Domenico Barone,

marchese di Liveri

 

 

Partenio

 

 

 

 

a cura di Francesco Cotticelli

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

lineadacqua edizioni

 

2016

 

 

 

Domenico Barone, marchese di Liveri

Partenio

a cura di Francesco Cotticelli

 

© 2016 Francesco Cotticelli

© 2016 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 16

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

www.usc.es/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.es

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-54-3.

 

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano II: base de datos y biblioteca pregoldoniana (ARPREGO II: FFI2014-53872-P), finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome del curatore, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione del curatore e del direttore della collana.

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 16

 

 

 

Nota al testo

 

Del Partenio sopravvivono vari esemplari; i due che sono stati presi in considerazione per la presente edizione sono quello custodito alla Biblioteca Nazionale di Napoli, collocazione L.P. Seconda Sala 23.4.11, che manca tuttavia della tavola finale (disponibile una copia digitalizzata) e quello conservato alla Biblioteca Braidense, Raccolta Drammatica Corniani Algarotti, collocazione Q.007 (anche di questo è disponibile una versione digitalizzata, che però risulta incompleta, mancando una sezione dell’atto terzo).

            Sono state introdotte le correzioni segnalate dal foglio di Errata corrige, dove si riconosce la non esaustività degli errori segnalati. Qui di seguito alcuni interventi nella presente edizione:

abbbia > abbia (Il Conte Errigo Brinzi a chi legge)

prinpato > principato (Il Conte Errigo Brinzi a chi legge)

Plato > Plauto (Il Conte Errigo Brinzi a chi legge)

anoichi > antichi (Il Conte Errigo Brinzi a chi legge)

recere > recedere (Il Conte Errigo Brinzi a chi legge)

liberamenta > liberamente (Il Conte Errigo Brinzi a chi legge)

domandando > domanda (II.4.11)

boble > doble (II.5.31)

prima battuta attribuita a Lelio, non a Livia come risulta dalla stampa (II.10.1)

esseno > essendo (II.25.5)

contessimo > contentissimo (III.20.65)

naufa > nanfa (III.18.12)

Eurilla a due >  Eurilla Dorinda a due (III.20.46)

 

 

 

IL

PARTENIO

COMMEDIA

DI

DOMENICO BARONE

BARON DI LIVERI

CONSACRATA

ALLA

SACRA REALE MAESTA’

DI

CARLO III.

BORBONE

Re di Napoli, Sicilia, e Gerusalemme, Infante

di Spagna, Gran Principe Ereditario di

Toscana, Duca di Parma, Piacenza, Castro &c.

 

IN NAPOLI MDCCXXXVII.

Nella Stamperia di Felice-Carlo Mosca.

Con licenza de’ Superiori.

 

 

 

 

Sacra Reale Maestà

Signore,

Per quanto inlitterato, e di veruna vaglia io mi stimi, non mai di tanta poca mente mi riconobbi, che l’esser solamente stat’io vago, e goloso di leggere, e di udire le dotte, e ben rappresentate Commedie, ciò a poterne tal una concepire, ed insiem mandare alla luce bastevole giammai paruto mi fosse, e tanto più in luogo, ed in tempo, ch’a disanimar molt’è proprio, non dico un imperito, qual io mi sono, ma sin anche uom, che lungo in tale studio vanti il cammino; e per trovarmi in paese, dove rinomati valentuomini lasciato s’han di gran lunga dietro chiunque per l’innanzi a sì difficile profession si sia dato, ed in tempo, che regna, mercè di Dio, un Principe d’una mente sì vasta, e di sì esquisito gusto, e delicato scernimento, qual è la Maestà Vostra. Con tutto ciò per non mentir, Signore, preso avend’io in mira di passar, se non in virtuosa, in indifferente almeno applicazione gli ozj della mia solitudine, ad accozzar presi quattro scene, ch’unite bastarono a formarmi una favola, cui posi nome il Cavaliere, e dopo d’essa altra tesserne desio mi spinse, che la Contessa chiamasi, e fu ben ella più ch’avventurata, se nata appena davanti alla Maestà Vostra non una, ma più volte, ebbe la bella sorte di rappresentata vedersi. Ciò fe’ Signore, che per far cosa, non dico alla Maestà Vostra grata, ma da me dovuta, dare alle stampe io la facessi per presentarvela; e non men di questa la prima ancora per pura grazia di Vostra Maestà la stessa sorte vantando, ugual dovere di porla nelle Vostre Reali mani a far, ch’ella ancora uscisse alla luce mi costrinse. In veggendole dunque amendue dalla Maestà Vostra così fuor d’ogni lor merito benignamente gradite, quale meraviglia recar può mai, che dalla stessa benignitade affidato preso abbia io animo di presentarvi la terza? Ve l’offro dunque, Signore, con quella profonda, e riverente divozione, che da un fedele, ed obbligato vassallo, qual io mi sono, a Vostra Maestà va dovuta, e nel tempo stesso a credere umilmente vi prego, ch’a ciò la sola ambizion m’ha spinto di farmi, se non come vorrei, nel modo almeno, che posso, conoscere.

Di Vostra Sacra e Real Maestà

12 del 1737.

Umilissimo Vassallo

Domenico Barone Baron di Liveri

 

 

 

Il Conte Errigo Brinzi

A Chi Legge.

Comechè sempre stato e sia malagevole il formare una ben intesa commedia, questa malagevolezza, stim’io, che all’età nostra per lo gusto troppo dilicato de’ critici anzi che menomarsi, viè più s’avanzi. E da quali difficoltà dobbiam credere non abbia ad esser combattuto colui, che presentemente opera a cotali componimenti dar voglia? Se di questa nobile, e profittevol arte una ferma si dasse, costante, ed indubitata regola, ricevuta come tale da tutti, ciò senza dubbio ne spianerebbe la strada, e di non picciol sollievo a chi incamminar visi volesse riuscirebbe. Ma tolti via alcuni primi, e generali ammaestramenti, dov’è ciò mai? Gli Antichi (al dir de’ Moderni) par, che’n ciò poco giovar ci possano, sì con la dottrina, sì con gli esempli. Aristotele non ne scrisse, che molto poco, fermandosi più di proposito a discorrere della tragedia, ed a disporne intendevolmente le parti. Orazio al dì d’oggi da’ più modesti vien riputato, ch’e’ non sia da tanto da poterne parlar da Maestro, accennandosi da stessi gli errori, ne’ quali egli cadde in volendone formar le regole; se pur queste sian sue, e non più tosto d’un tal Pariano Neottolemo, da cui dicono, ch’ei le trascrisse. Quanto poi agli esempli, Terenzio, e Plauto, che al pari tra sé giostrano contendendo del principato, in quale stima al presente son elli? Lor fassi per poco quell’onore, che si farebbe ad un vecchio, ch’altro in sé non chiudesse di buono, che i suoi molti anni. Terenzio stimato viene secco, e dialogista; Plauto poco verisimile, troppo inclinato alla vecchia commedia, e monstruoso nello spazio del tempo, con cui la favola circonscrive. Scrive un moderno, per ciocche appartiene alla comica, ch’essi non saprebbonsi oggimai leggere con diletto; salvo da chi gli leggesse per apprenderne la purità della lingua. E pur le grazie di Plauto in quanto grido altre volte elle furono! E Terenzio, chiamato da tutti il latino Menandro, in quanta venerazione fu presso di Orazio, Cicerone, ed Afranio, ch’ebbe a dire:

Terentio similem non dices quempiam!

Ma qual ciò recar dee meraviglia, s’essi lungo tempo, neppur presso gli Antichi l’onorato lor posto mantennero? Orazio chiama rustichezza le facezie di Plato, Volcazio pon Terenzio nel sesto luogo, cioè a dir nell’ultimo; e Quintiliano sincero, e profondo giudice dell’altrui valore, ebbe a dire, a dispetto delle lodi ben grandi date a Cecilio, a Terenzio, ed a Plauto da molti antichi, in comoedia maxime claudicamus. Con tutto ciò stim’io, che non istia bene il tacciargli con troppo di libertà, e d’audacia, dovendosi far loro almen di beretta per essere stati una volta in quest’arte esemplari, e maestri; e per aver servito agli altri di quella guida, di cui ad essi servirono Aristofane, e Menandro tra Greci.

            Gl’Italiani de’ primi tempi, che a’ Latini nelle commedie succedettero, incontrato non hanno co’ Moderni miglior ventura. La maggior loda, ch’han riportato, ella è d’essere stimato alcun d’essi scipito men de’ Latini, del rimanente vengon riprovati con asprezza forse maggiore, fino a stimarsene la maggior parte atta a far recedere chiunque con altro fine, che quello, d’apparar la favella del buon secolo, gli leggesse. Egli è vero, che a dì nostri la comica è cresciuta mirabilmente di pregio, per aver sudato a nobilitarla le penne di più valent’uomini, che da’ falli nell’altrui commedie notati profitto per sé cavando, favole han dato alla luce delle antiche senza paragone migliori. Con tutto ciò, stimando i critici più severi, che molto tuttavia resti a potervisi desiderare, non han tralasciato giammai, siccome pur ora motivo non tralasciano d’addentarle.

            Servirà quant’ho detto fin ora, o almen l’ho detto perché servisse a confermare la non piccola difficultà, che da prima accennaj nel comporre una commedia incontrarsi. Ma perché sol per erto, e faticoso sentiero al tempio della gloria si giugne, e l’obbietto proprio della virtude non è che ’l difficile, quindi è, che la presente favola sorta tra le difficultà, come rosa tra spine, perfettamente compiuta, ridonda in onor grandissimo del suo ben chiaro, e famoso autore; che d’avere all’altre due gentili sue figlie aggiunto anche questa, che meco gentilissima diran tutti, può a gran ragione vantarsi. Confess’io liberamente d’averla letta, e riletta più volte, e sempre con diletto maggiore, per avere in tenendola più sottto gli occhi considerar potuto più addentro quelle grazie, e vaghezze, che non potean farmisi di leggieri ad un sol tratto palesi. E qui fa d’uopo, ch’io preghi il cortesissimo leggitore, che meco ei voglia un pocolin trattenersi nell’esaminarla a minuto, e son sicuro, ch’ei ciò faccendo lo stesso giudicio formeranne bentosto, che a formarne io dalla ragion fui forzato. In primo luogo dunque lo’nvito a meco voler contemplare la nobilissima invenzione, parte principal della favola, e degno parto del fecondo ingegno del nostro autore; che siccome nell’altre due precedenti, così ancora in questa si è dato a conoscere veramente felice, intessuto avendone l’argomento tutto verisimile, senza fatto ch’abbia ricorso, così nell’intrigo, come nello scioglimento, ad accidenti stranissimi, e dirò così, miracolosi, o di somiglianze, o di sconosci menti aggravati da circunstanze tali, da non potersi mai credere accaduti, o possibili ad accadere nel mondo. E chi nello stesso tempo può non restare con diletto sorpreso gli occhi in affissandone all’unità con tanta cura servata, che le azioni tutte minori, come appunto linee tirate al centro, sono a quell’unica principale mirabilmente ordinate? Taccio l’ottima disposizion delle parti, il ripartimento del tempo alle azion necessario, le scene non appese, né mai fuor della lizza correnti, lo spazio del tempo, che l’azion circoscrive, non eccedente un giorno di sole, il costume delle persone sì ben descritto, e così costantemente osservato, e finalmente quella maravigliosa proporzione, con cui il mezzo al principio, e l’uno, e l’altro al fine si riferisce. Non vo’ però passarmene con silenzio intorno alla locuzione, non solo per esser ella pura toscana (qualità sebbene esterna, affatto nondimen necessaria a darle vaghezza); ma per quella beltà interna, che’n sé racchiude, fondata in quella mediocrità di stile, cotanto da’ valenti maestri nelle commedie lodata, ed assolutamente voluta. E dove mai si leggono in quelle del nostro autore (se non se forse per burla ad eccitare il riso) quelle arrischiate metafore, elevazioni poetiche, o per lo meno dicerie oratorie, che tanto agevole ad osservare è in non poche degli altri? Ma obbietto essendo della comica l’imitazione, e di condizione diversa le persone essendo, che la favola rappresentano, fa d’uopo altresì, che sian le dettature diverse, in altra maniera parlando il principe di ciocche si faccia un Cavalier privato, e’n altra maniera il Cavaliere, che ’l servo. Il che egregiamente osservato si vede nel nostro Partenio, dove lo stile è giustamente vario a misura della condizione de’ rappresentanti, ma ciocche dee stimarsi di maggior rilievo si è, che in tutte le persone a proporzione della lor dettatura si osserva un’ammirabile mediocrità, che non cessa in varia locuzione d’esser sempre la stessa, nella maniera appunto, ch’avendo il diametro d’un cerchio grande maggior lunghezza di quella s’abbia il diametro d’un cerchio minore, non lascian però l’uno, e l’altro d’essere egualmente diametri. Più oltre ora passando senza partirci dal subbietto medesimo, che direm noi di quella incomparabile espressione di cui nelle scene d’amor tenero l’autor si vale? Questa è l’impresa del componitore più ardua, questo è lo scoglio dove la maggior parte degl’ingegni anche più elevati s’infragne. Ma quanto bene ciò a lui succede, con quanta grazia ei vi riesce. Merita senza fallo, che dare in ciò gli si debba fra tutti il vanto; imperciocchè egli in cotali scene mostra tanta semplicità, tanta proprietade, e dolcezza, che non è chi in ascoltandole, altamente il cuore toccar non si senta, e non creda nel punto stesso, che consigliato egli siasi, per così dire con la sola sua volontà nell’altrui passion trasformata, talmente i sensi, e le parole del cuore anzi appajono, che dallo ’ntelletto spremuti. Nella persona poi del Celasio non è egli l’autore forse anche più, o almen del pari laudabile? Non ha trattato egli già d’accozzare quattro testi di legge, quattro minuzie grammaticali per formar facilmente un nojoso dottore, uno stucchevol pedante; ma di porre in iscena un uom dabbene, e prudente al sommo, un esemplare dell’etica. Quindi è che pien tu lo scorgi ad ogni passo di sentimenti pii, di detti sentenziosi, e profondi, senza ch’e’ mostra punto ne faccia, o pompa alcuna; sicché amando anzi d’essere, che di parere quell’uom, ch’egli è, imprime di sé in altrui quella venerazione, che non pretende, e costrigne chi l’ascolta a stimarlo un filosofo, non per istudio, ma per natura. Se ad accennar s’avessero le vaghezze tutte della favola in particolare, d’uopo sarebbevi un libro niente della favola stessa minore; onde posto il serioso da parte, priego il gentil leggitore, che’n grado gli sia di ponderare alquanto il ridevole. Ed a dir vero, così in questa, come nell’altre commedie dell’autore, chi dir potrà mai, che non sian le facezie tutte modeste, urbane, e pienamente gradevoli? Prive di mordacità viziosa vi si veggon l’arguzie, le sciocchezze vi son senza nausea, e senza alcuna disonestezza gli equivoci. E per questa ultima parte non posso far di meno di non tessere elogj al genio costumatissimo dell’autore, che proccurato non ha giammai il titolo a sé di grazioso con danno della modestia di procacciare. Creduto ha egli, che senz’ombra di disonestade ben possa il riso promuoversi, contra l’opinion di coloro, che stimano, ch’egli a simiglianza della biada, che da lui prende il nome, non mai tanto bene alligni, quanto nel grascio. L’autore, che niente men cristiano, che comico d’esser si pregia, s’ha recato a delitto il seguir l’esemplo d’alcuni, che fatto in ciò non s’hanno scrupolo le laidezze della vecchia commedia di disotterrare. Non deesi in qualunque modo e’ si possa far nascere il riso, non essendo questo il principale obbietto della commedia, ma più tosto una lusingheria, per indur la gente ad ascoltar con diletto gli utili ammaestramenti della vita civile. E però le disoneste facezie commendabili punto non sono; lecito non essendo di servirci d’un cattivo mezzo a conseguire un buon fine; oltre ch’esse solo alla mal composta plebe, o a chi niente più nobile ha l’animo, riescon grate; non all’uomo onesto, e gentile, l’animo del quale, al dir dell’Einsio, laxari vult, non solvi. Quindi è parimente, che curato non si è l’autore d’imitar nelle sue favole una leziosa, e scaltra puttana, un ruffiano sagace, e ciocch’è peggio, quando lor ben riesca il mestiere; perché sebbene, come affermano i filosofi, ogni imitazione per instinto di natura non può recar, che diletto, rade volte non per tanto nell’imitazion lasciva il diletto con l’utile s’accompagna, e non mai quando non vi si scorge insieme il successo infelice, ch’è quel vento impetuoso, che spira a traverso del vizio per diroccarlo. Oh Dio ’l volesse, che le commedie tutte si facessero con tal ragguardo. Quanto elle monterebbon di pregio, e quanto benificio il pubblico ne trarrebbe! Potrebbonsi allora giustamente chiamare virtuose ristoratrici degli animi da nojosi accidenti agitati, maestre de’ costumi, specchi della vita civile, e libri aperti delle famiglie, dove l’arte s’appara cotanto al Mondo necessaria di ben guidarle. Credami pur chi legge, che a così scrivere già non m’ha indotto spirito vile di maldicenza, che di tarbar le ceneri de’ defunti neppur s’attiene. Parlo come la ’ntendo per soddisfare a me stesso, ed alla verità; e se mai di questa pur dessi alcun, che s’annoja, passi egli tosto per mio consiglio a legger la favola, che ’n tal guisa amaricato non fia, che resti dall’odioso cartellone, che la precede. Qui mi converrebbe far punto; se la necessità di rispondere ad una obbiezione, o sia di sciogliere una difficultà mossa non ha guari intorno alle favole dell’autore in obbligo non mi ponesse di tener la penna qualch’altro momento alla mano.

            Taluno adunque, che avuto ha la sorte di leggere in gran parte la presente favola, com’altresì di vederne soventi volte il concerto, s’è lasciato altamente intendere, che non vi ha trovato a gran pezza in leggendola quel diletto, che ha provato in vedendola rappresentare; soggiungendo dello stesso parere stati esser molti intorno all’altre due precedenti di lei sorelle, che di fatto non mantennero nella stampa (com’ei dicea) quell’ammirabile, e strepitoso grido, che incontrarono in su la scena.

            Questo è un parlare non molto lontano dal vero; non essendo al mondo commedia, di cui lo stesso affermar non potrebbesi; ed io volentier lascerei di farvi su parola, se non temessi, che sotto ascondere vi si potesse un occulto veleno. Chi pretendesse, che la lettura d’una favola, e ’l di lei rappresentamento recassero egual piacere, poco men pretenderebbe d’un impossibile. La scena, le vestimenta, i personaggi stessi conosciuti per veduta, non già per nome, e sopra tutto quella parte della facultà comica, che ragguarda l’atteggiamento, e che dà l’anima alle parole, com’è possibile, che non diano alla favola risalto tale, che senza paragone più avvistata, ed amabile ad esser ne vegna? Che s’egli è ciò vero generalmente in parlando, nelle favole dell’autore vi è ragion propria, e particolare da poterlo credere senza eccezione verissimo. E per qualche cosa delle due prime accennare, intervenivano nel di loro rappresentamento per egregia invenzion dell’autore obbietti così nuovi, e così per la lor novitade allettanti, che non potea l’animo di chiunque presente vi fusse non restarne interamente rapito. Ma quando abbiansi a leggere solamente, qual mai considerabile piacimento daranno al lettore i giuochi, le veglie, l’accademie di musica, le mascherate, e simiglianti gentilezze, che frammesse vi stanno? Potrà altro il leggitore in tai congiunture osservare, che quattro parole spezzate, ed un avviso di ciocche allora nella scena apparisce? Ciò, e non altro. Ma non così i riguardanti, che ne ammirano la bellezza della proprietà, la vaghezza del disponimento, e sopra tutto quella chiara distinzione dello ’nterno degli animi, sicchè solo in mirando in faccia i rappresentatori anche in tempo della lor mutolezza ti si fan subito palesi le varie passioni, che l’agitano. Lo stesso della presente favola giova a proporzione affermare, anzi quanto in essa maggiore di gran lunga è la novità, tanto più grande in paragon della lettura è il diletto, che dalla di lei rappresentazione procede. Per lo che più agevolmente comprendere ben sarà primamente il considerare, che in un piccol solitario villaggio unite avendo con maravigliosa industria l’autore le persone tutte, che alla favola fan di mestiere, ha pensato per varj giusti motivi non poter bastare al suo ’ntento il solito precedente avviso, che la scena della favola era il detto villaggio; ma d’uopo gli è stato di formare egli stesso con rarissima invenzione la scena, e stamparla in un foglio a parte con la nota numerale de’ principali suoi luoghi, per comodo, ed intelligenzia de’ leggitori. Non potea veramente egli pensarla con avvedimento maggiore; imperciocchè son tante le azioni, ed i parlari con esquisita proporzione, e misura ad alcuni particolari luoghi corrispondenti, che ciocche per ragion d’esemplo va ben fatto, o detto, ad una volta d’arco, ad un portico, nol potrà essere in altra parte, che sconciamente, e fuor di ragione. Adunque riscontrar dovendo necessariamente chi legge i luoghi nella scena notati per poterne la proprietà riconoscere, e ’n tal necessità non essendo chi la favola vede rappresentare, per averne senz’altra osservazione tutta sotto gli occhi la ’ntera vaghezza, verrà sempre il primo in paragon del secondo a trarne un più stentato, e men considerabile godimento. Che se a questo particolar motivo aggiugnerai gli altri più comuni di sopra accennati, sarai sempre più per confermarti nello stesso parere, e per finalmente conchiudere, che la mossa difficultà segue più tosto la natura delle cose, che possa alla favola pregiudizio alcuno recare. Ma tempo è ormai, che ’l pazientissimo leggitore, annojato senza forse dalle scipitezze del mio discorso, passi a rinfrancar la mente con le grazie, ed amenità della favola, la cui bella presenza fa la di lei maggior loda; nella guisa, che ’l sole meglio è assai da’ suoi raggi, che da qualunque dicitore, lodato.

 

 

 

La scena della commedia è un villaggio nel contado d’Urbino.

 

 

 

RAPPRESENTATORI

partenio rodi vecchio, nobile del Brabante abitante nel villaggio sconosciuto da medico sotto nome di Celasio, egli avolo si è di

brigida rodi ragazza a casa il Partenio, figliuola di Virginio

giulietto lor valletto

lelio brighi giovane, nobile d’Urbino sconosciuto da pastore nelle contrade del villaggio, che poi sott’altr’abito si fa credere Cavaliere Mirandolese

livia figliuola del conte Moratti, nobile d’Urbino fuggita nel villaggio da villana

don pomponio varvadoro napoletano padrone del villaggio

arsenio vecchio suo ragioniere

uberto suo servidore

conte orsucci vecchio nobile d’Urbino, zio di

clarice orsucci giovane, figliuola di suo fratello, e cognata di

olimpia manforte giovane, vedova del fu Ottavio Orsucci, nipote del conte, e fratello di Clarice

alessandro della rovere, duca d’Urbino

virginio rodi sconosciuto sotto nome del marchese Rinaldo Franchini cavallarizzo di Sua Altezza d’Urbino figlio di Partenio

petronilla casci dama attempata della corte d’Urbino

troiana sua donna da camera, che non parla.

eurilla

dorinda pastorelle che improvisano rime

cavalier gaudetti gentiluomo da camera di Sua Altezza che non parla

Soldati della guardia di Sua Altezza, che non parlano

Altro uomo, che accompagna la Petronilla, che non parla

Marinai che non parlano

 

I segni, che sono nella Commedia a guisa di stelle, denotano, ch’il parlare è da parte, e tutto ciò, che sta racchiuso tra due parentesi, dinota, che va detto in segreto.

 

 

 

                  ATTO PRIMO

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                    Partenio, detto nella commedia Celasio, con una secchia a la mano, che dalla porta della camera superiore di sua casa numero 35 esce sul verone numero 34 in atto di abbottonarsi la giubba.

 

            celasio          Il tempo si mostra abbonacciato; corra egli in lode del suo fattore (chiama) Giulietto eh Giulietto. Ah Giulietto pegg’è che mai Giulietto (e venendo giuso per la sua scaletta numero 29 dice) Altri di mala voglia muore, altri di mala voglia vive, com’è costui Giulietto (chiama).

 

            giulietto      (Di dentro la camera a pian di terra numero 28, allora all’or che si sveglia) Già già; sta intesa sta intesa.

 

            celasio          Ah caro garzone, va’, e da te spera ammenda, va’, ah Giulietto Giulietto...

 

            giulietto      Sta intesa, devo levarmi a buon’ora, il farò sì.

 

5          celasio          E fatta già la buon’ora col Dio ci aiuti.

 

            giulietto      Spogliato non mi sono.

 

            celasio          (Che pon fuori la chiave, ed apre l’uscio della stanza numero 28 dov’è Giulietto) Come spogliato non ti se’? Tu ancor ti raggricchi nella coltre.[1]

 

            giulietto      Ma un, che s’ha a levar per tempo svegliarlo poi la notte, quando dormirà vorrei sapere?

 

            celasio          Che notte? Son dieci ore e più che dormi; è già lustro, e ragiornato.

 

10        giulietto      È la luna messere, è la luna

 

            celasio          È il Sole, è il Sole; e resta poco, che non venga a visitarti nel letto.

 

            giulietto      Oo è ’l Sole, e se sia il Sole poi mi rizzerò in breve.

 

            celasio          Benedetto Dio, che te la fe capire. (allo che Giulietto rizzatosi in fretta si fa tutto sbadigliante all’uscio in atto di porsi il giubberello ed altro) Più ch’uom dorme più leva a sé di sua vita, l’udisti garzone? Presto, sii tu benedetto; va a raccorre quattro minuzzoli di sprocchi, ma che sian del comune; ch’io vo ad attigner dell’acqua.

 

            giulietto      C’eran delle legne...

 

15        celasio          (In atto di chiudere l’anzidetto uscio dice) Verrei ad aiutarti...

 

            giulietto      E legne belle e quante, e lo sapete...

 

            celasio          Ma temo non isveglisi trattanto la Brigittina.

 

            giulietto      Me ne caricai la schiena a più non posso ier la sera prima d’annottare, e voi...

 

            celasio          Ed io consumar te l’ho fatte per quel povero pellegrino da noi alloggiato stanotte, si restane contento.

 

20        giulietto      Qual contento troverò io in addossarmi nuova soma, non so. (e s’avvia per la strada numero 27)

 

            celasio          Ah grosserello, se sapessi tal peso di quanto sdossar ti può, tanto tu non diresti.[2]

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Brigida, che piange nella camera di dove prima è uscito Celasio, e detti.

 

            brigida          Uh, uh, uh.

 

            giulietto      O sì va’ va’, e la Brigittina svegliata fa il fracasso, va’ va’.

 

            celasio          Accorri, accorri; quanto temei. (Giulietto si torna, e monta in fretta le scale) Fa’ che non ispauri, son qui, digliel pure.

 

            brigida          Uh sere sere, ser nonno, nonno mio, Giulietto (grida) uh.

 

5          celasio          Son qui non gridare; digliel tu, fatti sentire.

 

            giulietto      Non gridare. (ed entra nella stanza numero 35)

 

            celasio          Vuol venire giuso, ed a piè nudo, e non c’è modo. (e ’l dice nel mentre la Brigida meza spogliata, e scalza intenta a calar giuso fa forza con Giulietto, che vuol rattenerla sul verone numero 34)

 

            celasio          Piano piano, che puoi dar giù con la fronte. Abbi tu la carità, prendile le pianelle va’.[3] (e lasciandola Giulietto va entro per le pianelle, ed in mezo la scaletta la raggiugne, e ce le pone a’ piedi; fra lo che ella dice)

 

            brigida          Ser mio aspettatemi, non partite.

 

10        celasio          Non parto no, t’accheta. Ah ultimo rampollo di questo già secco stelo, come così ti vegg’io.

 

            brigida          Io ser nonno spauriva... ah non ammentai. Sere buon giorno, la benedizione. (inginocchiandosi)

 

            celasio          Sia tu per mille volte benedetta due volte figlia. Ah mi si spremon da gli occhi le lagrime senza che ’l voglia.

 

            brigida          Spaurita era tutta io sola al buio. Sere Sere dicea, e ’l Sere zitto; chiamava Giulietto, e Giulietto non sentiva, ed erami sempre innanzi quel brutto ceffo di quel pitocco mal acconcio di ieri sera, che mi , dillo tu.

 

            giulietto      Fu presa da tale smago, ch’aggrezzò tutta per vero.

 

15        celasio          Non figliuola, bene non di’. Mal si conviene parlar con disprezzo d’un, ch’è come noi: apprendilo tu, e tu.

 

            giulietto      Siam noi com’è colui?

 

            brigida          Quelli grida, la carità: fate bene, la carità; e noi non così, com’è come noi?

 

            celasio          Sì, come noi, e forse meglio. Sotto di tali spoglie può custodir tal uno anima assai migliore.

 

            brigida          Sere, io gli portai a mensa, li porsi da bere, apprestai il capezzale, e voi diceste fa’ fa’, che ti do le nocciuole, ed ove sono?

 

20        giulietto      Ed io gli accesi il fuoco, fei l’acqua odorata; corsi pel ramerino, per le foglie d’arancio. Dio sa il sonno, che perdei; e né men l’ho vedute.

 

            celasio          Benedetti benedetti, pregate chi ne regge: che sempre in ta’ mestieri esercitar ci possa; dite: così sia.

 

            brigida

            giulietto      Così sia.

 

            celasio          Via va’ tu ragazzo riva al fiume, fa’ tua fascina; guardati, ch’ad alcun non nuoccia.

 

            brigida          Sere, vado ancor’io a raccorre le legne? sì, che dite? se vi piaccia.

 

25        celasio          Ah.

 

            giulietto      A che sospirare? n’ho cura io.

 

            brigida          Non dubitate.

 

            giulietto      Ne staremo a vostra veduta in quella macchia, ch’è lì.

 

            celasio          Sì, va’. (allo che Brigida, e Giulietto partono per la strada numero 27) Adempiasi sempre più vostro volere, o gran fattore: tu con ciglio asciutto sai, ch’un Partenio Rodi da un vile così si celi. Tu al basso di me da’ vigore ancora, che veggia Brigida d’un mio figlio prole, e d’una duchessa Ramigni far le legne, per apprestarci un vitto meschino. (e s’avvia per attigner l’acqua del fiume numero 22)

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Livia di lontano, e poi fuori per la strada a portico numero 3.

 

            livia               Oh chi se’ tu, oh quell’uomo, fermati. (gridando)

 

            celasio          Qual voce?

 

            livia               Di fermarti ti piaccia.

 

            celasio          Chi sia non discerno.

 

5          livia               Uom da ben non partire.[4]

 

            celasio          Ella è una donna; tale non vidi mai, a chi parla?

 

            livia               Per pietà aspetta aspetta.

 

            celasio          A me tu dì?

 

            livia               A te sì. (allo che Celasio serba la secchia nella stanza numero 28) Se’ tu quell’uom da bene? Lascia... non mi reggo, or ti dico.[5]

 

10        celasio          Siedi siedi, se ’l consenti t’aiuto ancor io.

 

            livia               Ah che se’ tu quell’uom da bene, ti ravviso.

 

            celasio          Son uom da bene, son uom da male; tutto sta a che m’appiglio povero a me.

 

            livia               Qui da vicino imbattuta mi son io con un viandante, che drizzata m’ha per questo sentiero; ei m’ha fatto cuore con dirmi, fra poco giugnerai ad un villaggio, cerca colà di Celasio tanto uom saggio, e dabbene, che tutto carità m’ha alloggiato stanotte; saratti egli di non picciol solievo. Se’ tu desso Celasio? Dimmelo se Dio t’aiuti.

 

            celasio          Io son ch’ho alloggiato il pellegrino, è vero. Che sia tale qual sento vantarmi, è falso, che possa giovarti è dubbio, vaglio poco. Che la mia volontà sia per te; questo è certo.

 

15        livia               Ah ch’atto saresti a rinfrancar chichesia, ma oh Dio...

 

            celasio          Se a rincorarti vaglia un po’ di vitto l’avrai, se stare a giacere, t’offro qui il mio pagliericcio, ch’io me ne starò altrove, per quanto a te piace; e più, darti posso poco d’un liquore fatto con queste mani molto atto a rinfrancare i tuoi spiriti.

            livia               Ah che capace non ne sono affatt’io.

 

            celasio          Molto piagnolosa ti veggio; gran tristezza hai tu in cuore. Per questa il primo compenso, figlia, è palesarla. Dimmi avanti d’ogn’altro, chi tu se’? Donde vieni così sola tra luoghi deserti? Ah donzella l’onestade è un gioiello, che non dee porsi a rischio di farne getto.

 

            livia               Ah che con un tal dire più mi soffoghi. Che onestà? Che porre a rischio? La disertai, l’annullai, disperata che sono. Uom di pietà salvami da miei, che certo a ragione mi perseguono per seppellirmi. Non men son io, che Livia figliuola del conte Moratti sai?

 

20        celasio          Dio che mi fai sentire! Del conte Moratti nel contado d’Urbino? O eccesso!

 

            livia               Quella sì, e non mento, so io il mio fallo. So che merto. Ben era pezza fa, che m’ammazzassi con queste mani, non che temessi quelle de’ miei; pure atterrita di loro mi do in fuga. Passo per acqua non uno, ma due ben grossi canali, e dico forse m’affogassi, e mi falla; m’inoltro in un lungo bosco, e dico troverò certo animal che mi sbrani, e nol trovo. Mi si fa buio, e cerco nel più cupo di esso una balza, un dirupo per prima atterrarmi che morire, e non l’incontro. Più mi raffretto, ma già infiacchita cado, infrigidisco tutta; m’aggruppo sotto una meza cava battendo i denti, e credo sia già per me vicino lo spirar l’anima (ah spirata l’avessi) né più avverto.

 

            celasio          No, tanto dir non ti lice.

 

            livia               Ma che? Pur per disgrazia apro l’occhi, e veggio giorno. Passa quel passaggiero pietoso; s’accosta; mi ristora, e qui mi manda.

 

            celasio          Resto di sasso.

 

25        livia               Usa con meco, pietoso che se’, l’estremo della compassione. Avvelenami, e poi basta, che in luogo mi meni, che mangiata da’ cani non sia, e sarà il più accetto, che farmi potrai.

 

            celasio          Nobile donna, male è far male, peggio non pentirsi, pessimo il disperare. Morte, che sola da fallo salvarci possa è di buon consiglio il desiarla. A mal commesso sol conviensi il pentimento. Se figlio di questo è ’l tuo pianto, virtù tel mena; atto a cavar da mali non fu mai però il pianto. Palesa a me il tuo fallo, stimami sicuro debitore di segretezza, e credi che ben sovente ad un disperato male il rimedio sorge onde men s’attende.

 

            livia               Grand’uomo, perché il vuoi tutto dico. Sappi che fra le possessioni di quella casa, ov’io per disgrazia nacqui, eravene una con un palagio, e folto boschetto a canto, che mio padre di molti animali salvati chi arricchito tenea. Il nuovo e giovane... ah dolore, vergogna, perché non mi soffogate?

            celasio          È ben, che sappi, per rincorarti, che non v’è sventura, che si soffra, che la prima a soffrirsi ella sia. Né lontan hai chi ti sia nelle sciagure compagno.

 

            livia               Il nuovo duca d’Urbino, faccendosi scorgere desioso di colà fare una tal caccia, subito fu da miei in quella villa un grande apparecchio apprestato in tempo, che noi di casa tutti colà ci trovavamo a diporto. Giunto il giorno stabilito, ed ivi il duca giunto essendo, che prima giunta fossemi una morte improvvisa.

 

30        celasio          L’origine de’ mali, se sia da’ grandi, grandi son elli; e ’l dico non senza l’esperienza; siegui.

 

            livia               Cominciò la per me fatal caccia. Le finestre del palagio sporgevano al boschetto, ed io, e le donne di casa colà ci femmo a rimirare i colpi.

 

            celasio          La curiosità, se in altri può dirsi un’escusabile vanità, nelle donne si è un vizio convertito in natura.

 

            livia               Mi vede il duca, io lui, mi saluta, gli corrispondo per atto non men decente, che dovuto.

 

            celasio          Fin qui bene, ma non più poi.

 

35        livia               Non più; tanto fei, mi fo più passi indietro.

 

            celasio          No, colà fermar non ti dovevi.

 

            livia               Non dovea; pure supponendol partito, benché guardinga, mi rifaccio in finestra.

 

            celasio          Ah sconsigliata; l’esser troppo sospettoso, ed affatto non esserlo, ugualmente son vizi.

 

            livia               Or come se d’altra fiera farsi strage non si dovesse, che di me sgraziata, ivi, ove il lasciai, il trovo. Torna egli a risalutarmi, io fuggo.

 

40        celasio          Tarda fuga.

 

            livia               Vien fatta avvisata di tutto mia madre, comincia a proverbi armi; forzami, ch’altra onoranza io gli faccia; tanto fo.

 

            celasio          Madre imprudente!

 

            livia               M’assicura con sua parola d’inalzarmi a duchessa d’Urbino.

 

            celasio          Credesi volentieri ciocche si desia.

 

45        livia               Cerca con riserba d’impalmarmi; mia madre il consente, ah maledetto agio, che a ciò far mi si diè.[6]

 

            celasio          E non di rado s’assentisce ad un certo male per un dubbio ben conseguire.

 

            livia               Mi diè l’anello, m’impalmò, ah che muoio, non posso dir più innanzi.

 

            celasio          Tanto ti basti, né mai pensò di tal parola attender poi?

 

            livia               Che attendere? Di lì a poco s’udì, ch’altra dama d’Urbino egli con segretezza sposata averebbe. Io quasi che farnetica mi sgraffio, mi dispero. L’ira, il dispetto parlar mi fanno senza ritegno in modo, che resi di tutto accorti mio padre, e di miei tirano incontanente alla mia vita. Tenera di me mia madre m’urta da loro non veduta da un basso poggetto, che sotto sotto spinaio avea. Lor fa credere, che da disperata menata al fiume io mi fossi; e mentre colà per me s’accorre, dallo spinaio mal concia mi caccio. Cambio i panni miei con questi d’una rustica, che in una fratta a legnar se ne stava, che ben di voglia me li rese. Me l’addosso alla peggio, fuggo; a quanto udisti avvenendomi per viva qui mi trovo. Presto, oh Dio, levami dal mondo.

 

50        celasio          Resta per poco, figlia, d’appenarti, senti...

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Giulietto, che grida di lontano poi fuori dal grottoso numero 24, e detti.

 

            giulietto      Messere accorrete; la Brigittina fugge, e non vuol ristare.

 

            celasio          Che fu? Corri tu, fermala. Adagio, Brigida, ove vai?

 

            giulietto      Cala giù dal colle il pastor matto, la l’ha veduto, e ritener non si può.

 

            celasio          Ragazza, a chi dico io? (parlando dentro) corri tu.

 

5          livia               Non lasciarmi, che son morta.

 

            celasio          Non temere, non so che farmi. (e s’avvia per rigiungere la Brigida)

 

            giulietto      Io non fo nulla; correte, che prende la via del fiume.

 

            livia               O me meschina! Tu vai. (e siegue Celasio fin sopra il ponte numero 26)

 

            celasio          Torno ora, che vuoi che faccia?

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Lelio, che cala per li scaglioni dell’archi grottosi numero 24. con istrumento da suono alla mano; e Livia, che incontrandosi seco si torna.

 

            lelio              (Canta) Che tenti? Che fai?

                                                O barbaro infido,

                                                mi togli dal nido

                                                la tortora amata.

                                                Perché tu rubata

                                                me l’hai traditor?

                                   (parla) Chi è qui? Tu qui che fai?

 

            livia               Chi chiamo?

 

            lelio              (Canta) Quai gridi, quai lai,

                                                non mando dal cuore!

                                                Né a tanto dolore

                                                ti fai molle ancor?

                                   (parla) Chi vuoi? Onde vieni? Ove vai?

                                   (canta)  Ma sappi, ch’ormai

                                                ti giungo, t’arresto;

                                                sarai tu ben presto

                                                da me fatto in brani

                                                con queste mie mani,

                                                o mostro d’orror.

                                   (parla) Di’, perché qui stai?

 

            livia               Oimé, chi m’aiuta?

 

5          lelio              No, fermati. Mi giova che ci stai.

 

            livia               Buon vecchio, rivieni o Dio.

 

            lelio              Perché gridi? Cos’hai?

 

            livia               Affrettati per pietà. (va per partirsi)

 

            lelio              Fermati, ho detto. (trattenendola)

 

10        livia               Da me cosa vuoi?

 

            lelio              Lascia, che con teco conti i miei guai.

 

            livia               Oh ambascia; e colui non ritorna.

 

            lelio              Sai quand’io, quant’io amai?

 

            livia               Non so nulla, no. Che so che di’?

 

15        lelio              Ma sai, che, perché amai, qui mi trovo.

 

            livia               Chi mi salva da costui?

 

            lelio              No, mento. Anzi qui mi trovo, perché non bene amai.

 

            livia               Pastore, va’ altrove; lasciami col mio duolo. Racconta ad altrui...

 

            lelio              Ad altrui? Errasti, se te in veggendo di quel furore, ah, che ben acceso non fui, accender mi veggo; ed ancorché da lungi di sbranare mi fido...

 

20        livia               Son morta.

 

            lelio              Sì mi fido, quello barbaro vile assassino. E tutto che generato da un mostro, allevato tra draghi, pasciuto da tigri egli sia, pure ho petto, ho cuore d’atterrarlo; ma con che? Ferma, or tel dirò. Troverò una clava, che in mie mani compagna divenga a quella d’Ercole. (e svelle un ramo d’arboscello) Di’, tu sai i miei guai?

 

            livia               E lasciami, oh Dio, ch’assai più grandi sono i miei.

 

            lelio              Più grandi?

 

            livia               Sì gli passano a coppie.

 

25        lelio              O dunque a farne agguaglio t’accingi; ed allor che perderai, fia tu lo sfogo del mio furore.

 

            livia               Ah che m’uccide, aiuto. Chi soccorre? Chi viene?

 

            lelio              No, non temer soperchianza; che se mai poi mi vinci, ecco prendi con questo laccio e tu mi strangola. (e rompendo un laccio appiccato allo stromento gliel butta)

 

            livia               Sia pur costui chi mi levi dal mondo. Saper si può da me cosa vuoi?

 

            lelio              Non altro, sentenzia all’udir de’ miei, al dir de’ tuoi guai. Senti; i miei in altezza trascendon le nuvole, in larghezza l’emisferio, in profondità il mare.

 

30        livia               Perdi; i miei giungono a più fondo.

 

            lelio              Sì?

 

            livia               Sì, arrivano all’inferno.

 

            lelio              Ho torto. Ah colà dovea co’ miei condurmi, non qui. Bene, segnala per te; ma qui bisogna, che tu mi ceda. Nati non sono i tuoi, come i miei, da un tiranno.

            livia               Che cedo? Ne menti. Ebbero i miei ancora un tal padre.

 

35        lelio              Ambi da un padre? Dunque siam noi frati. Lascia, o cara, ch’io t’abbracci...

 

            livia               Sta’ in te pastore, ch’aprirotti l’uscita all’anima.

 

            lelio              E no t’accheta. Vantiamo un padre stesso, e temi da me oltraggio? Non sia mai.

 

            livia               Ah l’aspero, perché m’uccida, e più si calma.

 

            lelio              Oh Dio, negli occhi tuoi non so che discern’io; sia barlume, che rischiara, o folgore, ch’incenerisce. Ah che, te in vedendo, s’affaccia in me la rimembranza...

                                   (canta)  La cara rimembranza

                                                del ben, che un dì fu mio,

                                                se in me s’avanza,

                                                discaccia il rio

                                                pallor, che tinge

                                                ardor, ch’accende,

                                                ira, ch’offende;

                                                e ’l duolo finge,

                                                che lascia il cor.[7]

 

40        livia               Chi mi spinge ad udirlo? Perché non parto? (replica l’aria, ed allor che giunge a’ versi, e ’l duolo figne, che lascia il cor, spezza il cantare, e dice)

 

            lelio              Lascia? Che lascia? Figne figne; che lasciar vuole? Egli allora mi lascia, quando che lasciata sotto queste branche ha la vita l’omicida crudele dell’onor mio.

 

            livia               Pur dell’onor si lagna? Tal punto, tal sapere in un pastore! No, che tu pastore non se’. Hai mi a dir chi tu sia, chi generò i tuoi mali, che io...

 

            lelio              E tanto di sapere presumi?

 

            livia               Sì; che se un tiranno spense il tuo onore, un tiranno assai più crudele schiacciò il mio, sappi pure.

 

45        lelio              Presumi dunque anche in ciò con meno di gareggiare. Agguaglia, agguaglia, malardita che se’, un Alessandro della Rovere.

 

            livia               Ah che sent’io!

 

            lelio              Somiglia un tal nemico, se puoi.

 

            livia               O che di’! Parli d’Alessandro d’Urbino il padrone?    

 

            lelio              Sì d’Alessandro, sì. Ah vile che sono, come egli ancora nella mia bocca, e non fra le mie mani? Non più indugio. Si dia...

 

50        livia               Ferma; ove vai? (e ’l trattiene a forza)

 

            lelio              Lascia, ch’a vendicarmi omai.

 

            livia               Piano, m’ascolta.

 

            lelio              Come, a ciò far mi rattieni? Ah parteggiana infame, muori. (e venendo in furia se ne disbriga, faccendola cadere a terra)

 

            livia               Pietà, o Dio, che t’inganni. Va’, uccidi, vendica con la morte d’un tiranno l’offese tue, e le mie.

 

55        lelio              Che? E le tue? Ah menzognera incantatrice così pensi... (alza il ramo, che ha alle mani per colpirla)

 

            livia               Ah ah che fai? Non son tale, sono Livia Moratti resa vile da quello barbaro, e disonorata, il sai? E se il sai, o che tu chiunque se’ mi prometti vendetta, o pur via scendi il colpo, e qui mi resta.

 

            lelio              Tu Livia? Tu la Moratti?

 

            livia               Sì, sì; se non tel dicon quest’occhi, e tu mi svena, che tel dirà il sangue mio.

 

            lelio              E tu qui, e tu così? (e porgendole la mano l’alza)

 

60        livia               Tel dissi già, mi vedi, non ho più fiato.

 

            lelio              Ah Livia, e sai tu a chi palese fatta ti se’?

 

            livia               Che so io? Sol so, che sono una disperata.

 

            lelio              Che disperata? Hai per te Lelio Brighi. Ah che il tuo orribile caso generò il mio, l’alleva, l’alimenta.

 

            livia               Che? Tu Lelio?

 

65        lelio              O me morto, o te vendicata vedrai. Meco ti porto. (e l’afferra per seco condurla)

 

            livia               E dove?

 

            lelio              Sarai tu spettatrice dell’orribile scempio.

 

            livia               Ascolta.

 

            lelio              Non occorre altro. Che se poi parte vuoi di quel barbaro cuore; allor, che svelto l’avrò, ti si dia.

 

70        livia               Celasio aiuta.

 

            lelio              Grida pur quanto vuoi.

 

            livia               Trattienti per pietà.

 

            lelio              Lo di’ tu invano.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Celasio, Brigida, e Giulietto dall’archi grottosi numero 24 e detti.

 

            celasio          (Ch’essendo sopra il ponte dice) Ferma Valerio ferma.

 

            lelio              Va’ in là, non t’accostare.

 

            brigida          Ah vello; che paura![8] (fugge)

 

            giulietto      Da vero, scappa. (fugge)

 

5          livia               Non v’è chi mi soccorre.

 

            celasio          Corri tu giungi quella. (a Giulietto) Ah inetto che far pretendi. (a Lelio)

 

            livia               Oh Dio son morta.

 

            lelio              No; quel nero cuore terrò per me, tuo sarà il fiele.

 

            livia               Buon vecchio.

 

10        celasio          Non temere. (a Livia) Forzala. (a Giulietto)

 

            lelio              Vieni, che vuoi più?

 

            celasio          Tiella stretta. (a Giulietto) Pastore dissennato, soperchio ardire è ’l tuo. (a Lelio)

 

            livia               Che pastore? Non è tale; è Lelio Brighi, trattiello.

 

            celasio          Oh sia così! Che farommi?

 

15        lelio              Così ti contenta, così voglio. (conducendola seco infine a stento per la strada numero 3)

 

            celasio          O caso! Guidala tu. (a Giulietto, e via seguendo Livia, e Lelio)

                                   SCENA VII

 

                                   Giulietto che conduce Brigida con istento verso sua casa.

 

            giulietto      A che piangi? È ito via; vello tu, il sere il mena in là vello.

 

            brigida          Oh Dio, che ho paura. Chiama il nonno, non vo’ venire.

 

            giulietto      Non gridare, Brigittina mia melata, andianne a casa; che mi farò dare il cucciolino da Monna Grazia, e tel darò, che salta, sta ritto, porge la zampina, e fa tante delle belle cose.

 

            brigida          Sì, tu vai, e lo prendi, ed io poi sola resto a spiritare.

 

5          giulietto      O che s’ha a far con te stamane? Se rammentassi ciò, che dice il nonno qual timore avresti tu?

 

            brigida          Io rammento solo quel brutto, e tremo.

 

            giulietto      Quanto hai il capo duro! Il sere dice sempre; temete sol la colpa, guardatevi dalla colpa, fuggite sol da quella, e fuor di essa tema non vi faccia chichesia; e tu fuggi, e temi Valerio, perché?

