sì fanno. Ma se tu volessi mai
servir
di spaventacchio ai fanciullini,[313]
ci
protesti venir, con quel tuo ceffo[314]
da
cataletto. Ma non creder punto[315]
30 di
manicar; poiché il danaro avuto
per
la libertà nostra ti ha legati
i
denti.
crivello Sai ciò che puoi far? Andarti
di
là dal mar ove impalano i turchi,
che posto in alto a contemplar le stelle,
35 ti
diranno in latin che chi non habe
non pote dare.[316]
carlo È meglio ch’io mi tolga
a
costoro di mezzo, che fariano
morir
di rabbia di Pasquin la statua.
Addio
ladron, e tu sozza e sfacciata[317]
40 trombetta
resta in pace: a un’altra volta,[318]
disse
alla volpe il cacciator, allora
che
si fuggì e lasciò tra lacci il pelo.
Crivello
crivello Spettatori: restatevi contenti
e
vi liberi il cielo da ser Carlo,
45 quanto
dalla moria da peste e fistolo.[319]
Noi
ce n’andiamo a nozze, poiché già
mandò
il nostro padron per liberarci,
Giacomo
dico, e ci pagò le chiavi,
e
l’altre spese tutte. Voi con mani
50 e
voci, se la nostra favoletta
vi
piacque, almeno dateci il buon pro.[320]
Bibliografia
Bibliografia su
Giulio Cesare Becelli
Asor Rosa, Alberto, Becelli, Giulio Cesare, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, vol. VII, 1965, pp. 502-505.
Bertana, Emilio, Un precursore del Romanticismo (Giulio
Cesare Becelli), «Giornale storico della letteratura italiana», XXVI (1895), pp. 114-140.
Caliaro, Ilvano, Il protopurismo di Giulio Cesare Becelli, in La nascita del Vocabolario, Atti del Convegno
di Studio per i quattrocento anni del Vocabolario della Crusca, Udine 12-13
marzo 2013, a cura di Antonio
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Per le ricerche di alcune occorrenze nel corpus della letteratura italiana si è consultato il sito www.bibliotecaitaliana.it
[1] Vicario della Casa de’ Mercatanti:
magistrato che, assistito da tre consoli, giudica le cause commerciali in un
foro apposito (appunto, la Casa de’ Mercatanti).
[2] ludovico nogarola, sebastiano murari, girolamo giuliari: i tre dedicatari sono membri di nobili
famiglie veronesi, di cui le Genealogie
veronesi di Eugenio Morando di Custoza (Verona, s. e., 1980) possono
fornire qualche dato utile ad una possibile identificazione. Un Ludovico Nogarola sposa Anna Maria Curti, dalla quale ha due figli, Marc’Antonio e Ferrante (nato nel 1718) e fa testamento nel
1745 (p. 214); un Sebastiano Murari è figlio (di seconde nozze) di
Gianfrancesco (che aveva sposato in prime nozze Isabetta
Becelli) e si sposa con una Giulia Bra il 3 ottobre
1714 (p. 200); un Gerolamo Giuliari, nato nel 1700,
sposa Beatrice della Torre e muore nel 1784 (p. 143).
[3] in buona parte: con accoglienza
favorevole. ♦ contribuire:
assegnare, attribuire.
[4] giacomo: in Boccaccio, Giacomin(o).
[5] guglielmo da medicina: in Boccaccio, Guglielmino
da Medicina.
[6] barnaba da faenza: in Boccaccio, Bernabuccio.
[7] ser carlo carpione Cancellieri: nella stampa occorre sempre la forma
«cancellieri» invece del singolare «cancelliere» per indicare il ruolo
istituzionale del personaggio.
[8] fastidio e noia: dittologia sinonimica,
presente in Guittone d’Arezzo, Canzoni
ascetiche e morali, XXIX (Il dovere e
il piacere d’amare Iddio e gli obblighi dei frati).
[9] anco [...] noiose: la ripresta in
polittoto noiose - noia accentua la deminutio stilistica e
concettuale tra la battura del padrone e quella del servo, come da tradizione
comica.
[10] basso e vile: altra dittologia, più
frequente della precedente e di autorizzazione dantesca (Purg. XII 62).
[11] sperienza:
aferesi di ascendenza toscanista che si riscontra anche in forme dialettali.
[12] attempatetto: già
registrato in Vocabolario degli
Accademici della Crusca, Venezia, Giovanni Alberti, 1612 (d’ora in poi Crusca), con rimando a Decameron VI 4.
