Domenico Barone,
marchese
di Liveri
Partenio
a
cura di Francesco Cotticelli
Biblioteca
Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2016
Domenico Barone, marchese di
Liveri
Partenio
a cura di Francesco Cotticelli
© 2016 Francesco Cotticelli
© 2016 lineadacqua
edizioni
Biblioteca Pregoldoniana,
nº 16
Collana diretta da Javier
Gutiérrez Carou
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN
dell’edizione completa: 978-88-95598-54-3.
La
presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito del progetto di
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diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione del curatore e del
direttore della collana.
Biblioteca Pregoldoniana, nº 16
Nota
al testo
Del
Partenio sopravvivono vari esemplari;
i due che sono stati presi in considerazione per la presente edizione sono
quello custodito alla Biblioteca Nazionale di Napoli, collocazione L.P. Seconda
Sala 23.4.11, che manca tuttavia della tavola finale (disponibile una copia
digitalizzata) e quello conservato alla Biblioteca Braidense, Raccolta
Drammatica Corniani Algarotti, collocazione Q.007 (anche di
questo è disponibile una versione digitalizzata, che però risulta incompleta,
mancando una sezione dell’atto terzo).
Sono state introdotte le correzioni segnalate dal foglio
di Errata corrige, dove si riconosce
la non esaustività degli errori segnalati. Qui di seguito alcuni interventi
nella presente edizione:
abbbia > abbia (Il Conte
Errigo Brinzi a chi legge)
prinpato > principato (Il
Conte Errigo Brinzi a chi legge)
Plato > Plauto (Il Conte Errigo Brinzi
a chi legge)
anoichi > antichi (Il Conte
Errigo Brinzi a chi legge)
recere > recedere (Il Conte Errigo Brinzi
a chi legge)
liberamenta > liberamente (Il
Conte Errigo Brinzi a chi legge)
domandando > domanda (II.4.11)
boble > doble (II.5.31)
prima battuta attribuita a Lelio,
non a Livia come risulta dalla stampa (II.10.1)
esseno > essendo (II.25.5)
contessimo > contentissimo (III.20.65)
naufa > nanfa (III.18.12)
Eurilla a due > Eurilla Dorinda a due (III.20.46)
IL
PARTENIO
COMMEDIA
DI
DOMENICO
BARONE
BARON
DI LIVERI
CONSACRATA
ALLA
SACRA
REALE MAESTA’
DI
CARLO
III.
BORBONE
Re
di Napoli, Sicilia, e Gerusalemme, Infante
di
Spagna, Gran Principe Ereditario di
Toscana,
Duca di Parma, Piacenza, Castro &c.
IN
NAPOLI MDCCXXXVII.
Nella
Stamperia di Felice-Carlo Mosca.
Con licenza de’ Superiori.
Sacra Reale Maestà
Signore,
Per quanto inlitterato, e di veruna
vaglia io mi stimi, non mai di tanta poca mente mi riconobbi, che l’esser
solamente stat’io vago, e goloso di leggere, e di
udire le dotte, e ben rappresentate Commedie, ciò a poterne tal una concepire,
ed insiem mandare alla luce bastevole giammai paruto mi fosse, e tanto più in luogo, ed in tempo, ch’a
disanimar molt’è proprio, non dico un imperito, qual
io mi sono, ma sin anche uom, che lungo in tale studio vanti il cammino; e per
trovarmi in paese, dove rinomati valentuomini lasciato s’han di gran lunga
dietro chiunque per l’innanzi a sì difficile profession
si sia dato, ed in tempo, che regna, mercè di Dio, un
Principe d’una mente sì vasta, e di sì esquisito
gusto, e delicato scernimento, qual è la Maestà Vostra. Con tutto ciò per non
mentir, Signore, preso avend’io in mira di passar, se
non in virtuosa, in indifferente almeno applicazione gli ozj
della mia solitudine, ad accozzar presi quattro scene, ch’unite bastarono a
formarmi una favola, cui posi nome il Cavaliere, e dopo d’essa altra tesserne
desio mi spinse, che la Contessa chiamasi, e fu ben
ella più ch’avventurata, se nata appena davanti alla Maestà Vostra non una, ma
più volte, ebbe la bella sorte di rappresentata vedersi. Ciò fe’ Signore, che per far cosa, non dico alla Maestà Vostra
grata, ma da me dovuta, dare alle stampe io la facessi per presentarvela; e non
men di questa la prima ancora per pura grazia di Vostra Maestà la stessa sorte
vantando, ugual dovere di porla nelle Vostre Reali mani a far, ch’ella ancora
uscisse alla luce mi costrinse. In veggendole dunque amendue dalla Maestà Vostra così fuor d’ogni lor merito
benignamente gradite, quale meraviglia recar può mai, che dalla stessa benignitade affidato preso abbia io animo di presentarvi la
terza? Ve l’offro dunque, Signore, con quella profonda, e riverente divozione,
che da un fedele, ed obbligato vassallo, qual io mi sono, a Vostra Maestà va
dovuta, e nel tempo stesso a credere umilmente vi prego, ch’a ciò la sola ambizion m’ha spinto di farmi, se non come vorrei, nel modo
almeno, che posso, conoscere.
Di Vostra Sacra e Real Maestà
12 del 1737.
Umilissimo Vassallo
Domenico Barone Baron di Liveri
Il Conte Errigo Brinzi
A Chi Legge.
Comechè
sempre stato e sia malagevole il formare una ben intesa commedia, questa
malagevolezza, stim’io, che all’età nostra per lo
gusto troppo dilicato de’ critici anzi che menomarsi,
viè più s’avanzi. E da quali difficoltà dobbiam credere non abbia ad esser combattuto colui, che
presentemente opera a cotali componimenti dar voglia? Se di questa nobile, e profittevol arte una ferma si dasse,
costante, ed indubitata regola, ricevuta come tale da tutti, ciò senza dubbio
ne spianerebbe la strada, e di non picciol sollievo a
chi incamminar visi volesse riuscirebbe. Ma tolti via alcuni primi, e generali
ammaestramenti, dov’è ciò mai? Gli Antichi (al dir de’ Moderni) par, che’n ciò poco giovar ci possano, sì con la dottrina, sì
con gli esempli. Aristotele non ne scrisse, che molto poco, fermandosi più di
proposito a discorrere della tragedia, ed a disporne intendevolmente
le parti. Orazio al dì d’oggi da’ più modesti vien
riputato, ch’e’ non sia da tanto da poterne parlar da
Maestro, accennandosi da stessi gli errori, ne’ quali
egli cadde in volendone formar le regole; se pur queste sian
sue, e non più tosto d’un tal Pariano Neottolemo, da cui dicono, ch’ei le
trascrisse. Quanto poi agli esempli, Terenzio, e Plauto, che al pari tra sé
giostrano contendendo del principato, in quale stima al presente son elli? Lor fassi per poco quell’onore, che si farebbe ad un vecchio,
ch’altro in sé non chiudesse di buono, che i suoi molti anni. Terenzio stimato
viene secco, e dialogista; Plauto poco verisimile, troppo inclinato alla
vecchia commedia, e monstruoso nello spazio del
tempo, con cui la favola circonscrive. Scrive un
moderno, per ciocche appartiene alla comica, ch’essi non saprebbonsi
oggimai leggere con diletto; salvo da chi gli leggesse per apprenderne la
purità della lingua. E pur le grazie di Plauto in quanto grido altre volte elle
furono! E Terenzio, chiamato da tutti il latino Menandro, in quanta venerazione
fu presso di Orazio, Cicerone, ed Afranio, ch’ebbe a dire:
Terentio similem
non dices quempiam!
Ma qual ciò recar
dee meraviglia, s’essi lungo tempo, neppur presso gli Antichi l’onorato lor
posto mantennero? Orazio chiama rustichezza le facezie di Plato, Volcazio pon Terenzio nel sesto
luogo, cioè a dir nell’ultimo; e Quintiliano sincero, e profondo giudice
dell’altrui valore, ebbe a dire, a dispetto delle lodi ben grandi date a
Cecilio, a Terenzio, ed a Plauto da molti antichi, in comoedia maxime claudicamus. Con tutto ciò stim’io,
che non istia bene il tacciargli con troppo di
libertà, e d’audacia, dovendosi far loro almen di
beretta per essere stati una volta in quest’arte esemplari, e maestri; e per
aver servito agli altri di quella guida, di cui ad essi servirono Aristofane, e
Menandro tra Greci.
Gl’Italiani de’ primi tempi, che a’ Latini nelle commedie succedettero, incontrato non hanno
co’ Moderni miglior ventura. La maggior loda, ch’han
riportato, ella è d’essere stimato alcun d’essi scipito men de’ Latini, del
rimanente vengon riprovati con asprezza forse
maggiore, fino a stimarsene la maggior parte atta a far recedere chiunque con
altro fine, che quello, d’apparar la favella del buon secolo, gli leggesse.
Egli è vero, che a dì nostri la comica è cresciuta mirabilmente di pregio, per
aver sudato a nobilitarla le penne di più valent’uomini,
che da’ falli nell’altrui commedie notati profitto
per sé cavando, favole han dato alla luce delle antiche senza paragone
migliori. Con tutto ciò, stimando i critici più severi, che molto tuttavia
resti a potervisi desiderare, non han tralasciato giammai, siccome pur ora
motivo non tralasciano d’addentarle.
Servirà quant’ho detto fin ora, o almen l’ho detto perché servisse a confermare la non
piccola difficultà, che da prima
accennaj nel comporre una commedia incontrarsi. Ma
perché sol per erto, e faticoso sentiero al tempio della gloria si giugne, e l’obbietto proprio della virtude
non è che ’l difficile, quindi è, che la presente favola sorta tra le difficultà, come rosa tra spine, perfettamente compiuta,
ridonda in onor grandissimo del suo ben chiaro, e
famoso autore; che d’avere all’altre due gentili sue figlie aggiunto anche
questa, che meco gentilissima diran tutti, può a gran
ragione vantarsi. Confess’io liberamente d’averla
letta, e riletta più volte, e sempre con diletto maggiore, per avere in
tenendola più sottto gli occhi considerar potuto più
addentro quelle grazie, e vaghezze, che non potean
farmisi di leggieri ad un sol tratto palesi. E qui fa d’uopo, ch’io preghi il
cortesissimo leggitore, che meco ei voglia un pocolin
trattenersi nell’esaminarla a minuto, e son sicuro, ch’ei ciò faccendo lo stesso giudicio formeranne bentosto, che a formarne io dalla ragion fui
forzato. In primo luogo dunque lo’nvito a meco voler
contemplare la nobilissima invenzione, parte principal
della favola, e degno parto del fecondo ingegno del nostro autore; che siccome
nell’altre due precedenti, così ancora in questa si è dato a conoscere
veramente felice, intessuto avendone l’argomento tutto verisimile, senza fatto
ch’abbia ricorso, così nell’intrigo, come nello scioglimento, ad accidenti
stranissimi, e dirò così, miracolosi, o di somiglianze, o di sconosci menti
aggravati da circunstanze tali, da non potersi mai
credere accaduti, o possibili ad accadere nel mondo. E chi nello stesso tempo
può non restare con diletto sorpreso gli occhi in affissandone all’unità con
tanta cura servata, che le azioni tutte minori, come appunto linee tirate al
centro, sono a quell’unica principale mirabilmente ordinate? Taccio l’ottima disposizion delle parti, il ripartimento del tempo alle azion necessario, le scene non appese, né mai fuor della
lizza correnti, lo spazio del tempo, che l’azion
circoscrive, non eccedente un giorno di sole, il costume delle persone sì ben
descritto, e così costantemente osservato, e finalmente quella maravigliosa proporzione, con cui il mezzo al principio, e
l’uno, e l’altro al fine si riferisce. Non vo’ però passarmene con silenzio
intorno alla locuzione, non solo per esser ella pura toscana (qualità sebbene
esterna, affatto nondimen necessaria a darle
vaghezza); ma per quella beltà interna, che’n sé
racchiude, fondata in quella mediocrità di stile, cotanto da’
valenti maestri nelle commedie lodata, ed assolutamente voluta. E dove mai si
leggono in quelle del nostro autore (se non se forse per burla ad eccitare il
riso) quelle arrischiate metafore, elevazioni poetiche, o per lo meno dicerie
oratorie, che tanto agevole ad osservare è in non poche degli altri? Ma
obbietto essendo della comica l’imitazione, e di condizione diversa le persone
essendo, che la favola rappresentano, fa d’uopo altresì, che sian le dettature diverse, in altra maniera parlando il
principe di ciocche si faccia un Cavalier privato, e’n
altra maniera il Cavaliere, che ’l servo. Il che egregiamente osservato si vede
nel nostro Partenio, dove lo stile è giustamente vario a misura della
condizione de’ rappresentanti, ma ciocche dee stimarsi di maggior rilievo si è,
che in tutte le persone a proporzione della lor dettatura si osserva
un’ammirabile mediocrità, che non cessa in varia locuzione d’esser sempre la
stessa, nella maniera appunto, ch’avendo il diametro d’un cerchio grande
maggior lunghezza di quella s’abbia il diametro d’un cerchio minore, non lascian però l’uno, e l’altro d’essere egualmente diametri.
Più oltre ora passando senza partirci dal subbietto medesimo, che direm noi di quella incomparabile espressione di cui nelle
scene d’amor tenero l’autor si vale? Questa è l’impresa del componitore più
ardua, questo è lo scoglio dove la maggior parte degl’ingegni anche più elevati
s’infragne. Ma quanto bene ciò a lui succede, con
quanta grazia ei vi riesce. Merita senza fallo, che dare in ciò gli si debba
fra tutti il vanto; imperciocchè egli in cotali scene
mostra tanta semplicità, tanta proprietade, e
dolcezza, che non è chi in ascoltandole, altamente il cuore toccar non si
senta, e non creda nel punto stesso, che consigliato egli siasi,
per così dire con la sola sua volontà nell’altrui passion
trasformata, talmente i sensi, e le parole del cuore anzi appajono,
che dallo ’ntelletto spremuti. Nella persona poi del Celasio non è egli l’autore forse anche più, o almen del pari laudabile? Non ha trattato egli già
d’accozzare quattro testi di legge, quattro minuzie grammaticali per formar
facilmente un nojoso dottore, uno stucchevol
pedante; ma di porre in iscena un uom dabbene, e
prudente al sommo, un esemplare dell’etica. Quindi è che pien
tu lo scorgi ad ogni passo di sentimenti pii, di detti sentenziosi, e profondi,
senza ch’e’ mostra punto ne faccia, o pompa alcuna;
sicché amando anzi d’essere, che di parere quell’uom, ch’egli è, imprime di sé
in altrui quella venerazione, che non pretende, e costrigne
chi l’ascolta a stimarlo un filosofo, non per istudio,
ma per natura. Se ad accennar s’avessero le vaghezze tutte della favola in
particolare, d’uopo sarebbevi un libro niente della
favola stessa minore; onde posto il serioso da parte, priego
il gentil leggitore, che’n grado gli sia di ponderare
alquanto il ridevole. Ed a dir vero, così in questa, come nell’altre commedie
dell’autore, chi dir potrà mai, che non sian le
facezie tutte modeste, urbane, e pienamente gradevoli? Prive di mordacità
viziosa vi si veggon l’arguzie,
le sciocchezze vi son senza nausea, e senza alcuna disonestezza gli equivoci. E
per questa ultima parte non posso far di meno di non tessere elogj al genio costumatissimo
dell’autore, che proccurato non ha giammai il titolo a sé di grazioso con danno
della modestia di procacciare. Creduto ha egli, che senz’ombra di disonestade ben possa il riso promuoversi, contra l’opinion
di coloro, che stimano, ch’egli a simiglianza della
biada, che da lui prende il nome, non mai tanto bene alligni, quanto nel grascio. L’autore, che niente men cristiano, che comico
d’esser si pregia, s’ha recato a delitto il seguir l’esemplo d’alcuni, che
fatto in ciò non s’hanno scrupolo le laidezze della vecchia commedia di disotterrare. Non deesi in
qualunque modo e’ si possa
far nascere il riso, non essendo questo il principale obbietto della commedia,
ma più tosto una lusingheria, per indur la gente ad ascoltar con diletto gli
utili ammaestramenti della vita civile. E però le disoneste facezie
commendabili punto non sono; lecito non essendo di servirci d’un cattivo mezzo
a conseguire un buon fine; oltre ch’esse solo alla mal composta plebe, o a chi
niente più nobile ha l’animo, riescon grate; non
all’uomo onesto, e gentile, l’animo del quale, al dir dell’Einsio,
laxari vult,
non solvi. Quindi è parimente, che curato
non si è l’autore d’imitar nelle sue favole una leziosa, e scaltra puttana, un
ruffiano sagace, e ciocch’è peggio, quando lor ben
riesca il mestiere; perché sebbene, come affermano i filosofi, ogni imitazione
per instinto di natura non può recar, che diletto,
rade volte non per tanto nell’imitazion lasciva il
diletto con l’utile s’accompagna, e non mai quando non vi si scorge insieme il
successo infelice, ch’è quel vento impetuoso, che spira a traverso del vizio
per diroccarlo. Oh Dio ’l volesse, che le commedie tutte si facessero con tal
ragguardo. Quanto elle monterebbon di pregio, e
quanto benificio il pubblico ne trarrebbe! Potrebbonsi allora giustamente chiamare virtuose
ristoratrici degli animi da nojosi accidenti agitati,
maestre de’ costumi, specchi della vita civile, e libri aperti delle famiglie,
dove l’arte s’appara cotanto al Mondo necessaria di ben guidarle. Credami pur chi legge, che a così scrivere già non m’ha
indotto spirito vile di maldicenza, che di tarbar le
ceneri de’ defunti neppur s’attiene. Parlo come la ’ntendo
per soddisfare a me stesso, ed alla verità; e se mai di questa pur dessi alcun,
che s’annoja, passi egli tosto per mio consiglio a
legger la favola, che ’n tal guisa amaricato non fia,
che resti dall’odioso cartellone, che la precede. Qui mi converrebbe far punto;
se la necessità di rispondere ad una obbiezione, o sia di sciogliere una difficultà mossa non ha guari intorno alle favole
dell’autore in obbligo non mi ponesse di tener la penna qualch’altro
momento alla mano.
Taluno adunque, che avuto ha la
sorte di leggere in gran parte la presente favola, com’altresì di vederne
soventi volte il concerto, s’è lasciato altamente intendere, che non vi ha
trovato a gran pezza in leggendola quel diletto, che ha provato in vedendola
rappresentare; soggiungendo dello stesso parere stati esser molti intorno
all’altre due precedenti di lei sorelle, che di fatto non mantennero nella
stampa (com’ei dicea) quell’ammirabile, e strepitoso
grido, che incontrarono in su la scena.
Questo è un parlare non molto
lontano dal vero; non essendo al mondo commedia, di cui lo stesso affermar non potrebbesi; ed io volentier
lascerei di farvi su parola, se non temessi, che sotto ascondere vi si potesse
un occulto veleno. Chi pretendesse, che la lettura d’una favola, e ’l di lei
rappresentamento recassero egual piacere, poco men pretenderebbe d’un
impossibile. La scena, le vestimenta, i personaggi
stessi conosciuti per veduta, non già per nome, e sopra tutto quella parte
della facultà comica, che ragguarda l’atteggiamento,
e che dà l’anima alle parole, com’è possibile, che non diano alla favola
risalto tale, che senza paragone più avvistata, ed amabile ad esser ne vegna? Che s’egli è ciò vero generalmente in parlando,
nelle favole dell’autore vi è ragion propria, e particolare da poterlo credere
senza eccezione verissimo. E per qualche cosa delle due prime accennare,
intervenivano nel di loro rappresentamento per egregia invenzion
dell’autore obbietti così nuovi, e così per la lor novitade
allettanti, che non potea l’animo di chiunque
presente vi fusse non restarne interamente rapito. Ma
quando abbiansi a leggere solamente, qual mai
considerabile piacimento daranno al lettore i giuochi, le veglie, l’accademie di musica, le mascherate, e simiglianti
gentilezze, che frammesse vi stanno? Potrà altro il leggitore in tai congiunture osservare, che quattro parole spezzate, ed
un avviso di ciocche allora nella scena apparisce? Ciò, e non altro. Ma non
così i riguardanti, che ne ammirano la bellezza della proprietà, la vaghezza
del disponimento, e sopra tutto quella chiara distinzione
dello ’nterno degli animi, sicchè
solo in mirando in faccia i rappresentatori anche in tempo della lor mutolezza
ti si fan subito palesi le varie passioni, che l’agitano. Lo stesso della
presente favola giova a proporzione affermare, anzi quanto in essa maggiore di
gran lunga è la novità, tanto più grande in paragon
della lettura è il diletto, che dalla di lei rappresentazione procede. Per lo
che più agevolmente comprendere ben sarà primamente il considerare, che in un piccol solitario villaggio unite avendo con maravigliosa industria l’autore le persone tutte, che alla
favola fan di mestiere, ha pensato per varj giusti
motivi non poter bastare al suo ’ntento il solito
precedente avviso, che la scena della favola era il detto villaggio; ma d’uopo
gli è stato di formare egli stesso con rarissima invenzione la scena, e
stamparla in un foglio a parte con la nota numerale de’ principali suoi luoghi,
per comodo, ed intelligenzia de’ leggitori. Non potea veramente egli pensarla con avvedimento maggiore; imperciocchè son tante le azioni, ed i parlari
con esquisita proporzione, e misura ad alcuni
particolari luoghi corrispondenti, che ciocche per ragion d’esemplo va ben
fatto, o detto, ad una volta d’arco, ad un portico, nol
potrà essere in altra parte, che sconciamente, e fuor di ragione. Adunque
riscontrar dovendo necessariamente chi legge i luoghi nella scena notati per
poterne la proprietà riconoscere, e ’n tal necessità non essendo chi la favola
vede rappresentare, per averne senz’altra osservazione tutta sotto gli occhi la
’ntera vaghezza, verrà sempre il primo in paragon del secondo a trarne un più stentato, e men
considerabile godimento. Che se a questo particolar motivo aggiugnerai
gli altri più comuni di sopra accennati, sarai sempre più per confermarti nello
stesso parere, e per finalmente conchiudere, che la mossa difficultà
segue più tosto la natura delle cose, che possa alla favola pregiudizio alcuno
recare. Ma tempo è ormai, che ’l pazientissimo leggitore, annojato
senza forse dalle scipitezze del mio discorso, passi a rinfrancar la mente con
le grazie, ed amenità della favola, la cui bella presenza fa la di lei maggior
loda; nella guisa, che ’l sole meglio è assai da’
suoi raggi, che da qualunque dicitore, lodato.
La
scena della commedia è un villaggio nel contado d’Urbino.
RAPPRESENTATORI
partenio rodi
vecchio, nobile del Brabante abitante nel villaggio sconosciuto da medico sotto
nome di Celasio, egli avolo si è di
brigida rodi ragazza a casa il Partenio, figliuola
di Virginio
giulietto
lor valletto
lelio
brighi giovane, nobile d’Urbino sconosciuto da pastore nelle
contrade del villaggio, che poi sott’altr’abito si fa credere Cavaliere
Mirandolese
livia figliuola del conte
Moratti, nobile d’Urbino fuggita nel villaggio da villana
don pomponio varvadoro
napoletano padrone del villaggio
arsenio vecchio suo
ragioniere
uberto suo servidore
conte orsucci vecchio nobile d’Urbino, zio di
clarice
orsucci giovane, figliuola di suo fratello, e
cognata di
olimpia
manforte giovane, vedova del fu Ottavio Orsucci,
nipote del conte, e fratello di Clarice
alessandro della rovere, duca d’Urbino
virginio
rodi sconosciuto sotto nome del marchese Rinaldo Franchini cavallarizzo di Sua Altezza d’Urbino figlio di Partenio
petronilla casci dama attempata della corte d’Urbino
troiana
sua donna da camera, che non parla.
eurilla
dorinda pastorelle che improvisano rime
cavalier gaudetti gentiluomo da camera di Sua Altezza
che non parla
Soldati della guardia di Sua Altezza,
che non parlano
Altro uomo, che accompagna la Petronilla,
che non parla
Marinai che non parlano
I segni, che sono nella Commedia a guisa di stelle,
denotano, ch’il parlare è da parte, e tutto ciò, che sta racchiuso tra due
parentesi, dinota, che va detto in segreto.
ATTO
PRIMO
SCENA PRIMA
Partenio, detto nella commedia
Celasio, con una secchia a la mano, che dalla porta
della camera superiore di sua casa numero 35 esce sul verone numero 34 in atto
di abbottonarsi la giubba.
celasio Il tempo si
mostra abbonacciato; corra egli in lode del suo fattore (chiama) Giulietto eh Giulietto. Ah Giulietto pegg’è
che mai Giulietto (e venendo giuso per la
sua scaletta numero 29 dice) Altri di mala voglia muore, altri di mala
voglia vive, com’è costui Giulietto (chiama).
giulietto (Di dentro la camera a pian di terra numero
28, allora all’or che si sveglia) Già già; sta intesa sta intesa.
celasio Ah
caro garzone, va’, e da te spera ammenda, va’, ah Giulietto Giulietto...
giulietto Sta
intesa, devo levarmi a buon’ora, il farò sì.
5 celasio E
fatta già la buon’ora col Dio ci aiuti.
giulietto Spogliato
non mi sono.
celasio (Che pon fuori la
chiave, ed apre l’uscio della stanza numero 28 dov’è Giulietto) Come
spogliato non ti se’? Tu ancor ti raggricchi nella
coltre.[1]
giulietto Ma
un, che s’ha a levar per tempo svegliarlo poi la notte, quando dormirà vorrei
sapere?
celasio Che
notte? Son dieci ore e più che dormi; è già lustro, e ragiornato.
10 giulietto È
la luna messere, è la luna
celasio È
il Sole, è il Sole; e resta poco, che non venga a visitarti nel letto.
giulietto Oo è ’l Sole, e se sia il Sole poi mi
rizzerò in breve.
celasio Benedetto
Dio, che te la fe capire. (allo che Giulietto rizzatosi in fretta si fa tutto sbadigliante
all’uscio in atto di porsi il giubberello ed altro)
Più ch’uom dorme più leva a sé di sua vita, l’udisti garzone? Presto, sii tu
benedetto; va a raccorre quattro minuzzoli di sprocchi, ma che sian del comune;
ch’io vo ad attigner dell’acqua.
giulietto C’eran delle legne...
15 celasio (In atto di chiudere l’anzidetto uscio dice)
Verrei ad aiutarti...
giulietto E
legne belle e quante, e lo sapete...
celasio Ma
temo non isveglisi trattanto
la Brigittina.
giulietto Me
ne caricai la schiena a più non posso ier la sera
prima d’annottare, e voi...
celasio Ed
io consumar te l’ho fatte per quel povero pellegrino da noi alloggiato
stanotte, si restane contento.
20 giulietto Qual
contento troverò io in addossarmi nuova soma, non so. (e s’avvia per la strada numero 27)
celasio Ah
grosserello, se sapessi tal peso di quanto sdossar ti
può, tanto tu non diresti.[2]
SCENA II
Brigida,
che piange nella camera di dove prima è uscito Celasio,
e detti.
brigida Uh,
uh, uh.
giulietto O
sì va’ va’, e la Brigittina svegliata fa il fracasso,
va’ va’.
celasio Accorri,
accorri; quanto temei. (Giulietto si
torna, e monta in fretta le scale) Fa’ che non ispauri,
son qui, digliel pure.
brigida Uh
sere sere, ser nonno, nonno mio, Giulietto (grida) uh.
5 celasio Son
qui non gridare; digliel tu, fatti sentire.
giulietto Non
gridare. (ed entra nella stanza numero 35)
celasio Vuol
venire giuso, ed a piè nudo, e non c’è modo. (e ’l dice nel mentre la Brigida meza spogliata, e scalza intenta a calar giuso fa forza con
Giulietto, che vuol rattenerla sul verone numero 34)
celasio Piano
piano, che puoi dar giù con la fronte. Abbi tu la carità, prendile le pianelle va’.[3]
(e lasciandola Giulietto va entro per le
pianelle, ed in mezo la scaletta la raggiugne, e ce le pone a’ piedi;
fra lo che ella dice)
brigida Ser
mio aspettatemi, non partite.
10 celasio Non
parto no, t’accheta. Ah ultimo rampollo di questo già
secco stelo, come così ti vegg’io.
brigida Io
ser nonno spauriva... ah non ammentai. Sere buon giorno, la benedizione. (inginocchiandosi)
celasio Sia
tu per mille volte benedetta due volte figlia. Ah mi si spremon
da gli occhi le lagrime senza che ’l voglia.
brigida Spaurita
era tutta io sola al buio. Sere Sere dicea, e ’l Sere zitto; chiamava Giulietto, e Giulietto non
sentiva, ed erami sempre innanzi quel brutto ceffo di
quel pitocco mal acconcio di ieri sera, che mi fè,
dillo tu.
giulietto Fu
presa da tale smago, ch’aggrezzò tutta per vero.
15 celasio Non
figliuola, bene non di’. Mal si conviene parlar con disprezzo d’un, ch’è come
noi: apprendilo tu, e tu.
giulietto Siam
noi com’è colui?
brigida Quelli
grida, la carità: fate bene, la carità; e noi non così, com’è come noi?
celasio Sì,
come noi, e forse meglio. Sotto di tali spoglie può custodir tal uno anima
assai migliore.
brigida Sere,
io gli portai a mensa, li porsi da bere, apprestai il capezzale, e voi diceste
fa’ fa’, che ti do le nocciuole, ed ove sono?
20 giulietto Ed
io gli accesi il fuoco, fei l’acqua odorata; corsi
pel ramerino, per le foglie d’arancio. Dio sa il sonno, che perdei; e né men
l’ho vedute.
celasio Benedetti
benedetti, pregate chi ne regge: che sempre in ta’ mestieri esercitar ci possa; dite: così sia.
brigida
giulietto Così
sia.
celasio Via
va’ tu ragazzo riva al fiume, fa’ tua fascina; guardati, ch’ad alcun non nuoccia.
brigida Sere,
vado ancor’io a raccorre le
legne? sì, che dite? se vi piaccia.
25 celasio Ah.
giulietto A
che sospirare? n’ho cura io.
brigida Non
dubitate.
giulietto Ne
staremo a vostra veduta in quella macchia, ch’è lì.
celasio Sì,
va’. (allo che Brigida, e Giulietto
partono per la strada numero 27) Adempiasi sempre
più vostro volere, o gran fattore: tu con ciglio asciutto sai, ch’un Partenio
Rodi da un vile così si celi. Tu al basso di me da’
vigore ancora, che veggia Brigida d’un mio figlio prole, e d’una duchessa
Ramigni far le legne, per apprestarci un vitto
meschino. (e s’avvia per attigner l’acqua del fiume numero 22)
SCENA III
Livia
di lontano, e poi fuori per la strada a portico numero 3.
livia Oh
chi se’ tu, oh quell’uomo, fermati. (gridando)
celasio Qual
voce?
livia Di
fermarti ti piaccia.
celasio Chi
sia non discerno.
5 livia Uom
da ben non partire.[4]
celasio Ella
è una donna; tale non vidi mai, a chi parla?
livia Per
pietà aspetta aspetta.
celasio A
me tu dì?
livia A te
sì. (allo che Celasio
serba la secchia nella stanza numero 28) Se’ tu quell’uom da bene? Lascia...
non mi reggo, or ti dico.[5]
10 celasio Siedi
siedi, se ’l consenti t’aiuto ancor io.
livia Ah
che se’ tu quell’uom da bene, ti ravviso.
celasio Son
uom da bene, son uom da male; tutto sta a che m’appiglio povero a me.
livia Qui
da vicino imbattuta mi son io con un viandante, che drizzata m’ha per questo
sentiero; ei m’ha fatto cuore con dirmi, fra poco giugnerai
ad un villaggio, cerca colà di Celasio tanto uom
saggio, e dabbene, che tutto carità m’ha alloggiato stanotte; saratti egli di non picciol solievo. Se’ tu desso Celasio?
Dimmelo se Dio t’aiuti.
celasio Io
son ch’ho alloggiato il pellegrino, è vero. Che sia tale qual sento vantarmi, è
falso, che possa giovarti è dubbio, vaglio poco. Che la mia volontà sia per te;
questo è certo.
15 livia Ah
ch’atto saresti a rinfrancar chichesia, ma oh Dio...
celasio Se
a rincorarti vaglia un po’ di vitto l’avrai, se stare a giacere, t’offro qui il
mio pagliericcio, ch’io me ne starò altrove, per quanto a te piace; e più,
darti posso poco d’un liquore fatto con queste mani molto atto a rinfrancare i
tuoi spiriti.
livia Ah
che capace non ne sono affatt’io.
celasio Molto
piagnolosa ti veggio; gran tristezza hai tu in cuore. Per questa il primo
compenso, figlia, è palesarla. Dimmi avanti d’ogn’altro, chi tu se’? Donde
vieni così sola tra luoghi deserti? Ah donzella l’onestade
è un gioiello, che non dee porsi a rischio di farne getto.
livia Ah
che con un tal dire più mi soffoghi. Che onestà? Che
porre a rischio? La disertai, l’annullai, disperata che sono. Uom di pietà
salvami da miei, che certo a ragione mi perseguono per seppellirmi. Non men son
io, che Livia figliuola del conte Moratti sai?
20 celasio Dio
che mi fai sentire! Del conte Moratti nel contado d’Urbino? O eccesso!
livia Quella
sì, e non mento, so io il mio fallo. So che merto.
Ben era pezza fa, che m’ammazzassi con queste mani, non che temessi quelle de’
miei; pure atterrita di loro mi do in fuga. Passo per acqua non uno, ma due ben
grossi canali, e dico forse m’affogassi, e mi falla; m’inoltro in un lungo
bosco, e dico troverò certo animal che mi sbrani, e nol trovo. Mi si fa buio, e cerco nel più cupo di esso una
balza, un dirupo per prima atterrarmi che morire, e non l’incontro. Più mi
raffretto, ma già infiacchita cado, infrigidisco tutta; m’aggruppo sotto una meza cava battendo i denti, e credo sia già per me vicino
lo spirar l’anima (ah spirata l’avessi) né più avverto.
celasio No,
tanto dir non ti lice.
livia Ma
che? Pur per disgrazia apro l’occhi, e veggio giorno. Passa quel passaggiero pietoso; s’accosta; mi ristora, e qui mi manda.
celasio Resto
di sasso.
25 livia Usa
con meco, pietoso che se’, l’estremo della compassione. Avvelenami, e poi
basta, che in luogo mi meni, che mangiata da’ cani
non sia, e sarà il più accetto, che farmi potrai.
celasio Nobile
donna, male è far male, peggio non pentirsi, pessimo il disperare. Morte, che
sola da fallo salvarci possa è di buon consiglio il desiarla. A mal commesso
sol conviensi il pentimento. Se figlio di questo è ’l
tuo pianto, virtù tel mena; atto a cavar da mali non
fu mai però il pianto. Palesa a me il tuo fallo, stimami sicuro debitore di
segretezza, e credi che ben sovente ad un disperato male il rimedio sorge onde
men s’attende.
livia Grand’uomo,
perché il vuoi tutto dico. Sappi che fra le possessioni di quella casa, ov’io per disgrazia nacqui, eravene
una con un palagio, e folto boschetto a canto, che mio padre di molti animali
salvati chi arricchito tenea. Il nuovo e giovane...
ah dolore, vergogna, perché non mi soffogate?
celasio È
ben, che sappi, per rincorarti, che non v’è sventura, che si soffra, che la
prima a soffrirsi ella sia. Né lontan hai chi ti sia
nelle sciagure compagno.
livia Il
nuovo duca d’Urbino, faccendosi scorgere desioso di
colà fare una tal caccia, subito fu da miei in quella villa un grande
apparecchio apprestato in tempo, che noi di casa tutti colà ci trovavamo a
diporto. Giunto il giorno stabilito, ed ivi il duca giunto essendo, che prima
giunta fossemi una morte improvvisa.
30 celasio L’origine
de’ mali, se sia da’ grandi, grandi son elli; e ’l
dico non senza l’esperienza; siegui.
livia Cominciò
la per me fatal caccia. Le finestre del palagio sporgevano
al boschetto, ed io, e le donne di casa colà ci femmo
a rimirare i colpi.
celasio La
curiosità, se in altri può dirsi un’escusabile
vanità, nelle donne si è un vizio convertito in natura.
livia Mi
vede il duca, io lui, mi saluta, gli corrispondo per atto non men decente, che
dovuto.
celasio Fin
qui bene, ma non più poi.
35 livia Non
più; tanto fei, mi fo più passi indietro.
celasio No,
colà fermar non ti dovevi.
livia Non
dovea; pure supponendol
partito, benché guardinga, mi rifaccio in finestra.
celasio Ah
sconsigliata; l’esser troppo sospettoso, ed affatto non esserlo, ugualmente son
vizi.
livia Or
come se d’altra fiera farsi strage non si dovesse, che di me sgraziata, ivi,
ove il lasciai, il trovo. Torna egli a risalutarmi, io fuggo.
40 celasio Tarda
fuga.
livia Vien
fatta avvisata di tutto mia madre, comincia a proverbi armi; forzami, ch’altra
onoranza io gli faccia; tanto fo.
celasio Madre
imprudente!
livia M’assicura
con sua parola d’inalzarmi a duchessa d’Urbino.
celasio Credesi volentieri ciocche si desia.
45 livia Cerca
con riserba d’impalmarmi; mia madre il consente, ah maledetto agio, che a ciò
far mi si diè.[6]
celasio E
non di rado s’assentisce ad un certo male per un
dubbio ben conseguire.
livia Mi
diè l’anello, m’impalmò, ah che muoio, non posso dir
più innanzi.
celasio Tanto
ti basti, né mai pensò di tal parola attender poi?
livia Che
attendere? Di lì a poco s’udì, ch’altra dama d’Urbino egli con segretezza
sposata averebbe. Io quasi che farnetica mi sgraffio,
mi dispero. L’ira, il dispetto parlar mi fanno senza ritegno in modo, che resi
di tutto accorti mio padre, e di miei tirano incontanente
alla mia vita. Tenera di me mia madre m’urta da loro non veduta da un basso
poggetto, che sotto sotto spinaio avea. Lor fa
credere, che da disperata menata al fiume io mi fossi; e mentre colà per me
s’accorre, dallo spinaio mal concia mi caccio. Cambio i panni miei con questi
d’una rustica, che in una fratta a legnar se ne stava, che ben di voglia me li
rese. Me l’addosso alla peggio, fuggo; a quanto udisti avvenendomi per viva qui
mi trovo. Presto, oh Dio, levami dal mondo.
50 celasio Resta
per poco, figlia, d’appenarti, senti...
SCENA IV
Giulietto,
che grida di lontano poi fuori dal grottoso numero 24, e detti.
giulietto Messere accorrete; la Brigittina fugge, e non vuol ristare.
celasio Che fu? Corri tu,
fermala. Adagio, Brigida, ove vai?
giulietto Cala giù dal colle il
pastor matto, la l’ha veduto, e ritener non si può.
celasio Ragazza, a chi dico
io? (parlando dentro) corri tu.
5 livia Non
lasciarmi, che son morta.
celasio Non temere, non so che
farmi. (e s’avvia per rigiungere
la Brigida)
giulietto Io non fo nulla;
correte, che prende la via del fiume.
livia O
me meschina! Tu vai. (e siegue Celasio fin sopra il ponte
numero 26)
celasio Torno ora, che vuoi
che faccia?
SCENA V
Lelio,
che cala per li scaglioni dell’archi
grottosi numero 24. con istrumento da suono alla mano; e Livia, che incontrandosi
seco si torna.
lelio (Canta) Che tenti? Che fai?
O barbaro infido,
mi togli dal nido
la tortora amata.
Perché tu rubata
me l’hai traditor?
(parla) Chi è qui? Tu qui che fai?
livia Chi
chiamo?
lelio (Canta) Quai
gridi, quai lai,
non mando dal cuore!
Né a tanto dolore
ti fai molle ancor?
(parla) Chi vuoi? Onde vieni? Ove vai?
(canta) Ma
sappi, ch’ormai
ti giungo, t’arresto;
sarai tu ben presto
da me fatto in brani
con queste mie mani,
o mostro d’orror.
(parla) Di’, perché qui stai?
livia Oimé, chi m’aiuta?
5 lelio No,
fermati. Mi giova che ci stai.
livia Buon
vecchio, rivieni o Dio.
lelio Perché
gridi? Cos’hai?
livia Affrettati
per pietà. (va per partirsi)
lelio Fermati,
ho detto. (trattenendola)
10 livia Da
me cosa vuoi?
lelio Lascia,
che con teco conti i miei guai.
livia Oh
ambascia; e colui non ritorna.
lelio Sai
quand’io, quant’io amai?
livia Non
so nulla, no. Che so che di’?
15 lelio Ma
sai, che, perché amai, qui mi trovo.
livia Chi
mi salva da costui?
lelio No,
mento. Anzi qui mi trovo, perché non bene amai.
livia Pastore,
va’ altrove; lasciami col mio duolo. Racconta ad altrui...
lelio Ad
altrui? Errasti, se te in veggendo di quel furore,
ah, che ben acceso non fui, accender mi veggo; ed
ancorché da lungi di sbranare mi fido...
20 livia Son
morta.
lelio Sì
mi fido, quello barbaro vile assassino. E tutto che generato da un mostro,
allevato tra draghi, pasciuto da tigri egli sia, pure ho petto, ho cuore
d’atterrarlo; ma con che? Ferma, or tel dirò. Troverò
una clava, che in mie mani compagna divenga a quella d’Ercole. (e svelle un ramo d’arboscello) Di’, tu
sai i miei guai?
livia E
lasciami, oh Dio, ch’assai più grandi sono i miei.
lelio Più
grandi?
livia Sì
gli passano a coppie.
25 lelio O
dunque a farne agguaglio t’accingi; ed allor che perderai, fia
tu lo sfogo del mio furore.
livia Ah
che m’uccide, aiuto. Chi soccorre? Chi viene?
lelio No,
non temer soperchianza; che se mai poi mi vinci, ecco
prendi con questo laccio e tu mi strangola. (e rompendo un laccio appiccato allo stromento
gliel butta)
livia Sia
pur costui chi mi levi dal mondo. Saper si può da me cosa vuoi?
lelio Non
altro, sentenzia all’udir de’ miei, al dir de’ tuoi guai. Senti; i miei in
altezza trascendon le nuvole, in larghezza l’emisferio, in profondità il mare.
30 livia Perdi;
i miei giungono a più fondo.
lelio Sì?
livia Sì,
arrivano all’inferno.
lelio Ho
torto. Ah colà dovea co’
miei condurmi, non qui. Bene, segnala per te; ma qui bisogna, che tu mi ceda.
Nati non sono i tuoi, come i miei, da un tiranno.
livia Che
cedo? Ne menti. Ebbero i miei ancora un tal padre.
35 lelio Ambi
da un padre? Dunque siam noi frati. Lascia, o cara, ch’io t’abbracci...
livia Sta’
in te pastore, ch’aprirotti l’uscita all’anima.
lelio E
no t’accheta. Vantiamo un padre stesso, e temi da me oltraggio? Non sia mai.
livia Ah
l’aspero, perché m’uccida, e più si calma.
lelio Oh
Dio, negli occhi tuoi non so che discern’io; sia
barlume, che rischiara, o folgore, ch’incenerisce. Ah che, te in vedendo,
s’affaccia in me la rimembranza...
(canta) La cara rimembranza
del ben, che un dì fu mio,
se in me s’avanza,
discaccia il rio
pallor, che tinge
ardor, ch’accende,
ira, ch’offende;
e ’l duolo finge,
che lascia il cor.[7]
40 livia Chi
mi spinge ad udirlo? Perché non parto? (replica
l’aria, ed allor che giunge a’ versi, e ’l duolo figne, che lascia il cor, spezza
il cantare, e dice)
lelio Lascia?
Che lascia? Figne figne;
che lasciar vuole? Egli allora mi lascia, quando che lasciata sotto queste
branche ha la vita l’omicida crudele dell’onor mio.
livia Pur
dell’onor si lagna? Tal punto, tal sapere in un
pastore! No, che tu pastore non se’. Hai mi a dir chi tu sia, chi generò i tuoi
mali, che io...
lelio E
tanto di sapere presumi?
livia Sì;
che se un tiranno spense il tuo onore, un tiranno assai più crudele schiacciò
il mio, sappi pure.
45 lelio Presumi
dunque anche in ciò con meno di gareggiare. Agguaglia, agguaglia, malardita che se’, un Alessandro della Rovere.
livia Ah
che sent’io!
lelio Somiglia
un tal nemico, se puoi.
livia O
che di’! Parli d’Alessandro d’Urbino il padrone?
lelio Sì
d’Alessandro, sì. Ah vile che sono, come egli ancora nella mia bocca, e non fra
le mie mani? Non più indugio. Si dia...
50 livia Ferma;
ove vai? (e ’l trattiene a forza)
lelio Lascia,
ch’a vendicarmi omai.
livia Piano,
m’ascolta.
lelio Come,
a ciò far mi rattieni? Ah parteggiana infame, muori.
(e venendo in furia se ne disbriga, faccendola cadere a terra)
livia Pietà,
o Dio, che t’inganni. Va’, uccidi, vendica con la morte d’un tiranno l’offese
tue, e le mie.
55 lelio Che?
E le tue? Ah menzognera incantatrice così pensi... (alza il ramo, che ha alle mani per colpirla)
livia Ah
ah che fai? Non son tale, sono Livia Moratti resa
vile da quello barbaro, e disonorata, il sai? E se il sai, o che tu chiunque se’ mi prometti vendetta, o pur
via scendi il colpo, e qui mi resta.
lelio Tu
Livia? Tu la Moratti?
livia Sì,
sì; se non tel dicon quest’occhi, e tu mi svena, che tel
dirà il sangue mio.
lelio E
tu qui, e tu così? (e porgendole la mano
l’alza)
60 livia Tel
dissi già, mi vedi, non ho più fiato.
lelio Ah
Livia, e sai tu a chi palese fatta ti se’?
livia Che
so io? Sol so, che sono una disperata.
lelio Che
disperata? Hai per te Lelio Brighi. Ah che il tuo orribile caso generò il mio,
l’alleva, l’alimenta.
livia Che?
Tu Lelio?
65 lelio O
me morto, o te vendicata vedrai. Meco ti porto. (e l’afferra per seco condurla)
livia E
dove?
lelio Sarai
tu spettatrice dell’orribile scempio.
livia Ascolta.
lelio Non
occorre altro. Che se poi parte vuoi di quel barbaro cuore; allor, che svelto
l’avrò, ti si dia.
70 livia Celasio aiuta.
lelio Grida
pur quanto vuoi.
livia Trattienti per pietà.
lelio Lo
di’ tu invano.
SCENA VI
Celasio, Brigida, e Giulietto dall’archi
grottosi numero 24 e detti.
celasio (Ch’essendo sopra il ponte dice)
Ferma Valerio ferma.
lelio Va’
in là, non t’accostare.
brigida Ah
vello; che paura![8]
(fugge)
giulietto Da
vero, scappa. (fugge)
5 livia Non
v’è chi mi soccorre.
celasio Corri
tu giungi quella. (a Giulietto) Ah
inetto che far pretendi. (a Lelio)
livia Oh
Dio son morta.
lelio No;
quel nero cuore terrò per me, tuo sarà il fiele.
livia Buon
vecchio.
