Maria Isabella Dosi Grati

‘Dorigista’

Ingannano le donne

anche i più saggi

 

a cura di Javier Gutiérrez Carou

 

 

 

 

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

 

lineadacqua edizioni

 

2020

 

 

 

 

 

Maria Isabella Dosi Grati, ‘Dorigista’

Ingannano le donne anche i più saggi

a cura di Javier Gutiérrez Carou

 

 

Ó 2020 Javier Gutiérrez Carou

Ó 2020 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 31

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

Supervisore dei dialetti: Piermario Vescovo

Comitato scientifico: Beatrice Alfonzetti, Francesco Cotticelli, Andrea Fabiano, Javier Gutiérrez Carou, Simona Morando, Marzia Pieri, Anna Scannapieco e Piermario Vescovo.

www.usc.gal/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.gal

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-32066-47-0

 

 

La presente edizione è il risultato delle attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano (ARPREGO II: FFI2014-53872-P, finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad spagnolo; e ARPREGO III: Ministerio de Ciencia, Innovación y Universidades e FEDER: PGC2018-097031-B-I00, 2019-2022). Lettura, stampa e citazione (indicando nome del curatore, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione del curatore e del direttore della collana.

 

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 31

 

 

Nota al Testo

In assenza di altre stampe o manoscritti, per la presente edizione di Ingannano le donne anche i più saggi ci siamo avvalsi del volume edito a Bologna nel 1707 dal Pulzoni alla Rosa.

            Tutte le modifiche grafiche operate su tale testo intendono agevolarne la lettura, evitando tuttavia qualsiasi cambiamento che potesse avere implicazioni fonetiche.

 

 

 

Ingannano le donne anche i più saggi

Comedia nuova e piacevole posta in luce da Dorigista[1]

 

 

 

INTERLOCUTORI[2]

 

dottore.

delinda, sua figlia.

trofaldino, servo del dottore.

verspina, serva del dottore.

 

 

 

                                    ATTO PRIMO

 

 

                                    SCENA PRIMA

 

                                    Dottore.

 

            dottore        ’I son cascà, chi ’m l’avess mai dit; me, ch’ son qusè dott, virtuos, sagg, intendent, perspicaz, prudent, accort, pront, d’ bell’inzegn, in mi’ vecciezza a’ ’m andass a innamurar. Oh nostra fragilità, nostra miseria! vettm mo’ que azghè, mort spant d’una ragazza ch’, pensa te, me cred ch’ l’ava più sparaguai ch’ bus int’i scufun; l’è propri vergogna a dir ch’ la mi’ serva m’ava tolt la man; a’ ’m son perfin adess trat’gnù d’ n’i far c’gnosser l’amor, al spasem, la passion, al brusor, la vampa ch’a’ ’i ho per lì, da que inanz a’ dubit ch’al cor né me tradissa, ma a’ starò luntan de vederla; tarusla s’a’ l’ho in ca’! Oh puv’rett me, a’ ’i son: cosa vui-a mo’? far al schizignios? a’ ’i vol alter, a’ vui c’minzar a darm d’attorn, e vèder ch’ la ’m vuia ben in tutt el manir ch’Amor m’insgnarà ben lu.[3]

 

 

                                    SCENA SECONDA

 

                                    Delinda e Verspina.

 

                                    Camera.

 

            delinda         Senti Verspina; io ti vorrei più moderata nelle parole, più prudente nell’opere, più modesta nel vestire; perché, se bene nata sotto alla dura legge di serva, pare però che tal volta si scorga anche in questa sorte di persone sentimenti non vili, azioni non disdicevoli; quel continuo riso in bocca non dà esemplarità, quel stare tutto il giorno di non lavorare, non è da giovine di garbo.[4]

 

            verspina        Semper em crida, semper m’è addoss, a’ son po d’ poca età; s’a’ rid, cos’è-l? l’è una cosa da zov’na; s’a’ vagh pulida, n’i faccia unor a lì? s’a’ ’n lavor, son-ia la prima? lavora ch’ha fam, oh vè, me né ’m vui tirar la pell in s’i ucc.[5]

 

            delinda          Orsù, l’intendo, bisogna che mi levi di casa donna cotanto ardita.[6]

 

            verspina        E qusì, andarò vi’, a’ ’m d’spias sol d’una cosa; dal rest, udir semper bravar, chi ’i durare’?[7]

 

5          delinda          Lo so cosa t’è in dispiacere, e giusto a questo voglio ponervi rimedio.

 

            verspina         Cos’è-la mo’?[8]

 

            delinda         Pensi tu che non mi sia di già avveduta dell’amore che porti a Trofaldino? questo è quello che ti fa sì superba e impertinente, ma se non lasciarai questi amori, ti saprò, più che non credi, mortificare. Pensa bene a’ casi tuoi. (parte)

 

            verspina        Che razza de d’scors è quest? ch’a’ vuia ben a Trufaldin? l’è po vera ch’ l’è un ragaz ch’e’ ’m pias; mo’ la m’ha mess un tal siropp int’al stomegh; a’ ’i ho d’un’upinion ch’ la ’i vuia ben anca lì, perché la ’n farè tanta vèrgnia; s’ la ’i vol ben, adess ch’a’ pens, cos’è tutt qui’ secret ch’ l’ha cun lu? oh vegna al cancher, amor m’al mo’ attrap’là alla vera vi’; Madonna bocca-stretta, ch’in d’si-v? a’ vui nutar e veder el mi’ d’sgrazi; Trufaldin, bech curnù, a sta manira, an? (parte)[9]

 

 

                                    SCENA TERZA

 

                                    Trofaldino.

 

                                    Strada.

 

            trofaldino   Fa la la la la la la. Quand’a’ ’i ho fam, a’ faz all’arversa d’i alter, che pianzen, e mi cant; oh la ’m fa star alligher e svelt; a’ ’n ball mei che quand’a’ ’i ho fam. Gran Dottor, al me ten alzir con poca spesa. Al Ciel però n’abbandona mai nessun. A’ ’i è Verspina, che me va aslungand del volt un toc de formai, tant che a’ se va campand. Oh l’è la cara Verspina; a’ ’i vui un ben ch’a’ crepp, e se al me ven al tir, a’ lla vui domandar per sposa, a’ ’i ho troppa slofezion. L’è giust qui.[10]

 

 

                                    SCENA QUARTA[11]

 

                                    Verspina, Trofaldino.

 

                                    Strada.

 

            trofaldino   Bondì, cara la mi’ ragazza.[12]

 

            verspina         Va’ al forch.[13]

 

            trofaldino   Mo’ va’ ti in berlina, oh, guarda.[14]

 

            verspina         Pus-t pur crepar.[15]

 

5          trofaldino   Te vegna pur la mossa de corp.[16]

 

            verspina         Sent; agn volta che t’ ven in ca’, a’ vorrè ch’ te cascass un occ.[17]

 

            trofaldino   Agn volta che ti m’inconter, che te possa cascar la stanella.[18]

 

            verspina         Pezz de baron.[19]

 

            trofaldino   Che manirina è questa de trattar col moros, en el finez?[20]

 

10        verspina         T’ sa’ ben quel che t’ m’hà fatt.[21]

 

            trofaldino   Dil; ma né m’ strapazzar, Verspina, né m’ strapazzar.[22]

 

            verspina        Te me da ad intender de volerm ben, es te vù ben a un’altra.[23]

 

            trofaldino   Al non è vera.[24]

 

            verspina         Sè, ch’ l’è vera.[25]

 

15        trofaldino   L’è un equinozzi.[26]

 

            verspina         E po t’al d’nigh, a’ ’t vui romper al mustaz.[27]

 

 

                                    SCENA QUINTA

 

                                    Dottore, Verspina, e Trofaldino.

 

            dottore        «A’ ’t vui romper al mustaz»? mo’ cosa ’i è Verspina, cosa v’al fatt ste forfant, an? d’si, su.[28]

 

            verspina        Al m’ha rott la più bella p’gnatta d’ cusina, es e’ ’n la vorè pagar.[29]

 

            dottore        C’mod te ’n la vù pagar? mo’ sa-t cosa dis al proverbi? t’ la pagarà ben te.[30]

 

            trofaldino   A’ ll’ho da pagar, se la m’è cascada?[31]

 

5          verspina        Os, ch’al l’aggiusta mo’ lu c’mod al vol, ch’ l’è po stà una disgrazia, puverett.[32]

 

            dottore        Passa in ca’, e lassa far a me con qustù.[33]

 

            verspina         (a parte) (A’ ’i ho pora ch’al n’i conta la facenda.)[34] (fa cenni à Trofaldino.)

 

            dottore        Pez de d’sgrazià, t’ha semper cuel d’ partir con Verspina, sa-t che a’ ’n vui ch’ t’ la faz instizir? cos’ha-t da romp’r’i ora la scudella, ora la m’zetta, adess la p’gnatta? t’al fa per far’i d’spet, c’menza un poch a pagar quel ch’ t’ romp; e las’la viver.[35]

 

            trofaldino   A’ ’i ho donca da pagar la p’gnata? (a parte) (ah, ah, ah, che rider.)[36]

 

10        dottore        Cosa, te ’m sc’fon, è-l vera?[37]

 

            trofaldino   Signornò, l’è la cosa d’ la p’gnatta, che ’m mi fa mo’ rider.[38]

 

            dottore        (a parte) (Qustù e’ ’m mett in suspett, perché chi ama, tem.)[39]

 

            trofaldino   (a parte) (Ella mo sta astuta.)[40]

 

            dottore        Ven un po’ que e contem cos’è stà sta lit, ch’a’ c’gnoss ch’al n’è negozi de p’gnatta quest.[41]

 

15        trofaldino   Lassam andar, Patron.[42]

 

            dottore        De’ prima cosa t’ hà fatt a Verspina da volert romper al mustaz; ma fa’ ben prest.[43]

 

            trofaldino   A’ ’i ho rott una p’gnatta, n’al savi-v mo’?[44]

 

            dottore        No, Trofaldin, la ’n sta aqusè, dim pur al ver.[45]

 

            trofaldino   (a parte) (A’ ’m vui servir d’ l’occasion mi.)[46]

 

20        dottore         (a parte) (Sta’ pur a sintir, puv’ret me).[47]

 

            trofaldino   S’a’ ’v la digh c’mod l’è, me fari-v po servizi?[48]

 

            dottore        Sè ben.[49]

 

            trofaldino   Avì da saver che mi e Verspina... mo’ guarda po de farmi servizi a proposit.[50]

 

            dottore        Sicura.[51]

 

25        trofaldino   Verspina e mi l’è un pez che... oh s’A’ savissi c’mod a’ sto que int’al cor per lì![52]

 

            dottore        Ti vù ben a Verspina?[53]

 

            trofaldino   A’ son consumà, a’ n’ho più l’us d’andar dal corp dal gran calor ch’a’ ’i ho denter, ma la ’n me cred e per quest la me voleva far quel bell regal, la dis che a’ lla tradiss es e’ ’n è miga vera, vedì?[54]

 

            dottore        Os, a’ ’t ho intes, né me dir mega alter e lass’m far a me, ch’adess adess a’ torn.[55]

 

                                    Va in casa.

 

            trofaldino   A’ son pur alligher, l’è andà a tor Verspina, es me la dà per muier, oh gran Dottor, né n’ho-ia mo’ fat polid a confidar’i al negozi?; chi sa ch’a’ ’i dona cuel in dota. Oh a’ ’i ho pur avù al gran inzegn; cara Verspina, te n’arà zà più sospet de mi, bi i mi’ uccin furb e vituperus; quel manin sè mulsin. A’ me mett in positura, che l’è qui al Dottor, mo’ a’ n’i è Verspina; la se polirà fors, stenla a veder comparir tutta in s’i ram.[56]

 

30        dottore        De quant è che te ’m serv quest è al to salari. Adessa sa-t cosa t’hà mo’ da far? t’hà da star luntan da ca’ mi’ quant è lungh ste g’misel d’ rev; tocc de impertinent, aver tant ardit dopp ch’a’ ’i ho supportà tant so guffez, e ch’a’ ’t ho avù int’el man più p’zin d’un stronz; per benemerit un tocc d’una ragazza ch’è in ca’, subit te pias; mo’ sa-t ch’ la pias anch’al patron? Os, van pur mo’ e d’scordet Verspina comod s’ te ’n l’avess mai vista. Aqusè ’s fa a cavars el busc d’int’i ucc.[57]

 

 

                                    SCENA SESTA

 

                                    Trofaldino, Verspina.

 

            trofaldino   Dottor assassin, priv de compasion, mo’ che trattar è quest? ah, che a’ son stà mi, che me son tirà la bissa in sen, andar a dir i fatt mi’ a qual vecc del diavel; vettem que senza patron, senza Verspina, e con puch quattrin. O poveret mi, dov ho-ia mai d’andar? Verspina aiutem. Cosa s’rè mo’ a dir’i la mi’ disgrazia? a’ vui batter mi, cosa s’rà? (batte)[58]

 

            verspina        Chi è? ah, sì vu, al mi bel fansin; en ve si-v mo’ purtà ben a ciaccarar, avì mo’ guadagna’ la stra’ es avì pers la ca’.[59]

 

            trofaldino   L’è stà al Dottor, che m’ha ingannà, perché a’ ’i d’seva che a’ ’n ve podeva vèder e che a’ ve fava instizir.[60]

 

            verspina         E per quest t’ ’i hà dett i fatt tu’.[61]

 

5          trofaldino   A’ son desperado, cosa ho-ia da far senza de ti, senza la pupilla dal mi’ occ dritt?[62]

 

            verspina        Ti d’siv appinsar prima, adess l’è mo’ fatta, quand an s’ha inzegn l’intraven aqusè. Os Trufaldin, bondé, a’ vui andar in ca’, ch’ la Patrona m’aspetta.[63]

 

            trofaldino   Bondì, cara la mi’ radisina, en te discordar al pover Trofaldin: em l’a’ fuss-ia affugà sotta, avess-ia piutost astrangulà al Dottor che aver mai ditt de voler ben a Verspina. Ah pacinzia, a’ studiarò al mod de remediar’i; ah, che a’ né poss più dalla passion: s’a’ arriv a sta sira che a’ n’ava tratt un crepp, l’è un miraquel. Uh, uh, uh.[64]

 

                                    Fine dell’Atto Primo.

 

 

 

                  ATTO SECONDO

 

 

                                    SCENA PRIMA

 

                                    Dottore, e Delinda.

 

            dottore        Cancher, a’ son stà prest a romper al gazofilazi, as tratta ch’a’ ’i ho fatt una ficcada dal diavel, e piz alla Verspina, e s’i ho dà ordin ch’ la ’n sì più a quella d’ parlar con Trufaldin sott pena d’ la mi’ d’sgrazia, ch’ vol dir qualch cosa d’ grand, e tutt sott pretest d’ zel, che a’ ’n me vui d’scruver sè prest; a temp e lugh, con garb, ch’ la cosa nassa da per sé. Doh c’mod amor ha t’gnù dirtt, e s’ m’ha furà giust in mez al cor; a’ sent propri che tutta la scienza ch’a’ ’i ho ’n n’è stà a bastanza per riparar ste gran bus ch’al m’ha fatt, a’ ’i vol pacinzia.[65]

 

            delinda          Signor Padre, faccia favore di venire subito in casa.