[13] decente: conveniente, adatto. Registrato
in Crusca (come latinismo) solo a
partire dalla terza edizione, ma presente nel Filostrato e nella Commedia delle ninfe fiorentine.
[14] sieno: è forma che Becelli preferisce di gran lunga
a siano (cfr. Maurizio Vitale,
Conservatorismo
classicistico e tensione innovatrice in un letterato veronese del primo
Settecento: G. C. Becelli, in Id.,
L’oro della lingua. Contributi per una
storia del tradizionalismo e del purismo italiano, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1986, pp. 383-506 470). Altre
occorrenze in III.3.83, V.1.77, V.5.51.
[15] dimestiche: raro
caso di i nella sillaba iniziale
delle formule re- e de- secondo i modi fiorentini tradizionali,
benché «l’uso becelliano rifletta generalmente il suono della lingua letteraria generalizzata»
(Vitale, p. 446).
[16] sé / movente: nella Crusca 1691, unito; la scrizione staccata, pur autorizzata dal
latino, accentua l’andamento prosastico del testo e la pseudoscientificità
del discorso di Giacomo, subito messa in burla dalla replica di Crivello.
[17] in visibilio: la stampa riporta unita (invisibilio) una locuzione
registrata con scrizione staccata, e sotto il lemma «andare», a partire da Crusca 1623 —con rimando al Pataffio (1360-1390, anonimo, ma ora
attribuito a Franco Sacchetti)— dove
però è spiegata come «andare in cose che non si veggono,
o non si conoscono, mentre qui ha il senso di ‘far diventare invisibile’, forse
in quanto strafalcione linguistico del servo. Secondo bibliotecaitaliana.it
(15/02/2018), la locuzione è solo in Burchiello, Rime, LXXIV 13.
[18] Agnesa: nella novella di Boccaccio il nome viene detto solo nelle ultime righe.
[19] comune: comunità (nello stesso senso in
cui ancora don Abbondio può dire di essere «servitore del comune»).
[20] mentr’: quando.
[21] unquanco: mai. Frequente in poesia, ma
arcaismo già ai tempi di Becelli.
[22] gentilmente [...] pensieri: la figura
etimologica mette in realtà in scena la dialettica tra nobiltà di nascita e
nobiltà d’animo che già Dante aveva mostrato non necessariamente coincidenti. E
infatti gentili atti e pensieri è
locuzione di stampo stilnovistico, anche se non attestato in questa forma: atti gentili in Boccaccio, Ninfale fiesolano, 49, 7.
[23] fazioni: quadrisillabo. Il lamento sulle
divisioni d’Italia provoca un innalzamento metrico e stilistico rispetto al
livello medio del testo.
[24] già [...] ghibellini: l’identificazione
tra bianchi e guelfi da una parte e ghibellini e neri dall’altra è
evidentemente una disinvolta semplificazione, che inverte la successione
storica e che è anacronistica rispetto al tempo in cui è ambientata la vicenda.
[25] giornali: giornaliere. Registrato in
questa accezione solo in Crusca
1863-1923.
[26] Trecca: in Boccaccio, senza nome
proprio, ma definita «una fante attempata».
[27] guarda: sorveglia.
[28] cfr. I.1.62.
[29] alfine [...] ordinario: consueto, quasi
obbligato, inserto misogino, per altro almeno parzialmente sconfessato dall’atteggiamento
di Agnesa durante la commedia.
[30] mezza terza: sette e mezza.
[31] fa sì che badi: sorveglia, sta’ attento.
[32] disusati: diversi dal solito, quindi
sospetti.
[33] e la [...] disapparecchiata:
endecasillabo anomalo, di 3a e 10a. Disapparecchiato non è attestato né dalla Crusca né in bibliotecaitaliana.it
(15/02/2018).
[34] Parola non fa buco: una parola non fa
danni, né lascia tracce. Proverbio diffuso in realtà nella versione «bacio non
fa buco». Il contesto e le qualità del parlante legittimano un ammiccante
rinvio alla sfera della sessualità.
[35] ch’io non sarò: ch’io non sarò frustato
(cfr. I.2.9). Forse caduti i puntini di sospensione, richiesti dal senso.
[36] voi non intendete: tipico delle battute
di Crivello è il ricorso all’antanaclasi, che instaura insieme vivacità
dialogica e contrasto stilistico.
[37] ancora: anche.
[38] fe’: forma consueta e ormai propria della
lingua letteraria, ma con sapore anticheggiante (Vitale, p. 471). Altre
occorrenze in III.1.5 e III.3.30. ♦
leggenda: secondo Crusca 1612 e
1691 «storietta breve»; qui nel senso più generico di
‘storia’.