10 celasio Non
temere. (a Livia) Forzala. (a Giulietto)
lelio Vieni,
che vuoi più?
celasio Tiella
stretta. (a Giulietto) Pastore dissennato,
soperchio ardire è ’l tuo. (a Lelio)
livia Che
pastore? Non è tale; è Lelio Brighi, trattiello.
celasio Oh
sia così! Che farommi?
15 lelio Così ti contenta,
così voglio. (conducendola seco infine a
stento per la strada numero 3)
celasio O
caso! Guidala tu. (a Giulietto, e via
seguendo Livia, e Lelio)
SCENA VII
Giulietto
che conduce Brigida con istento verso sua casa.
giulietto A
che piangi? È ito via; vello tu, il sere il mena in là vello.
brigida Oh
Dio, che ho paura. Chiama il nonno, non vo’ venire.
giulietto Non
gridare, Brigittina mia melata, andianne
a casa; che mi farò dare il cucciolino da Monna Grazia, e tel
darò, che salta, sta ritto, porge la zampina, e fa tante delle belle cose.
brigida Sì,
tu vai, e lo prendi, ed io poi sola resto a spiritare.
5 giulietto O
che s’ha a far con te stamane? Se rammentassi ciò, che dice il nonno qual
timore avresti tu?
brigida Io
rammento solo quel brutto, e tremo.
giulietto Quanto
hai il capo duro! Il sere dice sempre; temete sol la colpa, guardatevi dalla
colpa, fuggite sol da quella, e fuor di essa tema non vi faccia chichesia; e tu fuggi, e temi Valerio, perché?
brigida Perché?
Perché questa, che si chiama colpa, io mai la vidi, e Valerio sì. Come più
brutta esser può di colui?
giulietto E
’l sere dice di sì, e tu pur caparbia.
10 brigida Sarà
mi credo una brutta brutta, vecchia vecchia.
giulietto Che
sì che l’indovini. Dett’ha egli, che nacque quando
nacque il mondo.
brigida Uh
quant’anni! Sarà lunga lunga.
giulietto Lunga
tanto, che arrivò fin una volta in cielo.
brigida Uh
nonno mio, io già temo sai, e dove sta ora?
15 giulietto Dice
che si trova ove men si pensa.
brigida Come
ha la faccia, le mani?
giulietto Tanto
poi chi ’l sa? Dice il sere ancora, beati voi, se non
sapete come sia.
brigida E
come n’abbiamo a guardare?
giulietto E
tu niente rammenti. Non disse egli, se a quel che dir vuoi, se a quel che
pensi, se a ciò che fai, il cuor ti dica; vedi, che incontrerai la colpa, e tu
fuggi, e tu non dire, e tu non fare. O via vattene a casa.
20 brigida A
casa?
giulietto A
casa sì. (e fa con bel modo, che la Brigida se ci riconduca) Che frattanto non vai a
corre un paniere di cavoli...
brigida Li
colsi fin da ieri sera i cavoli.
giulietto Va’
menami la giubba, e ’l cappello; e mentre tu non isbruchi
i cavoli, torno a te col cartellino.[9]
(allo che Brigida monta in fretta le scale
menandogli lo che ha chiesto)
brigida Eh,
io vad’ora a sbrucare i cavoli; tanto sto fa, che ti
trovi rivenuto.
25 giulietto Oh
non ne dubitare. Oh mal abbia il male! Torna Valerio col messere, svignamo. (parte in
fretta per la via del ponte numero 27 ponendosi la giubba)
SCENA VIII
Celasio, Lelio, e Livia dalla strada numero 3.
celasio Ragion
ti guidi. Rivieni in te, Lelio. Ah che a bistento ti credo tale. Sai tu da
quale illustre ceppo diramasti?
livia Se
in faccia di me la stessa sciagura guardando per poco tu ti calmasti, guardami
di nuovo, mitiga negli affanni miei il tuo dolore.
celasio Per
grandi che siano i tuoi mali, farne agguaglio con l’onore posto in forse di
questa nobile donzella non puoi.
livia E
pur così fosse, ch’ancora in forse dir si potesse. Perdesti Lelio al paragone.
5 celasio A
ben soffrir le sue mi sventure uom por si dee avanti gli occhi gl’infortuni
degli altri.
livia Dicesti,
che, allor che perdevi, dato al totale mio arbitrio ti saresti. Se’ cavaliere?
Attendi.
lelio Il
dissi, attendo; ammazzami, hai ragione.
livia No,
tanto non cerco.
lelio Che
di me farai di più?
10 livia Narra
i tuoi affronti, vendicali, e co’ tuoi vendica
l’offesa mia.
celasio Eh
che non ben pensate. E che altro sia la vendetta, se non la tromba del
disonore? Solo il prudente consiglio salda le piaghe, che la vendetta sempre
più incancherisce? Di’ figlio, che in tale stato ti ridusse? Di questo Livia ti
richiede. Attendi, sel promettesti.
lelio E
sia possibile, che Lelio dica i suoi torti, e che ancora sia Lelio?
livia Lelio
per esser Lelio dir lo dee, se l’onor
lo costringe.
lelio Se
l’onor mi costringe?
15 celasio Promettesti?
L’onor, se lo stimi, vuol, che tu attenda.
lelio Sì
che lo stimo. Dirò: sappi, che stato send’io fin da
ragazzo d’Urbino lontano, guari tempo non è, che in una mia baronia, colà
dintorno di ritornare convennemi; né altri de’ miei
vivi trovando, sol che una mia zia monaca in un di
quei monasteri d’Urbino, con lei tutto giorno senza persona vedere dalla mia
villa ivi a parlar mi portava. Altra monaca avea ella
sua strettissima amica, che in cura tenea una non
men, che bella, savia, e leggiadra sua nipote, Clarice Orsucci
chiamata. Or portandosi molte, e spesse fiate l’amica della
mia zia con lei alle grate per me ritrovare, unita a loro cominciò ancora la
nipote a calare. I savi di costei portamenti, i seri costumi, l’aria del viso,
la frequente occasion di vederla, furono tanti strali
per lo mio cuore; e non disuguale corrispondenza in lei trovando, aggiunto a
ciò le volontà molto concordi delle nostre zie, fero che parola di sposarci
data ci fussim noi, e che impalmata io l’avessi. Ecco
con ciò commosso l’inferno.
celasio Non
v’ha fonte quaggiù di piacere, che l’onda mistigata
di qualche amaro non abbia.
lelio Ma
che amaro! Fiele, assenzio, tosco maggiore non ha avuto l’abisso.
livia Siegui, oh Dio.
20 lelio In questo
s’obbliga di parola la Madre della mia amata (che padre ella non avea) di darla in moglie ad un tale disgraziato cavalier
Giustini turinese. Ripugna la mia cara, e per me
apertamente si dichiara. Comincian fra me, e ’l
Giustini le gare; tanto che per lieve cagione a duello un giorno mi chiama. Son
tenuto per onore a soddisfarlo.
celasio Che
onore? Disonore si è ubbidire alle dure leggi del mondo; disordine, a cui dar
freno sempre più si dovrebbe.
lelio La
sua, e più mia disgrazia, volle, che restasse il Giustini da me su la rena
morto: esule perciò fatto io da Urbino, restata l’anima in poter di Clarice, piangea straziato dalla di lei lontananza. Occorse tra ciò,
che a caso portandosi il nuovo Duca d’Urbino in quel monistero,
pensaron le nostre zie dell’occasion
profittare, e fatta dare da Clarice al Duca una supplica, la fan presso di lui
per la mia liberazione intercedere, come perché la sua autorità presso la di
lei madre interponendo, alle nozze tra di noi stabilite assentirla facesse.
livia L’ottenne?
lelio Ah
non l’avesse mai ottenuto.
25 celasio Pensate;
dal sovrano non dee attendersi replicato il comando, ma d’uopo è investigarne
il volere, e prevenirlo con l’opre.
livia Di’,
racconta, che fe’ poi lo spergiuro?
lelio Pensa
di persona tal grata novella a Clarice di portare, come fa.
celasio Atto
troppo gentile, e sospettoso.
lelio Colà
torna: le nozze di noi conchiude; concede, che subito ripatriar possa io; dà
egli la giornata alle sponsalizie per intervenirci;
promette ancora di tenere il primo parto alla fonte. Mi si spedisce subito
corriere con tal gioioso rapporto. Rivengo, non so, se per terra, o per aria al
monistero; smonto, do il primo passo per colà
entrare, e mi veggo da quattro fermato, che fin dalla
porta d’Urbino mi perseguivano senza che allor ci badassi. Mi si fa ordine, e
sotto pena della vita, che resti da quel punto perpetuamente d’Urbino
sbandeggiato.[10]
30 celasio O
caso non facile ad immaginarsi!
livia Ed
in qual Nerone died’io, quale?
lelio E
senza darmi tempo da esalare un fiato, a montare mi danno nuovo cavallo. Pongonsi essi in sella, ed a me d’attorno mi rincalzano a
batter di sprone. Son costretto con più cambiature ad irne
venti leghe fuori di stato, ed ivi col perpetuo, e capitale bando mi rilegano
dopo quaranta leghe fatte ad un fiato.
livia E
vivo tu restasti?
lelio Nol so; a terra cado, senza moto, senza
mente, e così resto al Sole, all’acqua, al vento.
35 livia Ed
ei può la mente ricuperare, ed io non perderla? E come?
celasio Più
facile sarà, che grossa nave tra l’acque di piccolo
ruscelletto si regga, che tra vizi di chi lo regge uno stato.
livia A
che t’appigliasti?
lelio E
chi ’l sa? Altro non so dire a chi di la trar mi vuole; sapete di Lelio Brighi, che ha fatto? Che
gli s’imputa? E da tutti mi si risponde, è morto, è morto.
celasio Ciò
sparger fece egli, perché tua donna ti obbliasse. Qual mai gratitudine ad un
sovrano non saran per render i popoli suggetti, se fatti vengan felici
dal di lui incolpabile dominare.
40 livia Che
di te poi? Di’, che spasimo.
lelio Dal
dolore, dal dispetto spinger mi sento. A’ confini dello stato rivengo,
manifesto in un foglio il lordo, e traditevole
tratto, chiamo l’autore indegno di alcun rispetto, giuro cavargli il cuore, ove
meglio l’occasion mi si pari; più copie ne getto, e
di là m’involo.
celasio Troppo
ardimento! L’animo riscaldato non consiglierà mai bene.
livia Indi
che avvenne? Ah che non finirò d’udirlo.
lelio Altro
dire non so, sol che vendei quanto presso di me avea
per nudrire il mio avvelenato cuore, e tutto e quanto
ne ricavai in una locanda una notte mi fu tolto.
45 livia Puntura
di piccola serpe avvelena, ammazza; e spietati morsi di simil fatta morir non
fanno?
celasio Pure
in questi arnesi come ti trovi?
lelio Ed
hai chi ’l dice? Sol so, che in
luogo deserto conduco, no, son condotto da i giovenchi d’un vecchio pastore.
So, che figlio mi chiama; non so, se mi nutre... sì, mi sgrida, mi carezza, so...
so, che piango da sera a mattino; so che non son più vivo, e campo; so che...eh
lasciate un disperato; a che cercarne più?
celasio O
eterni imperscrutabili consigli!
livia E
dove vide mai anime più subissate il mondo?
50 celasio Animo
figlio. La mano ultrapotente ti resse, ad altro ella ti serba. Udite...
SCENA IX
Don
Pomponio, ed Arsenio di dentro le stanze del Palazzo essendo chiuse così le
porte di suso, come la grande di giuso di esso.
d. pomponio Rubretto, Rubretto,
ahi Rubretto.[11]
(grida)
celasio Oh
è levato il padron del villaggio.
livia Che
si risolve? Ah me meschina.
lelio Mezzo
in me mi vedo io per te; guidami tu.
5 livia Non
m’abbandonate.
d. pomponio Chisso? Chisso
dorme ancora; scetalo da lloco.[12]
celasio Cavaliere,
nobile donna, in ugual periglio voi siete.
arsenio Uberto,
Uberto. (grida)
celasio Restatene
meco; e pregate, che lume abbia io per un tanto consiglio. (accennando a Livia, che monti la scaletta di
sua casa)
10 d. pomponio Chiamma da ssa
loggia, da sso barcone, au
che fremma.[13]
lelio E
’l mio vecchio pastore non vedendomi?
celasio Sì
che puoi farti noto col suo zelo per l’amor, che ti porta.
arsenio Uberto,
Uberto. (fuori il balcone numero 16) È
sordo in tutto, o è morto.
d. pomponio E
manco; qua panteco ll’è
afferrato.[14]
SCENA X
Brigida
dalla porta numero 35 esce sul verone numero 34.
celasio Va’
tu suso figlia. Brigida apri, sta’ tu servendo chi vien suso.
brigida E
chi vien suso?
celasio Apri.
(ed aprendo Brigida la porta della
colombaia numero 31 fa che la Livia entri)
arsenio Uberto.
(dalla loggia numero 18)
celasio Va’,
che per tua fante troverai mia nipote; e tu meco per poco ne vieni. Ascolta, or
siamo da te. (e via Lelio, e Celasio per la strada numero 3)
d. pomponio Chisso addò s’hà
rutto il cuollo?[15]
livia Vedete,
che dal vostro ritorno dipende la mia vita.
d. pomponio O
signor Rubretto. (s’affaccia
al balcone numero 16 fumando con la pippa; e col giornale sotto il braccio)
O signor mmalora; vì li denare miei a chi le pago.
SCENA XI
Uberto
in atto d’aprire la porta grande numero 4. Don Pomponio, ed Arsenio di sopra.
uberto Illustrissimo,
illustrissimo, son qui pronto.
d. pomponio Ma
se Ussignoria sì Arzenico veda
lei, he ntiso mo? Rubretto è uscito il sole, bestio.
Messer Arzenico s’è posto paura di perdere la voce.[16]
arsenio Il
vostro è un bel dire; per men di questo arrocai ieri
l’altro, e spesi allo sciloppo per disasprire la
fiochezza in gola, né la mia puntualità femmelo porre
a conto.
d. pomponio Averimmo da tenè il
partito con il speziale, per quando Ussignoria s’abbroca. Addo è sso patto?[17]
5 arsenio L’equità
è fuor della legge scritta.
d. pomponio Fora
cossì sta scritto? E i potarria
dicere, vasta che non l’aggio scritto io; e te voglio
confondere; Ussoria sel pona a cunto.[18]
uberto Son
qui all’ordine, illustrissimo. (fuori)
d. pomponio Un
mannaggia ll’ora, che ne sete asciuto
vivo, non nge vorria mo?
uberto Io
era col postiglione a sostarlo, che facea rovina per
partire.[19]
10 d. pomponio Che?
Ch’ha ditto? Chisso a chi
sostava?
arsenio O
sì; un postiglione da Urbino questa reca. (cacciandosi
di tasca una lettera)
uberto (*
O vedi, or ce la rende.)
d. pomponio Chi
lo manda? (e passa alla loggia numero 18
dov’è Arsenio)
arsenio Veder
si può.
15 d. pomponio E Ussignoria il vedete.
arsenio Ci
voglion l’occhiali per me.
d. pomponio E
lui non li tiene? Se il prendi.
arsenio O
i miei costano a me danari. Questo poi di logorar la mia roba...
d. pomponio Te
vuò mettere a cunto l’acchiale pure?
20 arsenio Di
giustizia mi pare.
d.
pomponio Te
pare? (offerendoli il giornale) stampategille.
Legite, (* diavolo sazialo.)
uberto (*
Si crederebbe?)
arsenio (Apre la lettera, e legge) Urbino
diciassette gennaio. (e subito passa a
leggere la soscrizione) Il conte Frappelliere.
Diavolo! Il secretario di stato della corte d’Urbino.
d. pomponio E
che bo chisto? Chesta... vì che dè; vì
che bò; non me fa morì de jajo.[20]
25 arsenio (Siegue a leggere) Perché attiene al servizio di Sua
Altezza, che tre dame con quattro cavalieri abbiano comodo in cotesto villaggio
la notte de’ venti tre, gliene prevengo la notizia, acciò resti a suo conto di
provvederli di tutto lo necessario, e resto per sempre
il conte Frappelliere.
d. pomponio A
tutte lo... o zeffunno! Che bo di, mangià, e bevere, e po a tutte lo necessario, so sette, nge vonno sette necessarie. Chisso è sceruppo. Chessa quando è benuta?[21]
uberto Io
da ieri sera la consegnai al signor ragioniere.
arsenio Ed
io era coricato, ed al buio; non potea
alzarmi, e prendere un malore.
d. pomponio Perché
t’aveva da prender la mmalora? Te mettive
a paura? Allumma la candela.[22]
30 arsenio L’olio
ci mancava.
d. pomponio Vì che diavolo. Ussignoria
a li cunte (apre il giornale, e legge) cca se porta pe la candela soja
ogni notte o... commo dice qua.
arsenio Olio
per lo mio lume dieci paoli.[23]
d. pomponio Che
bò dì, cchiù di miezo ruotolo la notte.[24]
uberto (*
È pur grossa.)
35 d. pomponio Manco
se allumasse lo catafarco de la Sellaria;
e pò dice, ca staje a la
scura de cchiù.[25]
arsenio Ma,
illustrissimo, non siete informato dell’alterato prezzo per la scarsezza.
d. pomponio (Siegue a leggere il giornale) Chesso appriesso che dice? Per lo spitale...
no, pe lo speziale il posteriore, che cancaro aje scritto ccà?[26]
arsenio Per
ospiziare il postiglione.
uberto (* O
bella.)
40 d. pomponio Sì,
e be?
arsenio Una
piastra.[27]
d. pomponio Commo?
Chillo ospezeja a la casa mia, ed io pago ad Ussignoria l’alloggiamento?[28]
arsenio Per
lo servigio di sopravanzo pagate, a cui non son
tenuto.
d. pomponio Sicchè aggio tuorto?
Aggio tuorto. (siegue a leggere il giornale) chesso appriesso che dice? Pe la cera appestata al medico, qua miedeco? Chi è appestato?[29]
45 uberto (* Io
smascello.)
arsenio Pe
la cena apprestata al medemo.
d. pomponio Quanto?
arsenio Una
piastra.
d. pomponio E
commo stampaste sta cena? Tu non te susiste, tu stive
a la scura; o spetale aspettame.[30]
uberto (*
Così non fosse.)
50 arsenio Si
cenò la mia, ch’io ne stava svogliato. Padrone, quando non vi piace il mio
servire, sborsatemi lo che mi dovete, ed anderò via. (e s’avvia
per le stanze)
uberto (*
Tienilo ben uncinato per la gola)
d. pomponio Che
dè? (e
raggiungendolo il trattiene) Non po sbafà, non po sfogà
lo patrone, core mio, co le gente soje?
(* Fortuna che me ngiaje puosto
sotta) non jammo a piglià
collera. Orsù respondimmo al si seritario.
Piglia lo calamaro. (lo che Arsenio asseguisce)
Chisso è un gran diavolo di lotano,
chiama il si Cesario tu.[31]
uberto Messer
Celasio, eh messer Celasio.
d. pomponio Mo
non aggio un callo, e puro sotto a isso aggio da ire.[32]
(uscendo alla loggia numero 18)
SCENA XII
Brigida
sul verone numero 34 e detti.
brigida O
siete voi, messer Uberto, volete da me cosa?
uberto Ragazza
fate calare messer Celasio.
brigida Ma
non c’è, mi spiace; verrà ora, e gliel dirò; e ’l nonno
calerà subito.
uberto Il
padrone il cercava.
5 brigida Uh
me tapina, come s’ha a fare?
d. pomponio Ussoria scriva al si
secretario da lloco. (additandoli che scriva sopra il balcone
numero 16) Vonno esse parole carzante,
e che pesano.[33]
brigida Allor
che viene io dico subito, l’illustrissimo vi cercava, sapete. (entra, poi torna fuori dov’era all’esser da
Uberto richiamata)
uberto Bene
bene.
d. pomponio «Signor
mio ossequiosissimo». (passeggiando su la
loggia detta ad Arsenio, che scrive sul balcone numero 16)
10 arsenio (Comincia a scrivere, e poi si ferma con
dire) Ossequio...
d. pomponio Scrive,
non mme nterrompere.
uberto Eh
monna Brigida ditemi, dove il
potrò trovare?
d. pomponio (Detta) Ussignoria
mio padrone...
brigida Andate,
che se di là viene, l’incontrerete per sicuro. (additandogli la strada numero 3 ed entra nella stanza numero 35)
15 uberto Dite
benissimo.
d. pomponio (Detta) «Ussignoria
mio padrone, dica a sua Artezza cento incrine».[34]
uberto Il
cercherò signore, che non è in casa.
d. pomponio Ancora
staje lloco? (detta) «Cento incrini...» O diavolo ti
fanno rompere il filo. (detta) «È che
stiamo dentro li boschi, che potrà contro merito nostro contribuirsi per tutto
quello si potrà fare, per contracampio.»
arsenio Non
è da ruzzolar cirimonie, bisogna pensare al ricapito.
20 d. pomponio Vì che non te scorde
contracampio. (detta)
«Di cento mila, anzi un melione e mezzo de favori
senza numero, che perché per ogni berzo si farà tutta
l’obricazione per starli servendo questi cavalieri e
dame; avvantandomi per ogni ossequiazione
per de Ussignoria.» E bero
lo recapito; porta qua. (e mentre si
soscrive dice) Va, e non rispondere accossi;
chillo te stima per un chiafeo. Leggami
Ussignoria.[35]
arsenio «Ussignoria mio padrone, dica a
Sua Altezza cento inchini.» Dica?
d. pomponio Dica,
dica, non nce le buo dicere?
arsenio «E
che stiamo dentro li boschi, che potrà contro merito nostro contribuirsi a per
tutto quello si potrà fare per contracambio di cento
mila, anzi un milione, e mezzo di favori senza numero, che perché per ogni
verso si farà tutta l’obbligazione per starsi servendo questi cavalieri, e
dame; vantandomi.»
d. pomponio Avantandomi.
25 arsenio «Avantandomi per ogni ossequiazione per di vossignoria...»
d. pomponio «Per
de ussignoria.»
Arsenio «Per de ussignoria» (ed
accennandoli Don Pomponio, che legga la soscrizione siegue
egli dicendo) «Stimatissimo, ed osservandissimo servidore
disposto, il Signor Don Pomponio Varvadoro?» Il signore?
d. pomponio Il
Signore sì, commo non fosse Segnore?
arsenio Benissimo.
30 d. pomponio Benissimo,
bene assai. Serrala, e fance la soprascritta, e
consegnala mo a il postiglione.
arsenio (E mentre la serra e fa la soprascrizione suggellandola dice) Siete chi siete
signore; dar men di due piastre al postiglione vi è di smacco.
d. pomponio E
chesso pure ngel boglio, abbiangelle.[36]
SCENA XIII
Uberto
dal portico numero 3 e detti.
uberto Ecco
giusto di ritorno messer Celasio;
il fo salire?
d. pomponio Fallo
aspettà lloco, ca mme voglio conseglià co chisso, per chello che me commene.[37]
arsenio E
sono l’ultime due piastre, che tengo de’ vostri danari.(lo che udendo Don
Pomponio gli cade la pippa di bocca, ed entra dalla loggia numero 18) Eh
Uberto date, e la lettera, (e gliela mena)
e queste due piastre al postiglione per ordine del padrone. (menandogliele ancora dal balcone in tempo,
che possa il padrone udirlo)
uberto Per
ordine del padrone?
5 d. pomponio Per
ordine del padrone; fuss acciso
tu, e isso; e tutti li patrune. (ed entra nelle stanze)
arsenio (Ed al vedere, ch’il padrone non può più
udire dice) Dategli mezza piastra del vostro, che poi ve la rimborserò io.
(ed entra)
uberto Mezza
piastra? Benissimo. O messer lo
postiglione fatti da me, (* tu tiri a levargli il giubbone, ed a me dà l’animo
carpirtelo di mano, e ’l tuo di dosso)[38]
SCENA XIV
Postiglione,
che vien fuori della corte del palagio per la porta grande numero 4. Celasio dalla strada numero 3, e detto.
uberto Va’
col buon viaggio. (porgendo la lettera al
postiglione)
celasio Eccomi
al servigio dell’illustrissimo. Comanda, che vada suso?
uberto Calerà
ora. Postiglione va per la porta di dietro, che ti risparmia cammino, vuoi più
da pranzo, da bere, se’ soddisfatto? Bene (dicendogliele
in modo, che Celasio s’accorga del segno affermativo,
ch’ad un tal suo dire fa il postiglione) son per servirti, addio. (dopo di che il postiglione parte per la
porta, che introduce nella corte del palagio non veduta) Un postiglione
venuto da Urbino va via. Il padrone ha fatto darmeli due piastre, e mezza.
Godo, ch’abbiate veduto, che se n’è dichiarato soddisfatto.
celasio Cenno
ha fatto di sì; il vidi certamente.
SCENA XV
Giulietto
con in braccio una cagna vien pel ponte numero 26 in strada, né
s’accorge di Celasio, se non ivi giunto, Celasio, ed Uberto.
celasio E
donde vieni tu con questa cagna? Io ti credea in cura
della ragazza.
giulietto Per
far, che la Brigittina entrasse a casa, ho dovuto
imprometterle, che l’averei condotto questo catellino; se no, non c’era verso.[39]
celasio Avrò
un altro momento per venire con decenza?
uberto Datevi
ora, e comodo.
5 celasio Ah
pazienza; ti lascio in cura della ragazza, e tu col catellino.
giulietto Padrone,
è stato a fin di bene.
celasio Così
lo sia. (e sale con Giulietto a sua casa)
SCENA XVI
Don
Pomponio, ed Arsenio dalla porta della sala numero 12, che vengono giù per la
scalea.[40]
d. pomponio Gnorsì
va bene, squisitissimo; non mi perolià chiù.[41]
arsenio (ch’essendo giunto con Don Pomponio all’arco
della seconda volta numero 10 dice) Riceverà Vostra Signoria Illustrissima
quaranta piastre con patto di restituirmene fra due mesi cinquanta.
d. pomponio Toppo.
(e s’avvia giù fermandosi poi all’arco
della prima volta numero 9)
arsenio (Dov’era) E non trovandosi pronto il
pagamento restin tutte le cinquanta per capitale, e
per altro mese mi se ne debban pagare altre quindici.
5 d. pomponio Parolo,
e massa; toppo.[42]
(e s’avvian giù
tutti e due)
uberto (*
Auh precipizio! Ucellaccio
di rapina, altra zampa gli pone addosso.)
SCENA XVII
Celasio, che vien giuso con Giulietto, che fin a mezza
scala l’aiuta a porre la cappa, e risale.
celasio Son
qui all’ordine dell’Illustrissimo.
uberto Ecco
che cala; vi troverete ad un bel contratto.
arsenio (Giù col padrone sotto il porticale uscendo
fuori) Ma ad un tal riguardo, che dissi, si può concedere.
d. pomponio E
commo diciarrisse? Assame capì.
Mo si Cesa, riverisco.[43]
5 arsenio Unir
questa con altra polizza di due mesi fa, e farne una.
d. pomponio Ma
de chella non è fernuto il tiempo.
arsenio Mancano
sol pochi giorni. Un lecco a chi fa il piacere ci vuole.[44]
d. pomponio Chesso non è leccare, ch’è scrofoniare. Sette allevà, e parolo; toppo.[45]
arsenio Dirò
con chiarezza: le prime trenta cinque piastre improntatevi con le cinque per lo
interesso non pagato le uniremo con le quaranta, che ricevete, e se ne farà
polizza d’ottanta con patto espresso, che siccome delle quaranta pagar se ne doveano cinquanta, così di tutte le ottanta pagar se ne
debbano cento; e non pagandosi terminato detto tempo, fo l’arbitrio, che per
altro mese possiate disborsarmene cento trenta.
10 celasio O
eccesso!
d. pomponio Priesto lo Notaro,
che poco nge vo, e toppo lo palazzo. Che bo dì, ca...
uberto A
vostra Signoria Illustrissima vengono improntate settanta cinque piastre, e per
cinque mesi pagarne dovete cento trenta.
celasio Pagando
immagino il cento ottanta per cento. E come mai può farsi un tal contratto, messer Arsenio?
arsenio E
come mai? Quando siamo a vuoi, e voglio, non c’è aggravio. In contrario non sia
per detto, né per fatto. I forestieri son per via, non vorrei e vi vedeste in conturbagione.
15 d. pomponio Toppo,
va a lo banco a mmalora. A chesto
stammo soggette nuje aute pe fa sfarze de pare nuoste.
uberto (*
Anderai per le noci, e perderai la tasca.)
celasio Uom
però, ch’è prudente...
d. pomponio Che
prudenzia, e pordenzia. (e fa segne ad
Arsenio, che gli renda il danaio)
celasio Fa,
che i desideri non sormontino le forze.
20 arsenio Necessita
prima veder la scritta dell’acquisto dell’albergo, che m’obbligate.
d. pomponio Chessa
è lesta, mo te la vao a piglià into a lo scrittorio. (e s’avvia sopra)
arsenio Ed
io lacererò subito la prefata polizza, ch’in cose di
puntualità non fo, ch’altri m’avvisi.
uberto (*
L’idea dell’onore.)
d. pomponio (E giunto all’arco della prima volta numero 9
dice) Lo Notaro? Ancora stai lloco.
25 uberto Vado
signore.
d. pomponio Averisse esser venuto.
celasio Starò
attendendovi. Illustrissimo.
d. pomponio Si
cisà, mo so co lui.
arsenio Questo
sì, l’apparecchio del ricevimento non fate, che v’impicci; resterà tutto a
conto mio.
30 d. pomponio (E giunto all’arco della seconda volta numero
10 dice) Mme daje
gusto; resta pe cunto tujo;
fa cose da paro mio. (e va su)
uberto Ti
vien fallita usurario. (e va via pel
ponte numero 27 restando soli Arsenio e Celasio, e
dopo poco si vede dal balcone numero 16 Don Pomponio, che cerca l’anzidetta
scrittura nella stanza numero 15 dentro uno scrigno)
arsenio Ma
è una gran cosa, messer Celasio,
che sempre abbiate a trovar per me sofismi. Piacerebbe a voi, ch’io
m’attraversassi al vostro utile?
celasio Certo
che sì, quando che l’utile si scompagnasse dall’onesto.
arsenio O
messer lo scenziato, lo nteresso non piace a veruno.
35 celasio Più
laudabile è lo ’nteresso, che l’infame guadagno; né
vi è tesoro più odioso di quel, che nasce dal cattivo guadagno.
arsenio A
voi altri filosofastri per tanto sottilizzarvi la mente manca talora ancora il
necessario.
celasio Non
v’è più ricco di chi niente desideri, né più povero di chi struggasi
per molto avere.
arsenio O
che bel dire. Il ricco si è quelli, a chi traluce l’oro in fondo di cassa,
padron mio.
celasio Che
stima dee farsi dell’oro? Ditemi nettamente un laccio d’oro fa men misera la
sorte d’un impiccato? Dite.
40 arsenio E
pur con le sottigliezze. So ben io il proverbio, che dice. Chi quando può non
fa, quando vuole non fa.
celasio Dell’onesto
potere, e mal non dite; ma miglior consiglio detta: quanto più puoi, fa’, che
tanto men ti sia lecito.
SCENA XVIII
Uberto,
che vien dal villaggio numero 38 con persona, che fa credere essere un
cuciniere, e gli anzidetti.
uberto Oh
il capo. E pur col dono; dono, dono, e dono. O che ’l fai in dono, o che ne
pagassi, non occorre: siam provveduti.
arsenio Hai
briga tu, Uberto? E con chi? Sento dono; piano, che cosa vuol fare in dono?
Adagio. (faccendo segno al cuciniere, che si fermi) Tu
subito dai il puleggio alla gente; fa’ che lo senta io.
uberto Passa
di qui un cuciniere, che va a fiera di Sinigaglia, vuol servire nel far da
pranzo per forza...[46]
arsenio In
dono?
5 uberto Come
se a me non bastasse l’animo meglio di lui.
arsenio Ma
ho inteso già, che vuol fare in dono. Fatti da me tu. (allo che quelli se gli avvicina)
uberto (In
dono è cosa che si dice. Va’ va’ tasta costui; è stato niente men de’ quattro
capi di cucina, che venne a lavorare nel famoso ingresso della Regina di Svezia
in Istocolmo).
arsenio (Canchero!
Ma sentiamo meglio questa cosa del dono.) Senti a me. (e parla a colui in secreto)
uberto (Io
dissi approbarlo per uom valente; non per uom cui
possa consegnarseli un becco di starna.)
10 arsenio (Chi
cerca a te questa malleveria? Molto ti scotta.)
celasio (Questo
va a suo carico. A che intralciarvene voi?)
uberto Ma
dove si può buscare un grosso, ci si leva come s’ha a campare?
arsenio Andate
voi Uberto; badate alla credenza.
uberto Pazienza.
Se poi vi si renda comodo di darmi la mezza piastra data al postiglione.
15 arsenio O
sì, qui di’ tu bene; eccotela. (e la
rende ad Uberto, che ponendosela in tasca s’incamina)
(Si è; tu poni in tasca il tuo, e le due mie non ti par ora di rendermele.)
uberto (Quali
due vostre?)
arsenio (Quali
due corna. Le due piastre, che t’ho menate dal balcone.)
uberto (Che
le dessi al postiglione per ordine del padrone? Ed io gliel’ho date.)
arsenio (O
nom del diavolo; io non t’ho detto, che glie ne dessi
mezza del tuo, che te l’averei riborsata.)
20 uberto (Mezza
del mio è vero, ed io mezza ne l’ho data.)
arsenio (O
bene; dunque dammi le due mie alla malora.)
uberto (Gridando) Come le due vostre? Io ho dato
a colui prima la mezza, e poi le due; prima le due, e poi la mezza. Così detto
m’avete.
celasio Error di poca spiega; mi spiace.
arsenio (*
O me dirupato. Ah sangue mio).
25 celasio Senza
gramezza, messere, meglio si viene a capo di che che
sia.
uberto Udite
messer Celasio. Mi mena due
piastre, ch’io le dessi al postiglione, e ’l padrone v’è presente; può negarsi?
Poi mi soggiunge dagliene mezza del tuo, ch’io te la rimborso; prendo le due,
perché ordinate dal padrone, prendo la mezza, perché ordinatami da voi, ed al
postiglione le do io. Il torto mio dov’è? Se n’è dichiarato soddisfatto avanti
di voi colui? Dite messer Celasio
per miserazione.
celasio Cenno
ha fatto di restar soddisfatto; ben fu da me veduto.
arsenio (*
O diavolo, o diavolo, perdo il mio ancora diavolo.) Ah furie dell’inferno
tutte. Oh che do in bestia.
SCENA XIX
Don
Pomponio prima dalla loggia numero 20; e detti.
d. pomponio Che
ncè Arzè? Tu abballe. Lo notaro addoè?[47]
(poi si fa alla porta della sala numero
12 calando per la scalea)
uberto Non
era a casa, verrà in punto.
d. pomponio (Che fattosi all’arco della seconda volta
dice) Ecco cca Arzè; tienete lo stromiento mpigno nfi che non bene lo notaro (e gliel mena) Ausolejame no
poco, si Cesario, mo scenno.
(e s’avvia giuso, e Celasio
va ad incontrarlo dentro le scale)
celasio Tutto
all’ordine, illustrissimo.
5 uberto Per
carità non vi fate sentire, e prendetevi quanto ho.
arsenio Che
mi prenderò? Le croste della tigna, se la tieni.[48]
uberto Corro
ora dietro al postiglione, e caccerogli le piastre
dalla gola? (e s’avvia per l’arco
rovinaticcio numero 21)
SCENA
XX
Don
Pomponio, e Celasio prima sotto il porticale, e poi
fuori, e detti.
d. pomponio Che
te pare? Veda è descrezzione...
Arsenio (Fermati tu col
diavolo, ch’ho da pensare.) (ad Uberto)
d. pomponio Io
non dico pe chesso, chi ha fatto cunto
mai di vinte, trenta Principe e Principisse? Mi
meraviglio. So benute ad appojà
la libarda? Bene appojata.[49]
arsenio (*
Ti giugnerò ben io, manigoldo.) Cuciniere. (e torna a parlarli in secreto)
5 d. pomponio Ma
chisse mo proprio mme zucano il mafaro,
quatto Dame, seje Cavaliere, veda Ussignoria
la lettera.[50]
(e gliela porge)
celasio Con
disporre le cose a mente serena si agevola l’incomodo.
d. pomponio Chi
è chisso Arzè? (Che se resorve né? Vi ca hai ditto ca tu
nge pienze.)
arsenio È risoluto.
Ecco un cuoco della Regina di Svezia; vi farà un onor
sopra grande con solo due piastre e mezza di mancia.
d. pomponio Sollecetammo; nge
so mo a labballo. Eh sbezio commo te chiamme? Badiate
al nostro stimamento. (Dicendo al cuciniere) Sta sbezia commo è sguigliata qui?[51]
10 uberto Signore,
si è fatto conoscere costui; ma...
arsenio Che
conoscere? Fu da me conosciuto pezza prima. Dove intramettersi il lacché col ragioniere? (e
guida il cuciniere in cucina numero 5)
d. pomponio Chiavale
un annicchio. Alloco tujo
tu non ci sappiamo stare palata sfatta?[52]
uberto Dico
solo, signore, io non l’approbbo un fico.
d. pomponio Che
dice qua costei ca non l’approbba? Siente.
15 arsenio È
pur la. Basta, che l’approbb’io.
d. pomponio L’approbb’isso. Siate usato proprio a trasì
nconfedenzia. Te lo levo i sso
vizio.[53]
uberto Io
mi dichiaro.
d. pomponio Se
dechiara cca, ausoleja.[54]
arsenio Va
bene va bene.
20 d. pomponio Va
bene.
uberto Io
so come si dice: gennaio fa il peccato, e poi maggio n’è incolpato.
d. pomponio Vì che dice cca,
jennaro, e frebaro.
arsenio Va
bene. (e s’avvia suso, e giunto sotto la
prima volta, s’affaccia dall’archi, che sporgono dal
fiume numero 3)
uberto Bene
bene, be, be; la pecora fa be, e perde il boccone.
25 d. pomponio Non
vi vogliate appilare? Quanto mi date, e vi fo
scendere il pepitolo?[55]
arsenio (Che si fa all’arco della stessa volta numero
9 e dice) Signore, un ragazzo avvisa essere vicino per fiume una dama delle
consapute, credo.
d. pomponio O
tossico: commo? Scrivono pe sta sera, e beneno stamatina? Curre (ad Arsenio, che a confusi ordini, che
riceve, così ancora Uberto, van su, e giù più volte disordinatamente) damme
lo vestito de cetà. Siente, Arzè; vì
che guajo! Chiamma addo sì...
damme le scarpe... pigliate ssi pantuofane...
vi che giudizio porra cca...
mme vvo fa i scavozo... lassame i a bestì ncoppa... no scinneme a bestì dinto a sto vascio... scinne na seggia.
(ed entra in un basso sotto il porticale)
celasio Piano
signore quelli fa presto che fa bene.
SCENA XXI
Giulietto,
Livia, e Brigida, ch’al gridare di Don Pomponio si fanno sul verone, numero 34.
Celasio alla piazzuola, ed Uberto, che cala con una
sedia con gli abiti del padrone, ed entra a vestirlo nel basso.
giulietto C’è
il messere in istrada non temete no.
brigida Uh
nonno; grida l’illustrissimo, ho paura, ho paura.
livia Che
fu, messer mio? Son gelata tutta.
celasio Una
brigata della corte di Urbino qui sarà tra poco.
5 livia Oimè,
oh Dio, che me ne farò? Misera, che ci nacqui.
celasio (Ch’accorgendosi, che Lelio venga per la
strada numero 3 dice) Ah Lelio giusto giunge...
livia Oh
Dio fermatelo.
celasio Ed
in tempo non opportuno. Cala Giulietto. (allo
che colui subito vien giuso)
livia Chi
sa se chi viene conoscer lo possa?
10 celasio Va’
tu, vedi Valerio che viene, fermalo da mia parte.
giulietto Valerio
egli è matto, padrone.
celasio Non
ti faccia tema; egli è savio, a me t’assicura. Svialo di là, conducilo nella
prima macchia del bosco. (additandocela
per lo portico numero 3)
brigida Sere
sere, che? Torna Valerio? Io diverrò verminosa,
sapete.[56]
livia O
sconforto! Chi sa se costoro a tale effetto qui non si portino per di Lelio
sapere?
15 celasio Sono
in dubbiezza. Entrate entrate; meglio sarà, che vada
io. (e va per lo
portico numero 3)
uberto Calate
presto la pelucca, messer
Arsenio.[57]
(uscendo dal basso sotto il porticale
Uberto e Don Pomponio vestito)
d. pomponio Priesto oje nzallanuto, po dice ca... E quanno?[58]
arsenio (Per la scalea con la pelucca
alle mani) E quando. Se mi si strappa un calzare, chi me ne paga il
rappezzamento?
d. pomponio Che?
Che l’ha da venì a mente? Nne
viene, nne viene, o no?
20 uberto Teme,
va adagio.
d. pomponio De
ch’aje paura? Del collo?
uberto Che
collo? Delle scarpe.
d. pomponio Auh se credarria...
arsenio (Che vedendo dall’arco numero 8, ch’approda
barca dell’avvisata dama, si fa all’arco numero 9, e dice) Presto signore,
già giunge la dama, andate a complire.
25 d. pomponio Andate
a cacà. Porta ccà la perucca (e di là
Arsenio la porge ad Uberto) e cala miette tu,
lassa fa a me; annetta sse scarpe. Ne? Va deritta? Addoè? Arzè...[59]
SCENA XXII
Petronilla
in barca con Troiana, ed uomo di servigio, e co’ Marinai, che non parlano, e dopo poco Livia, e Brigida
sul verone numero 34 a spiare con ricatto, e detti.
d. pomponio Chisse parlano commo
a nuje ne lo ve?
arsenio Come
volete che parlino? Presto, ch’aspettano.
d. pomponio Non
me te partì da vicino per ogni buon fine. (e
si fa alla riva del fiume numero 22) O signora, sempre mia padrona devotissima.
petronilla Siam
di già pervenuti?
5 arsenio (Sì
signora.) (zufolando di dietro a Don
Pomponio)
d. pomponio Sì
signore, mia dama reverita. Ecco qui con ogni
ossequiosità per farli un cento mila benvenuti.
petronilla Altrettanto
a lei di ben trovato, signor caro.
d. pomponio Sempre
posposto ad ogni inalterabile suo ossequio.
petronilla Aggradisco
soprabbondevolmente il cavaliere.
10 d. pomponio Mi
tributo.
petronilla Caliamo;
su elà. (allo
che cala la gente di servigio)
arsenio (Non
caricate tanto, padrone.)
d. pomponio (E
statte zitto tu, quanno nge vo nge vo.) Mi onorarà contro il mio dovuto merito. (porgendole il braccio)
petronilla Compatirà
veda dico. Non permetto, ch’altri faccia di me tocco, senza che veda dico prima
non l’abbia dichiarato per mio confida.
15 d. pomponio (No
l’aggio ditt’io ca non parlano commo a nuje?)
petronilla Pure
articolate le voci nel farvi noto.
d. pomponio (E
isso ncoccia.)[60]
arsenio Si
è egli il padron del villaggio, signora.
petronilla Direste
il veda dico signoreggiatore della magione ancora?
20 arsenio (Dite
che lo siete.)
d. pomponio Lo
siete, signora, annevinato. Sono un suo scopatore,
sempre di più ossequiandomi.[61]
petronilla Riverito
per ogni lato. Or via merita ella, che sia veda dico da me accontata
nel mio veda dico consorzio (e porgendo
una mano a Don Pomponio e l’altra alla sua cameriera cala, e dice) m’ha
tanto veda dico dannificato questa marea dell’onde; ch’il distrigarlo
mi farebbe veda dico faticabile. Ah piano piano, ho avuto a smagare.
d. pomponio Che?
Che l’è ntrabbenuto. Starà ancora sbarazzata, o Dio.
petronilla Un
sassolino a traverso sotto veda dico la pianta del destro piede quasi mi
mandava veda dico a trabocco.
25 d. pomponio Mi
mortifico dentro l’anima in verità.
petronilla Presto
voglio adagiare.
arsenio Da
sedere da sedere.
d. pomponio Seggie seggie chi è
lla. (allo che
Uberto porta fuori la sedia calata per vestirsi Don Pomponio)
petronilla Riparate
voi quei raggi canicolari, che possono macchiarmi.(allo che il servidor,
che non parla, prende dalla barca l’ombrella, e le ripara il sole)
30 arsenio Un’altra
sedia. (e va suso Uberto a prenderla)
d. pomponio Eccola
servita al suo merito. (e le porge da
sedere)
petronilla Adagiato
in quella scranna s’è mai tal uno di vile schiata?
d. pomponio (Chi
schiatta? Parlano commo a nuje mo?
Sempre vuo fa lo dottore.)
arsenio Non
signora; sta solamente ad uso del padrone.
35 petronilla Or
via me ne fo paga. Piano, sbruttatela con un lino.[62]
d. pomponio (Che
dice? Che bo lo lino?)
arsenio (Non
dice questo.) Presto una tovagliuola. (gridando ver suso)
petronilla E
che sia di bucato.
d. pomponio Sbucata?
Non signora; la meglio che ngè, fa co lo muccaturo.[63]
40 arsenio (Il
mio mi costa de’ soldi a me.)
petronilla Vedi
tu, mi sono un poco scolorita a quello vada dico spasimo?
arsenio (Dite
di no, lodatela.)
d. pomponio Eh
mia signora, sconnette. Tene, benedica, un colore di
rose tomasche.
petronilla Eh,
eh, loda ella veda dico una, che se gli spone per dipendente. Segga il
cavaliere.
45 d. pomponio Oh
Dio mi mortifica.
arsenio (Segga.)
(prendendo l’altra sedia calata da
Uberto, che subito si ritira per la porta della cocina
numero 5)
petronilla Ah
qual mai aura importuna mi ferisce il dorso.
d. pomponio Il
parapetto olà dov’è? (prendendo
l’ombrella dalle mani del servidore)
petronilla Fatevi
a me, riparatemi da quel zefiro ingrato.
50 d. pomponio Mi
onorarà, ch’io non vaglio un frullo. (e fansi l’un l’altra
cerimonie)
petronilla Quanto
sia gentil esco veda dico non si può novellare. Un non so che di voi mi cozza
ad aggradirvi per mio campione.
d. pomponio (Ch’ha
ditto?)
arsenio (Complimenti
complimenti.)
d. pomponio Sono
un lemine, signora, nel farmi così comprimentato.[64]
55 petronilla Piano,
è dovere, che d’un, che lo dichiaro mio campione, io ne sappia veda dico il
nome.
arsenio (*
Non posso più.) (Saper vuole chi siete, diteglielo.)
d. pomponio Un
servitore di tutta obbricanza, Don Pomponio Varvadoro, e suo criato.
petronilla Di
casato Barba...
d. pomponio Doro,
che più non si può dire. Dirò; di casa barba fu i primi nostri processori. Uno armirante de la Smirdia...
60 petronilla Smirne
Smirne.
d. pomponio Un auto di Napole.