 

            dottore        Cosa ’i è d’ nov? eh m’as tratta d’ veder la mi’ Verspina a’ son semper all’orden.[66]

 

 

                                    SCENA SECONDA

 

                                    Delinda, Dottore e Verspina.

 

                                    Verspina svenuta in braccio a Delinda.[67]

 

            delinda          E bene, come state? pare di sentirvi più sollevata.

 

            dottore        Mo’ cos’è quest? d’sì su, (da sé) (fa’ prest, o poverom me); Verspina, cosa avi-v al mi’ t’surin? (a parte) (oimè, cosa m’è scappà dett? a’ son propri fora d’ me.)[68]

 

            verspina         A’ sto pur mal.[69]

 

            dottore        Cos’è-l stà? d’simel in mallora, cos’ha-la sta ragazza?[70]

 

5          delinda          Nol vede? lo dovrebbe pur saper meglio di me, a quello che ella dice...

 

            dottore        Chem s’rev a dir, ch’a’ ’i avess fatt v’gnir me st’ mal?[71]

 

            delinda          Per appunto.

 

            dottore        Oh, questa m’arrivarè nova purassà.[72]

 

            delinda          Dice così lei.

 

10        dottore        Eh, né me fa saltar; ch’ la ’n pò aver dett sta mattìria, oh, questa s’rè bella; sta’ sta’, ch’al par ch’ l’artorna; ’i avi-v slazzà la stanella, d’sfiubbà al bust, tirà al nas, fatt far la pissa, sbruffà, spassezzà, fatt tutt quel ch’es pò? su Verspina, al n’è nient, al n’è nient, su.[73]

 

            verspina         Ch’am lassa star, ch’a’ vui murir.[74]

 

            dottore        Eh, i gnucch, sa-la? a’ vui ch’a’ stadi alligrament, c’mod murir? fa’ una cosa Delinda, andà in la mi’ camera, avrì al mi scrign cun sta ciav, e tulì qual balsem appopletich, che a’ ’m vui inz’gnar d’arturnar sta pov’ra ragazza. An d’sì mo’ adess, ch’an ’i è mi’ fiola, cosa è stà st’ mal? parlà, confidamel.[75]

 

            verspina         S’am prumett d’ remediar’i, a’ ’i al dirò.[76]

 

            dottore        S’a’ ’i v’less trei lir dal mi sangu? a’ ’n so s’a’ ’m burla’.[77]

 

15        verspina        A’ ’i ho avù tropp al gran desgust, ch’ per causa mi’ Al manda vi’ Trufaldin, e ch’ s’ava da dir d’ me quel ch’ n’è vera, ’i parla una cosa d’an se metter a pett; a’ ’m torna mal.[78]

 

                                    Torna a svenire.[79]

 

            dottore        Delinda prest currì; deh ch’ fola è mo’ questa? fa’i el ghettel, muvenla, strica’i un did; su sta’ alligra, ch’al Duttor farà tutt quel ch’a’ v’lì, en dubità, en pianzì.[80]

 

            delinda          Quanto mi dispiace di questa povera giovine.[81]

 

            dottore        L’ha al nas vi’ vi’ calduz, el maslin culoridet, anem pur; sugav i ucc e sta’ d’ bona vuia, (a parte) (a’ ’n ho mai avù una stretta sè fatta) m’tila in s’al lett un tantin.[82]

 

            verspina         Am principia a passar, a’ sto mei.[83]

 

20        dottore        In nom del Cil a’ respir, a’ ’i era brutt. Os, a’ ’v la lass a vu fiola mi’, ch’a’ turnarò ben prest. (piano a Verspina) En dubità’ mega: quel ch’a’ ’i ho dett, a’ ’v mant’gnarò, fav anim, la mi’ Verspina cara. (parte)[84]

 

            delinda         Avete dato pena non solo a me ma ancora a mio Padre, quale giurarei vi ama più di sua figlia.

 

            verspina        (a parte) (Ch’invidiosa) e ch’ la pensa lì? la fa mo’ aqusè sti simitun.[85]

 

            delinda         Basta, v’è di gran cordialità, orsù andatevi a riposare, come mio Padre ha imposto, che ritornando possi vedervi bene riavuta.

 

            verspina        A’ farò quel ch’ la c’manda (a parte) (stezza, rabbia, la creppa d’invidia.)[86]

 

                                    Parte.

 

25        delinda         Levatevi dalla mia mente pensieri gelosi dell’affetto di mio Padre, ma no, suggeritemi sentimenti di giusta vendetta; tanto per una serva, sì poco per una Figlia qual altro error non commette che il viver sempre ritirata ed obediente? ma giova talvolta il mutar consiglio per raddolcire l’asprezza d’una stella troppo maligna, per sollevarmi dall’inquietudine dove mi ritrovo; ho di già pensato, ho di già risoluto.[87]

 

 

                                    SCENA TERZA

 

                                    Dottore.

 

            dottore        A’ ’i ho appinsà, strapinsà al mod de dar gust a sta ragazza, a’ n’i trov alter rimedi che de turnar a tor in ca’ Trufaldin; son-ia mo’ furb? oh, me son un m’ros ch’ so al fatt mi’, e pur al so, es l’ho ponderà, speculà, vintilà, ruminà, esaminà ben ben, a’ ’n ’i è mo’ negozi: al bisogna turnar a tor Trufaldin. Se la ragazza en se fuss miss a pett sta cosa, e ch’ la passion n’i fuss andà al cor c’mod s’è vist, a’ ’i truvare’ mill repigh. Mo’ se la ’m s’ammalla, a’ ’m s’rà fors d’ cunsulazion al vederla devintar brutta, smorta, passa, senza più forma de donna, malmessa, de cattiv umor, d’ mala sanità, in somma una cosa d’sutil? a’ ’n ’i è né caritá né politica s’a’ ’m la conserv b’lona, grassa, tonda, garbadina; chi sa che la n’ava dilett de veder al so Patron mort spant per lì, e ch’ la ’l preferissa a qual brutt mustaz de Trufaldin? e po dov sarà al mi veder, la mia industria? al vegnarà Trofaldin in ca’; st’att ubligarà Verspina; me s’rò ben servì, perché al sa i me’ us, al mi’ umor, ma ch’al né pensass zà mai de star un moment in ca’ senza al Dottor. E s’al Duttor s’rà fora de ca’, Trufaldin sarà cun al Patron. Casp, a’ avvrirò ben tant i ucc, a’ starò ben sì svelt ch’i ’n m’in p’ran far una. E po a’ me mettrò in la galla; a’ ’i ho piasù a degl’alter donn vent’ann fa, ch’a ’n ’i piasa anc’a lì? a’ s’rè ben mo’ d’sgrazià; os, a’ vo a cercar qustù.[88]

 

 

                                    SCENA QUARTA

 

                                    Trofaldino con vari arnesi, poi Delinda.

 

            trofaldino   Dopp ch’a’ me son dispiantà inte l’amor, a’ me son anch v’lù despiantar inte la robba. A’ ’i ho speso tutti i quattrin per comperar sti mercanzì; che el mi pinsir l’è de dar inte la testa a quel razza de becch cornù del Dottor; a’ son desperà; tant’è; a’ vui mo’ spassezzar qui sotta alla ca’, gridand: «chi vol?», tant che Verspina vegna zo; e così a’ lla vedrò al despett de quel vecc del diavel; se al capita che mi sì a descorrer con la mi’ morosa, al me dis villanì, e mi a lu; in conclusion, a’ ’i romp la testa, es faz le mi vendett. Chi vol del roc, d’i fus, degl’oss e delli belli cann d’India per campagna? chi in vol comprar a’ ’i darò a bon prezi. E mai ven sta Verspina; a’ ’i ho una bella scudella, una mescola da s’ciumar, chi me domanda d’i uccial? chi ha bisogn di un piston? E mai, che diavel, che la ’n’isi; tas tas, che a’ ved auvrir la porta, al cor me fa tic toc, tic tac.[89]

 

            delinda         Sento uno di costoro che vendono canne d’India, mi è venuto volontà di provedermene; eh, quell’uomo, faresti il piacere d’appressarvi?

 

            trofaldino   O poveret mi, quest è alter che Verspina.[90]

 

            delinda         Ma non sei tu, Trofaldino? da quando in qua il nostro servo si è posto a così bel mestiere? fareste meglio a venirtene a scopar la casa e far le solite facende.[91]

 

5          trofaldino   S’gnora, a’ ’n posso venir cert.[92]

 

            delinda          Perché?

 

            trofaldino   A’ me purgh, el medegh me l’ha proibé.[93]

 

            delinda         Che modo improprio è questo di rispondere (a parte) (mio Padre, interessato quanto ogn’altro sia, vorrà vaddi così vendendo per la città?) chi ti providde di così vile mercanzia?[94]

 

            trofaldino   La fam.[95]

 

10        delinda          Mio Padre.

 

            trofaldino   A’ digh la fam mi.[96]

 

            delinda          Non capisco.

 

            trofaldino   Mo’ a’ ’n savì che son fora de ca’ quatter dida?[97]

 

            delinda          Non stai più al nostro servizio?

 

15        trofaldino   Nianc’al vostro bisogn.[98]

 

            delinda         (a parte) (E perciò comprendo i deliqui di Verspina, la colpa datane a mio Padre, le di lui gelosie.)[99]

 

            trofaldino   E an ve despias d’aver pers al pover Trufaldin? pover Trufaldin, l’era po un bon diavolaz.[100]

 

            delinda          Mi stupisco.

 

            trofaldino   Mo’ a’ me stupefiasca ben più mi quando al s’gnor Dottor bona-memoria diss ch’andass alle forch, al né me voleva più, uh, uh, uh.[101]

 

20        delinda         Orsù quietati pure, che non ti mancheranno Patroni, basta che tu sia un uomo da bene; piglia in ricompensa del buon servizio prestatomi; se ti occorre cosa nella quale posso farti servizio, sai la mia casa. Addio.[102]

 

            trofaldino   Bas mil an a Vusegnurì. A’ poss alzar le gamb al ciel che la Patrona m’ha dà tant che a’ magn, dal rest la vol andar mal la mercanzì nova, per adess a’ vui lassar star al Dottor, ma dal rest a’ mo’ vui sizarir sicura; Verspina né n’è comparsa, pacinzia, andarò a magnar, e po turnarò a vèder s’a’ la poss squiliburziar un tantin.[103]

 

 

                                    SCENA QUINTA

 

                                    Verspina e Dottore.

 

                                    Camera.

 

            verspina        El donn verament, quand el vollen, el fan filar i omen mei dal mond; a’ ’i ho fatt vista d’aver mal e al Patron è cort subit all’armor, es torna a tor Trufaldin, oh che rider; a’ ’i ho un po’ de magon con la Patrona, a’ ’n so s’ la ’i vol ben, a’ ’n al cherdrè po’ nianc, ma pur a’ sto con l’occ d’ la siura.[104]

 

            dottore        Si-v que, Verspina?[105]

 

            verspina        (a parte) (Bisogna ch’a’ seguita a far la mocca), a’ son que. (si pone a sedere)[106]

 

            dottore        Dov si-v? oh, a’ ’m alligher ch’a’ stadi ben, mo’ sta’ ben su svelta, pufar la nostra; a’ ’m inzegn pur anch de darv gust, tulè, quest è mo’ un par d’ scarpin ch’ fan vegnir un accident, el m’en capità e me subit per la mi’ Verspina; arpiatali mo’, ch’ mi fiola n’el veda, fa prest, ch’ la ’n arrivass.[107]

 

5          verspina        Oh, el belli scarpin, a’ ’m el vui metter d’menga, l’ha pur fatt ben s’gnor Patruncin: L’ha c’gnossù al mi bisogn, perché a far’i i fatt d’ la ca’ a’ s’in frusta, esser sola e n’aver chi aiuta.[108]

 

            dottore        A’ ’v ho inteis, en ve dubità che subit ch’a’ trov Trufaldin, al men d’lungh in ca’, ma a’ ’v arcord d’ né me dar uccasion de suspett, a’ ’v arcord ch’a’ ’n vui armur.[109]

 

            verspina         Al Cil m’in guarda! qual facchinaz, oibò.[110]

 

            dottore        Madonna schiva-al-poch.[111]

 

            verspina         A’ ’n so tant schiv-al-poch, me.[112]

 

10        dottore        Basta avà inzegn.[113]

 

            verspina         Me n’ho a che far figh.[114]

 

            dottore        Basta ch’ lu ’n cerca d’aver a che far cun vu.[115]

 

            verspina         N’è-lla una cosa che s’ vedrà.[116]

 

            dottore        A’ ’n la v’rè mega mo vèder; os, attendì pur a guarir, e cas ch’a’ ’v amalassi, en d’sì più a mi’ fiola ch’a’ son stà me ch’ v’ho fatt amalar, perché a’ ’n sta ben, savì?[117]

 

15        verspina         Al sa ben mo’ per cosa al diss.[118]

 

            dottore        Sè sè, os sta’ d’ bona vuia, che a’ ’m pias tant quand a’ sì alligra; a’ ’m par ch’a’ stadi volontira in ca’ mi’ e ch’a’ ’m servadi cun amor, a’ ’m sent tutt cunsular.[119]

 

            verspina         Oh, a’ ’l serv ben po v’luntira, a’ v’rè esser bona e gaiarda.[120]  

 

            dottore        (a parte) (Os, l’è mei ch’a’ vaga vi’, perché a’ ’i dirè pur v’luntira qualch parulina amurosa e al decor andarè in scunquass.) Bondé, fa’ ben una bona cenina e un d’ qui’ vustr pancutin ch’a’ savì mo’ far vu.[121]

 

            verspina         Al magnara-l po?[122]

 

20        dottore        S’a’ ’l magnarò, bella la mi’ Verspina, cosa a’ ’m d’mandà? (a parte) (Duttor, sta in cervel) os, a’ ’m arc’mand. (a parte) (A’ dur la gran fadiga a ’n ’i dir ch’a’ son mort spant per lì.) (parte)[123]

 

            verspina        La va pur ben aqusè, finch la va, l’è viva; a’ ’n posso star mai mal, al Patron, a quel ch’a’ ved, m’ha inclinazion, al servitor e’ ’m vol ben, a’ ’n s’rò mai senza m’rus e senza regal; e viva la Verspina affortunà![124]

 

                                    Fine dell’Atto Secondo.

 

 

 

                                    ATTO TERZO

 

 

                                    SCENA PRIMA

 

                                    Trofaldino e Dottore.