[39] fia: forma
largamente impiegata da Becelli (dodici le occorrenze
in questa commedia) e già con valore anticheggiante in pieno Settecento (Vitale,
p. 473). ♦ mula: figlia
illegittima, bastarda (usato per lo più al maschile: cfr. Inf. XXIV 125).
[40] perdoni: luoghi (chiese, conventi, santuari
ecc.) dove si ottengono le indulgenze.
[41] travalca: va oltre. Non registrato in Crusca, ma è probabilmente sincope,
pochissimo usata, di travalicare.
[42] adocchia: recupero dantesco (Inf. XV 22, Purg. IV 109, XXI
30), come il successivo (v. 40) sciorina
(Inf. XXI
116), qui piegato al senso di ‘esibisce’.
[43] sendo: aferesi di
ascendenza toscanista; forma appartenente alla lingua bassa e media, ammessa
dai grammatici solo nel linguaggio dei versi (cfr. Vitale, p. 476). Altre occorrenze
in V.3.33-34 e V.6.60.
[44] farla vogliano in tre pace:
vogliano far patta, cioè non far nulla. Cfr. Dec., II 10.
[45] schifar: schivare.
[46] gelosa e fiera: sintagma inedito, almeno
stando a bibliotecaitaliana.it (15/02/2018), come il
successivo vita tormentosa.
[47] debil: cultismo
tradizionale in uso nel linguaggio poetico.
[48] non [...] duoli: espressione non del
tutto perspicua: ‘non potresti provare tanto dolore quanto ne provo io (per il
tuo)’.
[49] espresso: chiaramente.
[50] dosso: schiena, come nella Commedia (ad es., Inf. XXII 23).
[51] il can dell’ortolano: che non può
mangiare le verdure, né le lascia mangiare ad altri. Titolo di una commedia di Lope de Vega (El perro del hortelano),
uscita nel 1618.
[52] golosi: affamati.
[53] scalco: «al soprastante
del convito, e che porta in tavola le vivande, diciamo scalco» (Crusca 1612).
[54] odimi [...]
coppiere: per convincere
Crivello ad aiutarlo, Gianni ricorre ad una narrazione, che sarebbe allegorica
se l’allegoria non fosse così dichiarata.
[55] sì bella [...] cara: «l’imbandita mensa, / cioè l’Agnesa», dei vv. 98-99.
[56] I.2.123-125 l’allegoria gastronomica di Gianni viene volta da Crivello in
metafora continuata, non priva di efficacia e abbassata di registro lessicale.
[57] veltro: cane da caccia.
[58] pur: (faccia) altrettanto.
[59] focil: «piccolo strumento d’acciaio, col quale si batte la pietra, per trarne
il fuoco» (Crusca 1623, sotto fucile).
[60] in voce: legalmente.
[61] far [...] foco: ripresa della metafora consueta del fuoco d’amore: ma mentre Gianni
pregava Crivello di accenderlo, la Trecca deve solo alimentarlo.
[62] Faenza: prima indicazione del luogo in cui è ambientata la vicenda.
[63] non la segue a amoreggiare?: non continua a corteggiarla?
[64] rovescio: altra allusione maliziosa.
[65] per: tramite, per mezzo di.
[66] pendenza: attrazione, come della forza di gravità.
[67] nonsoché: ripresa anodina di una locuzione messa in auge da Tasso e dalle
critiche mossegli dai suoi avversari, in particolare Bouhours.
[68] non fanno tela: non riescono a ottenere nulla (non iniziano a tessere).
[69] gocciolon: scioccone. Cfr. Dec.,
VI 6.
[70] fo: Becelli preferisce qui la forma corrente a faccio, considerata propria alla lingua
poetica (Vitale, p. 469). Altre occorrenze in III.5.30; IV.5.11; V.3.11.
[71] poi: poiché.
[72] sopravenir: «improvvisamente arrivare» (Crusca
1612, con citazioni soprattutto da Boccaccio).
[73] veggio: forma ricercata e rara alla quale qui Becelli
preferisce spesso il letterario tema velare in veggo, come in I.5.14, III.2.1, V.2.51, V.4.59 (cfr. Vitale, p.
465).
[74] spuntar [...] sole: metafora consueta del linguaggio amoroso, in tutti i generi.
[75] basso: in funzione avverbiale, in facile in antitesi a altamente del verso successivo.
[76] di cui temo sempre: che ho sempre timore che mi venga meno.