Chillo colla armata de mare fece de li nemmice tanto
macello, ch’arrivaje a fare un giorno il mare russo,
e questo si chiammaje il Varvarossa. L’auto cavarcaje
tutte li sette officie de
il regno; scoperze poi l’Innia
nova, e vecchia, le menere de chiummo,
argiento, ed oro; e perzò
si chiammaje il Varvadoro;
per cui son io degnissimo posteriore, che ne son chiene
le storie.[65]
petronilla O
sicché dunque ella deriva dal germoglio del gran Barbarossa.
d. pomponio E
’l Varvarossa, e ’l Varvadoro
suoi colendissimi servidori.
petronilla Benissimo,
mi fo prona, che possiate veda dico idolatrarmi.
65 d. pomponio Mi
scamazza di grazie in verità.
arsenio (*
Più non mi fido posso crepare.) (e va via
suso per le scale numero 5 non osservato)
petronilla Dicami
ella quai donzelle son elle fattesi lì al verone? (allo che sentire Livia va a chiudersi nella stanza della colombaia e
Brigida resta sul verone)
d. pomponio Mia
dama, è una nipota d’un medico vassallo mio, anzi
suo.
petronilla Presto,
fate, che discalino al mio canto.
70 d. pomponio (Ch’ha
ditto?) Arzè addo sì? (e non trovandoselo a canto s’alza, e dice) vedete, state a cenni di
mi signora.
petronilla E
da me vi stogliete? Credea, e m’ingannai, che non poteste
di mia presenza vedervi veda dico privo un momento.
d. pomponio (Non
mi friccico, era juto a farla esequire
chisso è frosciuco.) O a tiempo, si Cesario, fa scenne sua
nipota, ca mi signora la vuol riverire.[66]
SCENA XXIII
Celasio, Giulietto dal portico numero 3, e detti.
celasio Con
ogni dovuto ossequio m’inchino.
petronilla Signor
Dottore, Iddio vi consoli. Come una nipote? Due n’ho vedute io; degradino con
tostanza.[67]
d. pomponio Doje, quatto, quanta nn’aje,
priesto.
celasio (Ed avviandosi per la sua scaletta dice)
(Due nipoti! Chi gliel disse?)
5 giulietto (Fattesi
son vedere in finestra.)
celasio (O
inavvertenza.)
petronilla Presto,
ch’ogni qual sia ritardo veda dico mi fa degli effetti veda dico spiacevoli.
d. pomponio Priesto priesto, ca
fa male affietto. Solleceta
tu, oje, chisto dorme mpede. Guagliò, atta de craje.[68]
SCENA XXIV
Celasio, Brigida, e Livia, che calano, e detti, e tra la
scaletta Celasio dice
celasio (Fingete,
voi colpate. Peggio è il ripugnare.) Fate la riverenza Brigida, e voi ancora.
Gradisca Eccellenza lo scarso ossequio di povere campereccie.
brigida Io
vi fo la mia riverenza, signora.
petronilla O
la graziosa ragazza.
livia Fo
ancor io il mio dovere.
5 petronilla È
fresca, e gentil giovanetta al sicuro.
d. pomponio (St’auta quaglia tene lo si Cifario, mmalora! E sta qua?)[69]
giulietto (Da
stamattina.)
petronilla Figlie
son’ella di qualche vostra sirocchia?[70]
celasio Strette
mi sono, e per sangue, e per dovere.
10 petronilla Proccacciarsi vorrà marito cotesta
donzella già, è vero?
celasio Non
è di savia donna ciò a sé procacciare, ma bensì loda alla sua esimia onestade.
petronilla Quanto
veda dico gongolo nel vederle sì bene educate.
celasio Effetti
di bocca melata, che non sa profferir parole, se non piene di dolciura.
d. pomponio (Ne?
Pare chiu de madamma, oje suonno.)
15 giulietto (Già,
dite bene Illustrissimo.)
d. pomponio (Nformatenne.)
petronilla Godo,
che veggiate ancora veda dico la prima dama di corte.
Sì, la prima; Madama Petronilla Cafei, che son io.
d. pomponio O
mia ossequiosissima maddama...
petronilla Cafei.
20 d. pomponio Chiafea mia signora; e nfin
adesso si è tenuta lui stipata? Questo è un aggravio.
petronilla Tanto
ancor io al vostro veda dico comando. Vedrete ancora, e fra poco veda dico, più
dame, e cavalieri di stima, di cui son io destinata recettatrice.
livia Ah.
celasio (Saviezza,
dissimulazione.)
livia (E
che me ne farò io?)
25 petronilla Cos’è
vergognosetta, parlate.
d. pomponio Spapurate, ca la mia signora maddama vi dà confidenzia. (Ne?
Te sì nformato?)[71]
(parlando sempre a Giulietto con ricatto)
petronilla In
campagna...
d.
pomponio (A
chi è figlia?)
petronilla Se
be fusse presente Sua Altezza padrone veda dico...
30 d. pomponio Quando
spapure? A chi è figlia?
giulietto Figlia,
figlia... (rispondendo sonnacchioso a misura
della sua facilezza a dormire, come in tutta la
commedia)
petronilla Vi
lice il parlamentare. E pur cheta?
celasio Domandatele
alcuna cosa.
d. pomponio (Spapura, a chi è figlia?)
35 giulietto (L’è
una figlia d’oro al sicuro.)
d. pomponio (Chi
vò sapè s’è d’oro, o de ramma?) non ve scornate. (* Aù
fosse nònza chiù de medichessa.)
celasio Ubbidite.
brigida Porteranno
de’ bei nastri, e smaniglie, signora, queste dame?
petronilla Ah
ah. (godendo sempre
della ragazza, careggiandola.)
40 d. pomponio (Quando
ne respunde una a tuono?)
giulietto (Pensa,
Illustrissimo, costei a nastri sempre.)
d. pomponio (I
dico arre, e isso responne puorre.)
petronilla Or
via sentite pulcella.
d. pomponio (*
Chella è porcella?)
45 petronilla Facciam, che Sua Altezza qui fosse...
d. pomponio (*
Fusse accossì tu scrofa.)
petronilla E
vi dicesse, donzella mi siete cara. Che gli rispondereste?
livia Risponderei,
ne menti...
celasio Ne
mente volea dire chiunque non istima
Vostra Altezza degna d’essere amata.
50 d. pomponio E
lassa di a essa. Chella puro accossì
diceva. (* È cauda proprio.)
petronilla O
bene; e se poi vi dicesse, cercami lo che vuoi; che
cerchereste?
livia Che
pensasse a porre in salvo l’onor mio.
petronilla Degna
ricerca, anzi propria.
d. pomponio Vide
ha ditto buono mo? Bravo da
masta ncoscienzia.
55 petronilla E
se ciò udendo darvi facesse cento dobloni d’oro, per collocarvi, quai
ringraziamenti gli fareste?
livia Gli
direi, che sfalla, se pensa di dar compenso con tutto il suo stato...
celasio Vuol
dire, che non è compensabile qualsisia dono con uno eccesso donator, che lo
porge.
d. pomponio E
isso tuosto il sì Cisario,
mi signora madama vo sentì a essa, non a Ussignoria.
petronilla Credete
pure, che se mai Sua Altezza vi vedesse...
60 livia O
che mi vegga, o che no, di tal peso sgravar solamente
lo potrà...
celasio Ella
è che dice, che ’l peso di sgravar delle ’ngiurie i sudditi va indiviso dal sovrano.
d. pomponio Puro
nge ha boluto mette na refola de le soje.
petronilla Ha
di voi bene appreso la vostra nipote, signor Dottore,
sapete?
d. pomponio (Ne?
Nepote l’è? Sarà figlia di qualche parente.)
65 giulietto (Già,
così è per sicuro.)
d. pomponio (Ne?
E sso parente fosse meglio d’isso?)
giulietto (No
no, ch’egli è assai buono, buonissimo.)
petronilla E
come? State idolatrando veda dico le mie vermiglie sembianze, ed a volti villereschi vi straete? (accorgendosi che Don Pomponio sta intento alla Livia)
d. pomponio Mi
perdona; mi son vortato a fare un grutto,
era mala crianza.[72]
70 petronilla Ah
salvatemi cavaliere. (e s’alza
disordinatamente, e fugge verso le scale appoggiata dalla sua donna) Vi
pesi della mia vita. (lo stesso fanno le donne
verso loro case)
d. pomponio Oimè,
ch’è intrabbenuto? Currite,
chi è lloco? Arzeneco, lo Barriciello.
petronilla Una
lucertola ho veduta io.
d. pomponio Che?
celasio Una
lucertola.
75 brigida Una
lucertola?
petronilla Presto
che mi vacilla l’immaginativa. (giunta
all’arco della prima volta numero 9)
SCENA XXV
Arsenio, che alle grida esce al balcone
numero 16, e detti.
arsenio Che
fu signore? Ch’avvenne?
petronilla (Che giunta all’arco della seconda volta
numero 10 dice) Trovate compenso.
d. pomponio Priesto lo Barriciello,
che non nge lassa na lacerta manco per razza.[73]
(ad Arsenio)
arsenio Calo?
5 d. pomponio Che
buò calà; pe na lacerta ha avuto a fa revotà sto paese. (e
s’avvia suso)
celasio Ah
figlia troppo t’ha trasportato il dolore.
livia Celasio, oh Dio, se parlo è male, se taccio è
peggio.
brigida Giulietto
così son le dame; io non le vorrei né men di zucchero.
giulietto Se
mi fusse avanti non mangerei per un mese.
10 petronilla (Ch’essendo entrata nelle stanze giunge al
balcone numero 16 e dice) Presto fate spiumacciare una materassa con una
coltrice.
d. pomponio (Che giunto all’arco della seconda volta
numero 10 dice) Vedite, eseguite la signora.
petronilla (Rientrata nelle stanze dice) Cavaliere.
d. pomponio Mme chiamma; Arzè siente, vì
se può mettere quaccosa dinto
a lo vino, che me la potisse mpaglià,
e se jettasse a no pizzo.[74]
SCENA XXVI
Uberto
gridando di dentro, e gli anzidetti, ognun dove si trova.
uberto Parate,
parate. Ah ribaldo truffatore. Dal giardino, accorrete. Lo schioppo, porta via
la cassa.
arsenio Oh
disperato, qual cassa?
uberto Si
butta. Lassa la mia roba, che ti tiro.
SCENA XXVII
Si
vede precipitare la cassa d’Arsenio per la scaletta numero 5, ed il finto
cuciniere si butta dalla finestra della cucina numero 6 giù nella corte,
forzando la porta del giardino numero 7, allo che Uberto dalla stessa finestra
numero 6 gli scarica un colpo d’archibuso ed alla botta Arsenio venendo giù per
le scale, e Don Pomponio, salendo, s’urtano e scolacchiando
Arsenio così fa il resto della scalea, e Don Pomponio carpone. Petronilla dal
balcone, Troiana la sua donna dalla loggia numero 18. Celasio,
che vien giù in fretta per la sua scaletta, Giulietto, e Livia sul verone, e
Brigida sopra il solaio scoverto numero 37. Poi
Uberto per la scaletta della cucina numero 5 esce nella piazzuola, ed ivi
ancora Don Pomponio, Arsenio, e Celasio, e nel mentre
tutto ciò succede parlano come siegue.
d. pomponio Crestiane ajutateme,
vassalle mieje addò site?
celasio Oimè
gran male succede.
livia Soccorretemi,
che muoio.
brigida Uh,
uh, uh, nonno mio.
5 giulietto Serrate,
messere, serrate.
petronilla Ah
smago, ah trepidazione.[75]
arsenio Qual
cassa di’ tu col diavolo?
d. pomponio Si
Cisario sarvame; miettete mmiezo.
petronilla Non
v’è chi spalleggia le dame? Mio campione...
10 d. pomponio (*
Mio cuorno, non te faje scannà.)
giulietto Messere
qui tutti moriamo. (ed aiuta la Livia smarritasi al rumore, perché entro si riconduca.
Come fa la Brigida calando dal solaio)
celasio Oh
Dio aiuta; tanto rumore senza saperne cagione.
uberto Oh
disperato me pezzente; il cuoco m’ha involato quanto avea
per salvar questa cassa, sconsolato. (additando
la cassa d’Arsenio a piè della scaletta num. 5, che
subito vien presa dal medesimo.)
arsenio E
fu salvata? (e mentre l’apre dice) È
vuota? È piena? Di’, che muoio; ah sangue mio.
15 uberto Vuota?
Vuoto m’ha fatto ei di quanto avea, tapino, meschino.
celasio Oh
disordine, ma introdurlo a casa senza averlo in conoscenza.
uberto Il
dissi chiaro, che non era uom d’approbarsi padrone.
Messere, se il ver non dico, fate del mio cuoio una stringa.
d. pomponio Non
nge puo di un callo. Nge nzallanie, e nauto poco le menava li ture.[76]
petronilla Miserello;
veda dico mi s’appiccinisce il cuore.
20 celasio Udiamo
il succeduto.
uberto Voll’egli serrarsi in cucina, e
’l sere Arsenio gliel permise, egli vedendosi solo
forzata ha la stanza del messere, e la mia.
arsenio La
mia stanza? Ah che non ci vedrò un’altr’ora.
d. pomponio Ausoleja. Te po beni mo no pantico, auto che a cca nauta ora.
uberto Dalla
vostra prende la cassa, dalla mia quant’avea. Ne fa
un fangotto, e ’l butta per la finestra del giardino,
e con la cassa sotto la cappa sordo, e zitto per la scaletta se la svignava. Io
me n’accorgo, e per parte di correre al giardino, e ricuperarmi il mio, gli do
sopra, e nell’istrapparli la cassa cado per le scale.
Mi recedo, prendo lo schioppo, e trovo già da lui forzata la porta del
giardino, e ’l fangotto preso, e che fugge da
disperato; gli scarico addosso, l’archibuso; ma dov’è? M’ha assassinato, non
sono più Uberto.
25 petronilla Ah
che tante doglienze mi causano un deliquio; presto presto
ristoratemi. Cavaliere, da desinare. (ed
entra)
d. pomponio Gnorsì
è lesto. Va, va, Rubretto, menesta;
fa’ tu; arremedia; ca po penzo io a li guaje
tuoje.
uberto Che
volete che minestri? N’ha rappato ancor le scodelle.
È una compassione.
d. pomponio Au peste sbottame.
Mannaggia chi m’ha figliato. E mo che se mangia? Mangiammo
corna mo.
celasio Il
mal dire non sanò mai piaga.
30 d. pomponio Ma
il mala pasqua, che mme vatta a me sulo; e Ussoria puro lo bede; chella s’avarrà schiegato lo sarvietto. Arzeneco mio, tu nge curpe.[77]
celasio Contentatevi,
signore, ch’io m’intrometta.
d. pomponio Jodeca si Cesà;
faccia Ussoria. La repotazione
mia mo sta.
celasio Ma
quando abbia provvisto all’altrui danno dovrebbe rifarseli in parte il suo
scapito.
d. pomponio E
paga Arzè c’aje tuorto. So ommo de corte mo. (e via suso)
35 arsenio Che
volete che paghi un povero racconciato?
celasio Ma
dove bisogna, o bere, o affogare, è meglio il bere. Dateli un fiorin d’oro, e godrete così non aver perduta la cassa per
intero.
arsenio O
disperato; e che colpo fatale mortale. (e
mentre riapre la cassa per prendere il fiorino, non vede Lelio che viene)
SCENA XXVIII
Lelio
dal portico numero 3, Giulietto, che riesce sul verone numero 34, così ancora la Livia, e detti.
lelio Colà
più star non poteva, Celasio.
celasio O
sinistro accidente!
giulietto Valerio
Valerio.
lelio Ma
chi son costoro?
5 celasio Pastore
va’ in quel canto; or son con te. (allo
che Lelio si ritira donde è venuto)
livia Ah
che in mal punto giunse egli, e fu veduto. (e
s’avvia giuso)
arsenio Ah
stentato mio, come ti perdo. (dando un fiorin d’oro in mano di Celasio)
celasio O
via prendi Uberto; non istar più a guaiolare. (ed Uberto ripugna)
uberto Ah
il mio tutto ridotto a pochi soldi.
10 arsenio Oh
rabbia intestina, come così mi divori?
livia (Messere,
o disgraziata, Lelio è venuto. Chi sa se fu conosciuto?)
celasio (Tiralo
lì in disparte, fallo del tutto accorto, (a
Livia) guidala tu Giulietto (e ’l fa
calare). È dovere ch’eviti, che costoro s’ammazzino.) (e s’avviano Livia e Giulietto per lo portico
numero 3 a giunger Lelio) Prendi, Uberto. So, che se’ uom da fidarsene;
poni l’onore in faccia al padrone.
uberto Ah
pazienza. Ecco la mia pelle per l’Illustrissimo. Co’
pollami, cacciagioni, intingoli in men di mez’ora... datemi
da spendere. (chiedendolo ad Arsenio)
arsenio Datemi
da crepare.
15 celasio Ma
quando, messere, il padrone v’abbia disborsato il suo... dategli due paia di
piastre, e godete di rimediare in tal modo.
arsenio Dov’è
il diavolo, che me ne porti? (e riaprendo
la cassa per prenderle dice) mi si leveranno ancor le budelle.
celasio La
più bella vittoria è quella, che s’ottien di se stesso. Prendi Uberto; falla da chi mangia a dovere il
pane altrui.
arsenio Ah
un fuoco per bruciarmici vivo. (e va via
per la scaletta numero 5)
celasio (Che accorgendosi ch’è vicino a giungere
molta gente in barca dice) O gran gente a questa volta. Chiamate avvisate (parlando ad Arsenio che non gli risponde)
Illustrissimo Illustrissimo.
SCENA XXIX
Don
Pomponio prima da dentro e subito alla loggia numero 20 e poi giuso per le
scale e detto.
d. pomponio Chi
è lloco?
celasio Ecco
la brigata, le dame, i cavalieri; calate.
d. pomponio Le
dame? Chiammate, addo site? O male juorno. Si Cisario mio, non te movere. (e giunto
all’arco numero 10 dice) E lasso chessa, voglio
sentì n’aggrisso? (e risalendo dice) Signora, ecco son’assummate
le dame, solleciti le gaveglie.[78]
celasio Non
è ben, che Livia si ritiri a casa prima che non sian
tutti sbarcati e suso saliti. Io non so che farmi.
5 petronilla (Condotta per mano da Don Pomponio dice) No no andate voi, non mi fido;
sono imminenti veda dico le vertigini. (e
rientra)
celasio Avvisarolla. (ed avviasi)
d. pomponio Lo
potea dir primmo. Peste vottannella. Si cesà, si Cesario
diavolo, addo vaje?
celasio Un
momento signore, e son qui subito.
d. pomponio Non
te movere, mo si ncocciuso. Me vuo fa restà sbrevognato? Da’ nuocchio lloco;
Arzeneco è no stordato,
poco vale. (cala e s’affaccia all’archi della prima volta numero 8)
10 celasio Come
farò? Bisogna avvisar Livia, e poi ubbidire. (e va nel portico numero 3)
SCENA XXX
Conte
Marcello, Contessa Olimpia, Clarice, e Marchese Rinaldo per barca, co’ marinai. Celasio, che ritorna
dal portico numero 3, e sale per la scaletta numero 5. Brigida a guatar sul
verone numero 34, Petronilla dopo poco appogiata da Troiana,
e Don Pomponio ove si trova.
conte Quest’è
dunque il villaggio de’ Sette Ponti? È ameno in verità.
marchese Quest’è per l’appunto.
Piglia il nome da sette ponti, che lo cerchiano.
d. pomponio Io,
il villaggio, e quanto ngè servitori obricanti; e se più posso eccomi.
marchese Egli è forse il
padrone del luogo?
5 conte Resto
tenuto, signor caro.
d. pomponio Patrone
divoto, anzi l’istessa servitù, che le professo. (e cala ad incontrarli alla riva del fiume
numero 22)
olimpia Cognata come stai tu
trattata al venire per acqua?
clarice Avend’altro che mi tratta peggio
non ci ho badato, sorella.
marchese La prima volta è
questa, che camminan per acqua, signore?
10 conte Per
Clarice la prima; per voi, nipote, credo ancora di sì.
olimpia Non signore; ricordo
essermi posta altra volta per fiume.
conte Or
via calerò il primo per dar luogo. (e
sbarca dando la mano a Don Pomponio)
d. pomponio Di
il benedica; un merolillo.
marchese Se poi restan comode, son qui a servirle.
15 d. pomponio Piano.
U cancaro, l’ho pigliato ad occhio. (dicendo al Conte, ch’è sdrucciolato)
conte È
nulla è nulla.
olimpia Vi faceste danno,
signor zio?
marchese Ma ditela schietta.
conte Non
c’è male no, in verità.
20 d. pomponio Qui
ngè medico, medicinali, ngè
un tutto con suo servizio.
conte Or
via nipotina a voi. (dicendo a Clarice
che sbarchi)
d. pomponio (Cercando il permesso al Conte d’appoggiarla)
Mi comprimenterà questo favore, se non sia ad incommoto.
conte La favorirete
con suo piacere.
d. pomponio Mi
sprofondo.
25 petronilla (Calando dice) Piano piano le mie carni
si tartassano al contatto d’una pulce. Or pensate voi al calcare questi veda
dico acerbi macigni.
marchese (E frattanto sbarca Olimpia appogiata dal
Marchese) Contessa Olimpia non so come vi veggio. Più vostro, che d’altrui,
conosco il disagio.
olimpia Eh Marchese Rinaldo...
petronilla Cavaliere
(dall’arco numero 10 chiamando Don
Pomponio che non l’ode)
olimpia E qual più disagio
della mente non serena?
30 petronilla (All’arco numero 9) Cavaliere. (allo che Don Pomponio va a riscontrarla nel
porticale)
marchese M’appena ogni vostro
sinistro, ma dove sia di mente, ove per non saperlo giugner
non può mio sollievo, è per me uno spasimo. (alla Contessa)
petronilla Ed
io posposta? Ed io non contemplata? (e
vien da tutti guardata)
d. pomponio Ma
averebbe creduto, che non volesse scommitarsi.
conte Chi
è costei?
35 olimpia Donna del padron di
casa forse?
d. pomponio (*
Quando muore de subbeto?)
marchese Non signora; se non
erro, veduta l’ho io in corte.
clarice Che?
Gente di corte? E ch’ha a far qui tra noi?
petronilla (Nel mentre s’avvicina per fare i convenevoli
colle dame dice) Era ondunque decevole, che ad
esser veda dico ricettatrice d’una Venere, d’una veda dico Giunone, trovata si
fosse una veda dico Pallade.
40 d. pomponio (*
Mannaggia chi t’ha allattato.)
petronilla Che
per ora se l’espone ad un inabissato servaggio.
d. pomponio (*
Lassa dì, fuorze le fa passà
l’appetito.)
olimpia Restiam
tenuti al favore, che ci fa.
conte E
con che delicata espressione, molto obbligato.
45 marchese O siete voi, madama
Petronilla; vi do il ben trovato.
petronilla Tutta
del Marchese.
clarice Sorella,
dite al zio, che molto travia dal concertato, non mi
costringa a render chiari i miei sensi.
olimpia Mi sentirà, ma quanto
bene. Di che temi? Son io qui per te.
d. pomponio (*
Chisse so rovagne, auto che
sso cuofono scassato.)[79]
50 petronilla Fatti
sonsi meco incommutabili gl’interessi veda dico
onoranti di questo già mio cavaliere. V’offro accinta sua magione.
marchese (O quanto è
affettata!)
conte Non
è da ricusarsi l’alloggio.
d. pomponio (*
Mmè benuta per
procuratore.)
conte Ed
in una così buona casa.
55 d. pomponio Anzi
uno scarrupo; non da pari di queste gran signorie.
olimpia Obbligate ad entrambi.
Siam solo venute per goder della campagna.
clarice Ove
per poch’ore, che sarem
qui, qui ne staremo con ogni piacere. (e
sede ad un poggio)
petronilla (Parlando con la Clarice)
Oh non mai veda dico veduta arciera; e non vorrà assentire veda dico ad un
qualche riserbo per lo suo peregrino candore.
conte È
che lo star di continuo all’aria aperta non lo stimo opportuno.
60 olimpia E no no, l’aria il
permette; si dichiara tenuta alla vostra premura.
d. pomponio Mi
signora, lo stommico farrà
pio pio un boccone almeno per sciacquare una botta.[80]
conte Che
dice?
marchese Credo afferisca da
pranzo.
conte Ma parmi necessità lo accettare il favore.
65 clarice O
questo poi, se va giù il mondo, non può sortire.
marchese Stimo sia un soverchio
malmenarvi.
conte O
che sarebbe un solenne sproposito.
clarice (Olimpia,
vedete che questo può essere l’ultimo de’ miei giorni.)
olimpia A patto veruno non
vogliamo di qui partire.
70 petronilla O
ma prima vedransi le ceneri rinverdire.
clarice A
bastanza foste pregata.
marchese Permettete, che
facciano a lor modo; non deeno più forzarsi.
petronilla Nel
pronto asseguire s’ha a differenziarsi veda dico il vero sorvigiale.
d. pomponio (*
Au prommune.)
75 olimpia Serva obbligata.
d. pomponio (*
Dinto a le ceremonie mesca
il serviziale.)[81]
olimpia Ognun può darsi ora.
d. pomponio Ma,
mi signora, io fo una faccia di pontarolo.
marchese Non occorr’altro, riverito signore. (ed avviansi il Conte e ’l Marchese per la
stradetta che va riva al fiume numero 21, seguendoli Olimpia e la Clarice)
80 petronilla Eh,
non ancora mi date il dovuto servaggio?
d. pomponio Compatisca.
I cirimonj vuol che lasci un galantommo?
(porgendole il braccio si ritirano amendue suso discorrendo non uditi)
clarice Cognata,
sponi al zio...
olimpia Gli sporrò certo
quanto dal nostro decoro vada lontano.
SCENA XXXI
Livia,
Giulietto dal portico numero 3, ch’al creder di non esser veduti s’avviano in
fretta verso la casa di Celasio, e detti.
giulietto Presto
presto, già van via. Se v’affrettate non siete
veduta.
olimpia Parlerogli,
e con libertà; signor zio, fermate; né voi partite, marchese.
conte (Eccomi)
(accorgendosi della Livia
dice) O chi sia quella donzella, che va su? Donzella.
marchese Or vedete ch’aria
leggiadra ne’ boschi.
5 conte Contentatevi,
zitella, di farvi vedere. (allo che Livia
si ferma mal volentieri)
giulietto (Badate,
ch’il messere sbufferà.)
conte E
perché tanta scortesia?
livia Una
donna di villa si smarrisce; non sa che dire.
giulietto (Cappari l’abbiam fatta tonda.)
10 conte O
l’innata gentilezza, che pur si trova.
marchese Si crederebbe in
contadina tal serio visagio!
olimpia Dove vi portavate
donzella?
livia In
mia casa, ch’è questa, signora.
conte (Chiamando Giulietto in disparte dice)
Chi è ella?
15 giulietto Nipote
si è d’un messer medicante degli ammalati, ch’è qui.
olimpia La sorella sentirà con
piacere l’innocenti ragionari di costei.
conte Zitella.
olimpia Zitella fermatevi. (e rivolta al Conte ed al Marchese dice)
Andiamo qui noi riva al fiume per dirvi cosa che mi preme.
conte No
tanto sentirla qui possiamo.
20 olimpia No no; vi vo’ non
distratti; andiamo. (e via Olimpia,
Marchese e Conte per la strada numero 27)
SCENA XXXII[82]
Clarice,
Livia, e dopo poco Brigida sul verone, che chiama Giulietto.
clarice Beata
te, zitella; quanto invidio la tua sorte!
livia La
mia sorte?
clarice Sì.
brigida Giulietto
corri, la micia sgraffia il cocciolino, corri.
5 giulietto Dalle
sul muso, che non l’ammazzi.
brigida Corri,
che l’inghiottisce.
giulietto O
rovina! Chi sentirà monna Grazia? (andando
suso in fretta entrasene con la
Brigida, restando sole Livia e Clarice)
clarice Forse
che tu nol credi? Ah che volentieri sarei teco a
solcare i campi, a sbarbar le biade. Chi sa? Così troverei alcun sollievo.
livia Eh
signora; mai da tristezza tale esser può gravato il vostro cuore, quanto ch’il
mio. Voi fra gli agi di corte...
10 clarice Che?
Corte? Tal nome fa l’estremo del mio cordoglio.
livia Perdonate;
l’ho inteso dire, che eravate di corte.
clarice Nol sono, né ’l sarò mai; se bene, ovunque
sono oppressa sarò dal mio non mai stanchevole pensiero.
livia Eh
signora, il mal, che si riduce a solo un pensiero, sa tollerarsi. Guai a chi
oppressa venga da fatti atroci.
clarice Fatto
atroce chiami tu, che l’erba non sollevi, che la spiga non empia, la nebbia che
la disecca, la brina che le frutta disfiora.
15 livia Che
brina? Che nebbia? Altro che frutta. Atroce è solo il tradimento; e da questo
schiacciata fui, anzi morta.
clarice Che?
Tradimento? Piangi piangi, hai ragione; che se vuoi
compagnia, ben fartela poss’io. Chi ti tradì? Di’, ch’al
sol nome di tradimento ho per te quella pietà, che per me più aver non mi
giova. Farò...
livia Far
per voi non potete; che sperar ne poss’io, che piango
male del vostro certamente maggiore?
clarice T’inganni;
il mio la morte il fe’ disperato, e con togliere, e più
con lasciare chi non dovea.
livia Ah
ch’il mio ancor dopo morte si spande, e dura. Che dite ora?
20 clarice Tu
mi spingi a pregarti, che mi faccia di te sapere...no, sapere a tutti i conti.
livia E
che più dir voglio di ciò, che da tutti si ridice, ed
esclama?
clarice E
sia?
livia Ch’Urbino
ha mal padrone che la governa.
clarice Non
ti far di me guardinga, ch’io ci giungo: chi colà regna è un tiranno. Che ne
sai tu donzella?
25 livia Che
ne so io? Quello che forse spero, che non si sappia.
clarice Vai
errata. Se campo avessi, più udire, che ragionar ti farei.
livia E
pure star potria, che v’ingannaste.
clarice Potresti
tu altro farmi sapere d’esser egli un insidiatore dell’onore altrui, che le più
caute donne, e di ragguardosa famiglia, con promessa
di sposa ha fin anche tradite? Che dir più tu ne potresti? E pure è ’l manco.
livia Sì,
che più dir potrei. Egli è giunto a farsi mezzano dell’altrui nozze, a
destinarne il giorno.
30 clarice Sì,
che più? Come? Che sai?
livia Promettersi
per compare nel primo parto, assolvere dall’esilio lo sposo; chiamarlo alle
sponsali zie, ed appena quello giunto rilegarlo in non saputa parte; ed ivi...
clarice Ed
ivi?
livia Ed
ivi farlo miseramente morire.
clarice Morire?
35 livia Morire
sì, per prendersi la di colui moglie, e sua promessa comare. Ecco che ciò non
sapevate.
clarice Ah
taci taci, più non dire no.
livia Se
a voi fa tal doglienza; pensar si può qual fu quella della povera sua donna,
per cui solo quel meschino spasimava.
clarice Oh
Dio, non ho cuor, ch’a ciò basti.
livia E
chi l’averebbe? Vi giuro allor, ch’io tutto udii da
un pastore, avanti del quale perdé quell’infelice la vita, fui quasi presso a
caderne a terra tramortita.
40 clarice E
dove? Da chi tanto tu udisti? Dillo pure.
livia Qui
da un pastore del contorno, che credete? Poco da noi lontano finì lo sgraziato
i suoi giorni. Oh voi tanto piangete?
clarice Piango
sì. Son di quella sua misera moglie stretta amica, anzi attenente.
livia Ah
ch’ugual dolore ne prov’io. Soffrite ch’io ardisca di
dire: sarà vero, che l’autore di tanto scempio vanti poi le nozze di quella
sconfortata signora?
clarice Se
vantar può di tornarle la vita, che prima si leverà con le sue mani.
45 livia Un
regnante...
clarice Ch’è
tiranno? S’odia; si muore prima, che compiacerlo.
livia Ma
la forza...
clarice La
forza è vana.
livia In
fin che farà?
50 clarice Co’ pianti, e singhiozzi passerà l’ore finché muoia.
livia Il
tempo...
clarice Il
tempo la fa disperata, che vorrebbe per lei si finisse, e dura.
livia Ah
molto per quella amaricata vi veggio.
clarice Qual
meraviglia? Ti dissi, che ci ho gran parte. L’onor di
colei mi ci spinge, che del resto odio, e non amor le conservo.
55 livia Ma
perché?
clarice Perché
morir non seppe quando quell’infelice finì di vivere. Amata mia, parlar mi
facessi tu con quel pastore, che vide quel misero boccheggiare, e ridire a
quella straziata potessi le sue estreme voci quai furo.
livia Furo
ve le dich’io: Clarice, addio, Clarice.
clarice Ah
ferma non dir più. Fa’ solo, ch’a me venga il pastore, m’additi ove fu; perché
colà quella meschina dar possa l’estremi fiati col nome di Lelio in bocca.
livia Signora
io gliel dirò, il pregherò; tutto sta se spauroso...
60 clarice No;
accertalo da mia parte; eccoti la mia fede, non tema. Giuro, che di te, di lui,
parteggerò, come se si me stessa.
livia Farò
così. Vado, e qui lo conduco con un trovato. Sorprendetelo all’improvviso, che
non potrà fare a meno di dire.
clarice Bene
bene. Ne sto poco lungi a canto al fiume, sai?
livia Io
vi farò poi cenno (e via per lo portico numero 3 e dice) O ne giovi o sia l’ultima
rovina.
clarice Ah
Lelio mio, sapessi tu, che la tua Clarice di lagrime bagna quest’arene del tuo
sangue inzuppate. Ah che da qui non parte, se ancor non ci lascia, non ci
spiri, quell’anima...
SCENA XXXIII
Conte,
Olimpia e Marchese dalla via numero 27 e detta.
olimpia Clarice, Clarice.
clarice (Allo che fingendo di raccogliere le violette
entra per la strada numero 21, e dice) Raccolgo le violette, sorella; non
m’impedite.
olimpia Le violette sì, più
pallida di quelle ti scorgo io. Vedete zio, se la arriva a sapere a che in ciò voi
condisceso siete, si soggetta al sicuro ad uno accidente.
conte Accidente.
Quest’è quando s’ha a far con frasche. Accidente.
5 olimpia Eh perdonate; il
vostro fu un oprar da frasca, con buona pace.[83]
marchese Vengo, e mi spiace da
voi incolpato ancor io, per aver avuto solo in mira l’ingrandimento di vostra
casa.
conte Ed oprar da frasca vi pare, che mia nipote tragga la sorte
d’esser fatta duchessa d’Urbino?
marchese Signora, il crine, che
la fortuna ci porge, non bisogna per lentezza farlo scappar di mano.
conte Di
mano; e dice benissimo. È matta non che farnetica, colei, che potendo adagiarsi
sul trono, voglia sedere a scranna.
10 olimpia Ma parlerò, se mi
costringete. Meglio è sedere a scranna, che dar giù con obbrobrio senza speranza
di risorgerne.
conte Sempre,
e quando darem luogo a sospettose immaginazioni, non farem cosa da bene.
marchese Dice il signor Conte,
ch’il Principe ove promette fassegli torto col
sospettare.
olimpia È mio sospetto
adunque, ma è sospetto di neo di macchia in mia cognata. Che se mi stimaste,
più questo premer vi dovrebbe, che l’acquisto di un regno intero a chi che sia.
conte Voi
la sbagliate. Si tratta dal Marchese non dell’acquisto di nuovo stato al suo
principe, no; ma d’impossessarne Clarice vostra cognata. Tratta egli farla
sortire Duchessa d’Urbino, intendiamola.
15 olimpia Molto si deve al
Marchese perché lo tratta; non in frattanto esporsi dee Clarice ad esser dal
duca né men guardata, con esser appostatamente da voi
perciò qui condotta. Se poco ricordate l’esser ella figliuola di Palamede Orsucci vostro fratello, si raccorda a me, che nacque
sorella d’Ottavio Orsucci fu mio marito.
marchese Signora, non può
dirsi, che ancor si tratta, quando che da Sua Altezza state sono le nozze già
risolute.
olimpia Ma non ancora
adempiute.
conte Questo
ha avuto in mira nel farla qui condurre, questo.
olimpia Molte ne ha avute in
mira; l’ha ferite, ma non fermate.
20 marchese Ma son sicuro, che qui
si porta per fermarle.
olimpia Non si fermano così le
sponsalizie di donne del nostro casato.
marchese Alla giornata si vede
dar termine a nozze con privatezza.
conte La
cosa non è più in forse. Eh che sarà un bel vedere a dispetto dell’invidia la mia nipote, la vostra cognata, Duchessa d’Urbino.
marchese E dubitate, che se
darei il sangue per un vostro piacere, non sarei per darlo ove scorgessi un
menomo vostro svantaggio.
25 conte Può
parlar più obbligante?
olimpia Resterebbe, Dio non
voglia, a voi tenuta tutta la nostra posterità, per averlo dato; ma che pro,
quando per un nostro oltraggio voi il sangue daste?
conte Oh
l’ostinazion di donna! Ed oltraggio chiamate voi
farla degna delle nozze del principe dominante? O poco lume d’intelletto.
olimpia Oltraggiosi son per
noi i mezzi, ch’ora praticate per conseguire un onore avvenire.
marchese Ma quando questo sommo
onore sta già per conseguito.
30 conte Egli
già già è in cammino a quest’effetto.
olimpia Marchese, parlerò.
Anche a tale effetto in cammino si pose per la figlia del conte Moratti; ed
ora, o annegata, o fatta da’ suoi in pezzi ne giace.
Non so pensar perché, ho poco lume d’intelletto.
marchese Ma perché incolpar non
s’ha su di ciò la sua forsenneria, o quella de’ suoi,
quando da sperare buona ragione le restava?
conte Bel
parlare; suo danno.
olimpia Sicché a buon
linguaggio, che s’assentisca ad ogni nostro
discapito, perché ne resti poi a noi buona ragion da sperare. Parvi motivo che
convince?
35 marchese Questo non diss’io per pensiero.
conte Non
siamo al caso.
olimpia Restringiamo. Fresca è
la rammemoranza della morte di Lelio, se pur sia vera. Quanto con Clarice
ognuno ingegnato si sia, e perché di Lelio la memoria obbliasse, e perché la
somma escelsa sorte, che da Sua Altezza d’Urbino se
l’apprestava, ella agguardasse da ognun si raccorda. Quai sempre uniformi
risposte ricavato da lei si siano voi ben...
conte E
dee omettersi cosa, che c’innalza alle stelle, perché una disennata
lo discrepa? Deesi da sue risposte dipendere?
olimpia In questo certo che
sì. La discordanza d’una villanella esclude il deliberato volere d’un’assoluta
podestà. Clarice dice; se Lelio Dio me l’ha tolto, segno è, che per lo stato
maritale non femmi; se tolto l’ha l’altrui barbarie,
e questa altro da me non isperi, ch’abborrimento; ed io ci giungo, la morte di
Lelio non s’ha a certo; che quando Lelio morto non fosse, vuol l’onore di casa Orsucci, che, da chi fu impalmata, sposata ella venga, vuol
l’onor di casa Orsucci.
40 conte O
che discorso non confaccente! Un sovrano...
marchese Vuol dire il signor
Conte, che le leggi i sovrani le dettano, i sovrani le disfanno.
olimpia Non quelle, che son
contro l’onesto, e che possono recare altrui macola, o smacco.
conte Fiera
ostinazione! Caparbia dell’intutto! Non mi fido più
garrir con costei. (e via per sotto il
porticale, e poi nel giardino)
marchese Adorata contessa, ho
creduto aprirmi strada nel vostro favore nel mediare un invidiabile vostro
vantaggio. Or ch’è quasi a termine, mi rendo di voi men gradito.
45 olimpia Rinaldo, ove si tratta
d’onore, l’amore ne resti a parte. Badate a porre in sereno la mia mente, se per
voi sereni veder volete gli occhi miei. (e
via amendue per la strada numero 27)
marchese E posso così amaricata
vedervi? Oh Dio... via ordinatemi, disponete pur di me anche quando... (via parlando)
SCENA XXXIV
Lelio,
e Livia dal portico numero 3.
livia Lelio
mio non poteva io tanto udire, no. È in forse la tua vita, sai? Chi sa, che il
parlar di colei, la sua dolenza, stato non sia un trovato sagace per alcun suo
fine a tuo danno?
lelio Oh
Dio, se in costei scorgesti per la mia Clarice tanta pena, segn’è,
che di lei sa ella.
livia Sa
ella, ch’altro non fa che bagnarsi di pianto, che singhiozzare.
lelio Oimè
che narri? Chi sa, se ancor non sappia...
5 livia Sa
che di quel traditore sposa al sicuro non mai sarà. Ti par per te, per me poco?
lelio Ah
ch’ora, più che mai, veggio la nostra vendetta disperata.
livia Vendetta?
Oh Dio, credea, e dicessi tu vedere raggio di
speranza.
lelio Anzi
perché s’affaccia una dirupata speranza, si frena in me l’ardor
della vendetta, per finire di disperare.
livia Che
risolvi? Parlar vuoi con costei? Come lo stimi?
10 lelio Come
no? Va’ chiamala; lascia, che con costei ragioni. Dov’è?
livia Non
dei tu con lei ragionare, no, se non quando te ne costringa. E così acceso,
così palpitante vuoi a colei farti vedere? Se’ matto? Vuoi farti noto?
lelio Noto
sì; come nol sai?
livia Ah
che in dir così tu m’uccidi. Or che da ciò profittar ne possiamo, tu a
scapitare ne pensi? Ella del Duca mostrasi giurata
nemica, tel dissi. Molto per te, per me, può lucrare.
lelio Chiamala
adunque.
15 livia E
più tramortisci, e più scolori.
lelio Aspetta,
farò così. Lascia, ch’abbia un ferro; la pregherò, ch’a Clarice ella dica...
livia O
morte, già infollisce.
lelio Senti,
che va bene. Farò, che le dica: visto ho Lelio, ed in udir di te parlare s’apri
il petto, diè quanto avea
di sangue, cadde, morì: mel ficco in gola, e poi ch’ogn un mi venga sopra.
livia Sì
morì, ma morì senz’onore, senza attendere a Livia la parola di vendicarla.
20 lelio Mi
vinci, hai ragione.
livia Lelio
vieni in te. L’occasion ci si porge per sollievo, e
per non frenare tua passion la trascuri. Fortezza;
sostieni per ogni evento, che Lelio è morto; ascoltala; chi sa che via von ciò
aprirti si può, e tu con fare altrimenti te la serri. Pietà di te, di me ti
prego.
lelio Sì,
fa’ che venga.
livia Giura
da chi se’, che quanto dissi farai. Di’, ti rammenterai?
lelio Il
giuro, il rammento.
25 livia (S’avvia guardando sotto l’arco rivinaticcio numero 21 di dove è entrata.) Ecco
che viene. Mostra, che di lei poco ti cale; proccura, che in viso non ti
guardi; io sarò teco, non temere. Signora è venuto quel pastore, sapete? Dio sa
ch’ho fatto per qui condurlo.
SCENA XXXV
Livia
che fa segno alla Clarice che venga. Clarice dall’arco rovinaticcio numero 21.
E Lelio che per attendere con dissimulazione colei, che Livia chiama, creduta a
sé ignota, ponsi a cantare senza guardarla.
livia Questi
si è desso.
lelio (Canta) Ah
che potessi almeno
far noto il dolor
mio
a chi palese, oh Dio,
farlo dovesse poi
al mio tesoro.
(Clarice in sentendolo cantare si ferma prima
attonita, e poi frettolosa se gli fa da vicino per riconoscerlo, ed assicurarsi
di lui allor che Lelio se la fa con gli occhi in viso, e sbigottisce, ella dopo
poco vien meno)
livia (Che accorgendosi prima di Lelio, che resta
stupito dice) Oh Dio che senti tu? Va’ va’, che smarrisci. (e voltandosi alla Clarice la soccorre quasi
mancata) Oimè voi mancate. (e gira
gli occhi intorno chiamando) Che fo? Chi soccorre? Chi viene? Oh perduta.
SCENA XXXVI
Conte
che si trova entrando dal giardino nella corte, Celasio
che cala dalla scaletta della cucina numero 5 accorrendo alli
gridi della Livia amendue, e
Brigida che si fa sul verone numero 34 e detti.
conte Che
fu Clarice? Stai di te fuori.
livia Ebbe
un timore. (e le vien meno in braccia
dell’intutto, sostendendola
ancora il Conte, e Celasio) Ah ch’è tramortita.
conte (Che vedendo la Contessa di lontano dice)
Affrettatevi Contessa; Clarice, oh Dio, non so che...
celasio Brigida
cala la secchia, cala. (ed entra Brigida
a pigliarla.)
SCENA XXXVII
Contessa,
e Marchese che ritornano frettolosi per la strada numero 27, e poi Giulietto, che
cala e detti.
olimpia Clarice mia, ah cara
Clarice; misvenuta è al sicuro.
marchese O disgrazia, o accidente.
brigida Ecco
signore. (calando la secchia sino a mezza
scala, ed accorgendosi di Valerio la butta, e ritirandosi dice) Ma c’è
Valerio.
celasio Presto
va’ Giulietto prendi dell’acqua. (che
prendendola Giulietto va ad attigner l’acqua nel fiume.)
5 conte Ah
sinistra congiuntura.
celasio Ecco
un ristorante. (cavandosi di tasca un
vasetto) Stropicciatele le narici.
olimpia Come fu? Come avvenne?
livia Vide,
no, udì. A quel pastore...
olimpia Chi è colui? (appena guardando Lelio, che giace assai
smorto, e che non avverte)
10 livia A
quel pastore assalì un certo male; s’intimorì, fu questo al sicuro.
olimpia Che male? Ah ch’il diss’io.
giulietto Ecco
la secchia è piena. (porgendola al
Marchese, che spruzza dell’acqua leggiermente in viso
alla Clarice)
brigida Uh
terrore.
marchese Già la Contessa il
previde.
15 conte Ah
tutto effetto di cattivi auguri.
olimpia Come faremo? Qui non
può stare.
conte Suso
dee condursi per necessità.
olimpia Che suso? Che suso?
celasio Non
è ben, che faccia moto; meglio s’adatterà in questa stanza terrena. Vi è un
letto meschino, gradite la gran volontà.
20 olimpia Benissimo; qui si
conduca. (e va a riconoscere la stanza a
pian di terra numero 28)
livia (Ch’aiutando a condurla dice) Tanto fo;
sostenete pian piano.
celasio Brigida,
menate un guanciale con una coltrice.
brigida Ecco
ecco tutto. (ed
entra)
livia Badate
messere al pastore; è tocco dal suo male. (allo
che udire Celasio fa che l’Olimpia sostenga in suo
luogo la Clarice allor, che sta per entrare in istanza, ed egli si resta per
poco con Lelio, e Giulietto, entrando tutti l’altri,
entrando ancora la Brigida, che cala con la coltrice,
e ’l guanciale)[84]
25 olimpia Rivieni Clarice; ah è
un brutto moto.
celasio Va’
là entro con Giulietto, Valerio; né fatti da persona vedere. Oimè egli poco
avverte. Se qui mi fermo, posso renderlo noto. Va’ va’ Giulietto, guidalo qua
entro nell’albergo, né far che persona il vegga, e di
là non partir né men tu. (e spingendo
Giulietto, e Lelio nell’albergo entra egli dove sono entrate le dame.
Fine dell’atto primo.