 

                                    Trofaldino vestito da birbante con una carta sopra un occhio.[125]

 

            trofaldino   A’ son inviperì con qual Duttor, mandarm fora d’ ca’ per nient, a’ ’m son mess in st’abit per vindicarm mei. L’arriva al Duttor e me ’i d’mand la milosna e lu, al solit, e’ ’m manda alla bunora, e mi allora ’i c’menz a dir villanì (c’mod fa tant birbant quand a’ ’n s’i dà nient) e lu me dis forsa del baron, e mi, topa, con sta candela a’ ’i smochel al nas, es ’i spaz i ucc, e qusè a’ vegn in s’al mi’; oh, a’ ll’ho pur pinsà ben! s’a’ podess pur veder Verspina e provar se la me cognoss; a’ starò que sotta alla porta. Chi sa ch’al Ciel né me vuia aiutar; oh, l’è que al Duttor, al vol esser al bel colp; l’impararà per un’altra volta, cospetton![126]

 

            dottore        Dond diavel ho-ia mai da truvar ste Trufaldin? a’ ll’ho cercà in tutt i bus dov al cazza al nas: in Buccia stronz, ch’a’ ll’i ha una surella; int’al Turrelion, ch’a’ gli ha un cusin; int’ l’Armursella, ch’a’ gl’ha la lavandara; int’ la Simia, ch’a’ ’i sta a duzina; in Guazza l’occa, ch’a’ gl’ha quel dai braghir (Trofaldino li tira la vesta da basso); int’ la Fundazza, ch’a’ ’i va all’ustarì (Trofaldino torna a tirarli la veste); passa là; me né so mai dond diavel al capita e dov al sì.[127]

 

            trofaldino   Fa’ un po’ d’ milosna a un pover astruppià d’un occ.[128]

 

            dottore        Va’ in bonora.[129]

 

5          trofaldino   A’ ’n me volì dar un po’ di milosna? (batte il bastone)[130]

 

            dottore        No me, e qusè cos ha-t da partir? oh, questa è bella.[131]

 

            trofaldino   Al bisognarà donca...[132]

 

            dottore        Cosa bisognarà? de’ ben su.[133]

 

            trofaldino   Ch’a’ vaga vi’. (Trofaldino va via)[134]

 

10        dottore        L’è bel qustù. (Li guarda dietro)[135]

 

            trofaldino   Al me guarda.[136]

 

            dottore        (a parte) (Del volt sti puv’ritt fan d’i servizi; s’al fussa mai bon d’attruvarm sta bistia.) Ven que, ch’a’ ’t vui dar cuel.[137]

 

            trofaldino   A’ son qui.[138]

 

            dottore        (a parte) (Cosa ved-ia mo’? l’è Trufaldin, c’mod al s’è ardut! ch’ matt! al pensa mo’ ch’a’ ’n al c’gnossa con qula bulletta, a’ ’m in vui tor spass.) Pover zoven, cos’è mo’ stà quel d’ quell’occ?[139]

 

15        trofaldino   (a parte) (Diavel, cos’ho-ia da dir?) a’ ’i era alla guerra, mi puv’rett, es ho pers un occ c’mod a’ vedi’.[140]

 

            dottore        Quant a’ ’t cumpatiss! perder un occ l’è ben po una desgrazia granda.[141]

 

            trofaldino   (a parte) (Oh che Duttor asin, a’ né cognoss nianc i birbant.)[142]

 

            dottore        Cos’è-l mo’ stà?[143]

 

            trofaldino   Mo’ l’è stà la guerra.[144]

 

20        dottore        A’ ’i ho intes; a’ digh che colp è stà quel che t’ l’ha purtà vi’.[145]

 

            trofaldino   Un’art’larì l’è stada.[146]

 

            dottore        Cancher, sè! mo’ te pu ben ringraziar al Cil ch’ la ’n t’ha purtà vi’ se n’un occ. (a parte) (Oh che bistia, l’ha-l mo’ detta).[147]

 

            trofaldino   Mo’ se a’ ’n me voltava de scans, la me portava vi’ anc’al nas.[148]

 

            dottore        Poverom, guarda che brutt accident! (lo piglia bel bello e li leva la bolletta) pezz de baron, cri-t ch’a’ ’n t’ava c’gnussù ?(li leva il bastone) t’hà zà mo strascinà i quattrin.[149]

 

25        trofaldino   Sa? ’i ho volù magnar, S’gnor.[150]

 

            dottore        Os, sent: me te turnarò a tor in ca’. Te sa ch’a’ son al mior Patron dal mond, dolz c’m’è la sabba; a’ vui esser sol ubbidì in quest: la serva né n’è carn per i tu’ dent, sì ch’ te t’en ti ha da smentegar, non sol quest, ma nianch guardar’i mai; te bastarà l’anem de far sta cosa? (Trofaldino tace), de’ su.[151]

 

            trofaldino   Per tornare in ca’ al farò, (a parte) (tant fia’ avese-ll.)[152]

 

            dottore        E cas che te n’al faz, a’ ’i ho un pez de baston ch’ peia fugh a volta per volta.[153]

 

            trofaldino   Me n’al vui pruvar sicura. (a parte) (Lassa pur far a mi.)[154]

 

30        dottore        T’ sa mo’ te al remedi; os va un po’ que d’ zà alla posta a tor el mi letter, e torna prest. (Trofaldino va via) A’ ’m son mess int’al bell’impegn per dar gust alla m’rosa, mettr’i al m’ros avsin; oh che mattiriazza! ma a’ ’m son mess in pinsar d’ far una prova. La ragazza m’ha prumess d’ n’i guardar, e me sott saccon a’ ’i usservarò; a’ vui ch’al dorma fora de ca’, Trufaldin; e per veder s’ l’è verament d’ parola, a’ ’i vui lassar al camp largh; do o trei sir a’ vui andar a lett innanz ch’ lu vaga fora d’ ca’ per usservar s’al se trattin o s’al va d’ lungh, menter ch’al n’arà negotta da far che d’uscir; me son sovra la porta, la porta ha la susta es fe d’ l’armor, sì che a’ p’rò saver i fatt su’; lor cherd’ran ch’al Patron dorma: sa ’i è d’ la malizia al sarò subit; a’ ’i ho appinsà a tutt el cos, perché un pover appassiunà, c’mod a’ son me, semper scrutinia, semper rumina. L’è ormai sira, su, pur alla prova; diavel, ch’a’ sì sè d’sgrazià? a’ ’n al vui creder, oibò, Verspina? a’ ’n ’i è priguel.[155]

 

 

                                    SCENA SECONDA

 

                                    Verspina.

 

                                    Camera.

 

            verspina        A’ ’i ho usservà per la fessa d’ la porta al Patron descorrer cun Trufaldin vestì da birbant, a’ ’m aspett de vederel quant prima, mo’ ch’al si’ aqusè alla cacca! e che al se si’ mess a d’mandar la limonsa! puv’retta mi, a’ ’i ho pora s’a’ ’n arò inzegn d’en far da quella de tant mi’ amigh, d’en m’anegar, e al murbin m’ha da usar sta creanza cert. Cosa me manca in sta ca’? al Patron me vol ben, la Patrona è ben un spirt, mo’ alla scorz; e s’ la brava, a’ lla lass abbaiar, a’ ’n me manca alter se ’n ch’a’ ’n ho Maré, c’mod ha tant alter ragazzi, ch’a’ ’i sta pur ben al col quel perlin, qui’ annì; gli han un’ambizion, es han rason, perché sti curaiaz i stuffin pur tant, ma s’a’ ’i avess da barattar piz, en m’agurare-ia d’aver’i ancora? E appunt, a tor Maré la ’n va mal per tutt i la’, se la va mal per un vers, a’ sè stà ben per l’alter; a’ ’n me vui mega mo’ d’sp’rar, a’ son zov’na, es son volù ben, al Cil m’aiutarà; un’ora me sa mill’ann d’ parlar al mi Trufaldin; mo’ al bisogna ch’al fazza cun garb, ch’al Patron en se n’accorza, ch’ mal guai a me, a’ vedrò ben quel ch’a’ poss far.[156]

 

 

                                    SCENA TERZA

 

                                    Dottore, con una lettera in mano, e Trofaldino.

 

            dottore        Quest’è una gran lunga lettra che ’m scriv mi fradell, s’an si ammurtava al mochel; ah Trufaldin, Trufaldin, dov’è-l scapà? Trufaldin, degh.[157]

 

            trofaldino   A’ son qui.[158]

 

            dottore        Sta un poch lè, ch’adess adess a’ vui andar a durmir.[159]

 

            trofaldino   A’ ’n me mov d’ qui. (a parte) (A’ vorè pur dir cuel alla mi’ cara Verspina, oh l’è giust lè.) (le fa de’ basciamani; nel mentre che il Dottor legge, alza l’occhio e vede il tutto)[160]

 

5          dottore        Doh, a’ c’minzen, cosa fa-tt adess?[161]

 

            trofaldino   A’ ’n fo negotta mi, perché?[162]

 

            dottore        Ven mo’ da st’alter la’. (legge la lettera.)[163]

 

                                    «Caro Fratello.

                                   Già sapete il desiderio continuo che ho sempre nudrito di vedervi, onde per felicitare la venuta vostra e della mia cara Nipote, ho posto insieme buona somma di denari; già sono avvanzato nell’età, voglio che li miei averi ce li godiamo assieme, tanto più che il signor Laurindo hammi richiesta più volte in isposa Delinda. Io talmente aderisco a queste nozze che mi obbligo di darli tutta la dote; venite dunque a consolare la mia canicie, a darmi gli ultimi abbracci, né pensate di più al risolvere. Addio.

                                    Vostro Fratello vero e cordiale.

                                    Gasparo Guardastorto.»

 

                                   Quest né n’è partì disprezzabil, l’è grassa ch’ la cola! cancher sè, magnar, andar a spass senza ruspars in berta, mo l’è un gran partì, e de più far anch Spousa la fiola né aver a pinsar a la dota, melios est. (Trofaldino dorme e cade per terra) Sta’ su, bistia, mo’ al cul se lamintarà de te, s’ t’i dà sti strett.[164]

 

            trofaldino   Vegna la rabbia, a’ ’n ’s va mai a durmir stasira? a’ né podì far sti vuster descurs anch’a lett?[165]

 

            dottore        Adess. E Spousa int’al s’gnor Lurind, ch’ l’è al più car ragazz dal mond, a’ ll’ho purtà in brazz più ch’a’ ’n ho pil adoss, a’ ll’ho sculazzà, sbabbazzà. Oh l’era un tous tropp d’ garb, e che quest avess da aver al mi sangu int’al man; ch’ bella sodisfazion. (Trofaldino batte la testa nelle scene, facendo rumore) Cosa fa-t? t’en ’t pu affermar? t’ vù piar al vizzi, en sè?[166]

 

10        trofaldino   A’ me son rott la testa, ve dà fastidi a vu? cosa ho-ia rott dal voster? oh, quest’è bella.[167]

 

            dottore        T’hà rason, tira pur inanz, tutt va ben, la furtuna è granda, l’uecasion è ottima, ma c’mod ho-ia da lassar la mi’ cara Verspina, al mi’ riposs, la mi’ vita? a’ ’n ’i è priguel, en poss. (Trofaldino torna a cadere) Oh, l’è una fola mo’ questa, t’en può tegnir dritt?[168]

 

            trofaldino   A’ ’n ve ne savì alter, vualtri Padroni, che de far star su i poveri servidori? e’ pò star a dormir fin a ora de disnar, e a nu al tocca al livars a bon’ora; a’ ’i vorè discrezion, che i servidor né n’en po asen, S’gnor.[169]

 

            dottore        T’hà rason, a’ ’n ’t so dar tort, anden; oh, ch’armor![170]

 

            trofaldino   In tanta bon’ora. (a parte) (S’a’ ’l posso ficcar a lett st’inguavel de vecc...)[171]

 

15        dottore        O Amor, te ’m l’hà ben fatta p’lenta, sè![172]

 

 

                                    SCENA QUARTA

 

                                    Delinda in veste da camera.

 

            delinda         Sopra agl’accidenti di mia casa fermo tal volta il pensiero; come è possibile che un uomo per altro sì prudente qual è mio Padre, in oggi così labile, così effeminato? Vedo ritornato il servo; miro Verspina anelante, l’ora del riposo non si distingue; qualche gran cosa è per succedere; io non so che credervi, se non aspettarne il fine; invece di coricarmi voglio osservare; ah, che temo di non mirar troppo e che le mie congionture vadino a ferirmi sensibilmente il cuore; se ciò fosse mai, misera Delinda, averesti tu coraggio per dissimulare gl’errori d’un Padre che dovrebbe insinuarsi alla prudenza? non so! so bene che l’anima fra tali angustie sente tutte le pene che ponno renderla afflitta. Vediamo.[173]

 

                                    SCENA ULTIMA

 

                                    Verspina, Trofaldino, Delinda in disparte, e Dottore.

 

            verspina        Ven ben vi’, cosa di-t? n’è-lla mo’ andà ben? t’i’ turnà in ca’, es n’ha pars al fatt to: mo’ a’ ’i vol del Verspin per far’ila in barba![174]

 

            trofaldino   Mo’ l’è ben po stà un bell colp, mo’ s’a’ savessi, a’ ’i era rott, mi voleva far qualche spronostich con quel Dottor, se la non andava così, basta, l’ha avù rason, dal rest.[175]

 

            verspina         Oh, t’i aress po fatt la punta, eh, ’n vi’-t s’ t’ n’i’ bon da ngotta?[176]

 

            trofaldino   C’mod ch’a’ ’n son bon da ngotta? ah, questa a’ ’n la vui, né me toccà in sta materia, perché se a’ fossi informà a’ né diressi sta cosa, cospetton.[177]

 

5          verspina         Scusam de grazia, m’sir Rodomont.[178]

 

            trofaldino   Basta, né me confondì, ch’a’ ’n starò ai segn.[179]

 

            delinda          (a parte) (Ecco gli amanti, ah, troppo ardita Verspina.)

 

            verspina         Os, fa’ la pas, Trufaldin.[180]

 

            trofaldino   Mi no.[181]

 

10        verspina         Te né ’m vù più ben?[182]

 

            delinda          (a parte) (Si puol udir di più?)

 

            verspina         Deh, su, Trufaldin, né ’m far mo’ instizzir, vè.[183]

 

            trofaldino   A’ ’i pinsarò.[184]

 

            delinda          (a parte) (Ecco mio Padre, ah, che purtroppo il previddi.)

 

15        verspina        Oh sè, pensi, e po risolv de volerm al ben che a’ ’t vui me. (li parla piano.)[185]

 

            dottore        (a parte) (Ch’in d’siv d’sti razza belli e bon, em l’hann i mo’ affiubbà in s’al zibbon.)[186]

 

            trofaldino   Al despet d’ quel Dottor vecc matt, a’ vui ch’a’ siam maré e muier, è-l vera?[187]

 

            dottore        (a parte) (Mo’ tu su, Duttor, impara minchion!)[188]

 

            verspina         Mo’ sè, ben volontira.[189]

 

20        dottore        (a parte) (Sfazzadazza, la ’n dis d’ no.)[190]

 

            trofaldino   C’mod volenia far?[191]

 

            verspina         A’ z’aven da dar la man, e qusè a’ sen subit maré e muier.[192]

 

                                    Il Dottore va fra mezzo Verspina e Trofaldino.