 

            brigida          Perché? Perché questa, che si chiama colpa, io mai la vidi, e Valerio sì. Come più brutta esser può di colui?

 

            giulietto      E ’l sere dice di sì, e tu pur caparbia.

 

10        brigida          Sarà mi credo una brutta brutta, vecchia vecchia.

 

            giulietto      Che sì che l’indovini. Dett’ha egli, che nacque quando nacque il mondo.

 

            brigida          Uh quant’anni! Sarà lunga lunga.

 

            giulietto      Lunga tanto, che arrivò fin una volta in cielo.

 

            brigida          Uh nonno mio, io già temo sai, e dove sta ora?

 

15        giulietto      Dice che si trova ove men si pensa.

 

            brigida          Come ha la faccia, le mani?

 

            giulietto      Tanto poi chi ’l sa? Dice il sere ancora, beati voi, se non sapete come sia.

 

            brigida          E come n’abbiamo a guardare?

 

            giulietto      E tu niente rammenti. Non disse egli, se a quel che dir vuoi, se a quel che pensi, se a ciò che fai, il cuor ti dica; vedi, che incontrerai la colpa, e tu fuggi, e tu non dire, e tu non fare. O via vattene a casa.

 

20        brigida          A casa?

 

            giulietto      A casa sì. (e fa con bel modo, che la Brigida se ci riconduca) Che frattanto non vai a corre un paniere di cavoli...

 

            brigida          Li colsi fin da ieri sera i cavoli.

 

            giulietto      Va’ menami la giubba, e ’l cappello; e mentre tu non isbruchi i cavoli, torno a te col cartellino.[9] (allo che Brigida monta in fretta le scale menandogli lo che ha chiesto)

 

            brigida          Eh, io vad’ora a sbrucare i cavoli; tanto sto fa, che ti trovi rivenuto.

 

25        giulietto      Oh non ne dubitare. Oh mal abbia il male! Torna Valerio col messere, svignamo. (parte in fretta per la via del ponte numero 27 ponendosi la giubba)

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Celasio, Lelio, e Livia dalla strada numero 3.

 

            celasio          Ragion ti guidi. Rivieni in te, Lelio. Ah che a bistento ti credo tale. Sai tu da quale illustre ceppo diramasti?

 

            livia               Se in faccia di me la stessa sciagura guardando per poco tu ti calmasti, guardami di nuovo, mitiga negli affanni miei il tuo dolore.

 

            celasio          Per grandi che siano i tuoi mali, farne agguaglio con l’onore posto in forse di questa nobile donzella non puoi.

 

            livia               E pur così fosse, ch’ancora in forse dir si potesse. Perdesti Lelio al paragone.

 

5          celasio          A ben soffrir le sue mi sventure uom por si dee avanti gli occhi gl’infortuni degli altri.

 

            livia               Dicesti, che, allor che perdevi, dato al totale mio arbitrio ti saresti. Se’ cavaliere? Attendi.

 

            lelio              Il dissi, attendo; ammazzami, hai ragione.

 

            livia               No, tanto non cerco.

 

            lelio              Che di me farai di più?

 

10        livia               Narra i tuoi affronti, vendicali, e co’ tuoi vendica l’offesa mia.

 

            celasio          Eh che non ben pensate. E che altro sia la vendetta, se non la tromba del disonore? Solo il prudente consiglio salda le piaghe, che la vendetta sempre più incancherisce? Di’ figlio, che in tale stato ti ridusse? Di questo Livia ti richiede. Attendi, sel promettesti.

 

            lelio              E sia possibile, che Lelio dica i suoi torti, e che ancora sia Lelio?

 

            livia               Lelio per esser Lelio dir lo dee, se l’onor lo costringe.

 

            lelio              Se l’onor mi costringe?

 

15        celasio          Promettesti? L’onor, se lo stimi, vuol, che tu attenda.

 

            lelio              Sì che lo stimo. Dirò: sappi, che stato send’io fin da ragazzo d’Urbino lontano, guari tempo non è, che in una mia baronia, colà dintorno di ritornare convennemi; né altri de’ miei vivi trovando, sol che una mia zia monaca in un di quei monasteri d’Urbino, con lei tutto giorno senza persona vedere dalla mia villa ivi a parlar mi portava. Altra monaca avea ella sua strettissima amica, che in cura tenea una non men, che bella, savia, e leggiadra sua nipote, Clarice Orsucci chiamata. Or portandosi molte, e spesse fiate l’amica della mia zia con lei alle grate per me ritrovare, unita a loro cominciò ancora la nipote a calare. I savi di costei portamenti, i seri costumi, l’aria del viso, la frequente occasion di vederla, furono tanti strali per lo mio cuore; e non disuguale corrispondenza in lei trovando, aggiunto a ciò le volontà molto concordi delle nostre zie, fero che parola di sposarci data ci fussim noi, e che impalmata io l’avessi. Ecco con ciò commosso l’inferno.

 

            celasio          Non v’ha fonte quaggiù di piacere, che l’onda mistigata di qualche amaro non abbia.

 

            lelio              Ma che amaro! Fiele, assenzio, tosco maggiore non ha avuto l’abisso.

 

            livia               Siegui, oh Dio.

 

20        lelio              In questo s’obbliga di parola la Madre della mia amata (che padre ella non avea) di darla in moglie ad un tale disgraziato cavalier Giustini turinese. Ripugna la mia cara, e per me apertamente si dichiara. Comincian fra me, e ’l Giustini le gare; tanto che per lieve cagione a duello un giorno mi chiama. Son tenuto per onore a soddisfarlo.

 

            celasio          Che onore? Disonore si è ubbidire alle dure leggi del mondo; disordine, a cui dar freno sempre più si dovrebbe.

 

            lelio              La sua, e più mia disgrazia, volle, che restasse il Giustini da me su la rena morto: esule perciò fatto io da Urbino, restata l’anima in poter di Clarice, piangea straziato dalla di lei lontananza. Occorse tra ciò, che a caso portandosi il nuovo Duca d’Urbino in quel monistero, pensaron le nostre zie dell’occasion profittare, e fatta dare da Clarice al Duca una supplica, la fan presso di lui per la mia liberazione intercedere, come perché la sua autorità presso la di lei madre interponendo, alle nozze tra di noi stabilite assentirla facesse.

 

            livia               L’ottenne?

 

            lelio              Ah non l’avesse mai ottenuto.

 

25        celasio          Pensate; dal sovrano non dee attendersi replicato il comando, ma d’uopo è investigarne il volere, e prevenirlo con l’opre.

 

            livia               Di’, racconta, che fe’ poi lo spergiuro?

 

            lelio              Pensa di persona tal grata novella a Clarice di portare, come fa.

 

            celasio          Atto troppo gentile, e sospettoso.

 

            lelio              Colà torna: le nozze di noi conchiude; concede, che subito ripatriar possa io; dà egli la giornata alle sponsalizie per intervenirci; promette ancora di tenere il primo parto alla fonte. Mi si spedisce subito corriere con tal gioioso rapporto. Rivengo, non so, se per terra, o per aria al monistero; smonto, do il primo passo per colà entrare, e mi veggo da quattro fermato, che fin dalla porta d’Urbino mi perseguivano senza che allor ci badassi. Mi si fa ordine, e sotto pena della vita, che resti da quel punto perpetuamente d’Urbino sbandeggiato.[10]

 

30        celasio          O caso non facile ad immaginarsi!

 

            livia               Ed in qual Nerone died’io, quale?

 

            lelio              E senza darmi tempo da esalare un fiato, a montare mi danno nuovo cavallo. Pongonsi essi in sella, ed a me d’attorno mi rincalzano a batter di sprone. Son costretto con più cambiature ad irne venti leghe fuori di stato, ed ivi col perpetuo, e capitale bando mi rilegano dopo quaranta leghe fatte ad un fiato.

 

            livia               E vivo tu restasti?

 

            lelio              Nol so; a terra cado, senza moto, senza mente, e così resto al Sole, all’acqua, al vento.

 

35        livia               Ed ei può la mente ricuperare, ed io non perderla? E come?

 

            celasio          Più facile sarà, che grossa nave tra l’acque di piccolo ruscelletto si regga, che tra vizi di chi lo regge uno stato.

 

            livia               A che t’appigliasti?

 

            lelio              E chi ’l sa? Altro non so dire a chi di la trar mi vuole; sapete di Lelio Brighi, che ha fatto? Che gli s’imputa? E da tutti mi si risponde, è morto, è morto.

 

            celasio          Ciò sparger fece egli, perché tua donna ti obbliasse. Qual mai gratitudine ad un sovrano non saran per render i popoli suggetti, se fatti vengan felici dal di lui incolpabile dominare.

 

40        livia               Che di te poi? Di’, che spasimo.

 

            lelio              Dal dolore, dal dispetto spinger mi sento. A’ confini dello stato rivengo, manifesto in un foglio il lordo, e traditevole tratto, chiamo l’autore indegno di alcun rispetto, giuro cavargli il cuore, ove meglio l’occasion mi si pari; più copie ne getto, e di là m’involo.

 

            celasio          Troppo ardimento! L’animo riscaldato non consiglierà mai bene.

 

            livia               Indi che avvenne? Ah che non finirò d’udirlo.

 

            lelio              Altro dire non so, sol che vendei quanto presso di me avea per nudrire il mio avvelenato cuore, e tutto e quanto ne ricavai in una locanda una notte mi fu tolto.

 

45        livia               Puntura di piccola serpe avvelena, ammazza; e spietati morsi di simil fatta morir non fanno?

 

            celasio          Pure in questi arnesi come ti trovi?

 

            lelio              Ed hai chi ’l dice? Sol so, che in luogo deserto conduco, no, son condotto da i giovenchi d’un vecchio pastore. So, che figlio mi chiama; non so, se mi nutre... sì, mi sgrida, mi carezza, so... so, che piango da sera a mattino; so che non son più vivo, e campo; so che...eh lasciate un disperato; a che cercarne più?

 

            celasio          O eterni imperscrutabili consigli!

 

            livia               E dove vide mai anime più subissate il mondo?

 

50        celasio          Animo figlio. La mano ultrapotente ti resse, ad altro ella ti serba. Udite...

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Don Pomponio, ed Arsenio di dentro le stanze del Palazzo essendo chiuse così le porte di suso, come la grande di giuso di esso.

 

            d. pomponio  Rubretto, Rubretto, ahi Rubretto.[11] (grida)

 

            celasio          Oh è levato il padron del villaggio.

            livia               Che si risolve? Ah me meschina.

 

            lelio              Mezzo in me mi vedo io per te; guidami tu.

 

5          livia               Non m’abbandonate.

 

            d. pomponio  Chisso? Chisso dorme ancora; scetalo da lloco.[12]

 

            celasio          Cavaliere, nobile donna, in ugual periglio voi siete.

 

            arsenio         Uberto, Uberto. (grida)

 

            celasio          Restatene meco; e pregate, che lume abbia io per un tanto consiglio. (accennando a Livia, che monti la scaletta di sua casa)

 

10        d. pomponio  Chiamma da ssa loggia, da sso barcone, au che fremma.[13]

 

            lelio              E ’l mio vecchio pastore non vedendomi?

 

            celasio          Sì che puoi farti noto col suo zelo per l’amor, che ti porta.

 

            arsenio         Uberto, Uberto. (fuori il balcone numero 16) È sordo in tutto, o è morto.

 

            d. pomponio  E manco; qua panteco ll’è afferrato.[14]

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Brigida dalla porta numero 35 esce sul verone numero 34.

 

            celasio          Va’ tu suso figlia. Brigida apri, sta’ tu servendo chi vien suso.

 

            brigida          E chi vien suso?

 

            celasio          Apri. (ed aprendo Brigida la porta della colombaia numero 31 fa che la Livia entri)

 

            arsenio         Uberto. (dalla loggia numero 18)

 

            celasio          Va’, che per tua fante troverai mia nipote; e tu meco per poco ne vieni. Ascolta, or siamo da te. (e via Lelio, e Celasio per la strada numero 3)

 

            d. pomponio  Chisso addò s’ rutto il cuollo?[15]

 

            livia               Vedete, che dal vostro ritorno dipende la mia vita.

 

            d. pomponio  O signor Rubretto. (s’affaccia al balcone numero 16 fumando con la pippa; e col giornale sotto il braccio) O signor mmalora; li denare miei a chi le pago.

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Uberto in atto d’aprire la porta grande numero 4. Don Pomponio, ed Arsenio di sopra.

 

            uberto           Illustrissimo, illustrissimo, son qui pronto.

 

            d. pomponio  Ma se UssignoriaArzenico veda lei, he ntiso mo? Rubretto è uscito il sole, bestio. Messer Arzenico s’è posto paura di perdere la voce.[16]

 

            arsenio         Il vostro è un bel dire; per men di questo arrocai ieri l’altro, e spesi allo sciloppo per disasprire la fiochezza in gola, né la mia puntualità femmelo porre a conto.

 

            d. pomponio  Averimmo da tenè il partito con il speziale, per quando Ussignoria s’abbroca. Addo è sso patto?[17]

 

5          arsenio         L’equità è fuor della legge scritta.

 

            d. pomponio  Fora cossì sta scritto? E i potarria dicere, vasta che non l’aggio scritto io; e te voglio confondere; Ussoria sel pona a cunto.[18]

 

            uberto           Son qui all’ordine, illustrissimo. (fuori)

 

            d. pomponio  Un mannaggia ll’ora, che ne sete asciuto vivo, non nge vorria mo?

 

            uberto           Io era col postiglione a sostarlo, che facea rovina per partire.[19]

 

10        d. pomponio  Che? Ch’ha ditto? Chisso a chi sostava?

 

            arsenio         O sì; un postiglione da Urbino questa reca. (cacciandosi di tasca una lettera)

 

            uberto           (* O vedi, or ce la rende.)

 

            d. pomponio  Chi lo manda? (e passa alla loggia numero 18 dov’è Arsenio)

 

            arsenio         Veder si può.

 

15        d. pomponio  E Ussignoria il vedete.

 

            arsenio         Ci voglion l’occhiali per me.

 

            d. pomponio  E lui non li tiene? Se il prendi.

 

            arsenio         O i miei costano a me danari. Questo poi di logorar la mia roba...

 

            d. pomponio  Te vuò mettere a cunto l’acchiale pure?

 

20        arsenio         Di giustizia mi pare.

 

            d. pomponio  Te pare? (offerendoli il giornale) stampategille. Legite, (* diavolo sazialo.)

 

            uberto           (* Si crederebbe?)

 

            arsenio         (Apre la lettera, e legge) Urbino diciassette gennaio. (e subito passa a leggere la soscrizione) Il conte Frappelliere. Diavolo! Il secretario di stato della corte d’Urbino.

 

            d. pomponio  E che bo chisto? Chesta... che ; che ; non me fa morì de jajo.[20]

 

25        arsenio         (Siegue a leggere) Perché attiene al servizio di Sua Altezza, che tre dame con quattro cavalieri abbiano comodo in cotesto villaggio la notte de’ venti tre, gliene prevengo la notizia, acciò resti a suo conto di provvederli di tutto lo necessario, e resto per sempre il conte Frappelliere.

 

            d. pomponio  A tutte lo... o zeffunno! Che bo di, mangià, e bevere, e po a tutte lo necessario, so sette, nge vonno sette necessarie. Chisso è sceruppo. Chessa quando è benuta?[21]

 

            uberto           Io da ieri sera la consegnai al signor ragioniere.

 

            arsenio         Ed io era coricato, ed al buio; non potea alzarmi, e prendere un malore.

 

            d. pomponio  Perché t’aveva da prender la mmalora? Te mettive a paura? Allumma la candela.[22]

 

30        arsenio         L’olio ci mancava.

 

            d. pomponio  che diavolo. Ussignoria a li cunte (apre il giornale, e legge) cca se porta pe la candela soja ogni notte o... commo dice qua.

 

            arsenio         Olio per lo mio lume dieci paoli.[23]

 

            d. pomponio  Che dì, cchiù di miezo ruotolo la notte.[24]

 

            uberto           (* È pur grossa.)

 

35        d. pomponio  Manco se allumasse lo catafarco de la Sellaria; e dice, ca staje a la scura de cchiù.[25]

 

            arsenio         Ma, illustrissimo, non siete informato dell’alterato prezzo per la scarsezza.

 

            d. pomponio  (Siegue a leggere il giornale) Chesso appriesso che dice? Per lo spitale... no, pe lo speziale il posteriore, che cancaro aje scritto ccà?[26]

 

            arsenio         Per ospiziare il postiglione.

 

            uberto           (* O bella.)

 

40        d. pomponio  Sì, e be?

 

            arsenio         Una piastra.[27]

 

            d. pomponio  Commo? Chillo ospezeja a la casa mia, ed io pago ad Ussignoria l’alloggiamento?[28]

 

            arsenio         Per lo servigio di sopravanzo pagate, a cui non son tenuto.

 

            d. pomponio  Sicchè aggio tuorto? Aggio tuorto. (siegue a leggere il giornale) chesso appriesso che dice? Pe la cera appestata al medico, qua miedeco? Chi è appestato?[29]

 

45        uberto           (* Io smascello.)

 

            arsenio         Pe la cena apprestata al medemo.

 

            d. pomponio  Quanto?

 

            arsenio         Una piastra.

 

            d. pomponio  E commo stampaste sta cena? Tu non te susiste, tu stive a la scura; o spetale aspettame.[30]

 

            uberto           (* Così non fosse.)

 

50        arsenio         Si cenò la mia, ch’io ne stava svogliato. Padrone, quando non vi piace il mio servire, sborsatemi lo che mi dovete, ed anderò via. (e s’avvia per le stanze)

 

            uberto           (* Tienilo ben uncinato per la gola)

 

            d. pomponio  Che ? (e raggiungendolo il trattiene) Non po sbafà, non po sfogà lo patrone, core mio, co le gente soje? (* Fortuna che me ngiaje puosto sotta) non jammo a piglià collera. Orsù respondimmo al si seritario. Piglia lo calamaro. (lo che Arsenio asseguisce) Chisso è un gran diavolo di lotano, chiama il si Cesario tu.[31]

 

            uberto           Messer Celasio, eh messer Celasio.

 

            d. pomponio  Mo non aggio un callo, e puro sotto a isso aggio da ire.[32] (uscendo alla loggia numero 18)

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Brigida sul verone numero 34 e detti.

 

            brigida          O siete voi, messer Uberto, volete da me cosa?

 

            uberto           Ragazza fate calare messer Celasio.

 

            brigida          Ma non c’è, mi spiace; verrà ora, e gliel dirò; e ’l nonno calerà subito.

 

            uberto           Il padrone il cercava.

 

5          brigida          Uh me tapina, come s’ha a fare?

 

            d. pomponio  Ussoria scriva al si secretario da lloco. (additandoli che scriva sopra il balcone numero 16) Vonno esse parole carzante, e che pesano.[33]

 

            brigida          Allor che viene io dico subito, l’illustrissimo vi cercava, sapete. (entra, poi torna fuori dov’era all’esser da Uberto richiamata)

 

            uberto           Bene bene.

 

            d. pomponio  «Signor mio ossequiosissimo». (passeggiando su la loggia detta ad Arsenio, che scrive sul balcone numero 16)

 

10        arsenio         (Comincia a scrivere, e poi si ferma con dire) Ossequio...

 

            d. pomponio  Scrive, non mme nterrompere.

 

            uberto           Eh monna Brigida ditemi, dove il potrò trovare?

 

            d. pomponio  (Detta) Ussignoria mio padrone...

 

            brigida          Andate, che se di là viene, l’incontrerete per sicuro. (additandogli la strada numero 3 ed entra nella stanza numero 35)

 

15        uberto           Dite benissimo.

 

            d. pomponio  (Detta) «Ussignoria mio padrone, dica a sua Artezza cento incrine».[34]

 

            uberto           Il cercherò signore, che non è in casa.

 

            d. pomponio  Ancora staje lloco? (detta) «Cento incrini...» O diavolo ti fanno rompere il filo. (detta) «È che stiamo dentro li boschi, che potrà contro merito nostro contribuirsi per tutto quello si potrà fare, per contracampio

 

            arsenio         Non è da ruzzolar cirimonie, bisogna pensare al ricapito.

 

20        d. pomponio  che non te scorde contracampio. (detta) «Di cento mila, anzi un melione e mezzo de favori senza numero, che perché per ogni berzo si farà tutta l’obricazione per starli servendo questi cavalieri e dame; avvantandomi per ogni ossequiazione per de Ussignoria.» E bero lo recapito; porta qua. (e mentre si soscrive dice) Va, e non rispondere accossi; chillo te stima per un chiafeo. Leggami Ussignoria.[35]

 

            arsenio         «Ussignoria mio padrone, dica a Sua Altezza cento inchini.» Dica?

 

            d. pomponio  Dica, dica, non nce le buo dicere?

 

            arsenio         «E che stiamo dentro li boschi, che potrà contro merito nostro contribuirsi a per tutto quello si potrà fare per contracambio di cento mila, anzi un milione, e mezzo di favori senza numero, che perché per ogni verso si farà tutta l’obbligazione per starsi servendo questi cavalieri, e dame; vantandomi.»

 

            d. pomponio  Avantandomi.

 

25        arsenio         «Avantandomi per ogni ossequiazione per di vossignoria...»

 

            d. pomponio  «Per de ussignoria

 

            Arsenio         «Per de ussignoria» (ed accennandoli Don Pomponio, che legga la soscrizione siegue egli dicendo) «Stimatissimo, ed osservandissimo servidore disposto, il Signor Don Pomponio Varvadoro?» Il signore?

 

            d. pomponio  Il Signore sì, commo non fosse Segnore?

 

            arsenio         Benissimo.

 

30        d. pomponio  Benissimo, bene assai. Serrala, e fance la soprascritta, e consegnala mo a il postiglione.

 

            arsenio         (E mentre la serra e fa la soprascrizione suggellandola dice) Siete chi siete signore; dar men di due piastre al postiglione vi è di smacco.

 

            d. pomponio  E chesso pure ngel boglio, abbiangelle.[36]

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Uberto dal portico numero 3 e detti.

 

            uberto           Ecco giusto di ritorno messer Celasio; il fo salire?

 

            d. pomponio  Fallo aspettà lloco, ca mme voglio conseglià co chisso, per chello che me commene.[37]

 

            arsenio         E sono l’ultime due piastre, che tengo de’ vostri danari.(lo che udendo Don Pomponio gli cade la pippa di bocca, ed entra dalla loggia numero 18) Eh Uberto date, e la lettera, (e gliela mena) e queste due piastre al postiglione per ordine del padrone. (menandogliele ancora dal balcone in tempo, che possa il padrone udirlo)

 

            uberto           Per ordine del padrone?

 

5          d. pomponio  Per ordine del padrone; fuss acciso tu, e isso; e tutti li patrune. (ed entra nelle stanze)

 

            arsenio         (Ed al vedere, ch’il padrone non può più udire dice) Dategli mezza piastra del vostro, che poi ve la rimborserò io. (ed entra)

 

            uberto           Mezza piastra? Benissimo. O messer lo postiglione fatti da me, (* tu tiri a levargli il giubbone, ed a me dà l’animo carpirtelo di mano, e ’l tuo di dosso)[38]

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Postiglione, che vien fuori della corte del palagio per la porta grande numero 4. Celasio dalla strada numero 3, e detto.

 

            uberto           Va’ col buon viaggio. (porgendo la lettera al postiglione)

 

            celasio          Eccomi al servigio dell’illustrissimo. Comanda, che vada suso?

 

            uberto           Calerà ora. Postiglione va per la porta di dietro, che ti risparmia cammino, vuoi più da pranzo, da bere, se’ soddisfatto? Bene (dicendogliele in modo, che Celasio s’accorga del segno affermativo, ch’ad un tal suo dire fa il postiglione) son per servirti, addio. (dopo di che il postiglione parte per la porta, che introduce nella corte del palagio non veduta) Un postiglione venuto da Urbino va via. Il padrone ha fatto darmeli due piastre, e mezza. Godo, ch’abbiate veduto, che se n’è dichiarato soddisfatto.

 

            celasio          Cenno ha fatto di sì; il vidi certamente.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Giulietto con in braccio una cagna vien pel ponte numero 26 in strada, s’accorge di Celasio, se non ivi giunto, Celasio, ed Uberto.

 

            celasio          E donde vieni tu con questa cagna? Io ti credea in cura della ragazza.

 

            giulietto      Per far, che la Brigittina entrasse a casa, ho dovuto imprometterle, che l’averei condotto questo catellino; se no, non c’era verso.[39]

 

            celasio          Avrò un altro momento per venire con decenza?

 

            uberto           Datevi ora, e comodo.

 

5          celasio          Ah pazienza; ti lascio in cura della ragazza, e tu col catellino.

 

            giulietto      Padrone, è stato a fin di bene.

 

            celasio          Così lo sia. (e sale con Giulietto a sua casa)

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Don Pomponio, ed Arsenio dalla porta della sala numero 12, che vengono giù per la scalea.[40]

 

            d. pomponio  Gnorsì va bene, squisitissimo; non mi perolià chiù.[41]

 

            arsenio         (ch’essendo giunto con Don Pomponio all’arco della seconda volta numero 10 dice) Riceverà Vostra Signoria Illustrissima quaranta piastre con patto di restituirmene fra due mesi cinquanta.

 

            d. pomponio  Toppo. (e s’avvia giù fermandosi poi all’arco della prima volta numero 9)

 

            arsenio         (Dov’era) E non trovandosi pronto il pagamento restin tutte le cinquanta per capitale, e per altro mese mi se ne debban pagare altre quindici.

 

5          d. pomponio  Parolo, e massa; toppo.[42] (e s’avvian giù tutti e due)

 

            uberto           (* Auh precipizio! Ucellaccio di rapina, altra zampa gli pone addosso.)

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Celasio, che vien giuso con Giulietto, che fin a mezza scala l’aiuta a porre la cappa, e risale.

 

            celasio          Son qui all’ordine dell’Illustrissimo.

 

            uberto           Ecco che cala; vi troverete ad un bel contratto.

 

            arsenio         (Giù col padrone sotto il porticale uscendo fuori) Ma ad un tal riguardo, che dissi, si può concedere.

 

            d. pomponio  E commo diciarrisse? Assame capì. Mo si Cesa, riverisco.[43]

 

5          arsenio         Unir questa con altra polizza di due mesi fa, e farne una.

 

            d. pomponio  Ma de chella non è fernuto il tiempo.

 

            arsenio         Mancano sol pochi giorni. Un lecco a chi fa il piacere ci vuole.[44]

 

            d. pomponio  Chesso non è leccare, ch’è scrofoniare. Sette allevà, e parolo; toppo.[45]

 

            arsenio         Dirò con chiarezza: le prime trenta cinque piastre improntatevi con le cinque per lo interesso non pagato le uniremo con le quaranta, che ricevete, e se ne farà polizza d’ottanta con patto espresso, che siccome delle quaranta pagar se ne doveano cinquanta, così di tutte le ottanta pagar se ne debbano cento; e non pagandosi terminato detto tempo, fo l’arbitrio, che per altro mese possiate disborsarmene cento trenta.

 

10        celasio          O eccesso!

 

            d. pomponio  Priesto lo Notaro, che poco nge vo, e toppo lo palazzo. Che bo dì, ca...

 

            uberto           A vostra Signoria Illustrissima vengono improntate settanta cinque piastre, e per cinque mesi pagarne dovete cento trenta.

 

            celasio          Pagando immagino il cento ottanta per cento. E come mai può farsi un tal contratto, messer Arsenio?

 

            arsenio         E come mai? Quando siamo a vuoi, e voglio, non c’è aggravio. In contrario non sia per detto, né per fatto. I forestieri son per via, non vorrei e vi vedeste in conturbagione.

 

15        d. pomponio  Toppo, va a lo banco a mmalora. A chesto stammo soggette nuje aute pe fa sfarze de pare nuoste.

 

            uberto           (* Anderai per le noci, e perderai la tasca.)

 

            celasio          Uom però, ch’è prudente...

 

            d. pomponio  Che prudenzia, e pordenzia. (e fa segne ad Arsenio, che gli renda il danaio)

 

            celasio          Fa, che i desideri non sormontino le forze.

 

20        arsenio         Necessita prima veder la scritta dell’acquisto dell’albergo, che m’obbligate.

 

            d. pomponio  Chessa è lesta, mo te la vao a piglià into a lo scrittorio. (e s’avvia sopra)

 

            arsenio         Ed io lacererò subito la prefata polizza, ch’in cose di puntualità non fo, ch’altri m’avvisi.

 

            uberto           (* L’idea dell’onore.)

 

            d. pomponio  (E giunto all’arco della prima volta numero 9 dice) Lo Notaro? Ancora stai lloco.

 

25        uberto           Vado signore.

 

            d. pomponio  Averisse esser venuto.

 

            celasio          Starò attendendovi. Illustrissimo.

 

            d. pomponio  Si cisà, mo so co lui.

 

            arsenio         Questo sì, l’apparecchio del ricevimento non fate, che v’impicci; resterà tutto a conto mio.

 

30        d. pomponio  (E giunto all’arco della seconda volta numero 10 dice) Mme daje gusto; resta pe cunto tujo; fa cose da paro mio. (e va su)

 

            uberto           Ti vien fallita usurario. (e va via pel ponte numero 27 restando soli Arsenio e Celasio, e dopo poco si vede dal balcone numero 16 Don Pomponio, che cerca l’anzidetta scrittura nella stanza numero 15 dentro uno scrigno)

 

            arsenio         Ma è una gran cosa, messer Celasio, che sempre abbiate a trovar per me sofismi. Piacerebbe a voi, ch’io m’attraversassi al vostro utile?

 

            celasio          Certo che sì, quando che l’utile si scompagnasse dall’onesto.

 

            arsenio         O messer lo scenziato, lo nteresso non piace a veruno.

 

35        celasio          Più laudabile è lo ’nteresso, che l’infame guadagno; né vi è tesoro più odioso di quel, che nasce dal cattivo guadagno.

 

            arsenio         A voi altri filosofastri per tanto sottilizzarvi la mente manca talora ancora il necessario.

 

            celasio          Non v’è più ricco di chi niente desideri, né più povero di chi struggasi per molto avere.

 

            arsenio         O che bel dire. Il ricco si è quelli, a chi traluce l’oro in fondo di cassa, padron mio.

 

            celasio          Che stima dee farsi dell’oro? Ditemi nettamente un laccio d’oro fa men misera la sorte d’un impiccato? Dite.

 

40        arsenio         E pur con le sottigliezze. So ben io il proverbio, che dice. Chi quando può non fa, quando vuole non fa.

 

            celasio          Dell’onesto potere, e mal non dite; ma miglior consiglio detta: quanto più puoi, fa’, che tanto men ti sia lecito.

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Uberto, che vien dal villaggio numero 38 con persona, che fa credere essere un cuciniere, e gli anzidetti.

 

            uberto           Oh il capo. E pur col dono; dono, dono, e dono. O che ’l fai in dono, o che ne pagassi, non occorre: siam provveduti.

 

            arsenio         Hai briga tu, Uberto? E con chi? Sento dono; piano, che cosa vuol fare in dono? Adagio. (faccendo segno al cuciniere, che si fermi) Tu subito dai il puleggio alla gente; fa’ che lo senta io.

 

            uberto           Passa di qui un cuciniere, che va a fiera di Sinigaglia, vuol servire nel far da pranzo per forza...[46]

 

            arsenio         In dono?

 

5          uberto           Come se a me non bastasse l’animo meglio di lui.

 

            arsenio         Ma ho inteso già, che vuol fare in dono. Fatti da me tu. (allo che quelli se gli avvicina)

 

            uberto           (In dono è cosa che si dice. Va’ va’ tasta costui; è stato niente men de’ quattro capi di cucina, che venne a lavorare nel famoso ingresso della Regina di Svezia in Istocolmo).

 

            arsenio         (Canchero! Ma sentiamo meglio questa cosa del dono.) Senti a me. (e parla a colui in secreto)

 

            uberto           (Io dissi approbarlo per uom valente; non per uom cui possa consegnarseli un becco di starna.)

 

10        arsenio         (Chi cerca a te questa malleveria? Molto ti scotta.)

 

            celasio          (Questo va a suo carico. A che intralciarvene voi?)

 

            uberto           Ma dove si può buscare un grosso, ci si leva come s’ha a campare?

 

            arsenio         Andate voi Uberto; badate alla credenza.

 

            uberto           Pazienza. Se poi vi si renda comodo di darmi la mezza piastra data al postiglione.

 

15        arsenio         O sì, qui di’ tu bene; eccotela. (e la rende ad Uberto, che ponendosela in tasca s’incamina) (Si è; tu poni in tasca il tuo, e le due mie non ti par ora di rendermele.)

 

            uberto           (Quali due vostre?)

 

            arsenio         (Quali due corna. Le due piastre, che t’ho menate dal balcone.)

 

            uberto           (Che le dessi al postiglione per ordine del padrone? Ed io gliel’ho date.)

 

            arsenio         (O nom del diavolo; io non t’ho detto, che glie ne dessi mezza del tuo, che te l’averei riborsata.)

 

20        uberto           (Mezza del mio è vero, ed io mezza ne l’ho data.)

 

            arsenio         (O bene; dunque dammi le due mie alla malora.)

 

            uberto           (Gridando) Come le due vostre? Io ho dato a colui prima la mezza, e poi le due; prima le due, e poi la mezza. Così detto m’avete.

 

            celasio          Error di poca spiega; mi spiace.

 

            arsenio         (* O me dirupato. Ah sangue mio).

 

25        celasio          Senza gramezza, messere, meglio si viene a capo di che che sia.

 

            uberto           Udite messer Celasio. Mi mena due piastre, ch’io le dessi al postiglione, e ’l padrone v’è presente; può negarsi? Poi mi soggiunge dagliene mezza del tuo, ch’io te la rimborso; prendo le due, perché ordinate dal padrone, prendo la mezza, perché ordinatami da voi, ed al postiglione le do io. Il torto mio dov’è? Se n’è dichiarato soddisfatto avanti di voi colui? Dite messer Celasio per miserazione.

 

            celasio          Cenno ha fatto di restar soddisfatto; ben fu da me veduto.

 

            arsenio         (* O diavolo, o diavolo, perdo il mio ancora diavolo.) Ah furie dell’inferno tutte. Oh che do in bestia.

 

 

                                   SCENA XIX

 

                                   Don Pomponio prima dalla loggia numero 20; e detti.

 

            d. pomponio  Che ncè Arzè? Tu abballe. Lo notaro addoè?[47] (poi si fa alla porta della sala numero 12 calando per la scalea)

 

            uberto           Non era a casa, verrà in punto.

 

            d. pomponio  (Che fattosi all’arco della seconda volta dice) Ecco cca Arzè; tienete lo stromiento mpigno nfi che non bene lo notaro (e gliel mena) Ausolejame no poco, si Cesario, mo scenno. (e s’avvia giuso, e Celasio va ad incontrarlo dentro le scale)

 

            celasio          Tutto all’ordine, illustrissimo.

 

5          uberto           Per carità non vi fate sentire, e prendetevi quanto ho.

 

            arsenio         Che mi prenderò? Le croste della tigna, se la tieni.[48]

 

            uberto           Corro ora dietro al postiglione, e caccerogli le piastre dalla gola? (e s’avvia per l’arco rovinaticcio numero 21)

 

 

                                    SCENA XX

 

                                   Don Pomponio, e Celasio prima sotto il porticale, e poi fuori, e detti.

 

            d. pomponio  Che te pare? Veda è descrezzione...

 

            Arsenio         (Fermati tu col diavolo, ch’ho da pensare.) (ad Uberto)

 

            d. pomponio  Io non dico pe chesso, chi ha fatto cunto mai di vinte, trenta Principe e Principisse? Mi meraviglio. So benute ad appojà la libarda? Bene appojata.[49]

 

            arsenio         (* Ti giugnerò ben io, manigoldo.) Cuciniere. (e torna a parlarli in secreto)

 

5          d. pomponio  Ma chisse mo proprio mme zucano il mafaro, quatto Dame, seje Cavaliere, veda Ussignoria la lettera.[50] (e gliela porge)

 

            celasio          Con disporre le cose a mente serena si agevola l’incomodo.

 

            d. pomponio  Chi è chisso Arzè? (Che se resorve né? Vi ca hai ditto ca tu nge pienze.)

 

            arsenio         È risoluto. Ecco un cuoco della Regina di Svezia; vi farà un onor sopra grande con solo due piastre e mezza di mancia.

 

            d. pomponio  Sollecetammo; nge so mo a labballo. Eh sbezio commo te chiamme? Badiate al nostro stimamento. (Dicendo al cuciniere) Sta sbezia commo è sguigliata qui?[51]

 

10        uberto           Signore, si è fatto conoscere costui; ma...

 

            arsenio         Che conoscere? Fu da me conosciuto pezza prima. Dove intramettersi il lacché col ragioniere? (e guida il cuciniere in cucina numero 5)

 

            d. pomponio  Chiavale un annicchio. Alloco tujo tu non ci sappiamo stare palata sfatta?[52]

 

            uberto           Dico solo, signore, io non l’approbbo un fico.

 

            d. pomponio  Che dice qua costei ca non l’approbba? Siente.

 

15        arsenio         È pur la. Basta, che l’approbb’io.

 

            d. pomponio  L’approbb’isso. Siate usato proprio a trasì nconfedenzia. Te lo levo i sso vizio.[53]

 

            uberto           Io mi dichiaro.

 

            d. pomponio  Se dechiara cca, ausoleja.[54]

 

            arsenio         Va bene va bene.

 

20        d. pomponio  Va bene.

 

            uberto           Io so come si dice: gennaio fa il peccato, e poi maggio n’è incolpato.

 

            d. pomponio  che dice cca, jennaro, e frebaro.

 

            arsenio         Va bene. (e s’avvia suso, e giunto sotto la prima volta, s’affaccia dall’archi, che sporgono dal fiume numero 3)

 

            uberto           Bene bene, be, be; la pecora fa be, e perde il boccone.

 

25        d. pomponio  Non vi vogliate appilare? Quanto mi date, e vi fo scendere il pepitolo?[55]

 

            arsenio         (Che si fa all’arco della stessa volta numero 9 e dice) Signore, un ragazzo avvisa essere vicino per fiume una dama delle consapute, credo.

 

            d. pomponio  O tossico: commo? Scrivono pe sta sera, e beneno stamatina? Curre (ad Arsenio, che a confusi ordini, che riceve, così ancora Uberto, van su, e giù più volte disordinatamente) damme lo vestito de cetà. Siente, Arzè; che guajo! Chiamma addo sì... damme le scarpe... pigliate ssi pantuofane... vi che giudizio porra cca... mme vvo fa i scavozo... lassame i a bestì ncoppa... no scinneme a bestì dinto a sto vascio... scinne na seggia. (ed entra in un basso sotto il porticale)

 

            celasio          Piano signore quelli fa presto che fa bene.

 

 

                                   SCENA XXI

 

                                   Giulietto, Livia, e Brigida, ch’al gridare di Don Pomponio si fanno sul verone, numero 34. Celasio alla piazzuola, ed Uberto, che cala con una sedia con gli abiti del padrone, ed entra a vestirlo nel basso.

 

            giulietto      C’è il messere in istrada non temete no.

 

            brigida          Uh nonno; grida l’illustrissimo, ho paura, ho paura.

 

            livia               Che fu, messer mio? Son gelata tutta.

 

            celasio          Una brigata della corte di Urbino qui sarà tra poco.

 

5          livia               Oimè, oh Dio, che me ne farò? Misera, che ci nacqui.

 

            celasio          (Ch’accorgendosi, che Lelio venga per la strada numero 3 dice) Ah Lelio giusto giunge...

 

            livia               Oh Dio fermatelo.

 

            celasio          Ed in tempo non opportuno. Cala Giulietto. (allo che colui subito vien giuso)

 

            livia               Chi sa se chi viene conoscer lo possa?

 

10        celasio          Va’ tu, vedi Valerio che viene, fermalo da mia parte.

 

            giulietto      Valerio egli è matto, padrone.

 

            celasio          Non ti faccia tema; egli è savio, a me t’assicura. Svialo di là, conducilo nella prima macchia del bosco. (additandocela per lo portico numero 3)

 

            brigida          Sere sere, che? Torna Valerio? Io diverrò verminosa, sapete.[56]

 

            livia               O sconforto! Chi sa se costoro a tale effetto qui non si portino per di Lelio sapere?

 

15        celasio          Sono in dubbiezza. Entrate entrate; meglio sarà, che vada io. (e va per lo portico numero 3)

 

            uberto           Calate presto la pelucca, messer Arsenio.[57] (uscendo dal basso sotto il porticale Uberto e Don Pomponio vestito)

 

            d. pomponio  Priesto oje nzallanuto, po dice ca... E quanno?[58]

 

            arsenio         (Per la scalea con la pelucca alle mani) E quando. Se mi si strappa un calzare, chi me ne paga il rappezzamento?

 

            d. pomponio  Che? Che l’ha da venì a mente? Nne viene, nne viene, o no?

 

20        uberto           Teme, va adagio.

 

            d. pomponio  De ch’aje paura? Del collo?

 

            uberto           Che collo? Delle scarpe.

 

            d. pomponio  Auh se credarria...

 

            arsenio         (Che vedendo dall’arco numero 8, ch’approda barca dell’avvisata dama, si fa all’arco numero 9, e dice) Presto signore, già giunge la dama, andate a complire.

 

25        d. pomponio  Andate a cacà. Porta ccà la perucca (e di là Arsenio la porge ad Uberto) e cala miette tu, lassa fa a me; annetta sse scarpe. Ne? Va deritta? Addoè? Arzè...[59]

 

 

                                   SCENA XXII

 

                                   Petronilla in barca con Troiana, ed uomo di servigio, e co’ Marinai, che non parlano, e dopo poco Livia, e Brigida sul verone numero 34 a spiare con ricatto, e detti.

 

            d. pomponio  Chisse parlano commo a nuje ne lo ve?

 

            arsenio         Come volete che parlino? Presto, ch’aspettano.

 

            d. pomponio  Non me te partì da vicino per ogni buon fine. (e si fa alla riva del fiume numero 22) O signora, sempre mia padrona devotissima.

 

            petronilla    Siam di già pervenuti?

 

5          arsenio         (Sì signora.) (zufolando di dietro a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  Sì signore, mia dama reverita. Ecco qui con ogni ossequiosità per farli un cento mila benvenuti.

 

            petronilla    Altrettanto a lei di ben trovato, signor caro.

 

            d. pomponio  Sempre posposto ad ogni inalterabile suo ossequio.

 

            petronilla    Aggradisco soprabbondevolmente il cavaliere.

 

10        d. pomponio  Mi tributo.

 

            petronilla    Caliamo; su elà. (allo che cala la gente di servigio)

 

            arsenio         (Non caricate tanto, padrone.)

 

            d. pomponio  (E statte zitto tu, quanno nge vo nge vo.) Mi onorarà contro il mio dovuto merito. (porgendole il braccio)

 

            petronilla    Compatirà veda dico. Non permetto, ch’altri faccia di me tocco, senza che veda dico prima non l’abbia dichiarato per mio confida.

 

15        d. pomponio  (No l’aggio ditt’io ca non parlano commo a nuje?)

 

            petronilla    Pure articolate le voci nel farvi noto.

 

            d. pomponio  (E isso ncoccia.)[60]

 

            arsenio         Si è egli il padron del villaggio, signora.

 

            petronilla    Direste il veda dico signoreggiatore della magione ancora?

 

20        arsenio         (Dite che lo siete.)

 

            d. pomponio  Lo siete, signora, annevinato. Sono un suo scopatore, sempre di più ossequiandomi.[61]

 

            petronilla    Riverito per ogni lato. Or via merita ella, che sia veda dico da me accontata nel mio veda dico consorzio (e porgendo una mano a Don Pomponio e l’altra alla sua cameriera cala, e dice) m’ha tanto veda dico dannificato questa marea dell’onde; ch’il distrigarlo mi farebbe veda dico faticabile. Ah piano piano, ho avuto a smagare.

 

            d. pomponio  Che? Che l’è ntrabbenuto. Starà ancora sbarazzata, o Dio.

 

            petronilla    Un sassolino a traverso sotto veda dico la pianta del destro piede quasi mi mandava veda dico a trabocco.

 

25        d. pomponio  Mi mortifico dentro l’anima in verità.

 

            petronilla    Presto voglio adagiare.

 

            arsenio         Da sedere da sedere.

 

            d. pomponio  Seggie seggie chi è lla. (allo che Uberto porta fuori la sedia calata per vestirsi Don Pomponio)

 

            petronilla    Riparate voi quei raggi canicolari, che possono macchiarmi.(allo che il servidor, che non parla, prende dalla barca l’ombrella, e le ripara il sole)

 

30        arsenio         Un’altra sedia. (e va suso Uberto a prenderla)

 

            d. pomponio  Eccola servita al suo merito. (e le porge da sedere)

 

            petronilla    Adagiato in quella scranna s’è mai tal uno di vile schiata?

 

            d. pomponio  (Chi schiatta? Parlano commo a nuje mo? Sempre vuo fa lo dottore.)

 

            arsenio         Non signora; sta solamente ad uso del padrone.

 

35        petronilla    Or via me ne fo paga. Piano, sbruttatela con un lino.[62]

 

            d. pomponio  (Che dice? Che bo lo lino?)

 

            arsenio         (Non dice questo.) Presto una tovagliuola. (gridando ver suso)

 

            petronilla    E che sia di bucato.

 

            d. pomponio  Sbucata? Non signora; la meglio che ngè, fa co lo muccaturo.[63]

 

40        arsenio         (Il mio mi costa de’ soldi a me.)

 

            petronilla    Vedi tu, mi sono un poco scolorita a quello vada dico spasimo?

 

            arsenio         (Dite di no, lodatela.)

 

            d. pomponio  Eh mia signora, sconnette. Tene, benedica, un colore di rose tomasche.

 

            petronilla    Eh, eh, loda ella veda dico una, che se gli spone per dipendente. Segga il cavaliere.

 

45        d. pomponio  Oh Dio mi mortifica.

 

            arsenio         (Segga.) (prendendo l’altra sedia calata da Uberto, che subito si ritira per la porta della cocina numero 5)

 

            petronilla    Ah qual mai aura importuna mi ferisce il dorso.

 

            d. pomponio  Il parapetto olà dov’è? (prendendo l’ombrella dalle mani del servidore)

 

            petronilla    Fatevi a me, riparatemi da quel zefiro ingrato.

 

50        d. pomponio  Mi onorarà, ch’io non vaglio un frullo. (e fansi l’un l’altra cerimonie)

 

            petronilla    Quanto sia gentil esco veda dico non si può novellare. Un non so che di voi mi cozza ad aggradirvi per mio campione.

 

            d. pomponio  (Ch’ha ditto?)

 

            arsenio         (Complimenti complimenti.)

 

            d. pomponio  Sono un lemine, signora, nel farmi così comprimentato.[64]

 

55        petronilla    Piano, è dovere, che d’un, che lo dichiaro mio campione, io ne sappia veda dico il nome.

 

            arsenio         (* Non posso più.) (Saper vuole chi siete, diteglielo.)

 

            d. pomponio  Un servitore di tutta obbricanza, Don Pomponio Varvadoro, e suo criato.

 

            petronilla    Di casato Barba...

 

            d. pomponio  Doro, che più non si può dire. Dirò; di casa barba fu i primi nostri processori. Uno armirante de la Smirdia...

 

60        petronilla    Smirne Smirne.

 

            d. pomponio  Un auto di Napole. Chillo colla armata de mare fece de li nemmice tanto macello, ch’arrivaje a fare un giorno il mare russo, e questo si chiammaje il Varvarossa. L’auto cavarcaje tutte li sette officie de il regno; scoperze poi l’Innia nova, e vecchia, le menere de chiummo, argiento, ed oro; e perzò si chiammaje il Varvadoro; per cui son io degnissimo posteriore, che ne son chiene le storie.[65]

 

            petronilla    O sicché dunque ella deriva dal germoglio del gran Barbarossa.

 

            d. pomponio  E ’l Varvarossa, e ’l Varvadoro suoi colendissimi servidori.

 

            petronilla    Benissimo, mi fo prona, che possiate veda dico idolatrarmi.

 

65        d. pomponio  Mi scamazza di grazie in verità.

 

            arsenio         (* Più non mi fido posso crepare.) (e va via suso per le scale numero 5 non osservato)

 

            petronilla    Dicami ella quai donzelle son elle fattesi lì al verone? (allo che sentire Livia va a chiudersi nella stanza della colombaia e Brigida resta sul verone)

 

            d. pomponio  Mia dama, è una nipota d’un medico vassallo mio, anzi suo.

 

            petronilla    Presto, fate, che discalino al mio canto.

 

70        d. pomponio  (Ch’ha ditto?) Arzè addo sì? (e non trovandoselo a canto s’alza, e dice) vedete, state a cenni di mi signora.

 

            petronilla    E da me vi stogliete? Credea, e m’ingannai, che non poteste di mia presenza vedervi veda dico privo un momento.

 

            d. pomponio  (Non mi friccico, era juto a farla esequire chisso è frosciuco.) O a tiempo, si Cesario, fa scenne sua nipota, ca mi signora la vuol riverire.[66]

 

 

                                   SCENA XXIII

 

                                   Celasio, Giulietto dal portico numero 3, e detti.