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA[85]
Giulietto,
e Lelio dall’albergo numero 2.
lelio Ascolta.
giulietto Un’ora
è già che t’ascolto.
lelio Oh
Dio senti.
giulietto Più
d’un sordo. Ma cosa da me vuogli, credo, che tu né
men saprai.
5 lelio Senti
garzone, che ’l so.
giulietto Che
sai? Tu di’, che se’ in te; ed io or più che mai giuro di no.
lelio Ecco
tel dico. Ma piano. Prendi prima il mio giubbetto,
che assai men vale del favor ch’a me fai.
giulietto Che.
Il giubetto; miaolo il
micio. Sai tu cosa dice il messere? Fa’ conto del piacere, che trai; e niente
farne del piacere, che fai. Sappi prima che hai a dire, e poi mi parla.
lelio Ecco
sì il so; va’, ed a me di’ come sta quella donna, che, non so quando fu, si
smarrì ella allor, che a me venne il male, che m’hai detto. Chi sa, se
accagionato ne foss’io?
10 giulietto Tu
n’hai timore? E se n’hai timore, perché qui t’avviticchi? Alza i mazzi, netta
il paiuolo; che così terrai deterano
il boia.
lelio No,
vacci tu; e mi do a te per venduto.
giulietto Vado
sì, non mi far pigolare più lo spirito.
lelio E
mel rapporti?
giulietto Sì,
tel dirò.
15 lelio Ma
non far ch’alcun sappia, che colà ti mand’io.
giulietto Se
non sapesse Giulietto nemmeno, quanto sarebbe meglio.
lelio Né
pur dir, che qui mi sono.
giulietto E
che dirò, che se’ morto, e che t’ho seppellito?
lelio Ah
e dirlo tu potessi daddovero, di’, che son partito... no, di’, che non ci fui...
Non dir che non ci fui, non voglio.
20 giulietto A
quante mentite m’aizzi tu! Il messere dice sempre, la lingua fatti ammozzare prima, che tu abbia a bugiare.
lelio No,
di’ che ci sta un tal, che non ha spirito, che non sa s’è sasso, o che sia.
giulietto Già
infollisce. Valerio tu hai dato volta; vuoi che dia
nelle girelle ancor io? Ciò non m’attaglia.
lelio Ascolta,
o Dio.
giulietto Oh
s’apre l’uscio, non farti vedere. Va’, così dett’ha
il messere. (ed entrano nell’albergo
chiudendosi)
SCENA II
Celasio, e Livia, ch’escono dalla porta numero 28.
livia Padre,
tal tu mi se’, son mezza morta.
celasio Figlia,
quanto che avvenne è più di tuo riacquisto.
livia Per
istrapparle di bocca, che Clarice ella fosse, accertata
per Livia me le son io, ed or, tutta tremo.
celasio E
qual motivo per te di ritemenza? Farsi dovea a costei
noto ogni tuo caso per tuo compenso. Tanto assembrava ancor io.
5 livia Ma
sapendol’ella, chi ’l vieta, che da tutti costoro non
si sappia?
celasio Si
sappia pure; sempre di remora all’imminente tuo male riesce. Come possibil sia questo temo; che dallo di costei smago, e
deliri non se n’esamini da suoi la cagione? Di’, che fa ella? Da che vi chiudeste
colla cognata; ch’avvenne?
livia Io
son così spaurita, poco so di me, meno di lei. Riebbe a stenti la favella; ma
che? Ammucchiando sviariamenti a deliri, diliri a frenesie, dicea: l’anima
non può morire, e come credere ch’ammazzata mi si fosse?
celasio Delirando
accertava.
livia Ed
un tal dire diè sospetto.
10 celasio Sospetto,
e grande. Ah poveri noi; anche dementi quello averemo
in bocca, che n’avrà pasciuto il sentimento.
livia Or
io credendo Lelio quasi fatto, che noto, m’è paruto
alla cognata di dire, che ciò le veniva ingenerato dall’aver ella saputo, che
Lelio fosse vivo.
celasio E
l’udirlo qual motura ha fatto in lei?[86]
livia Avvolta
si è tutta in dubbi pensieri; poi fra dispetto, e tenerezze con Clarice s’è
stretta, e così si giace.
celasio Chi
sa se Clarice detto non l’abbia, che Lelio sia quelli, che credette pastore?
15 livia No,
per pensiero. Olimpia sol sa, che sia un queste
contrade, ma affatto non dove.
celasio Ah
Lelio; già per lui veggio la ruina disvestita.
livia E
ciò finisce a dissiparmi la poca mente, che ritengo.
celasio L’unica
per lui redenzion sarebbe d’involarsi dal mondo, se
potesse; ma costui scerrà più tosto morire alla sua
donna avanti, che sottrarsi dal sicuro scocco del fulmine. Come può avvenire,
che la Clarice con la sua passion nol
faccia noto?[87]
livia Non
ha guari tirata di furto m’ha a sé dicendo Lelio oh Dio. Avvinta poi dal pianto
dir più non ha potuto. Io l’ho risposto, Lelio non cura per te morire; che
vuoi, che faccia, ei farà; ed ella, Lelio oh Dio.
20 celasio Lagrimevole
caso!
livia Io
l’ho soggiunto, per Lelio ognung porrà la vita, ed io
la prima; ed ella, Lelio oh Dio: che m’ha fatto il cuor sottile più, che non
l’ho.
celasio Misera,
fa pietate.
livia Ne
fa tanta, ch’atta è stata a storre me da casi miei.
Che consigli, Celasio?
celasio Dimmi,
stato si è Lelio allora d’alcun di loro fiso guardato?
25 livia No,
ognun badò a Clarice; oltracché lo smortore del viso,
a cui Lelio soggiacque, fello dell’intutto a lui disparevole.
celasio Fello
disparevole sì.
livia L’anfania di quel vecchio...[88]
celasio Fa
temere.
livia E
lo scaltrimento di quel Marchese?
30 celasio No,
quello stimo più costumato, se tal non mi paia per ispeciale
simpatia. Il solo arnese di pastore fa il suo maggior periglio.
livia Chi
sa se di qui s’è partito? Chi ’l fa accorto? Chi ’l raffrena?
celasio A
Giulietto il fidai; ma che pro.
livia Domandianne con riserba.
SCENA III
Giulietto
dalla porta dell’albergo numero 2 prima dentro, e poi fuori, e detti.
celasio Giulietto.
livia Giulietto.
giulietto Chi
chiama? Qui non occorre saperlo, non c’è alcuno.
livia Apri,
Giulietto.
5 giulietto Non
posso; a dir l’avrebbe il padrone.
celasio Ed
io tel dico, apri.
giulietto O
padrone.
celasio Apri.
livia E
quando?
10 giulietto La
cagna frettolosa fa i catellin chiechi;
or ci va.
livia Che
fa Valerio?
giulietto Il
dico, padrone?
celasio Dillo
sì.
giulietto Il
tengo ora nel celliere col chiavaccio menato, che volea
scappar fuori. (* Se pur non è scappato.)
15 livia Vedi,
oh Dio, non ci sarà modo.
celasio Non
tel diss’io? Chi c’è
nell’albergo?
giulietto Mosche,
gatte e zanzare.
celasio Non
c’è l’ostessa?
giulietto E
quella vecchicciuola stroppia,
non è nel conto de’ vivi. Il suo garzone è ito al
mercato.
20 celasio Già
ch’è così, senti. Livia, va’ con costui, conducila ov’è
Valerio, Giulietto; fa’ che colui le parli, va’ diglielo, che Livia da lui
viene, che stia con ricatto. (allo che
Giulietto va entro, e poi torna fuori)[89]
SCENA IV
Brigida
dalla porta numero 28, e detti.
brigida Sere,
quella signora, ch’è sana, cerca di voi tanto tanto. Io l’ho detto non c’è: e
quella, ch’ha male, tutta s’è scontentata in udirlo.
celasio Non
sai che vogliano elle?
brigida Volean dirlo a me forse?
celasio Va’,
lor di’: il sere è fuori; subito, che verrà, sarà per ubbidirvi.
5 brigida Benissimo.
livia A
Lelio che dirò io?
celasio Ascolta.
Brigida non partire. Va’ tu Livia, e digli, che non pensi di là spostarsi, né
farsi vedere, ch’io medito per lui cosa...
livia E
che farai?
celasio Spero
d’altr’abito provvederlo, che da quello di pastore può allo stante esser tratto
a morte e penserò assai più, se la colgo.
10 giulietto Valerio
aspetta già.
celasio Giulietto,
Brigida, se tal un vi domanda, se pastore alcun conosciate, rispondete: non
abbiam che far noi co’ pastori, non siam del lor
mestiere.
giulietto E
se ci dice di Valerio?
brigida Guarda,
poco sai tu. Diremo, egli è un matto, brutto, spaventoso; e se non con altri
tanto men con lui c’impacciamo.
livia Va’
il cela, va’. No, guardatevi di dir di lui ancora.
15 celasio Rispondete
non è per noi il saper ciò, che non ci appartiene.
giulietto Io
so poco, ma tu sai men di me.
celasio Il
falso non mai dirsi dee, il vero può occultarsi quando fa duopo.
brigida Ed
ecco ciò tu né men sapevi. Io vado. (e
via per la porta numero 28)
celasio Giulietto
fatti alla porta di là, e se alcun vien per entrare, avvisane in tempo costei.
Andate, che fra poco sarò da voi. (e via
per la strada numero 27)
20 giulietto Messer
sì. Vienne con me. (ed entra nell’albergo
numero 2 restando al di fuori Livia sopragiunta dal
Conte)
SCENA V
Conte
dalla porta numero 28, e detta.
conte O
cara donzella, di voi io giusto cercava.
livia Cosa
avete a comandarmi? In breve, ch’ho che fare.
conte Là
entro averete vostre masserizie, credo; andate, fate,
vengo ancor io senza impedirvi.
livia No
no, non può stare. Dite in che v’ho a servire, che per poco qui mi fermo.
5 conte Oimè,
per poco. Già con quella pocanza m’hai annichilato. Tanto gelosa se’ di far
vedere tue masserizie?
livia Che
masserizie? Io debbo in quest’albergo parlar con l’ostessa, vi cerco commiato.
conte O sì,
quest’è un albergo; vederollo ancor io; vedrò l’ostessa,
voi le parlerete. Io poi vi pregherò.
livia (*
O vedi che mi succede.) Oh risovvennemi, ella è
fuori. Garzone, serra serra, ci tornerò poi.
conte Che?
Ten vai? Se dico, ch’ho che pregarti.
10 livia O
beato voi; per me non è il darmi bel tempo, sapete?
conte Beato
sì; tal far mi può guatar quel viso avvistato.
livia O
Dio il capo.
conte No,
ti parlo a senno. Vo’ che senza gramezza mi dii una notizia.
livia Non
son mica novelliera, che raccolgo gazzette: sbagliate
15 conte No;
è cosa, che puoi tu sapere: T’è noto forse un tal pastore di serio aspetto, di
detti altieri, chiamato... il sai al sicuro.
livia (*
Ah il sospettai) e pensate, che sia io di quelle che guidan
l’agne a pascolare, che mi cercate di pastori? (cercando di scappar via)
conte Ove
vai? Io non t’ho detto ancora.
livia Che
non altro areste che dirmi mi parrebbe.
conte Eh
che t’inganni. Tempo ci vorrebbe a dire, se ’l piagentassi.[90]
20 livia Ch’areste a dire? I ragionari con
una tesserandola d’altro non debbon sapere, che
d’accia, guindalo, capecchi, d’ordire, e d’orditojo; né d’altro fuor di ciò.
conte Ah
che ci hai dato. Fra i tuoi canapi e filaresse mi
vedo così impastoiato, che a dirtela amabile mia... Il tuo nome saper non m’hai
fatto ancora.
livia Mancava
alla derrata questa giunta.
conte M’aggradirai
con dirmelo, sì.
livia Avventura
mi chiamo; che avete più che dirmi? Restate in pace.
25 conte Anzi
niente ancor t’ho detto io. Avventura mia. Bel nome, quanto mi piace; egli è un
diminuito di buona ventura.
livia Se
buona, o mala, resta a vedersi.
conte E
tal t’arrivi, qual io te la priego, buona ventura; ma
non sii tu a me cagion della mala con sì acerbo
disdegno.
livia Signor
mio, va il tempo in ciance e a me monta assai.
conte Che
puoi perder tu in brev’ora, che mi ravvivi? Vo’, che
ne faccia quadruplicato rimborso.
30 livia Altro
non dico; vivete di me ingannato, traviate molto dal dovere.
conte Che
dovere? Lo che a te si dovrebbe va ’l trova. Senti,
io ti prometto tornar da Urbino tra poco, e condurti un vezzo d’oro. Per ora
con queste due doble fattene una guarnacca gentile.[91]
livia V’ho
detto, immaginate diverso dall’esser mio con sì distorto parlare.
conte Non
incollerire, no; che sarò per isposarti in segreto
alla fine. Forse che fossi il primo? Frena adunque il cruccio; prendi, ed
appagherai tu chi oggi sarà zio della duchessa regnante.
livia Come,
che? Fate, che senta, oggi...
35 conte Ti
compiaccio, ma togli ciò prima.
livia Dite,
che poi vi cercherò cosa, che a me sia confacente. Dite.
conte E
ti giuro, che, se vuoi la mia parola, son per dartela perdio. Oggi sarà qui Sua
Altezza a sposare Clarice mia nipote; e ’l zio di
Clarice che son io, par che poco far per te possa? Senti; in prima farò,
ch’ella da sua donna, e la più gradita, ti tenga; averai
sempre me a canto...
livia Oggi
è qui Sua Altezza a sposar vostra nipote?
conte Oggi
oggi, a tale effetto me l’ha fatta qui menare. Che credevi,
io ti burlassi? O via non più malinconosa; eccoti di
più una manata di fiorini.
40 livia No
no, altro sarete per darmi; e raccordatevi ch’il giuraste.
conte E
temi, ch’io nol raccordi? Ho per te chi mi sollecita,
amata mia, ch’è ’l mio cuore. Di’ con libertà.
livia È
giusta la mia ricerca, chiedo da voi solo, che non mi leviate il mio.
conte Come?
Qual tuo?
livia Costretto
siete dalla parola, e dal dovere a rilasciarmi lo che
non è vostro. (e via di furto per la
porta dell’albergo numero 2, che immantinente chiude)
45 conte Senti,
ch’io farnetico, infollisco. E cosa mai posso aver
del tuo?
SCENA VI
Don
Pomponio, Uberto dalla porta della camera superiore numero 14, e detto.
d. pomponio Vantate
Rubretto, ch’aje puosto l’onore nfaccia a l’unico
erede delli granni armiranti, na cosa di nania.
conte Come
farò per seguirla?
uberto Ben
so io a chi servi; eccomi a quanto vaglio.
d. pomponio (Che dalla porta della sala numero 12, vien
giù per la scalea) Cercame, che buoje, fora che denare però; ca
vide li sfarze, che sto facendo.
5 conte M’ha
stritolata l’anima, come farò?
d. pomponio (Che giunto all’arco della seconda volta
numero 10 dice) Per mo fornisci d’esser sette panella, ti passo a decano, e poi da mano in mano.[92]
conte Non
solo ti darò il tuo...
uberto Illustrissimo,
dove mi vedete abile, eccomi. Sol vi prego, signore...
conte Che
tuo? Quanto ho del mio inzuccherata mia colombina.
M’avvierò di qua, troverò per fortuna altra porta, che qua entro mi conduca. (via per la strada numero 3)
10 d. pomponio (Che sotto il porticale in venendo fuori dice)
Commo? I pagà doje chiaste, e meza a chi m’ha
truffato? Vo stà bello Arzeneco.
Tu ti sei smazzoliato, a te tocca il paraguanto. Orsù i me t’aggio da confedà...
va chià... aspè, decano a
te è troppo poco. Tu saje de legge, e scrivere? (al che Uberto fa cenno di sì) sai de
legge, e scrivere tu? Ne! E bene ti passo pe seritario.[93]
uberto Ho
detto; faccia io il vostro servigio, illustrissimo; e sia in che che sia.
d. pomponio Seritario, e miezo. E già che si seritario lassamete secretià; core de lo core faccie ca da poc’ore in qui, io so nghiettechito,
me ne vao mpilo mpilo. E assommata qui mo nnanze del si
Cisario un piezzo; ma, Rubrè, che piezzo? È cannone... oibò,
è sfratta campagna... gnornò, è na colombrina, ch’ha sparato, e m’ha cuoveto
justo cca. Tu mo che te cride? Io te parlo, e
so muorto. Siente ch’io te
volesse dicere Rubrè... sto
mbrejaco, è chiaito muorto... lo si Cisario po... astuta; i la voglio per mogliere, e penzace tu, e priesto, ca se no, mme pierde.[94]
uberto Ma
chi sia costei signore s’avrebbe a sapere? Attenente forse del messer Celasio?
d. pomponio Che
tenente? È ammatura. Videla, e sacciame
a di se n’è meglio de la lellera de Troja.[95]
15 uberto Dico,
ch’uno del vostro lignaggio non può senza scadere...
d.
pomponio Chi
vo scadè? Mo staje giurgio. Io non benco dalli granne armiranti? E pozzo armirantà chi piace a me. La faccio primma
armirantessa, e po mme la nguadio.[96]
uberto Sicchè siete risoluto.
d. pomponio Non
mi fare il frilosoco. Ussignoria
concruda, trasetenne co na scusa de fa na mmasciata deì dicame,
e disse (non me siente?) de ceremonie
da parte mia a sse dame. Chiammate
a essa, chiammate il si Cisario...
vuo auto, Rubrè, me guarda
Pomponio, ca te faccio mangià
a lo piatto d’argiento.[97]
SCENA VII
Conte,
che ritorna per la strada numero 3, e dopo poco Brigida sul verone numero 34 e
detti.
conte O
disdetta; di qui è rotto il ponte.
uberto Non
occorr’altro, tenetelo per fatto.
conte Saravvi
altra via mi credo. Ma ecco il padron del luogo, quanto cercava.
uberto E
Giulietto. Monna Brigida. (chiamando suso)
5 conte Signor
mio dolce, e caro.
d. pomponio Padrone
amato, dica a me?
conte Degnatevi,
ch’io vi ricerchi d’un favore.
d. pomponio Mi
ricerchi a suo sfizio, son per lui.
brigida O
messer Uberto, spesso ne vediamo; cosa volete?
10 uberto Aprite
qui giuso; debbo fare ambasciata a coteste eccellenze da parte dell’Illustrissimo.
brigida Bene
bene: or calo di dentro ad aprire.
conte (*
Non è occasion da sprecarla, ma sono udito.) Eh
zitello, debbo pregare il caro signore, lasciateci un po’ soli.
uberto Vado
a fare ambasciata.
conte Dirò
io li favori, ch’il caro padrone loro è per fare.
15 brigida (Che faccendoni alla porta numero 28 dice)
Entrate.
conte Andate
voi altrove.
d. pomponio Aveva
un altro niozietto ancora...[98]
conte Il
farà dopo, se vi piace. Partitevi di là. Contentatevi.
uberto Ubbidisco.
20 conte (Che rivoltandosi ad Uberto, che va via, dice)
Eh caro voi, per entrare in cotesto albergo, di qui è ben chiuso, di qui è
rotto il ponte, vi sarebbe altr’apertura?
uberto Di
qui non si può. Bisognerebbe per dietro il palagio fare un lungo giro.
d. pomponio Faremo
aprire, scassare, azzenni pure.
conte No,
godrò poi far quattro passi; gite felice. (allo
che Uberto va via per la scaletta numero 5) Caro riverito, vanto la vostra
dimenticanza, io vo’ profittarne.
d. pomponio Mi
fa aggravio, faccia pur ello.
25 conte Dicami
la sua gran cortesia, chi sia quella... piano, suppongo pregare un, che sappia,
ch’ogni gatta ha il suo gennaio; e mel dirà per
esperienza. Non occorre ascondersi al Conte ah ah.
d. pomponio Mi
meraviglio, si Conte: che buo nascondere? Quando si pazzeja si pazzejia.
conte O
l’uomo alla mano perdio. E viva, e viva.
d. pomponio Ecco
cca ciento mano al momento
ad un si Conte di chesta
fattezza.
conte O
bene me ne prevalgo. Son sicuro, che sarete per attagliarmi.
30 d. pomponio Commo
pe tagliarla? E me stima da chesso? O mo mi maltratta.
conte No
no; dico, ch’esiggo da voi parola, ch’abbiate da
aggradarmi, e non dirmi di no.
d. pomponio Comandi
pure; il farebbe cento volte. Addo stammo? O che?
conte E mel promettete da quel cavaliere che vantate d’essere?
d. pomponio Da
uno eredo dell’armiranti. Se po
dirla di più?
35 conte Mi basta questa destra. Or
ditemi dunque; quanti son qui d’attorno son tutti del vostro dominio?
d. pomponio Tutto,
e per tutto, quanto vede a’ suoi cenni.
conte Sicché
non v’è persona, che qui possavi ripugnare.
d. pomponio Che
bo ripugnare? Ad un attemo Ussoria
vede cento zoffioni ammiccati, anzi di vantaggio.[99]
conte Benissimo.
Ha la sua gran cortesia da ordinare, che stia per me cotesta contadinetta, ch’è qui a casa il mendicante.
40 d. pomponio Quale
mo?
conte Si
è ella una spigliata giovincella già da marito. A fare avete, che meco ella ne
venga in Urbino con tutta l’onoranza però; direm per
serva da camera d’una delle mie nipoti; e giuro poi situarla da più, che sua
pari.
d. pomponio Ussignoria se vo porta co isso
la fia del si Cisario?
conte Di
non più, non meno, vi prego.
d. pomponio Veda
si Conte...
45 conte Il
Conte ha ottenuto già la vostra parola: parliam
chiaro.
d. pomponio Verissimo
e indubbitato.
conte Per
indubitato l’ho al sicuro.
d. pomponio Mi
fa servizio. Il fatto sta però, ca il si Cisario...
conte Il Celasio deve in ciò ubbidirvi; è del vostro dominio.
50 d. pomponio Mi
meraviglio; il dominio certo. Intendo sol di dicere...
conte Dovete,
caro, intendere l’osservanza di ciò, che s’è promesso.
d. pomponio Ogni
promessa è debito, il percepisco. Quando... ma non è la mia... fosse la mia, dicerebbe benissimo.
conte Vostro
intendo che sia ciò, che da vostri cenni dipende.
d. pomponio (*
Vid’il diavolo.) Era la cosa, ca i sapeva, commo che
ha appontato matrimonio.
55 conte Ed
in matrimonio la collocherò assai migliore. Questa mia parola vi basta.
d. pomponio Vasta
si signore, ma se non mi vuol far grazia.
conte Giusto
per grazia a voi il cercai, e l’otterrò cattera.
d. pomponio Ussignoria dunque vo dì, ca non pazzeja.
conte Ch’io
scherzi? M’ha colto amico; mi vi confidai. Ha ella un viso pugnereccio,
che m’ha fatto alla prima.
60 d. pomponio (*
Auafa.) Ma si pol sottoponere...
conte Sottopormi?
A chi più mi debbo? Mi vi son tanto sottoposto, ch’ancor io forse nol credo.
d. pomponio Sbaglia
signore. Dico, ca mi sa costringere, e non ci posso arremediare.
Questo s’ha a sottoponere dico.
conte O
si si, a supporre. A supporre v’avete, ch’io non son uso di comportare, che mi
si venga men di parola. Amico, parlo alla chietta.
Addio.
d. pomponio Schietto
de’ core sincero, ammicone, accossì
bo essere.
65 conte So ben,
che vi faccia acconcio l’avermi non per inimico. La cosa la porto come se nel
carniere: il so il so. (e via per l’arco
rovinaticcio numero 21)
d. pomponio Che
bene a di chesso? Avesse lo so Cisario.
Già m’è nemmico, e me porta a la carnera. Oje, ca non ha ditto accossì... accossì, accossì ha ditto sì, saje si si bivo tu. Chisso è no male piezzo di viecchio; me la fa lo cano. Arzè, Rubrè, vi che joja. (e via nella
corte del palagio)
SCENA VIII
Olimpia,
Marchese, e Brigida di casa, il Celasio dalla porta
numero 28.
olimpia Il farete qui tosto
venire; avete inteso? (additandole; che
vada per Don Pomponio)
brigida (Che vedendo Don Pomponio dentro corte dice)
Eccolo lì; gliel dirò ora prima che vada suso.
olimpia Lelio vive. Rinaldo:
egli non fu mai vero ciocchè ad onta d’ogni nostro
decoro creder s’è fatto.
marchese Contessa, oh Dio, una
del vostro senno vuol per indubitati i rapporti di gente di contado.
Persuadetevi una volta; la mia mira su di ciò volta l’ho solo...
5 olimpia All’ingrandimento di
mia casa; n’ho piene da voi l’orecchie, e tal sia,
tal la credo. Resti la sorte di Lelio avverata, e poi...
marchese Avverata. La comun
voce di colui resterà dunque menomata dalle panzane, e fanfaluche di cotesti
villerecci?
SCENA IX
Don Pomponio, Brigida sotto il porticale, e
detti.
brigida Presto
presto, fate aspettare le dame in istrada, e chi sa
se sia vergogna.
d. pomponio (Ivi stesso) Picciò,
e se me vuò zucà tu puro, avimmo fornuto. Addo è?[100]
brigida Eccola
lì. (di là addittandoli
la Contessa)
d. pomponio (Commo
è lo nomme sai?)
5 brigida (La
signora Contessa.)
olimpia Ecco
il padron del luogo; resti esaminato il vero su di ciò ancora da costui.
d. pomponio Contessa
de che?
brigida (Contessa
Olimpia.)
d. pomponio (Contessa
d’Olimpeca. Ora vi che pajese!)
10 olimpia Egli non è villesco, a
chi prestar fede non si possa, come dite.
marchese E non vi par peggio di
villesco, un, ch’è dappoco?
olimpia E che n’ha a dissifrare un enigma forse?
d. pomponio Signora
Contessa d’Olimpica mi signora; eccomi a suoi con ogni disponimento.
marchese Fondar base in costui
è possibile?
15 olimpia Signor mio... (a Don Pomponio. Poi rivolta alla Brigida dice) (Com’ha il nome?)
brigida (L’Illustrissimo.)
olimpia Signor mio caro,
necessita, che con schiettezza, e veracità n’abbiate a rendere informati d’un
fatto.
d. pomponio Il
fatto, e quanto si farà è un nulla ad un che li vive dovendoli.
olimpia Udite, fatevi a me.
20 d. pomponio (Che voltosi al Marchese dice) Non altrettanto
ancora al mio signore.
marchese Si badi alla signora
Contessa, ch’ordina.
olimpia Ha da restar da voi
verificata la morte, o la vita d’una persona, che in queste contrade, o fa, o
ha fatto moranza.[101]
marchese Più chiaro con vostro
permesso. Restaste voi inteso mai della morte d’un uom di conto, che pastore
nel contorno creder si facea?
d. pomponio (Ch’aggio
da rispondere?) (dicendo di furia alla
Brigida)
25 brigida (Dite,
ch’è mala creanza.)
olimpia Questo darla per
sicura si chiama sorprendere, non domandare, Marchese. Alla schietta; facciam che dica lo che ne sa.
marchese Risponda pure.
olimpia Favorite.
d. pomponio Sto
favorendola, prima nel sapere però a chi aggio da rispondere.
30 olimpia Rispondete a me.
d. pomponio Che
ne dice il Signor Do...
marchese La dama ordina; perché
a me richiederne?
d. pomponio Io
non cerco niente a nisciuno; sto cqua
per la debita corrispondenza.
olimpia (Facciam,
che non si confonda.)
35 marchese (È un pretendere
l’impossibile.)
olimpia Fate a me il favore.
d. pomponio Cento
favori son pochi. Il si Marchese dice, ch’è
impossibile; mi maltratta.
olimpia Questo invilupparlo mi
par, che faccia per voi.
marchese E qual mai per me
sinistro concetto? Non parlerò più.
40 olimpia Dite lo che ne sentite.
d. pomponio Aggio
ntiso, signora. Si Marchese, sta cosa de non parlà chiù non va a fa; ognuno si dica il fatto suo, la signora
è tutta galante.
olimpia No no; a voi ne
richiedo, non al Marchese.
brigida (Voi
avete a rispondere, Illustrissimo, voi.)
d. pomponio (Oje peccerè, e non me trasarisse... appila.)[102]
45 olimpia Che la nomanza almeno di chiunque qui capita a voi sia, per
venire, non mi pare contrastabile.
d. pomponio O
certo, sicurissimo. Contrastare è un sproposito;
questo dico.
olimpia Vedete: gli fa
meraviglia, che se ne dubiti.
marchese (E vi par, che costui
afferma di vita quando non sa di che si parli?)
olimpia Lo stesso non saperne
il fatal caso è comprova di vita. Il Marchese morto
il vuole a tutt’i conti.
50 d. pomponio Il
si Marchese sta auta la
mano. A sto pajese, si, Marchese mio, scordatello; muorte oibo. E n’aruo, che chi nge more, ha proprio forniti i giorni suoi.[103]
marchese Ah. Ah.
brigida (Avete
fatto errore. Quel signore se ne ride.)
d. pomponio (O
biva essa. Non saje ca chi
dice la verità, non po esse criso.)[104]
marchese Ma non vedete, che non
batte al tono che se gli tasta.
55 olimpia Dalla semplicità nasce
la schiettezza, dalla schiettezza il vero. Marchese, se m’amate, udite che vi
dissi. Impedite almen per oggi la venuta qui di Sua
Altezza.
marchese Signora tal parola
buttar farebbemi nel fuoco. Adesso spedirò per
Urbino.
olimpia Ed in modo farete,
ch’anche che sia per istrada si receda. Ciò è un farvi merito. Se Lelio qui si
trova vivo, non è un cimentar la vita del Duca far che qui tra macchie capiti
egli con privatezza?
marchese Io son reso ben
capace.
olimpia Esagerare ancor potete...
udite. (e via tutti e due fra di loro
parlando, ed entrano nel giardino per la porta numero 7)
60 d. pomponio Me
sapisse a dicere ch’hanno concruso ne?
brigida È
una cosa, che la signora la vuol viva, e quell’altro morta.
d. pomponio Auh questi cancheri di spuzzi posama non parlano d’avuto, che de’ muorte,
e d’accidere. Statte a bedè
oje. Auh che contrubbo. Dimme Prì, mme paja,
che l’aggio dato gusto a chessa; ne
lo ve?
brigida Illustrissimo,
la signora s’è tutta contentata al dir di voi.
d. pomponio Non
te lo dico? Già aggio visto, ca l’aggio genio. Vuo sapè na cosa? Chessa a me ng’ha appezzato l’uocchie; puro è
cauda, sa. Auh che dice? Va
te scorda de chessa, va, scrasta
chessa fata de ca, va; va scrasta.
E no la scrastà no, ca il vecchio te scresta a te, va. Auh mo sbotto. Ne Prì, chesta sai s’è bedola, e maretata, che dè?[105]
65 brigida Poc’anzi
piangea il marito, ch’era morto; è vedova forse, o
no?
d. pomponio Auh che giudizio. Quando lo marito è morto, è signo, ch’è juto. Dimme na
cosa tu; le saperisse dì commo te dich’io?
brigida Io
so dire quel che mi dice il nonno; così mi credo, che so dire tutt’altro.
d. pomponio E
siente... no jammo cca; assamete parlà
nzereto, ca saccio, ca... (ed entrano ov’è
entrata la Contessa anche fra di loro parlando)[106]
SCENA X
Livia,
e Lelio dall’albergo numero 2.
lelio Livia,
se compatir non mi vuoi; compiangi almeno il mio destino. Egli mi porta...
livia Egli
ti porta a morire, Lelio. Il nostro comun nemico è qui tra poco.
lelio E
se mi porta a morire, muoia io; ma su questo terreno, ch’accolse colei, per cui
ben sarà, ch’io più non viva.
livia Ah
qual pena mi fa la tua pertinacia. Dio fallo sentir tu. Or che veggiamo raggio di luce, corri tu a spegnerlo. Lelio levati
di qui. Ah che caccio per te i fiati a stento.
5 lelio Mi
levo sì; sol dimmi da vero, rinvenn’ella? Parlò poi?
livia Parlò
sì, già tutto ti narrai. A che dir più su di ciò? Fuggi Lelio, se in tutto di
lei non vuoi disperare.
lelio E
se parlò, fammi sentire una parola di colei.
livia E
là torni. Che parola? Che di’ tu? Parti, oimè, ognun s’ingegna per disotterarci, e tu più d’affossarti procuri? Va’ va’,
levati di qui. Celasio or sarà teco; non ti dissi che
pensa? Va’.
lelio Vo
sì, parto. Fa’ almen, che muto per un momento la rivegg’io.
10 livia Che
riveder vuoi? Ella di qui partissi. Veder vuoi tu l’ultima tua sconfitta, mi
credo.
lelio Partissi,
e me lasciò di sé privo? Ah luce degli occhi miei, Clarice. Ov’è
Clarice?
SCENA XI
Clarice
di casa, il Celasio dalla porta numero 28, e detti.
clarice Che?
Chi mi chiama? Oh Lelio.
lelio Clarice.
livia Ah
rovina. Ah ruina.
clarice Troppo
è vero, che vivi tu, non vanai; ti veggio, Lelio mio.
5 lelio Mo
vedi, ma per tuo più non mi vedi.
clarice Chi
mi ti leva?
lelio Non
so, se più chi mi vuol morto, o chi mi desia vivo.
clarice Ah
sì; e se sia perché tu viva consento ancor io, che mi sii tolto.
livia Ah
che altro far non mi fido, che piangere.
10 lelio Ch’io
da te sia tolto, e viva? T’inganni tu, s’inganna chiunque il pensa.
clarice No,
ciò non dire; che se dubbia di tua vita mi lasci, certo sarai tu in partendoti
della mia morte.
lelio Oimè,
dunque se restando morir debbo, se partendo non vivo, rivolgi almen quei belli occhi per altra
volta solo a me piatosi; che ad altro non vo’, che li soggetti, che solo a due
lagrime, nel vedermi a te morire d’avanti di pura pena.
clarice A
sole due lagrime! Ah Lelio mio, fatti n’han due rivi, che cesseran
di correre quando del tutto seccati si sarann’elli.
livia Mi
si sparte l’anima dal dolore, dal timore. Vedi demenza! Ah ch’affogate quella
poca speranza, che ne rimane. Se lo vuoi morto, Clarice; se più vederla non
vuoi, Lelio; questo è un sicuro accertarlo; fa’ fa’.
15 lelio E
che ti pare, ch’oltre a ciò far potrei?
livia Partirti;
diglielo Clarice tu, diglielo. Quanti buchi, quanti forami qui sono tutti
mirali tu, come s’armi di fuoco si fossero, che in punto bruciar lo possono.
clarice Parti
Lelio; e vivi. Va’, e sicuro va’ pure, ch’ovunque tu, ovunque io mi trovi,
sempre in questo cuore sarai; mai di chiunque sia sarà Clarice.
livia Vuoi
sentir più? Va’ Lelio per quanto l’ami, smenoma così
il tuo dolore. Fa’ che il tempo, che chi per te pensa, far possa per te.[107]
lelio Vado.
20 clarice Va’.
(ed amendue si ferman piagnendo)
livia Siam
da capo.
lelio Tu
lenisci il dolor mio, e perché il tuo alimenti,
perché?
clarice Pena!
E ’l potere a momenti di te sinistro sentire non vuoi, che nutrisca l’affanno
mio?
lelio E
come? Che pace trovar poss’io in così te lasciando? Ah vita del cuor mio, non fia
vero.
25 livia O
Dio, salvalo tu. Lelio, che muoio.
lelio Aspetta,
senti, Clarice, fa’ così. Io vado; ma fa’, che di te ascolti, non pianti no, ma fasti, trionfi, e grandezze. Siedi siedi pure al trono accanto a chi ti ci vuole. A me basterà
per conforto, se nel tuo godere ti raccordi, che più del mal, che soffro di te
senza, stim’io il ben, che tu godi.
clarice Lelio,
non farmi più di quello che fammi la sorte. Ella mi forza ad esser disperata,
ma non infame, qual mi vuoi tu.
livia Pensasti,
Lelio, e modo più scortato non ti sovvenne? Prendi tu Clarice, e fuggi, inselvati, sparisci. Io dalla parola, che di sovvenirmi mi dasti, t’assolvo. Quella di qui abbandonata non lasciarmi
adempier tu la puoi; ammazzami; giù nel fiume con un peso al collo mi
seppellisci; e fa’, che de’ suoi mali ognun vegga il
fine.
SCENA XII
Giulietto
dall’albergo numero 2 correndo fuori, poi di là ancora il Conte, e detti.
giulietto Livia,
Valerio, è di voi in cerca quel signor vecchio; egli qui viene, vedetelo.
livia Fuggi,
fuggi; né far che ti guardi in viso. (e
lo spinge per la strada numero 27 seguendolo ancora Giulietto)
conte Sì
sì fallo fuggire, forse che non ho tutto saputo io.
clarice (Ah
chi lo salva più?)
5 livia Che
cosa avete saputo? Se date poi l’orecchio a quanto si dice...
conte Che
quanto si dice? L’han veduto questi occhi. Vello ancora. (Guardando inverso Lelio per di dietro) Sì sì non ti voltare, che
non ti scoverchi; tienti
celato.
livia Che
voltare? Va’ pe’ fatti tuoi. Qual conto deve dar a voi chi va al suo mestiere?
giulietto (Che al rialto della strada dice) Non vel diss’io? E chi è colui e chi
è colui; è un, che né a me, né a voi appartiene il trarne conto.
conte Dar
conto? Profetessa, chiacchierino.
10 clarice (*
Ah e morissi.)
conte Creduto
averei, Clarice, che stassi
più sul tuo decoro. Va ben, che ti fermi a guatare ciocchè
a te non conviene?
livia (*
O disperato caso.)
clarice E
che vid’io? Credo ben, che mi vediate, che son mezza
viva; questo direte. (ed entra per la
porta numero 28 dov’è uscita)
livia (*
A che saria se subbissassi?)
SCENA XIII
Marchese
che uscendo dalla porta del giardino numero 7 s’avvia su per la
scale, e detti.
conte Colui
che non ti togliessi era il tutto, che mi cercavi, scipitella,
incaparbita. Corri dietro ad un pasticciano, e di me nulla curi.
livia (*
Respiro, meno male.)
conte O
che confronto! Quelli ha da vantar da te, tutto, ed a me cuor hai...
livia Che
vantare? Non posso più soffrire. Con chi credete... (e s’accorge del Marchese, che giunto all’arco numero 10 sta guatandola)
5 marchese (* Il Conte ha trovato
applicazione, e non è volgare.)
livia (*
Detto m’ha Celasio giovarmi, il dico.) Sapete con chi
voi parlate?
conte Con
una crudelaccia inanimata. Con chi parlo? Il so.
livia Livia
Moratti son io, e saprei vostra tracotanza reprimere, se non vi stimassi per un
insensato. Vien con meco tu. (dicendo a
Giulietto e via per la strada numero 27)
giulietto Ma
alla fin fatta l’avete voluta sentire pare a me. (e via per la strada numero 27 seguendo la Livia)
10 conte Che
disse colei, che?
marchese Disse molto, s’è vero.
conte L’udiste
voi?
marchese Tanto ben che l’udii.
Disse, ch’è Livia Moratti.
conte Tanto
disse, né più, né meno. Lascia ch’io la segua.
15 marchese No fermatevi, è ben, che se ne
faccia intesa la Contessa.
conte La
Contessa dov’è?
marchese Nel giardino; andiam colà. Fermatevi, che calo. (e cala)
conte Voi
dov’andavate?
marchese (Che giunto alla prima volta numero 9 dice) A spedir per Urbino. (e cala giù nel porticale)
20 conte Ah
ch’è sparuta costei. Da suso potrei vedere ove s’è incamminata. (e va ancora nel porticale) No no,
Marchese, meglio sarà parlare alla Contessa da suso la loggia, che sporge al
giardino.
marchese Ma eravamo qui giunti.
conte No,
che ci vuol poco. (e risalgono amendue)
SCENA XIV
Petronilla
ed Arsenio dalla bussola numero 14 uscendo nelle stanze si portano nel balcone
numero 16 e detti.
petronilla Bene
bene; veda dico spetterà alla moglie del cavaliere, che son io, aver teorica
de’ vostri crediti, e soddisfarveli sopra i miei pingui maioraschi, che li do
veda dico in dote.[108]
arsenio Eccellenza,
ad un tanto favore aggiungerete quello d’aver mira a’
miei lucri cessanti, e danni emergenti.
marchese (Che giunti essendo all’ultima scalea dice al Conte) Eravamo giunti.
(ed entra per la porta della sala numero
12 e ’l Conte esce e rientra dalla loggia numero 20 guardando inverso dove la Livia s’è avviata)
petronilla La
madama Petronilla farà veda dico, che ne facciate addoppiato veda dico
rammucchio, quando che m’andiate veda dico a placebo.[109]
5 arsenio Io
farò, ch’il padrone sia per conoscere quanto ad una tanta dama s’addica, e che
ravvisi sua sorte.
petronilla Il
farete veda dico stenebrato; che s’ha avuto la borbanza
di condurre una damina mia pari seco veda dico a solo in istanza, non potrebbe
affatto pretender dote; e pure io son per assignarli
due a me già decaduti maioraschi nell’isola veda dico di Ponzo, tutti veda dico
i servigi del proconsolato del mio nonno ivi fatti a lui non guiderdonati, i
diplomi di quattro marescalchi miei predecessori presso le Repubbliche Ginevora, veda dico, Genova, Lucca, veda dico, e San
Marino; ch’il tutto monta a trenta e più mila scudi. Forse non restate, veda
dico, intronato?[110]
arsenio Intronatissimo. Ma signora, ad un,
come son io, ch’ho a pensare a vestirmi primamente per la pompa delle nozze,
necessita avere il suo manualmente.
petronilla Sì
bene; e per rimborsarvi, veda dico, il vostro avere triplicato l’estrarrò dal
mio gran corredo, e ’l vi darò. Per ora prendete un esemplare, veda dico, della
mia pronezza in vantaggiarvi.[111]
arsenio Mi
subissate, eccellenza. Che farò mai per indossarmi?
10 petronilla Farete,
veda dico, che sia acclamata, sospirata dal mio damerino una sua tanto eccelza sorte. Farete di più, ch’assembri non esser, veda
dico, picciolo stabile di dote il far, che divenga sgrossato, ed eloquente col
mio, veda dico, dolce consorzio.
arsenio Tanto
bene, che farò che l’assembri.
petronilla Ed
a fare avete, veda dico, che prima che venga in scadimento il giorno, abbia a
sormontare per lui la nuova, veda dico, aurora con le mie sponsalizie.
arsenio Così
in breve, signora?
petronilla Questa
costanza fa d’uopo per reintegrarmi nel mio menomato, veda dico, decoro.
15 arsenio Or
io dunque, signora...
petronilla Voi
dunque, se volete, veda dico, insignorire, fate, che resti ogni indugio di
sloggiato, veda dico. (ed entrano nelle
stanze)[112]
SCENA XV
Olimpia,
Brigida, e Don Pomponio dalla porta del giardino numero 7.
olimpia Cara ragazza, fate,
che mia cognata sappia, ch’io son qui, se mi cerca.
brigida Bene;
e se non vi cerca io starò quivi a fare i servigi, che mi comanda. (e via a casa il Celasio
numero 28)
olimpia Signor Don Pomponio,
con tal favore fate conto d’avermi per vostra dipendente.
d. pomponio Signora,
a me ste cose? Si puol sottoponere,
che m’inauza di maniera, che mi fa far sauti mortali.[113]
SCENA XVI
Marchese,
Conte da sopra, e detti.
conte (Che avviandosi giù per le scale dice) La
Contessa dov’ora è ita ella?
marchese In istrada; parliamle di qui. (ed
amendue risalgono)
olimpia Non più cerimonie;
baderete a quanto son per pregarvi.
d. pomponio Mi
preghi pure, Signora; ond’io son per darli cento
memoriali il momento, non si smagini altrove.[114]
5 olimpia Finiamo, o Dio, l’espressioni.
d. pomponio M’appilerò, non pipeto per
certamente.
marchese (Che portatosi col Conte alla loggia num. 20
dice) Signora Contessa, il Conte Marcello dice, che meglio sarebbe...
conte Contessa,
meglio stimerei, che unitamente ne facessimo intesa la Petronilla.
d. pomponio (*
Non saccio addò mme jettà.)
10 olimpia No no, fatel voi.
marchese Ma Signora, il tempo
poi per me si fa corto, se andar debb’io...
olimpia Per partir voi per
Urbino resti tempo a risolvere, Marchese.
d. pomponio (*
Chella coce, e chesta pizzeca.)[115]
marchese Benissimo; risolvete,
ed io eseguirò.
15 conte La
Petronilla dove sarà ella?
olimpia (Che si fa in un canto con Don Pomponio e dice) Vi dico dunque
Signor Don Pomponio...
marchese (Che guardando di dove si trova per lo balcone
dentro le stanze dice) Eccola lì nella stanza di dentro.
olimpia Che dovete
compromettervi d’una esattissima secretezza.
marchese (Dicendo ad alta voce alla Petronilla, ch’è nelle stanze) Madama, la
Signora Contessa vuol, che la preghiamo per un momento.
20 d. pomponio Pozza
cioncare in quatto, Signora, se non mi coserò la bocca con un aco saccoraio.[116]
SCENA XVII
Petronilla
nella stanza del balcone numero 15 e detti.
petronilla Imperino
pure a lor volenza.
marchese Pure è molto trovare
una rancidezza in ogni parola.
d.
pomponio (*
Fortuna, vottame tu.)
conte Sarem
quivi, se v’aggrada. (e vanno nella
stanza numero 15 a rincontrarsi con la Petronilla)
5 olimpia Io al sicuro non son
per dubitare del vostro buon cuore.
d. pomponio Buono
core? Che buono, Signora? Anzi un core annegrecato
avanti di lui.[117]
conte Eccoci
Madama.
petronilla Come
cerva va al fonte...
olimpia Or dunque...
10 petronilla Così
corro ad imbrigarmi con cavalieri di tanta appariscenza. (e s’avviano tutti e tre nella loggia numero 18)
olimpia Or dunque posta da voi
assicuranza... (seguitando
a parlar con Don Pomponio con riserba)
d. pomponio Signora,
commo parlasse con un morto...
petronilla (Che in uscire alla loggia numero 18
s’accorge di Don Pomponio, che sta parlando con la Contessa, e dice) Piano
di grazia...
d. pomponio Bensì,
bisogna ch’il dicala, con un morto molto speruto.[118]
15 petronilla (Si
è colui veda dico il mio Cavaliere ospitiero?)
marchese Badate a noi, Madonna.
conte (Parliam, che non siam’intesi
Marchese.) (e seguitano a parlar per lo
più zitto tutti e tre)
olimpia A quel pastore, che
detto m’avete esser solo per nominata della vostra conoscenza...
conte Lelio
è morto.
20 olimpia Modo areste a trovare di farli giungere un avviso, ma con
ricatto...
marchese E Livia è qui.
d. pomponio A
a a ho inteso...
conte Per
farsi incontro al Duca.
d. pomponio Chisso pastore ha timore de ir pe ricatto.