 

            trofaldino   Sè, la mi’ Verspina cara. (Trofaldino pensando abbracciare Verspina, abbraccia il Dottore.)[193]

 

            verspina        Sè, al mi’ bel Trufaldin. (anch’essa pensando abbracciare Trofaldino abbraccia il Dottore, poi se n’avvedono e restano Trofaldino e lei incantati.)[194]

 

25        dottore        Tirà pur innanz, ch’a’ ’n ’i ho mega desgust; a’ ’n cosa d’si-v, madonna tira-indrì? a’ ’m par ch’a’ ’v ficcavi molt ben inanz, schiv-al-poch, eh, s’gnora artrosa? (a parte) (A’ ’i ho pinsà ai cas mi’, a’ ’i vol curagg e risoluzion.) A’ ’v vui cavar la sgurbia, adess adess, da’-v la man.[195]

 

            trofaldino   A’ son pront. (a parte) (La passa molt ben finora.)[196]

 

            verspina         S’gnornò.[197]

 

            dottore        Mo’ la ’s vergogna, puv’rina, allon, né ’m la far muntar d’ più, vè, ch’a’ ’n fess qualch sgarbarì.[198]

 

            trofaldino   Me n’a’ ’l vui far instizir sicura.[199]

 

30        verspina         Me no, me no.[200]

 

            dottore        T’ho-ia da sculazzar, a chi degh-ia, simona e ben simona?[201]

 

            verspina         Quand po al vol aqusè, al bisugnarà ch’a’ ’m’i arduga.[202]

 

            dottore        Vedi-v de ch’ fatta egl’en el donn, en par mo’ ch’ la ’m fazza servizzi a torel? os, adess ch’a’ ’v sì dà la man e ch’a’ sì marì e muier, fà al fagott d’ la vostra robba e subit al spuntar dal dé marcià fora d’ ca’ mi’, ch’anca me vui viazzar. Ciammà un po’ mi fiola.[203]

 

            delinda          Eccomi signor Padre.

 

35        dottore        Vedi-v cosa fa del volt uscir d’ carzà? se la fiola s’è accorta d’i mi’ sperpust, cosa de’-la dir d’ so Pader, an? Os, muden un po’ sistema e vagga tutt el donn al so diavel; tolè fiola mi’ sta lettra e subit preparav, che fra du dé a’ vui partir con vu.[204]

 

            delinda          Eccomi pronta a’ suoi commandi.

 

            verspina        De grazia s’gnor Duttor, ch’al me perdona, s’a’ ’m son purtà mal con lu.[205]

 

            trofaldino   E me al scus d’i mancament ch’a’ ’i ho fatt.[206]

 

            dottore        Sè sè, dà fugh alla ca’ e po fa i squas perché al brusa la tiza; tulì pur su st pez d’ maré, en sta’ a far el cerimoni, e vu, m’sir Trufaldin, fan cont ch’an n’ava nissun archiam, e sàvala t’gnir con al fari al so d’ver.[207]

 

                                    IL FINE

 

 

 

Apparato

Abbiamo corretto il testo solo in quei punti in cui ci sembra presenti dei refusi indiscutibili, adoperando il seguente sistema grafico: correzione nostra ] lettura del testo originale. Indichiamo anche in questa sezione le poche aggiunte di didascalie che abbiamo apportato al testo.

 

I.5.8 partir ] partit

 

I.5.12 (a parte) ] om.

 

I.5.20 (a parte) ] om.

 

I.5.29 chi sa ch’a’ ’i dona] chi se ch’a’ ’i dona

 

I.5.30 benemerit ] bcnemerit

 

II.2.2 (da sé) ] om.

 

II.2.20 (piano a Verspina) ] (piano)

 

II.2.22 la fa mo’ aqusè ] al fa mo’ aqusè

 

II.4.17 an ] na

 

III.1.2 Buccia stronz ] Bucchia stronz [vedi il Commento per la spiegazione al nostro intervento grafico-fonetico]

 

III.1.24 ch’a’ ’n ] ch’am

 

III.1.26 sì ch’ te ] sigh te

 

III.5.18 (a parte) ] om.

 

III.5.20 (a parte) ] om.

 

 

 

Bibliografia

Documenti manoscritti

Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna:

Macchiavelli, Alessandro, Delle donne bolognesi per letteratura e disegno illustri, dell’avv. Alessandro Macchiavelli, coll. ms. B.1331 (già 17.L.II.14) [cfr. Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, Firenze, Olschki, 1954, vol. LXXIX, p. 13].

Testamento di Giuseppe Maria Delfini Dosi, 7 agosto 1662, coll. B.3177.

Dolfi, Pompeo Scipione, Famiglie nobili di Bologna, coll. ms. B.2056.

———————————, Famiglie nobili di Bologna, coll. mss. B.2068-2069.

 

Edizioni antiche delle opere di Maria Isabella Dosi Grati

Vedi Prefazione, pp. 24-26.

 

Opere lessicografiche e grammaticali

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Coronedi Berti, Carolina, Vocabolario bolognese italiano..., Bologna, Monti, 1869-1874, 2 vv.

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Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI) – Accademia della Crusca (edizione digitale: http://www.gdli.it/).

Mainoldi, Pietro, Manuale dell’odierno dialetto bolognese. Suoni e segni. Grammatica - Vocabolario, Bologna, Meriggiani, 1950 [ristampa anastatica Bologna, Fornì, 1996].

Meschieri, Eusebio, Vocabolario Mirandolese-Italiano, Bologna, Regia Tipografia, 1876.

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Ungarelli, Gaspare, Vocabolario del dialetto bolognese, con un’Introduzione del prof. Alberto Trauzzi sulla fonetica e sulla morfologia del dialetto, Bologna, Zamorani e Albertazzi, s. d. (ma 1901 circa).

 

Altre edizioni, testi e documenti a stampa consultati

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Allegri, Giulio Cesare, La Bernarda, Bologna, Pisarri, 1705.

All’Illustrissima Sig. Contessa Isabella Dosi Grati nel predersi il sacro velo fra le MM. RR. [Madri Reverendissime] Monache del Nobilissimo Monastero di Santa Caterina dell’ordine di Vallombrosa Anna Maria Grati coi nomi di Donna Anna Teresa Maria Bonaventura, Bologna, Costantino Pisarri sotto le Scuole all’Insegna di S. Michele, 1714

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——————, Memorie biografiche di que’ illustri imolesi.., Imola, Ignazio Galeati, 1828.

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Dolfi, Pompeo Scipione, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna con le loro insegne, e nel fine i cimieri. Centuria prima, con vn breue discorso della medesima città di Pompeo Scipione Dolfi..., Bologna, Gio. Battista Ferroni, 1670.

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Quadrio, Francesco Saverio, Della storia, e della ragione d’ogni poesia. Milano: Francesco Agnelli, 1744.

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Vescovo, Piermario, Effetto notte. Per una ‘genetica’ del teatro gozziano ‘alla spagnola’, in Gutiérrez Carou (a cura di), Metamorfosi drammaturgiche settecentesche..., cit., pp. 91-102.

 

 

 



[1] Comedia nuova e piacevole posta in luce da Dorigista: l’indicazione «posta in luce» potrebbe stare a indicare che l’autrice costruisce il suo testo su materiali preesistenti della tradizione dell’Arte, ma potrebbe anche far riferimento alla sua diretta implicazione nella pubblicazione del testo (o anche che il testo era stato scritto tempo prima, e solo ora è dato alla luce).

[2] Si osservi l’assoluta essenzialità del numero e della tipologia dei personaggi: una coppia buffa, di innamorati, e una coppia seria, di persone che patiscono la gelosia (il Dottore rispetto a Trofaldino, e Delinda rispetto a Verspina per le attenzioni che riceve da parte di suo padre).

[3] Ci sono cascato, chi me l’avrebbe mai detto; io, che sono così dotto, virtuoso, saggio, attento, perspicace, prudente, accorto, pronto, di bell’ingegno, [che] nella mia vecchiaia mi andassi a innamorare. Oh nostra fragilità, nostra miseria! vedimi un po’ qui accecato, morto stecchito [= innamorato cotto] per una ragazza che, pensa tu, credo che abbia più civetterie dei buchi che sono in una calza [secondariamente forse: credo che abbia più pretendenti che buchi in una calza]; è proprio una vergogna dire che io non riesca più a tenere sotto controllo la mia serva; finora mi sono trattenuto dal farle conoscere l’amore, lo spasimo, la passione, il bruciore, la vampa che ho per lei, da qui in avanti dubito che il cor non mi tradisca, ma mi terrò lontano dal vederla; caspita, se ce l’ho in casa! Oh povero me, ci sono: cosa voglio? Fare lo schizzinoso? Ci vuole altro, voglio incominciare a girare attorno, e vedere se lei mi voglia bene in tutti i modi che Amore mi insegnerà.♦ Veloce presentazione dell’antefatto essenziale per poter capire lo sviluppo della commedia inserita in una tirata, da una parte caratteristica della maschera (pedante e soddisfatto dalla propria intelligenza e formazione accademica, ritenute superiori), ma anche ridicolamente innamorato. Inoltre nel soliloquio si osserva già uno dei temi di fondo del testo: il dibattito sulla superiorità della ragione o dei sentimenti. ♦ sparaguai: Coronedi Berti sotto sparaguai rinvia a sparaviri, per cui spiega: «Lo diciamo anche a donna di non sani costumi, e che si faccia vedere tutto il giorno qua e là»; per tale motivo sembra si possa ricavare il significato, che doveva essere primario, di ‘civetteria’, ‘atteggiamento affettato’, ‘astuzia’ o simili. Tenendo conto di quest’accezione si potrebbe proporre una traduzione alternativa a quella che abbiamo offerto come principale nelle note al piè: credo che abbia più pretendenti che buchi in una calza. Ferrari invece afferma che è «Termine bol. adesso fuor d’uso, valeva Persona di niun conto» (s. v.). ♦ Per scufun, ‘calza’ si veda Coronedi Berti (s. v. scfòn). ♦ m’ava tolt la man: per la traduzione proposta vedi Coronedi Berti (s. v. man).

[4] quel stare tutto il giorno di non lavorare, non è da giovine di garbo: si ricordino gli sparaguai del soliloquio della scena precedente. ♦ Il rimprovero sui costumi e la scarsa voglia di lavorare di Verspina rispondono allo stereotipo morale di classe rappresentato dalla ragazza (e, forse, sono anche il risultato della gelosia che più avanti si manifesterà in modo lampante).

[5] Mi sgrida sempre, mi sta sempre addosso, sono poi di poca età; se rido, cos’è? è una cosa da giovane; se vado pulita, non faccio onore a lei? se non lavoro, sono io la prima? lavora chi ha fame, oh beh, non mi voglio tirare la pelle sugli occhi [letteralmente: non voglio agire come chi tiene gli occhi chiusi; probabilmente con il valore di ‘io non voglio agire insensatamente’]. ♦ me né ’m vui tirar la pell in s’i ucc: letteralmente ‘non voglio agire come chi tiene gli occhi chiusi’, probabilmente con il valore di ‘non voglio agire insensatamente’; Ferrari, offre una locuzione che potrebbe essere equivalente: «Tirars al capúzz in-t-i ucc’ [...] Vale operare ponendo da banda il rispetto» (s. v. cappúz). ♦ La risposta della servetta ai rimproveri di Verspina dimostra sia il suo carattere attivo, non servile, che la sua intelligenza e capacità dialettica.

[6] La reazione di Delinda si spiega tenendo conto anche della sua gelosia verso la servetta.

[7] E così andrò via, mi dispiace solo una cosa; per il resto, udire sempre sgridare, chi lo reggerebbe?

[8] Cos’è?

[9] Che razza di discorso è questo? che io voglia bene a Truffaldino? è infatti vero che è un ragazzo che mi piace; lei mi ha messo una tale inquietudine nello stomaco; ho l’opinione che gli voglia bene anche lei, perché altrimenti non farebbe tanto rumore; se lei gli vuole bene, ora che ci penso, cosa sono tutti quei segreti che ha con lui? oh, venga un canchero, amore mi ha proprio intrappolato; Madonna bocca-stretta, che ne dite? voglio osservare e vedere le mie disgrazie; Truffaldino becco cornuto, in questo modo [mi tradisci], eh? (parte) ♦ mo’ la m’ha mess un tal siropp int’al stomegh; a’ ’i ho d’un’upinion ch’ la ’i vuia ben anca lì: prima dichiarazione, sotto forma di soliloquio, dell’interesse amoroso di Verspina verso Trofaldino. ♦ vèrgnia: chiasso, rumore (Coronedi Berti, s. v. vergna). ♦ Madonna bocca-stretta: l’appellativo dato a Delinda probabilmente sta a indicare contemporaneamente sia la sua capacità di tenere nascosto l’amore che Verspina pensa senta verso Trofaldino, che la rigidità della sua moralità (potrebbe essere anche antifrastico per le continue sgridate che riceve di Delinda). ♦ Verspina non riesce a capire l’esagerata reazione di Delinda, per cui alla fine identifica la sua motivazione nascosta nella gelosia, anche se sbaglia nella sua causa (un più che improbabile amore della figlia del Dottore verso Trofaldino). Inoltre, proprio la riflessione sull’atteggiamento di Delinda la porta a scoprire il suo rapporto con il servo, da cui afferma di sentirsi tradita.

[10] Fa la la la la la la. Quando ho fame, io faccio il contrario degli altri, che piangono, e io canto: oh lei mi fa stare allegro e vispo; non ballo meglio che quando ho fame. Gran Dottore, mi tiene leggero con poca spesa. Il Cielo però non abbandona mai nessuno. C’è Verspina, che mi dà ogni tanto un pezzo di formaggio, tanto che ci si va campando. Oh, ecco la cara Verspina; le voglio un ben che crepo, e se mi viene a tiro, io la voglio chiedere per sposa, ci ho troppa affezione. Lei è giusto qui. ♦ Fa la la la [...] a’ ’n ball mei che quand’a’ ’i ho fam: l’assurdo discorso di Trofaldino lo presenta con il solito carattere di balordo del secondo zanni. Tuttavia, la sua semplicità e fiducia nella pietà dei cieli permettono di capire che intuisce che proprio queste circostanze gli permettono di essere in rapporto con Verspina, di cui è innamorato fino al punto di voler sposarla. ♦ a’ ’n ball mei che quand’a’ ’i ho fam: forse metaforicamente sta a indicare che si muove da per tutto, che si dà tanto da fare per trovare da mangiare.