 

            celasio          Con ogni dovuto ossequio m’inchino.

 

            petronilla    Signor Dottore, Iddio vi consoli. Come una nipote? Due n’ho vedute io; degradino con tostanza.[67]

 

            d. pomponio  Doje, quatto, quanta nn’aje, priesto.

 

            celasio          (Ed avviandosi per la sua scaletta dice) (Due nipoti! Chi gliel disse?)

 

5          giulietto      (Fattesi son vedere in finestra.)

 

            celasio          (O inavvertenza.)

 

            petronilla    Presto, ch’ogni qual sia ritardo veda dico mi fa degli effetti veda dico spiacevoli.

 

            d. pomponio  Priesto priesto, ca fa male affietto. Solleceta tu, oje, chisto dorme mpede. Guagliò, atta de craje.[68]

 

 

                                   SCENA XXIV

 

                                   Celasio, Brigida, e Livia, che calano, e detti, e tra la scaletta Celasio dice

 

            celasio          (Fingete, voi colpate. Peggio è il ripugnare.) Fate la riverenza Brigida, e voi ancora. Gradisca Eccellenza lo scarso ossequio di povere campereccie.

 

            brigida          Io vi fo la mia riverenza, signora.

 

            petronilla    O la graziosa ragazza.

 

            livia               Fo ancor io il mio dovere.

 

5          petronilla    È fresca, e gentil giovanetta al sicuro.

 

            d. pomponio  (St’auta quaglia tene lo si Cifario, mmalora! E sta qua?)[69]

 

            giulietto      (Da stamattina.)

 

            petronilla    Figlie son’ella di qualche vostra sirocchia?[70]

 

            celasio          Strette mi sono, e per sangue, e per dovere.

 

10        petronilla    Proccacciarsi vorrà marito cotesta donzella già, è vero?

 

            celasio          Non è di savia donna ciò a sé procacciare, ma bensì loda alla sua esimia onestade.

 

            petronilla    Quanto veda dico gongolo nel vederle sì bene educate.

 

            celasio          Effetti di bocca melata, che non sa profferir parole, se non piene di dolciura.

 

            d. pomponio  (Ne? Pare chiu de madamma, oje suonno.)

 

15        giulietto      (Già, dite bene Illustrissimo.)

 

            d. pomponio  (Nformatenne.)

 

            petronilla    Godo, che veggiate ancora veda dico la prima dama di corte. Sì, la prima; Madama Petronilla Cafei, che son io.

 

            d. pomponio  O mia ossequiosissima maddama...

 

            petronilla    Cafei.

 

20        d. pomponio  Chiafea mia signora; e nfin adesso si è tenuta lui stipata? Questo è un aggravio.

 

            petronilla    Tanto ancor io al vostro veda dico comando. Vedrete ancora, e fra poco veda dico, più dame, e cavalieri di stima, di cui son io destinata recettatrice.

 

            livia               Ah.

 

            celasio          (Saviezza, dissimulazione.)

 

            livia               (E che me ne farò io?)

 

25        petronilla    Cos’è vergognosetta, parlate.

 

            d. pomponio  Spapurate, ca la mia signora maddama vi dà confidenzia. (Ne? Te sì nformato?)[71] (parlando sempre a Giulietto con ricatto)

 

            petronilla    In campagna...

 

            d. pomponio  (A chi è figlia?)

 

            petronilla    Se be fusse presente Sua Altezza padrone veda dico...

 

30        d. pomponio  Quando spapure? A chi è figlia?

 

            giulietto      Figlia, figlia... (rispondendo sonnacchioso a misura della sua facilezza a dormire, come in tutta la commedia)

 

            petronilla    Vi lice il parlamentare. E pur cheta?

 

            celasio          Domandatele alcuna cosa.

 

            d. pomponio  (Spapura, a chi è figlia?)

 

35        giulietto      (L’è una figlia d’oro al sicuro.)

 

            d. pomponio  (Chi sapè s’è d’oro, o de ramma?) non ve scornate. (* fosse nònza chiù de medichessa.)

 

            celasio          Ubbidite.

 

            brigida          Porteranno de’ bei nastri, e smaniglie, signora, queste dame?

 

            petronilla    Ah ah. (godendo sempre della ragazza, careggiandola.)

 

40        d. pomponio  (Quando ne respunde una a tuono?)

 

            giulietto      (Pensa, Illustrissimo, costei a nastri sempre.)

 

            d. pomponio  (I dico arre, e isso responne puorre.)

 

            petronilla    Or via sentite pulcella.

 

            d. pomponio  (* Chella è porcella?)

 

45        petronilla    Facciam, che Sua Altezza qui fosse...

 

            d. pomponio  (* Fusse accossì tu scrofa.)

 

            petronilla    E vi dicesse, donzella mi siete cara. Che gli rispondereste?

 

            livia               Risponderei, ne menti...

 

            celasio          Ne mente volea dire chiunque non istima Vostra Altezza degna d’essere amata.

 

50        d. pomponio  E lassa di a essa. Chella puro accossì diceva. (* È cauda proprio.)

 

            petronilla    O bene; e se poi vi dicesse, cercami lo che vuoi; che cerchereste?

 

            livia               Che pensasse a porre in salvo l’onor mio.

 

            petronilla    Degna ricerca, anzi propria.

 

            d. pomponio  Vide ha ditto buono mo? Bravo da masta ncoscienzia.

 

55        petronilla    E se ciò udendo darvi facesse cento dobloni d’oro, per collocarvi, quai ringraziamenti gli fareste?

 

            livia               Gli direi, che sfalla, se pensa di dar compenso con tutto il suo stato...

 

            celasio          Vuol dire, che non è compensabile qualsisia dono con uno eccesso donator, che lo porge.

 

            d. pomponio  E isso tuosto il sì Cisario, mi signora madama vo sentì a essa, non a Ussignoria.

 

            petronilla    Credete pure, che se mai Sua Altezza vi vedesse...

 

60        livia               O che mi vegga, o che no, di tal peso sgravar solamente lo potrà...

 

            celasio          Ella è che dice, che ’l peso di sgravar delle ’ngiurie i sudditi va indiviso dal sovrano.

 

            d. pomponio  Puro nge ha boluto mette na refola de le soje.

 

            petronilla    Ha di voi bene appreso la vostra nipote, signor Dottore, sapete?

 

            d. pomponio  (Ne? Nepote l’è? Sarà figlia di qualche parente.)

 

65        giulietto      (Già, così è per sicuro.)

 

            d. pomponio  (Ne? E sso parente fosse meglio d’isso?)

 

            giulietto      (No no, ch’egli è assai buono, buonissimo.)

 

            petronilla    E come? State idolatrando veda dico le mie vermiglie sembianze, ed a volti villereschi vi straete? (accorgendosi che Don Pomponio sta intento alla Livia)

 

            d. pomponio  Mi perdona; mi son vortato a fare un grutto, era mala crianza.[72]

 

70        petronilla    Ah salvatemi cavaliere. (e s’alza disordinatamente, e fugge verso le scale appoggiata dalla sua donna) Vi pesi della mia vita. (lo stesso fanno le donne verso loro case)

 

            d. pomponio  Oimè, ch’è intrabbenuto? Currite, chi è lloco? Arzeneco, lo Barriciello.

 

            petronilla    Una lucertola ho veduta io.

 

            d. pomponio  Che?

 

            celasio          Una lucertola.

 

75        brigida          Una lucertola?

 

            petronilla    Presto che mi vacilla l’immaginativa. (giunta all’arco della prima volta numero 9)

 

 

                                   SCENA XXV

 

                                   Arsenio, che alle grida esce al balcone numero 16, e detti.

 

            arsenio         Che fu signore? Ch’avvenne?

 

            petronilla    (Che giunta all’arco della seconda volta numero 10 dice) Trovate compenso.

 

            d. pomponio  Priesto lo Barriciello, che non nge lassa na lacerta manco per razza.[73] (ad Arsenio)

 

            arsenio         Calo?

 

5          d. pomponio  Che buò calà; pe na lacerta ha avuto a fa revotà sto paese. (e s’avvia suso)

 

            celasio          Ah figlia troppo t’ha trasportato il dolore.

 

            livia               Celasio, oh Dio, se parlo è male, se taccio è peggio.

 

            brigida          Giulietto così son le dame; io non le vorrei né men di zucchero.

 

            giulietto      Se mi fusse avanti non mangerei per un mese.

 

10        petronilla    (Ch’essendo entrata nelle stanze giunge al balcone numero 16 e dice) Presto fate spiumacciare una materassa con una coltrice.

 

            d. pomponio  (Che giunto all’arco della seconda volta numero 10 dice) Vedite, eseguite la signora.

 

            petronilla    (Rientrata nelle stanze dice) Cavaliere.

 

            d. pomponio  Mme chiamma; Arzè siente, se può mettere quaccosa dinto a lo vino, che me la potisse mpaglià, e se jettasse a no pizzo.[74]

 

 

                                   SCENA XXVI

 

                                   Uberto gridando di dentro, e gli anzidetti, ognun dove si trova.

 

            uberto           Parate, parate. Ah ribaldo truffatore. Dal giardino, accorrete. Lo schioppo, porta via la cassa.

 

            arsenio         Oh disperato, qual cassa?

 

            uberto           Si butta. Lassa la mia roba, che ti tiro.

 

 

                                   SCENA XXVII

 

                                   Si vede precipitare la cassa d’Arsenio per la scaletta numero 5, ed il finto cuciniere si butta dalla finestra della cucina numero 6 giù nella corte, forzando la porta del giardino numero 7, allo che Uberto dalla stessa finestra numero 6 gli scarica un colpo d’archibuso ed alla botta Arsenio venendo giù per le scale, e Don Pomponio, salendo, s’urtano e scolacchiando Arsenio così fa il resto della scalea, e Don Pomponio carpone. Petronilla dal balcone, Troiana la sua donna dalla loggia numero 18. Celasio, che vien giù in fretta per la sua scaletta, Giulietto, e Livia sul verone, e Brigida sopra il solaio scoverto numero 37. Poi Uberto per la scaletta della cucina numero 5 esce nella piazzuola, ed ivi ancora Don Pomponio, Arsenio, e Celasio, e nel mentre tutto ciò succede parlano come siegue.

 

            d. pomponio  Crestiane ajutateme, vassalle mieje addò site?

 

            celasio          Oimè gran male succede.

 

            livia               Soccorretemi, che muoio.

 

            brigida          Uh, uh, uh, nonno mio.

 

5          giulietto      Serrate, messere, serrate.

 

            petronilla    Ah smago, ah trepidazione.[75]

 

            arsenio         Qual cassa di’ tu col diavolo?

 

            d. pomponio  Si Cisario sarvame; miettete mmiezo.

 

            petronilla    Non v’è chi spalleggia le dame? Mio campione...

 

10        d. pomponio  (* Mio cuorno, non te faje scannà.)

 

            giulietto      Messere qui tutti moriamo. (ed aiuta la Livia smarritasi al rumore, perché entro si riconduca. Come fa la Brigida calando dal solaio)

 

            celasio          Oh Dio aiuta; tanto rumore senza saperne cagione.

 

            uberto           Oh disperato me pezzente; il cuoco m’ha involato quanto avea per salvar questa cassa, sconsolato. (additando la cassa d’Arsenio a piè della scaletta num. 5, che subito vien presa dal medesimo.)

 

            arsenio         E fu salvata? (e mentre l’apre dice) È vuota? È piena? Di’, che muoio; ah sangue mio.

 

15        uberto           Vuota? Vuoto m’ha fatto ei di quanto avea, tapino, meschino.

 

            celasio          Oh disordine, ma introdurlo a casa senza averlo in conoscenza.

 

            uberto           Il dissi chiaro, che non era uom d’approbarsi padrone. Messere, se il ver non dico, fate del mio cuoio una stringa.

 

            d. pomponio  Non nge puo di un callo. Nge nzallanie, e nauto poco le menava li ture.[76]

 

            petronilla    Miserello; veda dico mi s’appiccinisce il cuore.

 

20        celasio          Udiamo il succeduto.

 

            uberto           Voll’egli serrarsi in cucina, e ’l sere Arsenio gliel permise, egli vedendosi solo forzata ha la stanza del messere, e la mia.

 

            arsenio         La mia stanza? Ah che non ci vedrò un’altr’ora.

 

            d. pomponio  Ausoleja. Te po beni mo no pantico, auto che a cca nauta ora.

 

            uberto           Dalla vostra prende la cassa, dalla mia quant’avea. Ne fa un fangotto, e ’l butta per la finestra del giardino, e con la cassa sotto la cappa sordo, e zitto per la scaletta se la svignava. Io me n’accorgo, e per parte di correre al giardino, e ricuperarmi il mio, gli do sopra, e nell’istrapparli la cassa cado per le scale. Mi recedo, prendo lo schioppo, e trovo già da lui forzata la porta del giardino, e ’l fangotto preso, e che fugge da disperato; gli scarico addosso, l’archibuso; ma dov’è? M’ha assassinato, non sono più Uberto.

 

25        petronilla    Ah che tante doglienze mi causano un deliquio; presto presto ristoratemi. Cavaliere, da desinare. (ed entra)

 

            d. pomponio  Gnorsì è lesto. Va, va, Rubretto, menesta; fa’ tu; arremedia; ca po penzo io a li guaje tuoje.

 

            uberto           Che volete che minestri? N’ha rappato ancor le scodelle. È una compassione.

 

            d. pomponio  Au peste sbottame. Mannaggia chi m’ha figliato. E mo che se mangia? Mangiammo corna mo.

 

            celasio          Il mal dire non sanò mai piaga.

 

30        d. pomponio  Ma il mala pasqua, che mme vatta a me sulo; e Ussoria puro lo bede; chella s’avarrà schiegato lo sarvietto. Arzeneco mio, tu nge curpe.[77]

 

            celasio          Contentatevi, signore, ch’io m’intrometta.

 

            d. pomponio  Jodeca si Cesà; faccia Ussoria. La repotazione mia mo sta.

 

            celasio          Ma quando abbia provvisto all’altrui danno dovrebbe rifarseli in parte il suo scapito.

 

            d. pomponio  E paga Arzè c’aje tuorto. So ommo de corte mo. (e via suso)

 

35        arsenio         Che volete che paghi un povero racconciato?

 

            celasio          Ma dove bisogna, o bere, o affogare, è meglio il bere. Dateli un fiorin d’oro, e godrete così non aver perduta la cassa per intero.

 

            arsenio         O disperato; e che colpo fatale mortale. (e mentre riapre la cassa per prendere il fiorino, non vede Lelio che viene)

 

 

                                   SCENA XXVIII

 

                                   Lelio dal portico numero 3, Giulietto, che riesce sul verone numero 34, così ancora la Livia, e detti.

 

            lelio              Colà più star non poteva, Celasio.

 

            celasio          O sinistro accidente!

 

            giulietto      Valerio Valerio.

 

            lelio              Ma chi son costoro?

 

5          celasio          Pastore va’ in quel canto; or son con te. (allo che Lelio si ritira donde è venuto)

 

            livia               Ah che in mal punto giunse egli, e fu veduto. (e s’avvia giuso)

 

            arsenio         Ah stentato mio, come ti perdo. (dando un fiorin d’oro in mano di Celasio)

 

            celasio          O via prendi Uberto; non istar più a guaiolare. (ed Uberto ripugna)

 

            uberto           Ah il mio tutto ridotto a pochi soldi.

 

10        arsenio         Oh rabbia intestina, come così mi divori?

 

            livia               (Messere, o disgraziata, Lelio è venuto. Chi sa se fu conosciuto?)

 

            celasio          (Tiralo lì in disparte, fallo del tutto accorto, (a Livia) guidala tu Giulietto (e ’l fa calare). È dovere ch’eviti, che costoro s’ammazzino.) (e s’avviano Livia e Giulietto per lo portico numero 3 a giunger Lelio) Prendi, Uberto. So, che se’ uom da fidarsene; poni l’onore in faccia al padrone.

 

            uberto           Ah pazienza. Ecco la mia pelle per l’Illustrissimo. Co’ pollami, cacciagioni, intingoli in men di mez’ora... datemi da spendere. (chiedendolo ad Arsenio)

 

            arsenio         Datemi da crepare.

 

15        celasio          Ma quando, messere, il padrone v’abbia disborsato il suo... dategli due paia di piastre, e godete di rimediare in tal modo.

 

            arsenio         Dov’è il diavolo, che me ne porti? (e riaprendo la cassa per prenderle dice) mi si leveranno ancor le budelle.

 

            celasio          La più bella vittoria è quella, che s’ottien di se stesso. Prendi Uberto; falla da chi mangia a dovere il pane altrui.

 

            arsenio         Ah un fuoco per bruciarmici vivo. (e va via per la scaletta numero 5)

 

            celasio          (Che accorgendosi ch’è vicino a giungere molta gente in barca dice) O gran gente a questa volta. Chiamate avvisate (parlando ad Arsenio che non gli risponde) Illustrissimo Illustrissimo.

 

 

                                   SCENA XXIX

 

                                   Don Pomponio prima da dentro e subito alla loggia numero 20 e poi giuso per le scale e detto.

 

            d. pomponio  Chi è lloco?

 

            celasio          Ecco la brigata, le dame, i cavalieri; calate.

 

            d. pomponio  Le dame? Chiammate, addo site? O male juorno. Si Cisario mio, non te movere. (e giunto all’arco numero 10 dice) E lasso chessa, voglio sentì n’aggrisso? (e risalendo dice) Signora, ecco son’assummate le dame, solleciti le gaveglie.[78]

 

            celasio          Non è ben, che Livia si ritiri a casa prima che non sian tutti sbarcati e suso saliti. Io non so che farmi.

 

5          petronilla    (Condotta per mano da Don Pomponio dice) No no andate voi, non mi fido; sono imminenti veda dico le vertigini. (e rientra)

 

            celasio          Avvisarolla. (ed avviasi)

 

            d. pomponio  Lo potea dir primmo. Peste vottannella. Si cesà, si Cesario diavolo, addo vaje?

 

            celasio          Un momento signore, e son qui subito.

 

            d. pomponio  Non te movere, mo si ncocciuso. Me vuo fa restà sbrevognato? Da’ nuocchio lloco; Arzeneco è no stordato, poco vale. (cala e s’affaccia all’archi della prima volta numero 8)

 

10        celasio          Come farò? Bisogna avvisar Livia, e poi ubbidire. (e va nel portico numero 3)

 

 

                                   SCENA XXX

 

                                   Conte Marcello, Contessa Olimpia, Clarice, e Marchese Rinaldo per barca, co’ marinai. Celasio, che ritorna dal portico numero 3, e sale per la scaletta numero 5. Brigida a guatar sul verone numero 34, Petronilla dopo poco appogiata da Troiana, e Don Pomponio ove si trova.

 

            conte            Quest’è dunque il villaggio de’ Sette Ponti? È ameno in verità.

 

            marchese      Quest’è per l’appunto. Piglia il nome da sette ponti, che lo cerchiano.

 

            d. pomponio  Io, il villaggio, e quanto ngè servitori obricanti; e se più posso eccomi.

 

            marchese      Egli è forse il padrone del luogo?

 

5          conte            Resto tenuto, signor caro.

 

            d. pomponio  Patrone divoto, anzi l’istessa servitù, che le professo. (e cala ad incontrarli alla riva del fiume numero 22)

 

            olimpia          Cognata come stai tu trattata al venire per acqua?

 

            clarice          Avend’altro che mi tratta peggio non ci ho badato, sorella.

 

            marchese      La prima volta è questa, che camminan per acqua, signore?

 

10        conte            Per Clarice la prima; per voi, nipote, credo ancora di sì.

 

            olimpia          Non signore; ricordo essermi posta altra volta per fiume.

 

            conte            Or via calerò il primo per dar luogo. (e sbarca dando la mano a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  Di il benedica; un merolillo.

 

            marchese      Se poi restan comode, son qui a servirle.

 

15        d. pomponio  Piano. U cancaro, l’ho pigliato ad occhio. (dicendo al Conte, ch’è sdrucciolato)

 

            conte            È nulla è nulla.

 

            olimpia          Vi faceste danno, signor zio?

 

            marchese      Ma ditela schietta.

 

            conte            Non c’è male no, in verità.

 

20        d. pomponio  Qui ngè medico, medicinali, ngè un tutto con suo servizio.

 

            conte            Or via nipotina a voi. (dicendo a Clarice che sbarchi)

 

            d. pomponio  (Cercando il permesso al Conte d’appoggiarla) Mi comprimenterà questo favore, se non sia ad incommoto.

 

            conte            La favorirete con suo piacere.

 

            d. pomponio  Mi sprofondo.

 

25        petronilla    (Calando dice) Piano piano le mie carni si tartassano al contatto d’una pulce. Or pensate voi al calcare questi veda dico acerbi macigni.

 

            marchese      (E frattanto sbarca Olimpia appogiata dal Marchese) Contessa Olimpia non so come vi veggio. Più vostro, che d’altrui, conosco il disagio.

 

            olimpia          Eh Marchese Rinaldo...

 

            petronilla    Cavaliere (dall’arco numero 10 chiamando Don Pomponio che non l’ode)

 

            olimpia          E qual più disagio della mente non serena?

 

30        petronilla    (All’arco numero 9) Cavaliere. (allo che Don Pomponio va a riscontrarla nel porticale)

 

            marchese      M’appena ogni vostro sinistro, ma dove sia di mente, ove per non saperlo giugner non può mio sollievo, è per me uno spasimo. (alla Contessa)

 

            petronilla    Ed io posposta? Ed io non contemplata? (e vien da tutti guardata)

 

            d. pomponio  Ma averebbe creduto, che non volesse scommitarsi.

 

            conte            Chi è costei?

 

35        olimpia          Donna del padron di casa forse?

 

            d. pomponio  (* Quando muore de subbeto?)

 

            marchese      Non signora; se non erro, veduta l’ho io in corte.

 

            clarice          Che? Gente di corte? E ch’ha a far qui tra noi?

 

            petronilla    (Nel mentre s’avvicina per fare i convenevoli colle dame dice) Era ondunque decevole, che ad esser veda dico ricettatrice d’una Venere, d’una veda dico Giunone, trovata si fosse una veda dico Pallade.

 

40        d. pomponio  (* Mannaggia chi t’ha allattato.)

 

            petronilla    Che per ora se l’espone ad un inabissato servaggio.

 

            d. pomponio  (* Lassa dì, fuorze le fa passà l’appetito.)

 

            olimpia          Restiam tenuti al favore, che ci fa.

 

            conte            E con che delicata espressione, molto obbligato.

 

45        marchese      O siete voi, madama Petronilla; vi do il ben trovato.

 

            petronilla    Tutta del Marchese.

 

            clarice          Sorella, dite al zio, che molto travia dal concertato, non mi costringa a render chiari i miei sensi.

            olimpia          Mi sentirà, ma quanto bene. Di che temi? Son io qui per te.

 

            d. pomponio  (* Chisse so rovagne, auto che sso cuofono scassato.)[79]

 

50        petronilla    Fatti sonsi meco incommutabili gl’interessi veda dico onoranti di questo già mio cavaliere. V’offro accinta sua magione.

 

            marchese      (O quanto è affettata!)

 

            conte            Non è da ricusarsi l’alloggio.

 

            d. pomponio  (* Mmè benuta per procuratore.)

 

            conte            Ed in una così buona casa.

 

55        d. pomponio  Anzi uno scarrupo; non da pari di queste gran signorie.

 

            olimpia          Obbligate ad entrambi. Siam solo venute per goder della campagna.

 

            clarice          Ove per poch’ore, che sarem qui, qui ne staremo con ogni piacere. (e sede ad un poggio)

 

            petronilla    (Parlando con la Clarice) Oh non mai veda dico veduta arciera; e non vorrà assentire veda dico ad un qualche riserbo per lo suo peregrino candore.

 

            conte            È che lo star di continuo all’aria aperta non lo stimo opportuno.

 

60        olimpia          E no no, l’aria il permette; si dichiara tenuta alla vostra premura.

 

            d. pomponio  Mi signora, lo stommico farrà pio pio un boccone almeno per sciacquare una botta.[80]

 

            conte            Che dice?

 

            marchese      Credo afferisca da pranzo.

 

            conte            Ma parmi necessità lo accettare il favore.

 

65        clarice          O questo poi, se va giù il mondo, non può sortire.

 

            marchese      Stimo sia un soverchio malmenarvi.

 

            conte            O che sarebbe un solenne sproposito.

 

            clarice          (Olimpia, vedete che questo può essere l’ultimo de’ miei giorni.)

 

            olimpia          A patto veruno non vogliamo di qui partire.

 

70        petronilla    O ma prima vedransi le ceneri rinverdire.

 

            clarice          A bastanza foste pregata.

 

            marchese      Permettete, che facciano a lor modo; non deeno più forzarsi.

 

            petronilla    Nel pronto asseguire s’ha a differenziarsi veda dico il vero sorvigiale.

 

            d. pomponio  (* Au prommune.)

 

75        olimpia          Serva obbligata.

 

            d. pomponio  (* Dinto a le ceremonie mesca il serviziale.)[81]

 

            olimpia          Ognun può darsi ora.

 

            d. pomponio  Ma, mi signora, io fo una faccia di pontarolo.

 

            marchese      Non occorr’altro, riverito signore. (ed avviansi il Conte e ’l Marchese per la stradetta che va riva al fiume numero 21, seguendoli Olimpia e la Clarice)

 

80        petronilla    Eh, non ancora mi date il dovuto servaggio?

 

            d. pomponio  Compatisca. I cirimonj vuol che lasci un galantommo? (porgendole il braccio si ritirano amendue suso discorrendo non uditi)

 

            clarice          Cognata, sponi al zio...

 

            olimpia          Gli sporrò certo quanto dal nostro decoro vada lontano.

 

 

                                   SCENA XXXI

 

                                   Livia, Giulietto dal portico numero 3, ch’al creder di non esser veduti s’avviano in fretta verso la casa di Celasio, e detti.

 

            giulietto      Presto presto, già van via. Se v’affrettate non siete veduta.

 

            olimpia          Parlerogli, e con libertà; signor zio, fermate; né voi partite, marchese.

 

            conte            (Eccomi) (accorgendosi della Livia dice) O chi sia quella donzella, che va su? Donzella.

 

            marchese      Or vedete ch’aria leggiadra ne’ boschi.

 

5          conte            Contentatevi, zitella, di farvi vedere. (allo che Livia si ferma mal volentieri)

 

            giulietto      (Badate, ch’il messere sbufferà.)

 

            conte            E perché tanta scortesia?

 

            livia               Una donna di villa si smarrisce; non sa che dire.

 

            giulietto      (Cappari l’abbiam fatta tonda.)

 

10        conte            O l’innata gentilezza, che pur si trova.

 

            marchese      Si crederebbe in contadina tal serio visagio!

 

            olimpia          Dove vi portavate donzella?

 

            livia               In mia casa, ch’è questa, signora.

 

            conte            (Chiamando Giulietto in disparte dice) Chi è ella?

 

15        giulietto      Nipote si è d’un messer medicante degli ammalati, ch’è qui.

 

            olimpia          La sorella sentirà con piacere l’innocenti ragionari di costei.

 

            conte            Zitella.

 

            olimpia          Zitella fermatevi. (e rivolta al Conte ed al Marchese dice) Andiamo qui noi riva al fiume per dirvi cosa che mi preme.

 

            conte            No tanto sentirla qui possiamo.

 

20        olimpia          No no; vi vo’ non distratti; andiamo. (e via Olimpia, Marchese e Conte per la strada numero 27)

 

 

                                   SCENA XXXII[82]

 

                                   Clarice, Livia, e dopo poco Brigida sul verone, che chiama Giulietto.

 

            clarice          Beata te, zitella; quanto invidio la tua sorte!

 

            livia               La mia sorte?

 

            clarice          Sì.

 

            brigida          Giulietto corri, la micia sgraffia il cocciolino, corri.

 

5          giulietto      Dalle sul muso, che non l’ammazzi.

 

            brigida          Corri, che l’inghiottisce.

 

            giulietto      O rovina! Chi sentirà monna Grazia? (andando suso in fretta entrasene con la Brigida, restando sole Livia e Clarice)

 

            clarice          Forse che tu nol credi? Ah che volentieri sarei teco a solcare i campi, a sbarbar le biade. Chi sa? Così troverei alcun sollievo.

 

            livia               Eh signora; mai da tristezza tale esser può gravato il vostro cuore, quanto ch’il mio. Voi fra gli agi di corte...

 

10        clarice          Che? Corte? Tal nome fa l’estremo del mio cordoglio.

 

            livia               Perdonate; l’ho inteso dire, che eravate di corte.

 

            clarice          Nol sono, né ’l sarò mai; se bene, ovunque sono oppressa sarò dal mio non mai stanchevole pensiero.

 

            livia               Eh signora, il mal, che si riduce a solo un pensiero, sa tollerarsi. Guai a chi oppressa venga da fatti atroci.

 

            clarice          Fatto atroce chiami tu, che l’erba non sollevi, che la spiga non empia, la nebbia che la disecca, la brina che le frutta disfiora.

 

15        livia               Che brina? Che nebbia? Altro che frutta. Atroce è solo il tradimento; e da questo schiacciata fui, anzi morta.

 

            clarice          Che? Tradimento? Piangi piangi, hai ragione; che se vuoi compagnia, ben fartela poss’io. Chi ti tradì? Di’, ch’al sol nome di tradimento ho per te quella pietà, che per me più aver non mi giova. Farò...

 

            livia               Far per voi non potete; che sperar ne poss’io, che piango male del vostro certamente maggiore?

 

            clarice          T’inganni; il mio la morte il fe’ disperato, e con togliere, e più con lasciare chi non dovea.

 

            livia               Ah ch’il mio ancor dopo morte si spande, e dura. Che dite ora?

 

20        clarice          Tu mi spingi a pregarti, che mi faccia di te sapere...no, sapere a tutti i conti.

 

            livia               E che più dir voglio di ciò, che da tutti si ridice, ed esclama?

 

            clarice          E sia?

 

            livia               Ch’Urbino ha mal padrone che la governa.

 

            clarice          Non ti far di me guardinga, ch’io ci giungo: chi colà regna è un tiranno. Che ne sai tu donzella?

 

25        livia               Che ne so io? Quello che forse spero, che non si sappia.

 

            clarice          Vai errata. Se campo avessi, più udire, che ragionar ti farei.

 

            livia               E pure star potria, che v’ingannaste.

 

            clarice          Potresti tu altro farmi sapere d’esser egli un insidiatore dell’onore altrui, che le più caute donne, e di ragguardosa famiglia, con promessa di sposa ha fin anche tradite? Che dir più tu ne potresti? E pure è ’l manco.

 

            livia               Sì, che più dir potrei. Egli è giunto a farsi mezzano dell’altrui nozze, a destinarne il giorno.

 

30        clarice          Sì, che più? Come? Che sai?

 

            livia               Promettersi per compare nel primo parto, assolvere dall’esilio lo sposo; chiamarlo alle sponsali zie, ed appena quello giunto rilegarlo in non saputa parte; ed ivi...

 

            clarice          Ed ivi?

 

            livia               Ed ivi farlo miseramente morire.

 

            clarice          Morire?

 

35        livia               Morire sì, per prendersi la di colui moglie, e sua promessa comare. Ecco che ciò non sapevate.

 

            clarice          Ah taci taci, più non dire no.

 

            livia               Se a voi fa tal doglienza; pensar si può qual fu quella della povera sua donna, per cui solo quel meschino spasimava.

 

            clarice          Oh Dio, non ho cuor, ch’a ciò basti.

 

            livia               E chi l’averebbe? Vi giuro allor, ch’io tutto udii da un pastore, avanti del quale perdé quell’infelice la vita, fui quasi presso a caderne a terra tramortita.

 

40        clarice          E dove? Da chi tanto tu udisti? Dillo pure.

 

            livia               Qui da un pastore del contorno, che credete? Poco da noi lontano finì lo sgraziato i suoi giorni. Oh voi tanto piangete?

 

            clarice          Piango sì. Son di quella sua misera moglie stretta amica, anzi attenente.

 

            livia               Ah ch’ugual dolore ne prov’io. Soffrite ch’io ardisca di dire: sarà vero, che l’autore di tanto scempio vanti poi le nozze di quella sconfortata signora?

 

            clarice          Se vantar può di tornarle la vita, che prima si leverà con le sue mani.

 

45        livia               Un regnante...

 

            clarice          Ch’è tiranno? S’odia; si muore prima, che compiacerlo.

 

            livia               Ma la forza...

 

            clarice          La forza è vana.

 

            livia               In fin che farà?

 

50        clarice          Co’ pianti, e singhiozzi passerà l’ore finché muoia.

 

            livia               Il tempo...

 

            clarice          Il tempo la fa disperata, che vorrebbe per lei si finisse, e dura.

 

            livia               Ah molto per quella amaricata vi veggio.

 

            clarice          Qual meraviglia? Ti dissi, che ci ho gran parte. L’onor di colei mi ci spinge, che del resto odio, e non amor le conservo.

 

55        livia               Ma perché?

 

            clarice          Perché morir non seppe quando quell’infelice finì di vivere. Amata mia, parlar mi facessi tu con quel pastore, che vide quel misero boccheggiare, e ridire a quella straziata potessi le sue estreme voci quai furo.

 

            livia               Furo ve le dich’io: Clarice, addio, Clarice.

 

            clarice          Ah ferma non dir più. Fa’ solo, ch’a me venga il pastore, m’additi ove fu; perché colà quella meschina dar possa l’estremi fiati col nome di Lelio in bocca.

 

            livia               Signora io gliel dirò, il pregherò; tutto sta se spauroso...

 

60        clarice          No; accertalo da mia parte; eccoti la mia fede, non tema. Giuro, che di te, di lui, parteggerò, come se si me stessa.

 

            livia               Farò così. Vado, e qui lo conduco con un trovato. Sorprendetelo all’improvviso, che non potrà fare a meno di dire.

 

            clarice          Bene bene. Ne sto poco lungi a canto al fiume, sai?

 

            livia               Io vi farò poi cenno (e via per lo portico numero 3 e dice) O ne giovi o sia l’ultima rovina.

 

            clarice          Ah Lelio mio, sapessi tu, che la tua Clarice di lagrime bagna quest’arene del tuo sangue inzuppate. Ah che da qui non parte, se ancor non ci lascia, non ci spiri, quell’anima...

 

 

                                   SCENA XXXIII

 

                                   Conte, Olimpia e Marchese dalla via numero 27 e detta.

 

            olimpia          Clarice, Clarice.

 

            clarice          (Allo che fingendo di raccogliere le violette entra per la strada numero 21, e dice) Raccolgo le violette, sorella; non m’impedite.

 

            olimpia          Le violette sì, più pallida di quelle ti scorgo io. Vedete zio, se la arriva a sapere a che in ciò voi condisceso siete, si soggetta al sicuro ad uno accidente.

 

            conte            Accidente. Quest’è quando s’ha a far con frasche. Accidente.

 

5          olimpia          Eh perdonate; il vostro fu un oprar da frasca, con buona pace.[83]

 

            marchese      Vengo, e mi spiace da voi incolpato ancor io, per aver avuto solo in mira l’ingrandimento di vostra casa.

 

            conte            Ed oprar da frasca vi pare, che mia nipote tragga la sorte d’esser fatta duchessa d’Urbino?

 

            marchese      Signora, il crine, che la fortuna ci porge, non bisogna per lentezza farlo scappar di mano.

 

            conte            Di mano; e dice benissimo. È matta non che farnetica, colei, che potendo adagiarsi sul trono, voglia sedere a scranna.

 

10        olimpia          Ma parlerò, se mi costringete. Meglio è sedere a scranna, che dar giù con obbrobrio senza speranza di risorgerne.

 

            conte            Sempre, e quando darem luogo a sospettose immaginazioni, non farem cosa da bene.

 

            marchese      Dice il signor Conte, ch’il Principe ove promette fassegli torto col sospettare.

 

            olimpia          È mio sospetto adunque, ma è sospetto di neo di macchia in mia cognata. Che se mi stimaste, più questo premer vi dovrebbe, che l’acquisto di un regno intero a chi che sia.

 

            conte            Voi la sbagliate. Si tratta dal Marchese non dell’acquisto di nuovo stato al suo principe, no; ma d’impossessarne Clarice vostra cognata. Tratta egli farla sortire Duchessa d’Urbino, intendiamola.

 

15        olimpia          Molto si deve al Marchese perché lo tratta; non in frattanto esporsi dee Clarice ad esser dal duca né men guardata, con esser appostatamente da voi perciò qui condotta. Se poco ricordate l’esser ella figliuola di Palamede Orsucci vostro fratello, si raccorda a me, che nacque sorella d’Ottavio Orsucci fu mio marito.

 

            marchese      Signora, non può dirsi, che ancor si tratta, quando che da Sua Altezza state sono le nozze già risolute.

 

            olimpia          Ma non ancora adempiute.

 

            conte            Questo ha avuto in mira nel farla qui condurre, questo.

 

            olimpia          Molte ne ha avute in mira; l’ha ferite, ma non fermate.

 

20        marchese      Ma son sicuro, che qui si porta per fermarle.

 

            olimpia          Non si fermano così le sponsalizie di donne del nostro casato.

 

            marchese      Alla giornata si vede dar termine a nozze con privatezza.

 

            conte            La cosa non è più in forse. Eh che sarà un bel vedere a dispetto dell’invidia la mia nipote, la vostra cognata, Duchessa d’Urbino.

 

            marchese      E dubitate, che se darei il sangue per un vostro piacere, non sarei per darlo ove scorgessi un menomo vostro svantaggio.

 

25        conte            Può parlar più obbligante?

 

            olimpia          Resterebbe, Dio non voglia, a voi tenuta tutta la nostra posterità, per averlo dato; ma che pro, quando per un nostro oltraggio voi il sangue daste?

 

            conte            Oh l’ostinazion di donna! Ed oltraggio chiamate voi farla degna delle nozze del principe dominante? O poco lume d’intelletto.

 

            olimpia          Oltraggiosi son per noi i mezzi, ch’ora praticate per conseguire un onore avvenire.

 

            marchese      Ma quando questo sommo onore sta già per conseguito.

 

30        conte            Egli già già è in cammino a quest’effetto.

 

            olimpia          Marchese, parlerò. Anche a tale effetto in cammino si pose per la figlia del conte Moratti; ed ora, o annegata, o fatta da’ suoi in pezzi ne giace. Non so pensar perché, ho poco lume d’intelletto.

 

            marchese      Ma perché incolpar non s’ha su di ciò la sua forsenneria, o quella de’ suoi, quando da sperare buona ragione le restava?

 

            conte            Bel parlare; suo danno.

 

            olimpia          Sicché a buon linguaggio, che s’assentisca ad ogni nostro discapito, perché ne resti poi a noi buona ragion da sperare. Parvi motivo che convince?

 

35        marchese      Questo non diss’io per pensiero.

 

            conte            Non siamo al caso.

 

            olimpia          Restringiamo. Fresca è la rammemoranza della morte di Lelio, se pur sia vera. Quanto con Clarice ognuno ingegnato si sia, e perché di Lelio la memoria obbliasse, e perché la somma escelsa sorte, che da Sua Altezza d’Urbino se l’apprestava, ella agguardasse da ognun si raccorda. Quai sempre uniformi risposte ricavato da lei si siano voi ben...

 

            conte            E dee omettersi cosa, che c’innalza alle stelle, perché una disennata lo discrepa? Deesi da sue risposte dipendere?

 

            olimpia          In questo certo che sì. La discordanza d’una villanella esclude il deliberato volere d’un’assoluta podestà. Clarice dice; se Lelio Dio me l’ha tolto, segno è, che per lo stato maritale non femmi; se tolto l’ha l’altrui barbarie, e questa altro da me non isperi, ch’abborrimento; ed io ci giungo, la morte di Lelio non s’ha a certo; che quando Lelio morto non fosse, vuol l’onore di casa Orsucci, che, da chi fu impalmata, sposata ella venga, vuol l’onor di casa Orsucci.

 

40        conte            O che discorso non confaccente! Un sovrano...

 

            marchese      Vuol dire il signor Conte, che le leggi i sovrani le dettano, i sovrani le disfanno.

 

            olimpia          Non quelle, che son contro l’onesto, e che possono recare altrui macola, o smacco.

 

            conte            Fiera ostinazione! Caparbia dell’intutto! Non mi fido più garrir con costei. (e via per sotto il porticale, e poi nel giardino)

 

            marchese      Adorata contessa, ho creduto aprirmi strada nel vostro favore nel mediare un invidiabile vostro vantaggio. Or ch’è quasi a termine, mi rendo di voi men gradito.

 

45        olimpia          Rinaldo, ove si tratta d’onore, l’amore ne resti a parte. Badate a porre in sereno la mia mente, se per voi sereni veder volete gli occhi miei. (e via amendue per la strada numero 27)

 

            marchese      E posso così amaricata vedervi? Oh Dio... via ordinatemi, disponete pur di me anche quando... (via parlando)

 

 

                                   SCENA XXXIV

 

                                   Lelio, e Livia dal portico numero 3.

 

            livia               Lelio mio non poteva io tanto udire, no. È in forse la tua vita, sai? Chi sa, che il parlar di colei, la sua dolenza, stato non sia un trovato sagace per alcun suo fine a tuo danno?

 

            lelio              Oh Dio, se in costei scorgesti per la mia Clarice tanta pena, segn’è, che di lei sa ella.

 

            livia               Sa ella, ch’altro non fa che bagnarsi di pianto, che singhiozzare.

 

            lelio              Oimè che narri? Chi sa, se ancor non sappia...

 

5          livia               Sa che di quel traditore sposa al sicuro non mai sarà. Ti par per te, per me poco?

 

            lelio              Ah ch’ora, più che mai, veggio la nostra vendetta disperata.

 

            livia               Vendetta? Oh Dio, credea, e dicessi tu vedere raggio di speranza.

 

            lelio              Anzi perché s’affaccia una dirupata speranza, si frena in me l’ardor della vendetta, per finire di disperare.

 

            livia               Che risolvi? Parlar vuoi con costei? Come lo stimi?

 

10        lelio              Come no? Va’ chiamala; lascia, che con costei ragioni. Dov’è?

 

            livia               Non dei tu con lei ragionare, no, se non quando te ne costringa. E così acceso, così palpitante vuoi a colei farti vedere? Se’ matto? Vuoi farti noto?

            lelio              Noto sì; come nol sai?

 

            livia               Ah che in dir così tu m’uccidi. Or che da ciò profittar ne possiamo, tu a scapitare ne pensi? Ella del Duca mostrasi giurata nemica, tel dissi. Molto per te, per me, può lucrare.

 

            lelio              Chiamala adunque.

 

15        livia               E più tramortisci, e più scolori.

 

            lelio              Aspetta, farò così. Lascia, ch’abbia un ferro; la pregherò, ch’a Clarice ella dica...

 

            livia               O morte, già infollisce.

 

            lelio              Senti, che va bene. Farò, che le dica: visto ho Lelio, ed in udir di te parlare s’apri il petto, diè quanto avea di sangue, cadde, morì: mel ficco in gola, e poi ch’ogn un mi venga sopra.

            livia               Sì morì, ma morì senz’onore, senza attendere a Livia la parola di vendicarla.

 

20        lelio              Mi vinci, hai ragione.

 

            livia               Lelio vieni in te. L’occasion ci si porge per sollievo, e per non frenare tua passion la trascuri. Fortezza; sostieni per ogni evento, che Lelio è morto; ascoltala; chi sa che via von ciò aprirti si può, e tu con fare altrimenti te la serri. Pietà di te, di me ti prego.

 

            lelio              Sì, fa’ che venga.

 

            livia               Giura da chi se’, che quanto dissi farai. Di’, ti rammenterai?

 

            lelio              Il giuro, il rammento.

 

25        livia               (S’avvia guardando sotto l’arco rivinaticcio numero 21 di dove è entrata.) Ecco che viene. Mostra, che di lei poco ti cale; proccura, che in viso non ti guardi; io sarò teco, non temere. Signora è venuto quel pastore, sapete? Dio sa ch’ho fatto per qui condurlo.

 

 

                                   SCENA XXXV

 

                                   Livia che fa segno alla Clarice che venga. Clarice dall’arco rovinaticcio numero 21. E Lelio che per attendere con dissimulazione colei, che Livia chiama, creduta a sé ignota, ponsi a cantare senza guardarla.

 

            livia               Questi si è desso.

 

            lelio              (Canta) Ah che potessi almeno

                                               far noto il dolor mio

                                               a chi palese, oh Dio,

                                               farlo dovesse poi

                                               al mio tesoro.

                                   (Clarice in sentendolo cantare si ferma prima attonita, e poi frettolosa se gli fa da vicino per riconoscerlo, ed assicurarsi di lui allor che Lelio se la fa con gli occhi in viso, e sbigottisce, ella dopo poco vien meno)

 

            livia               (Che accorgendosi prima di Lelio, che resta stupito dice) Oh Dio che senti tu? Va’ va’, che smarrisci. (e voltandosi alla Clarice la soccorre quasi mancata) Oimè voi mancate. (e gira gli occhi intorno chiamando) Che fo? Chi soccorre? Chi viene? Oh perduta.

 

 

                                   SCENA XXXVI

 

                                   Conte che si trova entrando dal giardino nella corte, Celasio che cala dalla scaletta della cucina numero 5 accorrendo alli gridi della Livia amendue, e Brigida che si fa sul verone numero 34 e detti.

 

            conte            Che fu Clarice? Stai di te fuori.

 

            livia               Ebbe un timore. (e le vien meno in braccia dell’intutto, sostendendola ancora il Conte, e Celasio) Ah ch’è tramortita.

 

            conte            (Che vedendo la Contessa di lontano dice) Affrettatevi Contessa; Clarice, oh Dio, non so che...

 

            celasio          Brigida cala la secchia, cala. (ed entra Brigida a pigliarla.)

 

 

                                   SCENA XXXVII

 

                                   Contessa, e Marchese che ritornano frettolosi per la strada numero 27, e poi Giulietto, che cala e detti.

 

            olimpia          Clarice mia, ah cara Clarice; misvenuta è al sicuro.

 

            marchese      O disgrazia, o accidente.

 

            brigida          Ecco signore. (calando la secchia sino a mezza scala, ed accorgendosi di Valerio la butta, e ritirandosi dice) Ma c’è Valerio.

 

            celasio          Presto va’ Giulietto prendi dell’acqua. (che prendendola Giulietto va ad attigner l’acqua nel fiume.)

 

5          conte            Ah sinistra congiuntura.

 

            celasio          Ecco un ristorante. (cavandosi di tasca un vasetto) Stropicciatele le narici.

 

            olimpia          Come fu? Come avvenne?

 

            livia               Vide, no, udì. A quel pastore...

 

            olimpia          Chi è colui? (appena guardando Lelio, che giace assai smorto, e che non avverte)

 

10        livia               A quel pastore assalì un certo male; s’intimorì, fu questo al sicuro.

 

            olimpia          Che male? Ah ch’il diss’io.

 

            giulietto      Ecco la secchia è piena. (porgendola al Marchese, che spruzza dell’acqua leggiermente in viso alla Clarice)

            brigida          Uh terrore.

 

            marchese      Già la Contessa il previde.

 

15        conte            Ah tutto effetto di cattivi auguri.

 

            olimpia          Come faremo? Qui non può stare.

 

            conte            Suso dee condursi per necessità.

 

            olimpia          Che suso? Che suso?

 

            celasio          Non è ben, che faccia moto; meglio s’adatterà in questa stanza terrena. Vi è un letto meschino, gradite la gran volontà.

 

20        olimpia          Benissimo; qui si conduca. (e va a riconoscere la stanza a pian di terra numero 28)

 

            livia               (Ch’aiutando a condurla dice) Tanto fo; sostenete pian piano.

 

            celasio          Brigida, menate un guanciale con una coltrice.

 

            brigida          Ecco ecco tutto. (ed entra)

 

            livia               Badate messere al pastore; è tocco dal suo male. (allo che udire Celasio fa che l’Olimpia sostenga in suo luogo la Clarice allor, che sta per entrare in istanza, ed egli si resta per poco con Lelio, e Giulietto, entrando tutti l’altri, entrando ancora la Brigida, che cala con la coltrice, e ’l guanciale)[84]

 

25        olimpia          Rivieni Clarice; ah è un brutto moto.

 

            celasio          Va’ là entro con Giulietto, Valerio; né fatti da persona vedere. Oimè egli poco avverte. Se qui mi fermo, posso renderlo noto. Va’ va’ Giulietto, guidalo qua entro nell’albergo, né far che persona il vegga, e di là non partir né men tu. (e spingendo Giulietto, e Lelio nell’albergo entra egli dove sono entrate le dame.

 

                                   Fine dell’atto primo.

 

 

 

                  ATTO SECONDO

 

                                   SCENA PRIMA[85]

 

                                   Giulietto, e Lelio dall’albergo numero 2.

 

            lelio              Ascolta.

 

            giulietto      Un’ora è già che t’ascolto.

 

            lelio              Oh Dio senti.

 

            giulietto      Più d’un sordo. Ma cosa da me vuogli, credo, che tu né men saprai.

 

5          lelio              Senti garzone, che ’l so.

 

            giulietto      Che sai? Tu di’, che se’ in te; ed io or più che mai giuro di no.

 

            lelio              Ecco tel dico. Ma piano. Prendi prima il mio giubbetto, che assai men vale del favor ch’a me fai.