[77] chi la fa dir: cioè, il cuore, testimonio (I.5.23)
invisibile.
[78] leggenda: scritta.
[79] se d’occhial [...] servi:
se non mi fai tu da occhiale (cioè, se non leggi tu per me).
[80] al laccio: alla forca.
[81] spataffio: inedita deformazione burlesca di epitaffio,
da pataffio (che trovo in Aretino, Strambotti a la villanesca, 24).
[82] non più [...] burle: smettiamola di scherzare.
[83] cacazibetto: registrato solo in Crusca
1863-1923: «Dicesi di persona tutta profumata, attillata, leziosa», con rimando
alle commedie di Fagiuoli. Bibliotecaitaliana.it
(15/02/2018) ne registra due occorrenze, una nel Pentamerone, l’altra nei Ragguagli di Parnaso.
[84] termine: pietra di confine.
[85] fatti con Dio: vattene.
[86] ospitale: ospizio, ricovero.
[87] Ed è tale: eppure c’è un tale (cioè Gianni).
[88] per aggiunta alla
derrata: come aggiunta alla mercanzia, alla parte
principale. Locuzione proverbiale.
[89] tu medicata sei: delle ferite d’amore, poiché ha potuto parlare con Minghino.
[90] famigli: servitori.
[91] battiture: percosse.
[92] ritto [...] porta: in piedi davanti alla porta.
[93] spezial: farmacista (più sotto, spezieria,
‘farmacia’).
[94] vosco ne venni: venni con voi (‘ne’ pleonastico).
[95] ventura: caso, accidente.
[96] doppia: «Antica moneta d’oro del valore di due scudi, coniata in Italia fin
dal sec. XVI».
[97] giacco: giacca pesante, usata anche in battaglia. Il lemma non è presente in Crusca.
[98] non opri: non funzioni, quindi
non faccia danni.
[99] gli altri: cioè Agnesa.
[100] sciolto il congresso: terminato il colloquio.
[101] disturbo: complicazione.
[102] lascia: aspetta.
[103] continua / mente: tmesi.
[104] guarnello: «vesta bianca, fatta di panno, tessuto d’accia, e bambagia, ilqual panno similmente è detto guarnello» (Crusca 1612).
[105] la volpe [...] averlo: applicazione (un po’ forzata) al caso presente della nota favola di
Esopo: con la differenza che il formaggio (Agnesa) è
già in possesso della volpe (Trecca), per cui il corvo (Crivello) non riuscirà
non si dice a tenerlo, ma tantomeno a prenderlo.
[106] digli: normale, a questa altezza cronologica, il pronome personale complemento
maschile per il femminile.
[107] vagheggiar: contemplar[la], «da vago,
per amante, fare all’amore, cioè stare a rimirar fisamente con diletto, e
attenzione l’amata» (Crusca 1612).
[108] quanto io vaglio: quanto posso.
[109] affè: in verità, davvero.
[110] assiderato: «agghiadato [congelato], e quasi morto di freddo» (Crusca 1612).
[111] mi leva il poter: mi impedisce.
[112] meschino: poveretto.
[113] stordisce: perde conoscenza.
[114] attonito: «stupido, e quasi insensato» (Crusca
1623).
[115] fierezza: ferocia.
[116] a che ti stai?: che cosa aspetti?
[117] con la: a causa della.
[118] sarà [...] in luogo: farà le veci. ♦ refrigerio:
«rinfrescamento, conforto» (Crusca
1612).
[119] Io [...] togliesse: tipica sceneggiatura stilnovistica. ♦ ferrata: ricoperta di ferro.
[120] Piangendo, amando,
sospirando: «servendo,
amando, / piangendo, e sospirando» (Torquato
Tasso, Aminta, V coro, vv. 2-3), da cui probabilmente «piangendo, amando, ardendo
e sospirando» (Michelangelo
Buonarroti, Oilmè
oilmè ch’i’ son tradito in Rime, 51, v. 16).
[121] più non posso: «piangendo parea dicer:
“Più non posso”» (Purg.
X 139).
[122] né bramo altro che morte: «Non bramo altro,
che morte, altra vaghezza / Non ho che del mio fine» (Giovanbattista Guarini, Il pastor fido, V.5.925-926).
[123] fatti in costà: «Fatti in costà, malvagio uccello!» (Inf. XXII 96).
[124] come chi suole, / non
potendo il caval, montar la sella: variazione
del più noto proverbio «batte la sella chi non può il cavallo»
[125] quinci: di qui.