25 petronilla (Guardando giuso inverso Don Pomponio dice)
Ch’ha che far colui con quella nobile matrona?
conte Badate
a noi, madama; la cosa è di rilievo.
olimpia No, non mi capite;
cerco a voi in favore...
d.
pomponio O
Dio, mi mbroscino.[119]
olimpia In favore, dicea, che possa egli restar da me avvisato, e con fedeltà.
30 d. pomponio Bellissimo;
ora ho capito il capibile.
marchese Ella è figlia del
Conte Moratti.
olimpia E dovrebbe esser
avvisato da persona d’una somma confidanza, ch’altra cosa potess’io
commetterli, oltra il con saputo ragguaglio.
d. pomponio Già,
ho inteso, ho inteso.
conte E
vuol la Contessa...
35 d. pomponio Una
persona, che s’agguaglia...
marchese Che parta io per
Urbino.
d. pomponio Cioè,
che pozza i de paro, direbbimo noi.[120]
olimpia (*
Perdo quanto dico.) No; conosco, che non ancora vi siete fatto carico.
d. pomponio Carrico, sì Signora; anco se avesse da portar
per lui cantara, anzi meglio, un pestello marmoro.[121]
40 petronilla Partite
partite.
olimpia Oh Dio, senza tanto
andarla rozzolando, fate, ch’abbia cotesta persona
per venirne a capo.[122]
d. pomponio In
capo, in collo, sì Signora; resti per supito.[123]
marchese Dipendiamo dunque
dalla Contessa.
olimpia (*
Non capisce affatto.) Ma io intendo di dire il darci incominciamento.
45 d. pomponio Incominciamento,
ho inteso; incomminzammo porzì
da mmo.
olimpia Dunque è pronto?
d. pomponio Lesto
come un sorgento; per verità non so più che farìa.
olimpia E dov’è?
d. pomponio Chi
Signora?
50 marchese Anderem,
non occorr’altro, a dipendere dalla Contessa.
olimpia Come chi?
conte La
Contessa va carica di pregiudici.
d. pomponio Dico,
che sta tutto al suo dispotico.
petronilla (*
Hai a far con meco, fellonoso.)
55 olimpia (* A
non persuadermi, che mi sfiatava invano.)
marchese La madama Petronilla,
Signora, stat’è dello stesso sentimento.
olimpia Di qual sentimento?
marchese Ora vi dico. (ed entra)
olimpia Bene Signor Don
Pomponio, vi pregherò poi più per minuto, non occorr’altro.
60 d. pomponio (*
O mmalora, s’è mbrogliato
il niozio.)[124]
marchese (Fuori dal balcone numero 16) Ella è ancor di parere, ch’io vada; anderò, restate pur sicura.
olimpia Dic’ella,
che voi andiate...
marchese Ad Urbino, ed in punto
parto. Il Duca non sarà qui per certo.
olimpia No, non più il voglio;
non lo stimo più congruente.
65 d. pomponio (*
Voglio abbottà la gente di cerimonie, e mi stroppeja.)[125]
conte Come?
Che diss’ella, Marchese?
marchese Mi ferma; non vuol più
che vada. (ed entra per calar giuso)
d. pomponio (*
Nge aggio fatto la vocca, è
bizio.)
conte Or
mostra ella il suo gudizio, e grande la nipote. (e s’avvia seguendo il Marchese)
70 olimpia Vecchio dicervellato.
(inverso il Conte)
petronilla Giudeo
profano. (inverso Don Pomponio ed entra; faccendosi dietro i vetri del balcone)
marchese (Che giunto all’arco della scalea numero 10 dice) Io dipendo da
vostri dettami. (e cala)
olimpia Dipendere in ciò si
dee da Clarice.
conte (Che giunto all’arco numero 10 dice) Come
dice? Doveva ella? Colà si sarà ridotta la Livia.
75 olimpia È giusto il motivo,
che mi ci porta. La Livia scevra molto dal vostro concertato, signor zio. (ed entra a casa il Celasio
numero 28)
conte Come?
Che intende di fare? (al Marchese che s’è
fermato all’arco numero 9)
marchese Venite a carte scoverte. (e cala giù
nella piazzuola, ed entra a casa il Celasio seguendo
la Contessa)
conte Ah
disdetta! Allor, che più mi dà cociore, fatta si è costei per me inaccessibile.
E potrò senza speranza guatarla? Non mi fido, vo altrove. (e risale)[126]
d. pomponio Signora
Contessa, comanda poi. (parlando alla
Contessa di fuori, che non l’ode, e rivolta s’incontra col Marchese, che dalla medema si porta, e dice) Signor Marchese, dicola alla Signora Contessa, che se comanda poi... (a chi il Marchese non dando udienza entra)
SCENA XVIII
Petronilla
che si fa fuori al balcone numero 16 e detto.
petronilla Che
comanda? Comand’ora, veda dico, chi può imperare, che
non presumiate di traviare di qui, veda dico, un’otta. (ed entra per calare)[127]
d. pomponio (Pe
tierzo Rodamonte. Che cancaro d’otto va asciando?) Signora ha cominzato
a pigliarmi in zavorio, mi paja.
(parlando con la medesima, che già è
nella scalea appogiata da Troiana)
petronilla (All’arco numero 10) Avorio, sì, avorio;
tale avete i denti del Lionfante per istritolare.
d. pomponio (* Milleinfante!
Non te lo dico i, ca non sente il taliano.) Io non
dico...
5 petronilla (Che giunta all’arco numero 9 dice) dich’io,
che meritereste esser, veda dico, guatato com’un’aufefibena.
(e cala giù nella piazzuola)[128]
d. pomponio Non
faccio bene? E se non faccio bene, mi creo, ca manco faccio male.
petronilla Ve’
se non sa far male quel serpentaccio a due teste, una da capo, un’altra da piè.
A darvi qual vi si deve, veda dico, sbarazzata, so, veda dico, a che
appigliarmi.
d. pomponio Commo?
Che m’aggio pigliato? O mmalora, a chesso ne simmo!
petronilla Ne
saremo a quelche dovete, a ciò che dovrammisi.
10 d. pomponio Vi,
che fuoco allummato.
petronilla Come?
Ardisti soggiogarmi alla tua dimenticanza, veda dico...
d. pomponio (*
Vede, e dice. Non c’è un cancaro, che t’afferrasse.)[129]
petronilla E
poi così trattarmi, oltracotato, prosontuoso?
d. pomponio So
presentuso puro: Accossì so
li presontuse? Io mi fo un agniento.
15 petronilla Niente?
Come? Niente vi par, che, veda dico, ciò fia?
d. pomponio Va’
l’arriva, va’.
petronilla Sì
sì, che t’arriverò. Dispettevole, così ancora mi vilificate? Sarò, veda dico, diriditrice di voi fra poco.
d. pomponio Che
se dice ch’è poco? Non si fa ntendere, Signora. Mi
sono appilato.
petronilla Come?
Che v’ho pelato? Di che v’ho pelato, fellonoso?
20 d. pomponio Non
dico questo.
petronilla Dite,
qual mai v’ho fatta incetta? Parlate.
d. pomponio Che
ricetta ve voleva fa io? Che so miedeco?
petronilla Dichiaratevi,
vi risponderò, che non ho lasciata la lingua al beccaio.
d. pomponio Sapesse
se m’adora, o mme jastemma.
25 petronilla Biastemate? Non ho lena, veda
dico, che ti vorrei ben isguittire.
d. pomponio (* Oh
mo mme sbraco vì; guitto appriesso.)[130]
petronilla Ma
manco, oh Dio, Troiana, venite al mio sussidio.
d. pomponio (*
Oh mmalora, l’avesse da pagà
pe bona.) Signora, mi inginocchio; non si contrubbi;
mi fa squaquigliare.[131]
petronilla Arrompetevi da me, mi sentirà Sua
Altezza in persona or ora, che sarà qui.
30 d. pomponio Soja Artezza mperzona
vene qui?
petronilla Sì
sì ora è l’Altezza Sua qui ora, a sposare la Contessina Clarice. Da qui ad un
bel vedere sarete tantosto. Sequestratevi da me.
d. pomponio Che
mi ha da sequestrare? Signora, mi compatisca, io n’aggio da dar niente a nesciuno.
petronilla Tal
sia di me, se non sentirete un sosorno, che
v’abbatta. (e via appoggiata da Troiana
per la porta del giardino numero 7 dove si vede passeggiare)[132]
d. pomponio Non
sa parlà, se non de guitto, e de vattere,
e bede, e dice: te puozze vedè lo fecato, li premmune. Diavolo ogge, che ngè ammattuto? Lo Conte parla
d’accise, lo Marchese nge vo
vedè muorte; quanto va,
ch’ha fatto l’aggrisso ogge?
Auto ch’aggrisso; e no Sua Artezza, che mmo vene ccà, no nge lo miette? Auh mannaggia chillo panteco, che
non mme vene. Aggio quase
fornite li denare. Auh desperazione.
SCENA XIX
Arsenio
dal balcone numero 16, e detto.
arsenio Illustrissimo
ho cosa di rilievo, d’util grande, da comunicarvi.
Vengo, e dico. (e cala)
d. pomponio Tu
puro vide e dice, te vaa no cancaro
a quanto vide, e quanto dice, isso puro co vide, e dice. Sto co na cimma de scerocco,
che...[133]
arsenio (Che giunto all’arco numero 10 dice)
Perché, Signore? Che v’intervenne? (e va
giuso nella piazzuola)
d. pomponio (Che rincontrandolo dice) Chesta mo cca
ha fatto na fera de vide, e dice. Ma lassa i chesso; m’ha ditto na cosa po, che m’ha fatto friddo.
5 arsenio Ve
l’ha detto già ella.
d. pomponio A,
a. A lettere de marzapano.
arsenio O bene,
vi si è dunque dichiarata di sua bocca. La cosa monta assai più in bene.
d. pomponio Gnorsì,
bene, benissimo; ma è accurto il tiempo.
Tu non saparrai, diavolo, quanno
è la cosa.
arsenio Il
so benissimo; per questa sera sta decretato l’appuntamento.
10 d. pomponio Non
sai di l’appontamento! E ba
arremedia, va. Aunisce
tante cose, va.
arsenio Che
s’ha da unire? Basta, e siano unite le volontà delli
sposi.
d. pomponio O
biva; mettimmo sposi, e bolontà a tavola, e decimmo,
mangiate.
arsenio La
sposa non cura questi conviti no, ve n’accerto io.
d. pomponio E
tu, che ne sai de chesso tu?
15 arsenio Il
so, che con meco si è ella in tutto dichiarata.
d. pomponio La
sposa co tico?
arsenio Certo;
forse che nol credete? Domandategliene, eccola lì.
d. pomponio Addo
è?
arsenio Passeggia
nel giardino.
20 d. pomponio Tu
staje ncatarattato; chella è chillo verlascio di
Capua.[134]
arsenio Ma
perché parlar con disprezzo della sposa?
d. pomponio Qua
sposa? La sposa lla addo cancaro
la vide tu?
arsenio Ella
è dessa, la madonna Petronilla.
d. pomponio Commo?
Soja Artezza mo vene, e te cride, ca la sposa è Petronilla?
25 arsenio Che
Sua Altezza non so che dite; io non parlo di ciò.
d. pomponio Staraje mbriaco; o piezzo d’arme. A tre ore, che predeco.
Soja Artezza fra doje ore mo è cca a sposà
la Contessella, la Nepote del Conte, nzallanuto.[135]
arsenio Che
Contessella? Equivocate, la Petronilla si è la sposa.
d. pomponio Petronilla
sposa di chi?
arsenio Di
voi Illustrissimo. (e ciò udendo Don
Pomponio cerca de’ sassi, e corre dietro ad Arsenio, che fugge per sotto il
porticale, e dice) Ah ah non tirate pietà.
30 d. pomponio (Che scagliandogli sassi dietro dice) Puozze morì de subeto nne voglio i proprio fujenno (ed al tirar
d’un de’ questi colpisce a)
SCENA XX
Petronilla,
che ritrovasi uscendo dalla porta del giardino,
numero 7.
petronilla (Ch’essendo colpita dice) Ah ah chi m’aiuta? S’avventa alla mia vita, salvatemi. (e s’avvia suso seguendola Arsenio)
d. pomponio Signora,
ho fatto sbaglio. Non l’aggio con lui; mi dia cento schiaffi.
petronilla (Che giunta all’arco numero 9 dice)
Presto presto un postiglione; si dia parte al Sovrano
dell’eccesso.
arsenio Peggio
merita un tanto strano modo di trattare. (dicendo
a Don Pomponio)
5 d. pomponio Arzeneco, sarvame tu;
e te dono la travacca torchina.[136]
petronilla (Che giunta all’arco numero 10 dice) Un
tanto insulto, un tale acciacco a madama Casei? Venga tosto il Sovrano. (e via suso appoggiata ad Arsenio, ed alla
Troiana)
d. pomponio Se
non ajuta Arzeneco, so arroinato. Oh Abbisso! Votta
fortuna. Rubrè, Rubrè, apre
priesto, priesto ausolejame a cancaro. (bussando la porta della cucina numero 5. Per
donde entrato pone la stanga alla porta)
SCENA XXI
Celasio, Livia, e Lelio con abito da cavaliere dalla strada
numero 27.
celasio Qual
infamia? L’infamia, figlio, non consiste nella pena, ma nella colpa. Colpa, ove
tu in ciò sia reo, io non trovo.
livia Ah
che così fosse per me. Dio, che diverso è ’l caso.
celasio E
per te una tanta lusinga fa qualche scusa. Il tuo pentimento è condottiere del
perdono, il perdono della speranza.
livia Ti
bacerei i piedi, se ’l piagentassi. Lelio, ripugnare ad un tant’uomo non fa nostro
avanzo. Lui da padre non tieni?
5 celasio Sì?
E se sì, giovane onesto fa sua voglia del paterno volere, a chi ripugnare sol
col pensiero è tracotanza.
livia Non
creder Lelio, che forse insappiendo ch’ il Duca è qui
fra poco, di lui ancor io molle a vendicarti ti stolga, no. Ti stolgo solo,
perché veggio la vendetta non sicura, il tuo sterminio evidente, la mia
vergogna eternata.
celasio Ove
col pensier ti spingi? Inerme passaggiere, ch’a vista
di lunga selva popolata di tigri, e pantere ostinato pur s’inoltra, ch’altro
giammai s’aspetta?
livia Lo
suo sicuro scempio.
celasio Se
fiacca parete oppongasi ad impetuosa corrente,
ch’altro a veder se ne resta?
10 livia Allo
stante, che vada giù...
celasio Per
frappoco non più vederla. Senti; a ciò, ch’è
dubbievole, il pensare è virtute; se pravo, il
ristarci per momento il pensiero è delitto.[137]
livia Forse
t’ha provvedut’egli di quest’abito, perché così corso
tu fossi ad una insana vendetta, che prima, che per altrui l’assembri, si vegga in te eseguita? Chi a senno suo si regge, sfalla.
celasio Anzi
incontra nell’error la pena. Toccalo con mani. L’incolga
tu di dar morte ad un tanto nemico, e che ciò fatto ti salvi; ch’altro poi dalla
tua donna ne speri, se non in te la memoria di lei svenare, e forse non con
altro, che col passarti il cuore? E piacesse a Dio, ch’a ciò non t’appigliassi.
livia Soggioga
Lelio il tuo ardimento; ti regga del nostro padre il
consiglio.
15 lelio Taci
non più; reggimi pure; sol t’accerta, ch’altro non ho dell’umano, salvo il
conoscermi, che più io non son io.
celasio Frena
te stesso, e tornerai ad esser chi tu se’. Udite udite;
sempr’e quando m’accerti, che persona di Corte non vi
sia, che possa esser tu della sua conoscenza...
livia Non
vi sia, l’accerti?
celasio Egli
è per voi opportuno, ch’il Duca oggi qui si tragga.
livia Opportuno!
Possibile? Egli qui trova la donna, ch’ha in cuore. O che la sposi, o la
soggetti a violenza, di noi che ne fia poi?
20 celasio E
del primo, e del secondo affatto non temere. Molti avrebbono
a patir violenza prima di ciò sortire.
lelio E
fra molti, che in minuti pezzi ridott’io fossi,
credo, che me l’approvi.
livia Ed
a me dove mi lasci tu?
celasio Quando
che ciò non sia, come star non può, ch’egli sia, da un ignoto, bensì amorevole,
e fedele al Duca d’avanti starne dovrai.
livia Oh
Dio.
25 celasio Appiatta
l’esser tuo, travesti il tuo cuore, chiamati, com’esser dei, il Cavalier
Giusto. Mostrati di Livia amoroso, e che le sue nozze pretendi; e ’l sostieni
senza falsare. Di’, che per effettuare un tal desio qui di concerto ambi ne
siete.
livia Come?
E perché ciò?
celasio Perché
ciò sapendosi non sia svolto il Duca a qui portarsi, e non si pensi, che qui,
tu Livia, ti trovi per impedire i suoi voleri. Egli poi qui venuto, spero
s’aprirà via alle vostre ragioni.
livia E
fiderassi di sé Lelio per tanto fare?
celasio Penserà
Lelio, che da ciò dipende che sia di Lelio Clarice, ch’il Duca attenda lo che va a te, Livia, dovuto.
30 livia Che
dì tu? Il senti? Sta più con noi.
celasio Apprendi,
figlio, che l’uom più generoso è colui, ch’al nemico potendo non nuoce. Dirai
per ora saper per certo, che Lelio per man di Lelio fu svenato; ch’assai vero
dirai, se in te stesso ogni pravezza svenando, solo
in te rinascer fai l’esser di Cavalier Giusto, qual ti dirai.
livia Il
fai?
lelio Sì,
che il fo.
celasio E
da me s’oprerà, che resti su di ciò uniformata la
voce. Fidate a chi tutto può. (e via per
l’arco rovinaticcio numero 21)
35 livia Ah
che di te temo; io gelo.
lelio Non
diffidare, no; se Lelio più non son io, son altri.
livia Dio
fa’ tu. O il Marchese; questi è di Corte, sta’ in te.
SCENA XXII
Marchese
di casa, il Celasio dalla porta numero 28. e detti.
marchese (* Livia, e con chi non
so dire.)
lelio (A
tempo.) Signor Marchese, in punto era di voi in cerca, a sporvi un mio umile chiedimento.
marchese Son qui, sentir dovrà
prima...
lelio Chi
io mi sia? È dovere. Giusto Lai son io Mirandolese, e vostro servo.
5 livia Il
Cavalier Giusto ben conosciuto in quello stato.
marchese Godo avervi in
conoscenza, per impiegarmi al vostro servigio.
lelio Signor
Marchese, è proprio d’un cavaliere protezione avere di chi nel chiede, quelli
siam noi. Questa dama ben a voi nota fuggita da’ suoi
ella è di me in cerca; in obbligo mi veggo all’onor suo di dar compenso. Chiediamo in favore, che
n’impetriate l’assenso del Dominante, e che sicuri ne faccia con un benigno asilo
nel suo stato.
marchese (* Son io, o no?) E
siete in ciò amendue concordi?
livia Qui
uniti non ci vedreste, s’egli in me, io in lui affidati d’un sol volere non fussim noi.
10 marchese (* O povero ingannato!)
E sarete contenti, che di ciò a Sua Altezza inchiesta io ne faccia?
livia Fatela
pure.
lelio Così
dich’io.
marchese Ne sarà Sua Altezza
per tener poco conto del vostro ben nato officio.
livia Ne
son sicura.
15 lelio Quanto fassi è tutto a lui dovuto per ogni motivo.
marchese Gliene anticiperò
l’avviso, acciò nel venire, che farà qui tra poco, venga disposto ad un
aggradevole compiacimento.
lelio Vi
avanzate sempre più in favorirci.
marchese Farei di vantaggio. Or
sì, Signora Livia, che vengo in accorgimento della degna cagione che v’ha qui
condotta.
lelio Ella
qui si trova, io qui mi portai ad uno stesso effetto.
20 marchese Ne godo in vedere unita sì degna
coppia. (* Grande scoglio s’è infranto.)
lelio Un
lacrimevole caso occorso su l’alture del Guastallese,
a cui mi son trovato presente, ha fatto ritardarmi a non giungere qui pezza
prima, ed ora ne godo; perché con ciò ho incontrata questa per me vantaggiosa
congiuntura d’esser da voi protetto.
marchese Eh no; profitt’io dell’accidente per l’occasion,
ch’ho di servirvi.
livia E
fu il caso...
marchese Se v’aggrada il dirlo?
25 lelio Ritrovavasi in quell’erto custode
d’armenti un pastore, che ben tale non mostrava egli d’essere. Or questi datosi
tutto ad una forsennata velenosità d’animo di sua mano a me presente svenossi.
marchese Oh caso.
livia E
strano.
marchese Senza sapersi chi egli
fosse?
lelio Si
seppe accertato esser un tale Lelio Brighi d’Urbino.
30 marchese Che? E fu accertato? E
da chi?
lelio Attestollo un vecchio pastore,
col quale il morto facea soggiorno, e si trovò allo
sgraziato una scritta ancora addosso, ch’esatta contezza di lui dava.
marchese Non ammette più
dubbio.
lelio Visse
su di me boccheggiando per breve tempo, che poi il vecchio fu di consiglio
sbalzarlo, dove poi non seppi tanto.[138]
marchese O novità
rilevantissime! O giusto, quanto cercava; Signora Contessa, notizie son per darvi
di somma conseguenza.
SCENA XXIII
Olimpia
dalla stessa porta dov’è uscito il Marchese, e detti.
olimpia E quali mai?
marchese Abbiamo sposa la Livia
di questo Cavaliere qui presente.
olimpia Come? Possibile?
marchese Per accertato.
5 livia (*
Mi dà costei confondimento.)
lelio (*
E chi a Clarice il fa noto.)
olimpia Burlate, o abbagliate?[139]
marchese Né l’un, né l’altro; è
più che certo. Da amendue mi venne confermato.
olimpia E chi è colui?
10 marchese Un tal Cavaliere
Giusto Mirandolese.
olimpia Oh come può esser
questo?
marchese È strano, ma è indubitato;
e di più udirete ancora.
olimpia Livia non so che di te
mi si dice; fia vero?
marchese Perché tacerlo? Ne
goderà la Contessa, com’io.
15 olimpia Dimmelo tu: perché non parli?
Chi fia colui?
livia Un
Cavaliere.
olimpia Che si fa tuo marito?
marchese Che si fa, che s’è fatto,
Signora, direte meglio.
olimpia Ma a che tacere? Dinne
il netto.[140]
20 livia Signora,
ambisce le mie nozze.
olimpia Nol
nieghi tu adunque.
livia Fui
forzata; conviene ch’il dicessi, saprete poi...
olimpia Taci, taci, t’ho
inteso.
marchese Credevate, vi
burlassi?
25 olimpia Mi fai orrore!
marchese Spiacemi
oltre a ciò farvi altra cosa nota, che vi turberà.
olimpia E sia? Dilla in
fretta.
livia (*
Mi raccapriccio.)
lelio (*
Che n’uscirà?)
30 marchese Di Lelio Brighi,
Signora...
olimpia E che? Di’.
marchese Vero si è quanto
n’udiste, ma ora...
olimpia Ora che? Di’ pure;
di’, non tacere.
marchese Non è più.
35 olimpia Dove non è?
marchese A cotesto Cavaliere
presente...
lelio (*
Oh Dio soccorri.)
livia (*
Tremo, o affanno.)
olimpia E presto, di’ chiaro.
40 marchese Morì.
olimpia Morì? Fu vero? Dite.
marchese Mi strema, ma pure è
così.
olimpia Dite, è così?
lelio Signora,
fa mestier, che si dica.
45 olimpia Oh Dio, è morto Lelio?
lelio È
Morto.
olimpia Ah pena. Morì Lelio.
Ah Clarice; Lelio è morto, costei non più vive. Ah Clarice Clarice.
SCENA XXIV
Clarice
pure dalla porta, donde è uscita la Contessa, e detti.
clarice Cognata,
a che mi chiami?
olimpia Ah Clarice, Livia è
fatta sposa; tu non sarai più Clarice. Io non voglio essere al mondo, Lelio, o
Dio...
clarice Lelio
che? Di’.
olimpia Lelio è morto.
5 clarice Che?
Come? Nol dire. Chi ’l disse?
olimpia Questi, che di costei
è fatto sposo.
clarice Chi
dì tu?
marchese Non so che farmi.
clarice Chi
è fatto sposo?
10 marchese Signora, dama di senno
adatta il tutto al meglio.
clarice Rispondi
tu, se’ fatto sposo?
olimpia Già è fuor di sé; vedi
a che bada.
lelio (*
Perdo il fiato.)
livia (*
Ora spiro.)
15 clarice Rispondi
tu, se’ fatto sposo? Dillo, ch’ora manco.
lelio Fu
dovere, che di costei sposo mi dicessi.
olimpia Ah ch’è perduta. A
Lelio più non pensa.
marchese Che vi diceste? Era
dovere, che lo foste, come lo siete.
livia (*
Mi si sparte l’anima.)
20 olimpia Clarice mia torna in
te; dite di Lelio la sorte. Ah muoio io per lei.
marchese Dite, che questo è più
straziarla.
livia Son
confusa.
lelio Morì
Lelio, non v’è più quelli.
olimpia O cordoglio! Il sente,
e non l’apprende! È perduta. Io non reggo.
25 marchese Cara Contessa, non
più; che vi soggettate a male ancor voi.
olimpia Dio chi ’l levò dal
mondo? Come fu? Quando accadde?
marchese Forsennato da sé
ferissi, ditelo.
olimpia Perché ritardi?
lelio Finì
d’esser Lelio per man di Lelio stesso.
30 olimpia Ed a te presente?
lelio Anzi
sopra di me restò estinto.
olimpia Più che si dice meno
intende! Ah Clarice non più Clarice.
livia (*
Non mi fido più, è mia più che di loro la pena.) Signora l’addurrò motivi per
divertirle il cordoglio.
olimpia Ah dolente, che ci
nacque (a Clarice); e più tu ancora (a Livia) come faccia hai di starle
innanzi?
35 livia (*
O Dio che soffrir debbo.)
marchese Stimo ancor io meglio,
che di qui si tolga, Signora.
clarice Così
dico ancor io. Andiamo Livia.
olimpia Ah ch’affatto non
avverte! È in tutto fuor di mente!
livia Son
rea, ma non di quanto mi fate.
40 olimpia Non più mi basta
l’animo di mirarti.
marchese E voi Cavaliere... Vi
contentate Signora, che stia ov’è la moglie?
clarice Sì,
dite bene. Entrate ancor voi. (dicendo a
Lelio, ch’entri; e tutti e tre entrano a casa il Celasio
per la porta numero 28)
SCENA XXV
Olimpia,
e Marchese restano nella piazzuola.
marchese Quanto è vero, che sia
presago un cuore assennato, com’è il vostro, Madama.
olimpia Per ispacciare adulazioni fate proposte apocrife, Marchese.
marchese E che sorte è la mia,
ch’abbiate sempre di me una cattiva discernenza? Dicea,
ch’aveste un presagio, che dovea appianarsi l’argine della Livia, mentre mi fermaste d’irne
ad impedire la venuta di Sua Altezza ritardando il vostro ingrandimento.
olimpia Il mio onore, per cui
ho la maggiore stima, non ha bisogno d’ingrandimento. Gelosa sol son io di sua
menomanza; non altro, che questo, attengavi,
Marchese.
5 marchese Credo d’appormi.
Diceste, che l’onor di Casa Orsucci
cercava, la Contessina, che sposata da Lelio si fosse, da chi impalmata stata ell’era. Or Lelio essendo morto...
olimpia Lelio è morto; e
Clarice non debb’esser guardata, non rimembrata
dall’assoluto Monarca di tutto il mondo, se vi fosse, senza ch’ella, e lo assentisca, e ch’il Duca adempisca alle strette leggi
d’ogni uomicciuolo, che per sé cerca moglie. In questo
caso non essendo, vi prego, partite ora a storre la
venuta qui del Sovrano.
marchese Resto di gelo!
olimpia Dite per me esser di
fuoco, e poi gelate.
marchese Travedete; io son
tutto acceso per le vostre glorie. Voi siete intenta a smorzare le faville
ancora con diluvi di ghiaccio.
10 olimpia Acceso vi vorrei per
lo mio piacimento, non per tante mie glorie.
marchese Non avrei creduto,
ch’il vostro piacimento spartato si fosse...[141]
olimpia Resto tediata
all’agitarsi più questa disputa.
marchese Immolatemi, ma almeno vegga il rogo, la pira.
olimpia Effetto solito de’ corteggiani è lo spacciar corteggianate.
15 marchese Oh Dio! Un, che tutto
vi si spone, soggettato si vede a rimproveri.
olimpia Diceste già, che
trovandosi qui la Livia, e correndo per costante, che
qui tra boschi fosse Lelio, oh Dio com’era, il Duca a tai
riflessi avvisato si fosse a qui non venire; tanto farete per compiacermi.
marchese Ma or che tali sovragiunte son nuove notizie.
olimpia Notizie a voi solo arrivate,
a che farne premura? Chi vi dà spinta a mostrarvene avvisato?
marchese Sta a me ancora
Signora...
20 olimpia Se a voi sta ancor
commessa l’orditura de’ nostri inciampi, è un’altra poi.
marchese Uccidetemi prima, e
non senta io da voi...
olimpia Mi fate vedere, non
che sentire, lo che avete in mente.
marchese Ma se non degnate
persuadervi quanto...
olimpia Persuadetevi, che m’è
noto il vostro interno.
25 marchese Ma, oh Dio, il mio
cuore, che per voi...
olimpia Il vostro cuore voi nol capirete, ch’a me si fè
palese.
marchese Ah che mi fate morire.
Dico...
olimpia Se potessi uccidere,
ucciderei prima me stessa.
marchese Ma almeno vi scongiuro...
30 olimpia Almeno lasciar non dovea Clarice, che spirasse senza me accanto.
marchese Pensiamo, e farò...
olimpia Far poss’ancor io quanto contro d’ogn’aspettativa m’orpellate.[142]
marchese Io dico, che mi spongo...
olimpia Sporrò io al Duca, che
Clarice elegge, pria ch’assentire a lui in tal modo, sposarsi ad un selvereccio, che con una frasca alla mano ci conduca fuori
di stato, che ci vuol poco.
35 marchese O sconforto! E dove
siete trascorsa, dove?
olimpia E quando non si
persuada, venga pure. Averà il piacere di trovar qui
Lelio morto, e morta Clarice ancora; e se bisogna per le mie mani; né viva
Olimpia, acciò non gli resti altro che fare. (ed entra a casa il Celasio per la porta
numero 28)
SCENA XXVI
Conte,
che si fa al balcone numero 16 e poi cala, e ’l Marchese in piazzuola.
marchese Sento acciaccarmi
l’anima. Quanto il disgusto di costei mi fa pressura non so dire. (e s’avvia)[143]
conte Marchese,
trattenetevi; son per dirvi.
marchese V’attendo. Molto da me
udirete ancora. Ah ch’a torto forse ella di me non si lagna. Le rangole del
Duca pure a me si fanno d’ora in ora sospette. Dunque io per compiacerlo non
compisco all’esser mio? Come? Son Virginio Rodi, e nol
penso?[144]
conte (Che giunto all’arco numero 9 dice)
Credereste, Marchese, sento un continuo capogirlo. (e cala giuso)
5 marchese E trovate me, a chi va
la mente come un guindalo. Consiglio vorrei, e chi mel dà? Il Conte? Il Conte atto è a più svolgermi la mente,
che ad assettarla.[145]
conte (Fuori) Trovar qui, Marchese, la Livia a dar un acciacco al nostro concertato, e più al
mio interno, ciò mi fa matto.
marchese Ella ci fu da un
diavolo condotta, come ch’io.
conte Son
tutto scontentato a non averla potuto meglio esaminare. Sapeste dov’ella sia?
marchese (* O che capo pennuto!)
Livia è qui, ed ha accanto suo marito; Lelio è fuori dal mondo per accertato; novità,
che non dovrebbono pormi in lance di storre, o no, la venuta qui di Sua Altezza. La Contessa con
me crucciosa vuol, che la stolga. Io sono nelle maggiori dubbiezze. A voi che
ne pare?
10 conte Come?
Possibile? La Livia ha trovato marito? È una inventiva.
marchese Non occorre difficultarlo; l’ha già seco. Si noma il Cavaliere Giusto
Lai Mirandolese: aspetta l’assenso di Sua Altezza per isposarla;
non gli verrà certo contrastato.
conte Oh
dunque un Cavaliere sia, che la sposi? Falso fu ogni rapporto del caso suo.
marchese Se falso, o vero,
resti a colui d’esaminarlo; veggiam noi, che ne
convenga di fare. Posto questo, dich’io, a che
ritardare gli avanzi di vostra famiglia? Pur voi in ciò perplesso, e perché?
conte Piano,
che poi mi passa di mente. Cotesto Mirandolese il sapete voi per uom di conto?
15 marchese Tal s’attesta, di tale
fa mostra. Ma ciò non fa al caso nostro...
conte Piano,
che non ho finito. Se tale sia dunque, come potrebbe venir disapprovato a chichesia di costei pretendere il maritaggio, come?
marchese Non entra ciò a quanto
mi vi sono espresso; né siamo nel caso, che
immaginate. Ella ha già marito, e credo, che qui si trovi per farle dovuta
ragione.
conte Cioè
questo lo credete, perché così stimate.
marchese Oh Dio veniamo al
nostro.
20 conte Questo,
e non altro. L’è accanto colui, ma non ancora sposolla?
marchese Signor Conte,
risolviamo vi priego; che questo poi da loro stessi,
che sono là entro entrati, potrete voi...
conte Come
là entro? Ma vi son le nostre dame?
marchese Credo di sì.
conte Come
credo? Oh smania; e con qual salvo condotto s’è qua dentro ficcato costui?
25 marchese La Contessina gli
permise l’ingresso.
conte Ah
cotesta ragazza, allor che non decreta, sentenzia.
marchese Udite di grazia.
conte Ma
è ben, che mi senta a me. (ed entr’a casa il Celasio ove son le
dame, e Lelio entrate)
marchese Puossi
dare mente più sprecata di costui? Ben dice il proverbio: la cavezza a gli
asini, e ’l bastone a’ matti. (ed accorgendosi di Celasio dall’arco
rovinaticcio numero 21 ivi si porta) È quelli il Celasio?
Ma chi meglio di questo uom saggio posso richedere di
consiglio? Messer Celasio, attendetemi.
SCENA XXVII
Uberto,
e Don Pomponio con ispada a’
fianchi dalla gradetta della cucina numero 5 vengono
nella piazzuola.[146]
uberto Venite
fuori, Signore. Chi alla fine v’ha a far tema a casa vostra? E poi a quest’ora?
Ella avrà conosciuto, ch’egli è stato un abbaglio.
d. pomponio L’annemecizia de chessa è no guajo, ma sso cancaro
de vecchio Conte, che creo mi posteja, è no guajone.[147]
uberto Signore,
già la Contessa mi dite, che vi guarda di buon occhio, cercatela, e disgabellatevi con lei di tale affare. Ditele, che rimova ella il Conte dall’importunarvi più su di ciò.
d.
pomponio Vuo di tu mo: fa na quarera de sso
viecchio a la Contessa.[148]
5 uberto Lagnatevi,
che non siete uomo d’esser posto in queste sdicevoli mercatanze.
d. pomponio Ch’è
quanto a dicere, ca vo i ngattimma;
e bo, che le faccia io lo porta pollastre. Tu dice buono; mo
trovo la Contessa, e me ne traso con a scusa de no cierto muorto, e bivo, che boleva sapè.[149]
uberto Benissimo.
In questo laberinto della Petronilla non vorrei vedervi, e vi ci fa trovare il
babbo d’Arsenio. Ma io mi fido renderli frasche per foglie. Egli è mal uomo
padrone; ed al mal fagli male. Dice il proverbio.
d. pomponio Falle
male. Auh mmalora. E ì
l’aggio fatto bene. Ah ciuccio, le so juto a dà la travacca de tomasco.[150]
uberto A
chi Signore? Al messere Arsenio?
10 d. pomponio Mme vedeze a
chillo mprocinto; me scappaje,
te sia donata. E quanto n’aggio potuto sceppà: diece chiaste. Ma che abbastano? Arremmedia tu, Rubrè; vene no soja Artezza; resto sbregognato.
uberto Fate
così; entrate dalla Petronilla senza temenza; discolpatevi; amicatevela di nuovo.
d. pomponio Che
cancaro dice? Chessa attacca accurto.
uberto Udite
a me; fatele de ghigni, careggiatela, donate a lei il cortinaggio co’ pendagli.[151]
d. pomponio E
Arzeneco nge fa nasce na revoluzione.
15 uberto Importa
poco. Gli direte, che perché la Petronilla ve l’ha lodato, vi è stato forza a
lei darlo; che gli farete delle dieci piastre altra polizza. Tengo a sicuro,
che subito la Petronilla abbia a rendervi cosa di valuta, e con quella mi fido
rimediare all’apparecchio d’apprestarsi a Sua Altezza.
d. pomponio E
po... te a tà sposa, ch’aje tuorto. E i nnanze nne voglio esse mpiso, e primmo d’essere mpiso te scanno.
uberto Scannatemi
pure quando mal vi riesca. Io trattanto tra voi, e la
giovanetta, che sta qui a casa il Messer Celasio,
conchiudo le sponsalizie. Allo stringere de’ sacchi
faremo, che la giovanetta a voi si richiami con la promessa di sposa a lei pezza
prima già fatta, e se bisogna, direm, che l’abbiate
segretamente sposata; ed ognun bisogna, che le faccia di beretta.[152]
d. pomponio Mmalora, tu si ommo!
E resta sso viecchio cona vranca de mosche. Ma chià, Rubrè, concrude
tu primmo vì. (ed avviasi su per
la scalea restando Uberto dove si trova)[153]
uberto Resta
per conchiuso. Credete, che per parte di costei ci possa esser ripugnanza?
20 d. pomponio (Che giunto all’arco numero 9 dice) Ma siente, Rubrè; mmalora no paro mio s’avesse da dì, ca vao
facenno truffe po?
uberto E
via Signore; sapete che dicea mia madre?
d. pomponio Commo
diceva mammeta?
uberto Procacciti bene, né curar donde
ti viene.
d. pomponio E
diceva buono mammata. (e sale, e trovando
la porta della sala serrata dice) Ccà è serrato. Aprite,
chi è loco? Arzè.
25 uberto Bussate.
Messere Arsenio, è il padron, che vuole entrare. (gridando)
SCENA XXVIII
Arsenio,
che risponde prima dentro le stanze, poi al balcone numero 16, e Petronilla,
che si porta alla loggia numero 15.
arsenio Di’,
che non è ancor tempo. C’è ordine per ora incontrario.
d. pomponio Ne
vene, o manco?
uberto O
questa è buona. Dice, che ha ordine di non aprire.
d. pomponio Comme? Non pozzo trasì
a la casa mia? Vi che negozià!
5 arsenio Eccellenza,
ecco il padrone vuole entrare, egli è per soggiacere a qualunque gastigo.
petronilla Non
occorre scagionare la diffalta. Resti fuori, tanto merita.[154]
d. pomponio (All’arco numero 10 ed Uberto, che si fa
sotto l’arco munero 9 zufolando Don Pomponio per dentro la scaletta) Ne, è essa che parla? Ch’ha ditto?
uberto Sta
ostinata. Ch’entrar possiate è difficile.
d. pomponio Che
bo dì, ch’aggio perza la casa mia?
10 arsenio Via
Signora; il veggio compunto; a che darli cagione d’alienazione?
petronilla (Che da fuori la loggia numero 18 vede Don
Pomponio dove si trova, e dice) (*
Mi sente già.) Ho sofferto grande attentato forfatto,
sapete voi?[155]
d. pomponio Ch’ha
ditto? Ca so forfante?
uberto Mostrasi arricciata, ma vi guarda.
petronilla Eccolo
lì; dovrei, veda dico, folgorarlo, e pure un non so che me ne trattiene.
15 d. pomponio Mme ngiuria, ne
lo ve?
uberto Anzi
no, è di voi fatta molle.
arsenio Ammetterlo,
ma con gravità, mi parrebbe.
petronilla Eh,
quel disadatto, al veder, veda dico, le dame non si subissa? Qual mai dannato
usaggio?
d. pomponio Ch’ha
ditto, ca non saccio?
20 uberto Riveritela,
non mostrate contegno.
d. pomponio Non
so degno; con tutto ciò mi fo, vedo dico, facenno sempe più il mio dovuto.
petronilla Ah.
uberto (Sospira.)
d. pomponio (Le
po uscì lo spirito. Chesso
sì ca non lo bede, e non lo dice.)
25 uberto (Non
fate, che vi scandagli.)[156]
d. pomponio Non
saprebbe a che attribuirli cotesta mia mala disgrazia.
arsenio (Non
sa a che attribuire la disgrazia.)
petronilla (Disgrazia
l’incontr’io, veda dico, che mi veggio così mal
guiderdonata.)[157]
d. pomponio (Ch’ha
ditto, ca m’ha donato? E spapura
a tiempo.)
30 uberto (Ditele,
chi dona il cuore non ha più che dare.)
d. pomponio (Non
te ne vuoi a cancaro? Chesta
se nge appenne.)
uberto (Vi
fate dell’utile senza danno.)
petronilla Ammutolite
sì ne, veda dico?
d. pomponio Vedo
dico, dovrebbe appilarmi; imperrò
chi ha dato quel, che ha donato, non ha più che darla.
35 arsenio (Non
ha più che dare di quel, che ha donato.)
petronilla Avrà
molto a ritrarre chi per voi s’è immolata.
d. pomponio (Che?
Sta ammolata? Chesta vo fa
nauta fera.)
uberto (Oibò,
ella è tutta per voi; non vi fate vincere di cortesie.)
d. pomponio Signora
ussignoria ammola a
contraste, ed io pur è bero allicche
salemme.[158]
40 uberto (Non
può intendere. Dite che l’immolate il cuore.)
d. pomponio Voglio
dicere, che l’ammolo il
cuore, non mi percepisce.
arsenio (V’immola
il cuore.)
petronilla E
se l’avete a me immolato, a che riaccattarvelo?
d. pomponio Mi
venderebbe ancor di più; è bennuto, e ben vennuto sia.
45 arsenio (Sia
ben per venduto.)
petronilla O
bene; altra domandagion non mi falta.
Fo, che rinverdiate nel mio favore, Salite, con voi m’abbatto. (ed entra)
arsenio Salite.
d. pomponio Non
so n’aseno a sentì a te? Tutte li
compremiente de chesta
vanno a fenì a battere.
uberto Non
dice ciò; dice, che v’ammette già, salite.
50 arsenio Ecco,
Signora, conchiuso il tutto; ricordatevi di mie fatiche. (ed entra dopo di lei)
d. pomponio Eh
Rubrè, concrude tu primmo. (e va per
salire)
SCENA XXIX
Conte,
Olimpia, Livia, Clarice, Lelio tutti di casa. Il Celasio
dalla porta numero 28.
Don
Pomponio prima di sopra, e poi abasso, ed Uberto.
conte A
bastanza mi vi sono spiegato. (parlando a
Lelio)
d. pomponio (Che al salire udendo la voce del Conte si
rivolge giuso, dove si trova, e dice) O mmalora,
ecco lo viecchio. (e seguita a salire)
conte Contessa,
fatecela capire. (ch’accorgendosi di Don
Pomponio per dentro l’arco numero 10 dice) Oh Signor Don Pomponio, or più,
che mai, son di voi in cerca.
d. pomponio So
chiammato, sì Conte, dalla sia Madama. (e siegue a salire)
5 conte Dite
a Madama voi; ch’ha meco egli che fare. (dicendo
ad Uberto, e poi gridando) Signor D. Pomponio, calate dico. (allo che Uberto va sopra, e Don Pomponio
cala mal volentieri) Signor caro, torno a replicarvi; questo non è luogo
per voi. (dicendo a Lelio)
livia E
se non è luogo per lui, non lo sarà né anche per me.
conte No
per voi.
uberto (Che rincontrandosi con Don Pomponio alla
prima volta delle scale numero 9 dice) Calate, non temete; ditela in una
alla Contessa, che colei è vostra. (allo
che Don Pomponio cala, ed Uberto va suso)
olimpia Eh Livia mia, non
vedi, che fai di te duce il tuo capriccio?
10 clarice (Ah
confusa di me.)
lelio (La
sua pena fa la mia agonia; dovea alla Contessa
confidarsele.) (parlando a Livia)
livia (Clarice
non ha voluto, teme.) (parlando a Lelio)
conte Vi credea persuaso, e ch’aveste bere inteso.
lelio Credo,
che v’è noto, che colà entrai con permesso, essendovi colei, ch’a tutt’i patti
è mia.
15 clarice (*
Dio che sarà di quello.) (inverso Lelio)
livia (Quanto
la scongiurai.) (accennando a Lelio la
Clarice)
conte Che
vostra, che vostra?
d. pomponio (Che fattosi accanto alla Contessa dice)
Mi Signora, quel servizio suppricato è lesto.
olimpia Vi prego pazientare.
20 d. pomponio Mi
meraviglio.
conte Per
voi dir questo è un delitto, persuadetevi. (a
Lelio)
d. pomponio (*
Auh sempre ho a trovare un collateralo.)[159]
livia Spetta
a me? Ed io l’ho di già risoluto. Dite, che dite bene.
clarice Ma
quando colei ancor dica così; che ne volete Signor zio?
25 conte Eh
ragazza, date in iscempiezza.
olimpia Ah ch’ha la mente
straniata, povera a me!
conte Signor
Don Pomponio, debbo di voi compromettermi di maggior favore.
d. pomponio (*
Sientetillo.) Mo Sì Conte, Signora, favorisca; ho da
dirli quel piacere, che mi cercò lui.
olimpia In altro tempo, se
v’aggrada.
30 d. pomponio Si
serva a suo sfizio, resto immovito.[160]
olimpia Risponde a caso. (agguardando Clarice)
conte Ma
mi pare padrone...
olimpia Meschina...
conte Che
non dovreste altro sentire.
35 olimpia Ha gli occhi colà
stralunati.
conte No.
olimpia È perduta.
livia Ch’averebbe a fare quando ch’avesse inteso? (* Vedi
scompiglio.)
conte Ch’averebbe a fare. Ma a che star qui più ozioso?
40 livia E
vi fate ancora il correggitore dell’ozio?
conte Don
Pomponio rimediate; aderitemi, che non succeda un qualche eccidio.
d. pomponio Che
bo accidere? Ussignoria è
di judizio; io Dio lo sa. Mi prometta, che la faccia
pregando, Signora.
olimpia In altr’ora.
d. pomponio A
la sua razia, resti pure.
45 olimpia Più di Lelio non
rammenta; a quello solo è volta! Ah muoio in così vederla.
conte Ma
quando non giovin con voi, Signor caro, le preghiere...
lelio Riverito
padrone, v’ho ubbidito in quel che potea.
livia Sta
qui egli per dipendere da Sua Altezza così il Marchese consigliollo.
lelio Che
per aspettarlo fatto mi sono in questo canto, prendo congedo.
50 clarice State
pur liberamente. (dicendo a Lelio)
conte Oh
l’indomita ragazza!
clarice (*
Dio guidalo tu.) (Livia non far, che parta.)
livia Qual
interdetto v’è a galantuomini l’assidersi in pubblica piazza? State pure.
olimpia Clarice mia, se’ in
tutto istupidita, torna in te.