 

            giulietto      Che. Il giubetto; miaolo il micio. Sai tu cosa dice il messere? Fa’ conto del piacere, che trai; e niente farne del piacere, che fai. Sappi prima che hai a dire, e poi mi parla.

 

            lelio              Ecco sì il so; va’, ed a me di’ come sta quella donna, che, non so quando fu, si smarrì ella allor, che a me venne il male, che m’hai detto. Chi sa, se accagionato ne foss’io?

 

10        giulietto      Tu n’hai timore? E se n’hai timore, perché qui t’avviticchi? Alza i mazzi, netta il paiuolo; che così terrai deterano il boia.

 

            lelio              No, vacci tu; e mi do a te per venduto.

 

            giulietto      Vado sì, non mi far pigolare più lo spirito.

 

            lelio              E mel rapporti?

 

            giulietto      Sì, tel dirò.

 

15        lelio              Ma non far ch’alcun sappia, che colà ti mand’io.

 

            giulietto      Se non sapesse Giulietto nemmeno, quanto sarebbe meglio.

 

            lelio              Né pur dir, che qui mi sono.

 

            giulietto      E che dirò, che se’ morto, e che t’ho seppellito?

 

            lelio              Ah e dirlo tu potessi daddovero, di’, che son partito... no, di’, che non ci fui... Non dir che non ci fui, non voglio.

 

20        giulietto      A quante mentite m’aizzi tu! Il messere dice sempre, la lingua fatti ammozzare prima, che tu abbia a bugiare.

 

            lelio              No, di’ che ci sta un tal, che non ha spirito, che non sa s’è sasso, o che sia.

 

            giulietto      Già infollisce. Valerio tu hai dato volta; vuoi che dia nelle girelle ancor io? Ciò non m’attaglia.

 

            lelio              Ascolta, o Dio.

 

            giulietto      Oh s’apre l’uscio, non farti vedere. Va’, così dett’ha il messere. (ed entrano nell’albergo chiudendosi)

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Celasio, e Livia, ch’escono dalla porta numero 28.

 

            livia               Padre, tal tu mi se’, son mezza morta.

 

            celasio          Figlia, quanto che avvenne è più di tuo riacquisto.

 

            livia               Per istrapparle di bocca, che Clarice ella fosse, accertata per Livia me le son io, ed or, tutta tremo.

 

            celasio          E qual motivo per te di ritemenza? Farsi dovea a costei noto ogni tuo caso per tuo compenso. Tanto assembrava ancor io.

 

5          livia               Ma sapendol’ella, chi ’l vieta, che da tutti costoro non si sappia?

 

            celasio          Si sappia pure; sempre di remora all’imminente tuo male riesce. Come possibil sia questo temo; che dallo di costei smago, e deliri non se n’esamini da suoi la cagione? Di’, che fa ella? Da che vi chiudeste colla cognata; ch’avvenne?

 

            livia               Io son così spaurita, poco so di me, meno di lei. Riebbe a stenti la favella; ma che? Ammucchiando sviariamenti a deliri, diliri a frenesie, dicea: l’anima non può morire, e come credere ch’ammazzata mi si fosse?

 

            celasio          Delirando accertava.

 

            livia               Ed un tal dire diè sospetto.

 

10        celasio          Sospetto, e grande. Ah poveri noi; anche dementi quello averemo in bocca, che n’avrà pasciuto il sentimento.

 

            livia               Or io credendo Lelio quasi fatto, che noto, m’è paruto alla cognata di dire, che ciò le veniva ingenerato dall’aver ella saputo, che Lelio fosse vivo.

 

            celasio          E l’udirlo qual motura ha fatto in lei?[86]

 

            livia               Avvolta si è tutta in dubbi pensieri; poi fra dispetto, e tenerezze con Clarice s’è stretta, e così si giace.

 

            celasio          Chi sa se Clarice detto non l’abbia, che Lelio sia quelli, che credette pastore?

 

15        livia               No, per pensiero. Olimpia sol sa, che sia un queste contrade, ma affatto non dove.

 

            celasio          Ah Lelio; già per lui veggio la ruina disvestita.

 

            livia               E ciò finisce a dissiparmi la poca mente, che ritengo.

 

            celasio          L’unica per lui redenzion sarebbe d’involarsi dal mondo, se potesse; ma costui scerrà più tosto morire alla sua donna avanti, che sottrarsi dal sicuro scocco del fulmine. Come può avvenire, che la Clarice con la sua passion nol faccia noto?[87]

 

            livia               Non ha guari tirata di furto m’ha a sé dicendo Lelio oh Dio. Avvinta poi dal pianto dir più non ha potuto. Io l’ho risposto, Lelio non cura per te morire; che vuoi, che faccia, ei farà; ed ella, Lelio oh Dio.

 

20        celasio          Lagrimevole caso!

 

            livia               Io l’ho soggiunto, per Lelio ognung porrà la vita, ed io la prima; ed ella, Lelio oh Dio: che m’ha fatto il cuor sottile più, che non l’ho.

 

            celasio          Misera, fa pietate.

 

            livia               Ne fa tanta, ch’atta è stata a storre me da casi miei. Che consigli, Celasio?

 

            celasio          Dimmi, stato si è Lelio allora d’alcun di loro fiso guardato?

 

25        livia               No, ognun badò a Clarice; oltracché lo smortore del viso, a cui Lelio soggiacque, fello dell’intutto a lui disparevole.

 

            celasio          Fello disparevole sì.

 

            livia               L’anfania di quel vecchio...[88]

 

            celasio          Fa temere.

 

            livia               E lo scaltrimento di quel Marchese?

 

30        celasio          No, quello stimo più costumato, se tal non mi paia per ispeciale simpatia. Il solo arnese di pastore fa il suo maggior periglio.

 

            livia               Chi sa se di qui s’è partito? Chi ’l fa accorto? Chi ’l raffrena?

 

            celasio          A Giulietto il fidai; ma che pro.

 

            livia               Domandianne con riserba.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Giulietto dalla porta dell’albergo numero 2 prima dentro, e poi fuori, e detti.

 

            celasio          Giulietto.

 

            livia               Giulietto.

 

            giulietto      Chi chiama? Qui non occorre saperlo, non c’è alcuno.

 

            livia               Apri, Giulietto.

 

5          giulietto      Non posso; a dir l’avrebbe il padrone.

 

            celasio          Ed io tel dico, apri.

 

            giulietto      O padrone.

 

            celasio          Apri.

 

            livia               E quando?

 

10        giulietto      La cagna frettolosa fa i catellin chiechi; or ci va.

 

            livia               Che fa Valerio?

 

            giulietto      Il dico, padrone?

 

            celasio          Dillo sì.

 

            giulietto      Il tengo ora nel celliere col chiavaccio menato, che volea scappar fuori. (* Se pur non è scappato.)

 

15        livia               Vedi, oh Dio, non ci sarà modo.

 

            celasio          Non tel diss’io? Chi c’è nell’albergo?

 

            giulietto      Mosche, gatte e zanzare.

 

            celasio          Non c’è l’ostessa?

 

            giulietto      E quella vecchicciuola stroppia, non è nel conto de’ vivi. Il suo garzone è ito al mercato.

 

20        celasio          Già ch’è così, senti. Livia, va’ con costui, conducila ov’è Valerio, Giulietto; fa’ che colui le parli, va’ diglielo, che Livia da lui viene, che stia con ricatto. (allo che Giulietto va entro, e poi torna fuori)[89]

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Brigida dalla porta numero 28, e detti.

 

            brigida          Sere, quella signora, ch’è sana, cerca di voi tanto tanto. Io l’ho detto non c’è: e quella, ch’ha male, tutta s’è scontentata in udirlo.

 

            celasio          Non sai che vogliano elle?

 

            brigida          Volean dirlo a me forse?

 

            celasio          Va’, lor di’: il sere è fuori; subito, che verrà, sarà per ubbidirvi.

 

5          brigida          Benissimo.

 

            livia               A Lelio che dirò io?

 

            celasio          Ascolta. Brigida non partire. Va’ tu Livia, e digli, che non pensi di là spostarsi, né farsi vedere, ch’io medito per lui cosa...

 

            livia               E che farai?

 

            celasio          Spero d’altr’abito provvederlo, che da quello di pastore può allo stante esser tratto a morte e penserò assai più, se la colgo.

 

10        giulietto      Valerio aspetta già.

 

            celasio          Giulietto, Brigida, se tal un vi domanda, se pastore alcun conosciate, rispondete: non abbiam che far noi co’ pastori, non siam del lor mestiere.

 

            giulietto      E se ci dice di Valerio?

 

            brigida          Guarda, poco sai tu. Diremo, egli è un matto, brutto, spaventoso; e se non con altri tanto men con lui c’impacciamo.

 

            livia               Va’ il cela, va’. No, guardatevi di dir di lui ancora.

 

15        celasio          Rispondete non è per noi il saper ciò, che non ci appartiene.

 

            giulietto      Io so poco, ma tu sai men di me.

 

            celasio          Il falso non mai dirsi dee, il vero può occultarsi quando fa duopo.

 

            brigida          Ed ecco ciò tu né men sapevi. Io vado. (e via per la porta numero 28)

 

            celasio          Giulietto fatti alla porta di là, e se alcun vien per entrare, avvisane in tempo costei. Andate, che fra poco sarò da voi. (e via per la strada numero 27)

 

20        giulietto      Messer sì. Vienne con me. (ed entra nell’albergo numero 2 restando al di fuori Livia sopragiunta dal Conte)

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Conte dalla porta numero 28, e detta.

 

            conte            O cara donzella, di voi io giusto cercava.

 

            livia               Cosa avete a comandarmi? In breve, ch’ho che fare.

 

            conte            Là entro averete vostre masserizie, credo; andate, fate, vengo ancor io senza impedirvi.

 

            livia               No no, non può stare. Dite in che v’ho a servire, che per poco qui mi fermo.

 

5          conte            Oimè, per poco. Già con quella pocanza m’hai annichilato. Tanto gelosa se’ di far vedere tue masserizie?

 

            livia               Che masserizie? Io debbo in quest’albergo parlar con l’ostessa, vi cerco commiato.

 

            conte            O sì, quest’è un albergo; vederollo ancor io; vedrò l’ostessa, voi le parlerete. Io poi vi pregherò.

 

            livia               (* O vedi che mi succede.) Oh risovvennemi, ella è fuori. Garzone, serra serra, ci tornerò poi.

 

            conte            Che? Ten vai? Se dico, ch’ho che pregarti.

 

10        livia               O beato voi; per me non è il darmi bel tempo, sapete?

 

            conte            Beato sì; tal far mi può guatar quel viso avvistato.

 

            livia               O Dio il capo.

 

            conte            No, ti parlo a senno. Vo’ che senza gramezza mi dii una notizia.

 

            livia               Non son mica novelliera, che raccolgo gazzette: sbagliate

 

15        conte            No; è cosa, che puoi tu sapere: T’è noto forse un tal pastore di serio aspetto, di detti altieri, chiamato... il sai al sicuro.

 

            livia               (* Ah il sospettai) e pensate, che sia io di quelle che guidan l’agne a pascolare, che mi cercate di pastori? (cercando di scappar via)

 

            conte            Ove vai? Io non t’ho detto ancora.

 

            livia               Che non altro areste che dirmi mi parrebbe.

 

            conte            Eh che t’inganni. Tempo ci vorrebbe a dire, se ’l piagentassi.[90]

 

20        livia               Ch’areste a dire? I ragionari con una tesserandola d’altro non debbon sapere, che d’accia, guindalo, capecchi, d’ordire, e d’orditojo; né d’altro fuor di ciò.

 

            conte            Ah che ci hai dato. Fra i tuoi canapi e filaresse mi vedo così impastoiato, che a dirtela amabile mia... Il tuo nome saper non m’hai fatto ancora.

 

            livia               Mancava alla derrata questa giunta.

 

            conte            M’aggradirai con dirmelo, sì.

 

            livia               Avventura mi chiamo; che avete più che dirmi? Restate in pace.

 

25        conte            Anzi niente ancor t’ho detto io. Avventura mia. Bel nome, quanto mi piace; egli è un diminuito di buona ventura.

 

            livia               Se buona, o mala, resta a vedersi.

 

            conte            E tal t’arrivi, qual io te la priego, buona ventura; ma non sii tu a me cagion della mala con sì acerbo disdegno.

 

            livia               Signor mio, va il tempo in ciance e a me monta assai.

 

            conte            Che puoi perder tu in brev’ora, che mi ravvivi? Vo’, che ne faccia quadruplicato rimborso.

 

30        livia               Altro non dico; vivete di me ingannato, traviate molto dal dovere.

 

            conte            Che dovere? Lo che a te si dovrebbe va ’l trova. Senti, io ti prometto tornar da Urbino tra poco, e condurti un vezzo d’oro. Per ora con queste due doble fattene una guarnacca gentile.[91]

 

            livia               V’ho detto, immaginate diverso dall’esser mio con sì distorto parlare.

 

            conte            Non incollerire, no; che sarò per isposarti in segreto alla fine. Forse che fossi il primo? Frena adunque il cruccio; prendi, ed appagherai tu chi oggi sarà zio della duchessa regnante.

 

            livia               Come, che? Fate, che senta, oggi...

 

35        conte            Ti compiaccio, ma togli ciò prima.

 

            livia               Dite, che poi vi cercherò cosa, che a me sia confacente. Dite.

 

            conte            E ti giuro, che, se vuoi la mia parola, son per dartela perdio. Oggi sarà qui Sua Altezza a sposare Clarice mia nipote; e ’l zio di Clarice che son io, par che poco far per te possa? Senti; in prima farò, ch’ella da sua donna, e la più gradita, ti tenga; averai sempre me a canto...

 

            livia               Oggi è qui Sua Altezza a sposar vostra nipote?

 

            conte            Oggi oggi, a tale effetto me l’ha fatta qui menare. Che credevi, io ti burlassi? O via non più malinconosa; eccoti di più una manata di fiorini.

 

40        livia               No no, altro sarete per darmi; e raccordatevi ch’il giuraste.

 

            conte            E temi, ch’io nol raccordi? Ho per te chi mi sollecita, amata mia, ch’è ’l mio cuore. Di’ con libertà.

 

            livia               È giusta la mia ricerca, chiedo da voi solo, che non mi leviate il mio.

 

            conte            Come? Qual tuo?

 

            livia               Costretto siete dalla parola, e dal dovere a rilasciarmi lo che non è vostro. (e via di furto per la porta dell’albergo numero 2, che immantinente chiude)

 

45        conte            Senti, ch’io farnetico, infollisco. E cosa mai posso aver del tuo?

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Don Pomponio, Uberto dalla porta della camera superiore numero 14, e detto.

 

            d. pomponio  Vantate Rubretto, ch’aje puosto l’onore nfaccia a l’unico erede delli granni armiranti, na cosa di nania.

 

            conte            Come farò per seguirla?

 

            uberto           Ben so io a chi servi; eccomi a quanto vaglio.

 

            d. pomponio  (Che dalla porta della sala numero 12, vien giù per la scalea) Cercame, che buoje, fora che denare però; ca vide li sfarze, che sto facendo.

 

5          conte            M’ha stritolata l’anima, come farò?

 

            d. pomponio  (Che giunto all’arco della seconda volta numero 10 dice) Per mo fornisci d’esser sette panella, ti passo a decano, e poi da mano in mano.[92]

 

            conte            Non solo ti darò il tuo...

 

            uberto           Illustrissimo, dove mi vedete abile, eccomi. Sol vi prego, signore...

 

            conte            Che tuo? Quanto ho del mio inzuccherata mia colombina. M’avvierò di qua, troverò per fortuna altra porta, che qua entro mi conduca. (via per la strada numero 3)

 

10        d. pomponio  (Che sotto il porticale in venendo fuori dice) Commo? I pagà doje chiaste, e meza a chi m’ha truffato? Vo stà bello Arzeneco. Tu ti sei smazzoliato, a te tocca il paraguanto. Orsù i me t’aggio da confedà... va chià... aspè, decano a te è troppo poco. Tu saje de legge, e scrivere? (al che Uberto fa cenno di sì) sai de legge, e scrivere tu? Ne! E bene ti passo pe seritario.[93]

 

            uberto           Ho detto; faccia io il vostro servigio, illustrissimo; e sia in che che sia.

 

            d. pomponio  Seritario, e miezo. E già che si seritario lassamete secretià; core de lo core faccie ca da poc’ore in qui, io so nghiettechito, me ne vao mpilo mpilo. E assommata qui mo nnanze del si Cisario un piezzo; ma, Rubrè, che piezzo? È cannone... oibò, è sfratta campagna... gnornò, è na colombrina, ch’ha sparato, e m’ha cuoveto justo cca. Tu mo che te cride? Io te parlo, e so muorto. Siente ch’io te volesse dicere Rubrè... sto mbrejaco, è chiaito muorto... lo si Cisario po... astuta; i la voglio per mogliere, e penzace tu, e priesto, ca se no, mme pierde.[94]

 

            uberto           Ma chi sia costei signore s’avrebbe a sapere? Attenente forse del messer Celasio?

 

            d. pomponio  Che tenente? È ammatura. Videla, e sacciame a di se n’è meglio de la lellera de Troja.[95]

 

15        uberto           Dico, ch’uno del vostro lignaggio non può senza scadere...

 

            d. pomponio  Chi vo scadè? Mo staje giurgio. Io non benco dalli granne armiranti? E pozzo armirantà chi piace a me. La faccio primma armirantessa, e po mme la nguadio.[96]

 

            uberto           Sicchè siete risoluto.

 

            d. pomponio  Non mi fare il frilosoco. Ussignoria concruda, trasetenne co na scusa de fa na mmasciata deì dicame, e disse (non me siente?) de ceremonie da parte mia a sse dame. Chiammate a essa, chiammate il si Cisario... vuo auto, Rubrè, me guarda Pomponio, ca te faccio mangià a lo piatto d’argiento.[97]

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Conte, che ritorna per la strada numero 3, e dopo poco Brigida sul verone numero 34 e detti.

 

            conte            O disdetta; di qui è rotto il ponte.

 

            uberto           Non occorr’altro, tenetelo per fatto.

 

            conte            Saravvi altra via mi credo. Ma ecco il padron del luogo, quanto cercava.

 

            uberto           E Giulietto. Monna Brigida. (chiamando suso)

 

5          conte            Signor mio dolce, e caro.

 

            d. pomponio  Padrone amato, dica a me?

 

            conte            Degnatevi, ch’io vi ricerchi d’un favore.

 

            d. pomponio  Mi ricerchi a suo sfizio, son per lui.

 

            brigida          O messer Uberto, spesso ne vediamo; cosa volete?

 

10        uberto           Aprite qui giuso; debbo fare ambasciata a coteste eccellenze da parte dell’Illustrissimo.

 

            brigida          Bene bene: or calo di dentro ad aprire.

 

            conte            (* Non è occasion da sprecarla, ma sono udito.) Eh zitello, debbo pregare il caro signore, lasciateci un po’ soli.

 

            uberto           Vado a fare ambasciata.

 

            conte            Dirò io li favori, ch’il caro padrone loro è per fare.

 

15        brigida          (Che faccendoni alla porta numero 28 dice) Entrate.

 

            conte            Andate voi altrove.

 

            d. pomponio  Aveva un altro niozietto ancora...[98]

 

            conte            Il farà dopo, se vi piace. Partitevi di là. Contentatevi.

 

            uberto           Ubbidisco.

 

20        conte            (Che rivoltandosi ad Uberto, che va via, dice) Eh caro voi, per entrare in cotesto albergo, di qui è ben chiuso, di qui è rotto il ponte, vi sarebbe altr’apertura?

 

            uberto           Di qui non si può. Bisognerebbe per dietro il palagio fare un lungo giro.

 

            d. pomponio  Faremo aprire, scassare, azzenni pure.

 

            conte            No, godrò poi far quattro passi; gite felice. (allo che Uberto va via per la scaletta numero 5) Caro riverito, vanto la vostra dimenticanza, io vo’ profittarne.

 

            d. pomponio  Mi fa aggravio, faccia pur ello.

 

25        conte            Dicami la sua gran cortesia, chi sia quella... piano, suppongo pregare un, che sappia, ch’ogni gatta ha il suo gennaio; e mel dirà per esperienza. Non occorre ascondersi al Conte ah ah.

 

            d. pomponio  Mi meraviglio, si Conte: che buo nascondere? Quando si pazzeja si pazzejia.

 

            conte            O l’uomo alla mano perdio. E viva, e viva.

 

            d. pomponio  Ecco cca ciento mano al momento ad un si Conte di chesta fattezza.

 

            conte            O bene me ne prevalgo. Son sicuro, che sarete per attagliarmi.

 

30        d. pomponio  Commo pe tagliarla? E me stima da chesso? O mo mi maltratta.

 

            conte            No no; dico, ch’esiggo da voi parola, ch’abbiate da aggradarmi, e non dirmi di no.

 

            d. pomponio  Comandi pure; il farebbe cento volte. Addo stammo? O che?

 

            conte            E mel promettete da quel cavaliere che vantate d’essere?

 

            d. pomponio  Da uno eredo dell’armiranti. Se po dirla di più?

 

35        conte            Mi basta questa destra. Or ditemi dunque; quanti son qui d’attorno son tutti del vostro dominio?

 

            d. pomponio  Tutto, e per tutto, quanto vede a’ suoi cenni.

 

            conte            Sicché non v’è persona, che qui possavi ripugnare.

 

            d. pomponio  Che bo ripugnare? Ad un attemo Ussoria vede cento zoffioni ammiccati, anzi di vantaggio.[99]

 

            conte            Benissimo. Ha la sua gran cortesia da ordinare, che stia per me cotesta contadinetta, ch’è qui a casa il mendicante.

 

40        d. pomponio  Quale mo?

 

            conte            Si è ella una spigliata giovincella già da marito. A fare avete, che meco ella ne venga in Urbino con tutta l’onoranza però; direm per serva da camera d’una delle mie nipoti; e giuro poi situarla da più, che sua pari.

 

            d. pomponio  Ussignoria se vo porta co isso la fia del si Cisario?

 

            conte            Di non più, non meno, vi prego.

 

            d. pomponio  Veda si Conte...

 

45        conte            Il Conte ha ottenuto già la vostra parola: parliam chiaro.

 

            d. pomponio  Verissimo e indubbitato.

 

            conte            Per indubitato l’ho al sicuro.

 

            d. pomponio  Mi fa servizio. Il fatto sta però, ca il si Cisario...

 

            conte            Il Celasio deve in ciò ubbidirvi; è del vostro dominio.

 

50        d. pomponio  Mi meraviglio; il dominio certo. Intendo sol di dicere...

 

            conte            Dovete, caro, intendere l’osservanza di ciò, che s’è promesso.

 

            d. pomponio  Ogni promessa è debito, il percepisco. Quando... ma non è la mia... fosse la mia, dicerebbe benissimo.

 

            conte            Vostro intendo che sia ciò, che da vostri cenni dipende.

 

            d. pomponio  (* Vid’il diavolo.) Era la cosa, ca i sapeva, commo che ha appontato matrimonio.

 

55        conte            Ed in matrimonio la collocherò assai migliore. Questa mia parola vi basta.

 

            d. pomponio  Vasta si signore, ma se non mi vuol far grazia.

 

            conte            Giusto per grazia a voi il cercai, e l’otterrò cattera.

 

            d. pomponio  Ussignoria dunque vo dì, ca non pazzeja.

 

            conte            Ch’io scherzi? M’ha colto amico; mi vi confidai. Ha ella un viso pugnereccio, che m’ha fatto alla prima.

 

60        d. pomponio  (* Auafa.) Ma si pol sottoponere...

 

            conte            Sottopormi? A chi più mi debbo? Mi vi son tanto sottoposto, ch’ancor io forse nol credo.

 

            d. pomponio  Sbaglia signore. Dico, ca mi sa costringere, e non ci posso arremediare. Questo s’ha a sottoponere dico.

 

            conte            O si si, a supporre. A supporre v’avete, ch’io non son uso di comportare, che mi si venga men di parola. Amico, parlo alla chietta. Addio.

 

            d. pomponio  Schietto de’ core sincero, ammicone, accossì bo essere.

 

65        conte            So ben, che vi faccia acconcio l’avermi non per inimico. La cosa la porto come se nel carniere: il so il so. (e via per l’arco rovinaticcio numero 21)

 

            d. pomponio  Che bene a di chesso? Avesse lo so Cisario. Già m’è nemmico, e me porta a la carnera. Oje, ca non ha ditto accossì... accossì, accossì ha ditto sì, saje si si bivo tu. Chisso è no male piezzo di viecchio; me la fa lo cano. Arzè, Rubrè, vi che joja. (e via nella corte del palagio)

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Olimpia, Marchese, e Brigida di casa, il Celasio dalla porta numero 28.

 

            olimpia          Il farete qui tosto venire; avete inteso? (additandole; che vada per Don Pomponio)

 

            brigida          (Che vedendo Don Pomponio dentro corte dice) Eccolo lì; gliel dirò ora prima che vada suso.

 

            olimpia          Lelio vive. Rinaldo: egli non fu mai vero ciocchè ad onta d’ogni nostro decoro creder s’è fatto.

 

            marchese      Contessa, oh Dio, una del vostro senno vuol per indubitati i rapporti di gente di contado. Persuadetevi una volta; la mia mira su di ciò volta l’ho solo...

 

5          olimpia          All’ingrandimento di mia casa; n’ho piene da voi l’orecchie, e tal sia, tal la credo. Resti la sorte di Lelio avverata, e poi...

 

            marchese      Avverata. La comun voce di colui resterà dunque menomata dalle panzane, e fanfaluche di cotesti villerecci?

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Don Pomponio, Brigida sotto il porticale, e detti.

 

            brigida          Presto presto, fate aspettare le dame in istrada, e chi sa se sia vergogna.

 

            d. pomponio  (Ivi stesso) Picciò, e se me vuò zucà tu puro, avimmo fornuto. Addo è?[100]

 

            brigida          Eccola lì. (di là addittandoli la Contessa)

 

            d. pomponio  (Commo è lo nomme sai?)

 

5          brigida          (La signora Contessa.)

 

            olimpia          Ecco il padron del luogo; resti esaminato il vero su di ciò ancora da costui.

 

            d. pomponio  Contessa de che?

 

            brigida          (Contessa Olimpia.)

 

            d. pomponio  (Contessa d’Olimpeca. Ora vi che pajese!)

 

10        olimpia          Egli non è villesco, a chi prestar fede non si possa, come dite.

 

            marchese      E non vi par peggio di villesco, un, ch’è dappoco?

 

            olimpia          E che n’ha a dissifrare un enigma forse?

 

            d. pomponio  Signora Contessa d’Olimpica mi signora; eccomi a suoi con ogni disponimento.

 

            marchese      Fondar base in costui è possibile?

 

15        olimpia          Signor mio... (a Don Pomponio. Poi rivolta alla Brigida dice) (Com’ha il nome?)

 

            brigida          (L’Illustrissimo.)

 

            olimpia          Signor mio caro, necessita, che con schiettezza, e veracità n’abbiate a rendere informati d’un fatto.

 

            d. pomponio  Il fatto, e quanto si farà è un nulla ad un che li vive dovendoli.

 

            olimpia          Udite, fatevi a me.

 

20        d. pomponio  (Che voltosi al Marchese dice) Non altrettanto ancora al mio signore.

 

            marchese      Si badi alla signora Contessa, ch’ordina.

 

            olimpia          Ha da restar da voi verificata la morte, o la vita d’una persona, che in queste contrade, o fa, o ha fatto moranza.[101]

 

            marchese      Più chiaro con vostro permesso. Restaste voi inteso mai della morte d’un uom di conto, che pastore nel contorno creder si facea?

 

            d. pomponio  (Ch’aggio da rispondere?) (dicendo di furia alla Brigida)

 

25        brigida          (Dite, ch’è mala creanza.)

 

            olimpia          Questo darla per sicura si chiama sorprendere, non domandare, Marchese. Alla schietta; facciam che dica lo che ne sa.

 

            marchese      Risponda pure.

 

            olimpia          Favorite.

 

            d. pomponio  Sto favorendola, prima nel sapere però a chi aggio da rispondere.

 

30        olimpia          Rispondete a me.

 

            d. pomponio  Che ne dice il Signor Do...

 

            marchese      La dama ordina; perché a me richiederne?

 

            d. pomponio  Io non cerco niente a nisciuno; sto cqua per la debita corrispondenza.

 

            olimpia          (Facciam, che non si confonda.)

 

35        marchese      (È un pretendere l’impossibile.)

 

            olimpia          Fate a me il favore.

 

            d. pomponio  Cento favori son pochi. Il si Marchese dice, ch’è impossibile; mi maltratta.

 

            olimpia          Questo invilupparlo mi par, che faccia per voi.

 

            marchese      E qual mai per me sinistro concetto? Non parlerò più.

 

40        olimpia          Dite lo che ne sentite.

 

            d. pomponio  Aggio ntiso, signora. Si Marchese, sta cosa de non parlà chiù non va a fa; ognuno si dica il fatto suo, la signora è tutta galante.

 

            olimpia          No no; a voi ne richiedo, non al Marchese.

 

            brigida          (Voi avete a rispondere, Illustrissimo, voi.)

 

            d. pomponio  (Oje peccerè, e non me trasarisse... appila.)[102]

 

45        olimpia          Che la nomanza almeno di chiunque qui capita a voi sia, per venire, non mi pare contrastabile.

 

            d. pomponio  O certo, sicurissimo. Contrastare è un sproposito; questo dico.

 

            olimpia          Vedete: gli fa meraviglia, che se ne dubiti.

 

            marchese      (E vi par, che costui afferma di vita quando non sa di che si parli?)

 

            olimpia          Lo stesso non saperne il fatal caso è comprova di vita. Il Marchese morto il vuole a tutt’i conti.

 

50        d. pomponio  Il si Marchese sta auta la mano. A sto pajese, si, Marchese mio, scordatello; muorte oibo. E n’aruo, che chi nge more, ha proprio forniti i giorni suoi.[103]

 

            marchese      Ah. Ah.

 

            brigida          (Avete fatto errore. Quel signore se ne ride.)

 

            d. pomponio  (O biva essa. Non saje ca chi dice la verità, non po esse criso.)[104]

 

            marchese      Ma non vedete, che non batte al tono che se gli tasta.

 

55        olimpia          Dalla semplicità nasce la schiettezza, dalla schiettezza il vero. Marchese, se m’amate, udite che vi dissi. Impedite almen per oggi la venuta qui di Sua Altezza.

 

            marchese      Signora tal parola buttar farebbemi nel fuoco. Adesso spedirò per Urbino.

 

            olimpia          Ed in modo farete, ch’anche che sia per istrada si receda. Ciò è un farvi merito. Se Lelio qui si trova vivo, non è un cimentar la vita del Duca far che qui tra macchie capiti egli con privatezza?

 

            marchese      Io son reso ben capace.

 

            olimpia          Esagerare ancor potete... udite. (e via tutti e due fra di loro parlando, ed entrano nel giardino per la porta numero 7)

 

60        d. pomponio  Me sapisse a dicere ch’hanno concruso ne?

 

            brigida          È una cosa, che la signora la vuol viva, e quell’altro morta.

 

            d. pomponio  Auh questi cancheri di spuzzi posama non parlano d’avuto, che de’ muorte, e d’accidere. Statte a bedè oje. Auh che contrubbo. Dimme Prì, mme paja, che l’aggio dato gusto a chessa; ne lo ve?

 

            brigida          Illustrissimo, la signora s’è tutta contentata al dir di voi.

 

            d. pomponio  Non te lo dico? Già aggio visto, ca l’aggio genio. Vuo sapè na cosa? Chessa a me ng’ha appezzato l’uocchie; puro è cauda, sa. Auh che dice? Va te scorda de chessa, va, scrasta chessa fata de ca, va; va scrasta. E no la scrastà no, ca il vecchio te scresta a te, va. Auh mo sbotto. Ne Prì, chesta sai s’è bedola, e maretata, che ?[105]

 

65        brigida          Poc’anzi piangea il marito, ch’era morto; è vedova forse, o no?

 

            d. pomponio  Auh che giudizio. Quando lo marito è morto, è signo, ch’è juto. Dimme na cosa tu; le saperisse dì commo te dich’io?

 

            brigida          Io so dire quel che mi dice il nonno; così mi credo, che so dire tutt’altro.

 

            d. pomponio  E siente... no jammo cca; assamete parlà nzereto, ca saccio, ca... (ed entrano ov’è entrata la Contessa anche fra di loro parlando)[106]

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Livia, e Lelio dall’albergo numero 2.

 

            lelio              Livia, se compatir non mi vuoi; compiangi almeno il mio destino. Egli mi porta...

 

            livia               Egli ti porta a morire, Lelio. Il nostro comun nemico è qui tra poco.

 

            lelio              E se mi porta a morire, muoia io; ma su questo terreno, ch’accolse colei, per cui ben sarà, ch’io più non viva.

 

            livia               Ah qual pena mi fa la tua pertinacia. Dio fallo sentir tu. Or che veggiamo raggio di luce, corri tu a spegnerlo. Lelio levati di qui. Ah che caccio per te i fiati a stento.

 

5          lelio              Mi levo sì; sol dimmi da vero, rinvenn’ella? Parlò poi?

 

            livia               Parlò sì, già tutto ti narrai. A che dir più su di ciò? Fuggi Lelio, se in tutto di lei non vuoi disperare.

 

            lelio              E se parlò, fammi sentire una parola di colei.

 

            livia               E là torni. Che parola? Che di’ tu? Parti, oimè, ognun s’ingegna per disotterarci, e tu più d’affossarti procuri? Va’ va’, levati di qui. Celasio or sarà teco; non ti dissi che pensa? Va’.

            lelio              Vo sì, parto. Fa’ almen, che muto per un momento la rivegg’io.

 

10        livia               Che riveder vuoi? Ella di qui partissi. Veder vuoi tu l’ultima tua sconfitta, mi credo.

 

            lelio              Partissi, e me lasciò di sé privo? Ah luce degli occhi miei, Clarice. Ov’è Clarice?

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Clarice di casa, il Celasio dalla porta numero 28, e detti.

 

            clarice          Che? Chi mi chiama? Oh Lelio.

 

            lelio              Clarice.

 

            livia               Ah rovina. Ah ruina.

 

            clarice          Troppo è vero, che vivi tu, non vanai; ti veggio, Lelio mio.

 

5          lelio              Mo vedi, ma per tuo più non mi vedi.

 

            clarice          Chi mi ti leva?

 

            lelio              Non so, se più chi mi vuol morto, o chi mi desia vivo.

 

            clarice          Ah sì; e se sia perché tu viva consento ancor io, che mi sii tolto.

 

            livia               Ah che altro far non mi fido, che piangere.

 

10        lelio              Ch’io da te sia tolto, e viva? T’inganni tu, s’inganna chiunque il pensa.

 

            clarice          No, ciò non dire; che se dubbia di tua vita mi lasci, certo sarai tu in partendoti della mia morte.

 

            lelio              Oimè, dunque se restando morir debbo, se partendo non vivo, rivolgi almen quei belli occhi per altra volta solo a me piatosi; che ad altro non vo’, che li soggetti, che solo a due lagrime, nel vedermi a te morire d’avanti di pura pena.

 

            clarice          A sole due lagrime! Ah Lelio mio, fatti n’han due rivi, che cesseran di correre quando del tutto seccati si sarann’elli.

 

            livia               Mi si sparte l’anima dal dolore, dal timore. Vedi demenza! Ah ch’affogate quella poca speranza, che ne rimane. Se lo vuoi morto, Clarice; se più vederla non vuoi, Lelio; questo è un sicuro accertarlo; fa’ fa’.

 

15        lelio              E che ti pare, ch’oltre a ciò far potrei?

 

            livia               Partirti; diglielo Clarice tu, diglielo. Quanti buchi, quanti forami qui sono tutti mirali tu, come s’armi di fuoco si fossero, che in punto bruciar lo possono.

 

            clarice          Parti Lelio; e vivi. Va’, e sicuro va’ pure, ch’ovunque tu, ovunque io mi trovi, sempre in questo cuore sarai; mai di chiunque sia sarà Clarice.

 

            livia               Vuoi sentir più? Va’ Lelio per quanto l’ami, smenoma così il tuo dolore. Fa’ che il tempo, che chi per te pensa, far possa per te.[107]

 

            lelio              Vado.

 

20        clarice          Va’. (ed amendue si ferman piagnendo)

 

            livia               Siam da capo.

 

            lelio              Tu lenisci il dolor mio, e perché il tuo alimenti, perché?

 

            clarice          Pena! E ’l potere a momenti di te sinistro sentire non vuoi, che nutrisca l’affanno mio?

 

            lelio              E come? Che pace trovar poss’io in così te lasciando? Ah vita del cuor mio, non fia vero.

 

25        livia               O Dio, salvalo tu. Lelio, che muoio.

 

            lelio              Aspetta, senti, Clarice, fa’ così. Io vado; ma fa’, che di te ascolti, non pianti no, ma fasti, trionfi, e grandezze. Siedi siedi pure al trono accanto a chi ti ci vuole. A me basterà per conforto, se nel tuo godere ti raccordi, che più del mal, che soffro di te senza, stim’io il ben, che tu godi.

 

            clarice          Lelio, non farmi più di quello che fammi la sorte. Ella mi forza ad esser disperata, ma non infame, qual mi vuoi tu.

 

            livia               Pensasti, Lelio, e modo più scortato non ti sovvenne? Prendi tu Clarice, e fuggi, inselvati, sparisci. Io dalla parola, che di sovvenirmi mi dasti, t’assolvo. Quella di qui abbandonata non lasciarmi adempier tu la puoi; ammazzami; giù nel fiume con un peso al collo mi seppellisci; e fa’, che de’ suoi mali ognun vegga il fine.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Giulietto dall’albergo numero 2 correndo fuori, poi di là ancora il Conte, e detti.

 

            giulietto      Livia, Valerio, è di voi in cerca quel signor vecchio; egli qui viene, vedetelo.

 

            livia               Fuggi, fuggi; né far che ti guardi in viso. (e lo spinge per la strada numero 27 seguendolo ancora Giulietto)

 

            conte            Sì sì fallo fuggire, forse che non ho tutto saputo io.

 

            clarice          (Ah chi lo salva più?)

 

5          livia               Che cosa avete saputo? Se date poi l’orecchio a quanto si dice...

 

            conte            Che quanto si dice? L’han veduto questi occhi. Vello ancora. (Guardando inverso Lelio per di dietro) Sì sì non ti voltare, che non ti scoverchi; tienti celato.

 

            livia               Che voltare? Va’ pe’ fatti tuoi. Qual conto deve dar a voi chi va al suo mestiere?

 

            giulietto      (Che al rialto della strada dice) Non vel diss’io? E chi è colui e chi è colui; è un, che né a me, né a voi appartiene il trarne conto.

 

            conte            Dar conto? Profetessa, chiacchierino.

 

10        clarice          (* Ah e morissi.)

 

            conte            Creduto averei, Clarice, che stassi più sul tuo decoro. Va ben, che ti fermi a guatare ciocchè a te non conviene?

 

            livia               (* O disperato caso.)

 

            clarice          E che vid’io? Credo ben, che mi vediate, che son mezza viva; questo direte. (ed entra per la porta numero 28 dov’è uscita)

 

            livia               (* A che saria se subbissassi?)

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Marchese che uscendo dalla porta del giardino numero 7 s’avvia su per la scale, e detti.

 

            conte            Colui che non ti togliessi era il tutto, che mi cercavi, scipitella, incaparbita. Corri dietro ad un pasticciano, e di me nulla curi.

 

            livia               (* Respiro, meno male.)

            conte            O che confronto! Quelli ha da vantar da te, tutto, ed a me cuor hai...

 

            livia               Che vantare? Non posso più soffrire. Con chi credete... (e s’accorge del Marchese, che giunto all’arco numero 10 sta guatandola)

 

5          marchese      (* Il Conte ha trovato applicazione, e non è volgare.)

 

            livia               (* Detto m’ha Celasio giovarmi, il dico.) Sapete con chi voi parlate?

 

            conte            Con una crudelaccia inanimata. Con chi parlo? Il so.

 

            livia               Livia Moratti son io, e saprei vostra tracotanza reprimere, se non vi stimassi per un insensato. Vien con meco tu. (dicendo a Giulietto e via per la strada numero 27)

 

            giulietto      Ma alla fin fatta l’avete voluta sentire pare a me. (e via per la strada numero 27 seguendo la Livia)

 

10        conte            Che disse colei, che?

 

            marchese      Disse molto, s’è vero.

 

            conte            L’udiste voi?

 

            marchese      Tanto ben che l’udii. Disse, ch’è Livia Moratti.

 

            conte            Tanto disse, né più, né meno. Lascia ch’io la segua.

 

15        marchese      No fermatevi, è ben, che se ne faccia intesa la Contessa.

 

            conte            La Contessa dov’è?

 

            marchese      Nel giardino; andiam colà. Fermatevi, che calo. (e cala)

 

            conte            Voi dov’andavate?

 

            marchese      (Che giunto alla prima volta numero 9 dice) A spedir per Urbino. (e cala giù nel porticale)

 

20        conte            Ah ch’è sparuta costei. Da suso potrei vedere ove s’è incamminata. (e va ancora nel porticale) No no, Marchese, meglio sarà parlare alla Contessa da suso la loggia, che sporge al giardino.

 

            marchese      Ma eravamo qui giunti.

 

            conte            No, che ci vuol poco. (e risalgono amendue)

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Petronilla ed Arsenio dalla bussola numero 14 uscendo nelle stanze si portano nel balcone numero 16 e detti.

 

            petronilla    Bene bene; veda dico spetterà alla moglie del cavaliere, che son io, aver teorica de’ vostri crediti, e soddisfarveli sopra i miei pingui maioraschi, che li do veda dico in dote.[108]

 

            arsenio         Eccellenza, ad un tanto favore aggiungerete quello d’aver mira a’ miei lucri cessanti, e danni emergenti.

 

            marchese      (Che giunti essendo all’ultima scalea dice al Conte) Eravamo giunti. (ed entra per la porta della sala numero 12 e ’l Conte esce e rientra dalla loggia numero 20 guardando inverso dove la Livia s’è avviata)

 

            petronilla    La madama Petronilla farà veda dico, che ne facciate addoppiato veda dico rammucchio, quando che m’andiate veda dico a placebo.[109]

 

5          arsenio         Io farò, ch’il padrone sia per conoscere quanto ad una tanta dama s’addica, e che ravvisi sua sorte.

 

            petronilla    Il farete veda dico stenebrato; che s’ha avuto la borbanza di condurre una damina mia pari seco veda dico a solo in istanza, non potrebbe affatto pretender dote; e pure io son per assignarli due a me già decaduti maioraschi nell’isola veda dico di Ponzo, tutti veda dico i servigi del proconsolato del mio nonno ivi fatti a lui non guiderdonati, i diplomi di quattro marescalchi miei predecessori presso le Repubbliche Ginevora, veda dico, Genova, Lucca, veda dico, e San Marino; ch’il tutto monta a trenta e più mila scudi. Forse non restate, veda dico, intronato?[110]

 

            arsenio         Intronatissimo. Ma signora, ad un, come son io, ch’ho a pensare a vestirmi primamente per la pompa delle nozze, necessita avere il suo manualmente.

 

            petronilla    Sì bene; e per rimborsarvi, veda dico, il vostro avere triplicato l’estrarrò dal mio gran corredo, e ’l vi darò. Per ora prendete un esemplare, veda dico, della mia pronezza in vantaggiarvi.[111]

 

            arsenio         Mi subissate, eccellenza. Che farò mai per indossarmi?

 

10        petronilla    Farete, veda dico, che sia acclamata, sospirata dal mio damerino una sua tanto eccelza sorte. Farete di più, ch’assembri non esser, veda dico, picciolo stabile di dote il far, che divenga sgrossato, ed eloquente col mio, veda dico, dolce consorzio.

 

            arsenio         Tanto bene, che farò che l’assembri.

 

            petronilla    Ed a fare avete, veda dico, che prima che venga in scadimento il giorno, abbia a sormontare per lui la nuova, veda dico, aurora con le mie sponsalizie.

 

            arsenio         Così in breve, signora?

 

            petronilla    Questa costanza fa d’uopo per reintegrarmi nel mio menomato, veda dico, decoro.

 

15        arsenio         Or io dunque, signora...

 

            petronilla    Voi dunque, se volete, veda dico, insignorire, fate, che resti ogni indugio di sloggiato, veda dico. (ed entrano nelle stanze)[112]

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Olimpia, Brigida, e Don Pomponio dalla porta del giardino numero 7.

 

            olimpia          Cara ragazza, fate, che mia cognata sappia, ch’io son qui, se mi cerca.

 

            brigida          Bene; e se non vi cerca io starò quivi a fare i servigi, che mi comanda. (e via a casa il Celasio numero 28)

 

            olimpia          Signor Don Pomponio, con tal favore fate conto d’avermi per vostra dipendente.

 

            d. pomponio  Signora, a me ste cose? Si puol sottoponere, che m’inauza di maniera, che mi fa far sauti mortali.[113]

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Marchese, Conte da sopra, e detti.

 

            conte            (Che avviandosi giù per le scale dice) La Contessa dov’ora è ita ella?

 

            marchese      In istrada; parliamle di qui. (ed amendue risalgono)

 

            olimpia          Non più cerimonie; baderete a quanto son per pregarvi.

 

            d. pomponio  Mi preghi pure, Signora; ond’io son per darli cento memoriali il momento, non si smagini altrove.[114]

 

5          olimpia          Finiamo, o Dio, l’espressioni.

 

            d. pomponio  M’appilerò, non pipeto per certamente.

 

            marchese      (Che portatosi col Conte alla loggia num. 20 dice) Signora Contessa, il Conte Marcello dice, che meglio sarebbe...

 

            conte            Contessa, meglio stimerei, che unitamente ne facessimo intesa la Petronilla.

 

            d. pomponio  (* Non saccio addò mme jettà.)

 

10        olimpia          No no, fatel voi.

 

            marchese      Ma Signora, il tempo poi per me si fa corto, se andar debb’io...

 

            olimpia          Per partir voi per Urbino resti tempo a risolvere, Marchese.

 

            d. pomponio  (* Chella coce, e chesta pizzeca.)[115]

 

            marchese      Benissimo; risolvete, ed io eseguirò.

 

15        conte            La Petronilla dove sarà ella?

 

            olimpia          (Che si fa in un canto con Don Pomponio e dice) Vi dico dunque Signor Don Pomponio...

 

            marchese      (Che guardando di dove si trova per lo balcone dentro le stanze dice) Eccola lì nella stanza di dentro.

 

            olimpia          Che dovete compromettervi d’una esattissima secretezza.

 

            marchese      (Dicendo ad alta voce alla Petronilla, ch’è nelle stanze) Madama, la Signora Contessa vuol, che la preghiamo per un momento.

 

20        d. pomponio  Pozza cioncare in quatto, Signora, se non mi coserò la bocca con un aco saccoraio.[116]

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Petronilla nella stanza del balcone numero 15 e detti.

 

            petronilla    Imperino pure a lor volenza.

 

            marchese      Pure è molto trovare una rancidezza in ogni parola.

 

            d. pomponio  (* Fortuna, vottame tu.)

 

            conte            Sarem quivi, se v’aggrada. (e vanno nella stanza numero 15 a rincontrarsi con la Petronilla)

 

5          olimpia          Io al sicuro non son per dubitare del vostro buon cuore.

 

            d. pomponio  Buono core? Che buono, Signora? Anzi un core annegrecato avanti di lui.[117]

 

            conte            Eccoci Madama.

 

            petronilla    Come cerva va al fonte...

 

            olimpia          Or dunque...

 

10        petronilla    Così corro ad imbrigarmi con cavalieri di tanta appariscenza. (e s’avviano tutti e tre nella loggia numero 18)

 

            olimpia          Or dunque posta da voi assicuranza... (seguitando a parlar con Don Pomponio con riserba)

 

            d. pomponio  Signora, commo parlasse con un morto...

 

            petronilla    (Che in uscire alla loggia numero 18 s’accorge di Don Pomponio, che sta parlando con la Contessa, e dice) Piano di grazia...

 

            d. pomponio  Bensì, bisogna ch’il dicala, con un morto molto speruto.[118]

 

15        petronilla    (Si è colui veda dico il mio Cavaliere ospitiero?)

 

            marchese      Badate a noi, Madonna.

 

            conte            (Parliam, che non siam’intesi Marchese.) (e seguitano a parlar per lo più zitto tutti e tre)

 

            olimpia          A quel pastore, che detto m’avete esser solo per nominata della vostra conoscenza...

 

            conte            Lelio è morto.

 

20        olimpia          Modo areste a trovare di farli giungere un avviso, ma con ricatto...

 

            marchese      E Livia è qui.

 

            d. pomponio  A a a ho inteso...

 

            conte            Per farsi incontro al Duca.

 

            d. pomponio  Chisso pastore ha timore de ir pe ricatto.

 

25        petronilla    (Guardando giuso inverso Don Pomponio dice) Ch’ha che far colui con quella nobile matrona?

 

            conte            Badate a noi, madama; la cosa è di rilievo.

 

            olimpia          No, non mi capite; cerco a voi in favore...

 

            d. pomponio  O Dio, mi mbroscino.[119]

 

            olimpia          In favore, dicea, che possa egli restar da me avvisato, e con fedeltà.

 

30        d. pomponio  Bellissimo; ora ho capito il capibile.