[126] maliarda: ammaliatrice. ♦ lavacecci: «si dice a huomo
scimunito, e dappoco» (Crusca 1612,
con forma scempia e rimando al Decameron).
[127] Messere [...] asino: l’invettiva di Trecca contro Gianni è memore di quella della suocera
di Arriguccio, beffato dalla moglie, nella quale ricorre pure l’espressione
«feccia d’asino» (Decameron, VII 8,
45-46) e il successivo «troiata» (canaglia).
[128] deserta: sola, derelitta.
[129] Ti caverò [...]
accostarmi: si corregge l’attribuzione del verso da Gianni
alla Trecca.
[130] nulla fia: non importa.
[131] la finiva affatto: l’avrei senz’altro uccisa.
[132] sin dall’ultime: perfino dalle più lontane.
[133] rabuffata: scarmigliata.
[134] attenta: zelante e precisa.
[135] stavigli: forse refuso per stovigli, cioè, «generalmente tutti i vasi di terra, de'
quali ci serviamo, per mettervi entro vivanda, e diciamo più comunemente
stoviglie» (Crusca 1612).
[136] sola: non ‘da sola’, ma ‘soltanto io’.
[137] pianamente: silenziosamente.
[138] beccaria: macelleria. ♦ denonziai: ingiunsi.
[139] ira mia tremenda: lessico eroico, con effetto di autoironia preterintenzionale.
[140] come aia da’ polli: come il terreno
dell’aia dalle zampe dei polli. Efficace paragone in stile comico.
[141] Ti so [...] fatto: ironico.
[142] il frutto: l’interesse.
[143] pasco e sostengo: nutro e mantengo.
[144] discreto: avveduto, saggio.
[145] famiglio: servitore.
[146] tenir a bada: dare corda, intrattenere. Probabilmente un francesismo (da «tenir»: tenere): la forma si registra in Matteo Maria Boiardo, Orlando
innamorato, Venezia, Piero de Plasiis, 1487; Antonio Tebaldeo,
Rime, Modena, s. s., 1498; in Giambattista Giraldi Cinzio, Orbecche, Venezia, Eredi di Aldo Manuzio, 1543 e Id.,
Egle, Venezia, s. s., s. d. ma
1545-1546; Gian Giorgio Trissino, L’Italia liberata dai Goti, Roma, s. s., 1547; Bernardo Tasso, Rime, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1560.
[147] amoreggio: deverbale (a mia conoscenza, inedito) da amoreggiare.
[148] ch’io [...] sia: che non voglia dare peso.
[149] l’insolenza matta: la folle offesa.
[150] chi la [...] cortese: proverbio che ben chiude una prima parte di monologo ricca di sentenze
e luoghi comuni.
[151] sindacato: nel senso generico di magistrato (diverso il significato in Dec. VIII 5, 17,
citato già in Crusca 1612).
[152] ingiuria: sopruso, offesa.
[153] mariuoli: bricconi.
[154] impronto: sfacciato.
[155] disugguaglianza: differenza di trattamento.
[156] Però: causale.
[157] ripulsando: respingendo.
[158] o per sé: di persona. ♦ per: per
mezzo di. ♦ lettre: sincope non
rara, in versi e in prosa.
[159] guiderdon: ricompensa.
[160] querelargli: accusarli.
[161] scempia: «di poco senno» (Crusca
1612).
[162] meritò una: in dialefe.
[163] d’ambi: da entrambi.
[164] chi il cane [...]
padrone: variazione sul più noto proverbio «si tratta bene
il cane per rispetto del padrone».
[165] all’ore ventitré: un’ora prima del tramonto, che all’epoca coincideva con le ore 24.
[166] destramente: abilmente.
[167] scappate non sciorini: non riesca a fuggire (per sciorini,
v. I.2.40 e nota)
[168] alto così: tanto profondo.
[169] si dilungò: si allontanò.
[170] ond’è: per qual causa, come mai.
[171] a voglia mia: a mio piacere, in polittoto col precedente volle.
[172] concia: diffusa forma forte del participio passato.
[173] a che mi adduco: a punto mi conduco.
[174] riscatarsi: vendicarsi.
[175] possente ardore: l’amore per Agnesa. Il sintagma compare
nelle Rime spirituali di Vittoria Colonna
(dove indica l’amore di Dio) e nelle Rime
di Remigio Nannini.
[176] Gnaffe: «spezie di giuramento, ed è lo stesso, che, a fe,
come il lat. me hercule,
medius fidius, aedepol, e simili» (Crusca 1612).