55 d. pomponio Chi
è chill’auto Callimede? (parlando di Lelio)[161]
conte La
cosa va a finir male. Don Pomponio, fate voi, che se no...
d. pomponio Pe
Ussignoria, Si Conte, farria
monete fauze; ma non nge
pozzo cchiù arremediare. (*
Mme la fa lo cano.)
olimpia Dov’hai la mente?
Torna in te; non hai per Lelio più lagrime? Se Livia è di colui, tu resti preda
del tuo odiato, anche non vogli.
clarice Non
accorarmi, no; altro, che ciò debbo temere.
60 d. pomponio Resta commico,
Signora?[162]
olimpia Non per ancora.
d. pomponio Faccia
pur ello.
conte Ah
che mi macero. Don Pomponio, lasciate, che vi parli chiaro.
d. pomponio Sì
Conte, m’affrigge. Signora quello ch’ho a dircelo è
d’importanza.
65 olimpia C’è tempo.
d. pomponio Aspetto
un mese. (e va per ritirarsi a casa
disperato di poterle parlare)
olimpia Ch’hai a temere, s’hai
il tutto perduto? Ripigliati.
clarice Ah
e non perdessi di più, che poco perduto averei.
olimpia Zio, Clarice delira;
ha dato volta, non più avverte.
70 conte L’accagionamento è chiaro, che da quel temerario ridondi.
olimpia Così concepisco ancor
io; fate, che di là si parta.
conte Risolvetevi
a far ciò, Don Pomponio. Non fate, ch’io mi cimenti. (trattenendolo)
d. pomponio Sì
Cò, gioja mia, mo cha i’aggio puro li guaje miei. La
rendo dunque supplichevole. (alla
Contessa)
conte Badate
a me ora, vi dico.
75 olimpia Ve ne prego ancor io;
aderite al zio in quanto è per dirvi.
d. pomponio Eccomi,
compatisca l’accesso.
olimpia Clarice, se non ancor
il comprendi, Lelio è spento. Meglio ti vo’ dolente, che forsennata.
clarice Non
più auguri, che inorridisco.
olimpia Sempre più sfalla.
80 conte Via
che più s’aspetta? Siete voi il padron del luogo. Fate ordine a colui, che di
là sen parta. (accennando Lelio)
d. pomponio E
chi è chillo?
conte È
un, che qui vuol fermarsi per forza.
d. pomponio Commo?
Pe forza? Chessa è meglio. Eh quel zitello, se poi ci ha a suppricare,
avarrà audienza; in altro
vada ello. (inverso
Lelio)
livia Non
vuol cosa alcuna; sta in questo canto, non dà soggezione.
85 d. pomponio Non
vuol cosa alcuna, Sì Conte.
conte (Fate,
che di là sen parta col diavolo.)
clarice (*
O cordoglio.)
d. pomponio Ci
faccia il servizio di filarsela un poco.
livia Un
cavaliere s’ha da cacciare di strada in tal modo? Dove si vide mai.
90 d. pomponio (Non
mi paja, che n’ha molta intenzione.)
conte Dove
si vide, ch’il padrone in suo luogo non possa ordinare lo
che gli piace? (Diteglielo voi.)
d. pomponio Ma,
Signor mio, li padroni pari nostri...
lelio Non
c’è padrone, che possa oltre il convenevole pretendere.
d. pomponio Non
c’è padrone; vada Sì Conte. Ussignoria sta più inteso;
lo faccia lui capace.
95 conte Vi
farò capace io poi in altro modo.
lelio Poss’ancor io rendervi capace, e
soddisfatto in qualunque modo v’aggrada.
olimpia E qual temerità avanti
di dame così insolentire?
lelio (*
Ah trascorsi) Non supposi insolentire, mi vidi caricato.
livia (*
Oimè che risolvo?)
100 clarice (*
Oh Dio spiro l’anima.)
olimpia Credeste di farvi
audace per vedervi avanti il zio disarmato? Datemi qui
la vostra spada. (prendendosi la spada di
Don Pomponio)
d. pomponio Mme vao a pigià l’auta io. (e fugge)
clarice Cognata,
non farmi morire.
livia Contessa
che fate?
105 lelio Perdonatemi;
ebbi soverchio ardimento, è vero.
olimpia Partitevi tosto di
qui; non mi vi fate più d’avanti.
lelio Gastigatemi prima, se mancai, poi
anderò.
olimpia Altro non vo’ che
parti. Che se mi stimassi offesa, t’averei immersa
questa ne’ fianchi.
clarice (Oh Dio non dir tanto.)
110 olimpia E pur qui stai? Credi
che con teco non parli? To insolente. (e
gli alza un fendente, venendo trattenuta così dalla Livia,
come dalla Clarice.)
clarice (Ah
che fai? Egli è Lelio.)
conte Fate,
ch’il merita l’alteroso.
clarice (*
Son morta.)
livia (*
Stramortisco.)
115 olimpia Fermate, più non fa
d’uopo.
conte Lo
fa benissimo, lasciatemi.
olimpia E parvi bene
castigarlo umiliato, quando lo sopportaste troppo ardito. (buttando la spada)
clarice Aiutatemi,
che mi perdo.
olimpia Soccorrila. (* Or sì
che mi perdo ancor io.)
120 livia (*
Manco, non ho fiato.) (ed a casa il Celasio si riconducono Clarice, e Livia)
olimpia Dov’è il Marchese? A
chi il commetto? Andate voi zio.
conte S’ha
questi da sterminare. So, che saprete fare al caso. (e s’avvia il Conte in cerca del Marchese per la stradetta numero 27 e
poco dopo ritorna)
olimpia Se non saprò farò mio
danno. Tu Lelio?
lelio Io.
125 olimpia Ed a me ascoso?
lelio Quell’io,
ma senza mente.
olimpia E senza mente ancor
Clarice, perché perdessi pur la mia.
lelio Son
reo, ma fido, che non mi disgradiate.
olimpia Chi qui ti condusse?
130 lelio Il
caso.
olimpia Che perfido a me sola occupotti. Torna il conte, va’ va’.
lelio E
dove vado?
olimpia Va’ pur dov’è tua
moglie; ed allor che si sappia, ch’altri poi la pretenda. (ed entra Lelio dov’è entrata la Clarice)
conte Il
Marchese non trovo.
135 olimpia Fa d’uopo, che a me ne
venga.
conte E
voi nol vedete Contessa, che colui pur là si conduce?
(accorgendosi dove Lelio è entrato)
olimpia Trovate il Marchese. A
che imbrigarvi su di ciò? Vi son io; so che farmi. (ed entra dove entrati son tutti serrandosi la porta da sé)
conte O
diavolo. Come? Con un so che farmi, fa’, che quello colà torni, e si ficchi. Ah
la mia Contessa mi giuoca di coda tanto bene. Entro io le canterò la zolfa... Dove
vado? Cotesto Mirandolese è un temerario. Tutte se li son fatte parteggiane.
Voglio cimentarmi? E perché? Si trovi il Marchese ovunque sia. Marchese Marchese. (gridando
in cerca del Marchese, e via per l’arco rovinaticcio numero 21)[163]
Fine dell’atto secondo.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Conte,
Marchese, e Celasio dall’arco rovinaticcio numero 21.
conte Questo
prego io voi a ben masticare, non altro. La Contessa prima irosa, ed irosa
tanto, che giunt’è a lanciargli un fendente, poi in
un momento al veder colui piangolosetto resa si è
tenera più, ch’una felciata. Questo cosa fu? Cos’è?
Cosa vuol dire?[164]
marchese Stato sarà a
condiscendenza della Livia.
celasio Qual
dubbio debbe ammettersi in ciò?
conte Signor
mio no della Livia; Signor mio sì, che debb’ammettersi il dubbio. Bene accorto mi son io, che fu
un trovato il mandar me in cerca di voi, Marchese. Non si discetti più, non si
vada brulicando lo che, credo, che putirebbe.[165]
5 celasio (*
Si fosse fatto Lelio noto?)
marchese Non può nella Contessa
esser men che prudente lo che ella fa. Novità se le
sarà parata davanti.
celasio Novità
certo. Ella è una dama, che non fa mestieri...
conte Ella
l’adulazione nacque per le dame. Novità, novità; e non vi par novità tirarsi in
istanza un uom non conosciuto, e con sé, e con la Clarice? Che mi si fa
ugualmente indigestibile.
celasio Ma,
Signore, il Signor Marchese introdusse il Mirandolese colà essendoci la Livia...
10 conte Che
Livia? Quello della Livia fu un fantastico arzigogolo.
marchese Penso veramente, che
l’operamento della Livia alla Contessa non fu mai aggradevole. In questo non
errate.
celasio (*
Già vacilla.)
conte A
me dite errate? Riesce con difficoltà, ch’io m’abbagli, Marchese; e pur vorrei
in ciò ingannarmi.
celasio Ed
un della vostra mente può nella Contessa idearsi meno ben che fondati...
15 conte Idearsi.
Io vi parlo di fatto, non d’idea. Stupido lo volete mi pare, cappari.
celasio Qual
è ’l fatto? Perdonare un trascorso ad uomo
inavvertito? Operamento si è di cuor gentile frenar l’ira all’umile inchiesta
di perdonanza.
conte Perdonanza?
E perciò condurselo in istanza con restar me di fuori? Canchero, o non si
capisce, o non si vuol capire.
celasio (*
Quanto imprudente trascorre.)
marchese Cotesta fu
inavvertenza, m’immagino.
20 conte Che
inavvertenza? La porta è chiusa a chiave, e tal fu fin dall’allora. Cacasangue.[166]
celasio Che
dite, Signore? Questa porta va da sé a chiudersi a molla; né si può riaprire,
se non da chi è dentro. (e nell’additar
la porta la picchia) Se picchiavate stato sarebbevi
aperto.
SCENA II
Brigida,
ch’al picchiarsi della porta si fa al verone numero 34, e detti.
brigida O
Ser Nonno, venite suso. Qui giuso non si può aprire, sapete.
celasio E
perché?
brigida E
no, che si discorre in segreto.
conte Sentitelo
tanto bene. E mente la mia...
5 celasio Che
segreto?
conte Da
non rugumar la cosa tal quale ella la va.[167]
celasio Ell’è una ragazza, che poco, o niente sa che
si dica. Aprite, apri dico parabolosa.[168]
marchese Piano, non ancora. (e fa cenno alla Brigida di non aprire)
Voi Conte, che ne pensate in sostanza?
conte Penso,
e penso bene. (faccendoni amendue in disparte) Alla mia Contessa a tutt’ore
troppo enfiata di vanti se l’è fatta una escrescenza nel cerebro (direbbe il
mendicante). Già sapete voi con quanta sconsideranza
stolto voglia ella il maritaggio di Clarice con Sua Altezza. Or dunque perché
sia in piedi l’ostacolo della Livia, tira a storre dalla medema il
Mirandolese; e per agevolmente ciò conseguire tira... e che so io a ch’altro
tira? Vorrei esser bugiardo.
10 marchese Ma a che linguettare?
Lasciate ch’io entri nel vostro sentimento.[169]
celasio (*
Chi sa di che l’imbottisce il capo.)
conte Io
parlo a farmi sentir da sordi io. Preme a voi, preme a noi, che la Contessa da
voi non si stolga. Il Mirandolese in somma che ben tosto, e da lungi se la
svigni; la Livia si ritenga in disparte, e resti a mio
conto di ricapitarla; Sua Altezza qui sia per
compartire un tant’onore alla mia casa nel casamento con Clarice; l’Olimpia
vanti d’esser vostra; quest’è oprar con soprassenno.[170]
celasio Signor
Marchese, non è d’uom prudente farsi da qualunque sia detto agitare.
conte (A
che dar udienza a costui? Egli può aver de’ suoi fini ancora.)
15 marchese Udite Messer Celasio. Io dico l’un, dico l’altro; che stia il
Mirandolese aspettando Sua Altezza è dovere, il consento; ma non è ben, che
stia fra le dame; non si debbe...
conte Né
pur si debbe, ch’altro momento più qui si trattenga.
Vada tosto altrove, vada.
marchese Evvi,
ragazza, il Mirandolese guaggiuso?
brigida Sì
Signore, nella stanza di dietro.
conte E la Livia?
20 brigida Sta
all’orticello.
marchese La Contessa?
brigida Ella
è là entro col Mirandolese a ragionar zitto.
conte E
non si burla.
celasio Che
zitto? Che sai tu che di bambola midollaccia?
25 marchese Tira il saliscendo.[171]
brigida Tiro.
celasio Tira
il saliscendo. (e rientrando Brigida tira
il saliscendo della porta numero 29 e ’l Marchese entra)
conte Midollaccia.
Ma sa dir ciocche vede la midollaccia.
SCENA III
Don
Pomponio, ed Uberto da sopra, Celasio, e ’l Conte nella
piazzuola, e Giulietto, che cala per la scaletta di Celasio.
celasio Eh
Signor Conte...
conte Eh
Signor Celasio i nostri punti voi poi di villa...
d. pomponio (Che passeggia dentro le stanze sopra il
porticale numero 13 e 14 dice) Rubretto, ca mme so jettato into a no fuosso.
conte Voi
di villa non ben li comprendete...
5 uberto Che
fosso? Signore, non dubitate.
celasio Eh
piacesse a Dio...
uberto È
giuso il Celasio, non perdete tempo.
celasio Ch’anche
a villeschi... (trattenendosi di più dire)
d. pomponio Viene
tu puro.
10 conte Che?
d. pomponio Ngè lo Conte?
Voca fora, non nge voglio niozio.
celasio Non
producesse stomacaggine il baratto del loro punto,
che fanno i nobili cittadini.
giulietto (Che giunto alla piazzuola dice) Padrone vad’ora per quanto sapete?
conte Oh
con i nobili in bocca anche messer li Montanini.
15 celasio Va’ pure. (e via Giulietto per la strada numero 27 e si
porta al villaggio)
d. pomponio Rubretto, ca io feto di muorvo.
conte Par
che sia per voi il ruzzolar cose di cavalleria?
d. pomponio Robretto, ca fiete d’acciso.
celasio Il
dico, Signore, perché va volgarizzato.
20 uberto Conchiudete
il parentado con Celasio, e ’l di più stimate un
nulla.
celasio E
lo che va volgarizzato lo leggono anche gl’indotti
idioti.
d. pomponio Un
nulla? Se io arrivo a ij dinto
a no fuosso...
conte Medicante,
m’avete già fradicio. Uditemi; finiamola.
d. pomponio Tu
si juto, e buono into a na chiavaca co
la capo sotta.[172]
25 celasio Fate
ammeno dunque di ricever più tedio da un montanino mio
pari.[173]
uberto Il
Celasio anderà altrove;
volete fallarla mi pare.
conte Non
ho preteso macularvi.
d. pomponio Sta
ancora chiusa chesta co Arzeneco
ne? (spiando dalla toppa della bussola
numero 14)
conte Non
vi scorrubbiate, no.
30 uberto V’ho
detto già quanto fra di loro fu conchiuso, parlate al Celasio.
conte V’ho
per lo primo saccente d’Atene. Datemi udienza, ve ne
fo una supplica.
d. pomponio Che?
Ngè sta ancora lo cancaro niro? (additando
giuso di furto il Conte)
celasio Signore;
pongo la faccia a terra.
conte M’averebbe data l’udienza un senato. (e via per la strada numero 27)
35 uberto (Che si è fatto a spiare alla toppa della
bussola numero 14 dice) Signore, or esce la Petronilla, vi riscontrate.
d. pomponio Vao a li soppigne.
(e s’avvia uscendo alla loggia numero 20.
per donde si sale al tetto del palagio)
uberto (Che seguendolo dice) È lesa la volta di
sopra, vi precipitate.
d. pomponio Meglio
è rompere na costata, che la catena del collo.
uberto (E dopo aver guardato in istrada dice) È
già ito via il Conte, correte. Messer Celasio, fermatevi.
40 d. pomponio Non
si friccicihi Sì Cesà. (e cala senza guardar giuso)
conte (Che ritornando dice) Come? Ad un, ch’è
con meco, ardite di dir fermatevi?
uberto A
tant’io non avea badato, non credea
fosse occupato.
d. pomponio (Che nel mentre cala per le scale con Uberto
dice) Occopato? Mme faje ridere Sì Cesà. I’ te chiammo, e Ussignoria dice occopato; avimmo fornito di rociolià il strummolo.[174]
conte Dite
voi a Don Pompanio, o Pompasino,
che, se qui non è ancora capitata la creanza, farò valicarcela su d’un mio
legno. (dicendo ad Uberto, che s’è
fermato all’arco numero 9)
45 d. pomponio (Che giunto sotto il porticale venendo fuori
dice) Sì Cisà, Ussoria appalorcia, quando il padrone commanda.
(ritrovandosi il Conte in faccia)[175]
conte Restò
prima da me comandato. Il vostro servidore vi dirà il
di più. Venite voi medicante. (e via per
la strada numero 27, e Celasio il siegue)
SCENA IV
Uberto,
e Don Pomponio, che restano nella piazzuola.
d. pomponio Mme l’hai fatta fa nera mo, faccie de Caino.
uberto Era
ito già via; come sia receduto non so.
d. pomponio Co
sso non so ngè mancato justo un pilo, e le diceva caccia mano. Già m’è sagliuto il pepe a le forge del naso; e tu co sso non so mi bello.[176]
uberto Avete
inteso ciocche v’ha detto?
5 d. pomponio Sì
ch’era surdo. I’ commando un Sì Cisario,
un vassallo mio, e chillo dice, l’ho commandato io. Chisso le femmene se le bo portà co isso, li mascole so li suoie,
s’è fatto patrone de lo stato mio ncredenza. A sanco va a finì sso niozio.
uberto Se
non avete udito il di più, ciò è un nulla. Basta; ponete in salvo il vostro
maritaggio, che poi bisogna, che cotesto Conte resti di voi screduto.
d. pomponio Che
s’ha creduto? Che cos’è? Vommeca mmalora.[177]
uberto Egli
poco vi considera; dovete mostrarli i denti, padrone.
d. pomponio I’le mosto porzì
le mmola. M’aje ditto chesso a me mo, e ba me pesca va. Va decenno.[178]
10 uberto Basta
dirli sol questo. Signor Conte, ho assai io più abbondanza di legne per provvederne chichesia.
d. pomponio Chi?
E chillo dice sì, Ussignoria mi proveda;
e i nge perdo le legne appriesso.
uberto Oibò,
che l’intenderà altrimenti. Parlerovvi chiaro; egli dissemi di voler fare, ch’a voi capitasse la creanza su
d’un suo legno; ch’a buon dire entrò a minacciarvi di bastonate.
d. pomponio Ne?
E ba ca chisso mme vò fa arrecordà
le specie antiche, va. E i ne voglio... na vottatella mme vasta vì. Au Ciommetiello
lo sbozzato; mo quanto lo pagarrìa
chillo, e l’azzennasse a sso
vavuso lo fieto, ch’aggio
fatto sentì io sulo co la
smarra vi, non dico co fa manco signo de scippà. Vorrisse vedè, che doglia de matrone le vorria
afferrà.[179]
uberto Ruzzolar
del passato, Signore, non fa al caso presente.
15 d. pomponio E
Signor sì, ca fa caso, e recotta porzì.
Se sapisse tu na vota a Ciommetiello... siente, l’assajello a chisso no juorno trè conesse;
ma conesse a deritto vì; e lo cano se le scanza tutte trè. I’ vedendo chesso mme mpesto,
vao pe le refonde na botta deritta, e lo vigliacco jetta la mano manco nnanze, e se scanza la quarta. I’
lesto co no contrancavo le sparo na
ventosa justo a lo vellicolo,
e che te cride quanto stette a piglià
sciato, nf’i a tanto che non se teraje
un cato d’acqua pe lo revenì.[180]
uberto Ponete
in salvo prima il vostro maritaggio, che la Petronilla non vi dia un qualche
scaccomatto.
d. pomponio Vì si n’è commo te dich’io,
vì.
uberto Allor
che le vostre nozze con la giovanetta sono in sicuro, la Petronilla vi darà di
naso.
d. pomponio E
ba ca de naso; ì nge do de
musso a sso pasticcio a lo sole. Te
pare poco, che chella me pozza jettà
a faccie, ca m’ha dato n’aniello
de ssa manera? Mo tu dice,
ca me manna la poragna pe Arzeneco.
Bene mio, ca mme so strangoliato.[181]
20 uberto Che
perciò? Ella ha dato a voi l’anello in ricompenso del cortinaggio, che voi a
lei donato avete. Li trenta fiorin d’oro, che ha
ordinato ad Arsenio di darvi (come testé ho inteso) prendeteli liberamente, che
ve ne sottrarrete poi.
SCENA V
Arsenio,
che cerca il padrone per le stanze, e detti.
arsenio Signore,
Signore.
uberto Eccolo,
già a voi ne viene.
arsenio Dove
sarà egli? (e s’avvia per venir giù)
d. pomponio Sciuoglie, sciuoglie,
dì ca non nge sò.
5 uberto Prendete
ciocche vi dà a cento mani. Dove credete che sia Uberto?
arsenio (Che giunto all’arco numero 10 dice) O
Signore attendetemi; vengo a voi pieno d’oro, e non si burla. (e vien giuso)
uberto Padrone,
veggo che di me diffidate. Quando sarete già sposo
d’altrui a che averete ad esser tenuto?
d. pomponio A
chessa chi l’ha ditto ca io
aveva bisuogno de’ denare?
uberto Arsenio
l’ha raccontato le vostre strettezze nelle prossime emergenze, e per carpir da
voi, e per carpir da colei l’usura di cinque fiorin
d’oro per trenta, che glie n’ha improntati per solo dieci giorni di tempo.
10 d. pomponio Mmalora, e lo Sì Cisario ha pigliato papara, ed io
mi seguita la trammessura.[182]
arsenio (Fuori) Ecco, Signore, la Petronilla a
mio sommovimento vi rende trenta fiorin d’oro, che
gli godiate in segno della sua svisceratezza. Non ha guari ho fatto, che vi dasse un anello di tanta valuta, vo’ vedere il
contraccambio.
uberto Padrone,
veramente Messer Arsenio l’ha fatta da un tale, che vi stima.
d. pomponio Ubricato gioje meje. Io le piglio da le mmano toje, non saje, pe la morte, e pe
la vita.
arsenio Che
morte, e vita? Il tutto vi vien dato fuor di conto.
15 d. pomponio (Lo
siente?)
uberto (Prendeteli;
la cosa per voi è in sicuro.)
d. pomponio (È
nzicuro?) Abbreviammo.
arsenio Piano,
Signore, è dovere vi ricordiate, ch’oltre la grossa mancia, che merito, mi
dovete restituire le dieci piastre datevi per prezzo del cortinaggio, che poi
donato avete a Madama.
d. pomponio Lloco mo, che buò che te faccio? Una te dice
commo è bello chesso, e chi è casa de Varvadoro ha da dicere al commanno sujo.
20 arsenio Come
al comando suo della roba d’altrui?
d. pomponio Che
robba d’altruja. Io allor
ti diceze te sia donato, e mo
te dico non po essere. Nuje
aute avessemo da sta soggette, ch’avimmo ditto sì, o ch’avimmo ditto nò? Lo nò
reventa sì, e lo sì reventa
nò quando nge piace.
arsenio Quest’è
una legge da corsaro; tremo in udirla.
d. pomponio O
triemme, o te vene la quartana, e tutt’uno. Te ne
faccio nauta polesa.[183]
arsenio Che
polizza? Sbagliate?
25 uberto (Spicciate)
La ragion vuole, padrone, che ce li rendiate in contanti. (Presto, che torna il
Celasio.)
d. pomponio Concrudiammo; se tenca lui, che le pare ncoscienzia.
Siete appiagato?
arsenio Questi
son trenta fiorin d’oro; (e glie li mostra in due cartoccini) venti
per voi Illustrissimo, e dieci per me in conto de’ miei guidardoni,
come del credito delle dieci piastre.
d. pomponio Vinte
a me, e diece a te; pe tierzo
sì a ufo di vinocuotto. Dì v’accompagna.[184]
arsenio Resto
tenuto. (e gli rende un cartoccino di venti ritenendosi un di dieci)
30 uberto (*
Se non farò cacarteli mio danno.)
arsenio Li
riterrò, se volete, per le spese da farsi nell’imminente apparecchio.
d. pomponio Dì
v’accompagna.
arsenio Mi
rimetto poi per lo di più alla vostra galanteria.
d. pomponio Non
mi zuchi più in cortesia. (risalendo Arsenio)[185]
35 uberto Non
li vedreste più. Avea ben egli ingegnato il modo da non farvene veder pu
uno; e che restaste di più svergognato; quando a me basta l’animo con solo
dieci di essi apprestarvi una cena reale, un’illuminazion
confaccente alle nozze d’un potentato.
d. pomponio Faje tutto chesso
co dieci sulo de chiste?
uberto E
me n’avanzeranno ancora.
d. pomponio Te
bene mio; e se ti soperchiono, so li tuoi.[186]
arsenio (Che giunto all’arco numero 9 dice) Che
se poi volesto ch’io pensassi ad un fastoso
ricevimento, spenderò del mio, e me lo rimborserete con piccolo mio avanzo.
40 uberto (Non
dite né sì, né no.)
d. pomponio Non
ci frusciate. Stiamo con altro in capo.[187]
arsenio Tanto
il farò, e vi loderete di me. (e sale
intrattenendosi nel contare i fiorini del cartoccio a lui restato.)
d. pomponio (Llo fà sà)
uberto (Ch’il
faccia, il perderà; voi non l’ordinaste.) Ecco il Celasio,
padrone; s’è già disbrigato dal Conte. Badate, che restin
ora stabilite le vostre nozze, e ch’egli dica, che furon
fermate da due mesi fa ancora.
45 d. pomponio Dimme na cosa: tu lo Conte lo vide da lloco?
uberto Va
in là.
d. pomponio Saje buono, ca non vene ccà?
uberto Per
ora no.
d. pomponio Per
ora, e pò?
50 uberto Fermatevi,
non partite; terminate il vostro affare, che se no, v’impicciate con la
Petronilla.
SCENA VI
Celasio dalla strada numero 27, e detti.
celasio Alla
fin fatta poi si senta come si voglia. (inverso
il Conte ch’è dentro)
d. pomponio Si
Cesà, e che mula m’aje
fatto tenè? Lassa i sso purpo.[188]
celasio Anche
un abbietto può ripugnare a chi che sia in ciocche non istima
convenevol cosa fare.
d. pomponio Assa ì si Cesà.[189]
5 celasio Son
per ubbidirvi Illustrissimo.
d. pomponio Nun te nge votà cchiù, se mme vuo bene.
uberto (Che guardando dentro inverso il Conte dice)
Affrettate in poche parole, che non rivenga il Conte. (allo che Don Pomponio va per fuggire) Che non rivenga, dico; non è,
che riviene no. (e ’l trattiene)
d. pomponio Oh
diavolo, e che susta. Non è per auto, ca non voglio fa sentì li fatti miei a
nessuno. Statte de posta tu.
uberto Parlate
pur liberamente.[190]
10 arsenio (Dietro il pilastro dell’arco numer 10 non veduto da chi è in piazza dice) Cercherà dal Celasio
la sua approvazione.
d. pomponio Orsù,
Sì Cesà, già beo, ca poco nge
so de li pare suoje; io so resoluto d’apparentar co lui.
uberto Né credete, ch’il padron sia per
burlarvi. Ditela in una.
celasio Come
Signore? Con meco che cosa? Io non capisco.
d. pomponio Tel
jetto a polo a polo. Sua nipota
già s’ha da maritare; ì la voglio pe legitima mia moglia.[191]
15 arsenio (*
Bene.)
celasio Mia
nipote d’ha da maritare? E chi ’l sa? Allorché poi
fosse in istato di darla a marito, dover sarà, che prenda un suo pari, Signore.
d. pomponio Chesso non l’ha da vedeè
Ussoria. Io so chi so, e pozzo apparà
chi n’è paro mio, sempre che boglio.
arsenio (*
Faronne intesa la Petronilla.)
d. pomponio Non
ngè vo chiù trascorzo al niozio.
20 uberto Il
padrone l’ha bene esaminato.
celasio (*
Ed una, ed una che fan due.) Qual pensate, che sia mia nipote?
d. pomponio De
la granne de la granne te
parlo; la pecciotta fete de
latto ancora; nge vo sprecazione
lloco mo?
celasio La
ragazza ella è mia nipote, per l’altra sbagliate, Signore.
d. pomponio Chello che t’è, sora, cainata,
consobrina, Ussignoria la tenga peme,
fore male però, co tutto l’annore
de lo munno. Che te cride?[192]
25 uberto Messere
non restate sospeso, no; ch’il vostro merito giunge...
celasio Signore
siete in abbaglio. Ella non è mica mia nipote, non mia congiunta, ma Livia
figliuola del Conte Moratti, Qui si trova fuggita da suoi, aspira alle nozze di
Sua Altezza d’Urbino, e forse adempito vedrassi lo che giustamente pretende.
uberto È
fatto il matrimonio.
d. pomponio Commo
è fatto? Tu che diavolo dice? Non siente, chesta non saccio che pretende.
Tu non hai ntiso buono.
uberto Ho
bene inteso io.
30 d. pomponio E
non parle mo? Sopisce sta
difficoltà del Signor Cesario. (ed accorgendosi,
ch’Uberto guarda dentro inverso il Conte dice) Che dè
venesse?
uberto Torna
già il Conte, sapete. (allo che Don
Pomponio va per fuggire) Non partite che v’ha già guardato.
d. pomponio E
gnornone, assamene ire; n’è
tiempo. Che buò mescà duello, e matrimonio? Lo farrisse
tu? Miettete nnanze.
uberto Per
ovunque andiate se ne rende accorto.
SCENA VII
Il
Conte prima di dentro, poi fuori, e Giulietto, che vien dal villaggio numero
38.
giulietto (Che giunto sopra il ponte numero 26 dice)
Padrone, ho compiuto a quanto sapete. L’ammalato manda a dirvi...
conte Eh
valletto valletto, dite a cotesto Don Pomponio, che
l’attendo qui. (allo che udire Giulietto
si volta inverso dove parla il Conte)
uberto Non
v’ho detto io, che v’averebbe veduto?
d. pomponio Statte
a bedè, che chianca. Dì,
dì, fa’ nfenta, ca non ha ditto
a te. (a Giulietto)[193]
5 conte M’hai
tu udito, o no, ragazzo?
giulietto Ma
se dite a me, io vo pe’ fatti miei, sapete. (rispondendo forte, perché di lontano il Conte l’oda)
conte Sì
sì, a te dico; se’ sordo? Dì al Don Barba d’oro, che sia tosto da me.
giulietto Sta
quivi assiso, e vi cerca. (a Don Pomponio)
d. pomponio Dì,
ca so asciuto, dì ca non nge
so, dille accossì.
10 giulietto È
uscito, e che non c’è ha detto. (gridando
inverso il Conte)
celasio O
risposta da mestolone.[194]
uberto Vedi
mellonaggine.
d. pomponio Puozz’esse scannato. (a Giulietto)
giulietto Ma
così m’avete imposto.
15 conte A
chi crede costui di baronare? A chi?[195]
giulietto S’è
alzato, e viene di mala volontà. (a Don
Pomponio)
d. pomponio Mala
volontà?
uberto Padrone
animo, ora vi vien fatta.
conte Vuol
che gli risciaqui il bucato costui alla fine, e ’l
farò. (e s’avvicina non veduto)[196]
20 d. pomponio Sì
Cesà arremmedia, ca vide no
maciello nnanze a la casa toia, io te l’aviso.
giulietto Vedete,
che corre. (a Don Pomponio)
d. pomponio Corre
diavolo.
celasio Fato
vero lo che diceste; trovatevi partito. (a Don Pomponio, che fugge verso sua casa)
uberto Non
andate a casa, che tornerà a guatarvi.
25 d. pomponio Vì che roina. (cercando di fuggire per la strada a portico
numero 3)
uberto E
colà ancora vi vede.
giulietto Salvalo
Dio; ha avuto a dar giù malamente. (guardando
inverso il Conte)
d. pomponio (Che spingendo la porta del Celasio numero 28 dice) Cca è
chiuso, saglio ncoppa. (e s’avvia per le scale di Celasio)
celasio Non
occorre, ancora è serrato.
30 d. pomponio Puro
vene? (a Giulietto)
uberto Con
un vecchio alla fine sempre n’avreste la meglio.
giulietto Viene
azzoppato.
d. pomponio Ente
valentizia, a pigliaretella
co no zuoppo. Te nge la pigliarrisse tu?[197]
celasio Cotesti
darà nelle scartate.
35 d. pomponio Me
metto dereto alla radiata.
celasio Pur
può vedervi.
d. pomponio Scassa
ssa cantina. (allo
che dire così Uberto, com’egli forzano la porta numero 30)
giulietto Presto
già arriva. (a Don Pomponio)
d. pomponio Aggie pacienzia Sì
Cisà, te pago lo chiavettiero.
40 celasio Ecco
la chiave. (porgendola ad Uberto, che
pressato da Don Pomponio apre, e questi colà entrando si serra, e nel volere
con la mano per entro il cancello ritirarsi la chiave, gli cade avanti la porta)
uberto (*
O l’uom dappoco in tutto!)
celasio Va’
torna dall’ammalato, e digli, che queste son le polveri. (consegnando a Giulietto un cartoccino)
giulietto Perché
non darmelo allora? Fatt’averei un viaggio, e due
servigi. (e via pel ponte numero 26 al
villaggio)
SCENA VIII
Conte,
che cala per la strada numero 27 Celasio, ed Uberto.
conte Dov’è
dov’è il mio Signor Don Zotico incivilissimo?
celasio Non
so di chi parliate, Signore.
conte Di
chi? Mi sembrate un ciocco voi ancora. Il Barba in cu... dov’è il nostro
feudatario?
celasio Vi
si disse già, ch’era di qui partito.
5 conte Partissi,
dopo aver fatto egli dir, che non c’era. Con chi crede di trattare cotesto
villanzone? Tanto ancor gli dirai tu, famiglio, oltre a ciò, che da mia parte
detto l’avrai.
uberto Io
non dissi, né son per dire al padrone cosa che sfregio l’apporti. Son servidore, che gli reco onore, e non acciacco.
conte Va’
alle forche tu capestro ragazzaccio.
uberto Vanno
alle forche i mascalzoni, i scheroni, non la gente
onorata.[198]
celasio Meno
ardire, sta’ in te.
10 conte Altezzoso,
insolente, parti di là.
uberto Sto
a casa; ove non pago il fitto.
conte Che
t’apro il capo con questa gruccia per Dio. Parti dico.
celasio Parti
parti; non è per te
il bitostare con signore di conto.
uberto Il
signor di conto m’ha da cacciare di casa?
15 celasio Va’
a tua casa; e cacciato non sarai. (e via
Uberto per la porta della cucina numero 5)
conte Vedi
vedi quanta presuntuosità, quanta grandigia! Ma
sempre peggio fu la vostra rusticità.
celasio Rusticità
chiamate il non voler un assentire a ciocchè non conviensi?
conte A
voi non conviene ciocchè converrebbe ad un magnate?
Più che del vostro interponimento in una cosa
tant’onorata, qual è un matrimonio, io non vi richiesi.
celasio Ed
io umilmente vi risposi, ch’era il mio interponimento
vano, mentre la Livia non istimato
avrebbe le vostre nozze, non altre per lei al pari vantaggiose, salvo quelle,
che nel suo onore reintegrata l’avrebbono.
20 conte Ch’onore?
Uditemi; posto che credesi il falso al verace, negasi il vero al mendace; una panzana, un falsamento a
tempo qual discapito vi farà mai, qualora se ne carpiscono tanti avvantaggi; e ’l
più di tutti per voi, perché si dia bando a cenci sì?
celasio Cento
avvantaggi non iscusano un piccolo male per conseguirli;
quanto meno faran per iscusarsi
cento mali, perché se n’abbia un ideato vantaggio.
conte E
via con tante ghierabaldane. Io ho per costume, che
tra ’l mio detto, e ’l fatto non vi sia tratto. Prendete. (porgendogli danaio)[199]
celasio Signore,
siete in errore; non è per me dir più innanzi, Signore.
conte Grossiere,
zoticone, tal fia di me, se non farò porti la coda
fra le gambe, come il cane ch’ha tolto il lardo al cuoco, va’.
25 celasio Non
di tutto quel, che uom dice, si trova poi contento, Signore.
conte E
non istar più a sorbirmi il forame, sputasenno; io non ho bisogno di te. È
servigio di Sua Altezza che della Livia io ne
disponga. Rendetemela sotto pena di farvi scopare per Urbino, e lo stato tutto.
Rendimela tu.[200]
celasio Perché
io renda lo che è mio debbe
un giusto comando costringermi; per
far ch’io dia lo che a me non s’attiene, da me
affatto non dipende, da chi mai tal forza farammisi?
conte Da
un ch’è come il Conte Orsucci, né più, né meno. Che
pensi tu, che segga io ad uno stesso banco con cotesto zoticone di contado del
tuo padrone? Dimmi la Livia ove sia?
celasio Ben
sapete, che tanto ne so, quanto che voi.
30 conte Aprite
qui tosto. (additandoli la porta numero
28)
celasio Deve
aprirsi da chi è dentro.
conte E
chi è dentro?
celasio Meglio
il sapete di me.
conte Altra
porta, che mi conduca all’orto tuo, ove sia? Questa forse? (additandoli la porta della cantina numero 30)
35 celasio Quest’è
una bassa canti netta; colà non introduce.
conte Aprila,
o che mando l’uscio a terra. Aprila maccianghero. (e la spinge)[201]
celasio Non
ho meco la chiave. Ma non so poi, se sia d’un vostro pari far forza alle case
altrui.
conte Son
per dartela tutta a terra; apri ti dico. Dubiti, che voglia del tuo vino,
pidocchioso. Certo colà conduce, giacché ripugni, maliziato illegittimo. Apri,
che la rovino. (sempre più spingendola)
celasio Ma
tanto poi non sel fa lecito essiche
sia.
40 conte E mel fo lecito io. Grida grida; credi,
che ti faccia schermo cotesto birbone del Napoletano? Venga venga;
che gli darò tanti calci al posteriore, fin che ci lasci appiccato un calzare.
Venga.
celasio Compie
a me prender le sue parti. Egli è un galantuomo napoletano, che per nessun verso
tal parlare gli s’addice.
conte Egli,
il ridico millantavolte, è un birbone, che tale si
spaccia d’essere, pari ad altri due Napoletani, ch’ho io conosciuti di simil
fatta, un tale in Ferrara Don Giacinto Paglionico, ed
un altro in Lucca il conte Buonfati, che spacciavansi similmente per cavalieri di quel paese, ma
altra prova non ne davan essi, solo il lor millanto,
il lor mentire. E pure sciocco v’era, che fede lor prestava, come fai tu a
costui.
celasio Il
conosco io per operatore d’onorate azioni, ch’è il vero essere di galantuomo.
conte E
come tale, egli con la barba d’oro, e tu con la barba nera nettatemi pure il
posteriore.
45 celasio Ah
dammi, Dio, tutta la sofferenza.
conte (Che volendo spingere col piè la porta,
s’incontra nella chiave ivi a terra caduta, la prende ed aprendo dice) Che
sì che la vinsi, fu aperta. E pur evvi altra cosa
puntellata.
celasio (*
Che fo?)
conte Si
sa cos’è questa, o no? (e senz’accorgersi
cosa sia, per istarne di dentro Don Pomponio, che la sostiene molto curvo,
sporge il Conte la mano per dentro il cancello, e col bastone cerca smuovere il
puntello, che ivi crede e colpisce replicatamente Don Pomponio, che a colpi, che
soffre, fa una specie di grugnito, e’l Conte dice)
Grugnisce? A sì è ’l porco. (e col bastone
gli dà di punta più volte con replicato grugnito di Don Pomponio) Togliete
via questo porco di qui; vo’ entrare senza meno.
celasio Fate
alto, Signore; evvi colà cosa, che può offendervi in
fine.
50 conte Sì
eh; tiene il mastino ancora il barbagianni. O il gran gabbappolo,
che se’ tu! Piglierò un arme da fuoco, e te lo
stenderò a terra cotesto cagnaccio sì or ora. (e salendo la scaletta di Celasio dice) Ma
so ben, che di qui suso si cala giù all’orto; il so ben io, sì. Aprite, chi è
qui. (e spinge la porta della colombaia
numero 31 al trovarla socchiusa)[202]
d. pomponio (Che vedendo il Conte ito
suso dice al Celasio per lo cancello della porta
numero 30) Che nc’è? Addò è juto?
A piglià lo scarboscetto nè? Chi me sarva?
conte Aprite,
che va giù quest’altra porta ancora.
celasio Uscite,
pensate ad un prudente ricapito.
d. pomponio Ora
mo sì ca so forniti li giorni suoi, o li miei. (e di là uscendo s’avvia in fretta verso sua
casa)
55 conte Ben
fu aperta quest’altra ancora. (ed uscendo
dalla porta della colombaia numero 33 sul verone numero 34 dice) Eccolo lì,
che se la leppa. Cos’è? V’è venuta la cacajuola Don
Barbadoro? È dovere, che vi faccia una visita.
d. pomponio (Ch’a ciò udire disordinandosi maggiormente
urta la porta della cucina numero 5., e gridando dice) Rubrè,
Rubrè. (e non
venendogli aperto, s’avvia suso per la scalea)
celasio Signor
Conte, la dirò pure, date in eccesso, e straboccato.
conte Bada
a te cornacchione. (e cala avviandosi ancor egli a casa Don Pomponio per la scala in su)
d. pomponio (Che giunto all’arco numero 9 dice) Addò
è? Che se n’è fatto? (parlando in piazza
al Celasio)
60 celasio Verrà
suso. Si può respingere la temerità con la forza. (allo che udire Don Pomponio sale in fretta)
SCENA IX
Uberto,
e Petronilla, che dopo pure cala, e detti.
uberto (Che fattosi al balcone numero 16 per dentro
l’arco numero 10 parla al padrone, che si trova all’ultima scalea) Signore
non salite, che la Petronilla v’è incontro con uno stile alla mano. Arsenio
l’ha riferito quanto detto avete al Celasio. (e ciò udendo Don Pomponio volta, e torna
giuso in fretta, e giunto all’arco numero 9)
celasio (Di dov’era lo trattiene dicendoli) Non calate, ch’il Conte vien suso. (allo che Don Pomponio di nuovo risale, e prossimo
essendo alla porta della sala numero 12 incontrandosi con la Petronilla istizzita ricala smarritamente)
petronilla Oh
il mio venerato, vi colo. (ed al voltare
Don Pomponio della prima scalea si trova in faccia il Conte, restando egli
all’angolo dell’arco numero 10. con le spalle al muro)[203]
conte Oh
il mio cacaccian riverito, ben ritornato.[204]
5 celasio Oh
l’avversa combinazion di cose.
d. pomponio Schiavo
de’ loro Signori. Sì Cesà, Rubrè.
uberto (Ch’uscendo fuori la loggia numero 18 dice)
Or calo la visiera, e vengane che ne voglia.
petronilla Perdoni
per ora chi che sia; ha meco egli a riscontrare gravi partite. (ed afferrandolo per mano s’avvia suso)
conte Non
è tempo, madama; tiene la cacajuola. Venga meco il
mio... (ed afferrandogli l’altra mano
giuso con seco il mena, levandolo di mano dalla
Petronilla)[205]
10 petronilla (Che giungendoli si ripiglia per mano Don
Pomponio, con cui risalendo dice) No, compatite; deve a tutti i patti esser
con me a darmi conto.
conte E
giusto per questo sono in cerca di lui quant’è.
petronilla Ma
io l’ho per mano già.
conte Ed
io per l’altra. (e così tenendolo stretto
amendue vando ingiuso insuso)
d. pomponio (Dice) Son per contribuirli, quanto dico
al mio medico una consurta. Sì Cisà.
15 petronilla Non
vi vuol consulta; son ben io con meco consigliata, trecchiere,
ingannatore.[206]
conte E
se suso il conducete quivi sarò ancor io.
d. pomponio Ma
Signore si tratta di doglia di ventre, quest’è la consurta.
petronilla Si
tratta? Si tratta di doglia d’onore.
conte Doglia
al ventre? No, no, che farovvi tanto ben io un unzion confaccente.
20 d. pomponio Ma
io ho bolontà, Signor mio. Vò
Ussignoria che mme... Sì Cisaà.
celasio Eccomi.
Oh povero galantuomo. (e s’avvia
anch’egli suso)
petronilla La
mia volontà è assai più risoluta.
conte Vi
vien fallita di sfuggire il passo.
d. pomponio Ma
quand’uno ha bolontà, Ussinogira
domandi al medico, che pò soccedere.
25 petronilla Vedrete
ben, che sortirà.
conte Vi
sortirà cosa forte non sortita ancora. (e
per mano l’uno, e l’altra tenendolo suso tutti e tre si portano)
uberto Intramettetevi
(a Celasio)
se si conta non si crede.
celasio (Che giunto all’arco numero 10 dice) A
che posso contribuire, quand’ei non si sa risolvere?
uberto Mi
risolverò ben io alla fine. (ed entra)
30 celasio Trattenetevi;
opriam d’avveduti. (e sale)
SCENA X
Olimpia,
e Marchese dalla porta numero 28.
olimpia Sì sì, sto avvertendo
all’acume del vostro intelletto per verità. A fin di sfuggire le mie giuste
doglienze vi fate di me queroloso, non so di che.
marchese Debbo dare in questo
dell’animo mio desolamento. Dopo più prove datevi de’ miei sacrati voleri, il
ricompenso veggio, che sia, che mostrate non capirmi di più.
olimpia No, non andate
deviandola. Dico la verità, mi scredo in oggi del mio
mal fondato concetto. Credea, che vi fosse d’increscenza la mia rancura, che ben in me la scorgeste, e
grande.[207]
marchese Che scorgei? Vidi ben, che vi smaniaste, vi sconfortaste, mi daste le spalle, senza capirne cagione.
5 olimpia Ben chiaro vi dissi,
che stolta volea la venuta del Duca oggi qui.
marchese Perdonatemi; io sarei
a quest’ora già partito a quest’effetto, e sol per voi ricedei. Eh veggio, che,
per non preponderare le mie giuste inchieste, date in non sossistenti
lamentanze.
olimpia Una dell’infallibili pruove, ch’abbia io per voi tutta la contemplanza,
sia questa, di soffrire, gioconda d’essere da voi stimata infignevole;
cosa ch’a me fa il sommo dell’orrore.[208]
marchese Ah che l’affanno del
cuore mel fa dire già. Parlate d’orrore, e di quello,
che in me più giustamente il cagiona, mostramento né men fate di farvene
accorta.
olimpia Marchese non
v’accorgete, che troppo un non so che vi trasporta? Che troppo costringete
Olimpia a sentire?
10 marchese Or bene, perché più non
abbiate ad udirmi, troverò modo da finire, e che resti sottratta la voce d’ogni
mio rapporto.
olimpia Donde motivo prendete
d’un tanto strano vanare, io non trovo. V’assicuro bensì...[209]
marchese V’assicuro, ch’assai
più orrore vi farà quel, che mi ci ha spinto, di quel...
olimpia Già vedete, ch’ogni
cosa per voi mi si fa comportabile; vi pregherei però, Rinaldo, fin qui a dire
basta.
marchese Rinaldo ancora da quest’ora
dirà basta a suoi giorni; tanto vi promette; restate pure.