[11] Scena di gelosia fra la servetta e lo zanni caratteristica dell’Arte, in cui tuttavia il servo è interessato a chiarire la situazione perché inizialmente è sempre lui ad essere innamorato della cameriera più di quanto, apparentemente, lo sia lei di lui.

[12] Buongiorno, cara la mia ragazza. ♦ Bondì: anche se si tratta di una forma di saluto generica, abitualmente è usata di mattina, per cui pensiamo sia un’ottima indicazione del momento del giorno in cui svolge la scena.

[13] Va’ alle forche.

[14] Va’ tu alla berlina, oh, guarda.

[15] Possa tu crepare.

[16] Ti venga pure la diarrea.

[17] Senti, ogni volta che vieni in casa, vorrei che ti cascasse un occhio.

[18] Ogni volta che tu mi incontri, che ti possa cascare la gonna. ♦ Agn volta che ti m’inconter, che te possa cascar la stanella: il cattivo augurio di Trofaldino chiude la serie di tre frasi di questo tipo che scambia con Verspina. Mentre le due prime (I.4.3 e 5) sembrano semplicemente formule malauguranti, questa, invece, racchiude anche un senso osceno che nasconde il desiderio sessuale dello zanni.

[19] Pezzo di barone.

[20] Che maniera è questa di trattare con il moroso, sono le finezze?

[21] Tu sai bene quel che mi hai fatto.

[22] Dillo, ma non mi strapazzare, Verspina, non mi strapazzare.

[23] Tu mi dai a intendere di volermi bene, ma tu vuoi bene a un’altra.

[24] Non è vero.

[25] Sì, che è vero.

[26] È un equinozio [cioè, un pasticcio, una confusione].

[27] E poi lo neghi; ti voglio rompere il mostaccio.

[28] «Ti voglio rompere il mostaccio»? cosa c’è Verspina, cosa vi ha fatto questo furfante, eh? dite, su. ♦ cosa v’al fatt ste forfant, an?: il Dottore, anche se non ha ascoltato la discussione fra i servi, mosso dall’amore verso Verspina dà subito la colpa del litigio a Trofaldino.

[29] Mi ha rotto la più bella pignatta [con doppio senso osceno] della cucina e non la vorrebbe pagare. ♦ Al m’ha rott la più bella p’gnatta d’ cusina, es e’ ’n la vorè pagar: il riferimento alla pignatta, come metafora dell’organo sessuale femminile, ha un doppio senso. Nel contesto verrebbe a indicare che il rapporto fra Verspina e Trofaldino avrebbe già raggiunto il livello fisico. Il Dottore, invece, così dotto e intelligente come si è lui stesso definito in I.1., rimane a un livello esegetico letterale nella dichiarazione della ragazza. ♦ Il doppio senso osceno in relazione a certi oggetti della cucina si prolungherà più avanti, anche se in questo caso in rapporto alla sessualità di Trofaldino quando, travestito da venditore ambulante, offre la sua «mescola da schiumar» (II.4.1). Come vedremo nelle battute successive, Trofaldino non vorrà ‘pagare’ la ‘pignatta’ rotta: si tratta di uno scambio di frasi dal doppio senso osceno finalizzato a provocare il riso del pubblico, per cui non si deve interpretare come una contraddizione con l’affermazione precedente dello zanni di voler sposare Verspina, come abbiamo già visto in I.3.

[30] Come non la vuoi pagare? Sai tu cosa dice il proverbio? Tu la pagherai bene, tu. ♦ mo’ sa-t cosa dis al proverbi?: fra i proverbi più frequenti sulla pignatta (pignatta vuota e boccale asciutto, guasta il tutto; chi è vicino alla pignatta, mangia la minestra calda; al suono si riconosce la pignatta; a pignatta che bolle, non s’avvicinano mosche) non ne riscontriamo nessuno che possa spiegare la frase del Dottore, che probabilmente pensa a qualcosa più generica come ‘chi la fa, la paga’.

[31] Ho da pagarla se mi è cascata? ♦ A’ ll’ho da pagar, se la m’è cascada?: continuando il doppio senso osceno, Trofaldino dichiara che non è costretto a pagare la pignatta perché gli è caduta involontariamente, vale a dire che Verspina ha acconsentito al loro rapporto sessuale liberamente.

[32] Orsù, che lui l’aggiusta adesso come vuole, che poi è stata una disgrazia, poveretto. ♦ Os: orsù; è voce abituale, che ritorna per esempio anche in Giulio Cesare Allegri, La Bernarda, Bologna, Pisarri, 1705, p. 36: «Os, la pas è fatta!» (Orsù, la pace è fatta!). ♦ Verspina è disposta ad accettare qualsiasi sistemazione della ‘pignatta’ che possa proporre Trofaldino.

[33] Passa in casa e lascia fare a me con costui.

[34] (a parte) (Ho paura che non gli racconti la faccenda.) ♦ A’ ’i ho pora ch’al n’i conta la facenda: Verspina teme le conseguenze per il suo rapporto con Trofaldino se questi racconta al Dottore che è innamorato di lei. In questo senso deve essere interpretata la didascalia che chiude la battuta della servetta: i cenni che fa allo zanni sono, sicuramente, dei gesti con cui tenta di fargli capire che deve stare zitto.

[35] Pezzo di disgraziato, tu hai sempre qualcosa da rompere con Verspina. Sai tu che non voglio che tu la faccia stizzire? cosa hai tu da rompere ora la scodella, ora la mezzetta, adesso la pignatta? lo fai per farle dispetto, inizia un po’ a pagare quello che rompi e lasciala vivere.

[36] Ho da pagare la pignatta? (a parte) (Ah, ah, ah, che ridere.)

[37] Cosa, mi prendi in giro, veramente?

[38] Signornò, è la cosa della pignatta, che mi fa ridere.

[39] (a parte) (Costui mi mette in sospetto, perché chi ama, teme.) ♦ perché chi ama, tem: forma proverbiale.

[40] (a parte) (Ora è zitta.)

[41] Vieni un po’ qui e raccontami cosa è stata questa lite, ch’io so che non è affare di pignatta questo. ♦ ch’a’ c’gnoss ch’al n’è negozi de p’gnatta quest: anche se ancora senza capire il doppio gioco semantico del litigio fra Verspina e Trofaldino, il Dottore diventa sospettoso come conseguenza dei suoi sentimenti verso la ragazza (si ricordi che nella sua battuta precedente aveva affermato: «chi ama, tem»), per cui decide di interrogare lo zanni, convinto che l’origine della discussione fra i due servi non sia, letteralmente, la rottura di una pignatta.

[42] Lasciatemi andare, Padrone.

[43] Di’ prima cosa hai fatto a Verspina da volerti rompere il mostaccio, ma fa’ presto.

[44] Ho rotto una pignatta, non lo sapete?

[45] No, Trofaldino, non è così, dimmi pure la verità.

[46] (a parte) (Mi voglio servire dell’occasione.) ♦ A’ ’m vui servir d’ l’occasion mi: ignaro dei sentimenti del Dottore, Trofaldino pensa sia arrivato il momento di rivelare il suo amore per Verspina per ottenere l’assenso del padrone al loro matrimonio, come infatti aveva già annunciato in I.3: «Oh l’è la cara Verspina; a’ ’i vui un ben ch’a’ crepp, e se al me ven al tir, a’ lla vui domandar per sposa...». La sua ingenuità gli impedisce di capire che l’interesse del Dottore per la faccenda nasce dalla sua gelosia per cui, dunque, la rivelazione dei suoi sentimenti provocherà la sua cacciata dalla casa.

[47] (a parte) (Sta’ pur a sentire, povero me!)

[48] Se ve la dico come è, mi farete poi un servizio?

[49] Sì, certo.

[50] Dovete sapere che io e Verspina... guardi poi di farmi il servizio di proposito.

[51] Certamente.

[52] Verspina e io è da un pezzo che... oh, se Lei sapesse come mi sento qui nel cuore per lei!

[53] Vuoi bene a Verspina?

[54] Sono consumato, non ho più la facoltà di andare di corpo per il gran caldo che ho dentro, ma lei non mi crede e perciò mi voleva fare quel bel regalo, dice che la tradisco e non è mica vero, vedete? ♦ a’ n’ho più l’us d’andar dal corp: la visione dell’amore come un sentimento che provoca dei malesseri simili a quelli di una malattia è di lunghissima tradizione; nella formulazione di Trofaldino si presenta con sintomi scatologici dal valore umoristico. ♦ la me voleva far quel bell regal: Trofaldino fa riferimento, ironicamente, alla minaccia di Verspina in I.4.16 («a’ ’t vui romper al mustaz»).

[55] Orsù sì, ti ho capito, non dirmi nient’altro e lascia far a me, che torno subito.

[56] Io sono pur allegro, è andato a prendere Verspina e me la dà per moglie, o gran Dottore, non ho fatto bene a confidargli l’affare? chi sa che non le dà qualcosa in dote. Oh, ho avuto un grande ingegno! cara Verspina, tu non avrai ormai più sospetto di me, belli i miei occhietti furbi e vituperosi, quelle manine sì morbide! Mi metto in posizione, ché è qui il Dottore, ma non c’è Verspina; lei starà forse a imbellettarsi, stiamo a vederla comparire tutta sui rami [vale a dire probabilmente, tutta agghindata]. ♦ Il soliloquio di Trofaldino è una nuova manifestazione della sua ingenuità. ♦ vituperus: mosso dal desiderio di far un elegante elogio della bellezza degli occhi di Verspina, Trofaldino usa un aggettivo di cui, certamente, ignora il vero significato: si tratta di risorsa comica frequente nella caratterizzazione del secondo zanni dell’Arte. ♦ in s’i ram: anche se il significato sembra chiaro, ‘agghindata’, non è chiaro se l’espressione faccia riferimento al rame (forse come materiale frequente nella bigiotteria popolare) o ai rami degli alberi (con un significato traslato legato a una bellezza, più ‘alta’, superiore); se ne trova una formula simile nella Collezione di componimenti scelti in idioma bolognese: «Là s’ fa perucc, qué s’ fa zuff in s’i ram» (Bologna, Riccardo Masi, 1828, v. II, p. 171).

[57] Da quando è che tu mi servi, questo è il tuo salario. Ora sai cosa devi fare? devi stare lontano da casa mia tanto quanto è lungo questo gomitolo di filato; pezzo di impertinente, avere tanto ardire dopo che ho supportato tante sue goffaggini e che ti ho avuto nelle mani più piccolo di uno stronzetto e come ricompensa una bella ragazza che è in casa subito ti piace, ora sai tu che piace anche al padrone? Orsù, vattene pur ora e scordati Verspina come se non l’avessi mai vista. Così si fa per cavarsi la pagliuzza dagli occhi [vale a dire, così si fa a liberarsi di una cosa che ci infastidisce]. ♦ quant: quando. ♦ g’misel d’ rev: gomitolo di filato (vedi GDLI, s. v. réfe). ♦ dopp ch’a’ ’i ho supportà tant so guffez, e ch’a’ ’t ho avù int’el man...: il Dottore oscilla fra il rivolgersi direttamente a Trofaldino e il parlare di lui in modo impersonale utilizzando la terza persona. ♦ stronz: stronzo; sembra trattarsi di un pasticcio linguistico fra l’insulto e la moneta ‘strozzata’, cioè limata, di minore valore; metonimicamente verrebbe a indicare una piccola cosa. In questo caso significherebbe che il Dottore conosce Trofaldino da quando era un bambinello, come sembra rafforzare l’autorità di Coronedi Berti (s. v.), in cui si indica che pover stronz è modo vezzeggiativo riferito ai bambini piccoli. ♦ benemerito: in ricompensa, in cambio (GDLI, s. v. benemerito2). ♦ busc: Coronedi Berti (s. v. bòsca) indica che si tratta proprio di un «minuzzolo piccolissimo e leggerissimo di legno, di paglia, e simili materie».

[58] Dottore assassino, privo di compassione, che modo di trattare è questo? Ah, sono stato io che mi sono messo la biscia nel seno, andare a dire i fatti miei a quel vecchio del diavolo! Vedimi qua senza padrone, senza Verspina e con pochi quattrini. O, poveretto me, dove dovrò andare? Verspina aiutami. Cosa sarebbe ora dirle la mia disgrazia? voglio battere, cosa sarà? (batte)

[59] Chi è? ah, siete voi, il mio bel fanciullo; non vi siete comportato bene a chiacchierare, avete guadagnato la strada e invece avete perso la casa. ♦ Nella scena precedente non è indicata l’uscita di scena di Verspina, che deve essere presente almeno fino alla battuta I.5.13 («trofaldino a parte Ella mo sta astuta.)», ma è ovvio che ha potuto vedere o sentire tutto il dialogo fra il Dottore e Trofaldino fino a quando quegli caccia il servo. ♦ avì mo’ guadagna’ la stra’ es avì pers la ca’: il sarcasmo è evidente.

[60] È stato il Dottore, che mi ha ingannato, perché diceva che non vi potevo vedere e che vi facevo stizzire.

[61] E per questo gli hai raccontato i fatti tuoi.

[62] Sono disperato, che ho da fare senza di te, senza la pupilla del mio occhio destro?

[63] Dovevi pensare prima, ora la cosa è fatta, quando non si ha ingegno succede così. Orsù Trofaldino, addio, voglio andare a casa, ché la Padrona mi aspetta. ♦ d’siv: dovevi; «l’identità delle forme dei verbi dire e dovere si spiega con l’estensione del tipo dicebam e *facebam a stabam, ecc.» (nota del Salvioni ne Le rime di Bartolomeo Cavassico, notaio bellunese della prima metà del secolo XVI, con introduzione e note di Vittorio Cian e con illustrazioni linguistiche e lessico a cura di Carlo Salvioni, Bologna, Gaetano Romagnoli, 1893-1894, citata da Vescovo in Andrea Calmo, Il travaglia. Commedia..., testo critico, tradotto e annotato a cura di Piermario Vescovo, Padova, Antenore, 1994, p. 59). ♦ Os Trufaldin, bondé, a’ vui andar in ca’, ch’ la Patrona m’aspetta: il congedo di Verspina è totalmente ambiguo nella sua reazione alla decisione del Dottore, stimolando in questo modo la curiosità del pubblico sul seguito dell’azione.

[64] Addio, care viscere mie, non ti dimenticare il povero Trofaldino: me lo fossi affogato sotto, avessi piuttosto strangolato il Dottore che aver mai detto di volere bene a Verspina. Ah, pazienza, studierò il modo di rimediarci: ah, che non posso più dalla passione, se arrivo a stasera senza crepare, è un miracolo. Uh, uh, uh. ♦ a’ studiarò al mod de remediar’i: la frase di Trofaldino serve a rafforzare la suspense creata dalla precedente formula di congedo di Verspina.