[177] andator: camminatore. L’impiego di forme in -tore (subito dopo, al v. 40, salitore) attesta l’inclinazione dell’autore verso elementi
tradizionali di ascendenza antica: i sostantivi in -tore,
come quelli in -ento
(cfr. V.2.38), sono già in parte
in declino nel XVIII secolo. Cfr. Vitale, p. 502).
[178] per compare [...]
putativo: come socio, come avvocato e come padre putativo
(cioè, come persona della quale fidarsi ciecamente).
[179] piano: semplice.
[180] conducessi meco: portassi via con me.
[181] in balia: in mio potere.
[182] che però: ragion per cui.
[183] viva, / tanto che
sputar possa: tanto viva che io possa ancora sputare, cioè dare
un segno di vita umana (cfr. Inf. XXV 138).
[184] la cosa fatta [...]
maneggiarsi: amplificazione interpretativa del proverbio già
usato da Dante in Inf.
XXVIII 107: «Capo ha cosa fatta».
[185] recarmi al maleficio: accusarmi di delitto.
[186] per le due: per due accuse, cioè anche per il rapimento di Agnesa.
[187] trovata: concordanza a senso.
[188] gherminella: «inganno, barattería» (Crusca 1612).
[189] solo [...] mio: il mio unico confidente.
[190] Io fatico notte e
giorno: la battuta non può non evocare quella notissima
di Leporello nel Don Giovanni: «notte
e giorno faticar».
[191] Muori tu [...] gatta morta?: muori davvero d’amore per me o fingi?
[192] poveri fiori: trovo il sintagma solo nelle Rime
di Celio Magno (342, 14).
[193] Maisì: certo che sì
[194] secchia [...] modonesi?:
chiara allusione a La secchia rapita di Alessandro Tassoni.
[195] dasse: forma occorrente anche nella traduzione becelliana
delle Storie di Erodoto e classificata
da Vitale come «plebeismo toscano corrente», ma senza escludere che sia
retaggio dell’influsso dialettale del territorio linguistico di Becelli (Vitale, p.
468 e p. 443).
[196] accordare: ordinare.
[197] ma [...] mezzano: cioè, il licenziamento (il ben
servito) sarebbe il risultato del mio farti da messaggero.
[198] I patti [...] sieno: stabiliamo gli
accordi.
[199] beendo: forma che appartiene alla «tradizione toscana più conseguente» (cfr.
Vitale, p. 467).
[200] mai sempre: tradizionale forma avverbiale conforme agli usi correnti toscani e
letterari (cfr. Vitale, p. 478).
[201] a suo poter: per quanto possibile.
[202] giunta [...] etate: «quando mi vidi
giunto in quella parte / di mia etade» (Inf. XXVII
79-80).
[203] mentre: finché.
[204] Trecca [...] predicare: endecasillabo di 5a, non raro né in questa commedia né nel genere comico,
ma qui particolarmente significativo, perché facilmente evitabile con una
semplice inversione (*Trecca, tempo non è
di predicare).
[205] dell’olmo [...] vite: paragone diffusissimo, appoggiato a un sintagma (tenace vite) però inedito o almeno raro in poesia prima di Becelli, forse coniato sul modello della «tenace pece»
dantesca (Inf.
XXI 8 e XXXIII 143).
[206] tampoco: ispanismo per «nondimeno» (Crusca
1691), che diventa «né meno» in Crusca 1729-1738:
nel XVIII secolo la funzione rafforzativa della negazione, che pertiene al
termine spagnolo corrispondente all’italiano «nemmeno», prevale sulla sfumatura
avversativa ad esso attribuita nell’edizione del 1691.
[207] schietto: con valore avverbiale. ♦ senso:
pensiero.
[208] sconcia ti morirai di
questa voglia: morirai consumata per questo desiderio
insoddisfatto (Crusca 1612).
[209] discrezione: amorevole intervento.
[210] l’effetto: il risultato, i fatti.
[211] manicar: mangiare.
[212] s’agghiaccia: si gela.
[213] non riffini: non smetti.
[214] battendo la scarpetta: dandoti un gran da fare, agitandoti con impazienza.
[215] lavorio: lavoro manuale.
[216] tenero: teneramente sollecito.
[217] signorto: diffuso toscanismo.
[218] monna zucca al vento: donna sciocca (cfr. Dec., IV ii, 20: «Donna zucca al vento»).
[219] covacciolo: «luogo dove dorme, e si riposa l’animale» (Crusca 1612).
[220] can botolo: cane che ringhia, ma da lontano.
[221] che t’accolga: che ti colga.