 

            marchese      Ella è figlia del Conte Moratti.

 

            olimpia          E dovrebbe esser avvisato da persona d’una somma confidanza, ch’altra cosa potess’io commetterli, oltra il con saputo ragguaglio.

 

            d. pomponio  Già, ho inteso, ho inteso.

 

            conte            E vuol la Contessa...

 

35        d. pomponio  Una persona, che s’agguaglia...

 

            marchese      Che parta io per Urbino.

 

            d. pomponio  Cioè, che pozza i de paro, direbbimo noi.[120]

 

            olimpia          (* Perdo quanto dico.) No; conosco, che non ancora vi siete fatto carico.

 

            d. pomponio  Carrico, sì Signora; anco se avesse da portar per lui cantara, anzi meglio, un pestello marmoro.[121]

 

40        petronilla    Partite partite.

 

            olimpia          Oh Dio, senza tanto andarla rozzolando, fate, ch’abbia cotesta persona per venirne a capo.[122]

 

            d. pomponio  In capo, in collo, sì Signora; resti per supito.[123]

 

            marchese      Dipendiamo dunque dalla Contessa.

 

            olimpia          (* Non capisce affatto.) Ma io intendo di dire il darci incominciamento.

 

45        d. pomponio  Incominciamento, ho inteso; incomminzammo porzì da mmo.

 

            olimpia          Dunque è pronto?

 

            d. pomponio  Lesto come un sorgento; per verità non so più che farìa.

 

            olimpia          E dov’è?

 

            d. pomponio  Chi Signora?

 

50        marchese      Anderem, non occorr’altro, a dipendere dalla Contessa.

 

            olimpia          Come chi?

 

            conte            La Contessa va carica di pregiudici.

 

            d. pomponio  Dico, che sta tutto al suo dispotico.

 

            petronilla    (* Hai a far con meco, fellonoso.)

 

55        olimpia          (* A non persuadermi, che mi sfiatava invano.)

 

            marchese      La madama Petronilla, Signora, stat’è dello stesso sentimento.

 

            olimpia          Di qual sentimento?

 

            marchese      Ora vi dico. (ed entra)

 

            olimpia          Bene Signor Don Pomponio, vi pregherò poi più per minuto, non occorr’altro.

 

60        d. pomponio  (* O mmalora, s’è mbrogliato il niozio.)[124]

 

            marchese      (Fuori dal balcone numero 16) Ella è ancor di parere, ch’io vada; anderò, restate pur sicura.

 

            olimpia          Dic’ella, che voi andiate...

 

            marchese      Ad Urbino, ed in punto parto. Il Duca non sarà qui per certo.

 

            olimpia          No, non più il voglio; non lo stimo più congruente.

 

65        d. pomponio  (* Voglio abbottà la gente di cerimonie, e mi stroppeja.)[125]

 

            conte            Come? Che diss’ella, Marchese?

 

            marchese      Mi ferma; non vuol più che vada. (ed entra per calar giuso)

 

            d. pomponio  (* Nge aggio fatto la vocca, è bizio.)

 

            conte            Or mostra ella il suo gudizio, e grande la nipote. (e s’avvia seguendo il Marchese)

 

70        olimpia          Vecchio dicervellato. (inverso il Conte)

 

            petronilla    Giudeo profano. (inverso Don Pomponio ed entra; faccendosi dietro i vetri del balcone)

 

            marchese      (Che giunto all’arco della scalea numero 10 dice) Io dipendo da vostri dettami. (e cala)

 

            olimpia          Dipendere in ciò si dee da Clarice.

 

            conte            (Che giunto all’arco numero 10 dice) Come dice? Doveva ella? Colà si sarà ridotta la Livia.

 

75        olimpia          È giusto il motivo, che mi ci porta. La Livia scevra molto dal vostro concertato, signor zio. (ed entra a casa il Celasio numero 28)

 

            conte            Come? Che intende di fare? (al Marchese che s’è fermato all’arco numero 9)

 

            marchese      Venite a carte scoverte. (e cala giù nella piazzuola, ed entra a casa il Celasio seguendo la Contessa)

 

            conte            Ah disdetta! Allor, che più mi dà cociore, fatta si è costei per me inaccessibile. E potrò senza speranza guatarla? Non mi fido, vo altrove. (e risale)[126]

 

            d. pomponio  Signora Contessa, comanda poi. (parlando alla Contessa di fuori, che non l’ode, e rivolta s’incontra col Marchese, che dalla medema si porta, e dice) Signor Marchese, dicola alla Signora Contessa, che se comanda poi... (a chi il Marchese non dando udienza entra)

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Petronilla che si fa fuori al balcone numero 16 e detto.

 

            petronilla    Che comanda? Comand’ora, veda dico, chi può imperare, che non presumiate di traviare di qui, veda dico, un’otta. (ed entra per calare)[127]

 

            d. pomponio  (Pe tierzo Rodamonte. Che cancaro d’otto va asciando?) Signora ha cominzato a pigliarmi in zavorio, mi paja. (parlando con la medesima, che già è nella scalea appogiata da Troiana)

 

            petronilla    (All’arco numero 10) Avorio, sì, avorio; tale avete i denti del Lionfante per istritolare.

 

            d. pomponio (* Milleinfante! Non te lo dico i, ca non sente il taliano.) Io non dico...

 

5          petronilla    (Che giunta all’arco numero 9 dice) dich’io, che meritereste esser, veda dico, guatato com’un’aufefibena. (e cala giù nella piazzuola)[128]

 

            d. pomponio  Non faccio bene? E se non faccio bene, mi creo, ca manco faccio male.

 

            petronilla    Ve’ se non sa far male quel serpentaccio a due teste, una da capo, un’altra da piè. A darvi qual vi si deve, veda dico, sbarazzata, so, veda dico, a che appigliarmi.

 

            d. pomponio  Commo? Che m’aggio pigliato? O mmalora, a chesso ne simmo!

 

            petronilla    Ne saremo a quelche dovete, a ciò che dovrammisi.

 

10        d. pomponio  Vi, che fuoco allummato.

 

            petronilla    Come? Ardisti soggiogarmi alla tua dimenticanza, veda dico...

 

            d. pomponio  (* Vede, e dice. Non c’è un cancaro, che t’afferrasse.)[129]

 

            petronilla    E poi così trattarmi, oltracotato, prosontuoso?

 

            d. pomponio  So presentuso puro: Accossì so li presontuse? Io mi fo un agniento.

 

15        petronilla    Niente? Come? Niente vi par, che, veda dico, ciò fia?

 

            d. pomponio  Va’ l’arriva, va’.

 

            petronilla    Sì sì, che t’arriverò. Dispettevole, così ancora mi vilificate? Sarò, veda dico, diriditrice di voi fra poco.

 

            d. pomponio  Che se dice ch’è poco? Non si fa ntendere, Signora. Mi sono appilato.

 

            petronilla    Come? Che v’ho pelato? Di che v’ho pelato, fellonoso?

 

20        d. pomponio  Non dico questo.

 

            petronilla    Dite, qual mai v’ho fatta incetta? Parlate.

 

            d. pomponio  Che ricetta ve voleva fa io? Che so miedeco?

 

            petronilla    Dichiaratevi, vi risponderò, che non ho lasciata la lingua al beccaio.

 

            d. pomponio  Sapesse se m’adora, o mme jastemma.

 

25        petronilla    Biastemate? Non ho lena, veda dico, che ti vorrei ben isguittire.

 

            d. pomponio  (* Oh mo mme sbraco ; guitto appriesso.)[130]

 

            petronilla    Ma manco, oh Dio, Troiana, venite al mio sussidio.

 

            d. pomponio  (* Oh mmalora, l’avesse da pagà pe bona.) Signora, mi inginocchio; non si contrubbi; mi fa squaquigliare.[131]

 

            petronilla    Arrompetevi da me, mi sentirà Sua Altezza in persona or ora, che sarà qui.

 

30        d. pomponio  Soja Artezza mperzona vene qui?

 

            petronilla    Sì sì ora è l’Altezza Sua qui ora, a sposare la Contessina Clarice. Da qui ad un bel vedere sarete tantosto. Sequestratevi da me.

            d. pomponio  Che mi ha da sequestrare? Signora, mi compatisca, io n’aggio da dar niente a nesciuno.

 

            petronilla    Tal sia di me, se non sentirete un sosorno, che v’abbatta. (e via appoggiata da Troiana per la porta del giardino numero 7 dove si vede passeggiare)[132]

 

            d. pomponio  Non sa parlà, se non de guitto, e de vattere, e bede, e dice: te puozze vedè lo fecato, li premmune. Diavolo ogge, che ngè ammattuto? Lo Conte parla d’accise, lo Marchese nge vo vedè muorte; quanto va, ch’ha fatto l’aggrisso ogge? Auto ch’aggrisso; e no Sua Artezza, che mmo vene ccà, no nge lo miette? Auh mannaggia chillo panteco, che non mme vene. Aggio quase fornite li denare. Auh desperazione.

 

 

                                   SCENA XIX

 

                                   Arsenio dal balcone numero 16, e detto.

 

            arsenio         Illustrissimo ho cosa di rilievo, d’util grande, da comunicarvi. Vengo, e dico. (e cala)

 

            d. pomponio  Tu puro vide e dice, te vaa no cancaro a quanto vide, e quanto dice, isso puro co vide, e dice. Sto co na cimma de scerocco, che...[133]

 

            arsenio         (Che giunto all’arco numero 10 dice) Perché, Signore? Che v’intervenne? (e va giuso nella piazzuola)

 

            d. pomponio  (Che rincontrandolo dice) Chesta mo cca ha fatto na fera de vide, e dice. Ma lassa i chesso; m’ha ditto na cosa po, che m’ha fatto friddo.

 

5          arsenio         Ve l’ha detto già ella.

 

            d. pomponio  A, a. A lettere de marzapano.

 

            arsenio         O bene, vi si è dunque dichiarata di sua bocca. La cosa monta assai più in bene.

 

            d. pomponio  Gnorsì, bene, benissimo; ma è accurto il tiempo. Tu non saparrai, diavolo, quanno è la cosa.

 

            arsenio         Il so benissimo; per questa sera sta decretato l’appuntamento.

 

10        d. pomponio  Non sai di l’appontamento! E ba arremedia, va. Aunisce tante cose, va.

 

            arsenio         Che s’ha da unire? Basta, e siano unite le volontà delli sposi.

 

            d. pomponio  O biva; mettimmo sposi, e bolontà a tavola, e decimmo, mangiate.

 

            arsenio         La sposa non cura questi conviti no, ve n’accerto io.

 

            d. pomponio  E tu, che ne sai de chesso tu?

 

15        arsenio         Il so, che con meco si è ella in tutto dichiarata.

 

            d. pomponio  La sposa co tico?

 

            arsenio         Certo; forse che nol credete? Domandategliene, eccola lì.

 

            d. pomponio  Addo è?

 

            arsenio         Passeggia nel giardino.

 

20        d. pomponio  Tu staje ncatarattato; chella è chillo verlascio di Capua.[134]

 

            arsenio         Ma perché parlar con disprezzo della sposa?

 

            d. pomponio  Qua sposa? La sposa lla addo cancaro la vide tu?

 

            arsenio         Ella è dessa, la madonna Petronilla.

 

            d. pomponio  Commo? Soja Artezza mo vene, e te cride, ca la sposa è Petronilla?

 

25        arsenio         Che Sua Altezza non so che dite; io non parlo di ciò.

 

            d. pomponio  Staraje mbriaco; o piezzo d’arme. A tre ore, che predeco. Soja Artezza fra doje ore mo è cca a sposà la Contessella, la Nepote del Conte, nzallanuto.[135]

 

            arsenio         Che Contessella? Equivocate, la Petronilla si è la sposa.

 

            d. pomponio  Petronilla sposa di chi?

 

            arsenio         Di voi Illustrissimo. (e ciò udendo Don Pomponio cerca de’ sassi, e corre dietro ad Arsenio, che fugge per sotto il porticale, e dice) Ah ah non tirate pietà.

 

30        d. pomponio  (Che scagliandogli sassi dietro dice) Puozze morì de subeto nne voglio i proprio fujenno (ed al tirar d’un de’ questi colpisce a)

 

 

                                   SCENA XX

 

                                   Petronilla, che ritrovasi uscendo dalla porta del giardino, numero 7.

 

 

            petronilla    (Ch’essendo colpita dice) Ah ah chi m’aiuta? S’avventa alla mia vita, salvatemi. (e s’avvia suso seguendola Arsenio)

 

            d. pomponio  Signora, ho fatto sbaglio. Non l’aggio con lui; mi dia cento schiaffi.

 

            petronilla    (Che giunta all’arco numero 9 dice) Presto presto un postiglione; si dia parte al Sovrano dell’eccesso.

 

            arsenio         Peggio merita un tanto strano modo di trattare. (dicendo a Don Pomponio)

 

5          d. pomponio  Arzeneco, sarvame tu; e te dono la travacca torchina.[136]

 

            petronilla    (Che giunta all’arco numero 10 dice) Un tanto insulto, un tale acciacco a madama Casei? Venga tosto il Sovrano. (e via suso appoggiata ad Arsenio, ed alla Troiana)

 

            d. pomponio  Se non ajuta Arzeneco, so arroinato. Oh Abbisso! Votta fortuna. Rubrè, Rubrè, apre priesto, priesto ausolejame a cancaro. (bussando la porta della cucina numero 5. Per donde entrato pone la stanga alla porta)

 

 

                                   SCENA XXI

 

                                   Celasio, Livia, e Lelio con abito da cavaliere dalla strada numero 27.

 

            celasio          Qual infamia? L’infamia, figlio, non consiste nella pena, ma nella colpa. Colpa, ove tu in ciò sia reo, io non trovo.

 

            livia               Ah che così fosse per me. Dio, che diverso è ’l caso.

 

            celasio          E per te una tanta lusinga fa qualche scusa. Il tuo pentimento è condottiere del perdono, il perdono della speranza.

 

            livia               Ti bacerei i piedi, se ’l piagentassi. Lelio, ripugnare ad un tant’uomo non fa nostro avanzo. Lui da padre non tieni?

 

5          celasio          Sì? E se sì, giovane onesto fa sua voglia del paterno volere, a chi ripugnare sol col pensiero è tracotanza.

 

            livia               Non creder Lelio, che forse insappiendo ch’ il Duca è qui fra poco, di lui ancor io molle a vendicarti ti stolga, no. Ti stolgo solo, perché veggio la vendetta non sicura, il tuo sterminio evidente, la mia vergogna eternata.

 

            celasio          Ove col pensier ti spingi? Inerme passaggiere, ch’a vista di lunga selva popolata di tigri, e pantere ostinato pur s’inoltra, ch’altro giammai s’aspetta?

 

            livia               Lo suo sicuro scempio.

 

            celasio          Se fiacca parete oppongasi ad impetuosa corrente, ch’altro a veder se ne resta?

 

10        livia               Allo stante, che vada giù...

 

            celasio          Per frappoco non più vederla. Senti; a ciò, ch’è dubbievole, il pensare è virtute; se pravo, il ristarci per momento il pensiero è delitto.[137]

 

            livia               Forse t’ha provvedut’egli di quest’abito, perché così corso tu fossi ad una insana vendetta, che prima, che per altrui l’assembri, si vegga in te eseguita? Chi a senno suo si regge, sfalla.

 

            celasio          Anzi incontra nell’error la pena. Toccalo con mani. L’incolga tu di dar morte ad un tanto nemico, e che ciò fatto ti salvi; ch’altro poi dalla tua donna ne speri, se non in te la memoria di lei svenare, e forse non con altro, che col passarti il cuore? E piacesse a Dio, ch’a ciò non t’appigliassi.

 

            livia               Soggioga Lelio il tuo ardimento; ti regga del nostro padre il consiglio.

 

15        lelio              Taci non più; reggimi pure; sol t’accerta, ch’altro non ho dell’umano, salvo il conoscermi, che più io non son io.

 

            celasio          Frena te stesso, e tornerai ad esser chi tu se’. Udite udite; sempr’e quando m’accerti, che persona di Corte non vi sia, che possa esser tu della sua conoscenza...

 

            livia               Non vi sia, l’accerti?

 

            celasio          Egli è per voi opportuno, ch’il Duca oggi qui si tragga.

 

            livia               Opportuno! Possibile? Egli qui trova la donna, ch’ha in cuore. O che la sposi, o la soggetti a violenza, di noi che ne fia poi?

 

20        celasio          E del primo, e del secondo affatto non temere. Molti avrebbono a patir violenza prima di ciò sortire.

 

            lelio              E fra molti, che in minuti pezzi ridott’io fossi, credo, che me l’approvi.

 

            livia               Ed a me dove mi lasci tu?

 

            celasio          Quando che ciò non sia, come star non può, ch’egli sia, da un ignoto, bensì amorevole, e fedele al Duca d’avanti starne dovrai.

 

            livia               Oh Dio.

 

25        celasio          Appiatta l’esser tuo, travesti il tuo cuore, chiamati, com’esser dei, il Cavalier Giusto. Mostrati di Livia amoroso, e che le sue nozze pretendi; e ’l sostieni senza falsare. Di’, che per effettuare un tal desio qui di concerto ambi ne siete.

 

            livia               Come? E perché ciò?

 

            celasio          Perché ciò sapendosi non sia svolto il Duca a qui portarsi, e non si pensi, che qui, tu Livia, ti trovi per impedire i suoi voleri. Egli poi qui venuto, spero s’aprirà via alle vostre ragioni.

 

            livia               E fiderassi di sé Lelio per tanto fare?

 

            celasio          Penserà Lelio, che da ciò dipende che sia di Lelio Clarice, ch’il Duca attenda lo che va a te, Livia, dovuto.

 

30        livia               Che dì tu? Il senti? Sta più con noi.

 

            celasio          Apprendi, figlio, che l’uom più generoso è colui, ch’al nemico potendo non nuoce. Dirai per ora saper per certo, che Lelio per man di Lelio fu svenato; ch’assai vero dirai, se in te stesso ogni pravezza svenando, solo in te rinascer fai l’esser di Cavalier Giusto, qual ti dirai.

 

            livia               Il fai?

 

            lelio              Sì, che il fo.

 

            celasio          E da me s’oprerà, che resti su di ciò uniformata la voce. Fidate a chi tutto può. (e via per l’arco rovinaticcio numero 21)

 

35        livia               Ah che di te temo; io gelo.

 

            lelio              Non diffidare, no; se Lelio più non son io, son altri.

 

            livia               Dio fa’ tu. O il Marchese; questi è di Corte, sta’ in te.

 

 

                                   SCENA XXII

 

                                   Marchese di casa, il Celasio dalla porta numero 28. e detti.

 

            marchese      (* Livia, e con chi non so dire.)

 

            lelio              (A tempo.) Signor Marchese, in punto era di voi in cerca, a sporvi un mio umile chiedimento.

 

            marchese      Son qui, sentir dovrà prima...

 

            lelio              Chi io mi sia? È dovere. Giusto Lai son io Mirandolese, e vostro servo.

 

5          livia               Il Cavalier Giusto ben conosciuto in quello stato.

 

            marchese      Godo avervi in conoscenza, per impiegarmi al vostro servigio.

 

            lelio              Signor Marchese, è proprio d’un cavaliere protezione avere di chi nel chiede, quelli siam noi. Questa dama ben a voi nota fuggita da’ suoi ella è di me in cerca; in obbligo mi veggo all’onor suo di dar compenso. Chiediamo in favore, che n’impetriate l’assenso del Dominante, e che sicuri ne faccia con un benigno asilo nel suo stato.

 

            marchese      (* Son io, o no?) E siete in ciò amendue concordi?

 

            livia               Qui uniti non ci vedreste, s’egli in me, io in lui affidati d’un sol volere non fussim noi.

 

10        marchese      (* O povero ingannato!) E sarete contenti, che di ciò a Sua Altezza inchiesta io ne faccia?

 

            livia               Fatela pure.

 

            lelio              Così dich’io.

 

            marchese      Ne sarà Sua Altezza per tener poco conto del vostro ben nato officio.

 

            livia               Ne son sicura.

 

15        lelio              Quanto fassi è tutto a lui dovuto per ogni motivo.

 

            marchese      Gliene anticiperò l’avviso, acciò nel venire, che farà qui tra poco, venga disposto ad un aggradevole compiacimento.

 

            lelio              Vi avanzate sempre più in favorirci.

 

            marchese      Farei di vantaggio. Or sì, Signora Livia, che vengo in accorgimento della degna cagione che v’ha qui condotta.

 

            lelio              Ella qui si trova, io qui mi portai ad uno stesso effetto.

 

20        marchese      Ne godo in vedere unita sì degna coppia. (* Grande scoglio s’è infranto.)

 

            lelio              Un lacrimevole caso occorso su l’alture del Guastallese, a cui mi son trovato presente, ha fatto ritardarmi a non giungere qui pezza prima, ed ora ne godo; perché con ciò ho incontrata questa per me vantaggiosa congiuntura d’esser da voi protetto.

 

            marchese      Eh no; profitt’io dell’accidente per l’occasion, ch’ho di servirvi.

 

            livia               E fu il caso...

 

            marchese      Se v’aggrada il dirlo?

 

25        lelio              Ritrovavasi in quell’erto custode d’armenti un pastore, che ben tale non mostrava egli d’essere. Or questi datosi tutto ad una forsennata velenosità d’animo di sua mano a me presente svenossi.

 

            marchese      Oh caso.

 

            livia               E strano.

 

            marchese      Senza sapersi chi egli fosse?

 

            lelio              Si seppe accertato esser un tale Lelio Brighi d’Urbino.

 

30        marchese      Che? E fu accertato? E da chi?

 

            lelio              Attestollo un vecchio pastore, col quale il morto facea soggiorno, e si trovò allo sgraziato una scritta ancora addosso, ch’esatta contezza di lui dava.

 

            marchese      Non ammette più dubbio.

 

            lelio              Visse su di me boccheggiando per breve tempo, che poi il vecchio fu di consiglio sbalzarlo, dove poi non seppi tanto.[138]

 

            marchese      O novità rilevantissime! O giusto, quanto cercava; Signora Contessa, notizie son per darvi di somma conseguenza.

 

 

                                   SCENA XXIII

 

                                   Olimpia dalla stessa porta dov’è uscito il Marchese, e detti.

 

            olimpia          E quali mai?

 

            marchese      Abbiamo sposa la Livia di questo Cavaliere qui presente.

 

            olimpia          Come? Possibile?

 

            marchese      Per accertato.

 

5          livia               (* Mi dà costei confondimento.)

 

            lelio              (* E chi a Clarice il fa noto.)

 

            olimpia          Burlate, o abbagliate?[139]

 

            marchese      Né l’un, né l’altro; è più che certo. Da amendue mi venne confermato.

 

            olimpia          E chi è colui?

 

10        marchese      Un tal Cavaliere Giusto Mirandolese.

 

            olimpia          Oh come può esser questo?

 

            marchese      È strano, ma è indubitato; e di più udirete ancora.

 

            olimpia          Livia non so che di te mi si dice; fia vero?

 

            marchese      Perché tacerlo? Ne goderà la Contessa, com’io.

 

15        olimpia          Dimmelo tu: perché non parli? Chi fia colui?

 

            livia               Un Cavaliere.

 

            olimpia          Che si fa tuo marito?

 

            marchese      Che si fa, che s’è fatto, Signora, direte meglio.

 

            olimpia          Ma a che tacere? Dinne il netto.[140]

 

20        livia               Signora, ambisce le mie nozze.

 

            olimpia          Nol nieghi tu adunque.

 

            livia               Fui forzata; conviene ch’il dicessi, saprete poi...

 

            olimpia          Taci, taci, t’ho inteso.

 

            marchese      Credevate, vi burlassi?

 

25        olimpia          Mi fai orrore!

 

            marchese      Spiacemi oltre a ciò farvi altra cosa nota, che vi turberà.

 

            olimpia          E sia? Dilla in fretta.

 

            livia               (* Mi raccapriccio.)

 

            lelio              (* Che n’uscirà?)

 

30        marchese      Di Lelio Brighi, Signora...

 

            olimpia          E che? Di’.

 

            marchese      Vero si è quanto n’udiste, ma ora...

 

            olimpia          Ora che? Di’ pure; di’, non tacere.

 

            marchese      Non è più.

 

35        olimpia          Dove non è?

 

            marchese      A cotesto Cavaliere presente...

 

            lelio              (* Oh Dio soccorri.)

 

            livia               (* Tremo, o affanno.)

 

            olimpia          E presto, di’ chiaro.

 

40        marchese      Morì.

 

            olimpia          Morì? Fu vero? Dite.

 

            marchese      Mi strema, ma pure è così.

 

            olimpia          Dite, è così?

 

            lelio              Signora, fa mestier, che si dica.

 

45        olimpia          Oh Dio, è morto Lelio?

 

            lelio              È Morto.

 

            olimpia          Ah pena. Morì Lelio. Ah Clarice; Lelio è morto, costei non più vive. Ah Clarice Clarice.

 

 

                                   SCENA XXIV

 

                                   Clarice pure dalla porta, donde è uscita la Contessa, e detti.

 

            clarice          Cognata, a che mi chiami?

 

            olimpia          Ah Clarice, Livia è fatta sposa; tu non sarai più Clarice. Io non voglio essere al mondo, Lelio, o Dio...

 

            clarice          Lelio che? Di’.

 

            olimpia          Lelio è morto.

 

5          clarice          Che? Come? Nol dire. Chi ’l disse?

 

            olimpia          Questi, che di costei è fatto sposo.

 

            clarice          Chi dì tu?

 

            marchese      Non so che farmi.

 

            clarice          Chi è fatto sposo?

 

10        marchese      Signora, dama di senno adatta il tutto al meglio.

 

            clarice          Rispondi tu, se’ fatto sposo?

 

            olimpia          Già è fuor di sé; vedi a che bada.

 

            lelio              (* Perdo il fiato.)

 

            livia               (* Ora spiro.)

 

15        clarice          Rispondi tu, se’ fatto sposo? Dillo, ch’ora manco.

 

            lelio              Fu dovere, che di costei sposo mi dicessi.

 

            olimpia          Ah ch’è perduta. A Lelio più non pensa.

 

            marchese      Che vi diceste? Era dovere, che lo foste, come lo siete.

 

            livia               (* Mi si sparte l’anima.)

 

20        olimpia          Clarice mia torna in te; dite di Lelio la sorte. Ah muoio io per lei.

 

            marchese      Dite, che questo è più straziarla.

 

            livia               Son confusa.

 

            lelio              Morì Lelio, non v’è più quelli.

 

            olimpia          O cordoglio! Il sente, e non l’apprende! È perduta. Io non reggo.

 

25        marchese      Cara Contessa, non più; che vi soggettate a male ancor voi.

 

            olimpia          Dio chi ’l levò dal mondo? Come fu? Quando accadde?

 

            marchese      Forsennato da sé ferissi, ditelo.

 

            olimpia          Perché ritardi?

 

            lelio              Finì d’esser Lelio per man di Lelio stesso.

 

30        olimpia          Ed a te presente?

 

            lelio              Anzi sopra di me restò estinto.

 

            olimpia          Più che si dice meno intende! Ah Clarice non più Clarice.

 

            livia               (* Non mi fido più, è mia più che di loro la pena.) Signora l’addurrò motivi per divertirle il cordoglio.

 

            olimpia          Ah dolente, che ci nacque (a Clarice); e più tu ancora (a Livia) come faccia hai di starle innanzi?

 

35        livia               (* O Dio che soffrir debbo.)

 

            marchese      Stimo ancor io meglio, che di qui si tolga, Signora.

 

            clarice          Così dico ancor io. Andiamo Livia.

 

            olimpia          Ah ch’affatto non avverte! È in tutto fuor di mente!

 

            livia               Son rea, ma non di quanto mi fate.

 

40        olimpia          Non più mi basta l’animo di mirarti.

 

            marchese      E voi Cavaliere... Vi contentate Signora, che stia ov’è la moglie?

 

            clarice          Sì, dite bene. Entrate ancor voi. (dicendo a Lelio, ch’entri; e tutti e tre entrano a casa il Celasio per la porta numero 28)

 

 

                                   SCENA XXV

 

                                   Olimpia, e Marchese restano nella piazzuola.

 

            marchese      Quanto è vero, che sia presago un cuore assennato, com’è il vostro, Madama.

 

            olimpia          Per ispacciare adulazioni fate proposte apocrife, Marchese.

 

            marchese      E che sorte è la mia, ch’abbiate sempre di me una cattiva discernenza? Dicea, ch’aveste un presagio, che dovea appianarsi l’argine della Livia, mentre mi fermaste d’irne ad impedire la venuta di Sua Altezza ritardando il vostro ingrandimento.

 

            olimpia          Il mio onore, per cui ho la maggiore stima, non ha bisogno d’ingrandimento. Gelosa sol son io di sua menomanza; non altro, che questo, attengavi, Marchese.

 

5          marchese      Credo d’appormi. Diceste, che l’onor di Casa Orsucci cercava, la Contessina, che sposata da Lelio si fosse, da chi impalmata stata ell’era. Or Lelio essendo morto...

 

            olimpia          Lelio è morto; e Clarice non debb’esser guardata, non rimembrata dall’assoluto Monarca di tutto il mondo, se vi fosse, senza ch’ella, e lo assentisca, e ch’il Duca adempisca alle strette leggi d’ogni uomicciuolo, che per sé cerca moglie. In questo caso non essendo, vi prego, partite ora a storre la venuta qui del Sovrano.

 

            marchese      Resto di gelo!

 

            olimpia          Dite per me esser di fuoco, e poi gelate.

 

            marchese      Travedete; io son tutto acceso per le vostre glorie. Voi siete intenta a smorzare le faville ancora con diluvi di ghiaccio.

 

10        olimpia          Acceso vi vorrei per lo mio piacimento, non per tante mie glorie.

 

            marchese      Non avrei creduto, ch’il vostro piacimento spartato si fosse...[141]

 

            olimpia          Resto tediata all’agitarsi più questa disputa.

 

            marchese      Immolatemi, ma almeno vegga il rogo, la pira.

 

            olimpia          Effetto solito de’ corteggiani è lo spacciar corteggianate.

 

15        marchese      Oh Dio! Un, che tutto vi si spone, soggettato si vede a rimproveri.

 

            olimpia          Diceste già, che trovandosi qui la Livia, e correndo per costante, che qui tra boschi fosse Lelio, oh Dio com’era, il Duca a tai riflessi avvisato si fosse a qui non venire; tanto farete per compiacermi.

 

            marchese      Ma or che tali sovragiunte son nuove notizie.

 

            olimpia          Notizie a voi solo arrivate, a che farne premura? Chi vi dà spinta a mostrarvene avvisato?

 

            marchese      Sta a me ancora Signora...

 

20        olimpia          Se a voi sta ancor commessa l’orditura de’ nostri inciampi, è un’altra poi.

 

            marchese      Uccidetemi prima, e non senta io da voi...

 

            olimpia          Mi fate vedere, non che sentire, lo che avete in mente.

 

            marchese      Ma se non degnate persuadervi quanto...

 

            olimpia          Persuadetevi, che m’è noto il vostro interno.

 

25        marchese      Ma, oh Dio, il mio cuore, che per voi...

 

            olimpia          Il vostro cuore voi nol capirete, ch’a me si palese.

 

            marchese      Ah che mi fate morire. Dico...

 

            olimpia          Se potessi uccidere, ucciderei prima me stessa.

 

            marchese      Ma almeno vi scongiuro...

 

30        olimpia          Almeno lasciar non dovea Clarice, che spirasse senza me accanto.

 

            marchese      Pensiamo, e farò...

 

            olimpia          Far poss’ancor io quanto contro d’ogn’aspettativa m’orpellate.[142]

 

            marchese      Io dico, che mi spongo...

 

            olimpia          Sporrò io al Duca, che Clarice elegge, pria ch’assentire a lui in tal modo, sposarsi ad un selvereccio, che con una frasca alla mano ci conduca fuori di stato, che ci vuol poco.

 

35        marchese      O sconforto! E dove siete trascorsa, dove?

 

            olimpia          E quando non si persuada, venga pure. Averà il piacere di trovar qui Lelio morto, e morta Clarice ancora; e se bisogna per le mie mani; né viva Olimpia, acciò non gli resti altro che fare. (ed entra a casa il Celasio per la porta numero 28)

 

 

                                   SCENA XXVI

 

                                   Conte, che si fa al balcone numero 16 e poi cala, e ’l Marchese in piazzuola.

 

            marchese      Sento acciaccarmi l’anima. Quanto il disgusto di costei mi fa pressura non so dire. (e s’avvia)[143]

 

            conte            Marchese, trattenetevi; son per dirvi.

 

            marchese      V’attendo. Molto da me udirete ancora. Ah ch’a torto forse ella di me non si lagna. Le rangole del Duca pure a me si fanno d’ora in ora sospette. Dunque io per compiacerlo non compisco all’esser mio? Come? Son Virginio Rodi, e nol penso?[144]

 

            conte            (Che giunto all’arco numero 9 dice) Credereste, Marchese, sento un continuo capogirlo. (e cala giuso)

 

5          marchese      E trovate me, a chi va la mente come un guindalo. Consiglio vorrei, e chi mel dà? Il Conte? Il Conte atto è a più svolgermi la mente, che ad assettarla.[145]

 

            conte            (Fuori) Trovar qui, Marchese, la Livia a dar un acciacco al nostro concertato, e più al mio interno, ciò mi fa matto.

 

            marchese      Ella ci fu da un diavolo condotta, come ch’io.

 

            conte            Son tutto scontentato a non averla potuto meglio esaminare. Sapeste dov’ella sia?

 

            marchese      (* O che capo pennuto!) Livia è qui, ed ha accanto suo marito; Lelio è fuori dal mondo per accertato; novità, che non dovrebbono pormi in lance di storre, o no, la venuta qui di Sua Altezza. La Contessa con me crucciosa vuol, che la stolga. Io sono nelle maggiori dubbiezze. A voi che ne pare?

 

10        conte            Come? Possibile? La Livia ha trovato marito? È una inventiva.

 

            marchese      Non occorre difficultarlo; l’ha già seco. Si noma il Cavaliere Giusto Lai Mirandolese: aspetta l’assenso di Sua Altezza per isposarla; non gli verrà certo contrastato.

 

            conte            Oh dunque un Cavaliere sia, che la sposi? Falso fu ogni rapporto del caso suo.

 

            marchese      Se falso, o vero, resti a colui d’esaminarlo; veggiam noi, che ne convenga di fare. Posto questo, dich’io, a che ritardare gli avanzi di vostra famiglia? Pur voi in ciò perplesso, e perché?

 

            conte            Piano, che poi mi passa di mente. Cotesto Mirandolese il sapete voi per uom di conto?

 

15        marchese      Tal s’attesta, di tale fa mostra. Ma ciò non fa al caso nostro...

 

            conte            Piano, che non ho finito. Se tale sia dunque, come potrebbe venir disapprovato a chichesia di costei pretendere il maritaggio, come?

 

            marchese      Non entra ciò a quanto mi vi sono espresso; né siamo nel caso, che immaginate. Ella ha già marito, e credo, che qui si trovi per farle dovuta ragione.

 

            conte            Cioè questo lo credete, perché così stimate.

 

            marchese      Oh Dio veniamo al nostro.

 

20        conte            Questo, e non altro. L’è accanto colui, ma non ancora sposolla?

 

            marchese      Signor Conte, risolviamo vi priego; che questo poi da loro stessi, che sono là entro entrati, potrete voi...

 

            conte            Come là entro? Ma vi son le nostre dame?

 

            marchese      Credo di sì.

 

            conte            Come credo? Oh smania; e con qual salvo condotto s’è qua dentro ficcato costui?

 

25        marchese      La Contessina gli permise l’ingresso.

 

            conte            Ah cotesta ragazza, allor che non decreta, sentenzia.

 

            marchese      Udite di grazia.

 

            conte            Ma è ben, che mi senta a me. (ed entr’a casa il Celasio ove son le dame, e Lelio entrate)

 

            marchese      Puossi dare mente più sprecata di costui? Ben dice il proverbio: la cavezza a gli asini, e ’l bastone a’ matti. (ed accorgendosi di Celasio dall’arco rovinaticcio numero 21 ivi si porta) È quelli il Celasio? Ma chi meglio di questo uom saggio posso richedere di consiglio? Messer Celasio, attendetemi.

 

 

                                   SCENA XXVII

 

                                   Uberto, e Don Pomponio con ispada a’ fianchi dalla gradetta della cucina numero 5 vengono nella piazzuola.[146]

 

            uberto           Venite fuori, Signore. Chi alla fine v’ha a far tema a casa vostra? E poi a quest’ora? Ella avrà conosciuto, ch’egli è stato un abbaglio.

 

            d. pomponio  L’annemecizia de chessa è no guajo, ma sso cancaro de vecchio Conte, che creo mi posteja, è no guajone.[147]

 

            uberto           Signore, già la Contessa mi dite, che vi guarda di buon occhio, cercatela, e disgabellatevi con lei di tale affare. Ditele, che rimova ella il Conte dall’importunarvi più su di ciò.

 

            d. pomponio  Vuo di tu mo: fa na quarera de sso viecchio a la Contessa.[148]

 

5          uberto           Lagnatevi, che non siete uomo d’esser posto in queste sdicevoli mercatanze.

 

            d. pomponio  Ch’è quanto a dicere, ca vo i ngattimma; e bo, che le faccia io lo porta pollastre. Tu dice buono; mo trovo la Contessa, e me ne traso con a scusa de no cierto muorto, e bivo, che boleva sapè.[149]

 

            uberto           Benissimo. In questo laberinto della Petronilla non vorrei vedervi, e vi ci fa trovare il babbo d’Arsenio. Ma io mi fido renderli frasche per foglie. Egli è mal uomo padrone; ed al mal fagli male. Dice il proverbio.

 

            d. pomponio  Falle male. Auh mmalora. E ì l’aggio fatto bene. Ah ciuccio, le so juto a dà la travacca de tomasco.[150]

 

            uberto           A chi Signore? Al messere Arsenio?

 

10        d. pomponio  Mme vedeze a chillo mprocinto; me scappaje, te sia donata. E quanto n’aggio potuto sceppà: diece chiaste. Ma che abbastano? Arremmedia tu, Rubrè; vene no soja Artezza; resto sbregognato.

 

            uberto           Fate così; entrate dalla Petronilla senza temenza; discolpatevi; amicatevela di nuovo.

 

            d. pomponio  Che cancaro dice? Chessa attacca accurto.

 

            uberto           Udite a me; fatele de ghigni, careggiatela, donate a lei il cortinaggio co’ pendagli.[151]

 

            d. pomponio  E Arzeneco nge fa nasce na revoluzione.

 

15        uberto           Importa poco. Gli direte, che perché la Petronilla ve l’ha lodato, vi è stato forza a lei darlo; che gli farete delle dieci piastre altra polizza. Tengo a sicuro, che subito la Petronilla abbia a rendervi cosa di valuta, e con quella mi fido rimediare all’apparecchio d’apprestarsi a Sua Altezza.

 

            d. pomponio  E po... te a sposa, ch’aje tuorto. E i nnanze nne voglio esse mpiso, e primmo d’essere mpiso te scanno.

 

            uberto           Scannatemi pure quando mal vi riesca. Io trattanto tra voi, e la giovanetta, che sta qui a casa il Messer Celasio, conchiudo le sponsalizie. Allo stringere de’ sacchi faremo, che la giovanetta a voi si richiami con la promessa di sposa a lei pezza prima già fatta, e se bisogna, direm, che l’abbiate segretamente sposata; ed ognun bisogna, che le faccia di beretta.[152]

 

            d. pomponio  Mmalora, tu si ommo! E resta sso viecchio cona vranca de mosche. Ma chià, Rubrè, concrude tu primmo . (ed avviasi su per la scalea restando Uberto dove si trova)[153]

 

            uberto           Resta per conchiuso. Credete, che per parte di costei ci possa esser ripugnanza?

 

20        d. pomponio  (Che giunto all’arco numero 9 dice) Ma siente, Rubrè; mmalora no paro mio s’avesse da dì, ca vao facenno truffe po?

 

            uberto           E via Signore; sapete che dicea mia madre?

 

            d. pomponio  Commo diceva mammeta?

 

            uberto           Procacciti bene, né curar donde ti viene.

 

            d. pomponio  E diceva buono mammata. (e sale, e trovando la porta della sala serrata dice) Ccà è serrato. Aprite, chi è loco? Arzè.

 

25        uberto           Bussate. Messere Arsenio, è il padron, che vuole entrare. (gridando)

 

 

                                   SCENA XXVIII

 

                                   Arsenio, che risponde prima dentro le stanze, poi al balcone numero 16, e Petronilla, che si porta alla loggia numero 15.

 

            arsenio         Di’, che non è ancor tempo. C’è ordine per ora incontrario.

 

            d. pomponio  Ne vene, o manco?

 

            uberto           O questa è buona. Dice, che ha ordine di non aprire.

 

            d. pomponio  Comme? Non pozzo trasì a la casa mia? Vi che negozià!

 

5          arsenio         Eccellenza, ecco il padrone vuole entrare, egli è per soggiacere a qualunque gastigo.

 

            petronilla    Non occorre scagionare la diffalta. Resti fuori, tanto merita.[154]

 

            d. pomponio  (All’arco numero 10 ed Uberto, che si fa sotto l’arco munero 9 zufolando Don Pomponio per dentro la scaletta) Ne, è essa che parla? Ch’ha ditto?

 

            uberto           Sta ostinata. Ch’entrar possiate è difficile.

 

            d. pomponio  Che bo dì, ch’aggio perza la casa mia?

 

10        arsenio         Via Signora; il veggio compunto; a che darli cagione d’alienazione?

 

            petronilla    (Che da fuori la loggia numero 18 vede Don Pomponio dove si trova, e dice) (* Mi sente già.) Ho sofferto grande attentato forfatto, sapete voi?[155]

 

            d. pomponio  Ch’ha ditto? Ca so forfante?

 

            uberto           Mostrasi arricciata, ma vi guarda.

 

            petronilla    Eccolo lì; dovrei, veda dico, folgorarlo, e pure un non so che me ne trattiene.

 

15        d. pomponio  Mme ngiuria, ne lo ve?

 

            uberto           Anzi no, è di voi fatta molle.

 

            arsenio         Ammetterlo, ma con gravità, mi parrebbe.

 

            petronilla    Eh, quel disadatto, al veder, veda dico, le dame non si subissa? Qual mai dannato usaggio?

 

            d. pomponio  Ch’ha ditto, ca non saccio?

 

20        uberto           Riveritela, non mostrate contegno.

 

            d. pomponio  Non so degno; con tutto ciò mi fo, vedo dico, facenno sempe più il mio dovuto.

 

            petronilla    Ah.

 

            uberto           (Sospira.)

 

            d. pomponio  (Le po uscì lo spirito. Chesso sì ca non lo bede, e non lo dice.)

 

25        uberto           (Non fate, che vi scandagli.)[156]

 

            d. pomponio  Non saprebbe a che attribuirli cotesta mia mala disgrazia.

 

            arsenio         (Non sa a che attribuire la disgrazia.)

 

            petronilla    (Disgrazia l’incontr’io, veda dico, che mi veggio così mal guiderdonata.)[157]

 

            d. pomponio  (Ch’ha ditto, ca m’ha donato? E spapura a tiempo.)

 

30        uberto           (Ditele, chi dona il cuore non ha più che dare.)

 

            d. pomponio  (Non te ne vuoi a cancaro? Chesta se nge appenne.)

 

            uberto           (Vi fate dell’utile senza danno.)

 

            petronilla    Ammutolite sì ne, veda dico?

 

            d. pomponio  Vedo dico, dovrebbe appilarmi; imperrò chi ha dato quel, che ha donato, non ha più che darla.

 

35        arsenio         (Non ha più che dare di quel, che ha donato.)

 

            petronilla    Avrà molto a ritrarre chi per voi s’è immolata.

 

            d. pomponio  (Che? Sta ammolata? Chesta vo fa nauta fera.)

 

            uberto           (Oibò, ella è tutta per voi; non vi fate vincere di cortesie.)

 

            d. pomponio  Signora ussignoria ammola a contraste, ed io pur è bero allicche salemme.[158]

 

40        uberto           (Non può intendere. Dite che l’immolate il cuore.)

 

            d. pomponio  Voglio dicere, che l’ammolo il cuore, non mi percepisce.

 

            arsenio         (V’immola il cuore.)

 

            petronilla    E se l’avete a me immolato, a che riaccattarvelo?

 

            d. pomponio  Mi venderebbe ancor di più; è bennuto, e ben vennuto sia.

 

45        arsenio         (Sia ben per venduto.)

 

            petronilla    O bene; altra domandagion non mi falta. Fo, che rinverdiate nel mio favore, Salite, con voi m’abbatto. (ed entra)

 

            arsenio         Salite.

 

            d. pomponio  Non so n’aseno a sentì a te? Tutte li compremiente de chesta vanno a fenì a battere.

 

            uberto           Non dice ciò; dice, che v’ammette già, salite.

 

50        arsenio         Ecco, Signora, conchiuso il tutto; ricordatevi di mie fatiche. (ed entra dopo di lei)

 

            d. pomponio  Eh Rubrè, concrude tu primmo. (e va per salire)

 

 

                                   SCENA XXIX

 

                                   Conte, Olimpia, Livia, Clarice, Lelio tutti di casa. Il Celasio dalla porta numero 28.

                                   Don Pomponio prima di sopra, e poi abasso, ed Uberto.

 

            conte            A bastanza mi vi sono spiegato. (parlando a Lelio)

 

            d. pomponio  (Che al salire udendo la voce del Conte si rivolge giuso, dove si trova, e dice) O mmalora, ecco lo viecchio. (e seguita a salire)

 

            conte            Contessa, fatecela capire. (ch’accorgendosi di Don Pomponio per dentro l’arco numero 10 dice) Oh Signor Don Pomponio, or più, che mai, son di voi in cerca.

 

            d. pomponio  So chiammato, sì Conte, dalla sia Madama. (e siegue a salire)

 

5          conte            Dite a Madama voi; ch’ha meco egli che fare. (dicendo ad Uberto, e poi gridando) Signor D. Pomponio, calate dico. (allo che Uberto va sopra, e Don Pomponio cala mal volentieri) Signor caro, torno a replicarvi; questo non è luogo per voi. (dicendo a Lelio)

 

            livia               E se non è luogo per lui, non lo sarà né anche per me.

 

            conte            No per voi.

 

            uberto           (Che rincontrandosi con Don Pomponio alla prima volta delle scale numero 9 dice) Calate, non temete; ditela in una alla Contessa, che colei è vostra. (allo che Don Pomponio cala, ed Uberto va suso)

 

            olimpia          Eh Livia mia, non vedi, che fai di te duce il tuo capriccio?

 

10        clarice          (Ah confusa di me.)

 

            lelio              (La sua pena fa la mia agonia; dovea alla Contessa confidarsele.) (parlando a Livia)

 

            livia               (Clarice non ha voluto, teme.) (parlando a Lelio)

 

            conte            Vi credea persuaso, e ch’aveste bere inteso.

 

            lelio              Credo, che v’è noto, che colà entrai con permesso, essendovi colei, ch’a tutt’i patti è mia.

 

15        clarice          (* Dio che sarà di quello.) (inverso Lelio)

 

            livia               (Quanto la scongiurai.) (accennando a Lelio la Clarice)

 

            conte            Che vostra, che vostra?

 

            d. pomponio  (Che fattosi accanto alla Contessa dice) Mi Signora, quel servizio suppricato è lesto.

 

            olimpia          Vi prego pazientare.

 

20        d. pomponio  Mi meraviglio.

 

            conte            Per voi dir questo è un delitto, persuadetevi. (a Lelio)

 

            d. pomponio  (* Auh sempre ho a trovare un collateralo.)[159]

 

            livia               Spetta a me? Ed io l’ho di già risoluto. Dite, che dite bene.

 

            clarice          Ma quando colei ancor dica così; che ne volete Signor zio?

 

25        conte            Eh ragazza, date in iscempiezza.

 

            olimpia          Ah ch’ha la mente straniata, povera a me!

 

            conte            Signor Don Pomponio, debbo di voi compromettermi di maggior favore.

 

            d. pomponio  (* Sientetillo.) Mo Sì Conte, Signora, favorisca; ho da dirli quel piacere, che mi cercò lui.

 

            olimpia          In altro tempo, se v’aggrada.

 

30        d. pomponio  Si serva a suo sfizio, resto immovito.[160]

 

            olimpia          Risponde a caso. (agguardando Clarice)

 

            conte            Ma mi pare padrone...

 

            olimpia          Meschina...

 

            conte            Che non dovreste altro sentire.

 

35        olimpia          Ha gli occhi colà stralunati.

 

            conte            No.

 

            olimpia          È perduta.

 

            livia               Ch’averebbe a fare quando ch’avesse inteso? (* Vedi scompiglio.)

 

            conte            Ch’averebbe a fare. Ma a che star qui più ozioso?

 

40        livia               E vi fate ancora il correggitore dell’ozio?

 

            conte            Don Pomponio rimediate; aderitemi, che non succeda un qualche eccidio.

 

            d. pomponio  Che bo accidere? Ussignoria è di judizio; io Dio lo sa. Mi prometta, che la faccia pregando, Signora.

 

            olimpia          In altr’ora.

 

            d. pomponio  A la sua razia, resti pure.