[65] Canchero, sono stato presto a disfare il gazofilacio, mi sono ben cacciato in mezzo, e peggio per la Verspina, e se le ho dato ordine che non stia più a parlar con Trofaldino sotto pena della mia disgrazia, che vuole dire qualcosa di grande, e tutto sotto pretesto di zelo, ché non mi voglio scoprire così presto; a tempo e luogo, con garbo, che la cosa nasca di per sé. Deh, come amore ha tenuto dritto e mi ha forato giusto in mezzo al cuore; sento proprio che tutta la scienza che ho non è stata sufficiente per risolvere questi grandi buchi che mi ha fatto, ci vuole pazienza. ♦ gazofilazi: gazofilacio (GDLI, s. v.), la cassa delle offerte del Tempio di Gerusalemme, e più genericamente «la cassetta per raccogliere le offerte di beneficienza»; qui la locuzione equivarrà a ‘rompere le uova nel paniere’; non è da escludere un raccostamento paretimologico all’atto del filare, dato che Coronedi Berti, s. v. filatòi, registra la locuzione simile alla nostra «rómpr’ al filatòi a on rompere il filatoio ad alcuno, rompergli la fantasia, guastargli la festa, rompergli l’ova nel paniere, rompergli i suoi disegni». Muazzo, s. v. Gaza, p. 548, G33: «Gazufilazio appresso i Ebrei nel tempio credo che fusse come le nostre casselle che mettemo incaenae ai altari perché no i le porta via, dove i fedeli va tributando la limosina a quel tal santo in dove le zè collocae». ♦ ste gran bus: questi grandi bucchi; la forma ste è normale al posto di sti (come que al posto di qui). ♦ a’ sent propri che tutta la scienza ch’a’ ’i ho ’n n’è stà a bastanza per riparar ste gran bus ch’al m’ha fatt: il Dottore riconosce la superiorità del potere dei sentimenti sulla conoscenza, sulla ragione in fin dei conti. L’affermazione è paradossale perché sarà proprio l’amore di Verspina per Trofaldino lo stimolo che sveglierà l’astuzia della serva per riportare a casa il moroso. In questo modo, alla fine, il Dottore sarà doppiamente vinto, sia negli affetti che nell’intelligenza, da una donna a conferma del titolo della commedia, in una sorta di manifestazione carnascialesca di rovesciamento dei ruoli e dei poteri abituali nella società. Tuttavia la lettura del resto delle commedie di Isabella Dosi, ci fa percepire che quest’atteggiamento ideologico vicinissimo alle forme più stereotipe dell’Arte nasconde, in realtà, una riflessione più profonda sulle capacità e sul ruolo della donna nella società.

[66] Cosa c’è di nuovo? ma se si tratta di vedere la mia Verspina sono sempre agli ordini. ♦ eh m’as: nella stampa si legge «em as», il che potrebbe essere un refuso; ricostruiamo congetturalmente il senso globale della frase.

[67] Verspina svenuta in braccio a Delinda: si tratta della solita risorsa teatrale femminile per richiamare l’attenzione (ripetuta dopo aver spiegato l’origine del malore nella cacciata di Trofaldino dalla casa, II.2.16.did.), che dà luogo al ripensamento del Dottore sulla sua decisione precedente e che lo porta a riammettere di nuovo lo zanni al suo servizio. Che si tratta di un finto svenimento è apertamente dichiarato da Verspina nel soliloquio con cui si apre la scena quinta dell’atto: «a’ ’i ho fatt vista d’aver mal...» (II.5.1).

[68] Mo’ cosa è questo? dite su, (da sé) (fai presto, o povero me); Verspina, cosa avete, mio tesoretto? (a parte) (oimè, mi è scapato detto, sono proprio fuori di me). ♦ Verspina, cosa avi-v al mi’ t’surin? (a parte) (oimè, cosa m’è scappà dett? a’ son propri fora d’ me.): un’altra manifestazione del potere travolgente della passione sull’intelletto del Dottore.

[69] Sto pur male.

[70] Cos’è stato? ditemelo in malora, che cosa ha questa ragazza?

[71] Come sarebbe a dire, che io le avessi fatto venire questo male?

[72] Oh, questa mi arriverebbe proprio nuova!

[73] Eh, non mi fate saltare, ché lei non può aver detto tale pazzia, oh, questa sarebbe bella; sta’, sta’, che sembra che lei ritorni in sé; le avete slacciato la sottana, sfibbiato il busto, tirato il naso, fatto vedere la pipì, spruzzato, fatto camminare, fatto tutto quello che si può? su, Verspina, non è niente, non è niente, su. ♦ tirà al nas: probabilmente l’atto di stringere e turare le narici per far rinvenire qualcuno. ♦ fatt far la pissa: far fare la pipì, nel senso di far che qualcuno ne vedesse l’urina come atto diagnostico di un’eventuale malattia. ♦ pissa: sostantivo derivato da pissare (‘pisciare’). ♦ [fatt far] sbruffà: l’avete fatta spruzzare con essenze? ♦ [fatt far] spassezzà: l’avete fatta camminare?, per tenerla sveglia.

[74] Mi lasci stare, ché voglio morire.

[75] Eh, cavolo, sa? io voglio che stiate allegra, come morire? fa’ una cosa Delinda, andate nella mia stanza, aprite il mio scrigno con questa chiave e prendete quel balsamo apoplettico, ché mi voglio ingegnare di far ritornare in sé questa povera ragazza. Non mi dite ora, che non c’è mia figlia, cosa è stato questo male? parlate, confidatemelo. ♦ L’idea del Dottore di inviare la figlia a prendere un balsamo nella sua stanza non è che un’arguzia, come è evidente dalle ultime frasi delle battuta, per poter parlare da solo con Verspina.

[76] Se mi promette di rimediarci, glielo dirò.

[77] Se volessi tre libbre del mio sangue? non so se mi burlate. ♦ II.2.13-14 La richiesta di Verspina è particolare poiché intende ottenere una promessa di compimento prima di rivelare al Dottore quello che desidera, motivo per cui il vecchio si manifesta dubbioso su come rispondere.

[78] Ho avuto un disgusto troppo grande, che per causa mia Lei caccia via Trofaldino, e che si abbia a dire di me quello che non è vero, si dice una cosa da non prendere sul serio; mi torna il male. ♦ Finalmente Verspina offre una spiegazione del suo disgusto, falsa ma veriosimile, che, mentre giustifica la sua afflizione, copre anche il suo rapporto con Trofaldino: si è sentita ferita nel suo onore per l’indiretta accusa che si desume dall’espulsione di Trofaldino dalla casa.

[79] La ritrosia del Dottore ad acconsentire al desiderio di Verspina prima che questa gli dichiari cosa vuole, provoca il nuovo finto svenimento della ragazza: questa volta l’uomo non avrà più esitazioni, promettendo subito di soddisfare qualsiasi richiesta della servetta (II.2.16: «su sta’ alligra, ch’al Duttor farà tutt quel ch’a’ v’lì, en dubità»), il che causa il repentino miglioramento della servetta (II.2.19).

[80] Delinda, presto, correte; deh, che favola è questa? falle il solletico, moviamola, premile un dito; su, sta’ allegra, ché il Dottore farà tutto quello che volete, non dubitate, non piangete. ♦ fa’i el ghettel, muvenla, strica’i un did: nuovo elenco di rimedi casalinghi contro gli svenimenti.

[81] L’affermazione di Delinda, tenendo conto della sua gelosia verso la servetta, invita a pensare che, in realtà, si tratti di una battuta ironica e che la figlia del Dottore sia consapevole che lo svenimento non è che una finzione della servetta.

[82] Ha il naso via via calduccio, le guancette coloratuzze, animo pure; asciugatevi gli occhi, e state di buona voglia, (a parte) (non ho mai avuto un affanno così fatto) mettila sul letto un pochino.

[83] Mi incomincia a passare, sto meglio.

[84] In nome del Cielo, respiro, la cosa si metteva brutta. Orsù, ve la lascio figliola mia, che tornerò ben presto. (piano a Verspina) Non dubitate mica: quello che ho detto ve lo manterrò, fatevi animo, mia cara Verspina. (parte)

[85] (a parte) (Che invidiosa) e che pensa lei? lei fa ora così queste smorfie. ♦ simitun: smorfie, affettazioni, smancerie (vedi Coronedi Berti, s. v. simiton).

[86] Farò quello che mi comanda (a parte) (stizza, rabbia, lei crepa d’invidia).

[87] La scena si chiude con un soliloquio di Delinda, oscillante fra il contegno della figlia ubbidiente e l’ira dell’eroina tragica (forse in involontaria caricatura nata dal forte contrasto fra l’andamento linguisticamente familiare della commedia fin qui e i moduli secenteschi adoperati dalla donna), in cui prende la decisione su come agire nella situazione della sua famiglia, risoluzione non rivelata al pubblico per mantenere sveglia la sua curiosità sullo svolgimento della commedia.

[88] Ci ho pensato, strapensato il modo di dare gusto a questa ragazza, non trovo altro rimedio che prendere di nuovo Trofaldino in casa; sono furbo? oh, sono un moroso che so il fatto mio, e lo so bene, e così l’ho ponderato, speculato, ventilato, ruminato, esaminato ben bene, non c’è un’altra possibilità: bisogna prendere di nuovo Trofaldino. Se la ragazza non si fosse presa a petto questa cosa, e se la passione non le fosse andata al cuore come si è visto, io troverei mille ripieghi. Mo’ se mi si ammala, mi sarà forse di consolazione vederla diventare brutta, smorta, passa, senza più forma di donna, malmessa, di cattivo umore, di cattiva salute, insomma inutile? non è né questione di carità né di politica [cioè, di strategia] se me la conservo bellona, grassa, tonda, garbatina; che sa che non abbia piacere di vedere il suo Padrone innamorato cotto per lei e che lo preferisca a quel brutto mostaccio di Trofaldino? e poi dove sarà il mio vedere, la mia industria? verrà Trofaldino a casa; quest’atto obbligherà Verspina; io sarò ben servito, perché lui conosce le mie abitudini, il mio umore, ma che non pensi mai di restare un momento a casa senza il Dottore. E se il Dottore sarà fuori di casa, Trofaldino sarà con il suo Padrone. Cavolo, aprirò ben gli occhi, sarò così svelto che non me ne potranno fare una. E poi mi vestirò elegantemente; sono piaciuto ad altre donne venti anni fa, che non piaccia ancora a lei? sarei molto disgraziato; orsù, vado a cercare costui. ♦ Al soliloquio con cui si chiudeva la scena precedente ne segue un altro, stavolta del Dottore, in cui anche questi dichiara di aver già deciso come comportarsi per esaudire la richiesta di Verspina evitando contemporaneamente di essere burlato dai due servi (la frasi iniziali sono una parodia burlesca dei processi di riflessione di persona saggia e assennata come il Dottore). Va sottolineato che, nonostante la decisione di accondiscendere ai desideri della servetta, il vecchio non è totalmente convinto della sua sincerità e onestà rispetto a lui stesso («Casp, a’ avvrirò ben tant i ucc, a’ starò ben sì svelt ch’i ’n m’in p’ran far una»). Il discorso, che nella sua sezione centrale si svolge con un certo livello di intelligenza e buon senso, ricade alla fine nel ridicolo quando il Dottore si ricorda, per incoraggiarsi, che nel passato era piaciuto alle donne e che, dunque, Verspina potrebbe essersi veramente innamorata di lui («chi sa che la n’ava dilett de veder al so Patron mort spant per lì, e ch’ la ’l preferissa a qual brutt mustaz de Trufaldin?»; «a’ ’i ho piasù a degl’alter donn vent’ann fa, ch’a’ ’n’i piasa anc’a lì? a’ s’rè ben mo’ d’sgrazià»). Questa conclusione contrasta apertamente con il discorso totalmente opposto che fa il Dottore de Le fortune non conosciute del Dottore in una situazione simile (al riguardo vedi la sezione dell’Approccio alle commedie nella Prefazione del presente volume).

[89] Dopo essermi liberato dall’amore, ho voluto anche liberarmi dalla roba. Ho speso tutti i quattrini per comprare queste mercanzie; ché il mio pensiero è di dare nella testa a quella razza di becco cornuto del Dottore; sono disperato; tant’è, voglio spasseggiare qui sotto alla casa, strillando: «chi vuole?» tanto che Verspina venga giù; e così la vedrò a dispetto di quel vecchio del diavolo; se capita quando io sarò a discorrere con la mia morosa, mi dice villanie, e io a lui; in conclusione, gli rompo la testa e così faccio le mie vendette; chi vuole rocche, fusi, ossi e belle canne d’India per campagna? Chi ne vuole comprare, gliele darò a buon prezzo. E non viene mai questa Verspina; ho una bella scodella, un mestolo da schiumare, chi mi chiede degli occhiali? chi ha bisogno di un pestello? E mai, che diavolo, che lei non esce; taci, taci, che vedo aprire la porta, il cuore mi fa tic toc, tic tac. ♦ Il travestimento del secondo zanni è una risorsa frequente nell’Arte per la creazione di scene particolarmente esilaranti. Dopo questo primo tentativo infruttuoso, Trofaldino si acconcerà da birbante in apertura del terzo atto in una scena col Dottore particolarmente buffa. Va sottolineato, infatti, che mentre fino a questo punto la commedia girava essenzialmente attorno alla figura di Verspina, da questo momento in poi risulta di particolare rilievo il personaggio di Trofaldino, sui cui travestimenti saranno costruiti i momenti più umoristici della commedia. ♦ Chi vol...: modo tipico di annunciare i prodotti dei venditori ambulanti. Da questo punto in poi nella battuta si alternano le voci di Trofaldino-imbonitore e le sue riflessioni. ♦ degl’oss: probabilmente dei pettini ferma capelli fatti in osso. ♦ cann d’India: «bastone da passeggio» (GDLI, s. v. canna; vedi anche cana d’endia in Coronedi Berti s. v. cana) mescola da s’ciumar: mestolo da schiumare, con probabile senso osceno. ♦ piston: pestone, grosso pestello, con valore osceno. ♦ uccial: occhiali (Coronedi Berti, s. v. ucial).

[90] O poveretto me, questa è altra che Verspina.

[91] La trovata del travestimento di Trofaldino per vendicarsi del Dottore («che el mi pinsir l’è de dar inte la testa a quel razza de becch cornù del Dottor», II.4.1) si rivela subito fallimentare.

[92] Signora, non posso venire assolutamente.

[93] Mi purgo, il medico me l’ha proibito.

[94] (a parte) (mio Padre, interessato quanto ogn’altro sia, vorrà vaddi così vendendo per la città?): il sospetto di Delinda, rivela un altro tratto caratteriale del Dottore, la cupidigia.

[95] La fame.

[96] Dico la fame, io.

[97] Mo’ non sapete che sono stato allontanato dalla casa [letteralmente: quattro dita]?

[98] Neanche al vostro bisogno.

[99] La precedente rivelazione di Trofaldino apre definitivamente gli occhi a Delinda.

[100] E non vi dispiace di aver perso il povero Trofaldino? povero Trofaldino, in fin dei conti era un buon diavolaccio.