[222] schiacciata: pagnotta piatta.
[223] due della notte: due ore dopo il tramonto, che corrispondono alle 20 attuali.
[224] divisato: ordinato, stabilito.
[225] speranza e tema: tipica coppia lessicale del frasario d’amore (profano e sacro).
[226] costui: ne sapremo il nome al v. 87: Stramba.
[227] l’appuntato: l’orario stabilito.
[228] per li capelli: uso tradizionale ma
già un po’ antiquato (cfr. Vitale, p. 457).
[229] secondo: favorevole.
[230] allegrezza: tra le forme lessicali che rimandano ai modi della tradizione toscana
più antica (Vitale, p. 502). Altre occorrenze in V.5.1, V.6.12.
[231] voglia o non voglia: il soggetto è Agnesa.
[232] segno: bersaglio.
[233] Rinegar: rinnegare la fede.
[234] deserto: abbandonato (cfr. II.5.24).
[235] ignudo ferro: Becelli recupera un sintagma che compare
quattro volte nella Gerusalemme liberata,
ma inverte l’ordine dei lessemi.
[236] si assettin: si adattino.
[237] forse: forze.
[238] non ci entrar: non ti immischiare.
[239] ti giungo al pel: ti prendo
[240] poltroneria: funfanteria.
[241] granata: scopa.
[242] i morti: i corpi morti, l’immondizia.
[243] inclita famiglia: illustre schiera.
[244] Agnesa [...] favellasti: valutazione positiva del personaggio femminile, che contrasta con la
misoginia presente altrove nel testo.
[245] esame: interrogatorio.
[246] carti: carte processuali.
[247] bargello: «Capitan de' birri» (Crusca 1612).
[248] ella passò: la cosa è andata
[249] quinci: da qui.
[250] successo: «avvenimento» (Crusca 1612).
[251] ducati: monete d’oro, coniate in vari stati italiani, simili al ducato
originariamente coniato nella Repubblica Veneta.
[252] giunta [...] derrata: cfr. I 60 e nota.
[253] assicurato: messo al sicuro.
[254] fosti: cfr. eri.
[255] andator: cfr. II.2.I
[256] attor: «quegli, che nel litigare domanda: e l’avversario si chiama, reo» (Crusca
1612).
[257] Poi: causale, come di
frequente.
[258] Onde risolvo dargliele / per l’importunità
non già per altro: uso parodico della citazione evangelica (cfr. Lc 11,8).
[259] cattivi: colpevoli, ma anche
prigionieri.
[260] tosar la pecora: spogliare del denaro con imposte gravose.
[261] drudo: «disonesto
amante» (Crusca 1612).
[262] biasmi maledica disonori: terna verbale che riprende, a sottolineare l’ingratitudine, quella del
v. 7.
[263] che se [...] peccato: l’indignazione si manifesta in un aumento di intensità retorica:
doppia antitesi (pietà - rigor, diede - toglie) inserita
in una struttura in parallelismo, seguita da epifrasi.
[264] rondava: il verbo non è attestato in Crusca
prima di Becelli.
[265] ricusate per
benevolenza: raro endecasillabo su due accenti.
[266] né meno, invidiate a
me: non toglietemi.
[267] col pensamento: nell’opinione comune. Per l’impiego di pensamento cfr. III.2.39.
[268] quando: nel caso che.
[269] giovinezza: epifrasi (la loro fu colpa d’amore e di giovinezza).
[270] a sorte: accidentalmente (Crusca 1612).
[271] Ma [...] soddisfacimento: altro endecasillabo su due accenti.
[272] che poco è certo: anastrofe (che certo è poco).
[273] donare: condonare.
[274] V.3.47-51 Giacomo conferma la saggezza che gli ha consentito di ricevere
in affidamento Agnesa, di garantirsi il benessere
economico, di superare indenne le lotte cittadine, manifestandola attraverso
sentenze e assiomi, sia pure di non grande profondità.
[275] quando Faenza [...]
presa: ricalco quasi letterale dal testo di Boccaccio:
«quando questa città da Federigo imperatore fu presa» (Branca annota che «l’assedio
e la presa di Faenza da parte di Federico II (1240-41) avevano avuto grande eco
in Toscana»). Ma tutto il racconto di Giacomo segue molto da vicino la novella.
[276] mobilie: tutti i beni mobili. ♦ espressamente:
manifestamente.
[277] credenza: fede.
[278] indubitata: in senso attivo, ‘indubitabile’.
[279] meritar di voi: «s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o
poco» (Inf.
XXVI 80-81).