 

45        olimpia          Più di Lelio non rammenta; a quello solo è volta! Ah muoio in così vederla.

 

            conte            Ma quando non giovin con voi, Signor caro, le preghiere...

 

            lelio              Riverito padrone, v’ho ubbidito in quel che potea.

 

            livia               Sta qui egli per dipendere da Sua Altezza così il Marchese consigliollo.

 

            lelio              Che per aspettarlo fatto mi sono in questo canto, prendo congedo.

 

50        clarice          State pur liberamente. (dicendo a Lelio)

 

            conte            Oh l’indomita ragazza!

 

            clarice          (* Dio guidalo tu.) (Livia non far, che parta.)

 

            livia               Qual interdetto v’è a galantuomini l’assidersi in pubblica piazza? State pure.

 

            olimpia          Clarice mia, se’ in tutto istupidita, torna in te.

 

55        d. pomponio  Chi è chill’auto Callimede? (parlando di Lelio)[161]

 

            conte            La cosa va a finir male. Don Pomponio, fate voi, che se no...

 

            d. pomponio  Pe Ussignoria, Si Conte, farria monete fauze; ma non nge pozzo cchiù arremediare. (* Mme la fa lo cano.)

 

            olimpia          Dov’hai la mente? Torna in te; non hai per Lelio più lagrime? Se Livia è di colui, tu resti preda del tuo odiato, anche non vogli.

 

            clarice          Non accorarmi, no; altro, che ciò debbo temere.

 

60        d. pomponio Resta commico, Signora?[162]

 

            olimpia          Non per ancora.

 

            d. pomponio  Faccia pur ello.

 

            conte            Ah che mi macero. Don Pomponio, lasciate, che vi parli chiaro.

 

            d. pomponio  Sì Conte, m’affrigge. Signora quello ch’ho a dircelo è d’importanza.

 

65        olimpia          C’è tempo.

 

            d. pomponio  Aspetto un mese. (e va per ritirarsi a casa disperato di poterle parlare)

 

            olimpia          Ch’hai a temere, s’hai il tutto perduto? Ripigliati.

 

            clarice          Ah e non perdessi di più, che poco perduto averei.

 

            olimpia          Zio, Clarice delira; ha dato volta, non più avverte.

 

70        conte            L’accagionamento è chiaro, che da quel temerario ridondi.

 

            olimpia          Così concepisco ancor io; fate, che di là si parta.

 

            conte            Risolvetevi a far ciò, Don Pomponio. Non fate, ch’io mi cimenti. (trattenendolo)

 

            d. pomponio  Sì Cò, gioja mia, mo cha i’aggio puro li guaje miei. La rendo dunque supplichevole. (alla Contessa)

 

            conte            Badate a me ora, vi dico.

 

75        olimpia          Ve ne prego ancor io; aderite al zio in quanto è per dirvi.

 

            d. pomponio  Eccomi, compatisca l’accesso.

 

            olimpia          Clarice, se non ancor il comprendi, Lelio è spento. Meglio ti vo’ dolente, che forsennata.

            clarice          Non più auguri, che inorridisco.

 

            olimpia          Sempre più sfalla.

 

80        conte            Via che più s’aspetta? Siete voi il padron del luogo. Fate ordine a colui, che di là sen parta. (accennando Lelio)

 

            d. pomponio  E chi è chillo?

 

            conte            È un, che qui vuol fermarsi per forza.

 

            d. pomponio  Commo? Pe forza? Chessa è meglio. Eh quel zitello, se poi ci ha a suppricare, avarrà audienza; in altro vada ello. (inverso Lelio)

 

            livia               Non vuol cosa alcuna; sta in questo canto, non dà soggezione.

 

85        d. pomponio  Non vuol cosa alcuna, Sì Conte.

 

            conte            (Fate, che di là sen parta col diavolo.)

 

            clarice          (* O cordoglio.)

 

            d. pomponio  Ci faccia il servizio di filarsela un poco.

 

            livia               Un cavaliere s’ha da cacciare di strada in tal modo? Dove si vide mai.

 

90        d. pomponio  (Non mi paja, che n’ha molta intenzione.)

 

            conte            Dove si vide, ch’il padrone in suo luogo non possa ordinare lo che gli piace? (Diteglielo voi.)

 

            d. pomponio  Ma, Signor mio, li padroni pari nostri...

 

            lelio              Non c’è padrone, che possa oltre il convenevole pretendere.

 

            d. pomponio  Non c’è padrone; vada Sì Conte. Ussignoria sta più inteso; lo faccia lui capace.

 

95        conte            Vi farò capace io poi in altro modo.

 

            lelio              Poss’ancor io rendervi capace, e soddisfatto in qualunque modo v’aggrada.

 

            olimpia          E qual temerità avanti di dame così insolentire?

 

            lelio              (* Ah trascorsi) Non supposi insolentire, mi vidi caricato.

 

            livia               (* Oimè che risolvo?)

 

100      clarice          (* Oh Dio spiro l’anima.)

 

            olimpia          Credeste di farvi audace per vedervi avanti il zio disarmato? Datemi qui la vostra spada. (prendendosi la spada di Don Pomponio)

 

            d. pomponio  Mme vao a pigià l’auta io. (e fugge)

 

            clarice          Cognata, non farmi morire.

 

            livia               Contessa che fate?

 

105      lelio              Perdonatemi; ebbi soverchio ardimento, è vero.

 

            olimpia          Partitevi tosto di qui; non mi vi fate più d’avanti.

 

            lelio              Gastigatemi prima, se mancai, poi anderò.

 

            olimpia          Altro non vo’ che parti. Che se mi stimassi offesa, t’averei immersa questa ne’ fianchi.

 

            clarice          (Oh Dio non dir tanto.)

 

110      olimpia          E pur qui stai? Credi che con teco non parli? To insolente. (e gli alza un fendente, venendo trattenuta così dalla Livia, come dalla Clarice.)

 

            clarice          (Ah che fai? Egli è Lelio.)

 

            conte            Fate, ch’il merita l’alteroso.

 

            clarice          (* Son morta.)

 

            livia               (* Stramortisco.)

 

115      olimpia          Fermate, più non fa d’uopo.

 

            conte            Lo fa benissimo, lasciatemi.

 

            olimpia          E parvi bene castigarlo umiliato, quando lo sopportaste troppo ardito. (buttando la spada)

 

            clarice          Aiutatemi, che mi perdo.

 

            olimpia          Soccorrila. (* Or sì che mi perdo ancor io.)

 

120      livia               (* Manco, non ho fiato.) (ed a casa il Celasio si riconducono Clarice, e Livia)

 

            olimpia          Dov’è il Marchese? A chi il commetto? Andate voi zio.

 

            conte            S’ha questi da sterminare. So, che saprete fare al caso. (e s’avvia il Conte in cerca del Marchese per la stradetta numero 27 e poco dopo ritorna)

 

            olimpia          Se non saprò farò mio danno. Tu Lelio?

 

            lelio              Io.

 

125      olimpia          Ed a me ascoso?

 

            lelio              Quell’io, ma senza mente.

 

            olimpia          E senza mente ancor Clarice, perché perdessi pur la mia.

 

            lelio              Son reo, ma fido, che non mi disgradiate.

 

            olimpia          Chi qui ti condusse?

 

130      lelio              Il caso.

 

            olimpia          Che perfido a me sola occupotti. Torna il conte, va’ va’.

 

            lelio              E dove vado?

 

            olimpia          Va’ pur dov’è tua moglie; ed allor che si sappia, ch’altri poi la pretenda. (ed entra Lelio dov’è entrata la Clarice)

 

            conte            Il Marchese non trovo.

 

135      olimpia          Fa d’uopo, che a me ne venga.

 

            conte            E voi nol vedete Contessa, che colui pur là si conduce? (accorgendosi dove Lelio è entrato)

 

            olimpia          Trovate il Marchese. A che imbrigarvi su di ciò? Vi son io; so che farmi. (ed entra dove entrati son tutti serrandosi la porta da sé)

 

            conte            O diavolo. Come? Con un so che farmi, fa’, che quello colà torni, e si ficchi. Ah la mia Contessa mi giuoca di coda tanto bene. Entro io le canterò la zolfa... Dove vado? Cotesto Mirandolese è un temerario. Tutte se li son fatte parteggiane. Voglio cimentarmi? E perché? Si trovi il Marchese ovunque sia. Marchese Marchese. (gridando in cerca del Marchese, e via per l’arco rovinaticcio numero 21)[163]

 

                                    Fine dell’atto secondo.

 

 

 

                  ATTO TERZO

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Conte, Marchese, e Celasio dall’arco rovinaticcio numero 21.

 

            conte            Questo prego io voi a ben masticare, non altro. La Contessa prima irosa, ed irosa tanto, che giunt’è a lanciargli un fendente, poi in un momento al veder colui piangolosetto resa si è tenera più, ch’una felciata. Questo cosa fu? Cos’è? Cosa vuol dire?[164]

 

            marchese      Stato sarà a condiscendenza della Livia.

 

            celasio          Qual dubbio debbe ammettersi in ciò?

 

            conte            Signor mio no della Livia; Signor mio sì, che debb’ammettersi il dubbio. Bene accorto mi son io, che fu un trovato il mandar me in cerca di voi, Marchese. Non si discetti più, non si vada brulicando lo che, credo, che putirebbe.[165]

 

5          celasio          (* Si fosse fatto Lelio noto?)

 

            marchese      Non può nella Contessa esser men che prudente lo che ella fa. Novità se le sarà parata davanti.

 

            celasio          Novità certo. Ella è una dama, che non fa mestieri...

 

            conte            Ella l’adulazione nacque per le dame. Novità, novità; e non vi par novità tirarsi in istanza un uom non conosciuto, e con sé, e con la Clarice? Che mi si fa ugualmente indigestibile.

 

            celasio          Ma, Signore, il Signor Marchese introdusse il Mirandolese colà essendoci la Livia...

 

10        conte            Che Livia? Quello della Livia fu un fantastico arzigogolo.

 

            marchese      Penso veramente, che l’operamento della Livia alla Contessa non fu mai aggradevole. In questo non errate.

 

            celasio          (* Già vacilla.)

 

            conte            A me dite errate? Riesce con difficoltà, ch’io m’abbagli, Marchese; e pur vorrei in ciò ingannarmi.

 

            celasio          Ed un della vostra mente può nella Contessa idearsi meno ben che fondati...

 

15        conte            Idearsi. Io vi parlo di fatto, non d’idea. Stupido lo volete mi pare, cappari.

            celasio          Qual è ’l fatto? Perdonare un trascorso ad uomo inavvertito? Operamento si è di cuor gentile frenar l’ira all’umile inchiesta di perdonanza.

 

            conte            Perdonanza? E perciò condurselo in istanza con restar me di fuori? Canchero, o non si capisce, o non si vuol capire.

 

            celasio          (* Quanto imprudente trascorre.)

 

            marchese      Cotesta fu inavvertenza, m’immagino.

 

20        conte            Che inavvertenza? La porta è chiusa a chiave, e tal fu fin dall’allora. Cacasangue.[166]

 

            celasio          Che dite, Signore? Questa porta va da sé a chiudersi a molla; né si può riaprire, se non da chi è dentro. (e nell’additar la porta la picchia) Se picchiavate stato sarebbevi aperto.

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Brigida, ch’al picchiarsi della porta si fa al verone numero 34, e detti.

 

            brigida          O Ser Nonno, venite suso. Qui giuso non si può aprire, sapete.

 

            celasio          E perché?

 

            brigida          E no, che si discorre in segreto.

 

            conte            Sentitelo tanto bene. E mente la mia...

 

5          celasio          Che segreto?

 

            conte            Da non rugumar la cosa tal quale ella la va.[167]

 

            celasio          Ell’è una ragazza, che poco, o niente sa che si dica. Aprite, apri dico parabolosa.[168]

 

            marchese      Piano, non ancora. (e fa cenno alla Brigida di non aprire) Voi Conte, che ne pensate in sostanza?

 

            conte            Penso, e penso bene. (faccendoni amendue in disparte) Alla mia Contessa a tutt’ore troppo enfiata di vanti se l’è fatta una escrescenza nel cerebro (direbbe il mendicante). Già sapete voi con quanta sconsideranza stolto voglia ella il maritaggio di Clarice con Sua Altezza. Or dunque perché sia in piedi l’ostacolo della Livia, tira a storre dalla medema il Mirandolese; e per agevolmente ciò conseguire tira... e che so io a ch’altro tira? Vorrei esser bugiardo.

 

10        marchese      Ma a che linguettare? Lasciate ch’io entri nel vostro sentimento.[169]

 

            celasio          (* Chi sa di che l’imbottisce il capo.)

 

            conte            Io parlo a farmi sentir da sordi io. Preme a voi, preme a noi, che la Contessa da voi non si stolga. Il Mirandolese in somma che ben tosto, e da lungi se la svigni; la Livia si ritenga in disparte, e resti a mio conto di ricapitarla; Sua Altezza qui sia per compartire un tant’onore alla mia casa nel casamento con Clarice; l’Olimpia vanti d’esser vostra; quest’è oprar con soprassenno.[170]

 

            celasio          Signor Marchese, non è d’uom prudente farsi da qualunque sia detto agitare.

 

            conte            (A che dar udienza a costui? Egli può aver de’ suoi fini ancora.)

 

15        marchese      Udite Messer Celasio. Io dico l’un, dico l’altro; che stia il Mirandolese aspettando Sua Altezza è dovere, il consento; ma non è ben, che stia fra le dame; non si debbe...

 

            conte            Né pur si debbe, ch’altro momento più qui si trattenga. Vada tosto altrove, vada.

 

            marchese      Evvi, ragazza, il Mirandolese guaggiuso?

 

            brigida          Sì Signore, nella stanza di dietro.

 

            conte            E la Livia?

 

20        brigida          Sta all’orticello.

 

            marchese      La Contessa?

 

            brigida          Ella è là entro col Mirandolese a ragionar zitto.

 

            conte            E non si burla.

 

            celasio          Che zitto? Che sai tu che di bambola midollaccia?

 

25        marchese      Tira il saliscendo.[171]

 

            brigida          Tiro.

 

            celasio          Tira il saliscendo. (e rientrando Brigida tira il saliscendo della porta numero 29 e ’l Marchese entra)

 

            conte            Midollaccia. Ma sa dir ciocche vede la midollaccia.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Don Pomponio, ed Uberto da sopra, Celasio, e ’l Conte nella piazzuola, e Giulietto, che cala per la scaletta di Celasio.

 

            celasio          Eh Signor Conte...

 

            conte            Eh Signor Celasio i nostri punti voi poi di villa...

 

            d. pomponio  (Che passeggia dentro le stanze sopra il porticale numero 13 e 14 dice) Rubretto, ca mme so jettato into a no fuosso.

 

            conte            Voi di villa non ben li comprendete...

 

5          uberto           Che fosso? Signore, non dubitate.

 

            celasio          Eh piacesse a Dio...

 

            uberto           È giuso il Celasio, non perdete tempo.

 

            celasio          Ch’anche a villeschi... (trattenendosi di più dire)

 

            d. pomponio  Viene tu puro.

 

10        conte            Che?

 

            d. pomponio  Ngè lo Conte? Voca fora, non nge voglio niozio.

 

            celasio          Non producesse stomacaggine il baratto del loro punto, che fanno i nobili cittadini.

 

            giulietto      (Che giunto alla piazzuola dice) Padrone vad’ora per quanto sapete?

 

            conte            Oh con i nobili in bocca anche messer li Montanini.

 

15        celasio          Va’ pure. (e via Giulietto per la strada numero 27 e si porta al villaggio)

 

            d. pomponio  Rubretto, ca io feto di muorvo.

 

            conte            Par che sia per voi il ruzzolar cose di cavalleria?

 

            d. pomponio  Robretto, ca fiete d’acciso.

 

            celasio          Il dico, Signore, perché va volgarizzato.

 

20        uberto           Conchiudete il parentado con Celasio, e ’l di più stimate un nulla.

 

            celasio          E lo che va volgarizzato lo leggono anche gl’indotti idioti.

 

            d. pomponio  Un nulla? Se io arrivo a ij dinto a no fuosso...

 

            conte            Medicante, m’avete già fradicio. Uditemi; finiamola.

 

            d. pomponio  Tu si juto, e buono into a na chiavaca co la capo sotta.[172]

 

25        celasio          Fate ammeno dunque di ricever più tedio da un montanino mio pari.[173]

 

            uberto           Il Celasio anderà altrove; volete fallarla mi pare.

 

            conte            Non ho preteso macularvi.

 

            d. pomponio  Sta ancora chiusa chesta co Arzeneco ne? (spiando dalla toppa della bussola numero 14)

 

            conte            Non vi scorrubbiate, no.

 

30        uberto           V’ho detto già quanto fra di loro fu conchiuso, parlate al Celasio.

 

            conte            V’ho per lo primo saccente d’Atene. Datemi udienza, ve ne fo una supplica.

 

            d. pomponio  Che? Ngè sta ancora lo cancaro niro? (additando giuso di furto il Conte)

 

            celasio          Signore; pongo la faccia a terra.

 

            conte            M’averebbe data l’udienza un senato. (e via per la strada numero 27)

 

35        uberto           (Che si è fatto a spiare alla toppa della bussola numero 14 dice) Signore, or esce la Petronilla, vi riscontrate.

 

            d. pomponio  Vao a li soppigne. (e s’avvia uscendo alla loggia numero 20. per donde si sale al tetto del palagio)

 

            uberto           (Che seguendolo dice) È lesa la volta di sopra, vi precipitate.

 

            d. pomponio  Meglio è rompere na costata, che la catena del collo.

 

            uberto           (E dopo aver guardato in istrada dice) È già ito via il Conte, correte. Messer Celasio, fermatevi.

 

40        d. pomponio  Non si friccicihiCesà. (e cala senza guardar giuso)

 

            conte            (Che ritornando dice) Come? Ad un, ch’è con meco, ardite di dir fermatevi?

 

            uberto           A tant’io non avea badato, non credea fosse occupato.

 

            d. pomponio  (Che nel mentre cala per le scale con Uberto dice) Occopato? Mme faje ridere Sì Cesà. I’ te chiammo, e Ussignoria dice occopato; avimmo fornito di rociolià il strummolo.[174]

 

            conte            Dite voi a Don Pompanio, o Pompasino, che, se qui non è ancora capitata la creanza, farò valicarcela su d’un mio legno. (dicendo ad Uberto, che s’è fermato all’arco numero 9)

 

45        d. pomponio  (Che giunto sotto il porticale venendo fuori dice) Sì Cisà, Ussoria appalorcia, quando il padrone commanda. (ritrovandosi il Conte in faccia)[175]

 

            conte            Restò prima da me comandato. Il vostro servidore vi dirà il di più. Venite voi medicante. (e via per la strada numero 27, e Celasio il siegue)

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Uberto, e Don Pomponio, che restano nella piazzuola.

 

            d. pomponio  Mme l’hai fatta fa nera mo, faccie de Caino.

 

            uberto           Era ito già via; come sia receduto non so.

 

            d. pomponio  Co sso non so ngè mancato justo un pilo, e le diceva caccia mano. Già m’è sagliuto il pepe a le forge del naso; e tu co sso non so mi bello.[176]

 

            uberto           Avete inteso ciocche v’ha detto?

 

5          d. pomponio  Sì ch’era surdo. I’ commando un Sì Cisario, un vassallo mio, e chillo dice, l’ho commandato io. Chisso le femmene se le bo portà co isso, li mascole so li suoie, s’è fatto patrone de lo stato mio ncredenza. A sanco va a finì sso niozio.

 

            uberto           Se non avete udito il di più, ciò è un nulla. Basta; ponete in salvo il vostro maritaggio, che poi bisogna, che cotesto Conte resti di voi screduto.

 

            d. pomponio  Che s’ha creduto? Che cos’è? Vommeca mmalora.[177]

 

            uberto           Egli poco vi considera; dovete mostrarli i denti, padrone.

 

            d. pomponio  I’le mosto porzì le mmola. M’aje ditto chesso a me mo, e ba me pesca va. Va decenno.[178]

 

10        uberto           Basta dirli sol questo. Signor Conte, ho assai io più abbondanza di legne per provvederne chichesia.

 

            d. pomponio  Chi? E chillo dice sì, Ussignoria mi proveda; e i nge perdo le legne appriesso.

 

            uberto           Oibò, che l’intenderà altrimenti. Parlerovvi chiaro; egli dissemi di voler fare, ch’a voi capitasse la creanza su d’un suo legno; ch’a buon dire entrò a minacciarvi di bastonate.

 

            d. pomponio  Ne? E ba ca chisso mme fa arrecordà le specie antiche, va. E i ne voglio... na vottatella mme vasta . Au Ciommetiello lo sbozzato; mo quanto lo pagarrìa chillo, e l’azzennasse a sso vavuso lo fieto, ch’aggio fatto sentì io sulo co la smarra vi, non dico co fa manco signo de scippà. Vorrisse vedè, che doglia de matrone le vorria afferrà.[179]

 

            uberto           Ruzzolar del passato, Signore, non fa al caso presente.

 

15        d. pomponio  E Signor sì, ca fa caso, e recotta porzì. Se sapisse tu na vota a Ciommetiello... siente, l’assajello a chisso no juorno trè conesse; ma conesse a deritto ; e lo cano se le scanza tutte trè. I’ vedendo chesso mme mpesto, vao pe le refonde na botta deritta, e lo vigliacco jetta la mano manco nnanze, e se scanza la quarta. I’ lesto co no contrancavo le sparo na ventosa justo a lo vellicolo, e che te cride quanto stette a piglià sciato, nf’i a tanto che non se teraje un cato d’acqua pe lo revenì.[180]

 

            uberto           Ponete in salvo prima il vostro maritaggio, che la Petronilla non vi dia un qualche scaccomatto.

 

            d. pomponio  si n’è commo te dich’io, .

 

            uberto           Allor che le vostre nozze con la giovanetta sono in sicuro, la Petronilla vi darà di naso.

 

            d. pomponio  E ba ca de naso; ì nge do de musso a sso pasticcio a lo sole. Te pare poco, che chella me pozza jettà a faccie, ca m’ha dato n’aniello de ssa manera? Mo tu dice, ca me manna la poragna pe Arzeneco. Bene mio, ca mme so strangoliato.[181]

 

20        uberto           Che perciò? Ella ha dato a voi l’anello in ricompenso del cortinaggio, che voi a lei donato avete. Li trenta fiorin d’oro, che ha ordinato ad Arsenio di darvi (come testé ho inteso) prendeteli liberamente, che ve ne sottrarrete poi.

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Arsenio, che cerca il padrone per le stanze, e detti.

 

            arsenio         Signore, Signore.

 

            uberto           Eccolo, già a voi ne viene.

 

            arsenio         Dove sarà egli? (e s’avvia per venir giù)

 

            d. pomponio  Sciuoglie, sciuoglie, dì ca non nge .

 

5          uberto           Prendete ciocche vi dà a cento mani. Dove credete che sia Uberto?

 

            arsenio         (Che giunto all’arco numero 10 dice) O Signore attendetemi; vengo a voi pieno d’oro, e non si burla. (e vien giuso)

 

            uberto           Padrone, veggo che di me diffidate. Quando sarete già sposo d’altrui a che averete ad esser tenuto?

 

            d. pomponio  A chessa chi l’ha ditto ca io aveva bisuogno de’ denare?

 

            uberto           Arsenio l’ha raccontato le vostre strettezze nelle prossime emergenze, e per carpir da voi, e per carpir da colei l’usura di cinque fiorin d’oro per trenta, che glie n’ha improntati per solo dieci giorni di tempo.

 

10        d. pomponio  Mmalora, e loCisario ha pigliato papara, ed io mi seguita la trammessura.[182]

 

            arsenio         (Fuori) Ecco, Signore, la Petronilla a mio sommovimento vi rende trenta fiorin d’oro, che gli godiate in segno della sua svisceratezza. Non ha guari ho fatto, che vi dasse un anello di tanta valuta, vo’ vedere il contraccambio.

 

            uberto           Padrone, veramente Messer Arsenio l’ha fatta da un tale, che vi stima.

 

            d. pomponio  Ubricato gioje meje. Io le piglio da le mmano toje, non saje, pe la morte, e pe la vita.

 

            arsenio         Che morte, e vita? Il tutto vi vien dato fuor di conto.

 

15        d. pomponio  (Lo siente?)

 

            uberto           (Prendeteli; la cosa per voi è in sicuro.)

 

            d. pomponio  nzicuro?) Abbreviammo.

 

            arsenio         Piano, Signore, è dovere vi ricordiate, ch’oltre la grossa mancia, che merito, mi dovete restituire le dieci piastre datevi per prezzo del cortinaggio, che poi donato avete a Madama.

 

            d. pomponio  Lloco mo, che buò che te faccio? Una te dice commo è bello chesso, e chi è casa de Varvadoro ha da dicere al commanno sujo.

 

20        arsenio         Come al comando suo della roba d’altrui?

 

            d. pomponio  Che robba d’altruja. Io allor ti diceze te sia donato, e mo te dico non po essere. Nuje aute avessemo da sta soggette, ch’avimmo ditto sì, o ch’avimmo ditto ? Lo reventa sì, e lo sì reventa quando nge piace.

 

            arsenio         Quest’è una legge da corsaro; tremo in udirla.

 

            d. pomponio  O triemme, o te vene la quartana, e tutt’uno. Te ne faccio nauta polesa.[183]

 

            arsenio         Che polizza? Sbagliate?

 

25        uberto           (Spicciate) La ragion vuole, padrone, che ce li rendiate in contanti. (Presto, che torna il Celasio.)

 

            d. pomponio  Concrudiammo; se tenca lui, che le pare ncoscienzia. Siete appiagato?

 

            arsenio         Questi son trenta fiorin d’oro; (e glie li mostra in due cartoccini) venti per voi Illustrissimo, e dieci per me in conto de’ miei guidardoni, come del credito delle dieci piastre.

 

            d. pomponio  Vinte a me, e diece a te; pe tierzo sì a ufo di vinocuotto. Dì v’accompagna.[184]

 

            arsenio         Resto tenuto. (e gli rende un cartoccino di venti ritenendosi un di dieci)

 

30        uberto           (* Se non farò cacarteli mio danno.)

 

            arsenio         Li riterrò, se volete, per le spese da farsi nell’imminente apparecchio.

 

            d. pomponio  Dì v’accompagna.

 

            arsenio         Mi rimetto poi per lo di più alla vostra galanteria.

 

            d. pomponio  Non mi zuchi più in cortesia. (risalendo Arsenio)[185]

 

35        uberto           Non li vedreste più. Avea ben egli ingegnato il modo da non farvene veder pu uno; e che restaste di più svergognato; quando a me basta l’animo con solo dieci di essi apprestarvi una cena reale, un’illuminazion confaccente alle nozze d’un potentato.

 

            d. pomponio  Faje tutto chesso co dieci sulo de chiste?

 

            uberto           E me n’avanzeranno ancora.

 

            d. pomponio  Te bene mio; e se ti soperchiono, so li tuoi.[186]

 

            arsenio         (Che giunto all’arco numero 9 dice) Che se poi volesto ch’io pensassi ad un fastoso ricevimento, spenderò del mio, e me lo rimborserete con piccolo mio avanzo.

 

40        uberto           (Non dite né sì, né no.)

 

            d. pomponio  Non ci frusciate. Stiamo con altro in capo.[187]

 

            arsenio         Tanto il farò, e vi loderete di me. (e sale intrattenendosi nel contare i fiorini del cartoccio a lui restato.)

 

            d. pomponio  (Llo )

 

            uberto           (Ch’il faccia, il perderà; voi non l’ordinaste.) Ecco il Celasio, padrone; s’è già disbrigato dal Conte. Badate, che restin ora stabilite le vostre nozze, e ch’egli dica, che furon fermate da due mesi fa ancora.

 

45        d. pomponio  Dimme na cosa: tu lo Conte lo vide da lloco?

 

            uberto           Va in là.

 

            d. pomponio  Saje buono, ca non vene ccà?

 

            uberto           Per ora no.

 

            d. pomponio  Per ora, e ?

 

50        uberto           Fermatevi, non partite; terminate il vostro affare, che se no, v’impicciate con la Petronilla.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Celasio dalla strada numero 27, e detti.

 

            celasio          Alla fin fatta poi si senta come si voglia. (inverso il Conte ch’è dentro)

 

            d. pomponio  Si Cesà, e che mula m’aje fatto tenè? Lassa i sso purpo.[188]

 

            celasio          Anche un abbietto può ripugnare a chi che sia in ciocche non istima convenevol cosa fare.

 

            d. pomponio  Assa ì si Cesà.[189]

 

5          celasio          Son per ubbidirvi Illustrissimo.

 

            d. pomponio  Nun te nge votà cchiù, se mme vuo bene.

 

            uberto           (Che guardando dentro inverso il Conte dice) Affrettate in poche parole, che non rivenga il Conte. (allo che Don Pomponio va per fuggire) Che non rivenga, dico; non è, che riviene no. (e ’l trattiene)

 

            d. pomponio  Oh diavolo, e che susta. Non è per auto, ca non voglio fa sentì li fatti miei a nessuno. Statte de posta tu.

            uberto           Parlate pur liberamente.[190]

 

10        arsenio         (Dietro il pilastro dell’arco numer 10 non veduto da chi è in piazza dice) Cercherà dal Celasio la sua approvazione.

            d. pomponio  Orsù, Sì Cesà, già beo, ca poco nge so de li pare suoje; io so resoluto d’apparentar co lui.

 

            uberto           credete, ch’il padron sia per burlarvi. Ditela in una.

 

            celasio          Come Signore? Con meco che cosa? Io non capisco.

 

            d. pomponio  Tel jetto a polo a polo. Sua nipota già s’ha da maritare; ì la voglio pe legitima mia moglia.[191]

 

15        arsenio         (* Bene.)

 

            celasio          Mia nipote d’ha da maritare? E chi ’l sa? Allorché poi fosse in istato di darla a marito, dover sarà, che prenda un suo pari, Signore.

 

            d. pomponio  Chesso non l’ha da vedeè Ussoria. Io so chi so, e pozzo apparà chi n’è paro mio, sempre che boglio.

 

            arsenio         (* Faronne intesa la Petronilla.)

 

            d. pomponio  Non ngè vo chiù trascorzo al niozio.

 

20        uberto           Il padrone l’ha bene esaminato.

 

            celasio          (* Ed una, ed una che fan due.) Qual pensate, che sia mia nipote?

 

            d. pomponio  De la granne de la granne te parlo; la pecciotta fete de latto ancora; nge vo sprecazione lloco mo?

 

            celasio          La ragazza ella è mia nipote, per l’altra sbagliate, Signore.

 

            d. pomponio  Chello che t’è, sora, cainata, consobrina, Ussignoria la tenga peme, fore male però, co tutto l’annore de lo munno. Che te cride?[192]

 

25        uberto           Messere non restate sospeso, no; ch’il vostro merito giunge...

 

            celasio          Signore siete in abbaglio. Ella non è mica mia nipote, non mia congiunta, ma Livia figliuola del Conte Moratti, Qui si trova fuggita da suoi, aspira alle nozze di Sua Altezza d’Urbino, e forse adempito vedrassi lo che giustamente pretende.

 

            uberto           È fatto il matrimonio.

 

            d. pomponio  Commo è fatto? Tu che diavolo dice? Non siente, chesta non saccio che pretende. Tu non hai ntiso buono.

            uberto           Ho bene inteso io.

 

30        d. pomponio  E non parle mo? Sopisce sta difficoltà del Signor Cesario. (ed accorgendosi, ch’Uberto guarda dentro inverso il Conte dice) Che venesse?

 

            uberto           Torna già il Conte, sapete. (allo che Don Pomponio va per fuggire) Non partite che v’ha già guardato.

 

            d. pomponio  E gnornone, assamene ire; n’è tiempo. Che buò mescà duello, e matrimonio? Lo farrisse tu? Miettete nnanze.

 

            uberto           Per ovunque andiate se ne rende accorto.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Il Conte prima di dentro, poi fuori, e Giulietto, che vien dal villaggio numero 38.

 

            giulietto      (Che giunto sopra il ponte numero 26 dice) Padrone, ho compiuto a quanto sapete. L’ammalato manda a dirvi...

 

            conte            Eh valletto valletto, dite a cotesto Don Pomponio, che l’attendo qui. (allo che udire Giulietto si volta inverso dove parla il Conte)

 

            uberto           Non v’ho detto io, che v’averebbe veduto?

 

            d. pomponio  Statte a bedè, che chianca. Dì, dì, fa’ nfenta, ca non ha ditto a te. (a Giulietto)[193]

 

5          conte            M’hai tu udito, o no, ragazzo?

 

            giulietto      Ma se dite a me, io vo pe’ fatti miei, sapete. (rispondendo forte, perché di lontano il Conte l’oda)

 

            conte            Sì sì, a te dico; se’ sordo? Dì al Don Barba d’oro, che sia tosto da me.

 

            giulietto      Sta quivi assiso, e vi cerca. (a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  Dì, ca so asciuto, dì ca non nge so, dille accossì.

 

10        giulietto      È uscito, e che non c’è ha detto. (gridando inverso il Conte)

 

            celasio          O risposta da mestolone.[194]

 

            uberto           Vedi mellonaggine.

 

            d. pomponio  Puozz’esse scannato. (a Giulietto)

 

            giulietto      Ma così m’avete imposto.

 

15        conte            A chi crede costui di baronare? A chi?[195]

 

            giulietto      S’è alzato, e viene di mala volontà. (a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  Mala volontà?

 

            uberto           Padrone animo, ora vi vien fatta.

 

            conte            Vuol che gli risciaqui il bucato costui alla fine, e ’l farò. (e s’avvicina non veduto)[196]

 

20        d. pomponio  Cesà arremmedia, ca vide no maciello nnanze a la casa toia, io te l’aviso.

 

            giulietto      Vedete, che corre. (a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  Corre diavolo.

 

            celasio          Fato vero lo che diceste; trovatevi partito. (a Don Pomponio, che fugge verso sua casa)

 

            uberto           Non andate a casa, che tornerà a guatarvi.

 

25        d. pomponio  che roina. (cercando di fuggire per la strada a portico numero 3)

 

            uberto           E colà ancora vi vede.

 

            giulietto      Salvalo Dio; ha avuto a dar giù malamente. (guardando inverso il Conte)

 

            d. pomponio  (Che spingendo la porta del Celasio numero 28 dice) Cca è chiuso, saglio ncoppa. (e s’avvia per le scale di Celasio)

 

            celasio          Non occorre, ancora è serrato.

 

30        d. pomponio  Puro vene? (a Giulietto)

 

            uberto           Con un vecchio alla fine sempre n’avreste la meglio.

 

            giulietto      Viene azzoppato.

 

            d. pomponio  Ente valentizia, a pigliaretella co no zuoppo. Te nge la pigliarrisse tu?[197]

 

            celasio          Cotesti darà nelle scartate.

 

35        d. pomponio  Me metto dereto alla radiata.

 

            celasio          Pur può vedervi.

 

            d. pomponio  Scassa ssa cantina. (allo che dire così Uberto, com’egli forzano la porta numero 30)

 

            giulietto      Presto già arriva. (a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  Aggie pacienziaCisà, te pago lo chiavettiero.

 

40        celasio          Ecco la chiave. (porgendola ad Uberto, che pressato da Don Pomponio apre, e questi colà entrando si serra, e nel volere con la mano per entro il cancello ritirarsi la chiave, gli cade avanti la porta)

 

            uberto           (* O l’uom dappoco in tutto!)

 

            celasio          Va’ torna dall’ammalato, e digli, che queste son le polveri. (consegnando a Giulietto un cartoccino)

 

            giulietto      Perché non darmelo allora? Fatt’averei un viaggio, e due servigi. (e via pel ponte numero 26 al villaggio)

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Conte, che cala per la strada numero 27 Celasio, ed Uberto.

 

            conte            Dov’è dov’è il mio Signor Don Zotico incivilissimo?

 

            celasio          Non so di chi parliate, Signore.

 

            conte            Di chi? Mi sembrate un ciocco voi ancora. Il Barba in cu... dov’è il nostro feudatario?

 

            celasio          Vi si disse già, ch’era di qui partito.

 

5          conte            Partissi, dopo aver fatto egli dir, che non c’era. Con chi crede di trattare cotesto villanzone? Tanto ancor gli dirai tu, famiglio, oltre a ciò, che da mia parte detto l’avrai.

 

            uberto           Io non dissi, né son per dire al padrone cosa che sfregio l’apporti. Son servidore, che gli reco onore, e non acciacco.

 

            conte            Va’ alle forche tu capestro ragazzaccio.

 

            uberto           Vanno alle forche i mascalzoni, i scheroni, non la gente onorata.[198]

 

            celasio          Meno ardire, sta’ in te.

 

10        conte            Altezzoso, insolente, parti di là.

 

            uberto           Sto a casa; ove non pago il fitto.

 

            conte            Che t’apro il capo con questa gruccia per Dio. Parti dico.

 

            celasio          Parti parti; non è per te il bitostare con signore di conto.

 

            uberto           Il signor di conto m’ha da cacciare di casa?

 

15        celasio          Va’ a tua casa; e cacciato non sarai. (e via Uberto per la porta della cucina numero 5)

 

            conte            Vedi vedi quanta presuntuosità, quanta grandigia! Ma sempre peggio fu la vostra rusticità.

 

            celasio          Rusticità chiamate il non voler un assentire a ciocchè non conviensi?

 

            conte            A voi non conviene ciocchè converrebbe ad un magnate? Più che del vostro interponimento in una cosa tant’onorata, qual è un matrimonio, io non vi richiesi.

 

            celasio          Ed io umilmente vi risposi, ch’era il mio interponimento vano, mentre la Livia non istimato avrebbe le vostre nozze, non altre per lei al pari vantaggiose, salvo quelle, che nel suo onore reintegrata l’avrebbono.

 

20        conte            Ch’onore? Uditemi; posto che credesi il falso al verace, negasi il vero al mendace; una panzana, un falsamento a tempo qual discapito vi farà mai, qualora se ne carpiscono tanti avvantaggi; e ’l più di tutti per voi, perché si dia bando a cenci sì?

 

            celasio          Cento avvantaggi non iscusano un piccolo male per conseguirli; quanto meno faran per iscusarsi cento mali, perché se n’abbia un ideato vantaggio.

 

            conte            E via con tante ghierabaldane. Io ho per costume, che tra ’l mio detto, e ’l fatto non vi sia tratto. Prendete. (porgendogli danaio)[199]

 

            celasio          Signore, siete in errore; non è per me dir più innanzi, Signore.

 

            conte            Grossiere, zoticone, tal fia di me, se non farò porti la coda fra le gambe, come il cane ch’ha tolto il lardo al cuoco, va’.

 

25        celasio          Non di tutto quel, che uom dice, si trova poi contento, Signore.

 

            conte            E non istar più a sorbirmi il forame, sputasenno; io non ho bisogno di te. È servigio di Sua Altezza che della Livia io ne disponga. Rendetemela sotto pena di farvi scopare per Urbino, e lo stato tutto. Rendimela tu.[200]

 

            celasio          Perché io renda lo che è mio debbe un giusto comando costringermi; per far ch’io dia lo che a me non s’attiene, da me affatto non dipende, da chi mai tal forza farammisi?

            conte            Da un ch’è come il Conte Orsucci, né più, né meno. Che pensi tu, che segga io ad uno stesso banco con cotesto zoticone di contado del tuo padrone? Dimmi la Livia ove sia?

 

            celasio          Ben sapete, che tanto ne so, quanto che voi.

 

30        conte            Aprite qui tosto. (additandoli la porta numero 28)

 

            celasio          Deve aprirsi da chi è dentro.

 

            conte            E chi è dentro?

 

            celasio          Meglio il sapete di me.

 

            conte            Altra porta, che mi conduca all’orto tuo, ove sia? Questa forse? (additandoli la porta della cantina numero 30)

 

35        celasio          Quest’è una bassa canti netta; colà non introduce.

 

            conte            Aprila, o che mando l’uscio a terra. Aprila maccianghero. (e la spinge)[201]

 

            celasio          Non ho meco la chiave. Ma non so poi, se sia d’un vostro pari far forza alle case altrui.

 

            conte            Son per dartela tutta a terra; apri ti dico. Dubiti, che voglia del tuo vino, pidocchioso. Certo colà conduce, giacché ripugni, maliziato illegittimo. Apri, che la rovino. (sempre più spingendola)

 

            celasio          Ma tanto poi non sel fa lecito essiche sia.

 

40        conte            E mel fo lecito io. Grida grida; credi, che ti faccia schermo cotesto birbone del Napoletano? Venga venga; che gli darò tanti calci al posteriore, fin che ci lasci appiccato un calzare. Venga.

 

            celasio          Compie a me prender le sue parti. Egli è un galantuomo napoletano, che per nessun verso tal parlare gli s’addice.

 

            conte            Egli, il ridico millantavolte, è un birbone, che tale si spaccia d’essere, pari ad altri due Napoletani, ch’ho io conosciuti di simil fatta, un tale in Ferrara Don Giacinto Paglionico, ed un altro in Lucca il conte Buonfati, che spacciavansi similmente per cavalieri di quel paese, ma altra prova non ne davan essi, solo il lor millanto, il lor mentire. E pure sciocco v’era, che fede lor prestava, come fai tu a costui.

 

            celasio          Il conosco io per operatore d’onorate azioni, ch’è il vero essere di galantuomo.

 

            conte            E come tale, egli con la barba d’oro, e tu con la barba nera nettatemi pure il posteriore.

 

45        celasio          Ah dammi, Dio, tutta la sofferenza.

 

            conte            (Che volendo spingere col piè la porta, s’incontra nella chiave ivi a terra caduta, la prende ed aprendo dice) Che sì che la vinsi, fu aperta. E pur evvi altra cosa puntellata.

 

            celasio          (* Che fo?)

 

            conte            Si sa cos’è questa, o no? (e senz’accorgersi cosa sia, per istarne di dentro Don Pomponio, che la sostiene molto curvo, sporge il Conte la mano per dentro il cancello, e col bastone cerca smuovere il puntello, che ivi crede e colpisce replicatamente Don Pomponio, che a colpi, che soffre, fa una specie di grugnito, e’l Conte dice) Grugnisce? A sì è ’l porco. (e col bastone gli dà di punta più volte con replicato grugnito di Don Pomponio) Togliete via questo porco di qui; vo’ entrare senza meno.

 

            celasio          Fate alto, Signore; evvi colà cosa, che può offendervi in fine.

 

50        conte            Sì eh; tiene il mastino ancora il barbagianni. O il gran gabbappolo, che se’ tu! Piglierò un arme da fuoco, e te lo stenderò a terra cotesto cagnaccio sì or ora. (e salendo la scaletta di Celasio dice) Ma so ben, che di qui suso si cala giù all’orto; il so ben io, sì. Aprite, chi è qui. (e spinge la porta della colombaia numero 31 al trovarla socchiusa)[202]

 

            d. pomponio  (Che vedendo il Conte ito suso dice al Celasio per lo cancello della porta numero 30) Che nc’è? Addò è juto? A piglià lo scarboscetto ? Chi me sarva?

 

            conte            Aprite, che va giù quest’altra porta ancora.

 

            celasio          Uscite, pensate ad un prudente ricapito.

 

            d. pomponio  Ora mo sì ca so forniti li giorni suoi, o li miei. (e di là uscendo s’avvia in fretta verso sua casa)

 

55        conte            Ben fu aperta quest’altra ancora. (ed uscendo dalla porta della colombaia numero 33 sul verone numero 34 dice) Eccolo lì, che se la leppa. Cos’è? V’è venuta la cacajuola Don Barbadoro? È dovere, che vi faccia una visita.

 

            d. pomponio  (Ch’a ciò udire disordinandosi maggiormente urta la porta della cucina numero 5., e gridando dice) Rubrè, Rubrè. (e non venendogli aperto, s’avvia suso per la scalea)

 

            celasio          Signor Conte, la dirò pure, date in eccesso, e straboccato.

 

            conte            Bada a te cornacchione. (e cala avviandosi ancor egli a casa Don Pomponio per la scala in su)

 

            d. pomponio  (Che giunto all’arco numero 9 dice) Addò è? Che se n’è fatto? (parlando in piazza al Celasio)

 

60        celasio          Verrà suso. Si può respingere la temerità con la forza. (allo che udire Don Pomponio sale in fretta)

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Uberto, e Petronilla, che dopo pure cala, e detti.

 

            uberto           (Che fattosi al balcone numero 16 per dentro l’arco numero 10 parla al padrone, che si trova all’ultima scalea) Signore non salite, che la Petronilla v’è incontro con uno stile alla mano. Arsenio l’ha riferito quanto detto avete al Celasio. (e ciò udendo Don Pomponio volta, e torna giuso in fretta, e giunto all’arco numero 9)

 

            celasio          (Di dov’era lo trattiene dicendoli) Non calate, ch’il Conte vien suso. (allo che Don Pomponio di nuovo risale, e prossimo essendo alla porta della sala numero 12 incontrandosi con la Petronilla istizzita ricala smarritamente)

 

            petronilla    Oh il mio venerato, vi colo. (ed al voltare Don Pomponio della prima scalea si trova in faccia il Conte, restando egli all’angolo dell’arco numero 10. con le spalle al muro)[203]

 

            conte            Oh il mio cacaccian riverito, ben ritornato.[204]

 

5          celasio          Oh l’avversa combinazion di cose.

 

            d. pomponio  Schiavo de’ loro Signori. Sì Cesà, Rubrè.

 

            uberto           (Ch’uscendo fuori la loggia numero 18 dice) Or calo la visiera, e vengane che ne voglia.

 

            petronilla    Perdoni per ora chi che sia; ha meco egli a riscontrare gravi partite. (ed afferrandolo per mano s’avvia suso)

 

            conte            Non è tempo, madama; tiene la cacajuola. Venga meco il mio... (ed afferrandogli l’altra mano giuso con seco il mena, levandolo di mano dalla Petronilla)[205]

 

10        petronilla    (Che giungendoli si ripiglia per mano Don Pomponio, con cui risalendo dice) No, compatite; deve a tutti i patti esser con me a darmi conto.

 

            conte            E giusto per questo sono in cerca di lui quant’è.

 

            petronilla    Ma io l’ho per mano già.

 

            conte            Ed io per l’altra. (e così tenendolo stretto amendue vando ingiuso insuso)

 

            d. pomponio  (Dice) Son per contribuirli, quanto dico al mio medico una consurta. Sì Cisà.

 

15        petronilla    Non vi vuol consulta; son ben io con meco consigliata, trecchiere, ingannatore.[206]

 

            conte            E se suso il conducete quivi sarò ancor io.

 

            d. pomponio  Ma Signore si tratta di doglia di ventre, quest’è la consurta.

 

            petronilla    Si tratta? Si tratta di doglia d’onore.

 

            conte            Doglia al ventre? No, no, che farovvi tanto ben io un unzion confaccente.

 

20        d. pomponio  Ma io ho bolontà, Signor mio. Ussignoria che mme... Sì Cisaà.

 

            celasio          Eccomi. Oh povero galantuomo. (e s’avvia anch’egli suso)

 

            petronilla    La mia volontà è assai più risoluta.

 

            conte            Vi vien fallita di sfuggire il passo.

 

            d. pomponio  Ma quand’uno ha bolontà, Ussinogira domandi al medico, che soccedere.

 

25        petronilla    Vedrete ben, che sortirà.

 

            conte            Vi sortirà cosa forte non sortita ancora. (e per mano l’uno, e l’altra tenendolo suso tutti e tre si portano)

 

            uberto           Intramettetevi (a Celasio) se si conta non si crede.

 

            celasio          (Che giunto all’arco numero 10 dice) A che posso contribuire, quand’ei non si sa risolvere?

 

            uberto           Mi risolverò ben io alla fine. (ed entra)

 

30        celasio          Trattenetevi; opriam d’avveduti. (e sale)

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Olimpia, e Marchese dalla porta numero 28.

 

            olimpia          Sì sì, sto avvertendo all’acume del vostro intelletto per verità. A fin di sfuggire le mie giuste doglienze vi fate di me queroloso, non so di che.

 

            marchese      Debbo dare in questo dell’animo mio desolamento. Dopo più prove datevi de’ miei sacrati voleri, il ricompenso veggio, che sia, che mostrate non capirmi di più.

 

            olimpia          No, non andate deviandola. Dico la verità, mi scredo in oggi del mio mal fondato concetto. Credea, che vi fosse d’increscenza la mia rancura, che ben in me la scorgeste, e grande.[207]

 

            marchese      Che scorgei? Vidi ben, che vi smaniaste, vi sconfortaste, mi daste le spalle, senza capirne cagione.

 

5          olimpia          Ben chiaro vi dissi, che stolta volea la venuta del Duca oggi qui.

 

            marchese      Perdonatemi; io sarei a quest’ora già partito a quest’effetto, e sol per voi ricedei. Eh veggio, che, per non preponderare le mie giuste inchieste, date in non sossistenti lamentanze.

 

            olimpia          Una dell’infallibili pruove, ch’abbia io per voi tutta la contemplanza, sia questa, di soffrire, gioconda d’essere da voi stimata infignevole; cosa ch’a me fa il sommo dell’orrore.[208]

 

            marchese      Ah che l’affanno del cuore mel fa dire già. Parlate d’orrore, e di quello, che in me più giustamente il cagiona, mostramento né men fate di farvene accorta.