[101] Mi stupisco di più quando il signor Dottore buona-memoria disse che andassi alle forche, non mi voleva più, uh, uh, uh. ♦ stupefiasca: pasticcio linguistico motivato dal precedente «Mi stupisco» di Delinda.

[102] piglia in ricompensa del buon servizio prestatomi: la frase si comporta anche come una didascalia implicita che sta a indicare l’atto di Delinda di dare alcune monete a Trofaldino. Il gesto e la successiva affermazione della giovane sono probabilmente orientati a mettere il servo in un eventuale litigio di famiglia.

[103] Bacio mille anni a Vostra Signoria. Posso alzare le gambe al cielo che la Padrona mi ha dato tanto che posso mangiare, del resto sembra voler andar male la mercanzia nuova, per adesso voglio lasciar perdere il Dottore, ma del resto voglio risarcirmi certamente; Verspina non ci è comparsa, pazienza, andrò a mangiare, e poi tornerò a vedere se la posso squilibrare [cioè, mettere dalla mia parte] un tantino. ♦ sizarir: malapropismo per risarzir (risarcire). ♦ squiliburziar: letteralmente ‘squilibrizzare’, pasticcio linguistico per ‘squilibrare’, in questo caso squilibrare o far pendere Verspina dalla sua parte.

[104] Le donne veramente, quando vogliono, fanno filare gli uomini migliori del mondo; ho finto di stare male e il Padrone è corso subito al rumore, e torna a prendere Trofaldino, oh, che ridere; ho un po’ di dispiacere con la Padrona, non so se lei gli vuole bene, non lo crederei un po’ nemmeno, ma pure sto con l’occhio della signora. ♦ El donn verament, quand el vollen, el fan filar i omen mei dal mond: vale a dire, sotto forma di titolo, Ingannano le donne anche i più saggi. Si tratta, tuttavia, di una superiorità di astuzia, non tanto di intelligenza: la rivendicazione del ruolo della donna e delle sue potenzialità intellettive farà capolino solo nelle opere più mature della Nostra. ♦ a’ ’i ho un po’ de magon con la Patrona, a’ ’n so s’ la ’i vol ben, a’ ’n al cherdrè po’ nianc: manifestazione dell’umanità di Verspina, leggermente spiaciuta per un eventuale amore di Delinda verso Trofaldino. ♦ ma pur a’ sto con l’occ d’ la siura: frase di non facile interpretazione; probabilmente Verspina sta a indicare che sarà particolarmente attenta allo sviluppo della faccenda, sorvegliando i propri interessi (con un significato simile a quello del proverbio: l’occhio del padrone ingrassa il cavallo).

[105] Siete qui, Verspina?

[106] (a parte) (Bisogna che continui a fare la furba), sono qui. (si pone a sedere)

[107] Dove siete? oh, mi rallegro che state bene, mo’ sta’ ben su svelta, poffare la nostra; mi ingegno anche di darvi gusto, prendete, questo è un paio di scarpette che fanno venire un accidente, mi sono capitate e io subito per la mia Verspina; nascondile ora, che mia figlia non le veda, fa’ presto, che non arrivi. ♦ arpiatali mo’, ch’ mi fiola n’el veda, fa prest, ch’ la ’n arrivass: il timore di essere scoperto dalla figlia, di cui abbiamo già trovato qualche altra manifestazione precedentemente, dimostra la consapevolezza del Dottore di agire in un modo censurabile nel suo rapporto con la servetta (si veda più esplicitamente II.5.14).

[108] Oh, belle scarpette, me le voglio mettere la domenica, ha pur fatto bene signor Padroncino: ha saputo del mio bisogno, perché a fare i lavori della casa se ne consumano [di scarpine], essere da sola e non avere chi ti aiuta. ♦ esser sola e n’aver chi aiuta: allusione indiretta alla promessa del Dottore di riportare Trofaldino in casa, che quegli capisce subito.

[109] Vi ho inteso, non dubitate che, subito che trovo Trofaldino, lo meno immediatamente a casa, ma vi ricordo di non darmi occasione di sospetto, vi ricordo che non voglio pasticci.

[110] Il Cielo me ne guardi! quel facchinaccio, oibò.

[111] Madonna schifa-il-poco. ♦ Madonna schiva-al-poch: con ovvio valore ironico tenendo conto dei continui sospetti del Dottore che la servetta sia innamorata di Trofaldino.

[112] Non sono tanto schifa-il-poco, io.

[113] Basta, abbiate ingegno.

[114] Non c’ho a che fare un fico.

[115] Basta che lui non cerchi di avere a che fare con voi.

[116] Non è una cosa che si vedrà.

[117] Non la vorrei mica vedere; orsù, badate a guarire, e nel caso che vi ammalaste, non dite più a mia figlia che sono stato io che vi ho fatto ammalare, perché non sta bene, sapete? ♦ vedi il commento a II.5.4.

[118] Sa bene per quale motivo lo dice.

[119] Sì sì, orsù, state di buona voglia, che mi piace tanto quando siete allegra; mi pare che stiate volentieri in casa mia e che mi servite con amore, mi sento tutto consolare.

[120] Oh, la servo poi ben volentieri, vorrei essere buona e gagliarda. ♦ a’ v’rè esser bona e gaiarda: vorrei essermi già totalmente ripresa (sottinteso: per poter servirla perfettamente).

[121] (a parte) (Orsù, è meglio che vada, perché le direi pur volentieri qualche parolina amorosa e il decoro andrebbe in sconquasso.) Addio, fate una buona cenetta, e uno di quei vostri pancottini che sapete fare voi.

[122] Lo mangerà poi?

[123] Sì, lo mangerò, la mia bella Verspina, cosa mi domandate? (a parte) (Dottore, sta in cervello) orsù, mi raccomando. (a parte) (Faccio la gran fatica a non dirle che sono innamorato cotto di lei.) (parte)

[124] Va bene pure così, finché va, è viva; non posso star mai mal, il Padrone, per quello che vedo, ha inclinazione per me, il servitore mi vuole bene, non sarò mai senza moroso e senza regali; evviva la Verspina fortunata!

[125] Trofaldino vestito da birbante con una carta sopra un occhio: il secondo travestimento di Trofaldino dà luogo a una delle scene meglio riuscite della commedia; in essa il Dottore porta lo zanni, che riconosce, a incatenare uno sproposito dopo l’altro.

[126] Sono inviperito con quel Dottore, mandarmi fuori di casa per niente, mi sono messo quest’abito per vendicarmi meglio. Arriva il Dottore e io gli chiedo l’elemosina, e lui, come al solito, mi manda in buon’ora, e io allora incomincio a dirgli villanie (come fa tanto birbante quando non gli si dà niente) e lui mi dà forse del barone, e io, tieni, con questa candela gli smoccolo il naso e gli spazzo gli occhi, e così vengo al mio; oh, ci ho pensato pur bene! se potessi veder anche Verspina e provare se mi conosce; starò qui sotto la porta. Chi sa che il Cielo non mi voglia aiutare; oh, ecco qui il Dottore, sarà un bel colpo; imparerà per un’altra volta, cospetto! ♦ con sta candela a’ ’i smochel al nas: gioco di parole fra candela, smoccolare e naso, propiziato dall’ambiguità di ‘moccolo’, sia ‘stoppino’ (e perciò smoccolare) sia ‘moccio’ (e, dunque, il naso), per indicare un’aggressione fisica al Dottore. Da questo punto di vista probabilmente candela è metafora per il bastone che faceva parte del travestimento «da birbante» (ma anche della ‘divisa’ del secondo zanni) come conferma la didascalia che chiude la battuta III.1.5: «batte il bastone».

[127] Dove diavolo ho da trovare questo Trofaldino? L’ho cercato in tutti i buchi dove mette il naso: in via Bociastronzi, che ci ha una sorella; in via Torleone, che ci ha un cugino; in via Remorsella, che ci ha la lavandaia; in via della Scimmia, che ci sta a dozzina; in via Guazzaloca, che ci ha quello che gli fa i brachieri (Trofaldino gli tira la veste da basso); in via Fondazza, che ci va all’osteria (Trofaldino torna a tirargli la veste); va là; non so mai dove diavolo capiti né dove sia. ♦ Una delle caratteristiche di alcuni sottogeneri teatrali fortemente legati alla quotidianità e alla topografia di una città, come la commedia cittadina veneziana (Giovanni Bonicelli, Tommaso Mondini), è quella di presentare accurati itinerari attraverso le sue piazze e le sue vie. Da questo punto di vista, i testi della Nostra farebbero parte di quel sottogenere che è stato denominato commedia urbana bolognese (ad esempio, vedi Accorsi, p. 74). ♦ Buccia stronz: anticamente via Bociastronzi, oggi via Senzanome. La contorta storia della denominazione di questa strada è ampiamente documentata da Mario Fanti ne Le vie di Bologna. Saggio di toponomastica storica e di storia della toponomastica urbana (Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1974, consultabile online: http://badigit.comune.bologna.it/books/viedibologna/scorri.asp), opera di cui ci siamo avvalsi per l’identificazione delle vie della Bologna sei-settecentesca citate lungo tutta la battuta. Tuttavia, la Nostra, nell’additare il nome della via in cui abita la sorella dello zanni, potrebbe aver colto l’occasione per fantasticare giocosamente sul fatto che svolgeva un mestiere poco onorato. Turrelion: via Torleone. Anche se giocando su un’etimologia tutta inventata, la Dosi Grati avrebbe potuto antifrasticamente sottolineare la codardia del cugino dello zanni e, dunque, di lui stesso, ubicando la sua dimora nella via ‘Torre del leone’. ♦ Armursella: via Remorsella. La via Remorsella era luogo malfamato dove abbondavano i postriboli: in questo modo possiamo intuire quale mestiere svolgesse in realtà la ‘lavandaia’ di Trofaldino, i cui abiti sono abitualmente in un cattivo stato. ♦ Simia: via della Scimmia, oggi non più esistente, anche se una parte del suo tratto originario si conserva nella via Giovanni Massei. Si tratterebbe di un nuovo gioco burlesco-degradante della Nostra sulla bellezza, o l’intelligenza, dello zanni, che abiterebbe proprio nella via della Scimmia. ♦ Guazza l’occa: via Guazzaloca. Il riferimento al brachiere è, ancora, giocoso. Quale fosse l’associazione di idee che avrebbe suggerito all’autrice di ubicare la bottega dell’artigiano in questa via ci sfugge (forse qualche lontana somiglianza fra il rigonfiamento di un’ernia e il collo contorto di un’occa?). ♦ Fundazza: via Fondazza. A quanto pare la via era abitata da povera gente. passa là: rivolto a Trofaldino che gli tira la veste infastidendolo.

[128] Dà una piccola elemosina a un povero storpiato di un occhio.

[129] Va’ in buonora.

[130] Non mi volete dare un poco di elemosina?

[131] Non io, e così, che hai da partire [rompere?]? oh, questa è bella. ♦ cos ha-t da partir?: il significato non sembra chiaro; forse il verbo è usato con il significato di ‘dividere’, ‘rompere’, in riferimento alla minaccia implicita dei colpi di bastone dati da Trofaldino contro il pavimento.

[132] Bisognerà dunque...

[133] Che cosa bisognerà? di’, su.

[134] Che vada via. (Trofaldino va via) ♦ III.1.8-9 L’implicita minaccia dei colpi di bastone di Trofaldino non intimorisce il Dottore per cui, alla fine, è lo zanni, avvilito, ad andare via.

[135] È curioso costui. (Li guarda dietro)

[136] Lui mi guarda.

[137] (a parte) (A volte questi poveretti fanno dei servizi; se fosse bravo a trovarmi questa bestia.) Vieni qua, ché ti voglio dare quello.

[138] Sono qui.

[139] (a parte) (Che vedo? È Trofaldino, come si è ridotto! che matto, pensa che non lo riconosca con quella pezzetta, me ne voglio prendere spasso.) Povero giovane, come è stato quello di quell’occhio?

[140] (a parte) (Diavolo, che devo dire?) Ero alla guerra, poveretto me, e ho perso un occhio, come vedete.

[141] Quanto ti compatisco! Perdere un occhio è una grande disgrazia.

[142] (a parte) (Oh che Dottore asino, non conosce nemmeno i birbanti.) ♦ Il poco senno dello zanni non solo si vede evidenziata dal fatto di essere stato riconosciuto le due volte in cui si è travestito, ma anche dalla circostanza di non accorgersi nemmeno di essere stato identificato.

[143] Cosa è stato?

[144] È stata la guerra.

[145] Ho capito; dico che colpo è stato quello che te l’ha portato via.

[146] È stata un’artiglieria.♦ La stupidità di Trofaldino si manifesta di nuovo nel momento di dover inventare l’inverosimile, e la ridicola bugia che giustifichi la ‘perdita’ dell’occhio, peggiorata, nell’inutile tentativo di renderla meno evidente, ancora nella battuta ventitreesima.

[147] Canchero, sì! puoi ben ringraziare il Cielo che non ti ha portato via se non un occhio. (a parte) (Oh che bestia, l’ha detta.)

[148] Se non mi giravo, mi portava via anche il naso.

[149] Poveruomo, guarda che brutto accidente! (lo piglia bel bello e gli leva la pezzetta) pezzo di barone, credi che non ti abbia riconosciuto? (gli leva il bastone) Hai già sperperato i quattrini. ♦ t’hà zà mo strascinà i quattrin: in riferimento ai soldi che gli aveva dato come liquidazione dei suoi servizi (I.5.30).

[150] Sa? ci ho voluto mangiare, Signore.

[151] Orsù, senti: ti prenderò di nuovo in casa. Sai che sono il migliore Padrone del mondo, dolce come il mosto; voglio essere ubbidito in questo: la serva non è carne per i tuoi denti, sicché te ne devi dimenticare, non solo questo, ma nemmeno guardarla mai; ti basterà l’animo a farlo? (Trofaldino tace), di’, su.

[152] Per tornare a casa lo farò, (a parte) (tanto fiato avesse lui! [cioè, possa crepare!]).

[153] E nel caso tu non lo faccia, ho un pezzo di bastone che appicca fuoco un poco per volta. ♦ Il riferimento al bastone del Dottore è un rovesciamento dell’implicita e fallimentare minaccia precedente di Trofaldino al vecchio (III.1.5).

[154] Non lo voglio provare certamente. (a parte) (Lascia fare a me.) ♦ (a parte) (Lassa pur far a mi.): ovviamente Trofaldino non è disposto a dimenticare Verspina.