[280] dimandarmi: cfr. I.1.53.
[281] m’abisognano: fanno al caso mio.
[282] s’abbi: concessiva (purché tu abbia).
[283] segnale: contrassegno.
[284] giuntator: truffatore (Crusca 1612, che
rimanda a Barattiere).
[285] condusse: portò con sé.
[286] al buio: confusamente.
[287] nascenza: «enfiato, come fignolo, ciccione, e simili» (Crusca 1612), vale a dire tumore, ascesso.
[288] gradito amante: Pastor Fido, IV.5 e III.8
(«l’amante gradito»).
[289] Qual [...] inusitata: attacco di inconsueta solennità metrico-stilistica.
[290] beccherete: in efficace figura etimologica con becchino,
pure a fine verso (v. 8 «bechini»).
[291] travvedere: prendere una cosa per l’altra.
[292] asini della Marca: somaracci.
[293] malefizio: proprio della tradizione toscana.
[294] il processo / di vita e
mori: l’espressione non è chiara. Se «mori» corrisponde
all’infinito del verbo latino morior, potrebbe trattarsi, con anacronismo non inconsueto
nel Becelli, di un processo in cui si chiede la pena
capitale, in quanto nel diritto romano il ratto di donna onesta era punito con
la pena di morte, in seguito sostituita da pene di carattere pecuniario; se
«mori» è, invece, una sorta di traduzione del sostantivo latino mos (pl. mores,
costumi, abitudini), potrebbe trattarsi anche di un processo sulla vita e le
abitudini dell’indagato (in questo caso del padrone su cui ricade la colpa dei
servi).
[295] gherminelle: cfr. III.2.91.
[296] parentorio: per perentorio, ‘citazione’.
[297] cangiare: tema verbale letterario e tradizionale, ampiamente entrato nell’uso
scritto comune (Vitale, p. 464).
[298] si liberassero: fossero
prosciolti.
[299] né più né meno: in ogni caso.
[300] cause dirimenti: i celebri «impedimenti dirimenti» al matrimonio invocati da don
Abbondio.
[301] ferri: strumenti (sia di tortura, sia di scrittura).
[302] civanzar: provvedere a proprio vantaggio, guadagnare (cfr. Dec. II 10, 41 e III 3, 3). ♦ dugento:
fiorentinismo tradizionale.
[303] Maisì: cfr. II.3.40 e nota.
[304] rappattumata: rappacificata.
[305] conchiusa: antico e popolare per conclusa.
[306] inimici: cfr. I.1.53.
[307] feccia d’asino: cfr. I.5.21.
[308] di: dalla.
[309] V.6.64-65: secondo quanto attesta una leggenda viva ancora nel tardo
Seicento: «È ammirabile ancora il detto lago [di Garda], per
esser unico al mondo, che produca il delicatissimo pesce Carpione, come molti autori attestano, che di bontà non cede a qualsivoglia
altra sorte di pesce, nutrito, come vien nutrito, dalle miniere d’oro, che sono
nel fondo del lago; e portato in altri luoghi non vive. Già nell’Italia si dimandava Pione, il qual essendo così raro, e perché si
vendeva molto caro, fu poscia detto Carpione» (Lodovico
Moscardo, Historia di Verona,
Verona, Rossi, 1668, p. 323).
[310] Torna il tempo
[...] insieme: allusione
alla favola IX di Esopo in cui la volpe inganna il caprone. Nel caso dell’Agnesa
ingannatore e ingannato trovano invece un accordo.
[311] chiasso: postribolo. ♦ berlina: gogna.
[312] poco fila: che fila poco, cioè disutile e sciocca (con
scrizione unita in Dec.
IV 2, 27).
[313] spaventacchio: spaventapasseri.
[314] protesti: metatesi.
[315] cataletto: propriamente bara, feretro; per metonimia, morto.
[316] chi [...] dare: citazione del motto qui non habet, non potest dare, che sintetizza
(estendendone l’ambito di applicazione) il principio del diritto civile secondo
il quale non si può trasmettere ad altri un diritto che non si ha o un diritto
più ampio di quello che si ha.
[317] ladron: si rivolge a Crivello.
[318] sozza e sfacciata / trombetta: si rivolge a Trecca.
[319] fistolo: diavolo.
[320] V.7.43-51: la didascalia
che introduce queste ultime battute di commiato apponendo il solo nome di
Crivello significa, probabilmente, che il servo pronuncia i versi facendosi
avanti verso il pubblico e lasciando Trecca in secondo piano, una volta che
Carlo è uscito di scena.