 

            olimpia          Marchese non v’accorgete, che troppo un non so che vi trasporta? Che troppo costringete Olimpia a sentire?

 

10        marchese      Or bene, perché più non abbiate ad udirmi, troverò modo da finire, e che resti sottratta la voce d’ogni mio rapporto.

 

            olimpia          Donde motivo prendete d’un tanto strano vanare, io non trovo. V’assicuro bensì...[209]

 

            marchese      V’assicuro, ch’assai più orrore vi farà quel, che mi ci ha spinto, di quel...

 

            olimpia          Già vedete, ch’ogni cosa per voi mi si fa comportabile; vi pregherei però, Rinaldo, fin qui a dire basta.

 

            marchese      Rinaldo ancora da quest’ora dirà basta a suoi giorni; tanto vi promette; restate pure.

 

15        olimpia          No; fin a tanto, che non mi palesiate il massimo, il minimo, che v’affanna non penserete di qui partire. Io v’udirò, voi m’udirete, e poi resti in vostro arbitrio di risolvere. Dite, ve ne priego, vanterollo per lo maggior compiacimento da voi ricevuto.

 

            marchese      Stimo v’abbian detto abbastanza quest’occhi non avezzi a ciocche fanno.

            olimpia          Vi dico, che mi dan pena: son per fare lo stesso. Ma, che spiegati con meco ancora si sian elli, vi dico di no. Rinaldo mio, ditelo se m’amate; creder poss’io, che vogliate così appenarmi?

 

            marchese      Ma oh Dio...

 

            olimpia          Che? Dite, che?

 

20        marchese      Che tanta della Livia premura? Che...

 

            olimpia          Che poi? Non vi rattenete. (* Altro ha in mente.)

 

            marchese      Che tanta per quella condiscendenza?

 

            olimpia          Quale?

 

            marchese      Di soffrir colui temerario, difenderlo contumace, ed allor che più rustico, e ripugnante, riammetterlo, e quasi che placarlo.

 

25        olimpia          Placarlo sì; perché stolto non si fosse da ciocche fa acconcio a nostri concertati.

 

            marchese      A quali concertati? Io non mai arrivato sono a comprendere il vostro determinato volere.

 

            olimpia          Non avete voi approvato a cotesto Cavalier Giusto l’inchiesta da farsi al Duca delle nozze di Livia? Non avete voi alla Livia... Ma lasciam tutt’altro; non consentiste voi, che fin a tanto non giungesse il sovrano, costui stasse ov’era la moglie? Tanto fe’ quelli. Cosa fa ora il vostro rammarico?

 

            marchese      Fallo il conoscere, ch’a tutt’altro fia colui intento fuorché ad attendere lo che disse.

 

            olimpia          E donde tal dubbio? (* L’avesse scoverto?) rest’io mallevadrice per costui di quanto e’ promise.

 

30        marchese      (* Peggio.) ma a che mendicar costui per sé sicurtà, quand’è in istato di adempiere quanto promise?

 

            olimpia          Che promise?

 

            marchese      D’impalmar la Livia. Ne dia ora irretrattabile attestato.

 

            olimpia          Se con vostro consiglio gl’insinuaste d’aspettar prima il Sovrano.

 

            marchese      Ora dico, che in tal modo incontrerà del Sovrano maggiore il piacere.

 

35        olimpia          E debb’esser quelli soggettato alla mutabilità del vostro pensiero?

 

            marchese      (* Non fu inganno.) E debb’essere questo tale così avanti nel vostro favore, ch’abbia io a soffrire...

 

            olimpia          Soffire? E che soffrite? Entrate, mi pare, in una non dovuta gara.

 

            marchese      (* Più non posso.) Soffrir dico veder ammesso colui...

 

            olimpia          E pure. Restò ammesso dove n’ebbe la vostra approvazione. Dovreste compiacervene anzi.

 

40        marchese      (* E pur la muta, parlerò.) Che compiacermi? Mi si straccia l’anima in vederlo entrato...

 

            olimpia          Che direte? Spiegatevi pure.

 

            marchese      Entrato sì nel vostro cuore.

 

            olimpia          E tanto osate di proffermi innanzi? O sì che... Via giunga d’Olimpia, dove non credea, la prudenza. Rinaldo, vo’ compatirvi; vi prego moderatevi. Vi basti da me udire, che v’ingannate.

 

            marchese      Contessa, perché m’accorga del mio inganno, debbo di colui veder la Livia già sposa, o che soggiacerà egli a darmi conto d’un tanto tradimento.

 

45        olimpia          Ah infame, se’ indegno d’esser da me trattato qual non meriti. Fiderei ben io di smentirti; (e con impeto si fa alla stessa porta numero 28 a chiamare) Cavalier Giusto udite. (e rivoltandosi al Marchese dice) Ma perché vo’, che, chi giustamente proteggo, non resti di te al di sotto mi rattengo.

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Lelio, Livia, Clarice dalla porta numero 28. Brigida, che dalla porta numero 35 si fa frettolosa all’archi della colombaia numero 22, e Giulietto dal villaggio numero 38.

 

            lelio              Che m’ordinate? Son qui Signora.

 

            olimpia          Cavate la spada; smentite costui.

 

            lelio              Che dite? E perché?

 

            olimpia          Perché oltraggiovvi.

 

5          livia               Oimè, che fu mai?

 

            clarice          Che s’ha a trovar più, che mi laceri?

 

            olimpia          Battetevi dico.

 

            clarice          Ah nol fare no.

 

            brigida          Giulietto, rumore.

 

10        giulietto      (Che giunto sopra il ponte numero 26 si ferma e dice) Da vero che sì.

 

            lelio              L’offesa rimetto, restone soddisfatto.

 

            livia               Ciò basta, Contessa.

 

            clarice          Ah non fate, che veggia più.

 

            brigida          Chiama il sere tu.

 

15        giulietto      Dov’il trov’io?

 

            olimpia          No, ciò a me non basta.

 

            marchese      Anzi, non basta a me, che fui l’offeso, e lo sono.

 

            olimpia          Soddisfatelo adunque.

 

            brigida          Trovalo, va’ sul palagio. (dove Giulietto s’avvia correndo)

 

20        clarice          No; son io, che tel dico. (a Lelio)

 

            lelio              È l’offeso? Cercherogli perdonanza.

 

            livia               Che più ha a pretendere?

 

            clarice          Non si saprà che fu?

 

            olimpia          No, ciò lo discapita.

 

25        clarice          Frenati cognata.

 

            livia               Contessa per pietà.

 

            olimpia          State a parte. Se la tua offesa rimetti cerca conto d’un mio oltraggio.

 

            lelio              Ed or che farò?

 

            marchese      E tanto ho a sentire? Debbo vendicarmi. (e cava la spada; allo che vedere cava Lelio ancor la sua, correndo Clarice a trattenere il Marchese, e Livia a trattener Lelio)

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Celasio, che sopra il palagio cala frettoloso, e detti.

 

            giulietto      Oh il gran subisso, padrone.

 

            brigida          Sere correte.

 

            celasio          Dimmi che fu? Non palpitare.

 

            clarice          Vieni soccorri. (a Celasio che cala vedendolo dall’arco numero 10)

 

5          livia               Presto, aiuta. (a Celasio ancora)

 

            marchese      Un delli due l’ha a contare.

 

            lelio              Sarete contenta, che non m’offenda. (a Livia)

 

            clarice          Ferisci me prima. (al Marchese)

 

            livia               Fa’ che si fermi, ora muoio. (a Celasio che giunto si frappone)

 

10        olimpia          E credi da vero contarla con chi non ha voglia d’offenderti?

 

            marchese      Che m’offenda.

 

            olimpia          (Che strappando di man di Lelio la spada, avventandosi contro il Marchese dice) Tira a me poltrone. Difenditi, se puoi. (venendo trattenuta dalla Livia)

 

            brigida          Uh terrore.

 

            clarice          Oh giorno di morte.

 

15        giulietto      (Che fattosi su d’un ramo dell’albero grande, ch’è nella piazzuola dice) Tremo tutto.

 

            olimpia          A parte quanti siete. Tira. (al Marchese)

 

            celasio          Contessa, perché far getto della prudenza?

 

            livia               (Mi ti butto a’ piedi.) (stringendola)

 

            clarice          Io non veggio più.

 

20        lelio              Che mi fare io non so.

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Petronilla sul balcone numero 16, Don Pomponio su la loggia numero 18, e detti.

 

            petronilla    Ah che tant’è, correte tutti.

 

            olimpia          Poltrone. (al Marchese)

 

            conte            Fia ciò possibile?

 

            d. pomponio  Venga l’auto pratino; pe uno i so lesto.[210]

 

5          marchese      (Che buttando la spada a piè della Contessa dice) Ferisci, a che ti trattieni? Chi tel vieta? Uccidimi.

 

            livia               Non isperar, che ti lasci. (seguitando a tenere stretta la Contessa)

 

            celasio          (Ch’alzando di terra la spada del Marchese dice) Badate a che fate, a chi siete, Contessa.

 

            olimpia          (Che togliendo con impeto la spada del Marchese di mano il Celasio a colui la torna, e dice) Tira.

 

            conte            (Che in calare ciò vedendo dall’arco numero 10 dice) Oh femina indiavolta, oh sporcheria!

 

10        petronilla    Presto un centellin di vino per ricuperarmi. (a Don Pomponio, che corre a servirla)

 

            conte            Butta via quella spada. Ad un zio non s’ubbidisce? (e cala)

 

            olimpia          Vecchio demente, effetti tutti di tua mente stravolta. (ed ostinata contro il Marchese, benché trattenuta dalla Livia, dice) Tira.

 

            petronilla    Oh stranio strabocco, o cadenza!

 

            clarice          Cognata mi vedi certo morire.

 

15        marchese      Lasciatela pure; passami il cuore, uccidimi, ch’aspetti? (buttando la spada a terra)

 

            conte            (Che giunto all’arco numero 9 dice) Mal abbia chi qui ti condusse, demonio. Nemmen la butti, furia infernale? (ed avviasi giuso)

 

            marchese      A che rattenerla? Non altro a far ti resta; fa’, che men aspra piaga mi fai, fa’.

 

            conte            (Che spiando di sotto il porticale dice a Giulietto) S’è appaciata, o no? O che perdo la sopportazione.

 

            giulietto      S’è appaciata.

 

20        olimpia          (Che dando la spada di Lelio in mano di Livia dice) Mi riserbo allor, che conto dato avrò di quanto oprai, di costringerti con meco a vedertela in chiuso steccato, dove non possi essere aiutato. Va’, e danne parte al sovrano. Appoggiatemi Cavaliere. (a Lelio che va a servirla, e via amendue a casa il Celasio per la porta numero 28)

 

            clarice          Chi mi guida? Mi manca il vedere. (e vien sostenuta da un lato dal Celasio, dall’altro da)

 

            livia               (Che corre a sostenerla, e dice) Dammi una mano, ed a me chi la dà. (e trovandosi prossima a Giulietto si sostiene su gli omeri di quello)

 

            celasio          Rincoratevi pure. (alla Clarice) Tira il saliscendo, Brigida.

 

            brigida          Sarà fatto. (ch’il tira, e cala, e tutti e quattro s’avviano per dov’è entrata la Contessa)

 

25        d. pomponio  (Al balcone con coppa alla mano) Ecco vino co l’acqua, acciò non le dia a bertiginare.[211]

 

            petronilla    Così lento, così pigro, ed accidiato!

 

            d. pomponio  Ma se potevano accedià commo volevano lloro. Io so curso a piglià lo vino. (a Petronilla che beve, e poi entrano)

 

            conte            E non vedete Marchese di nuovo colui che là si conduce? Pur con quello è ita via; voi dove guardate?

 

            marchese      (Che prendendosi con istizza la spada di terra dice) Guardo più, che ad ogn’altro, che per voi mi trovo a tanto.

 

30        conte            Che? Per me? Cotesto gufo di notte colpa a tutto, e ne darà conto. Fermati tu, medicante; non senti?

 

            marchese      Celasio siate da me poi.

 

            conte            No, siate or ora.

 

            livia               (Andate Messere, riparate per pietà.) Da’ tua mano alla Contessina, Brigida. (e restando fuori il Celasio entra la Clarice appoggiata ancora dalla Brigida)

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Celasio, Marchese, e Conte

 

            conte            E ben, che ve ne pare?

 

            celasio          Previdi già, che peggio se ne poteva sperare.

 

            conte            Vedi frontoso sfacciato. Se mi rendevi la Livia, a questo non si sarebb’ora.

 

            marchese      Quel, che non s’è fatto, si può fare.

 

5          celasio          E pensate, che far poss’io che cosa?

 

            conte            Cacciar colei via di tua casa, che ci sarà chi la ricetti.

 

            celasio          Cacciarsi di casa una Dama da un vile come son io? La caccerebbe il Signor Marchese? Se dice di sì, tant’il fo io.

 

            marchese      No, tanto non dico, non voglio. A persuadere l’avete, ch’esca ella di là, e resti secondo il concertato aspettando qui a casa il Napoletano anche col Mirandolese, e ’l consento. In contrario vedrete una rovina.

 

            conte            E che colui nemmen sia qui ci giungo io, se dar non desiate voi in un precipizio.

 

10        celasio          Altro non posso impegnarci, ch’il mio dire. (e s’avvia per entrare dove son le Dame)

 

            conte            E dopo il dire il fare, a malincorpo.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Livia dalla porta numero 28, e dopo poco Petronilla, e Don Pomponio di sopra, e detti.

 

            livia               (Che su la soglia della porta dice) E poi che detto l’abbia a qual fare si stenderà?

 

            marchese      Eseguirà lo che gli sta imposto.

 

            livia               Eseguitelo pure.

 

            celasio          M’impose il dirvi, che di qui ne partiste.

 

5          livia               Ed io rispondo, che non debbo, non posso, e che non mi piace. Ch’altro ha a fare ordinategli.

 

            marchese      Dov’è il padron del luogo? Chiamatelo.

 

            livia               Chiamatelo.

 

            conte            Eh Don Barbidoro, ove voi siete? Don Pomponio (guardando suso) il diavolo ti si pigli, Barbadoro.

 

            d. pomponio  Signor mio, so chiammato. Sia... (di dentro le stanze)

 

10        petronilla    (Che fattasi al balcone numero 16 dice) Ch’il cerca? (parlando giuso) Restate voi dentro. (a Don Pomponio)

 

            marchese      Venga, venga egli giuso, Madama.

 

            livia               Venga pure.

 

            petronilla    Verrò io anzi che no. (ed entra per calare)

 

            conte            Venga egli; a chi dich’io? Il Barbadoro è sordo eh.

 

15        d. pomponio  Gnronò nge sente, Signore. (di dentro)

 

            conte            E venga venga corpo d’un merdoso.

 

            marchese      Venga pure.

 

            d. pomponio  (Che fattosi al balcone numero 16 rivolto alla Petronilla dice) Venca o non venca? Ussoria lo sente? (e cala appresso la Petronilla)

 

            livia               Venuto che sarà che ne sperate?

 

20        conte            (Adempite quanto mi prometteste Barbadoro.) (parlandogli al balcone)

 

            marchese      Dite a colei, Madama, (accennando la Livia a Petronilla, ch’è arrivata all’arco numero 10) ch’è servigio di Sua Altezza che di casa il Celasio sen parta, e che suso da voi ne venga.

 

            petronilla    Quando ciò esser debba convien, che si determini prima il cerimoniale. Calerò. (e voltandosi a Don Pomponio, che cala, dice) E voi badate, che giuraste di non porre più a colei gli occhi in viso. (e cala)

 

            conte            (Che vedendo Don Pomponio dall’area numero 10 dice) (Giuraste Don Pomponio di darmi la Livia in mano; adempitelo.)

 

            d. pomponio  Veda. Sì Conte i aggio fatto molti juramiente; qua aggio d’attendere?

 

25        conte            Attendete a me; fate che mi si rinovi la stizza, che mal per voi. (allo che udire Don Pomponio cala)

 

            marchese      (Togliete a tutti i modi, Madama, la Livia di là.) (alla Petronilla, che s’è fatta giù in piazza.)

 

            petronilla    Ma ove sia il plenipotenziario, che ciò per me tratti, io non veggio.

 

            marchese      A qual altra baia pensate? ... (e rivolto a Don Pomponio, che cala, per l’arco numero 9 dice) Barbadoro fate, che sen vada colei di là, ed in vostra casa ben guardata sia ella.[212]

 

            d. pomponio  Veda Ussignoria, Sia Madama, io ho ncombenza co chella Signora llà da un Sì Marchese bello, e buono. (di là dicendolo alla Petronilla, ch’è in piazza)

 

30        petronilla    (Bada a te, che ti risparmiai uno stile alla gola.)

 

            d. pomponio  Ma a chi aggio da ntennere? (e cala)

 

            conte            Lasciate, che faccia, Madama.

 

            marchese      E via, Madonna, qui non si burla.

 

            d. pomponio  (Che giunto alla piazzuola dice) Ussignoria lo sente? (alla Petronilla)

 

35        petronilla    (Levatene via gli occhi.)

 

            d. pomponio  Le levo l’uocchie? Besogna vedè, se chella se contenta. (* che commando.)

 

            petronilla    (I vostri, dico, i vostri.)

 

            d. pomponio  Se me l’avesse fatti Ussoria.

 

            marchese      Quando sarà. (a Don Pomponio)

 

40        conte            Barbadoro, badate a voi.

 

            d. pomponio  Eccome cca; non nge tenco mente manco; Ossoria non dubiti. (e s’avvicina alla Livia)

 

            livia               Che cosa cercate voi? Non v’intramettete in ciocche non v’appartiene. (a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  (Gnornò, fussero scannate tutte quanta, io non dico chesso: Dico sulo, che Ussignoria è la fata mia. Io ve faccio na donabile arrevocazione de tutte le robbe meje. I ve voglio tenè da na Regina, chiavale no vico nfaccie a chisse.)[213]

 

            livia               E va’ tu ancora scempiato, che mi promovi al vomito.

 

45        petronilla    (Tanto ben che la guardaste. Aspetta veda dico, che, t’ha a succedere.) (a Don Pomponio, e s’avvia sotto il porticale)

 

            conte            (Con giuramento vi comprometteste di porre colei in istanza, che n’avessi io la chiave; fatelo, che se no si rinvivisce il vostro malanno.)

            d. pomponio  Come chè i aggio d’apparecchjà pe na certa venuta de no sua Artezza, ne parlammo appriesso. (e si fa con passo veloce d’appresso la Petronilla, e dice) Mmo mmè sbraco , aggio asciovito a resguardo suo.[214]

 

            petronilla    Ed io ben è, che pensi al rassetto di mia persona per un tanto ricevimento. Conducetemi di qui per essere più tosto.

 

            d. pomponio  Lo tuosto ve lo dono; si sodognarà Signora. (e sale appoggiata da Don Pomponio per la scaletta numero 5)[215]

 

50        conte            In tanto che si fa? Quelli sta dentro.

 

            marchese      Or via scortiamo. Celasio, entrate dal Mirandolese, e da mia parte gli direte, che da me come il Marchese Franchini se gli destina la macchia di Belforte per vedercela a tutto sangue; come cavallerizzo di Sua Altezza se gli comanda che sia tosto qui per ricevere gli ordini del Sovrano.

 

            celasio          Ubbidisco, ma nel qui chiamarlo. (ed entra per la porta numero 28 riuscendo fra poco)

 

            livia               Non è egli suddito d’Urbino, che possa esser tenuto ad ubbidirvi.

 

            marchese      Chi è nello stato debbe ubbidire, o che se li farà saltar la testa. Non è limitato il poter del sovrano, qual voi lo credete, né da lungi sarete ad isperimentarlo.

 

55        conte            (Ma è una gran cosa che vogliate voi disperdere la vostra quiete, la vostra sorte, e non agguardarla in me, che pur troppo grande per voi la serb’io. Livia cuoricino di quest’anima senti...)

 

            livia               E non t’arrossi, vecchio impazzato, vituperevole? Solo il rossore a me rattiene, che ben potrei...

 

            celasio          Il Mirandolese ha stimato irne incontro a Sua Altezza, che corre voce esser già giunto a Fossombrone.

 

            marchese      A Fossombrone? Una lega di qui lontano, e non mi si avvisa?

 

            conte            (Egli ve l’ha celato. Quanto s’opera tutt’è per machina di cotesto negromante. Perché non s’ha da affossar costui? S’egli non s’esenta non si fa nulla.)

 

60        marchese      Celasio, d’ordine del Sovrano restate ora di qui bandito trenta leghe lontano, sotto pena d’una galea. Conte, voi, in cura delle dame; io vado da Sua Altezza. (e va per la strada numero 27 in verso del villaggio)

 

            livia               Bene, conducete me ancora colà. (a Celasio ed amendue s’avviano seguendo il Marchese)

 

            conte            (Che trattenendosi dice) Non occorre no, state, e se volete, che stia ancor egli il Celasio, stia pure su la mia parola.

 

            livia               Conducetemi per l’uscio dell’orto. (e via per la porta numero 28)

 

            celasio          Vi seguo. (e via appresso la Livia)

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Conte in piazza, e dopo poco Livia, Brigida, Giulietto, e la Petronilla con la sua donna di sopra.

 

            conte            Ah ch’il diavolo non poteva congegnarla peggio. Or sì che non la riveggio più, son disperato. Con prevenire Sua Altezza, che la voglio per mia moglie farei tutto. Si faccia... E le mie donne? M’importa più questo. (e vedendo dal balcone numero 16 la Troiana dice) Eh zitella, dite voi a Madonna, che restan le mie dame in sua cura. Io vado da Sua Altezza, che già giunge. (e via per la strada numero 27)

 

            livia               Spiate spiate dov’egli va. (a Brigida, e Giulietto, che subito si portano per la strada numero 27, che va al villaggio, a spiare dietro il Conte)

 

            petronilla    (Che giunta sul balcone numero 16 dice) Come come? Io aver cura delle sue dame? Hai preso un granchio, Conte baggeo; a me osi tu di dire, che rest’io per reggitrice di tue donne? Venga veda dico la tua Contessa, e mi faccia da aia, che vedrò d’accettarla veda dico. (ed entra)[216]

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Lelio, Livia, Olimpia, Clarice, e Celasio dalla porta numero 28, Brigida e Giulietto nel grottoso numero 24.

 

            olimpia          Fin qui si è attentato il Marchese?

 

            livia               Tanto a Celasio ha prescritto, ed avviato s’è incontro al Duca.

 

            olimpia          Del Conte che poi?

 

            livia               Dopo avermi detto quanto vi narrai altro non ne so io. I ragazzi iti son di lui a spiare in luogo, dove osservati esser non possano. Che ne fia di noi non so.

 

5          clarice          Ah che di me è giunta l’ora.

 

            olimpia          Celasio mio se’ tu così perplesso; che sperar s’ha da noi?

 

            clarice          Non son essi i ragazzi colà in quella macchia?

 

            livia               Cerchiam di saperne.

 

            olimpia          Venite voi, ove siete? (gridando a Giulietto e Brigida, ch’al sentirsi chiamare vengono dov’elle sono)

 

10        livia               Che ne fu del Conte?

 

            giulietto      Giusto al calar della Torruccia ha avuto incontro un mandrianetto, che iva...[217]

 

            brigida          E che sai tu dove quelli era avviato? Portava le secchie, e l’ordigni, iva alla mandra, credo.

 

            giulietto      L’ha il Conte assestati due ceffoni.

 

            brigida          E che ceffoni!

 

15        livia               Al mandrianetto?

 

            brigida          Misericordia, che correvagli per la faccia tanto sangue.

 

            giulietto      Dato è giù colui con l’ordigni; egli ha montato a stento il ronzino scaricato, e più non l’ho veduto.

 

            brigida          Correa da disperato.

 

            olimpia          Il mentecatto, al dirli voi Livia, ch’avviata vi sareste dal Duca, nulla curando di sole così lasciarci a più, che pazza risoluzione s’è appigliato. Torna là, ed osserva. (a Giulietto, che dov’era si porta)

 

20        brigida          Ed io?

 

            celasio          Va’ a casa.

 

            olimpia          Lelio, Celasio, ben luogo daste al riflettere; temp’è d’operare.

 

            lelio              Spasimi puoi scorgere in me, non consiglio.

 

            celasio          Or via Lelio vien meco.

 

25        clarice          E dov’il conduci?

 

            livia               No, dicci prima, che pensi?

 

            celasio          D’uop’è, ch’al Duca io con lui incontro ne siamo.

 

            livia               E se da coloro mal prevenuto il trovi?

 

            clarice          Ah che palpito in sentirlo.

 

30        olimpia          Il pensasti tu bene, fanne di ciò sicure.

 

            celasio          Prevenganlo essi a lor talento. Tu confermandoti per colui, che ti fai credere, dirai; né io tacerò se bisogna, che perché tenero, anzi più geloso delle nozze di Livia qui portato ti se’ di costei in cerca attestando la morte di Lelio, ad oggetto solo, che di colui disperasse la Contessina Clarice, ed i suoi. Lo che creduto oprat’ha, che la Contessina assentisse alle nozze di Sua Altezza, agguardando sua impareggiabile sorte, e che Livia perduta ogni speranza d’una ideata promessa fattale da Sua Altezza a te volta si sia; esibendoti a far vera, qual la dicesti, la morte di Lelio, sempre e quando a Sua Altezza ella aggrada. Egli con ciò a guadagnar s’ha sicuramente l’animo di lui; né poco profitto spero, che se ne ricavi.

 

            livia               Oimè troppo all’orlo d’una rovina l’accosti.

 

            clarice          Non far che più senta; che già gelo.

 

            olimpia          A gran rischio lo sponi.

 

35        celasio          Grand’è il rischio ancora d’un naufragante, che fragil legno afferra, e si butta; e pur si butta per campare.

 

            olimpia          E dove sia questo fragil legno al qual s’afferri veder vorrei.

 

            celasio          Altro non dico; fassi con ciò, e credetelo, fassi il caso di dubbio evento. Puoi sperare sentir di più?

 

            livia               Sperar n’abbiamo, e che poi, un dubbio evento?

 

            clarice          Al solo rimembrarlo vorrei morire.

 

40        celasio          Un disperato caso, che passa a farsi dubbio, in quanta parte migliora?

 

            olimpia          In menoma parte basterebbemi migliorato e ’l vedessi, e dov’è?

 

            livia               Come passa a farsi dubbio? Come lascia d’esser disperato? Ov’è questo?

 

            celasio          Lelio sa i miei sensi; il più fermarne fa di scapito.

 

            olimpia          Lelio di’? Com’il pensi?

 

45        lelio              Penso ch’assai più di noi discerne, ed io cieco lo sieguo.

 

            livia               Ma perché non ha egli la morte di Lelio a confermar come disse?

 

            celasio          Perché, d’uopo essendo, che fra poco Lelio si senta vivo, non resti egli bugiardo, e di bugiardo sospetto.

            olimpia          E se a quanto e’ dice il Duca non presta fede?

 

            celasio          Volentieri si presta fede a ciocche al genio confassi.

 

50        clarice          E se tra poco di lui si screde?

 

            celasio          Tra che questo poco non passi spero, e la mia speranza s’adempia. Non temere.

 

            clarice          Ah che, più che sento, più perduto lo veggio.

 

            livia               Fa’ almeno, che quanto tu di’ qui s’esegua.

 

            clarice          Qui sì. Vo’, ch’il rischio, che correr deve lo veggian quest’occhi, e chiudersi possan essi prima de’ suoi.

 

55        olimpia          Oh, il pianto qui a che giova?

 

            celasio          S’egli va, dubbio è ’l rischio, s’egli resta, certo dispera.

 

            clarice          Ah, s’è così, fuggi Lelio; va’ fuggi; più greve mi si fa tuo rischio, ch’a menar dolente abbia io il poco tempo, ch’a vivere mi rimane, va’.

 

            celasio          Oh Dio il tempo vola.

 

            lelio              Ah il portarmi colà fa mio rischio, al qui fermarmi dispero, il fuggire fa mia morte; scegli tu.

 

60        giulietto      (Ch’essendo a spiar nel grottoso numero 24 si fa sul ponte numero 22 e dice) Padrone, tanta gente corre giù riva il fiume. Ognun dice, ch’arriva Sua Altezza. Chi sia cotesti il sapete?

 

            celasio          Ah che fummo tardi. Scortiamo di qui. Animo, non cambiar di viso. (a Lelio, ed amendue s’avviano per l’arco rovinaticcio numero 21. Allo che Clarice, e Livia, al passare di Lelio per di loro avanti danno in dirotto pianto).

 

            clarice          Uh, uh, uh.

 

            livia               Uh, uh, uh.

 

            olimpia          Oimè, che gli recate disaiuto, e grande.[218]

 

65        celasio          La ragione ha da un lato, dall’altro ha Celasio, che non è egli tale, qual credete. Saper ciò vi basti. (e via)

 

            clarice          Aspetta, senti. (e s’abbandona su d’un poggio restando mezza fuor di mente)

 

            livia               Oh che palpito. Ve’, che costei si perde, ve’ che manco.

 

            olimpia          Clarice, sia tu di te padrona per poco. A così quelli mirarti si scolora, il subissi.

 

            clarice          Dov’è? Fa’, che gli dica solo... fermalo; di’, se mi sente.

 

70        olimpia          Non è tempo d’esser più molle, coraggio. Ragazzo va’ tu, ed a noi rapporta subito quanto il Messere col Cavaliere si faccia.

 

            giulietto      È peso mio. (e via a spiar dov’era)

 

            clarice          Ah sì, che vi sarà chi per Lelio il rassembri.

 

            olimpia          Lascia di temer ciò, ne son ben sicura; persona non v’è ch’il sappia.

 

            livia               Ben egli più volte me ne fe’ certa.

 

75        clarice          Ah ch’ha per nemico il destino. Ah ch’in braccio a quello sen corre. Strappatemelo, tornatelo a me. (quasi delirando) Fa’ tu, che mi si dia. Dov’è? A chi più l’ho a dire?

 

            olimpia          Ove vai? È resa già farnetica.

 

            livia               Ragion n’ha; e chi tal non renderassi? Io la prima. Che se ne fa di me? Dove corro? Spingetemi pure.

 

            olimpia          Ah che perduta mi veggio.

 

            clarice          Lasciami, fermami, tu niente fai.

 

80        livia               E chi a me spinga non trovo? A chi mi volgo?

 

            olimpia          Da voi da voi v’irritate il destino; or vi lascio a lui in preda, farò, che di me più si sappia. Dissiparvi la mente, or che più giova averla, che sciocchezza! Animo; in caso estremo Lelio sarà Lelio. Io fido d’esser chi sono, e voi perché a fidarlo non avete? La ragione, Celasio, e non tale qual egli mostra d’essere, come udiste, Lelio, noi quante siamo, stendersi tutti a piedi...

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Petronilla, Don Pomponio, Arsenio, ed Uberto su le stanze, e dopo poco Brigida sul verone numero 34 con gente di servigio, che pongon torchi a tutti l’archi della scalea, alle loggie, balcone, ed al verone di Celasio, e detti.

 

            arsenio         (Che dalle finestre di dentro al palagio s’accorge della venuta del Duca, e dice) Eccoci in punto, Eccellenza, già approda la gondola dell’Altezza Sua.

 

            olimpia          Giugne già, cuore, stiam tutte in noi.

 

            clarice          Cuore a chi l’ha.

 

            livia               Brigida. (allo che Brigida cala)

 

5          petronilla    Troiana, presto l’odoriferi oleati. Chi dà pressura al Cavaliere?[219]

 

            olimpia          Dall’orto può andarsi suso?

 

            brigida          Può andarsi suso, e calar giù.

 

            olimpia          E calar giù, come meglio confacente lo stimeremo.

 

            livia               Brigida sta’ sul verone; avvisane di quanto vedi.

 

10        clarice          Lascia, che vad’io. (e s’avvia suso con Brigida, entrando nella porta numero 28 Olimpia, e Livia)

 

            uberto           Signore, Sua Altezza arriva già, presto. (parlando a Don Pomponio per la porta numero 14)

 

            petronilla    (Che uscendo dalla porta della stanza numero 15 dice alla Troiana) Profumami tu. L’acqua nanfa sul moccichino posta non l’hai. Cavaliere. (parla a Don Pomponio dentro dell’altra porta numero 14) Non vi dà veda dico di sprone un Altezza appropinquante? Cavaliere. (e cala)[220]

 

            d. pomponio  (Che uscendo dalla porta numero 14 dice vestendosi) Respunne, vi, che rettorio (ad Uberto).

 

            uberto           Si pone in punto, Eccellenza, ora cala. (a Petronilla)

 

15        d. pomponio  Un rettorio apierto a tutte l’ore, va’ campa.

 

            petronilla    (Che giunta all’arco numero 10 vedendo Don Pomponio per lo balcone numero 16 dice) Come così allentato al doveroso tributo? Oh l’enorme delitto! (e cala)

 

            d. pomponio  Che , che dice, c’ ditto?

 

            uberto           Che, se siete lento, entrate in pena.

 

            d. pomponio  Entro mpena? O secotorio![221]

 

20        uberto           Spicciate.

 

            d. pomponio  Mme vuo fa i co la pettola da fora? (e s’avvia giuso)[222]

 

            brigida          (Che vedendo Giulietto venire in fretta dall’archi grottosi numero 24 dov’è stato a spiare dice) Giulietto, che n’hai a dire?

 

            giulietto      Il sere con quel Cavaliere, che testé era qui, parlano tanto tanto con quel Signor Grande, che sta fermato ad udirli. Dillo tu entro, va’.

 

            brigida          Vien suso tu, che conti meglio.

 

25        giulietto      Io ho da aspettare giuso il Messere, che dee dirmi cosa secreta. Tira il saliscendo. (ed entra per la porta numero 38)

 

            petronilla    (Ch’udendo sotto il porticale, lo che conta il ragazzo, dice) S’è fermato a dare udienza il Sovrano?

 

            arsenio         Tanto disse quel valletto.

 

            petronilla    (Che dalla piazzuola s’accorge per dentro l’arco numero 10 di Don Pomponio, ch’è nella scalea e dice) E voi come così scomposto alla carlona? Dove si sta?

 

            d. pomponio  La pressa, Signora, pe la gatta fece li figlie cecate; Ussoria lo sa. (e cala)[223]

 

30        petronilla    Non credete, che v’abbia io a soffrire con tanta poco veda dico snellità sapete.

 

            d. pomponio  (Che giunto all’arco numero 9 dice) Co solennità, sì Signora; sollennissimo; sta il tutto dispositato. (e cala)

 

            arsenio         Vuol dire, ch’il tutto sta disposto; ed in fatti lo è. Tutto si fa a mio carico.

 

            petronilla    Eh non badate a risparmio, tutto sia allummato, ed a cera.[224]

 

            arsenio         Ecco sì da principio (vedendosi illuminare i torchi approntati) debbo però farne lucroso riacquisto.

 

35        petronilla    E questa pelucca come così mal raffazzonata? (a Don Pomponio già giunto dov’ella è)

 

            d. pomponio  Male affezzionato, sì Signora. Lo siente? (ad Arsenio) le cose non se fanno accossì diavolo.

 

            arsenio         Manca nell’essenza, Signora, non nella maestranza.

 

            d. pomponio  Mo co sso lans mans hai suputo la difficortà.[225]

 

            petronilla    Perché voi con un solo manichino?[226]

 

40        d. pomponio  Porzì diciamo noi chiste, Signora; porzì porzì si dice.

 

            petronilla    Perché un solo dich’io?

 

            d. pomponio  (Perché ne Robrè? Lo compagno addo è?)

 

            uberto           (Il compagno non ci fu mai; ben il sapete.)

 

            arsenio         Il mantello. (ad Uberto che sale a prenderlo)

 

45        petronilla    E questo succidume sul dorso? Prendete la spazzola, la spazzola.

 

            d. pomponio  Priesto, nge vo lo ditto? (Vi ch’ha da piglià chillo.)

 

            arsenio         (La spazzola qui non c’è, voi non l’usate.)

 

            d. pomponio  Chesso mo nuie aute non l’usammo. Abbesogna ì all’uso de pare nuoste.

 

            petronilla    Che le spalle il petto le braccia siano spazzate non s’usa?

 

50        d. pomponio  Che siano spezzate? Chiss’uso non fa pe mme patrona cara.

 

            petronilla    Il vo’ dire, gaglioffaccio gaglioffaccio.

 

            d. pomponio  Ussoria mme vo dì, che lo faccio; e io non me la sento; mi compatisca.

 

            arsenio         (Che voltandosi dentro verso il fiume dice) Ecco che spunta il Sovrano. Dubito, ch’al padrone non esca di bocca qualche scarabocchio da pregiudicarvi; badateci Madama.

 

            petronilla    Eh; non vi spartate da me. Via pronto al baciamano. (a Don Pomponio)

 

 

                                   SCENA XIX

 

                                   Conte, Celasio, e Lelio per la stradetta dell’arco rovinaticcio numero 21 corteggiando il Duca d’Urbino, che viene in gondola col Marchese, e ’l Cavalier Guidetti, co’ marinari, e detti.

 

 

            d. pomponio  I lo vaso addo volite. (a Petronilla) Statteme vicino chessa mme mbroglia. Ne commo l’aggio da chiammà pe via d’Autezza? O per via de nomme? (ad Uberto)

 

            uberto           (Dite sempre l’Altezza Sua.)

 

            d. pomponio  (Oh che sbattimento de stommaco.)

 

            uberto           (Dove questo sbigottimento?)

 

5          d. pomponio  E se Sua Artezza sua commo a niente dice, accedite chisso; o commo a niente dice, pigliate chessa, ch’è peo?

 

            petronilla    Cavaliere, l’udienza debb’esservi prima da Sua Altezza accordata. (dopo di che calati prima i suoi cala il duca)

 

            d. pomponio  Sua Artezza ha da esse accordata? E i che l’aggio fatto? Mmo accomenzammo.[227]

 

            petronilla    Presto approntate i torchi.[228]

 

            arsenio         Son pronti i torchi, son pronti.

 

10        d. pomponio  I trocchi, sì Signora; quanta ne volite; benché vene pe bia de sciummo, non ci saranno troppo cravaccature.[229]

 

            petronilla    Prego avanti inginocchio, sapete.

 

            d. pomponio  Commo dico, ne?

 

            uberto           Ossequio l’Altezza Sua, ed inchinatevi a’ piedi.

 

            d. pomponio  Dì? Commo?

 

15        uberto           Ossequio l’Altezza Sua.

 

            d. pomponio  Mi fo l’ossequio; Artezza Sua, a i dovuti piedi. (ed inginocchiandosi li bacia la mano)

 

            marchese      (Che in vedendo il Duca a sé rivolto dice) Egli è del piccol luogo il padrone, ma molto inetto.

 

            petronilla    Abbarbaglio sempre più, Serenissimo, veda dico al riverbero de’ suoi splendori. (inchinandosi)

 

            marchese      (Ha trovato partito a proposito, Signore, la Petronilla in costui.)

 

20        duca               Mi piace il sentirlo. Costei com’è qui sola?

 

            marchese      Queste dame son qui da stamane a casa cotesto Celasio, che non ha guari Vostra Altezza ha udito.

 

            duca               Di molto sapiente questo vecchio fa mostra.

 

            conte            (Screditatelo, che costui ci fu contro.) (al Marchese)

 

            marchese      Di molto presume ancora Signore. (al Duca)

 

25        duca               Anzi no; più di sé ritiene che non smaltisce. (e ponsi a passeggiare in riva del fiume)

 

            conte            (E ch’egli è un magagnato dite.) (al Marchese)[230]

 

            marchese      Molt’arte l’assiste, non si dubita. (al Duca)

 

            d. pomponio  (Quanno le pozzona cosa ?)

 

            uberto           (Bisogna ben pensarla prima di parlare, Signore.)

 

30        d. pomponio  (Aggio sensatissimo. Le vorria dì, ca nuje simmo di frate, e ca a Napole se ne nzora uno pe casa, e ca fratemo è nzorato.)[231]

 

            duca               Cotesto Mirandolese quant’è ch’è qui capitato?

 

            marchese      Sotto l’ora di desinare, Altezza.

 

            petronilla    (È in gran consiglio colui con il suo servidore.) (vedendo Don Pomponio, che in segreto parla con Uberto)

 

            arsenio         (Farei, ch’il Sovrano sapesse quanto fra di voi passò, Signora.)

 

35        duca               Negar non posso, che m’han costoro obbligato.

 

            conte            (* Oh diavolo.)

 

            duca               Ben la Moratti aperto al Mirandolese ha il suo cuore, e pure a fin di compiacermi per le sue nozze mi fa inchiesta; né il vecchio, ch’è di lui parziale, ne lo sconsiglia.

 

            marchese      Star può, che spinto a ciò star’egli sia per secondare il suo genio, Signore.

 

            duca               Sia come si voglia. Io mi compiaccio di ciocché al mio piacere fa spiano. V’è di più, che impegnò la sua testa a darmi in mano un rubelle. Ogni cosa da sé sola non è poca.

 

40        conte            (* Ah crepacuore.)

 

            petronilla    Ma fermarsi Altezza ad un’aria poco indulgente non mi assembra.

 

            duca               No, non mi nuoce.

 

            d. pomponio  (Chella ha parlato, i pozzo parlà.)

 

            uberto           (Offerir da sedere sol potreste, ma al Marchese, al Marchese.)

 

45        duca               Celasio, avete poco girato, o molto?

 

            celasio          Molto dir non posso, poco nemmeno, Signore.

 

            d. pomponio  Che Marchese? Vuò fa assettà lo Marchese, e chillo a la lerta? Moccamennuno.[232]

 

            duca               E voi Cavaliere? (a Lelio)

 

            lelio              Io sì che poco dir posso, e non altro.

 

50        duca               Quanto di paese, Celasio, abbracciò il vostro giro?

 

            celasio          Veduto Signore non poco della Francia pervenni a Cales, dove m’imbarcai per passare in Inghilterra. Vidi Londra, e rimbarcato sul Tamigi approdai a Lisbona. Di là vedute alcune città di quel regno passai per l’Estremadura nella Spagna; e non senza diletto e meraviglia consumati più mesi nello scorrere la vecchia, e nuova Castiglia, finalmente traversando l’Aragonese, portaimi nel contado di Barcellona; donde desio mi prese di vedere l’Italia tutta, e vedutala mi ci fermai.

 

            duca               E donde il viaggio intraprendeste?

 

            celasio          Dalla Fiandra, Signore.

 

            duca               Fiamingo forse voi siete?

 

55        celasio          Serenissimo sì.

 

            duca               Udiste Marchese?

 

            marchese      Diletto apporta il ricordo del naufragio a chi gode sicuro porto, Signore.

 

            conte            (Farommi ardito nell’inchiesta della Livia.)

 

            marchese      (Prende di voi mal concetto, che fate?)

 

60        conte            (Mal concetto di chi agevola il suo intento?)

 

            duca               Ma una giornata di tanto vostro onore buona pezza sarà, che non vantaste, Celasio; d’essere ospite di Dame di simil fatta?

 

            celasio          L’onore, che Vostra Altezza mi diffonde, oscura ognun altro.

 

            conte            (* Che tanto consiglio.) Serenissimo perché bado al totale sgombero della Real mente di Vostra Altezza sapendo che qui si trova la Livia Moratti disporrei...

 

            duca               Che fosse di cotesto Mirandolese? Bene, me n’appago. Cavaliere, io di vostra inchiesta mi compiaccio; resti a voi conceduto quanto intorno alla Livia bramate, siete contento?

 

65        lelio              Sarei contentissimo allorché tanto adempiuto veder potessi.

 

            duca               Che? Né temete? Ne resti impegnata la mia parola; si faccia della Livia il vostro volere. Conte, anche il fo per piacervi.

 

            lelio              Al ricever di tanto, altro non potrò darvi, ch’a piedi un nemico, Signore.

 

            marchese      (Oh restate in fine sgannato.) (al Conte)

 

            celasio          Ben diceste. (a Lelio)

 

70        conte            (*Ah spasimo.)

 

            duca               Queste Dame è tempo ormai di vedersi.

 

            marchese      Tarderanno, per non essere ancora all’ordine, Signore.

 

            duca               Desio, che lo sian tosto.

 

            arsenio         Io non aspetterei miglior tempo. (a Petronilla, con chi anticipatamente ha conferito)

 

75        petronilla    Serenissimo, si degni ascoltarmi.

 

            uberto           (Non so che gli spone, ditevi il fatto vostro.) (a Don Pomponio)

 

            petronilla    Questo Cavaliere padron del luogo mi costrinse...

 

            d. pomponio  (Che molto confuso si prostra avanti il Duca, e dice) A Napole Artezza Sua chi ha chiù de no frate, e tanto chiù quanno...

 

            duca               Il faccian pure l’ho caro.

 

80        marchese      Resti a voi accordato lo che chiedere, Sua Altezza il consente. (a Don Pomponio)

 

            petronilla    Bacio la liberalissima mano, né mi convien di ripugnare. Concedete, Marchese, ch’egli ancora lo ringrazi.

 

            marchese      Ringratiatelo pure.

 

            d. pomponio  Ringraziarò pure; Artezza Sua, ringraziandolo pe sempre. (e di nuovo li bacia la mano)

 

            petronilla    A famare la gioia per la venuta di Vostra Altezza qui sono ad improvvisare due pastorelle, all’uso delle stanze del Pulci per la sua Beca, se l’Altezza Sua il consente.[233]

 

85        duca               Mi piace.

 

 

                                   SCENA XX

 

                                   Eurilla, e Dorinda pastorelle accompagnate da Villani, che suonano, e detti.

 

            arsenio         Rallegromi tanto Signora. (a Petronilla)

 

            ubaldo          Di che l’avete ringraziato?

 

            d. pomponio  (E ì che faccio?)

 

            duca               Conte Orsucci potranno essere anche spettatrici le dame; anzi il voglio.

 

5          conte            Favor singolare, Signore.

 

            ubaldo          (Siete dato col cul sul lastrone.)

 

            d. pomponio  (Addò so dato de tafanario?)[234]

 

            ubaldo          (Su le bracie, e con i ringraziamenti di più.)

 

            conte            Io poi fido tutto a voi, ch’abbiate a rendere Sua Altezza sgannata. La Livia la vo’ per me.[235]

 

10        marchese      (Io poi credea, che diceste di renderla sgannata in altro, che ce n’è di bisogno; e che badaste al vostro onore, di cui non veggio venirsi a capo.)

 

            petronilla    Ed a me i dovuti offici quando da voi l’estrarrò? (a Don Pomponio)

 

            d. pomponio  (Orsù covernate, i mme ne fujo.) (ad Uberto)[236]

 

            uberto           (Volete vedervi troncar la testa?)

 

            marchese      (* Ah che irrisoluto mi veggio)

 

15        duca               Per dar luogo sarà meglio irne suso, dove in punto attenderò le dame.

 

            marchese      Concede l’Altezza Vostra che colà ancora possa esser la Livia col suo sposo?

 

            duca               Sì che venga.

 

            marchese      Cavaliere, Sua Altezza vi fa l’onore, che suso siate con vostra moglie; che seco ancora porterà coteste dame. Conte, badate a cioccè vi conviene. I torchi; Cavalier Guidetti, D. pomponio, avanti tutti.

 

            conte            (Mi confondo.)

 

20        petronilla    (Con leggiadria; abbiate in mente, che sposo siete dell’avvenentezza.) (a Don Pomponio avviandosi tutti corteggiando il Duca Don Pomponio e ’l Cavalier Guidetti con in mano torchi accesi infin suso le stanze. Sonatori con pastorelle, che s’accingono)[237]

 

            lelio              Ah ch’il Marchese ben mi spinge ad essere in pezzi ridotto.

 

            celasio          Ribagna di prudenza il pensiero. La fortuna, ch’altro non è che del Datore la provvidenza, già n’ha fondato base a tuo pro.[238]

 

            lelio              In tanto che fo io?

 

            celasio          In quanto a far ti si para fa’, che prevenuto tu sia d’avvedimento, e poi fa’ pure.

 

25        lelio              Ad avere un tal avvedimento sta il caso.

 

            celasio          In te lo cerca, e ’l trovi. Io non ti lascio; facciam costoro intese. (ed entrano per la porta numero 28. Dopo di ciò il Duca si fa in balcone numero 16 con a sé vicino il Guidetti, e ’l Marchese col quale di quando in quando parla; e le pastorelle inchinandosi incominciano ad improvvisare. Conte fuor della loggia numero 18, Petronilla con Troiana fuor della loggia numero 20, Don Pomponio all’arco numero 10 guardando il Duca al balcone. Arsenio all’arco numero 9, Uberto sotto il porticale, Brigida sul verone numero 34, e le guardie a vista)

 

            dorinda        (Canta) Eurilla donde avvien, ch’oltre l’usato

                                               belli ha i suoi raggi in questo giorno il sole,

                                               e ’l prato appar novellamente ornato

                                               de’ ligustri, di gigli, e di viole?[239]

 

            eurilla          (Canta) Dorinda anch’io con meraviglia guato,

                                               che fa la gregge mia ciocchè non suole,

                                                al rio non corre, e poco addenta il prato,

                                                e solo è intenta a salti, e cavriole.

 

            marchese      (Che portandosi della loggia numero 18 dov’è il Conte dice frattanto che l’istrumenti suonano) Il Duca insiste, che le dame vengan suso. Costoro ben da lungi ne saranno, ed io ne le vanto. Voi che risolvete?