[155] Sai il rimedio; orsù va qui vicino alla posta a prendere le mie lettere, e torna presto. (Trofaldino va via) Mi sono messo in un bell’impegno per dare gusto alla morosa, metterle il moroso vicino; oh che gran pazzia! ma mi sono messo a pensare di fare una prova. La ragazza mi ha promesso di non guardarlo, e io, sotto un saccone, li osserverò; voglio che lui dorma fuori di casa, Trofaldino; e per vedere se è veramente di parola, voglio lasciargli il campo largo; due o tre sere voglio andare a letto prima che esca da casa per osservare se si trattiene o se va via, poiché non avrà niente da fare che uscire; io sono sopra la porta, la porta ha il fermaglio e fa rumore, sì che potrò sapere i fatti suoi; crederanno che il Padrone dorma: se c’è della malizia lo saprò subito; ho pensato a tutte le cose, perché un povero appassionato, come sono io, sempre scrutina, sempre rumina. Ormai è sera, su, alla prova; diavolo, che io sia così disgraziato? non ci voglio credere, oibò, Verspina? Non c’è pericolo. ♦ do o trei sir a’ vui andar a lett innanz...: in realtà non è così, e la situazione si chiarisce subito (altrimenti sarebbe stata infranta l’unità di tempo). ♦ L’è ormai sira: riferimento diretto all’ora del giorno in cui si svolge l’azione (tenendo conto dei diversi avvenimenti e del saluto «bondì» di I.4.1, si potrebbe ipotizzare che Trofaldino sia stato cacciato dalla casa subito prima di pranzo – il che darebbe senso alla rottura della pignatta in cucina mentre Verspina prepara da mangiare – e che i due travestimenti siano avvenuti successivamente), che si ripete più sotto in III.3.8: «trofaldino Vegna la rabbia, a’ ’n ’s va mai a durmir stasira?».

[156] Ho osservato per il buco della porta il Padrone che discorreva con Trofaldino vestito da birbante, mi aspetto di vederlo quanto prima, che sia così messo male e che si sia messo a chiedere l’elemosina! poveretta me, ho paura, se non ho ingegno di fare lo stesso di tante mie amiche, di annegarmi, ma il morbino mi ha da fare questa gentilezza, certo. Cosa mi manca in questa casa? il Padrone mi vuole bene, la Padrona è un bello spirito, ma all’esterno; e se mi sgrida, la lascio abbaiare, non mi manca altro se non che non ho Marito, come hanno tante altre ragazze, cui stanno pur bene al collo quelle perline, quegli anelli; loro hanno un’ambizione, e hanno ragione, perché questi corallacci stufano tanto tanto, ma se dovessi barattare peggio, non mi auguro di averne ancora? E appunto a prendere Marito non va male per tutti i lati, se va male per un verso, è andato bene per l’altro; non mi voglio mica disperare, sono giovane, e se sono ben voluta, il Cielo mi aiuterà; un’ora mi sembrano mille anni per parlare con il mio Trofaldino; ma bisogna farlo con garbo, che il Padrone non se ne accorga, che guai a me, vedrò bene che posso fare. ♦ murbin: morbino, ruzzolo (vedi Meschieri, s. v.: «Aver dal murbin . – Aver il capo a’ grilli, Aver del morbino, Aver il ruzzo, voglia di scherzare, Aver de’ grilli per il capo [...]»). ♦ al murbin m’ha da usar sta creanza cert: il morbino mi ha da fare questa gentilezza, certo; vale a dire, Verspina sostiene che sarà in grado di contenere l’eccitazione, il capriccio del momento per agire nel modo migliore per lei. Infatti, tutto il soliloquio è una riflessione sui vantaggi e sugli svantaggi del matrimonio e sulla decisione più adatta per mantenere la sua posizione nella casa del Dottore senza rinunciare al suo amore per Trofaldino. ♦ curaiaz: corallacci, da curai, ‘corallo’, con cui si facevano le collane. Verspina sta disprezzando i suoi gioielli nella speranza di ottenerne dei migliori se riuscirà a cambiare la sua posizione sociale.

[157] Questa è una gran lunga lettera che mi scrive mio fratello, se non si smorzava il moccolo; ah Trofaldino, Trofaldino, dov’è scappato? Trofaldino, dico. ♦ una gran lunga lettra che ’m scriv mi fradell, s’an si ammurtava al mochel: questa è una gran lunga lettera che mi scrive mio fratello, se non si smorzava il moccolo. La missiva, come si vedrà più sotto (III.3.7), non presenta poi una così lunga estensione, per cui la frase andrebbe probabilmente interpretata grosso modo come: «meno male che a mio fratello si spense la candela perché altrimenti, da quello che ha scritto, si potrebbe dedurre che mi avrebbe inviato una lunghissima lettera». La missiva, come una sorta di inanimato deus ex machina, fornirà al Dottore l’occasione per uscire di scena alla fine della commedia con una certa dignità, risolvendo consequentemente la gelosia di sua figlia. Infatti, il contenuto della lettera rappresenta il nucleo tematico attorno al quale è costruito il relativo lieto fine che, contemporaneamente, elimina la possibilità di un rapporto stabile fra Verspina e il Dottore, immorale se fuori del matrimonio e scandaloso socialmente se sancito dal sacramento.

[158] Sono qui.

[159] Sta un po’ lì, che ora ora voglio andare a dormire.

[160] Non mi muovo da qui (a parte) (Vorrei dire quello alla mia cara Verspina, oh è proprio lì.) (le fa de’ basciamani; nel mentre che il Dottor legge, alza l’occhio e vede il tutto).

[161] Dai, cominciamo, che fai adesso?

[162] Non faccio niente, perché?

[163] Vieni da questa altra parte. (legge la lettera)

[164] Questo non è partito disprezzabile, è grasso che cola! canchero sì, mangiare, andare a spasso senza frugare nella tasca, è un gran partito, e inoltre fare Sposa la figliola, né dover pensare alla dote, melios est. (Trofaldino dorme e cade per terra) Sta su, bestia, ora il culo si lamenterà di te; se tu gli dai queste strette. ♦ Guardastorto: il giocoso cognome dei fratelli sembra più adatto al Dottore, che a Gasparo, che nella lettera si manifesta generoso e lungimirante. ♦ al cul se lamintarà de te: più che al colpo della caduta, pensiamo che la frase del Dottore stia ad accompagnare un suo calcio al servo poltrone.

[165] Venga la rabbia, non si va mai a dormire stasera? non potete far questi vostri discorsi anche a letto? ♦ a’ ’n ’s va mai a durmir stasira?: la fretta di Trofaldino per andare a dormire potrebbe certo essere derivata dalla sua stanchezza a tale ora del giorno ma, da quanto si deduce da una sua battuta successiva (III.4.14), potrebbe trattarsi di uno stratagemma per liberarsi del Dottore e poter parlare con Verspina. Da questo punto di vista l’addormentamento e caduta dello zanni, lazzo ripetuto canonicamente tre volte (si vedano le corrispettive didascalie di III.3.7, 9 e 11), potrebbe essere finto, un’arguzia.

[166] Adesso. E Sposa del signor Laurindo, che è il più caro ragazzo del mondo, io l’ho portato in braccio più che peli ho addosso, l’ho sculacciato, l’ho cullato. Oh, era un fanciullo troppo di garbo, e che questo avesse da avere il mio sangue nella mano; che bella soddisfazione. (Trofaldino batte la testa nelle scene, facendo rumore) Che fai? non ti puoi reggere? vuoi pigliare il vizio, vero? ♦ (Trofaldino batte la testa nelle scene, facendo rumore): si tratterebbe del colpo involontario di chi cade per terra e si colpisce la testa. Si potrebbe pensare tuttavia che lo zanni in realtà è già per terra (si ricordi che era appena crollato) e la testa gli caschi involontariamente quando si addormenta di nuovo.

[167] Mi sono rotto la testa io, dà fastidio a voi? ho rotto qualcosa di vostro? oh, questa è bella.

[168] Hai ragione, tira pur avanti, tutto va bene, la fortuna è grande, l’occasione è ottima, ma come ho da lasciare la mia cara Verspina, il mio riposo, la mia vita? Non c’è pericolo, non posso. (Trofaldino torna a cadere) Oh, questa è una fiaba, non ti puoi reggere dritto? ♦ la furtuna è granda, l’uecasion è ottima, ma c’mod ho-ia da lassar la mi’ cara Verspina, al mi’ riposs, la mi’ vita? a’ ’n ’i è priguel, en poss: il Dottore è incapace di prendere una decisione: anche se la lettera offre a lui e alla figlia un’ottima occasione, il trasferimento dal fratello implicherebbe rinunciare al suo amore per Verspina.

[169] Non sapete altro, voialtri Padroni, che far stare su i poveri servitori? egli può stare a dormire fino all’ora di pranzo, e a noi tocca l’alzarsi presto; io vorrei discrezione, ché i servitori non sono poi asini, Signore.

[170] Hai ragione, non ti so dare torto, andiamo; oh, che rumore! ♦ armor: letteralmente, ‘rumore’, ma ‘pasticcio’, ‘guaio’, in riferimento al dubbio che lo corrode.

[171] Finalmente. (a parte) (Se posso mettere a letto questo vecchio gangoloso...)

[172] O Amor, tu mi hai ben fatto la polenta, sì! ♦ O Amor, te ’m l’ha ben fatta p’lenta, sè!: in riferimento alla sua incapacità di decidersi a lasciar Verspina.

[173] effeminato: debole di carattere. ♦ temo di non mirar troppo e che le mie congionture vadino a ferirmi sensibilmente il cuore; se ciò fosse mai, misera Delinda, averesti tu coraggio per dissimulare gl’errori d’un Padre che dovrebbe insinuarsi alla prudenza?: nel suo soliloquio Delinda dichiara la sua preoccupazione per un eventuale imprudente amore del padre e la sua incapacità di prendere una decisione su come agire nel caso si avverassero i suoi timori. Si tratta di una situazione speculare a quella del progenitore.

[174] Sta andando bene, che dici? non è andata bene? Sei tornato a casa, e non è sembrato cosa tua: ci vogliono delle Verspine per fargliela in barba! ♦ t’i’ turnà: i’ < iè (= sei). ♦ far’ila in barba: farla in barba a qualcuno, ingannare qualcuno proprio davanti ai suoi occhi, in questo caso, il Dottore.

[175] Infatti è stato un bel colpo, mo’ se sapessi, ero rotto [cioè, disperato, arrabbiato], volevo far qualche sproposito con quel Dottore, se non andava così, basta, ha avuto ragione [forse ‘è entrato in ragione’?], del resto [il passo non sembra chiaro]. ♦ spronostich: malapropismo per ‘sproposit’.

[176] Oh, avresti poi fatto la punta [vale a dire, lo avresti attaccato], eh, non vedi che non sei buono a nulla? ♦ t’i aress po fatt la punta: tu l’avresti attaccato (fare punta a qualcuno: attaccarlo, vedi GDLI, s. v. punta); è affermazione ironica di Verspina convinta dell’incapacità di Trofaldino di risolvere la situazione con il Dottore.

[177] Come che io non sono buono per niente? ah, questa non la voglio, non mi toccate in questa materia, perché se foste informata non direste questa cosa, cospettone!

[178] Scusami di grazia, messer Rodomonte. ♦ Rodomonte: il noto personaggio pagano sia dell’Orlando innamorato che del Furioso. È un personaggio superbo ma coraggioso che non evita il combattimento.

[179] Basta, non mi confondete, che non starò nei limiti delle convenienza [vale a dire, andrò fuori dai gangheri]. ♦ a’ ’n starò ai segn: «Star a sègn – Tenersi ne’ limiti del dovere, della convenienza» (Coronedi Berti, s. v. segn).

[180] Orsù, fa’ la pace, Trofaldino.

[181] Io no.

[182] Non mi vuoi più bene?

[183] Deh, su, Trofaldino, non mi fare stizzire, dai.

[184] Ci penserò.

[185] Oh, sì, pensa, e poi risolvi di volermi il bene che io ti voglio. (li parla piano).

[186] (a parte) (Che ne dite di questi razza belli e buoni, me l’hanno affibbiata nel giubbone [vale a dire, mi hanno ingannato davanti agli occhi].)

[187] A dispetto di quel Dottore vecchio matto, voglio che siamo marito e moglie, non è vero?

[188] (a parte) (Mo’ tu, su, Dottore, impara minchione!) ♦ Il Dottore finalmente capisce quanto ha fatto il ridicolo.

[189] Sì, ben volentieri.

[190] (a parte) (Sfacciataccia, non dice di no.)

[191] Come vogliamo fare?

[192] Dobbiamo darci la mano, e così siamo subito marito e moglie.

[193] Sì, la mia cara Verspina. (Trofaldino pensando abbracciare Verspina, abbraccia il Dottore.)

[194] Sì, il mio bel Trofaldino. (anch’essa pensando abbracciare Trofaldino abbraccia il Dottore, poi se n’avvedono e restano Trofaldino e lei incantati.)

[195] Tirate pure avanti, che non ci ho mica disgusto; non dite niente, madonna tira-indietro? mi pare che vi ficcavi molto bene prima, schifa-il-poco, eh, signora ritrosa? (a parte) (Ho pensato ai casi miei, ci vuole coraggio e risoluzione.) Ve ne voglio cavare il problema, adesso adesso, datevi la mano. ♦ sgurbia: sgorbia, scalpello per intagliare il legno. Si potrebbe forse intendere ‘voglio togliervi le ragioni di tormento’ o qualcosa di simile.

[196] Io sono pronto. (a parte) (Finora va tutto molto bene.)

[197] Signornò. ♦ L’inatteso rifiuto di Verspina può essere dovuto alla vergogna della ragazza che, accettando Trofaldino, si rivelerebbe pubblicamente come una bugiarda che ha consapevolmente raggirato il Dottore a proprio vantaggio.

[198] Ora si vergogna, poveretta, allons, non me la far arrabbiare di più, beh, che non faccia qualche sgarbatezza.

[199] Io, certo, non la voglio far stizzire.

[200] Io no, io no.

[201] Ti ho da sculacciare, a chi dico, smorfiosa e ben smorfiosa? ♦ simona: smorfiosa (vedi Coronedi Berti, s. v.).

[202] Quando lo vuole così, bisognerà che mi ci riduca.

[203] Vedete come sono fatte le donne, non pare che lei mi faccia un favore a prenderlo? orsù, ora che vi siete dati la mano e siete marito e moglie, fate il fagotto con la vostra roba e subito, allo spuntare del giorno, andate fuori di casa mia, ché anch’io voglio viaggiare. Chiamate mia figlia.

[204] Vedete cosa fa delle volte uscir di carreggiata? se la figlia si è accorta dei miei spropositi, cosa deve dire di suo Padre, no? Orsù, cambiamo un po’ sistema e vadano tutte le donne al loro diavolo; prendete, figlia mia, questa lettera e subito preparatevi, ché fra due giorni voglio partire con voi.

[205] Di grazia, signor Dottore, mi perdoni, se mi sono comportata male con lei.

[206] E io lo scuso della scortesia che le ho fatto. ♦

[207] Sì, sì, dà fuoco alla casa e poi fa sconquassi perché brucia il fienile; prendete questo pezzo di marito, non stare a fare cerimonie, e voi, messer Trofaldino, fa’ conto che nessuno possa dire niente di lei e sappi tenerla a fare il suo dovere.