15 olimpia No; fin a tanto, che
non mi palesiate il massimo, il minimo, che v’affanna non penserete di qui
partire. Io v’udirò, voi m’udirete, e poi resti in vostro arbitrio di risolvere.
Dite, ve ne priego, vanterollo
per lo maggior compiacimento da voi ricevuto.
marchese Stimo v’abbian detto abbastanza quest’occhi
non avezzi a ciocche fanno.
olimpia Vi dico, che mi dan pena: son per fare lo stesso. Ma, che spiegati con meco
ancora si sian elli, vi dico di no. Rinaldo mio,
ditelo se m’amate; creder poss’io, che vogliate così
appenarmi?
marchese Ma oh Dio...
olimpia Che? Dite, che?
20 marchese Che tanta della Livia premura? Che...
olimpia Che poi? Non vi
rattenete. (* Altro ha in mente.)
marchese Che tanta per quella
condiscendenza?
olimpia Quale?
marchese Di soffrir colui
temerario, difenderlo contumace, ed allor che più rustico, e ripugnante,
riammetterlo, e quasi che placarlo.
25 olimpia Placarlo sì; perché
stolto non si fosse da ciocche fa acconcio a nostri concertati.
marchese A quali concertati? Io non
mai arrivato sono a comprendere il vostro determinato volere.
olimpia Non avete voi
approvato a cotesto Cavalier Giusto l’inchiesta da farsi al Duca delle nozze di
Livia? Non avete voi alla Livia... Ma lasciam tutt’altro; non consentiste voi, che fin a tanto
non giungesse il sovrano, costui stasse ov’era la moglie? Tanto fe’
quelli. Cosa fa ora il vostro rammarico?
marchese Fallo il conoscere,
ch’a tutt’altro fia colui intento fuorché ad
attendere lo che disse.
olimpia E donde tal dubbio? (* L’avesse scoverto?)
rest’io mallevadrice per costui di quanto e’ promise.
30 marchese (* Peggio.) ma a che mendicar
costui per sé sicurtà, quand’è in istato di adempiere quanto promise?
olimpia Che promise?
marchese D’impalmar la Livia. Ne dia ora irretrattabile attestato.
olimpia Se con vostro
consiglio gl’insinuaste d’aspettar prima il Sovrano.
marchese Ora dico, che in tal
modo incontrerà del Sovrano maggiore il piacere.
35 olimpia E debb’esser
quelli soggettato alla mutabilità del vostro pensiero?
marchese (* Non fu inganno.) E debb’essere questo tale così avanti nel vostro favore, ch’abbia
io a soffrire...
olimpia Soffire?
E che soffrite? Entrate, mi pare, in una non dovuta gara.
marchese (* Più non posso.)
Soffrir dico veder ammesso colui...
olimpia E pure. Restò ammesso
dove n’ebbe la vostra approvazione. Dovreste compiacervene anzi.
40 marchese (* E pur
la muta, parlerò.) Che compiacermi? Mi si straccia l’anima in vederlo entrato...
olimpia Che direte? Spiegatevi
pure.
marchese Entrato sì nel vostro
cuore.
olimpia E tanto osate di proffermi innanzi? O sì che... Via giunga d’Olimpia, dove
non credea, la prudenza. Rinaldo, vo’ compatirvi; vi
prego moderatevi. Vi basti da me udire, che v’ingannate.
marchese Contessa, perché
m’accorga del mio inganno, debbo di colui veder la Livia
già sposa, o che soggiacerà egli a darmi conto d’un tanto tradimento.
45 olimpia Ah infame, se’ indegno
d’esser da me trattato qual non meriti. Fiderei ben io di smentirti; (e con impeto si fa alla stessa porta numero
28 a chiamare) Cavalier Giusto udite. (e
rivoltandosi al Marchese dice) Ma perché vo’, che, chi giustamente
proteggo, non resti di te al di sotto mi rattengo.
SCENA XI
Lelio,
Livia, Clarice dalla porta numero 28. Brigida, che dalla porta numero 35 si fa
frettolosa all’archi della colombaia numero 22, e Giulietto
dal villaggio numero 38.
lelio Che
m’ordinate? Son qui Signora.
olimpia Cavate la spada;
smentite costui.
lelio Che dite?
E perché?
olimpia Perché oltraggiovvi.
5 livia Oimè,
che fu mai?
clarice Che s’ha a
trovar più, che mi laceri?
olimpia Battetevi dico.
clarice Ah
nol fare no.
brigida Giulietto,
rumore.
10 giulietto (Che giunto sopra il ponte numero 26 si ferma
e dice) Da vero che sì.
lelio L’offesa
rimetto, restone soddisfatto.
livia Ciò
basta, Contessa.
clarice Ah
non fate, che veggia più.
brigida Chiama il
sere tu.
15 giulietto Dov’il
trov’io?
olimpia No, ciò a me non
basta.
marchese Anzi, non basta a me,
che fui l’offeso, e lo sono.
olimpia Soddisfatelo adunque.
brigida Trovalo,
va’ sul palagio. (dove Giulietto s’avvia
correndo)
20 clarice No; son io,
che tel dico. (a
Lelio)
lelio È
l’offeso? Cercherogli perdonanza.
livia Che
più ha a pretendere?
clarice Non
si saprà che fu?
olimpia No, ciò lo discapita.
25 clarice Frenati
cognata.
livia Contessa
per pietà.
olimpia State a parte. Se la
tua offesa rimetti cerca conto d’un mio oltraggio.
lelio Ed
or che farò?
marchese E tanto ho a sentire?
Debbo vendicarmi. (e cava la spada; allo
che vedere cava Lelio ancor la sua, correndo Clarice a trattenere il Marchese,
e Livia a trattener Lelio)
SCENA XII
Celasio, che sopra il palagio cala frettoloso, e detti.
giulietto Oh
il gran subisso, padrone.
brigida Sere
correte.
celasio Dimmi
che fu? Non palpitare.
clarice Vieni
soccorri. (a Celasio
che cala vedendolo dall’arco numero 10)
5 livia Presto,
aiuta. (a Celasio
ancora)
marchese Un delli
due l’ha a contare.
lelio Sarete
contenta, che non m’offenda. (a Livia)
clarice Ferisci
me prima. (al Marchese)
livia Fa’
che si fermi, ora muoio. (a Celasio che giunto si frappone)
10 olimpia E credi da vero
contarla con chi non ha voglia d’offenderti?
marchese Che m’offenda.
olimpia (Che strappando di man di Lelio la spada, avventandosi contro il
Marchese dice) Tira a me poltrone. Difenditi, se puoi. (venendo trattenuta dalla
Livia)
brigida Uh
terrore.
clarice Oh
giorno di morte.
15 giulietto (Che fattosi su d’un ramo dell’albero grande,
ch’è nella piazzuola dice) Tremo tutto.
olimpia A parte quanti siete.
Tira. (al Marchese)
celasio Contessa,
perché far getto della prudenza?
livia (Mi
ti butto a’ piedi.) (stringendola)
clarice Io
non veggio più.
20 lelio Che
mi fare io non so.
SCENA XIII
Petronilla
sul balcone numero 16, Don Pomponio su la loggia numero 18, e detti.
petronilla Ah
che tant’è, correte tutti.
olimpia Poltrone. (al Marchese)
conte Fia
ciò possibile?
d. pomponio Venga
l’auto pratino; pe uno i so lesto.[210]
5 marchese (Che buttando la spada a piè della Contessa dice) Ferisci, a che ti
trattieni? Chi tel vieta? Uccidimi.
livia Non
isperar, che ti lasci. (seguitando a
tenere stretta la Contessa)
celasio (Ch’alzando di terra la spada del Marchese
dice) Badate a che fate, a chi siete, Contessa.
olimpia (Che togliendo con impeto la spada del Marchese di mano il Celasio a colui la torna, e dice) Tira.
conte (Che in calare ciò vedendo dall’arco numero
10 dice) Oh femina indiavolta,
oh sporcheria!
10 petronilla Presto
un centellin di vino per ricuperarmi. (a Don Pomponio, che corre a servirla)
conte Butta
via quella spada. Ad un zio non s’ubbidisce? (e cala)
olimpia Vecchio demente,
effetti tutti di tua mente stravolta. (ed
ostinata contro il Marchese, benché trattenuta dalla Livia,
dice) Tira.
petronilla Oh
stranio strabocco, o cadenza!
clarice Cognata
mi vedi certo morire.
15 marchese Lasciatela pure;
passami il cuore, uccidimi, ch’aspetti? (buttando
la spada a terra)
conte (Che giunto all’arco numero 9 dice) Mal
abbia chi qui ti condusse, demonio. Nemmen la butti,
furia infernale? (ed avviasi
giuso)
marchese A che rattenerla? Non
altro a far ti resta; fa’, che men aspra piaga mi fai, fa’.
conte (Che spiando di sotto il porticale dice a
Giulietto) S’è appaciata, o no? O che perdo la sopportazione.
giulietto S’è
appaciata.
20 olimpia (Che dando la spada di Lelio in mano di Livia dice) Mi riserbo
allor, che conto dato avrò di quanto oprai, di
costringerti con meco a vedertela in chiuso steccato, dove non possi essere aiutato.
Va’, e danne parte al sovrano. Appoggiatemi Cavaliere. (a Lelio che va a servirla, e via amendue a
casa il Celasio per la porta numero 28)
clarice Chi
mi guida? Mi manca il vedere. (e vien sostenuta
da un lato dal Celasio, dall’altro da)
livia (Che corre a sostenerla, e dice) Dammi
una mano, ed a me chi la dà. (e
trovandosi prossima a Giulietto si sostiene su gli omeri di quello)
celasio Rincoratevi
pure. (alla Clarice) Tira il saliscendo,
Brigida.
brigida Sarà
fatto. (ch’il tira, e cala, e tutti e
quattro s’avviano per dov’è entrata la Contessa)
25 d. pomponio (Al balcone con coppa alla mano) Ecco
vino co l’acqua, acciò non le dia a bertiginare.[211]
petronilla Così
lento, così pigro, ed accidiato!
d. pomponio Ma
se potevano accedià commo volevano lloro. Io so curso a piglià lo vino. (a Petronilla che beve, e poi entrano)
conte E
non vedete Marchese di nuovo colui che là si conduce? Pur con quello è ita via;
voi dove guardate?
marchese (Che prendendosi con istizza la spada di terra
dice) Guardo più, che ad ogn’altro, che per voi mi trovo a tanto.
30 conte Che?
Per me? Cotesto gufo di notte colpa a tutto, e ne darà conto. Fermati tu,
medicante; non senti?
marchese Celasio
siate da me poi.
conte No,
siate or ora.
livia (Andate
Messere, riparate per pietà.) Da’ tua mano alla Contessina, Brigida. (e restando fuori il Celasio
entra la Clarice appoggiata ancora dalla Brigida)
SCENA XIV
Celasio, Marchese, e Conte
conte E
ben, che ve ne pare?
celasio Previdi
già, che peggio se ne poteva sperare.
conte Vedi
frontoso sfacciato. Se mi rendevi la
Livia, a questo non si sarebb’ora.
marchese Quel, che non s’è
fatto, si può fare.
5 celasio E
pensate, che far poss’io che cosa?
conte Cacciar
colei via di tua casa, che ci sarà chi la ricetti.
celasio Cacciarsi
di casa una Dama da un vile come son io? La caccerebbe il Signor Marchese? Se
dice di sì, tant’il fo io.
marchese No, tanto non dico, non
voglio. A persuadere l’avete, ch’esca ella di là, e resti secondo il concertato
aspettando qui a casa il Napoletano anche col Mirandolese, e ’l consento. In
contrario vedrete una rovina.
conte E
che colui nemmen sia qui ci giungo io, se dar non desiate
voi in un precipizio.
10 celasio Altro
non posso impegnarci, ch’il mio dire. (e
s’avvia per entrare dove son le Dame)
conte E
dopo il dire il fare, a malincorpo.
SCENA XV
Livia
dalla porta numero 28, e dopo poco Petronilla, e Don Pomponio di sopra, e
detti.
livia (Che su la soglia della porta dice) E poi
che detto l’abbia a qual fare si stenderà?
marchese Eseguirà lo che gli sta imposto.
livia Eseguitelo
pure.
celasio M’impose
il dirvi, che di qui ne partiste.
5 livia Ed
io rispondo, che non debbo, non posso, e che non mi piace. Ch’altro ha a fare
ordinategli.
marchese Dov’è il padron del
luogo? Chiamatelo.
livia Chiamatelo.
conte Eh
Don Barbidoro, ove voi siete? Don Pomponio (guardando suso) il diavolo ti si pigli, Barbadoro.
d. pomponio Signor
mio, so chiammato. Sia... (di dentro le stanze)
10 petronilla (Che fattasi al balcone numero 16 dice)
Ch’il cerca? (parlando giuso) Restate
voi dentro. (a Don Pomponio)
marchese Venga, venga egli
giuso, Madama.
livia Venga
pure.
petronilla Verrò
io anzi che no. (ed entra per calare)
conte Venga
egli; a chi dich’io? Il Barbadoro è sordo eh.
15 d. pomponio Gnronò nge sente,
Signore. (di dentro)
conte E
venga venga corpo d’un merdoso.
marchese Venga pure.
d. pomponio (Che fattosi al balcone numero 16 rivolto
alla Petronilla dice) Venca o non venca? Ussoria lo sente? (e cala appresso la Petronilla)
livia Venuto
che sarà che ne sperate?
20 conte (Adempite
quanto mi prometteste Barbadoro.) (parlandogli
al balcone)
marchese Dite a colei, Madama,
(accennando la Livia a Petronilla, ch’è
arrivata all’arco numero 10) ch’è servigio di Sua Altezza che di casa il Celasio sen parta, e che suso da voi ne venga.
petronilla Quando
ciò esser debba convien, che si determini prima il cerimoniale. Calerò. (e voltandosi a Don Pomponio, che cala, dice)
E voi badate, che giuraste di non porre più a colei gli occhi in viso. (e cala)
conte (Che vedendo Don Pomponio dall’area numero 10
dice) (Giuraste Don Pomponio di darmi la Livia in mano; adempitelo.)
d. pomponio Veda.
Sì Conte i aggio fatto molti juramiente;
qua aggio d’attendere?
25 conte Attendete
a me; né fate che mi si rinovi
la stizza, che mal per voi. (allo che
udire Don Pomponio cala)
marchese (Togliete a tutti i
modi, Madama, la Livia di là.) (alla
Petronilla, che s’è fatta giù in piazza.)
petronilla Ma
ove sia il plenipotenziario, che ciò per me tratti, io non veggio.
marchese A qual altra baia
pensate? ... (e rivolto a Don Pomponio,
che cala, per l’arco numero 9 dice) Barbadoro fate, che sen vada colei di
là, ed in vostra casa ben guardata sia ella.[212]
d. pomponio Veda
Ussignoria, Sia Madama, io ho ncombenza
co chella Signora llà da un
Sì Marchese bello, e buono. (di là dicendolo
alla Petronilla, ch’è in piazza)
30 petronilla (Bada
a te, che ti risparmiai uno stile alla gola.)
d. pomponio Ma
a chi aggio da ntennere? (e cala)
conte Lasciate,
che faccia, Madama.
marchese E via, Madonna, qui
non si burla.
d. pomponio (Che giunto alla piazzuola dice) Ussignoria lo sente? (alla
Petronilla)
35 petronilla (Levatene
via gli occhi.)
d. pomponio Le
levo l’uocchie? Besogna vedè, se chella se contenta. (* Vì che commando.)
petronilla (I
vostri, dico, i vostri.)
d. pomponio Se
me l’avesse fatti Ussoria.
marchese Quando sarà. (a Don Pomponio)
40 conte Barbadoro,
badate a voi.
d. pomponio Eccome
cca; non nge tenco mente manco; Ossoria non
dubiti. (e s’avvicina alla
Livia)
livia Che
cosa cercate voi? Non v’intramettete in ciocche non v’appartiene. (a Don Pomponio)
d. pomponio (Gnornò,
fussero scannate tutte quanta, io non dico chesso: Dico sulo, che Ussignoria è la fata mia. Io ve faccio na
donabile arrevocazione de tutte le robbe meje. I ve voglio tenè da na Regina, chiavale no
vico nfaccie a chisse.)[213]
livia E
va’ tu ancora scempiato, che mi promovi al vomito.
45 petronilla (Tanto
ben che la guardaste. Aspetta veda dico, che, t’ha a succedere.) (a Don Pomponio, e s’avvia sotto il porticale)
conte (Con
giuramento vi comprometteste di porre colei in istanza, che n’avessi io la
chiave; fatelo, che se no si rinvivisce il vostro malanno.)
d. pomponio Come
chè i aggio d’apparecchjà pe na certa venuta de
no sua Artezza, ne parlammo appriesso. (e si fa con passo veloce d’appresso la
Petronilla, e dice) Mmo mmè
sbraco vì, aggio asciovito
a resguardo suo.[214]
petronilla Ed
io ben è, che pensi al rassetto di mia persona per un
tanto ricevimento. Conducetemi di qui per essere più tosto.
d.
pomponio Lo
tuosto ve lo dono; si sodognarà
Signora. (e sale appoggiata da Don
Pomponio per la scaletta numero 5)[215]
50 conte In
tanto che si fa? Quelli sta dentro.
marchese Or via scortiamo. Celasio, entrate dal Mirandolese, e da mia parte gli
direte, che da me come il Marchese Franchini se gli destina la macchia di
Belforte per vedercela a tutto sangue; come cavallerizzo di Sua Altezza se gli
comanda che sia tosto qui per ricevere gli ordini del Sovrano.
celasio Ubbidisco,
ma nel qui chiamarlo. (ed entra per la porta
numero 28 riuscendo fra poco)
livia Non
è egli suddito d’Urbino, che possa esser tenuto ad ubbidirvi.
marchese Chi è nello stato debbe ubbidire, o che se li farà saltar la testa. Non è
limitato il poter del sovrano, qual voi lo credete, né da lungi sarete ad isperimentarlo.
55 conte (Ma
è una gran cosa che vogliate voi disperdere la vostra quiete, la vostra sorte,
e non agguardarla in me, che pur troppo grande per voi la serb’io.
Livia cuoricino di quest’anima senti...)
livia E
non t’arrossi, vecchio impazzato, vituperevole? Solo il rossore a me rattiene,
che ben potrei...
celasio Il
Mirandolese ha stimato irne incontro a Sua Altezza,
che corre voce esser già giunto a Fossombrone.
marchese A Fossombrone? Una
lega di qui lontano, e non mi si avvisa?
conte (Egli
ve l’ha celato. Quanto s’opera tutt’è per machina di cotesto negromante. Perché
non s’ha da affossar costui? S’egli non s’esenta non si fa nulla.)
60 marchese Celasio,
d’ordine del Sovrano restate ora di qui bandito trenta leghe lontano, sotto
pena d’una galea. Conte, voi, in cura delle dame; io vado da Sua Altezza. (e va per la strada numero 27 in verso del
villaggio)
livia Bene,
conducete me ancora colà. (a Celasio ed amendue s’avviano
seguendo il Marchese)
conte (Che trattenendosi dice) Non occorre no,
state, e se volete, che stia ancor egli il Celasio,
stia pure su la mia parola.
livia Conducetemi
per l’uscio dell’orto. (e via per la
porta numero 28)
celasio Vi
seguo. (e via appresso la
Livia)
SCENA XVI
Conte
in piazza, e dopo poco Livia, Brigida, Giulietto, e la Petronilla con la sua
donna di sopra.
conte Ah
ch’il diavolo non poteva congegnarla peggio. Or sì che non la riveggio più, son disperato. Con prevenire Sua Altezza, che
la voglio per mia moglie farei tutto. Si faccia... E le mie donne? M’importa
più questo. (e vedendo dal balcone numero
16 la Troiana dice) Eh zitella, dite voi a Madonna, che restan
le mie dame in sua cura. Io vado da Sua Altezza, che già giunge. (e via per la strada numero 27)
livia Spiate
spiate dov’egli va. (a Brigida, e Giulietto, che subito si portano per la strada numero 27,
che va al villaggio, a spiare dietro il Conte)
petronilla (Che giunta sul balcone numero 16 dice)
Come come? Io aver cura delle sue dame? Hai preso un
granchio, Conte baggeo; a me osi tu di dire, che rest’io
per reggitrice di tue donne? Venga veda dico la tua Contessa, e mi faccia da aia,
che vedrò d’accettarla veda dico. (ed
entra)[216]
SCENA XVII
Lelio,
Livia, Olimpia, Clarice, e Celasio dalla porta numero
28, Brigida e Giulietto nel grottoso numero 24.
olimpia Fin qui si è attentato
il Marchese?
livia Tanto
a Celasio ha prescritto, ed avviato s’è incontro al
Duca.
olimpia Del Conte che poi?
livia Dopo
avermi detto quanto vi narrai altro non ne so io. I ragazzi iti
son di lui a spiare in luogo, dove osservati esser non possano. Che ne fia di noi non so.
5 clarice Ah
che di me è giunta l’ora.
olimpia Celasio
mio se’ tu così perplesso; che sperar s’ha da noi?
clarice Non
son essi i ragazzi colà in quella macchia?
livia Cerchiam di saperne.
olimpia Venite voi, ove siete?
(gridando a Giulietto e Brigida, ch’al
sentirsi chiamare vengono dov’elle sono)
10 livia Che
ne fu del Conte?
giulietto Giusto
al calar della Torruccia ha avuto incontro un mandrianetto, che iva...[217]
brigida E
che sai tu dove quelli era avviato? Portava le secchie, e l’ordigni, iva alla mandra, credo.
giulietto L’ha
il Conte assestati due ceffoni.
brigida E
che ceffoni!
15 livia Al
mandrianetto?
brigida Misericordia,
che correvagli per la faccia tanto sangue.
giulietto Dato
è giù colui con l’ordigni; egli ha montato a stento il ronzino scaricato, e più
non l’ho veduto.
brigida Correa
da disperato.
olimpia Il mentecatto, al
dirli voi Livia, ch’avviata vi sareste dal Duca, nulla curando di sole così
lasciarci a più, che pazza risoluzione s’è appigliato. Torna là, ed osserva. (a Giulietto, che dov’era si porta)
20 brigida Ed
io?
celasio Va’
a casa.
olimpia Lelio, Celasio, ben luogo daste al
riflettere; temp’è d’operare.
lelio Spasimi
puoi scorgere in me, non consiglio.
celasio Or
via Lelio vien meco.
25 clarice E
dov’il conduci?
livia No,
dicci prima, che pensi?
celasio D’uop’è, ch’al Duca io con lui incontro ne siamo.
livia E
se da coloro mal prevenuto il trovi?
clarice Ah
che palpito in sentirlo.
30 olimpia Il pensasti tu bene,
fanne di ciò sicure.
celasio Prevenganlo essi a lor talento.
Tu confermandoti per colui, che ti fai credere, dirai; né io tacerò se bisogna,
che perché tenero, anzi più geloso delle nozze di Livia qui portato ti se’ di
costei in cerca attestando la morte di Lelio, ad oggetto solo, che di colui
disperasse la Contessina Clarice, ed i suoi. Lo che
creduto oprat’ha, che la Contessina assentisse alle
nozze di Sua Altezza, agguardando sua impareggiabile sorte, e che Livia perduta
ogni speranza d’una ideata promessa fattale da Sua Altezza a te volta si sia;
esibendoti a far vera, qual la dicesti, la morte di Lelio, sempre e quando a
Sua Altezza ella aggrada. Egli con ciò a guadagnar s’ha sicuramente l’animo di
lui; né poco profitto spero, che se ne ricavi.
livia Oimè
troppo all’orlo d’una rovina l’accosti.
clarice Non
far che più senta; che già gelo.
olimpia A gran rischio lo
sponi.
35 celasio Grand’è
il rischio ancora d’un naufragante, che fragil legno
afferra, e si butta; e pur si butta per campare.
olimpia E dove sia questo fragil legno al qual s’afferri veder vorrei.
celasio Altro
non dico; fassi con ciò, e credetelo, fassi il caso di dubbio evento. Puoi sperare sentir di più?
livia Sperar
n’abbiamo, e che poi, un dubbio evento?
clarice Al
solo rimembrarlo vorrei morire.
40 celasio Un
disperato caso, che passa a farsi dubbio, in quanta parte migliora?
olimpia In menoma parte basterebbemi migliorato e ’l vedessi, e dov’è?
livia Come
passa a farsi dubbio? Come lascia d’esser disperato? Ov’è
questo?
celasio Lelio
sa i miei sensi; il più fermarne fa di scapito.
olimpia Lelio di’? Com’il
pensi?
45 lelio Penso
ch’assai più di noi discerne, ed io cieco lo sieguo.
livia Ma
perché non ha egli la morte di Lelio a confermar come disse?
celasio Perché,
d’uopo essendo, che fra poco Lelio si senta vivo, non resti egli bugiardo, e di
bugiardo sospetto.
olimpia E se a quanto e’ dice il Duca non presta fede?
celasio Volentieri
si presta fede a ciocche al genio confassi.
50 clarice E
se tra poco di lui si screde?
celasio Tra
che questo poco non passi spero, e la mia speranza s’adempia. Non temere.
clarice Ah
che, più che sento, più perduto lo veggio.
livia Fa’
almeno, che quanto tu di’ qui s’esegua.
clarice Qui
sì. Vo’, ch’il rischio, che correr deve lo veggian quest’occhi, e chiudersi possan
essi prima de’ suoi.
55 olimpia Oh, il pianto qui a che giova?
celasio S’egli
va, dubbio è ’l rischio, s’egli resta, certo dispera.
clarice Ah,
s’è così, fuggi Lelio; va’ fuggi; più greve mi si fa tuo rischio, ch’a menar
dolente abbia io il poco tempo, ch’a vivere mi rimane, va’.
celasio Oh
Dio il tempo vola.
lelio Ah
il portarmi colà fa mio rischio, al qui fermarmi dispero, il fuggire fa mia
morte; scegli tu.
60 giulietto (Ch’essendo a spiar nel grottoso numero 24 si
fa sul ponte numero 22 e dice) Padrone, tanta gente corre giù riva il fiume.
Ognun dice, ch’arriva Sua Altezza. Chi sia cotesti il sapete?
celasio Ah
che fummo tardi. Scortiamo di qui. Animo, non cambiar di viso. (a Lelio, ed amendue
s’avviano per l’arco rovinaticcio numero 21. Allo che Clarice, e Livia, al
passare di Lelio per di loro avanti danno in dirotto pianto).
clarice Uh,
uh, uh.
livia Uh,
uh, uh.
olimpia Oimè, che gli recate
disaiuto, e grande.[218]
65 celasio La
ragione ha da un lato, dall’altro ha Celasio, che non
è egli tale, qual credete. Saper ciò vi basti. (e via)
clarice Aspetta,
senti. (e s’abbandona su d’un poggio
restando mezza fuor di mente)
livia Oh
che palpito. Ve’, che costei si perde, ve’ che manco.
olimpia Clarice, sia tu di te
padrona per poco. A così quelli mirarti si scolora, il
subissi.
clarice Dov’è?
Fa’, che gli dica solo... fermalo; di’, se mi sente.
70 olimpia Non è tempo d’esser
più molle, coraggio. Ragazzo va’ tu, ed a noi rapporta subito quanto il Messere
col Cavaliere si faccia.
giulietto È
peso mio. (e via a spiar dov’era)
clarice Ah
sì, che vi sarà chi per Lelio il rassembri.
olimpia Lascia di temer ciò,
ne son ben sicura; persona non v’è ch’il sappia.
livia Ben
egli più volte me ne fe’ certa.
75 clarice Ah
ch’ha per nemico il destino. Ah ch’in braccio a
quello sen corre. Strappatemelo, tornatelo a me. (quasi delirando) Fa’ tu, che mi si dia. Dov’è? A chi più l’ho a
dire?
olimpia Ove vai? È resa già
farnetica.
livia Ragion
n’ha; e chi tal non renderassi? Io la prima. Che se
ne fa di me? Dove corro? Spingetemi pure.
olimpia Ah che perduta mi
veggio.
clarice Lasciami,
fermami, tu niente fai.
80 livia E
chi a me spinga non trovo? A chi mi volgo?
olimpia Da voi da voi v’irritate
il destino; or vi lascio a lui in preda, né farò, che
di me più si sappia. Dissiparvi la mente, or che più giova averla, che
sciocchezza! Animo; in caso estremo Lelio sarà Lelio. Io fido d’esser chi sono,
e voi perché a fidarlo non avete? La ragione, Celasio,
e non tale qual egli mostra d’essere, come udiste, Lelio, noi quante siamo,
stendersi tutti a piedi...
SCENA
XVIII
Petronilla, Don Pomponio, Arsenio, ed
Uberto su le stanze, e dopo poco Brigida sul verone numero 34 con gente di
servigio, che pongon torchi a tutti l’archi della
scalea, alle loggie, balcone, ed al verone di Celasio, e detti.
arsenio (Che dalle finestre di dentro al palagio
s’accorge della venuta del Duca, e dice) Eccoci in punto, Eccellenza, già
approda la gondola dell’Altezza Sua.
olimpia Giugne
già, cuore, stiam tutte in noi.
clarice Cuore
a chi l’ha.
livia Brigida.
(allo che Brigida cala)
5 petronilla Troiana,
presto l’odoriferi oleati. Chi dà pressura al Cavaliere?[219]
olimpia Dall’orto può andarsi suso?
brigida Può
andarsi suso, e calar giù.
olimpia E calar giù, come
meglio confacente lo stimeremo.
livia Brigida
sta’ sul verone; avvisane di quanto vedi.
10 clarice Lascia,
che vad’io. (e
s’avvia suso con Brigida, entrando nella porta numero 28 Olimpia, e Livia)
uberto Signore,
Sua Altezza arriva già, presto. (parlando
a Don Pomponio per la porta numero 14)
petronilla (Che uscendo dalla porta della stanza numero
15 dice alla Troiana) Profumami tu. L’acqua nanfa sul moccichino posta non l’hai.
Cavaliere. (parla a Don Pomponio dentro dell’altra porta numero 14) Non
vi dà veda dico di sprone un Altezza appropinquante? Cavaliere. (e cala)[220]
d. pomponio (Che uscendo dalla porta numero 14 dice
vestendosi) Respunne, vi, che rettorio
(ad Uberto).
uberto Si
pone in punto, Eccellenza, ora cala. (a
Petronilla)
15 d. pomponio Un
rettorio apierto a tutte l’ore, va’ campa.
petronilla (Che giunta all’arco numero 10 vedendo Don
Pomponio per lo balcone numero 16 dice) Come così
allentato al doveroso tributo? Oh l’enorme delitto! (e cala)
d. pomponio Che
dè, che dice, c’hà ditto?
uberto Che,
se siete lento, entrate in pena.
d. pomponio Entro
mpena? O secotorio![221]
20 uberto Spicciate.
d. pomponio Mme vuo fa i co
la pettola da fora? (e s’avvia giuso)[222]
brigida (Che vedendo Giulietto venire in fretta dall’archi
grottosi numero 24 dov’è stato a spiare dice)
Giulietto, che n’hai a dire?
giulietto Il
sere con quel Cavaliere, che testé era qui, parlano tanto tanto con quel Signor
Grande, che sta fermato ad udirli. Dillo tu entro, va’.
brigida Vien
suso tu, che conti meglio.
25 giulietto Io
ho da aspettare giuso il Messere, che dee dirmi cosa secreta. Tira il
saliscendo. (ed entra per la porta numero
38)
petronilla (Ch’udendo sotto il porticale, lo che conta il ragazzo, dice) S’è fermato a dare
udienza il Sovrano?
arsenio Tanto
disse quel valletto.
petronilla (Che dalla piazzuola s’accorge per dentro
l’arco numero 10 di Don Pomponio, ch’è nella scalea e dice) E voi come così
scomposto alla carlona? Dove si sta?
d. pomponio La
pressa, Signora, pe la gatta fece li figlie cecate; Ussoria
lo sa. (e cala)[223]
30 petronilla Non
credete, che v’abbia io a soffrire con tanta poco veda dico snellità sapete.
d. pomponio (Che giunto all’arco numero 9 dice) Co
solennità, sì Signora; sollennissimo; sta il tutto dispositato. (e cala)
arsenio Vuol
dire, ch’il tutto sta disposto; ed in fatti lo è. Tutto si fa a mio carico.
petronilla Eh
non badate a risparmio, tutto sia allummato, ed a
cera.[224]
arsenio Ecco
sì da principio (vedendosi illuminare i
torchi approntati) debbo però farne lucroso riacquisto.
35 petronilla E
questa pelucca come così mal raffazzonata? (a Don Pomponio già giunto dov’ella è)
d. pomponio Male
affezzionato, sì Signora. Lo siente?
(ad Arsenio) le cose non se fanno accossì diavolo.
arsenio Manca
nell’essenza, Signora, non nella maestranza.
d. pomponio Mo
co sso lans mans hai suputo la difficortà.[225]
petronilla Perché
voi con un solo manichino?[226]
40 d. pomponio Porzì diciamo noi chiste,
Signora; porzì porzì si dice.
petronilla Perché
un solo dich’io?
d. pomponio (Perché
ne Robrè? Lo compagno addo è?)
uberto (Il
compagno non ci fu mai; ben il sapete.)
arsenio Il
mantello. (ad Uberto che sale a prenderlo)
45 petronilla E
questo succidume sul dorso? Prendete la spazzola, la
spazzola.
d. pomponio Priesto, nge vo lo ditto? (Vi ch’ha da piglià chillo.)
arsenio (La
spazzola qui non c’è, voi non l’usate.)
d. pomponio Chesso mo nuie aute non l’usammo. Abbesogna ì all’uso de pare nuoste.
petronilla Che
le spalle il petto le braccia siano spazzate non s’usa?
50 d. pomponio Che
siano spezzate? Chiss’uso non fa pe mme patrona cara.
petronilla Il
vo’ dire, gaglioffaccio gaglioffaccio.
d. pomponio Ussoria mme vo dì,
che lo faccio; e io non me la sento; mi compatisca.
arsenio (Che voltandosi dentro verso il fiume dice)
Ecco che spunta il Sovrano. Dubito, ch’al padrone non esca di bocca qualche
scarabocchio da pregiudicarvi; badateci Madama.
petronilla Eh;
non vi spartate da me. Via pronto al baciamano. (a Don Pomponio)
SCENA XIX
Conte,
Celasio, e Lelio per la stradetta dell’arco rovinaticcio
numero 21 corteggiando il Duca d’Urbino, che viene in gondola col Marchese, e ’l Cavalier Guidetti, co’
marinari, e detti.
d. pomponio I
lo vaso addo volite. (a Petronilla) Statteme
vicino chessa mme mbroglia. Ne commo l’aggio da chiammà
pe via d’Autezza? O per via de nomme?
(ad Uberto)
uberto (Dite
sempre l’Altezza Sua.)
d. pomponio (Oh
che sbattimento de stommaco.)
uberto (Dove
questo sbigottimento?)
5 d. pomponio E
se Sua Artezza sua commo a niente dice, accedite chisso; o commo a niente dice, pigliate chessa,
ch’è peo?
petronilla Cavaliere,
l’udienza debb’esservi prima da Sua Altezza accordata.
(dopo di che calati prima i suoi cala il duca)
d. pomponio Sua
Artezza ha da esse accordata? E i che l’aggio fatto? Mmo
accomenzammo.[227]
petronilla Presto
approntate i torchi.[228]
arsenio Son
pronti i torchi, son pronti.
10 d. pomponio I
trocchi, sì Signora; quanta ne volite;
benché vene pe bia de sciummo,
non ci saranno troppo cravaccature.[229]
petronilla Prego
avanti inginocchio, sapete.
d. pomponio Commo
dico, ne?
uberto Ossequio
l’Altezza Sua, ed inchinatevi a’ piedi.
d. pomponio Dì?
Commo?
15 uberto Ossequio
l’Altezza Sua.
d. pomponio Mi
fo l’ossequio; Artezza Sua, a i dovuti piedi. (ed inginocchiandosi li bacia la mano)
marchese (Che in vedendo il Duca a sé rivolto dice) Egli è del piccol luogo il padrone, ma molto inetto.
petronilla Abbarbaglio
sempre più, Serenissimo, veda dico al riverbero de’ suoi splendori. (inchinandosi)
marchese (Ha trovato partito a
proposito, Signore, la Petronilla in costui.)
20 duca Mi
piace il sentirlo. Costei com’è qui sola?
marchese Queste dame son qui da
stamane a casa cotesto Celasio, che non ha guari Vostra
Altezza ha udito.
duca Di
molto sapiente questo vecchio fa mostra.
conte (Screditatelo,
che costui ci fu contro.) (al Marchese)
marchese Di molto presume
ancora Signore. (al Duca)
25 duca Anzi
no; più di sé ritiene che non smaltisce. (e
ponsi a passeggiare in riva del fiume)
conte (E
ch’egli è un magagnato dite.) (al
Marchese)[230]
marchese Molt’arte
l’assiste, non si dubita. (al Duca)
d. pomponio (Quanno le pozzo dì na cosa nè?)
uberto (Bisogna
ben pensarla prima di parlare, Signore.)
30 d. pomponio (Aggio
sensatissimo. Le vorria dì, ca nuje
simmo di frate, e ca a Napole
se ne nzora uno pe casa, e ca fratemo
è nzorato.)[231]
duca Cotesto
Mirandolese quant’è ch’è qui capitato?
marchese Sotto l’ora di
desinare, Altezza.
petronilla (È
in gran consiglio colui con il suo servidore.) (vedendo Don Pomponio, che in segreto parla
con Uberto)
arsenio (Farei,
ch’il Sovrano sapesse quanto fra di voi passò, Signora.)
35 duca Negar
non posso, che m’han costoro obbligato.
conte (*
Oh diavolo.)
duca Ben
la Moratti aperto al Mirandolese ha il suo cuore, e pure a fin di compiacermi
per le sue nozze mi fa inchiesta; né il vecchio, ch’è di lui parziale, ne lo sconsiglia.
marchese Star può, che spinto a
ciò star’egli sia per secondare il suo genio,
Signore.
duca Sia
come si voglia. Io mi compiaccio di ciocché al mio
piacere fa spiano. V’è di più, che impegnò la sua testa a darmi in mano un rubelle. Ogni cosa da sé sola non è poca.
40 conte (*
Ah crepacuore.)
petronilla Ma
fermarsi Altezza ad un’aria poco indulgente non mi assembra.
duca No,
non mi nuoce.
d. pomponio (Chella ha parlato, i pozzo parlà.)
uberto (Offerir da sedere sol potreste, ma al Marchese, al Marchese.)
45 duca Celasio,
avete poco girato, o molto?
celasio Molto
dir non posso, poco nemmeno, Signore.
d. pomponio Che
Marchese? Vuò fa assettà lo Marchese, e chillo a la lerta? Moccamennuno.[232]
duca E
voi Cavaliere? (a Lelio)
lelio Io
sì che poco dir posso, e non altro.
50 duca Quanto
di paese, Celasio, abbracciò il vostro giro?
celasio Veduto
Signore non poco della Francia pervenni a Cales, dove
m’imbarcai per passare in Inghilterra. Vidi Londra, e rimbarcato sul Tamigi
approdai a Lisbona. Di là vedute alcune città di quel regno passai per l’Estremadura nella Spagna; e non senza diletto e meraviglia
consumati più mesi nello scorrere la vecchia, e nuova Castiglia, finalmente
traversando l’Aragonese, portaimi nel contado di
Barcellona; donde desio mi prese di vedere l’Italia tutta, e vedutala mi ci
fermai.
duca E
donde il viaggio intraprendeste?
celasio Dalla
Fiandra, Signore.
duca Fiamingo
forse voi siete?
55 celasio Serenissimo
sì.
duca Udiste
Marchese?
marchese Diletto apporta il
ricordo del naufragio a chi gode sicuro porto, Signore.
conte (Farommi ardito nell’inchiesta della Livia.)
marchese (Prende di voi mal
concetto, che fate?)
60 conte (Mal
concetto di chi agevola il suo intento?)
duca Ma
una giornata di tanto vostro onore buona pezza sarà, che non vantaste, Celasio; d’essere ospite di Dame di simil fatta?
celasio L’onore,
che Vostra Altezza mi diffonde, oscura ognun altro.
conte (*
Che tanto consiglio.) Serenissimo perché bado al totale sgombero della Real
mente di Vostra Altezza sapendo che qui si trova la Livia
Moratti disporrei...
duca Che
fosse di cotesto Mirandolese? Bene, me n’appago. Cavaliere, io di vostra inchiesta
mi compiaccio; resti a voi conceduto quanto intorno alla Livia bramate, siete contento?
65 lelio Sarei
contentissimo allorché tanto adempiuto veder potessi.
duca Che?
Né temete? Ne resti impegnata la mia parola; si faccia della
Livia il vostro volere. Conte, anche il fo per piacervi.
lelio Al
ricever di tanto, altro non potrò darvi, ch’a piedi un nemico, Signore.
marchese (Oh restate in fine
sgannato.) (al Conte)
celasio Ben
diceste. (a Lelio)
70 conte (*Ah
spasimo.)
duca Queste
Dame è tempo ormai di vedersi.
marchese Tarderanno, per non
essere ancora all’ordine, Signore.
duca Desio,
che lo sian tosto.
arsenio Io
non aspetterei miglior tempo. (a
Petronilla, con chi anticipatamente ha conferito)
75 petronilla Serenissimo,
si degni ascoltarmi.
uberto (Non
so che gli spone, ditevi il fatto vostro.) (a
Don Pomponio)
petronilla Questo
Cavaliere padron del luogo mi costrinse...
d. pomponio (Che molto confuso si prostra avanti il Duca,
e dice) A Napole Artezza Sua chi ha chiù de no
frate, e tanto chiù quanno...
duca Il faccian pure l’ho caro.
80 marchese Resti a voi accordato lo che chiedere, Sua Altezza il consente. (a Don Pomponio)
petronilla Bacio
la liberalissima mano, né mi convien di ripugnare. Concedete, Marchese, ch’egli
ancora lo ringrazi.
marchese Ringratiatelo
pure.
d. pomponio Ringraziarò pure; Artezza Sua,
ringraziandolo pe sempre. (e di nuovo li bacia la mano)
petronilla A
famare la gioia per la venuta di Vostra Altezza qui sono ad improvvisare due
pastorelle, all’uso delle stanze del Pulci per la sua Beca,
se l’Altezza Sua il consente.[233]
85 duca Mi
piace.
SCENA XX
Eurilla, e Dorinda pastorelle accompagnate da Villani, che
suonano, e detti.
arsenio Rallegromi tanto Signora. (a Petronilla)
ubaldo Di
che l’avete ringraziato?
d. pomponio (E
ì che faccio?)
duca Conte
Orsucci potranno essere anche spettatrici le dame;
anzi il voglio.
5 conte Favor
singolare, Signore.
ubaldo (Siete
dato col cul sul lastrone.)
d. pomponio (Addò
so dato de tafanario?)[234]
ubaldo (Su
le bracie, e con i ringraziamenti di più.)
conte Io
poi fido tutto a voi, ch’abbiate a rendere Sua Altezza sgannata. La Livia la vo’ per me.[235]
10 marchese (Io poi credea, che diceste di renderla sgannata in altro, che ce
n’è di bisogno; e che badaste al vostro onore, di cui non veggio venirsi a capo.)
petronilla Ed
a me i dovuti offici quando da voi l’estrarrò? (a Don Pomponio)
d. pomponio (Orsù
covernate, i mme ne fujo.) (ad Uberto)[236]
uberto (Volete
vedervi troncar la testa?)
marchese (* Ah che irrisoluto mi
veggio)
15 duca Per
dar luogo sarà meglio irne suso, dove in punto
attenderò le dame.
marchese Concede l’Altezza
Vostra che colà ancora possa esser la Livia col suo sposo?
duca Sì
che venga.
marchese Cavaliere, Sua Altezza
vi fa l’onore, che suso siate con vostra moglie; che seco ancora porterà
coteste dame. Conte, badate a cioccè vi conviene. I
torchi; Cavalier Guidetti, D. pomponio, avanti tutti.
conte (Mi
confondo.)
20 petronilla (Con
leggiadria; abbiate in mente, che sposo siete dell’avvenentezza.)
(a Don Pomponio avviandosi tutti
corteggiando il Duca Don Pomponio e ’l Cavalier
Guidetti con in mano torchi accesi infin suso le stanze. Sonatori con pastorelle,
che s’accingono)[237]
lelio Ah
ch’il Marchese ben mi spinge ad essere in pezzi ridotto.
celasio Ribagna
di prudenza il pensiero. La fortuna, ch’altro non è che del Datore la
provvidenza, già n’ha fondato base a tuo pro.[238]
lelio In
tanto che fo io?
celasio In
quanto a far ti si para fa’, che prevenuto tu sia d’avvedimento, e poi fa’
pure.
25 lelio Ad
avere un tal avvedimento sta il caso.
celasio In
te lo cerca, e ’l trovi. Io non ti lascio; facciam
costoro intese. (ed entrano per la porta
numero 28. Dopo di ciò il Duca si fa in balcone numero 16 con a sé vicino il
Guidetti, e ’l Marchese col quale di quando in quando parla; e le pastorelle
inchinandosi incominciano ad improvvisare. Conte fuor della loggia numero 18, Petronilla
con Troiana fuor della loggia numero 20, Don Pomponio all’arco numero 10
guardando il Duca al balcone. Arsenio all’arco numero 9, Uberto sotto il
porticale, Brigida sul verone numero 34, e le guardie a vista)
dorinda (Canta) Eurilla donde avvien, ch’oltre l’usato
belli
ha i suoi raggi in questo giorno il sole,
e ’l prato appar
novellamente ornato
de’
ligustri, di gigli, e di viole?[239]
eurilla (Canta) Dorinda
anch’io con meraviglia guato,
che fa la gregge
mia ciocchè non suole,
al rio non corre, e poco addenta il
prato,
e solo è intenta a salti, e cavriole.
marchese (Che portandosi della loggia numero 18 dov’è il Conte dice frattanto che
l’istrumenti suonano) Il Duca insiste, che le dame vengan
suso. Costoro ben da lungi ne saranno, ed io ne le
vanto. Voi che risolvete?
30 conte Io
ho cosa pure, che mi travaglia; di questo non ho il peso. (allo che il Marchese entra)
dorinda (Canta) Il
rio vicin, che già correa sì cheto,
ora
agli augei col mormorar fa scorno,
e vist’ho
lungo il rio d’ogni roveto,
spuntar rose novelle intorno intorno.
eurilla (Canta) Spuntar
teneri germi il pin, l’abeto,
vist’ho
nel bosco anch’io col faggio, e l’orno,
e
stupida esclamando «o giorno lieto»,
un apica
ha ridetto «o lieto giorno».
marchese (Che ritornando fuori dov’è il Conte dice) Badate, che sarann’elle costrette a venire con poco merito. Fate voi
argine con un giusto zelo; io me ne spoglio. Tocca più a voi, che ad ogn’altro.
(seguitando a parlare in segreto col
Conte dove si trova e la Petronilla si fa a parlar col Duca)
dorinda (Canta) Del
gaudio, che la terra, e ’l ciel risente,
apprendi
Eurilla tu l’alta cagione?
Ben
io l’apprendo, e forse è qui presente,
or
vedrem se l’accerti al paragone.
35 eurilla (Canta) Ponendo
al tuo parlar Dorinda mente,
già già il
mio cuore alla cagion s’appone.