 

30        conte            Io ho cosa pure, che mi travaglia; di questo non ho il peso. (allo che il Marchese entra)

 

            dorinda        (Canta) Il rio vicin, che già correa sì cheto,

                                               ora agli augei col mormorar fa scorno,

                                                e vist’ho lungo il rio d’ogni roveto,

                                               spuntar rose novelle intorno intorno.

 

            eurilla          (Canta) Spuntar teneri germi il pin, l’abeto,

                                               vist’ho nel bosco anch’io col faggio, e l’orno,

                                               e stupida esclamando «o giorno lieto»,

                                                un apica ha ridetto «o lieto giorno».

 

            marchese      (Che ritornando fuori dov’è il Conte dice) Badate, che sarann’elle costrette a venire con poco merito. Fate voi argine con un giusto zelo; io me ne spoglio. Tocca più a voi, che ad ogn’altro. (seguitando a parlare in segreto col Conte dove si trova e la Petronilla si fa a parlar col Duca)

 

            dorinda        (Canta) Del gaudio, che la terra, e ’l ciel risente,

                                                apprendi Eurilla tu l’alta cagione?

                                               Ben io l’apprendo, e forse è qui presente,

                                               or vedrem se l’accerti al paragone.

 

35        eurilla          (Canta) Ponendo al tuo parlar Dorinda mente,

                                               già già il mio cuore alla cagion s’appone.

                                               Eccola è ’l nostro Prence, e riverente,

                                                prego il Ciel sempre a noi tal grazia done.

 

            petronilla    (Che per ordine avuto dal Duca scorre le stanze, e dice) Il Marchese Sua Altezza lo cerca. (e fattasi alla soglia della porta numero 12 dice a Don Pomponio) Chiamate voi. Oh il poco corteggiano!

 

            d. pomponio  Marchese, Marchese, chiammate Marchese. (ad Arsenio)

 

            arsenio         (Che salendo dice) Signor Marchese.

 

            marchese      Eccomi, eccomi.

 

40        dorinda        (Canta) Sì sì preghiamo il Ciel, che gli anni nostri

                                               moltiplicati aggiunga a gli anni suoi,

                                               ch’alma più degna di corone, e d’ostri,

                                               non vide il Sol, né mai vedrà dappoi.

 

            eurilla          (Canta) O popoli soggetti i voti vostri,

                                               venite qui concordi a unir con noi,

                                               e l’uno all’altro il suo gran Prence mostri,

                                               dicendo o fior de’ Regi, e degli Eroi.

 

            marchese      Son le dame rattenute, immagino, al venire, non vedendo chi de’ loro le vada di lì a levar con decoro; che di questo molto gelose si vivono. (al Duca, trattanto suonasi)

 

            dorinda        (Canta) Per compimento al fin de’ nostri voti,

                                               che sian dal Ciel benignamente ammessi.

 

            eurilla          (Canta) Signor, veggiam te sposo, e a segni noti

                                               veggiam tuoi pregi ne’ tuoi figli espressi.

 

45        dorinda                    Vieni o santo Imeneo, vieni, e beata

 

            eurilla a due              fa l’alma donna, ch’a tal grazia nacque.

            dorinda                   

 

            eurilla                      O donna sopra tutte avventurata,

            dorinda a due            che dir potrà, ch’a sì gran Prence piacque.

                                               

           

            marchese      Ecco di là il Celasio.

 

            duca               (Che dopo aver parlato in segreto al Marchese dice) Richiedete di ciò il Celasio.

 

 

                                   SCENA XXI

 

                                   Celasio, Giulietto, e detti.

 

            celasio          (Appiattati dove t’ho detto, ed a cacciar il fazzoletto di tasca grida.) (additandoli la buca della sommità del grottoso numero 25)

 

            giulietto      (Farò appuntino.) (e si porta colà non veduto)

 

            marchese      Che delle dame recate, Celasio?

 

            celasio          Elle dicono di fermarsi qui, dove prima d’attendere i supremi ordini dell’Altezza Sua non son per curarsi d’altro. (ed entra per la porta numero 28)

 

5          duca               Le riterrà lo che voi diceste, Marchese. Or via farò io più decoroso cotesto accompagnamento intervenendoci. Andiamo, prevenitele.

 

            marchese      I torchi.

 

            petronilla    I torchi.

 

            d. pomponio  I trocchi.

 

            marchese      Conte, udiste? Sua Altezza colà si porta, regolatevi. (allo che udire il Conte s’avvia giuso) Già colà va il Conte Orsucci, può risparmiarsi Sua Altezza l’incomodo.

 

10        duca               No, mi piace il farlo.

 

            conte            (Che andando giù per mano con Don Pomponio dice) Don Pomponio, se mi volete per ischiavo, di voi è in possa.

 

            d. pomponio  Che boglio potè? Sì Conte mio, se mme vuò pe sette panella, mo sta. (e ciò dice veduto dall’arco numero 9)

 

            marchese      I torchi, i torchi, Sua Altezza cala. (ed avviasi giuso il Duca col suo seguito, e con torchi avanti)

 

 

                                   SCENA XXII

 

                                   Celasio, e Lelio dalla porta numero 28.

 

            celasio          Non temete. Scoppi la mina, e scoppi ove si voglia. (parlando dentro la porta numero 28)

 

            conte            (Che giunto con Don Pomponio alla piazzuola dice mentre il Duca è per le scale) Impegnate la Petronilla già vostra sposa a far, che la Livia sia mia, e poi da me cercate, ed avrete.

 

            d. pomponio  Conte bello, chisso è lo piacere; levame ssa janara de vicino, e pigliate tutte le robbe meje.[240]

 

            conte            Eh ch’avete il capo sventato. Costei fa il vostro buon giorno, il buon anno.

 

5          d. pomponio  Chisso buon anno sia d’Ussoria; i mme contento de mille malanne perpetue, Conte bello core.

 

            conte            Eh lo scioccaccio che siete. (dopo di che essendo il Duca giunto nella piazzuola, Celasio caccia di tasca il fazzoletto per suo uso, allo che si sente)

 

            giulietto      (Che di dentro la buca mumero 25 gridando dice) Lelio Brighi, guardatevi. Gente armata corre al piano; salvate il Duca, salvatelo. (allo che udire il Duca turbandosi resta sospeso, e così tutti)

 

            marchese      (Che risoluto dice) Lelio Brighi! Si ritiri suso Sua Altezza, né dubiti. Passerò io il cuore a questo indegno rubelle. Orsucci, Napoletano, quanti siete, mi segua chi è fedele al sovrano.

 

            celasio          Si guardino i ponti.

 

10        marchese      Si guardin pure. Guidetti, date gli ordini. Vostro sia il più necessario governo. (allo che Guidetti disponendo le guardie ne’ luoghi additatili da Arsenio, resta egli lontano a vista del Duca, mentre il Marchese avviasi col Conte, Don Pomponio, Uberto, e co’ villani per la strada numero 27, e sale per il grottoso numero 24)

 

            lelio              Son qui per attendere, allo che giurai. Altezza caderavvi a piedi il Brighi vinto, o che sia io passato da mille spade.

 

            celasio          Pegno rest’io sotto la stessa pena, Signore.

 

            duca               Di voi mi fido.

 

            lelio              (Che vedendosi restato solo col Celasio avanti il Duca se gli butta col medesimo a’ piedi, e dice) È pur sicura l’Altezza Vostra, ecco adempio quanto giurai. Lelio Brighi son io, a piedi vi cado; né il qui mirarmi con voi a solo altro mi suggerisce ch’il pregarvi, Signore, che di me giusta vendetta facciate. Sol che a voi prima, quale a gran signore che siete, partiene concedermi lo che chiedo, perché il giuraste. A Livia Moratti l’onor che restauriate io vi cerco, e poi, che resti ella sacrificata al vostro piacere, io pure son che vel chiedo, ella per me vel consente.

 

 

                                   SCENA XXIII

 

                                   Livia dalla porta numero 28, Clarice, che cala dalla scaletta di Celasio, a chi sossiegue Olimpia dalla porta numero 28, e tutte e tre prostransi avanti il Duca l’una dopo l’altra.

 

            livia               Sì che ’l consento, te ne scongiuro, il voglio. Fa’, ch’io ti spiri avanti, che lo merito, ma che spiri senza lo sfregio d’una eterna vergogna; e fallo, che per gran dono l’accetto.

 

            lelio              Morto io, perché mi si debbe; morta costei, perché prego ven porge. Che sia di Vostra Altezza Clarice io son, che vel chiedo ancora, ma lo sia come ad una Clarice conviensi. E ciò faccendo stimate pure, che con l’adempimento di vostre promesse s’accoppia quello de’ nostri voti.

 

            clarice          Ma non de’ miei. Ah non creder, Signore, che cuore in me sia da mirarvi a me accanto bagnato del sangue d’un innocente; e che la morte d’uno sposo a me da voi confermato possa servirmi di scalino a grandezze.

 

            olimpia          Olimpia vi raccorda, Signore, che da grand’avi della Rovere discendete. Quanto a far vi risolvete resti da Vostra Altezza scombero da passioni esaminato; e poi, se a voi piace, si faccia; ch’io la prima il commendo.

 

5          celasio          Sol io umilmente vi prego, Signore; il nome de’ grandi, quale a’ posteri e’ ne giunge tal per tutti i secoli accettato ne resta. Vel raccorda una mente, se lieve di senno, carca d’anni, e d’esperienza, perché allevata tra le corti, e non tra boschi, qual Vostra Altezza la crede. Ascoltate, Signore, non chi forse stimate, ma Partenio Rodi, che non v’inganna. Né per quanto...

 

            duca               Partenio Rodi! Tu forse il Rodi del Brabante?

 

            celasio          Quelli, e non altri al sicuro.

 

            duca               Avesti figli tu, avesti fratelli?

 

            celasio          Un fratello, e fu Pompeo; un sol figlio, e Virginio chiamossi; ch’amendue sacrificati ad un punto d’onore ne restaro. Punto d’onore ancora fe’, che tagliare a pezzi si facesse la Duchessa Ramigni di Virginio moglie. Punto d’onore fa, che Livia a’ tuoi piedi lacrimevole si giaccia. Punto d’onore generò il delitto di Lelio, e non altro. Or se tanto può onore in cuor de’ suggetti, qual mai trono alzerà nell’animo de’ sovrani? Signore...

 

10        duca               Sì ch’il savio Partenio se’ tu, ben discerno. Alzatevi, e tu ancora. (a Lelio, allo che tutti levansi) Su via; cominci in me a regnar virtute da tiranni passioni ingombrata. Parola, che data sia, s’il suddito costringe, non isciolga me ancora. E tal parola, Livia, Duchessa d’Urbino ti faccia. Lelio, non sol perdono il tuo ardire, ma questo stesso voglio, che degno del nome d’onorato vassallo ti faccia. Resti di te Clarice, qual ella lo era; ed a te ancora da oggi la custodia di noi commessa ne resti.

 

            livia               Mio Sovrano di mio in me non trovi che bassezza; ed a questa dà vanto l’essere tapeto de’ tuoi piedi. Quanto di grande or mi dai, essendo tuo, tu ne disponi.

 

            olimpia          E chi rattener si potrà di baciar una mano degna di mille scettri?

 

            clarice          O gloria de’ vostri, o felicità de’ vassalli, chi spiegherà lo che meritate?

 

            lelio              Signore, la vita, che per grazia Vostra Altezza mi dona, gravarla, dirò così, di vanti, premj, onori, fia lo stesso, che togliermela sotto un incarco, troppo per me eccedente.

 

15        celasio          A me, che dire a tuoi piedi si dovea più d’ogn’altro, le lagrime impedito l’hanno, Signore. Pure...

 

            duca               Partenio, tu molto mi dasti; godo, che molto ancora render ti poss’io. Virginio tuo figlio io ti rendo.

 

            celasio          Virginio! Virginio che? Egli è morto, o non fia?

 

            duca               O; ben io dal furore del Duca di Brabante il salvai.

 

 

                                   SCENA XXIV

 

                                   Marchese, che scende dall’archi grottosi numero 24 con Giulietto condotto da un villano, ed in comparire se gli fa incontro il Guidetti, a chi dà ordini in secreto, e questi calando per li scaglioni, che portano al villaggio numero 38, entra nella corte del palagio della porta di dietro con le guardie, che si suppongono da lui richiamate, ed intanto il Duca, non accorgendosene, seguita a parlare.

 

            duca               Mia sorella, che fra giorni a quel Principe suo figlio va sposa, ella da Virginio colà condotta ne venga, e seco resti per suo maggiordomo, ed ivi ogn’intacco de’ suoi come bugiardo dichiarato, restituito sarà al possesso de’ primi onori, e de’ suoi averi; e s’egli nella Duchessa Ramigni perdé l’esempio del Decoro, nella Contessa Olimpia riacquisti l’idea della saviezza. Sol, che tu non mi lasci, io ti prego, meco venendo per primo ministro della mia corte.

 

            olimpia          (* Ah Rinaldo, e ti lascio!)

 

            duca               Chi di voi stima, che per sé far più poss’io mel dica, e ’l farò.

 

            guidetti        (Con le guardie da più bande escono, ed impugnano l’armi così contro Lelio, come contro il Celasio, allor che il Marchese restando non veduto sin tanto ch’il Guidetti eseguisca gli ordini da lui datili, all’uscir di quella impugna anche egli la spada contro i già detti, e dice) Signore, siete in mezzo de’ traditori. Lelio è quelli, questi congiurato v’ha contro. Tutto accertai da questo garzone. Concedete al mio zelo, che lor salti la testa per queste mani.

 

5          brigida          Ah nonno, nonno mio. (stringendosi al Celasio, e dal Marchese vien presa per un braccio, e spinta a terra)

 

            duca               Che fai? È tuo padre, è tua figlia.

 

            olimpia          (* Oh Dio, che disponi!)

 

            celasio          Questi è ’l mio figlio! Ah tanto di vita vogl’io, finché lo stringa. (abbracciandoselo, e nel tempo stesso Brigida levata di terra da Lelio si stringe ancora al padre)

 

            marchese      Mio padre! Mia figlia!

 

10        duca               E padre tale, ch’a far ch’invidia non mi rechi, meco il voglio, perché il frutto a corte n’abbia io del mio buon vivere. Basta sentire, che per lui io son altri; Livia è Duchessa d’Urbino, e per tale ognun la conosca.

 

            clarice          Io la prima. (e s’inchina baciando a Livia la mano)

 

            olimpia          Mia Sovrana. (e fa lo stesso)

 

            duca               Lelio è mio parziale. (allo che Lelio buttasi a piè del Duca baciandoli la mano) e dalla Contessa già vostra udirete più a minuto.

 

            marchese      Padre! Figlia! È pur vero?

 

15        duca               Né men cara ti sia la sposa. (al Marchese) Accettatelo, Contessa; ed hai a credere ch’a tuoi avanzi ci giungo questo molto uniforme.

 

            marchese      (Che essendosi prima prostrato avanti la Livia, rilevatosi si volta alla Contessa, e dice) Contessa, sai tu il cuor mio, non dico altro. (baciandole la mano)

 

            olimpia          Né creder posso, ch’a te io palese non sia. (fra lo che Brigida, e ’l Celasio baciano la mano alla Livia)

 

            livia               Partenio, io non più Livia, né voi sol quel Partenio.

 

            celasio          Serenissima, vanto che più che fui, non fido d’essere.

 

20        duca               Lelio, voi dal vostro bene lontano? Nol voglio. Prendetelo.

 

            lelio              Signore, ogni mio dire fa alla vostra grandezza discapito. Taccio.

 

            duca               Né amor d’una tanta costanza veduto avrà mai il mondo.

 

            lelio              (Che prostrato anch’egli avanti la Livia dice) Serenissima, ben sa Vostra Altezza che Lelio l’esser Lelio lo deve alla vostra grandezza. Ben sa...

 

            livia               Ben so chi sia Lelio, e chi io esser mi debba.

 

25        marchese      Padre... Serenissimo contentatevi ch’io dica, come padre qui esiliato ti trovi? Perché di me dimentico? Com’io da te lungi, e da te cara figlia, perché?

 

            duca               Un uom tale in un angolo di valle sepolto! Perché? Dee per norma sapersi, sediamo. (sedendo il Duca, e la Livia al poggio a piè dell’albero grande, su del quale vien disteso un tapeto preso dalla gondola, e dopo a cenni della Livia seggono ancora Olimpia, e Clarice in altri poggi.)

 

            celasio          Io di te dimentico? No figlio, nol pensare; che se ben morto con Pompeo tuo zio ognun mi ti fe’ credere, non passò notte, non ora, che su la tua rimembranza non ismungessi gli occhi miei. Amaro era il pianto, nol niego; al sentirne la cagione, che di fellonia ne correa, se ben non la credessi.

 

            duca               Pompeo Rodi fellone? No, tal non fu mai. Ben ei rese la piazza di Malines al Conte d’Olanda suo inimico; ma sol perché intercettato il soccorso da suoi emuli gli venne; che poi scoverti ne pagarono il fio.

 

            marchese      Allor fu Signore, ch’io caricato d’un tanto sfregio a’ piedi mi stesi un di loro, e da chi mi volle salvo la morte del mio nemico non men che la mia divolgossi; ma ben mia vita migliorai, e mia sorte sotto d’un tanto Principe, che sconosciuto volle ’l servissi; sol perché disegnava i miei riacquisti, i miei avanzi, di cui non meritando mi fe’ dono.

 

30        duca               Ben da me gli si fe’ noto; né di voi Partenio fui affatto ignaro.

 

            marchese      Udir in un tempo Sua Altezza da me si compiacque, che necessitato da non piccol male vi portaste dal Brabante...

 

            duca               In Monpelier, dove spendeste ben quattr’anni alla cura.

 

            marchese      Sa Sua Altezza poi, che di ritorno essendo per vostra casa la dura notizia vi giunse della morte della mia madre, di cui soffrir non potendo voi la perdita, a me tutto rifiutando, perché all’età venuto, intraprendeste il giro d’Europa; e dopo più anni in Vinegia al fin capitaste, dove da’ nostri attenenti bene accolto nel governo di Pola sul mare Adriatico foste impiegato...

 

            duca               E di là moglie gli daste, il so.

 

35        marchese      Né più di voi poi sepp’io.

 

            celasio          Ivi Signore pago d’avere avuto già un parto dalla Duchessa Ramigni data a mio figlio, più non eran, che nove mesi scorsi, ecco giunge un giorno per me fatale, che la notizia m’apporta della morte di mio fratello Pompeo, e quella di te, mio Virginio, incolpati di tradimento, e con essa l’infamia della mia casa, la confiscazion d’ogni avere, la precipitosa fuga della misera mia nuora su di sfornita galeotta con questa ragazza al petto, né da altri assistita, che da una vecchia di casa, ed un servidore. E mentre non so, se più dedito a piangere tante perdite fatte, o a sovvenire l’imminente naufragio del piccolo mio avanzo, ecco m’arriva un battello d’una galea della Repubblica, ed a me quel comandante la notizia ne dava, che dopo data caccia ad una fusta di tripolini fatta schiava l’avea, incaricandomi che dato avessi ricapito a pochi riscattati, come altresì conveniente sepoltura ad una donna di conto, che ripugnante all’inique voglie del barbaro corsaro uccisa stata n’era. Appena alzo gli occhi dalla scritta, e distesa mi veggio a terra la mia nuora con un colpo di scimitarra sul viso, questa bambina palpitante su le braccia della da me conosciuta vecchia, e ’l servidore ferito. Qual antro, quale speco sceglier m’avrei dovuto, Signore, per non vedere più mondo?

 

            livia               O giorno da rigistrarsi.

 

            marchese      (* E qual mescolanza di contrari affetti.)

 

            duca               Un cuor, com’il tuo, soffrir poté tanto. Qui poi chi ti sovvenne?

 

40        celasio          Appreso avendo in Francia poco dell’arte di dotto artefice qui l’impiegai a curare la gente del contorno; da chi risanando presi sol tanto, ch’a vivere mi bastasse.

 

            duca               Marchese, non può farsi ammeno di qui restar questa notte. Disponete un qualunque sia recapito.

 

            marchese      Tutto il disagio sarà dell’Altezza Vostra niente avvezza...

 

            duca               Non avezzo? V’ingannate. Pena sento di voi, sposa, come di queste dame.

 

            livia               E qual disagio non rimarrà dal contento assorbito?

 

45        olimpia          Signore, non occorrono più riprove della vostra bontà. Basti dire, ch’ella non ha pari.

 

 

                                   SCENA XXV

 

                                   Conte dal portico numero 3, non accorgendosi di Livia, che sta accanto al Duca.

 

            conte            Serenissimo, non men che quarant’armati ho fatt’io di mio seguito. Ah la mia disgrazia ha fatto, che cotesto malfattore non si sia incontrato al mio valico.

 

            marchese      Conte, tacete; le cose son d’altra faccia.

 

            conte            Il mio nuovo merito, l’ostacolo tolto, posson fare, che la Livia da me si cerchi.

 

            marchese      Cercatela, ed inchinatevi.

 

5          conte            Vi par dunque a proposito?

 

            marchese      Or sì più che mai. Badate ch’è stata riconosciuta.

 

            conte            Per mia moglie perdio?

 

            marchese      Per Duchessa d’Urbino direte un po’ meglio. Non v’è cosa, che sia qual era in un dire.

 

 

                                   SCENA ULTIMA

 

                                   Don Pomponio dalli scaglioni, che portano al villaggio numero 38, con Uberto, e tutti.

 

            uberto           Esponete il vostro servigio, e poi...

 

            d. pomponio  Artezza Sua io ho fatto il servizio; è mmattuto lui dove poteva mmattere. Cca sulo io, e tutto sto puopolo ce facimmo accidere pe una sghizza di Artezza Sua, e nge ne voglio un pataffio di fedelissimo.[241]

 

            olimpia          Il senta per poco Vostra Altezza, ch’è da prezzarsi nel suo genere.

 

            petronilla    (Eh via che vi confondete.) (a Don Pomponio)

 

5          livia               Il senta, è d’apprezzarsi. (al Duca)

 

            petronilla    Serenissimo, il zelo del mio sposo ella agguardi, che per l’eloquenza mi dia tempo.

 

            duca               L’uno a l’altra si dà luogo. Come del villaggio padron si trova?

 

            celasio          L’ebbe in retaggio da un fratello di sua madre, che vantò la sorte di sfuggire dalla cattività d’Algieri con buon bottino, e comprollo.

 

            d. pomponio  Perché ho fatto il servizio pozzo cercà grazia, Sì Marchese?

 

10        marchese      Qual è l’inchiesta?

 

            d. pomponio  Vorrìa sapè, se l’Altezza Sua ponno guastà matrimonie.

 

            marchese      Tenetevi ben contento del fatto.

 

            uberto           Non c’è rimedio. Arsenio colpa a tutto.

 

            d. pomponio  Orsù tutto a monte; lo chiappo mio co le stentine soje. Via Maddamma mia, se mme vuò cotico affocame chisso, e se , a revederce.[242]

 

15        uberto           Madama, l’Arsenio ha ridotto il padrone al verde, l’ha finito.

 

            petronilla    Sì che molto dee pressarmi. Altezza Serenissima, il povero mio sposo son tant’anni, che ha accanto chi s’ha fugate tutte le sue, veda dico, sostanze. Giustizia, non grazia chieggio.

 

            duca               Cominci di qui il vostro carico, Partenio.

 

            celasio          Troppo m’è noto. Tal giustizia l’assiste, che può farsi all’impiedi. Non poca grazia li farà Vostra Altezza di mandarlo via esente da pena, e che il tutto resti a casa di chi l’estrasse.

 

            duca               Tanto si faccia.

 

20        arsenio         Ah misero me. (e parte in fretta)

 

            uberto           Accettate assai del vostro col non farvi più vedere.

 

            duca               Ritirianci alle stanze. Venite, sposa.

 

            livia               Come serva vi seguirò, e così sempre. Venite. (a Clarice, ed Olimpia, avviandosi il Duca, e la Livia per mano verso suso con tutto il seguito.)

 

            lelio              Quant’è che taci, vita mia, e perché?

 

25        clarice          Gli occhi, che finito han di piangere, sol teco a parlar se ne stanno, Lelio mio. (seguendo il Duca)

 

            marchese      Padre, sposa, figlia, a chi mi volgo?

 

            celasio          Figlio, ho di nuovo a vedermi di te privo fra poco; dammi di te buona parte.

 

            olimpia          È dovere, ch’ora, e sempre la miglior parte n’abbiate; che così a me fia più caro. (e verso suso ancor essi)

 

            giulietto      Di me che se ne fa?

 

30        brigida          Vieni, vieni tu ancora.

 

            conte            Che mi trov’io dall’aver sciolto la briglia a’ miei appetiti? Digiuno di tutto, senz’aver da chi sperare un briciolo almeno di buona ciera. Mondo briccone. (e via)

 

            d. pomponio  Orsù Maddamma mia, cuorve co cuorve non s’hanno da caccià l’uocchie. Io no poco mperfetto, ma Ussoria è mperfettella; facimmo de manera, che da lo primmo juorno non nge avessemo da stregne care care, e jettà into a sto sciummo.[243]

 

            petronilla    Al vostro suono, veda dico, ballerò io. (e via)

 

            d. pomponio  Sempe che facimmo, ch’Uscia abballa, e i te sono, vedo dico, va bellissimo.[244]

 

35        uberto           Padrone, per me conto nuovo, vi prego. Se liberar non vi potei dall’una, vi liberai dall’altro.

 

            d. pomponio  Ah ca non saccio quà è meglio se la cassia tratta, o la spina ponteca. Ne? Quanta chiante nge so a lo ciardino de limmongiello piccolo?[245]

 

            uberto           Se non due, una è sicura.

 

            d. pomponio  E che buò una? Miettencenne un brassecale, ca chesso nge vo mo, e non nge auto. Va tu, e di a tutte bona notte, ca io no lo pozzo di cchiù, va. Bona notta, vedo dico.[246]

 

                                   Fine dell’atto terzo.

 

 

 

Commento

 

Per la spiegazione delle espressioni napoletane di Don Pomponio e dei termini più desueti sono stati strumenti utili [F. Galiani] Vocabolario delle parole del dialetto napoletano, che più si scostano dal dialetto toscano con alcune ricerche etimologiche sulle medesime degli Accademici Filopatridi. Opera postuma supplita, ed accresciuta notabilmente, 2 tomi, Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, 1789; R. D’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, Napoli, a spese dell’autore, 1873; R. Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, Torino, Paravia, 1887 (rist. Napoli, Berisio, 1966); C. Battisti-G. Alessio, Dizionario Etimologico Italiano, 5 voll., Firenze, Barbera, 1950-1957; J. Corominas, Diccionario critico etimológico de la lengua castellana cit.; S. Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, U.T.E.T., 1960- (nonché il Vocabolario Treccani della lingua italiana e le edizioni reperibili online del Vocabolario della Crusca); E. Malato, Vocabolarietto napoletano, Napoli, E.S.I., 1965; G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino. Einaudi, 1966-1969 (I ed., 1949-1954), vol I - Fonetica (1966); vol. II - Morfologia (1968); vol. III - Sintassi e formazione delle parole (1969).; G. L. Beccaria, Spagnolo e Spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino, Giappichelli, 1968; M. Cortelazzo-P. Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 1979-; A. Balduino, Manuale di filologia italiana, Firenze, Sansoni, 19832 (I ed. 1979); F. Bruni, L’Italiano. cit.; R. De Falco, Alfabeto napoletano, 3 voll., Napoli, Colonnese, I (1985), II (1989), III (1994); P. Bianchi-N. De Blasi-R. Librandi, I’ te vurrìa parlà. Storia della lingua a Napoli e in Campania, Napoli, Pironti, 1993.

 

 

 

 

Bibliografia

 

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[1] raggricchi: rannicchi.

[2] sdossar: alleggerire.

[3] pianelle: scarpe comode di casa; voce tuttora viva nel napoletano; l’ultima battuta di Celasio, solo in scena, dà conto del suo ruolo sotto mentite spoglie e della vera identità di Brigida, iscrivendo l’intera commedia nell’arco di un’agnizione di cui il pubblico è fatto da subito consapevole.

[4] Uom da ben: gentiluomo.

[5] secchia: secchio (dal lat. situla; la forma al femminile si riferiva anche a un’unità di misura).

[6] impalmare: prendere in moglie. Tutta la scena ricalca assai da vicino le ‘sortite’ degli spettacoli dell’Arte; Liveri interviene nell’imprimere al tutto un andamento dialogico, da cui risulti la centralità di Partenio/Celasio.

[7] I.5.1-3 e 39 Primo dei dichiarati inserti musicali (e cfr. anche I.35.2). Si è visto (cfr.Introduzione) che l’educazione musicale degli attori liveriani non è dato occasionale; al momento non è dato sapere se e dove si conservino partiture. Anche quest’incontro dei due protagonisti vittime del potere riconduce a tanta drammaturgia secentesca, tuttora viva tra l’altro nelle formule retoriche di Livia e Lelio. Di nuovo, a una struttura paratattica Liveri sostituisce un alternarsi di voci.

[8] Vello: vedilo.

[9] isbruchi: pulisci portando via le foglie.

[10] I.8.16-29 Il racconto di Lelio, oltre a chiarire il nesso tra le sue vicende e quelle di Livia, adombrando la comune responsabilità nel nuovo reggente di Urbino, lascia affiorare il personaggio di Clarice, nonché offre a Celasio l’opportunità di sottolineare gli opportuni comportamenti nei confronti del sovrano, secondo un cerimoniale in cui si inscrive anche questo teatro.

[11] Rubretto: qui e altrove il napoletano di Don Pomponio utilizza forme metatetiche (Rubretto per Ruberto, Uberto).

[12] Chisso? Chisso dorme ancora; scetalo da lloco: questo dorme ancora; sveglialo di lì.

[13] Chiamma da ssa loggia, da sso barcone, au che fremma: chiama da questa loggia, da questo balcone; ah, che flemma.

[14] E manco; qua panteco ll’è afferrato: Niente; quale spavento o dolore improvviso l’ha colto (panteco sarebbe forma apocopata di pantecore).

[15] Chisto addò s’ rutto il cuollo?: Questo dove si è rotto il collo? (Pensando sempre a Uberto, ma con probabile riferimento al tono di voce sommesso di Arsenio).

[16] Ma se UssignoriaArzenico veda lei, he ntiso mo? Rubretto è uscito il sole, bestio. Messer Arzenico s’è posto paura di perdere la voce: Ma se Vossignoria signor Arsenio veda lei, allora hai sentito. Uberto, besta, è uscito il sole. Messer Arsenico ha paura di perdere la voce (risentito perché Uberto ha reagito alla chiamata sommessa di Arsenio e non alla sua).

[17] il partito con il speziale: l’accordo con il farmacista. ¨ s’abbroca: diventa roco.

[18] I.11.6 e 8 potarria, vorria: potrebbe, vorrebbe (tipiche formazioni del condizionale in napoletano).

[19] postiglione: cocchiere delle carrozze di posta.

[20] non me fa morì de jajo: non farmi morire agghiacciato.

[21] zeffunno: qui nel senso di rovina. ¨ Chisso è sceruppo qui nel senso di «Questo è un bel problema!».

[22] allumma: accendi.

[23] paoli: antiche monete.

[24] ruotolo: rotolo, antica unità di misura di massa e peso.

[25] Manco se allumasse lo catafarco de la Sellaria: come se si dovesse accendere il catafalco della Sellaria (antica area di Napoli poi oggetto degli interventi del Risanamento).

[26] Per lo spitale... no, pe lo speziale il posteriore: per l’ospedale... no, per lo speziale il posteriore, con ovvio riferimento osceno.

[27] piastra: altra antica moneta.

[28] Chillo ospezeja a la casa mia, ed io pago ad Ussignoria l’alloggiamento?: quello è ospite in casa mia, e io pago a Vossignoria l’alloggio? Tutta la scena si fonda su equivoci del significante con ricercato effetto comico.

[29] aggio tuorto: ho torto.

[30] Tu non te susiste, tu stive a la scura: tu non ti alzasti; eri al buio.

[31] Che ? : che cos’è? (quid est?). ¨ Non po sbafà, non po sfogà lo patrone, core mio, co le gente soje? (* Fortuna che me ngiaje puosto sotta): il padrone non può sbottare, non può sfogare con la sua gente? Oh sorte che mi hai sottomesso a loro. ¨ un gran diavolo di lotano: un gran diavolo di faccenda.

[32] non aggio un callo, e pure... : non avrei problemi, eppure. Si delinea la dipendenza di questo amministratore locale dalla losca figura di Arsenio.

[33] Vonno esse parole carzante, e che pesano: vogliono essere parole calzanti e di peso.

[34] incrine: inchini.

[35] chiafeo: sciocco.

[36] abbiangelle: anticipagliele.

[37] commene: conviene.

[38] Mezza piastra? Benissimo. O messer lo postiglione fatti da me, (* tu tiri a levargli il giubbone, ed a me dà l’animo carpirtelo di mano, e ’l tuo di dosso): chiaro il raggiro ai danni di Don Pomponio.

[39] catellino: cucciolo.

[40] scalea: scalinata.

[41] perolià: importunare parlandomi.

[42] Parolo, massa, toppo; il parolo è un’unità di misura, mentre il toppo un pezzo di legno squadrato alla buona. L’espressione sembra richiamare il rilancio a un gioco.

[43] E commo diciarrisse? Assame capì: E come diresti? Lasciami intendere.

[44] lecco: allettamento.

[45] scrofoniare: mangiare da scrofa, esagerare.

[46] Sinigaglia: Senigallia (minimo tributo all’ambientazione dell’opera).

[47] abballe: balli, ti muovi scompostamente.

[48] tigna: scabbia.

[49] appojà la libarda: appoggiare l’alabarda, nel senso metaforico di andare a mangiare in casa d’altri.

[50] mme zucano il mafaro: mi succhiano il deretano.

[51] nge so mo a labballo: sono in ballo ora.

[52] Chiavale un annicchio. Alloco tujo tu non ci sappiamo stare palata sfatta?: Uomo da poco, non sappiamo stare al proprio posto?

[53] Nconfedenzia: in confidenza.

[54] ausoleja: sta’ a sentire.

[55] e vi fo scendere il pepitolo: vi faccio tacere.

[56] Io diverrò verminosa: farò i vermi dalla paura.

[57] pelucca: parrucca.

[58] nzallanuto: rimbambito.

[59] annetta sse scarpe: pulisci queste scarpe.

[60] ncoccia: insiste.

[61] annevinato: indovinato. ¨ scopatore: si intenda ammiratore.

[62] sbruttatela: pulitela.

[63] muccaturo: fazzoletto (cfr. mouchoir).

[64] un lemine: poca cosa (probabilmente lendine).

[65] Un auto di Napole. Chillo colla armata: riemergono antiche tipologie drammaturgiche dietro le parole ridicole di Don Pomponio.

[66] Non mi friccico, era juto a farla esequire chisso è frosciuco: non mi muovo, ero andato a eseguire, questa è una lusinga.

[67] tostanza: sollecitudine.

[68] chisto dorme mpede. Guagliò, atta de craje: questo dorme in piedi. Ragazzo, forza! (atta d’oje e atta de craje —da cras, domani— valgono come esclamazioni).

[69] St’auta quaglia: quest’altra giovane.

[70] sirocchia: sorella.

[71] Spapurate: parlate pure (ma ricorda il verso d’un animale).

[72] mi son vortato a fare un grutto, era mala crianza: mi sono voltato per far un’eruttazione, era cattiva educazione.

[73] Priesto lo Barriciello, che non nge lassa na lacerta manco per razza: Presto il Bargello, che non lasci neppure la razza delle lucertole.

[74] se può mettere quaccosa dinto a lo vino, che me la potisse mpaglià, e se jettasse a no pizzo: vedi se puoi mettere qualcosa nel viso che la potesse stordire e si rintanasse in un canto.

[75] smago: indebolirsi.

[76] Non nge puo di un callo. Nge nzallanie, e nauto poco le menava li ture: Non si può più nulla; ci ha raggirati e un altro poco ci percuoteva.

[77] chella s’avarrà schiegato lo sarvietto. Arzeneco mio, tu nge curpe: quella avrà spiegato il tovagliolo. Arsenio mio, ne hai colpa tu.

[78] gaveglie: letteralmente sono chiodini di legno, ma è qui storpiatura per vettovaglie.

[79] Chisse so rovagne, auto che sso cuofono scassato: questi sono vasi, altro che questo baule rotto.

[80] lo stommico farrà pio pio un boccone almeno per sciacquare una botta: lo stomaco farò qualche rumore, almeno un boccone per risciacquare la botte.

[81] Dinto a le ceremonie mesca il serviziale: Don Pomponio interpreta il ricercato servigiale, servizio, per serviziale, clistere.

[82] L’incontro fra Livia e Clarice mette ulteriormente a fuoco l’intreccio dei loro destini.

[83] un oprar da frasca: un comportamento alla leggera.

[84] coltrice: coperta.

[85] La scena racconta di uno scambio fra Lelio e Giulietto, il quale ha la cadenze di un ‘folle’ della migliore tradizione drammaturgica.

[86] motura: reazione.

[87] scerrà: sceglierà.

[88] anfania: capacità di raggiro.

[89] con ricatto: guardingo.

[90] piagentassi: fossi condiscendente.

[91] guarnacca: ampia e lunga veste senza maniche, talora foderata, usata anche da contadini e pastori. Tutta il dialogo riecheggia una scena ‘di prega e scaccia’.

[92] sette panella: servitore (anche in III.21.12). Pare risalga all’uso di pagare con cibo i servitori una volta alla settimana, consegnando loro pagnotte per ogni giorno).

[93] chiaste: piastre. ¨ paraguanto: mancia. ¨ seritario: segretario.

[94] nghiettechito: divenuto tisico, smagrito (como mpilo mpilo). ¨cuoveto: colpito.

[95] lellera: storpiatura per Elena.

[96] giurgio: ubriaco.

[97] frilosoco: storpiatura per filosofo.

[98] niozietto: negozietto, affaruccio.

[99] zoffioni ammiccati: schioppi carichi.

[100] Picciò, e se me vuò zucà tu puro: da intendersi piccola, e se vuoi anche tu importi...

[101] moranza: dimora.

[102] appila: taci.

[103] forniti: finiti.

[104] criso: creduto.

[105] scrasta, screstà: rompere la cresta. ¨bedola, e maretata: vedova e maritata.

[106] nzereto: in segreto.

[107] smenoma: riduci

[108] maioraschi: maggioraschi, possedimenti.

[109] rammucchio: guadagno. ¨ placebo: da intendersi a genio.

[110] borbanza: ardire.

[111] pronezza: disponibilità.

[112] sloggiato: cambiamento.

[113] inauza: innalza. ¨sauti: salti (con velarizzazione della laterale preconsonantica).

[114] smagini: da intendersi, non si applichi altrove.

[115] Chella coce, e chesta pizzeca: letteralmente quella cuoce, e quella pizzica; sono entrambe pericolose.

[116] Pozza cioncare in quatto: possa io morire improvvisamente. ¨ se non mi coserò la bocca con un aco saccoraio: se non mi cucirò la bocca con un ago per sacchi.

[117] annegrecato: fattosi nero.

[118] speruto: desideroso.

[119] mi mbroscino: mi sottometto (strisciando).

[120] che pozza i de paro: che le sia pari.

[121] cantara; cantari, unità di misura. ¨ pestello marmoro: un pestello di marmo.

[122] rozzolando: rigirando.

[123] supito: certo.

[124] s’è mbrogliato il niozio: si è imbrogliato l’affare.

[125] Voglio abbottà la gente di cerimonie, e mi stroppeja: voglio colmare la gente di cerimonie,

e mi percuote.

[126] cociore: allettamento. Perfetto esempio di una scena concertata a più voci, di quelle che resero celebre lo stile liveriano.

[127] un’otta: adesso; in zavorio: in favore.

[128] aufefibena: serpente velenoso di cui si tratta in diversi volumi eruditi; le sue caratteristiche sono esposte da Petronilla nella battuta successiva.

[129] cancaro: malanno.

[130] mmo mmè sbraco : ora mi lascio andare.

[131] squaquigliare: sdilinquire.

[132] sosorno: colpo.

[133] Sto co na cimma de scerocco: sono molto pensieroso.

[134] ncatarattato: coperto di cataratte. ¨ verlascio: dal latino perilasium, indica costruzione a mo’ di anfiteatro; l’espressione è chiaramente spregiativa.

[135] nzallanuto: rimbambito.

[136] travacca: per cravatta.

[137] pravo: malvagio. La concertazione di una possibile soluzione (l’‘invenzione’) è qui affidata alla sapienza sentenziosa di Celasio.

[138] boccheggiando: agonizzando. ¨sbalzarlo: eliminarlo.

[139] abbagliate: vi confondete.

[140] Dinne il netto: parla chiaro.

[141] spartato: diviso.

[142] orpellate: camuffate.

[143] pressura: oppressione.

[144] rangole: cavilli, difficoltà.

[145] guindalo (o guindolo): arcolaio.

[146] gradetta: scalinatella.

[147] posteja: tiene d’occhio.

[148] quarera: lamentela.

[149] ca vo i ngattimma: che vuole andare in calore; lo porta pollastre è nel contesto un mezzano.

[150] tomasco: damasco.

[151] cortinaggio: baldacchino (con evidente allusione).

[152] far di beretta: far tanto di cappello.

[153] vranca: manciata.

[154] diffalta: mancanza.

[155] forfatto: malfatto.

[156] scandagli: esamini.

[157] guiderdonata: ricompensata.

[158] allicche salemme: a far cerimonie.

[159] collateralo: contrattempo.

[160] immovito: immobile.

[161] Callimede: giovane baldanzoso.

[162] commico: con me (cfr. spagn. conmigo).

[163] le canterò la zolfa: mi farò le mie ragioni.

[164] piangolosetto: piagnucoloso. ¨ felciata: tipico prodotto caseario a pasta molle.

[165] brulicando: rimestando. ¨putirebbe: puzzerebbe.

[166] cacasangue: diarrea (qui usata come esclamazione).

[167] rugumar: ruminare, anche in senso figurativo.

[168] parabolosa: ciarliera.

[169] linguettare: discutere.

[170] stomacaggine: disgusto.

[171] saliscendo (o saliscendi): sistema di chiusura di porte e infissi.

[172] chiavaca (o chiaveca): fogna.

[173] montanino: qui per persona del contado.

[174] rociolià il strummolo; far girare lo strummolo (piccolo giocattolo che gira su se stesso dopo una forte spinta esercitata da un colpo di funicella).

[175] appalorcia: si precipita.

[176] caccia mano: combatti a duello. ¨e tu co sso non so mi bello: e tu con lui non so, bello mio.

[177] vommeca mmalora: parla, una buona volta (vommecare —vomitare— in senso figurativo).

[178] va decenno: continua a parlare.

[179] chisso mme fa arrecordà le specie antiche: mi vuol far ricordare i metodi antichi. ¨sbozzato: butterato. ¨ vavuso: bavoso. ¨ smarra: spada lunga.

[180] caso, e recotta porzì: cacio e ricotta pure. Don Pomponio equivoca sulla parola italiana caso, interpretandola alla napoletana come formaggio. ¨ conesse: probabilmente fendenti. ¨ me mpesto: mi adiro. ¨ contrancavo: contromossa. ¨ vellicolo: ombelico. ¨ non se teraje no cato d’acqua pe lo revenì: non si tirò un secchio d’acqua per rinvenire. ¨ ì nge do de musso: io ci sbatto contro.

[181] poragna: probabilmente da intendersi ‘dote’.

[182] ha pigliato papara: ha preso una cantonata. ¨ trammessura: imbroglio.

[183] nauta polesa: un’altra polizza.

[184] a ufo di vinocuotto: con vincotto a sbafo; esclamazione dal sapore proverbiale.

[185] non mi zuchi: non mi sfrutti.

[186] ti soperchiono: ti avanzano.

[187] non ci frusciate: non ci lusingate.

[188] e che mula m’aje fatto tenè? Lassa i sso purpo: e che mula mi hai fatto tenere? Lascia andare via questo polpo.

[189] assa ì: lascia andare.

[190] susta: qui nel senso di ‘tormento’.

[191] tel jetto a polo a polo: te lo dico presto presto; apparà: qui nel senso di mettere a posto.

[192] cainata, consobrina: cognata, cugina.

[193] fa’ nfenta: fa’ finta.

[194] mestolone: babbeo.

[195] baronare: qui nel senso di far sopruso.

[196] Vuol che gli risciaqui il bucato costui: vuole che lo maltratti.

[197] Ente valentizia: bella cosa.

[198] scheroni: farabutti.

[199] ghierabaldane: sofismi.

[200] a sorbirmi il forame: a farmi la lezione.

[201] maccianghero: uomo rozzo.

[202] gabbappolo: furbetto.

[203] vi colo: vi riverisco.

[204] cacaccian: uomo grossolano.

[205] cacajuola: diarrea.

[206] trecchiere: uomo che trama.

[207] rancura: angoscia.

[208] infignevole: falsa.

[209] vanare: vaneggiare.

[210] Venga l’auto pratino; pe uno i so lesto: tutta l’espressione varrebbe ancora un altro, io sono pronto per uno.

[211] non le dia a bertiginare: non le dia in testa.

[212] baia: raggiro.

[213] arrevocazione: revoca, ma qui si intende donazione, storpiato da Don Pomponio. ¨ chiavale no vico nfaccie a chisse: il senso è non dar retta a questi.

[214] mmo mmè sbraco (cfr. II.18.26), aggio asciovito a resguardo suo: ora mi lascio andare, ho preso commiato per riguardo suo.

[215] si sodognarà: si imbelletterà.

[216] baggeo: babbeo.

[217] mandrianetto: giovane mandriano.

[218] disaiuto: danno.

[219] l’odoriferi oleati: profumi.

[220] acqua nanfa: acqua odorosa.

[221] secotorio: letteralmente esecutorio; vale come esclamazione. Più comune l’espressione ‘sequenza’.

[222] pettola: lembo della camicia.

[223] La pressa, Signora, pe la gatta fece li figlie cecate: per la fretta la gatta fece i figli ciechi è espressione proverbiale napoletana.

[224] allummato: acceso.

[225] Mo co sso lans mans hai suputo la difficoltà: probabile che qui Don Pomponio rifaccia il verso alla cadenza di Arsenio.

[226] manichino: qui manichetto, polsino.

[227] Sua Artezza ha da esse accordata: Don Pomponio intende accordata per riconciliata.

[228] torchi: grossi ceri.

[229] truocchio: secondo un vocabolario settecentesco è un fascio d’erbe ritorte che serve a prevenire urti; può darsi che Don Pomponio equivochi il senso di torchio, a giudicare dal riferimento all’arrivo via fiume (sciummo), che non prevede troppe cavalcature.

[230] magagnato: uomo poco raccomandabile.  

[231] Le vorria dì, ca nuje simmo di frate, e ca a Napole se ne nzora uno pe casa, e ca fratemo è nzorato: gli vorrei dire che noi siamo due fratelli, e che a Napoli si sposa uno per casato, e che mio fratello è sposato.

[232] a la lerta: all’erta, in piedi. ¨ Moccamennuno: esclamazione di fastidio.

[233] all’uso delle stanze del Pulci per la sua Beca: il riferimento è al poemetto rusticale La Beca di Dicomano di Luigi Pulci.

[234] tafanario: culo (riprende la battuta ironica di Uberto).

[235] sgannata: disingannata.

[236] covernate, i mme ne fujo: governate la situazione, io me ne fuggo.

[237] avvenentezza: per avvenenza.

[238] ribagna: infondi.

[239] III.20.27 e ss. Eurilla donde avvien: il canto encomiastico, inframmezzato dalle battute e dai movimenti dei personaggi, non è solo tributo al sovrano ma anche celebrazione del progetto nuziale. Il fidanzamento di Carlo con Maria Amalia di Sassonia fu ufficializzato nel 1737, data della stampa de Il Partenio: se la prima esecuzione del dramma è avvenuta sul finire del 1736, essa già riflette l’eco che presso la corte e la città le trattative ebbero, pur mantenendosi su un tono rarefatto che si ispira nel finale a testi di ispirazione sacra.

[240] levame ssa janara de vicino: levami questa strega di torno.

[241] mmattuto dove poteva mmattere: battuto dove poteva battere. ¨ pataffio: epitaffio, qui nel senso di riconoscimento.

[242] lo chiappo mio co le stentine soje: il mio cappio con i suoi intestini. ¨ se mme vuò cotico affocame chisso: se mi vuoi con te affoga questo (riferito ad Arsenio).

[243] cuorve co cuorve non s’hanno da caccià l’uocchie. Io no poco mperfetto, ma Ussoria è mperfettella; facimmo de manera, che da lo primmo juorno non nge avessemo da stregne care care, e jettà into a sto sciummo: corvi e corvi non si estirpano gli occhi. Io sono un po’ imperfetto, ma Ella è alquanto imperfetta; facciamo in modo che dal primo giorno non avessimo da stringerci cari cari (litigare) e gettarci al fiume.

[244] ch’Uscia abballa, e i te sono: ch’Ella balla, e io ti accompagno col suono.

[245] ca non saccio quà è meglio se la cassia tratta, o la spina ponteca: che non so quale sia meglio, la cassia cavata dalla canna (medicamento lassativo) o la spina amara (cfr. anche di Gennarantonio Federico il libretto de Il Flaminio, II.10). ¨ chiante: piante.

[246] brassecale (o vrassecale): in napoletano vale vivaio.