Eccola
è ’l nostro Prence, e riverente,
prego il Ciel sempre a noi tal
grazia done.
petronilla (Che per ordine avuto dal Duca scorre le
stanze, e dice) Il Marchese Sua Altezza lo cerca. (e fattasi alla soglia della porta numero 12 dice a Don Pomponio)
Chiamate voi. Oh il poco corteggiano!
d. pomponio Marchese,
Marchese, chiammate Marchese. (ad Arsenio)
arsenio (Che salendo dice) Signor Marchese.
marchese Eccomi, eccomi.
40 dorinda (Canta) Sì
sì preghiamo il Ciel, che gli anni nostri
moltiplicati
aggiunga a gli anni suoi,
ch’alma
più degna di corone, e d’ostri,
non
vide il Sol, né mai vedrà dappoi.
eurilla (Canta) O
popoli soggetti i voti vostri,
venite
qui concordi a unir con noi,
e
l’uno all’altro il suo gran Prence mostri,
dicendo
o fior de’ Regi, e degli Eroi.
marchese Son le dame rattenute,
immagino, al venire, non vedendo chi de’ loro le vada di lì a levar con decoro;
che di questo molto gelose si vivono. (al
Duca, trattanto suonasi)
dorinda (Canta) Per
compimento al fin de’ nostri voti,
che sian
dal Ciel benignamente ammessi.
eurilla (Canta) Signor, veggiam te
sposo, e a segni noti
veggiam
tuoi pregi ne’ tuoi figli espressi.
45 dorinda Vieni o santo Imeneo, vieni, e beata
eurilla a
due fa
l’alma donna, ch’a tal grazia nacque.
dorinda
eurilla O donna sopra tutte avventurata,
dorinda a
due che
dir potrà, ch’a sì gran Prence piacque.
marchese Ecco di là il Celasio.
duca (Che dopo aver parlato in segreto al Marchese
dice) Richiedete di ciò il Celasio.
SCENA XXI
Celasio, Giulietto, e detti.
celasio (Appiattati
dove t’ho detto, ed a cacciar il fazzoletto di tasca grida.) (additandoli la buca della sommità del
grottoso numero 25)
giulietto
(Farò appuntino.) (e si porta colà non
veduto)
marchese Che delle dame recate,
Celasio?
celasio Elle
dicono di fermarsi qui, dove prima d’attendere i supremi ordini dell’Altezza
Sua non son per curarsi d’altro. (ed
entra per la porta numero 28)
5 duca Le
riterrà lo che voi diceste, Marchese. Or via farò io
più decoroso cotesto accompagnamento intervenendoci. Andiamo, prevenitele.
marchese I torchi.
petronilla I
torchi.
d. pomponio I
trocchi.
marchese Conte, udiste? Sua
Altezza colà si porta, regolatevi. (allo
che udire il Conte s’avvia giuso) Già colà va il Conte Orsucci,
può risparmiarsi Sua Altezza l’incomodo.
10 duca No,
mi piace il farlo.
conte (Che andando giù per mano con Don Pomponio
dice) Don Pomponio, se mi volete per ischiavo, di
voi è in possa.
d. pomponio Che
boglio potè? Sì Conte mio,
se mme vuò pe sette panella, mo sta. (e ciò dice veduto dall’arco numero 9)
marchese I torchi, i torchi, Sua Altezza cala. (ed avviasi giuso
il Duca col suo seguito, e con torchi avanti)
SCENA XXII
Celasio, e Lelio dalla porta numero 28.
celasio Non
temete. Scoppi la mina, e scoppi ove si voglia. (parlando dentro la porta numero 28)
conte (Che giunto con Don Pomponio alla piazzuola
dice mentre il Duca è per le scale) Impegnate la Petronilla già vostra
sposa a far, che la Livia sia mia, e poi da me cercate,
ed avrete.
d. pomponio Conte
bello, chisso è lo piacere;
levame ssa janara de
vicino, e pigliate tutte le robbe meje.[240]
conte Eh
ch’avete il capo sventato. Costei fa il vostro buon giorno, il buon anno.
5 d. pomponio Chisso buon anno sia d’Ussoria; i
mme contento de mille malanne
perpetue, Conte bello core.
conte Eh lo scioccaccio
che siete. (dopo di che essendo il Duca
giunto nella piazzuola, Celasio caccia di tasca il
fazzoletto per suo uso, allo che si sente)
giulietto (Che di dentro la buca mumero
25 gridando dice) Lelio Brighi, guardatevi. Gente armata corre al piano;
salvate il Duca, salvatelo. (allo che
udire il Duca turbandosi resta sospeso, e così tutti)
marchese (Che
risoluto dice) Lelio Brighi! Si ritiri suso Sua Altezza, né dubiti. Passerò
io il cuore a questo indegno rubelle. Orsucci, Napoletano, quanti siete, mi segua chi è fedele al
sovrano.
celasio Si
guardino i ponti.
10 marchese Si guardin pure.
Guidetti, date gli ordini. Vostro sia il più necessario governo. (allo che Guidetti disponendo le guardie ne’
luoghi additatili da Arsenio, resta egli lontano a vista del Duca, mentre il
Marchese avviasi col Conte, Don Pomponio, Uberto, e co’ villani per la strada numero 27, e sale per il grottoso
numero 24)
lelio Son
qui per attendere, allo che giurai. Altezza caderavvi
a piedi il Brighi vinto, o che sia io passato da mille spade.
celasio Pegno
rest’io sotto la stessa pena, Signore.
duca Di voi mi fido.
lelio (Che vedendosi restato solo col Celasio avanti il Duca se gli butta col medesimo a’ piedi, e dice) È pur sicura l’Altezza Vostra, ecco
adempio quanto giurai. Lelio Brighi son io, a piedi vi cado; né il qui mirarmi
con voi a solo altro mi suggerisce ch’il pregarvi, Signore, che di me giusta
vendetta facciate. Sol che a voi prima, quale a gran signore che siete,
partiene concedermi lo che chiedo, perché il
giuraste. A Livia Moratti l’onor che restauriate io
vi cerco, e poi, che resti ella sacrificata al vostro piacere, io pure son che vel chiedo, ella per me vel
consente.
SCENA XXIII
Livia
dalla porta numero 28, Clarice, che cala dalla scaletta di Celasio,
a chi sossiegue Olimpia dalla porta numero 28, e
tutte e tre prostransi avanti il Duca l’una dopo
l’altra.
livia Sì
che ’l consento, te ne scongiuro, il voglio. Fa’, ch’io ti spiri avanti, che lo
merito, ma che spiri senza lo sfregio d’una eterna vergogna; e fallo, che per
gran dono l’accetto.
lelio Morto
io, perché mi si debbe; morta costei, perché prego ven porge. Che sia di Vostra Altezza Clarice io son, che vel chiedo ancora, ma lo sia come ad una Clarice conviensi. E ciò faccendo stimate
pure, che con l’adempimento di vostre promesse s’accoppia quello de’ nostri
voti.
clarice Ma
non de’ miei. Ah non creder, Signore, che cuore in me sia da mirarvi a me
accanto bagnato del sangue d’un innocente; e che la morte d’uno sposo a me da
voi confermato possa servirmi di scalino a grandezze.
olimpia Olimpia vi raccorda,
Signore, che da grand’avi della Rovere discendete. Quanto a far vi risolvete
resti da Vostra Altezza scombero da passioni
esaminato; e poi, se a voi piace, si faccia; ch’io la prima il commendo.
5 celasio Sol
io umilmente vi prego, Signore; il nome de’ grandi, quale a’
posteri e’ ne giunge tal per
tutti i secoli accettato ne resta. Vel raccorda una
mente, se lieve di senno, carca d’anni, e d’esperienza, perché allevata tra le
corti, e non tra boschi, qual Vostra Altezza la crede. Ascoltate, Signore, non
chi forse stimate, ma Partenio Rodi, che non v’inganna. Né per quanto...
duca Partenio
Rodi! Tu forse il Rodi del Brabante?
celasio Quelli,
e non altri al sicuro.
duca Avesti
figli tu, avesti fratelli?
celasio Un
fratello, e fu Pompeo; un sol figlio, e Virginio chiamossi;
ch’amendue sacrificati ad un punto d’onore ne restaro. Punto d’onore ancora fe’,
che tagliare a pezzi si facesse la Duchessa Ramigni di Virginio moglie. Punto
d’onore fa, che Livia a’ tuoi piedi lacrimevole si
giaccia. Punto d’onore generò il delitto di Lelio, e non altro. Or se tanto può
onore in cuor de’ suggetti, qual mai trono alzerà
nell’animo de’ sovrani? Signore...
10 duca Sì
ch’il savio Partenio se’ tu, ben discerno. Alzatevi, e tu ancora. (a Lelio, allo che tutti levansi)
Su via; cominci in me a regnar virtute da tiranni
passioni ingombrata. Parola, che data sia, s’il
suddito costringe, non isciolga me ancora. E tal
parola, Livia, Duchessa d’Urbino ti faccia. Lelio, non sol perdono il tuo
ardire, ma questo stesso voglio, che degno del nome d’onorato vassallo ti faccia.
Resti di te Clarice, qual ella lo era; ed a te ancora da oggi la custodia di
noi commessa ne resti.
livia Mio
Sovrano di mio in me non trovi che bassezza; ed a questa dà vanto l’essere tapeto de’ tuoi piedi. Quanto di grande or mi dai, essendo
tuo, tu ne disponi.
olimpia E chi rattener si
potrà di baciar una mano degna di mille scettri?
clarice O
gloria de’ vostri, o felicità de’ vassalli, chi spiegherà lo
che meritate?
lelio Signore,
la vita, che per grazia Vostra Altezza mi dona, gravarla, dirò così, di vanti, premj, onori, fia lo stesso, che
togliermela sotto un incarco, troppo per me
eccedente.
15 celasio A
me, che dire a tuoi piedi si dovea più d’ogn’altro,
le lagrime impedito l’hanno, Signore. Pure...
duca Partenio,
tu molto mi dasti; godo, che molto ancora render ti poss’io. Virginio tuo figlio io ti rendo.
celasio Virginio!
Virginio che? Egli è morto, o non fia?
duca O; ben io dal furore del Duca di
Brabante il salvai.
SCENA XXIV
Marchese,
che scende dall’archi grottosi numero 24 con
Giulietto condotto da un villano, ed in comparire se gli fa incontro il
Guidetti, a chi dà ordini in secreto, e questi calando per li
scaglioni, che portano al villaggio numero 38, entra nella corte del palagio
della porta di dietro con le guardie, che si suppongono da lui richiamate, ed
intanto il Duca, non accorgendosene, seguita a parlare.
duca Mia sorella, che fra giorni a
quel Principe suo figlio va sposa, ella da Virginio colà condotta ne venga, e
seco resti per suo maggiordomo, ed ivi ogn’intacco de’ suoi come bugiardo
dichiarato, restituito sarà al possesso de’ primi onori, e de’ suoi averi; e
s’egli nella Duchessa Ramigni perdé l’esempio del Decoro, nella Contessa
Olimpia riacquisti l’idea della saviezza. Sol, che tu non mi lasci, io ti
prego, meco venendo per primo ministro della mia corte.
olimpia (* Ah
Rinaldo, e ti lascio!)
duca Chi
di voi stima, che per sé far più poss’io mel dica, e ’l farò.
guidetti (Con le guardie da più bande escono, ed
impugnano l’armi così contro Lelio, come contro il Celasio,
allor che il Marchese restando non veduto sin tanto ch’il Guidetti
eseguisca gli ordini da lui datili, all’uscir di quella impugna anche egli la
spada contro i già detti, e dice) Signore, siete in mezzo de’ traditori.
Lelio è quelli, questi congiurato v’ha contro. Tutto accertai da questo
garzone. Concedete al mio zelo, che lor salti la testa per queste mani.
5 brigida Ah
nonno, nonno mio. (stringendosi al Celasio, e dal Marchese vien presa per un braccio, e spinta
a terra)
duca Che
fai? È tuo padre, è tua figlia.
olimpia (*
Oh Dio, che disponi!)
celasio Questi
è ’l mio figlio! Ah tanto di vita vogl’io, finché lo
stringa. (abbracciandoselo, e nel tempo
stesso Brigida levata di terra da Lelio si stringe ancora al padre)
marchese Mio padre! Mia figlia!
10 duca E
padre tale, ch’a far ch’invidia non mi rechi, meco il voglio, perché il frutto
a corte n’abbia io del mio buon vivere. Basta sentire, che per lui io son
altri; Livia è Duchessa d’Urbino, e per tale ognun la conosca.
clarice Io
la prima. (e s’inchina baciando a Livia
la mano)
olimpia Mia Sovrana. (e fa lo stesso)
duca Lelio
è mio parziale. (allo che Lelio buttasi a piè del Duca baciandoli la mano) e dalla
Contessa già vostra udirete più a minuto.
marchese Padre! Figlia! È pur
vero?
15 duca Né
men cara ti sia la sposa. (al Marchese)
Accettatelo, Contessa; ed hai a credere ch’a tuoi avanzi ci giungo questo molto
uniforme.
marchese (Che essendosi prima prostrato avanti la Livia,
rilevatosi si volta alla Contessa, e dice) Contessa, sai tu il cuor mio,
non dico altro. (baciandole la mano)
olimpia Né creder posso, ch’a
te io palese non sia. (fra lo che
Brigida, e ’l Celasio baciano la mano alla Livia)
livia Partenio,
io non più Livia, né voi sol quel Partenio.
celasio Serenissima,
vanto che più che fui, non fido d’essere.
20 duca Lelio,
voi dal vostro bene lontano? Nol voglio. Prendetelo.
lelio Signore,
ogni mio dire fa alla vostra grandezza discapito. Taccio.
duca Né amor
d’una tanta costanza veduto avrà mai il mondo.
lelio (Che prostrato anch’egli avanti la Livia dice) Serenissima, ben sa Vostra Altezza che
Lelio l’esser Lelio lo deve alla vostra grandezza. Ben sa...
livia Ben
so chi sia Lelio, e chi io esser mi debba.
25 marchese Padre... Serenissimo
contentatevi ch’io dica, come padre qui esiliato ti trovi? Perché di me
dimentico? Com’io da te lungi, e da te cara figlia, perché?
duca Un
uom tale in un angolo di valle sepolto! Perché? Dee per norma sapersi, sediamo.
(sedendo il Duca, e la Livia al poggio a
piè dell’albero grande, su del quale vien disteso un tapeto
preso dalla gondola, e dopo a cenni della Livia
seggono ancora Olimpia, e Clarice in altri poggi.)
celasio Io
di te dimentico? No figlio, nol pensare; che se ben
morto con Pompeo tuo zio ognun mi ti fe’ credere, non
passò notte, non ora, che su la tua rimembranza non ismungessi
gli occhi miei. Amaro era il pianto, nol niego; al
sentirne la cagione, che di fellonia ne correa, se ben non la credessi.
duca Pompeo
Rodi fellone? No, tal non fu mai. Ben ei rese la piazza di Malines
al Conte d’Olanda suo inimico; ma sol perché intercettato il soccorso da suoi
emuli gli venne; che poi scoverti ne pagarono il fio.
marchese Allor fu Signore, ch’io
caricato d’un tanto sfregio a’ piedi mi stesi un di loro, e da chi mi volle salvo la morte del mio nemico
non men che la mia divolgossi; ma ben mia vita
migliorai, e mia sorte sotto d’un tanto Principe, che sconosciuto volle ’l
servissi; sol perché disegnava i miei riacquisti, i miei avanzi, di cui non
meritando mi fe’ dono.
30 duca Ben
da me gli si fe’ noto; né di voi Partenio fui affatto
ignaro.
marchese Udir in un tempo Sua
Altezza da me si compiacque, che necessitato da non piccol
male vi portaste dal Brabante...
duca In Monpelier, dove spendeste ben quattr’anni alla cura.
marchese Sa Sua Altezza poi,
che di ritorno essendo per vostra casa la dura notizia vi giunse della morte della mia madre, di cui soffrir non potendo voi la perdita,
a me tutto rifiutando, perché all’età venuto, intraprendeste il giro d’Europa;
e dopo più anni in Vinegia al fin capitaste, dove da’ nostri attenenti bene accolto nel governo di Pola sul
mare Adriatico foste impiegato...
duca E
di là moglie gli daste, il so.
35 marchese Né più di voi poi sepp’io.
celasio Ivi
Signore pago d’avere avuto già un parto dalla Duchessa Ramigni data a mio
figlio, più non eran, che nove mesi scorsi, ecco
giunge un giorno per me fatale, che la notizia m’apporta della morte di mio
fratello Pompeo, e quella di te, mio Virginio, incolpati di tradimento, e con
essa l’infamia della mia casa, la confiscazion d’ogni
avere, la precipitosa fuga della misera mia nuora su di sfornita galeotta con
questa ragazza al petto, né da altri assistita, che da una vecchia di casa, ed
un servidore. E mentre non so, se più dedito a
piangere tante perdite fatte, o a sovvenire l’imminente naufragio del piccolo
mio avanzo, ecco m’arriva un battello d’una galea della Repubblica, ed a me
quel comandante la notizia ne dava, che dopo data caccia ad una fusta di
tripolini fatta schiava l’avea, incaricandomi che
dato avessi ricapito a pochi riscattati, come altresì conveniente sepoltura ad
una donna di conto, che ripugnante all’inique voglie del barbaro corsaro uccisa
stata n’era. Appena alzo gli occhi dalla scritta, e distesa mi veggio a terra la mia nuora con un colpo di scimitarra sul viso, questa
bambina palpitante su le braccia della da me conosciuta vecchia, e ’l servidore ferito. Qual antro, quale speco sceglier m’avrei
dovuto, Signore, per non vedere più mondo?
livia O
giorno da rigistrarsi.
marchese (* E qual mescolanza di
contrari affetti.)
duca Un
cuor, com’il tuo, soffrir poté tanto. Qui poi chi ti sovvenne?
40 celasio Appreso
avendo in Francia poco dell’arte di dotto artefice qui l’impiegai a curare la
gente del contorno; da chi risanando presi sol tanto, ch’a vivere mi bastasse.
duca Marchese,
non può farsi ammeno di qui restar questa notte.
Disponete un qualunque sia recapito.
marchese Tutto il disagio sarà
dell’Altezza Vostra niente avvezza...
duca Non
avezzo? V’ingannate. Pena sento di voi, sposa, come
di queste dame.
livia E
qual disagio non rimarrà dal contento assorbito?
45 olimpia Signore, non occorrono
più riprove della vostra bontà. Basti dire, ch’ella non ha pari.
SCENA XXV
Conte
dal portico numero 3, non accorgendosi di Livia, che sta accanto al Duca.
conte Serenissimo, non men che
quarant’armati ho fatt’io di mio seguito. Ah la mia
disgrazia ha fatto, che cotesto malfattore non si sia incontrato al mio valico.
marchese Conte, tacete; le cose son d’altra faccia.
conte Il mio nuovo merito, l’ostacolo
tolto, posson fare, che la Livia da me si cerchi.
marchese Cercatela, ed inchinatevi.
5 conte Vi
par dunque a proposito?
marchese Or sì più che mai.
Badate ch’è stata riconosciuta.
conte Per
mia moglie perdio?
marchese Per Duchessa d’Urbino
direte un po’ meglio. Non v’è cosa, che sia qual era in un dire.
SCENA ULTIMA
Don
Pomponio dalli scaglioni, che portano al villaggio numero 38, con Uberto, e
tutti.
uberto Esponete
il vostro servigio, e poi...
d. pomponio Artezza
Sua io ho fatto il servizio; è mmattuto lui dove
poteva mmattere. Cca sulo io, e tutto sto puopolo ce facimmo accidere pe una sghizza di Artezza Sua, e nge ne
voglio un pataffio di fedelissimo.[241]
olimpia Il senta per poco
Vostra Altezza, ch’è da prezzarsi nel suo genere.
petronilla (Eh
via che vi confondete.) (a Don Pomponio)
5 livia Il
senta, è d’apprezzarsi. (al Duca)
petronilla Serenissimo,
il zelo del mio sposo ella agguardi, che per
l’eloquenza mi dia tempo.
duca L’uno
a l’altra si dà luogo. Come del villaggio padron si trova?
celasio L’ebbe
in retaggio da un fratello di sua madre, che vantò la sorte di sfuggire dalla
cattività d’Algieri con buon bottino, e comprollo.
d. pomponio Perché
ho fatto il servizio pozzo cercà grazia, Sì Marchese?
10 marchese Qual è l’inchiesta?
d. pomponio Vorrìa sapè, se
l’Altezza Sua ponno guastà matrimonie.
marchese Tenetevi ben contento
del fatto.
uberto Non
c’è rimedio. Arsenio colpa a tutto.
d. pomponio Orsù
tutto a monte; lo chiappo mio co le stentine soje. Via Maddamma mia, se mme vuò cotico affocame
chisso, e se nò, a revederce.[242]
15 uberto Madama,
l’Arsenio ha ridotto il padrone al verde, l’ha finito.
petronilla Sì
che molto dee pressarmi. Altezza Serenissima, il povero mio sposo son
tant’anni, che ha accanto chi s’ha fugate tutte le sue, veda dico, sostanze.
Giustizia, non grazia chieggio.
duca Cominci
di qui il vostro carico, Partenio.
celasio Troppo
m’è noto. Tal giustizia l’assiste, che può farsi all’impiedi.
Non poca grazia li farà Vostra Altezza di mandarlo via esente da pena, e che il
tutto resti a casa di chi l’estrasse.
duca Tanto
si faccia.
20 arsenio Ah
misero me. (e parte in fretta)
uberto Accettate
assai del vostro col non farvi più vedere.
duca Ritirianci
alle stanze. Venite, sposa.
livia Come
serva vi seguirò, e così sempre. Venite. (a
Clarice, ed Olimpia, avviandosi il Duca, e la Livia per mano verso suso con tutto
il seguito.)
lelio Quant’è
che taci, vita mia, e perché?
25 clarice Gli
occhi, che finito han di piangere, sol teco a parlar se ne stanno, Lelio mio. (seguendo il Duca)
marchese Padre, sposa, figlia,
a chi mi volgo?
celasio Figlio,
ho di nuovo a vedermi di te privo fra poco; dammi di te buona parte.
olimpia È dovere, ch’ora, e
sempre la miglior parte n’abbiate; che così a me fia
più caro. (e verso suso ancor essi)
giulietto Di
me che se ne fa?
30 brigida Vieni,
vieni tu ancora.
conte Che
mi trov’io dall’aver sciolto la briglia a’ miei appetiti? Digiuno di tutto, senz’aver da chi sperare
un briciolo almeno di buona ciera. Mondo briccone. (e via)
d. pomponio Orsù
Maddamma mia, cuorve co cuorve non s’hanno da caccià l’uocchie. Io sò no poco mperfetto, ma Ussoria è mperfettella; facimmo de manera, che da lo primmo juorno non nge avessemo da stregne care care, e jettà into a sto sciummo.[243]
petronilla Al
vostro suono, veda dico, ballerò io. (e
via)
d. pomponio Sempe che facimmo,
ch’Uscia abballa, e i te sono, vedo dico, va
bellissimo.[244]
35 uberto Padrone,
per me conto nuovo, vi prego. Se liberar non vi potei dall’una, vi liberai
dall’altro.
d. pomponio Ah
ca non saccio quà è meglio
se la cassia tratta, o la spina ponteca. Ne? Quanta chiante nge so a lo ciardino de limmongiello piccolo?[245]
uberto Se
non due, una è sicura.
d. pomponio E
che buò una? Miettencenne
un brassecale, ca chesso nge vo mo, e non nge vò auto. Va tu, e di a tutte
bona notte, ca io no lo
pozzo di cchiù, va. Bona notta, vedo dico.[246]
Fine
dell’atto terzo.
Commento
Per
la spiegazione delle espressioni napoletane di Don Pomponio e dei termini più
desueti sono stati strumenti utili [F. Galiani]
Vocabolario delle parole del dialetto
napoletano, che più si scostano dal dialetto toscano con alcune
ricerche etimologiche sulle medesime degli Accademici Filopatridi.
Opera postuma supplita, ed accresciuta notabilmente, 2 tomi,
Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, 1789; R.
D’Ambra, Vocabolario
napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, Napoli, a spese
dell’autore, 1873; R. Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, Torino, Paravia, 1887 (rist. Napoli, Berisio, 1966); C. Battisti-G. Alessio, Dizionario Etimologico Italiano, 5
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(nonché il Vocabolario Treccani della
lingua italiana e le edizioni reperibili online del Vocabolario della Crusca); E.
Malato, Vocabolarietto napoletano,
Napoli, E.S.I., 1965; G. Rohlfs, Grammatica
storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino.
Einaudi, 1966-1969 (I ed., 1949-1954), vol I - Fonetica (1966); vol. II - Morfologia (1968); vol. III - Sintassi e formazione delle parole
(1969).; G. L. Beccaria, Spagnolo e Spagnoli in Italia. Riflessi
ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino,
Giappichelli, 1968; M. Cortelazzo-P. Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli,
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di comedie ed opere bellissime copiate da mé Antonino Passanti detto Oratio
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di Helen Watanabe-O’ Kelly e Adam Morton,
in corso di stampa presso Routledge.
[1] raggricchi:
rannicchi.
[2] sdossar: alleggerire.
[3] pianelle: scarpe comode di casa;
voce tuttora viva nel napoletano; l’ultima battuta di Celasio,
solo in scena, dà conto del suo ruolo sotto mentite spoglie e della vera
identità di Brigida, iscrivendo l’intera commedia nell’arco di un’agnizione di
cui il pubblico è fatto da subito consapevole.
[4] Uom da ben: gentiluomo.
[5] secchia: secchio (dal lat. situla; la forma al femminile si
riferiva anche a un’unità di misura).
[6] impalmare: prendere in moglie. Tutta la scena ricalca assai da vicino
le ‘sortite’ degli spettacoli dell’Arte; Liveri interviene nell’imprimere al
tutto un andamento dialogico, da cui risulti la centralità di Partenio/Celasio.
[7] I.5.1-3 e 39 Primo dei dichiarati inserti musicali (e cfr.
anche I.35.2). Si è visto (cfr.Introduzione) che l’educazione
musicale degli attori liveriani non è dato
occasionale; al momento non è dato sapere se e dove si conservino partiture.
Anche quest’incontro dei due protagonisti vittime del potere riconduce a tanta
drammaturgia secentesca, tuttora viva tra l’altro nelle formule retoriche di
Livia e Lelio. Di nuovo, a una struttura paratattica Liveri sostituisce un
alternarsi di voci.
[8] Vello: vedilo.
[9] isbruchi: pulisci portando via le foglie.
[10] I.8.16-29 Il racconto di Lelio, oltre a chiarire il nesso tra
le sue vicende e quelle di Livia, adombrando la comune responsabilità nel nuovo
reggente di Urbino, lascia affiorare il personaggio di Clarice, nonché offre a Celasio l’opportunità di sottolineare gli opportuni
comportamenti nei confronti del sovrano, secondo un cerimoniale in cui si
inscrive anche questo teatro.
[11] Rubretto: qui
e altrove il napoletano di Don Pomponio utilizza forme metatetiche (Rubretto per Ruberto, Uberto).
[12] Chisso? Chisso
dorme ancora; scetalo da lloco: questo dorme ancora; sveglialo di lì.
[13] Chiamma da ssa loggia, da sso barcone, au che fremma: chiama da questa loggia, da questo balcone; ah, che flemma.
[14] E manco;
qua panteco ll’è afferrato: Niente; quale spavento o dolore improvviso l’ha colto (panteco sarebbe
forma apocopata di pantecore).
[15] Chisto addò s’hà rutto il cuollo?: Questo dove si è rotto il collo? (Pensando sempre a Uberto,
ma con probabile riferimento al tono di voce sommesso di Arsenio).
[16] Ma se Ussignoria sì Arzenico veda lei,
he ntiso mo? Rubretto è uscito il sole, bestio.
Messer Arzenico s’è posto paura di perdere la voce: Ma se Vossignoria signor Arsenio veda lei, allora hai
sentito. Uberto, besta, è uscito il sole. Messer
Arsenico ha paura di perdere la voce (risentito perché Uberto ha reagito alla
chiamata sommessa di Arsenio e non alla sua).
[17] il
partito con il speziale: l’accordo con il farmacista. ¨ s’abbroca: diventa roco.
[18] I.11.6 e 8 potarria, vorria: potrebbe, vorrebbe (tipiche
formazioni del condizionale in napoletano).
[19] postiglione: cocchiere delle carrozze di posta.
[20] non
me fa morì de jajo: non farmi morire agghiacciato.
[21] zeffunno: qui nel senso di rovina. ¨ Chisso è sceruppo
qui nel senso di «Questo è un bel problema!».
[22] allumma: accendi.
[23] paoli: antiche monete.
[24] ruotolo:
rotolo, antica unità di misura di massa e peso.
[25] Manco
se allumasse lo catafarco de la Sellaria: come se si dovesse accendere il
catafalco della Sellaria (antica area di Napoli poi
oggetto degli interventi del Risanamento).
[26] Per lo spitale... no, pe lo speziale il posteriore: per l’ospedale... no, per lo speziale il posteriore, con
ovvio riferimento osceno.
[27] piastra: altra antica moneta.
[28] Chillo ospezeja a la casa mia, ed io pago ad Ussignoria
l’alloggiamento?: quello è ospite in casa mia, e io pago a Vossignoria
l’alloggio? Tutta la scena si fonda su equivoci del significante con ricercato
effetto comico.
[29] aggio tuorto: ho torto.
[30] Tu
non te susiste, tu stive a la scura: tu non ti alzasti; eri al buio.
[31] Che dè? : che cos’è? (quid est?).
¨ Non po sbafà, non po
sfogà lo patrone, core mio,
co le gente soje? (* Fortuna che me ngiaje puosto sotta): il
padrone non può sbottare, non può sfogare con la sua gente? Oh sorte che mi hai
sottomesso a loro. ¨
un gran diavolo di lotano:
un gran diavolo di faccenda.
[32] non aggio
un callo, e pure... : non avrei problemi, eppure. Si delinea la dipendenza di
questo amministratore locale dalla losca figura di Arsenio.
[33] Vonno esse parole carzante,
e che pesano: vogliono
essere parole calzanti e di peso.
[34] incrine: inchini.
[35] chiafeo:
sciocco.
[36] abbiangelle: anticipagliele.
[37] commene: conviene.
[38] Mezza
piastra? Benissimo. O messer lo
postiglione fatti da me, (* tu tiri a levargli il giubbone, ed a me dà l’animo
carpirtelo di mano, e ’l tuo di dosso):
chiaro il raggiro ai danni di Don Pomponio.
[39] catellino: cucciolo.
[40] scalea: scalinata.
[41] perolià: importunare parlandomi.
[42] Parolo,
massa, toppo; il parolo è
un’unità di misura, mentre il toppo un pezzo di legno squadrato alla buona.
L’espressione sembra richiamare il rilancio a un gioco.
[43] E
commo diciarrisse? Assame capì:
E come diresti? Lasciami intendere.
[44] lecco: allettamento.
[45] scrofoniare: mangiare da scrofa, esagerare.
[46] Sinigaglia: Senigallia (minimo tributo all’ambientazione dell’opera).
[47] abballe: balli, ti muovi scompostamente.
[48] tigna: scabbia.
[49] appojà la libarda:
appoggiare l’alabarda, nel senso metaforico di andare a mangiare in casa
d’altri.
[50] mme zucano il mafaro: mi succhiano il deretano.
[51] nge so mo a labballo:
sono in ballo ora.
[52] Chiavale
un annicchio. Alloco tujo
tu non ci sappiamo stare palata sfatta?:
Uomo da poco, non sappiamo stare al proprio posto?
[53] Nconfedenzia: in confidenza.
[54] ausoleja: sta’ a sentire.
[55] e vi fo
scendere il pepitolo:
vi faccio tacere.
[56] Io diverrò
verminosa: farò i vermi dalla paura.
[57] pelucca: parrucca.
[58] nzallanuto: rimbambito.
[59] annetta sse scarpe: pulisci
queste scarpe.
[60] ncoccia: insiste.
[61] annevinato: indovinato. ¨
scopatore: si intenda ammiratore.
[62] sbruttatela: pulitela.
[63] muccaturo:
fazzoletto (cfr. mouchoir).
[64] un lemine:
poca cosa (probabilmente lendine).
[65] Un
auto
di Napole. Chillo colla armata: riemergono antiche tipologie drammaturgiche dietro le
parole ridicole di Don Pomponio.
[66] Non mi
friccico, era juto a farla esequire
chisso è frosciuco: non mi muovo, ero andato a eseguire, questa è una lusinga.
[67] tostanza: sollecitudine.
[68] chisto dorme mpede.
Guagliò, atta de craje: questo dorme in piedi. Ragazzo,
forza! (atta d’oje
e atta de craje
—da cras,
domani— valgono come esclamazioni).
[69] St’auta quaglia: quest’altra giovane.
[70] sirocchia: sorella.
[71] Spapurate: parlate pure (ma ricorda il verso d’un animale).
[72] mi son vortato a fare un grutto, era
mala crianza:
mi sono voltato per far un’eruttazione, era cattiva educazione.
[73] Priesto lo Barriciello,
che non nge lassa na lacerta manco per razza: Presto il Bargello, che non lasci neppure la razza delle
lucertole.
[74] vì se può mettere quaccosa
dinto a lo vino, che me la potisse
mpaglià, e se jettasse a no
pizzo: vedi se puoi mettere
qualcosa nel viso che la potesse stordire e si rintanasse in un canto.
[75] smago: indebolirsi.
[76] Non nge puo di un callo. Nge nzallanie, e nauto poco le menava li ture:
Non si può più nulla; ci ha raggirati e un altro poco ci percuoteva.
[77] chella s’avarrà schiegato lo sarvietto. Arzeneco mio, tu nge curpe: quella avrà spiegato il tovagliolo. Arsenio mio, ne hai
colpa tu.
[78] gaveglie: letteralmente sono chiodini di legno, ma è qui storpiatura
per vettovaglie.
[79] Chisse so rovagne, auto che sso cuofono scassato:
questi sono vasi, altro che questo baule rotto.
[80] lo stommico farrà pio pio un boccone
almeno per sciacquare una botta:
lo stomaco farò qualche rumore, almeno un boccone per risciacquare la botte.
[81] Dinto a le ceremonie mesca il serviziale:
Don Pomponio interpreta il ricercato servigiale,
servizio, per serviziale, clistere.
[82] L’incontro fra Livia e Clarice mette
ulteriormente a fuoco l’intreccio dei loro destini.
[83] un oprar da frasca:
un comportamento alla leggera.
[84] coltrice: coperta.
[85] La scena racconta di uno scambio fra
Lelio e Giulietto, il quale ha la cadenze di un ‘folle’
della migliore tradizione drammaturgica.
[86] motura: reazione.
[87] scerrà: sceglierà.
[88] anfania: capacità di raggiro.
[89] con
ricatto: guardingo.
[90] piagentassi: fossi condiscendente.
[91] guarnacca: ampia e lunga veste senza maniche, talora foderata, usata
anche da contadini e pastori. Tutta il dialogo riecheggia una scena ‘di prega e
scaccia’.
[92] sette panella:
servitore (anche in III.21.12). Pare
risalga all’uso di pagare con cibo i servitori una volta alla settimana,
consegnando loro pagnotte per ogni giorno).
[93] chiaste:
piastre. ¨ paraguanto:
mancia. ¨ seritario:
segretario.
[94] nghiettechito: divenuto tisico, smagrito (como mpilo mpilo). ¨cuoveto:
colpito.
[95] lellera: storpiatura per Elena.
[96] giurgio:
ubriaco.
[97] frilosoco: storpiatura per filosofo.
[98] niozietto: negozietto, affaruccio.
[99] zoffioni ammiccati: schioppi carichi.
[100] Picciò, e se me vuò
zucà tu puro: da intendersi piccola,
e se vuoi anche tu importi...
[101] moranza: dimora.
[102] appila: taci.
[103] forniti: finiti.
[104] criso: creduto.
[105] scrasta, screstà: rompere
la cresta. ¨bedola, e maretata: vedova e
maritata.
[106] nzereto: in segreto.
[107] smenoma: riduci
[108] maioraschi: maggioraschi, possedimenti.
[109] rammucchio: guadagno. ¨ placebo:
da intendersi a genio.
[110] borbanza: ardire.
[111] pronezza: disponibilità.
[112] sloggiato: cambiamento.
[113] inauza: innalza. ¨sauti: salti (con velarizzazione della laterale preconsonantica).
[114] smagini: da intendersi, non
si applichi altrove.
[115] Chella coce, e chesta pizzeca:
letteralmente quella cuoce, e quella
pizzica; sono entrambe pericolose.
[116] Pozza
cioncare in quatto: possa io morire improvvisamente.
¨ se non mi coserò la
bocca con un aco saccoraio:
se non mi cucirò la bocca con un ago per sacchi.
[117] annegrecato: fattosi nero.
[118] speruto:
desideroso.
[119] mi mbroscino: mi
sottometto (strisciando).
[120] che pozza i
de paro: che le sia pari.
[121] cantara; cantari, unità di misura. ¨ pestello marmoro:
un pestello di marmo.
[122] rozzolando: rigirando.
[123] supito: certo.
[124] s’è mbrogliato il niozio: si è imbrogliato l’affare.
[125] Voglio
abbottà la gente di cerimonie, e mi stroppeja:
voglio colmare la gente di cerimonie,
e
mi percuote.
[126] cociore: allettamento. Perfetto esempio di una scena concertata a
più voci, di quelle che resero celebre lo stile liveriano.
[127] un’otta: adesso; in zavorio: in favore.
[128] aufefibena: serpente velenoso di cui si tratta in diversi volumi
eruditi; le sue caratteristiche sono esposte da Petronilla nella battuta
successiva.
[129] cancaro: malanno.
[130] mmo mmè sbraco vì: ora mi lascio andare.
[131] squaquigliare: sdilinquire.
[132] sosorno: colpo.
[133] Sto co na cimma de scerocco: sono molto pensieroso.
[134] ncatarattato: coperto di cataratte. ¨ verlascio:
dal latino perilasium,
indica costruzione a mo’ di anfiteatro; l’espressione è chiaramente spregiativa.
[135] nzallanuto: rimbambito.
[136] travacca: per cravatta.
[137] pravo: malvagio. La concertazione di una possibile soluzione (l’‘invenzione’)
è qui affidata alla sapienza sentenziosa di Celasio.
[138] boccheggiando: agonizzando. ¨sbalzarlo:
eliminarlo.
[139] abbagliate: vi confondete.
[140] Dinne il
netto: parla chiaro.
[141] spartato: diviso.
[142] orpellate: camuffate.
[143] pressura: oppressione.
[144] rangole: cavilli, difficoltà.
[145] guindalo (o guindolo):
arcolaio.
[146] gradetta: scalinatella.
[147] posteja: tiene d’occhio.
[148] quarera:
lamentela.
[149] ca
vo i ngattimma: che vuole andare in calore; lo porta pollastre è nel contesto un mezzano.
[150] tomasco: damasco.
[151] cortinaggio: baldacchino (con evidente allusione).
[152] far
di beretta: far tanto di
cappello.
[153] vranca: manciata.
[154] diffalta: mancanza.
[155] forfatto: malfatto.
[156] scandagli: esamini.
[157] guiderdonata: ricompensata.
[158] allicche salemme: a far
cerimonie.
[159] collateralo: contrattempo.
[160] immovito:
immobile.
[161] Callimede:
giovane baldanzoso.
[162] commico: con me (cfr. spagn. conmigo).
[163] le
canterò la zolfa: mi farò le
mie ragioni.
[164] piangolosetto: piagnucoloso. ¨
felciata:
tipico prodotto caseario a pasta molle.
[165] brulicando: rimestando. ¨putirebbe: puzzerebbe.
[166] cacasangue: diarrea (qui usata come esclamazione).
[167] rugumar: ruminare, anche in senso figurativo.
[168] parabolosa: ciarliera.
[169] linguettare: discutere.
[170] stomacaggine: disgusto.
[171] saliscendo (o saliscendi):
sistema di chiusura di porte e infissi.
[172] chiavaca (o chiaveca):
fogna.
[173] montanino: qui per persona del contado.
[174] rociolià il strummolo; far
girare lo strummolo
(piccolo giocattolo che gira su se stesso dopo una
forte spinta esercitata da un colpo di funicella).
[175] appalorcia:
si precipita.
[176] caccia
mano: combatti a duello. ¨e
tu co sso non so mi bello: e tu con lui non so, bello mio.
[177] vommeca mmalora: parla,
una buona volta (vommecare
—vomitare— in senso figurativo).
[178] va decenno:
continua a parlare.
[179] chisso mme vò fa arrecordà
le specie antiche: mi vuol far
ricordare i metodi antichi. ¨sbozzato:
butterato. ¨ vavuso: bavoso. ¨ smarra: spada
lunga.
[180] caso, e recotta porzì: cacio e ricotta pure. Don Pomponio equivoca sulla parola
italiana caso, interpretandola alla
napoletana come formaggio. ¨ conesse:
probabilmente fendenti. ¨ me mpesto: mi adiro.
¨ contrancavo:
contromossa. ¨ vellicolo:
ombelico. ¨ non se teraje no cato d’acqua pe lo revenì:
non si tirò un secchio d’acqua per rinvenire. ¨ ì nge
do de musso: io ci sbatto contro.
[181] poragna: probabilmente da intendersi ‘dote’.
[182] ha pigliato
papara: ha preso
una cantonata. ¨ trammessura:
imbroglio.
[183] nauta polesa: un’altra
polizza.
[184] a ufo di vinocuotto: con
vincotto a sbafo; esclamazione dal sapore proverbiale.
[185] non mi zuchi: non mi
sfrutti.
[186] ti soperchiono: ti
avanzano.
[187] non
ci frusciate: non ci
lusingate.
[188] e che mula
m’aje fatto tenè? Lassa i sso purpo: e che mula mi hai fatto tenere? Lascia andare via questo
polpo.
[189] assa ì: lascia andare.
[190] susta: qui nel senso di ‘tormento’.
[191] tel jetto a polo
a polo: te lo dico presto presto; apparà: qui nel senso di mettere a posto.
[192] cainata,
consobrina: cognata, cugina.
[193] fa’
nfenta: fa’ finta.
[194] mestolone: babbeo.
[195] baronare: qui nel senso di far sopruso.
[196] Vuol
che gli risciaqui il bucato costui: vuole che lo maltratti.
[197] Ente valentizia: bella cosa.
[198] scheroni: farabutti.
[199] ghierabaldane: sofismi.
[200] a
sorbirmi il forame: a farmi
la lezione.
[201] maccianghero: uomo rozzo.
[202] gabbappolo:
furbetto.
[203] vi colo: vi riverisco.
[204] cacaccian: uomo grossolano.
[205] cacajuola: diarrea.
[206] trecchiere:
uomo che trama.
[207] rancura: angoscia.
[208] infignevole: falsa.
[209] vanare: vaneggiare.
[210] Venga
l’auto pratino; pe uno i so lesto:
tutta l’espressione varrebbe ancora un
altro, io sono pronto per uno.
[211] non le dia
a bertiginare:
non le dia in testa.
[212] baia: raggiro.
[213] arrevocazione: revoca, ma qui si intende donazione, storpiato da Don
Pomponio. ¨ chiavale no vico nfaccie
a chisse: il senso è non dar retta a questi.
[214] mmo mmè sbraco vì (cfr. II.18.26), aggio
asciovito a resguardo suo:
ora mi lascio andare, ho preso commiato per riguardo suo.
[215] si sodognarà: si
imbelletterà.
[216] baggeo: babbeo.
[217] mandrianetto: giovane mandriano.
[218] disaiuto: danno.
[219] l’odoriferi
oleati: profumi.
[220] acqua
nanfa: acqua odorosa.
[221] secotorio: letteralmente esecutorio; vale come esclamazione. Più
comune l’espressione ‘sequenza’.
[222] pettola: lembo della camicia.
[223] La pressa,
Signora, pe la gatta fece li figlie cecate:
per la fretta la gatta fece i figli ciechi è espressione proverbiale
napoletana.
[224] allummato: acceso.
[225] Mo co sso lans mans
hai suputo la difficoltà:
probabile che qui Don Pomponio rifaccia il verso alla cadenza di Arsenio.
[226] manichino: qui manichetto, polsino.
[227] Sua
Artezza ha da esse accordata:
Don Pomponio intende accordata per riconciliata.
[228] torchi: grossi ceri.
[229] truocchio: secondo un vocabolario settecentesco è un fascio d’erbe
ritorte che serve a prevenire urti; può darsi che Don Pomponio equivochi il
senso di torchio, a giudicare dal riferimento all’arrivo via fiume (sciummo), che non
prevede troppe cavalcature.
[230] magagnato: uomo poco raccomandabile.
[231] Le vorria dì, ca nuje simmo di frate, e ca a Napole se
ne nzora uno pe casa, e ca fratemo
è nzorato:
gli vorrei dire che noi siamo due fratelli, e che a Napoli si sposa uno per
casato, e che mio fratello è sposato.
[232] a la lerta: all’erta,
in piedi. ¨ Moccamennuno:
esclamazione di fastidio.
[233] all’uso
delle stanze del Pulci per la sua Beca: il riferimento è al poemetto rusticale La Beca di
Dicomano di Luigi Pulci.
[234] tafanario: culo (riprende la battuta ironica di
Uberto).
[235] sgannata: disingannata.
[236] covernate, i mme ne fujo: governate la situazione, io me ne fuggo.
[237] avvenentezza: per avvenenza.
[238] ribagna: infondi.
[239] III.20.27 e ss. Eurilla donde avvien: il canto encomiastico, inframmezzato dalle battute e
dai movimenti dei personaggi, non è solo tributo al sovrano ma anche
celebrazione del progetto nuziale. Il fidanzamento di Carlo con Maria Amalia di
Sassonia fu ufficializzato nel 1737, data della stampa de Il Partenio: se la prima esecuzione del dramma è avvenuta sul
finire del 1736, essa già riflette l’eco che presso la corte e la città le
trattative ebbero, pur mantenendosi su un tono rarefatto che si ispira nel
finale a testi di ispirazione sacra.
[240] levame ssa janara de vicino: levami questa
strega di torno.
[241] mmattuto dove
poteva mmattere:
battuto dove poteva battere. ¨
pataffio: epitaffio, qui nel senso di
riconoscimento.
[242] lo chiappo
mio co le stentine soje: il mio
cappio con i suoi intestini. ¨
se mme vuò cotico affocame
chisso: se mi vuoi con te affoga questo (riferito
ad Arsenio).
[243] cuorve co cuorve non s’hanno da caccià l’uocchie. Io sò no poco mperfetto, ma Ussoria è mperfettella; facimmo de manera, che da lo primmo juorno non nge avessemo da stregne care care, e jettà into a sto sciummo: corvi e
corvi non si estirpano gli occhi. Io sono un po’ imperfetto, ma Ella è alquanto
imperfetta; facciamo in modo che dal primo giorno non avessimo da stringerci
cari cari (litigare) e gettarci al fiume.
[244] ch’Uscia abballa, e i te sono: ch’Ella balla, e io ti accompagno col suono.
[245] ca non saccio quà è meglio se la cassia
tratta, o la spina ponteca:
che non so quale sia meglio, la cassia cavata dalla canna (medicamento
lassativo) o la spina amara (cfr. anche di Gennarantonio
Federico il libretto de Il Flaminio,
II.10). ¨ chiante: piante.
[246] brassecale (o vrassecale):
in napoletano vale vivaio.