Giovan Battista Fagiuoli

 

Ciò che pare non è

ovvero

Il cicisbeo sconsolato

 

 

a cura di

Roberta Turchi

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

lineadacqua

 

2021

 

 

 

Giovan Battista Fagiuoli

Ciò che pare non è ovvero Il cicisbeo sconsolato

a cura di Roberta Turchi

 

Cuadro de texto:

© 2021 Roberta Turchi

© 2021 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 32

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

Supervisore per i dialetti: Piermario Vescovo

Comitato scientifico: Beatrice Alfonzetti, Francesco Cotticelli, Andrea Fabiano, Javier Gutiérrez Carou, Simona Morando, Marzia Pieri, Anna Scannapieco e Piermario Vescovo

www.usc.gal/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.gal

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-32066-48-7

 

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito dei progetti di ricerca Archivio del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663), Archivio del teatro pregoldoniano II: banca dati e biblioteca pregoldoniana (FFI2014-53872-P) e Archivio del teatro pregoldoniano III: biblioteca pregoldoniana, banca dati e archivio musicale (PGC2018-097031-B-I00) finanziati dal Ministerio de Ciencia e Innovación spagnolo e dal FEDER. Lettura, stampa e citazione (indicando nome della curatrice, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietato qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.

Logo_Ministerio_FEDER

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 32

 

 

 

Nota al testo

La presente edizione riproduce il testo liberato dall’autore anche se nella trascrizione aggiorniamo la grafia qualora il nostro intervento non abbia implicazioni fonetiche. Il sesto volume delle Commedie di Gio: Batista Fagiuoli , pubblicato nel 1736 in Firenze, nella stamperia di Francesco Moücke, oltre a Ciò che pare non è, ovvero Il cicisbeo sconsolato (pp. 173-322) riunisce  L’amante sperimentato ovvero anche le donne sanno far da uomo e Gli amanti senza vedersi. Tutte e tre le commedie sono dedicate a Benedetto Coletti.

 

 

 

 

Giovan Battista Fagiuoli

 

Ciò che pare non è

ovvero

Il cicisbeo sconsolato

 

 

 

Argomento

 

Ad Anselmo non piace il contegno di Leonora sua nuora circa al libero conversare con Vanesio, creduto suo cicisbeo: e quanto biasima lei, altrettanto loda la ritiratezza d’Isabella sua figliuola: e per certi equivoci presi più si conferma nella sua opinione. Finalmente, scoperta la verità, trova innocente e onorata la nuora, scaltrita ed amante la figliuola, il Cicisbeo sconsolato e deriso; e resta finalmente chiarito che Ciò che pare non è.

 

 

 

Interlocutori

 

anselmo, vecchio, padre di

orazio, sposo di

leonora

isabella, figliuola di Anselmo, e amante di Silvio

lisetta, cameriera di Leonora

silvio, amante d’Isabella

vanesio, amante affettato

meo, servo di Vanesio

 

 

La scena è in Firenze.

 

 

Mutazioni di scene

Camera d’Anselmo. Camera d’Isabella. Sala. Civile. Orto d’Anselmo con prospetto, in cui v’è un cancello, o porta con sopravi una ringhiera e due finestre inginocchiate dalle bande.

 

 

 

                  Atto I

 

 

                                   SCENA I

 

                                   Camera d’Anselmo.

 

                                   Anselmo solo ad un tavolino che sta rivedendo vari libri e scritture.

 

                                   Se tutto quello ch’è d’uscita fosse d’entrata, quest’anno si sarebbe avanzato quel che sta bene. Canchero: qui s’è speso a braccia quadre, e ancora non s’è pagato un terzo de’ manifattori. Ho dato moglie ad Orazio mio figliuolo, con animo di rifar la casa; ma io ho così trovata l’invenzione di rovinarla. Che lusso maledetto è questo d’oggidì! Per mettere una donna in una casa se ne spiantan due: quella di dond’esce, l’altra dov’ell’entra. Oh tempi passati dove siete! Quand’io presi la Laldomine, che Dio la riposi, le feci un abito di filaticcio sopra e sotto, che fu stimato per un par mio una cosa sontuosa; e poi un fornimento di margheritine bianche, che faceva un vedere meraviglioso; appunto la mia moglie era un po’ ulivastra, pendente al nero, che quel bianco le faceva uno spicco d’intorno da sbalordire. Ora che filaticcio! Appena di questo se ne veston le contadine; di seta si ricopre insino chi campa coll’incannarla: voglion esser drappi d’oro massiccio, che per strapazzo si chiaman canovacci. Canovaccio, eh? Canovaccio è quello che vale sette soldi il braccio, e s’adopra per le cucine; come se l’oro si zappasse, per tutto oro. E siamo in tempi che c’è carestia del piombo; e si spendono a braccia doppie, quando si dura fatica a mettere insieme de’ piccioli. O pover a me! Non avess’io mai ragionato! Oltrediché, avendo una figliuola fanciulla, doveva prima cavarmi questa di casa; ma il partito mi parve buono, non lo volli lasciar scappare. È vero che alla mia figliuola è venuta una gran voglia di farsi monaca; perché essendo il cucco della zia Nicolosa mia sorella, la quale subito morta mia moglie, me la levò di casa; e perché ell’è una di quelle donne all’antica, che sanno rilevar le figliuole, me l’ha tirata su un modo, che non vuol vedere aria scoperta; ma questa razza d’educazione adesso non usa più. Ora, che voglio dire? Ora dico, ch’io l’ho un po’ levata d’intorno alla zia, le par mill’anni di ritornarvi; sia pur benedetta: ed io ve la vo’ rimandare, perché a dirla, in conversazion di questa mia nuora, non mi piace troppo. Non è un mese, ch’ell’è in casa, e già riconosco che la vuol essere una cecina di garbo. E Orazio mio figliuolo imbietolito, veggo io che si vuol lasciar menar pel naso come le bufole. Qui, di lavorare, di badare alla casa e di starci, non se ne ragiona mai; sempre fuori a render visite, a conversazione dalla signora tale, e dalla signora quale: e s’ella sta in casa è peggio. La conversazione vien qui, la mia roba a scialacquo: subito rinfreschi, e rinfreschi che costano. Non è come a tempo mio, che veniva una vicina a far la calza dalla mia moglie, e si diceva alla serva, ch’era quella sola in casa, vai, e porta da bere: ed ella veniva colla sua rocca a lato e un tovagliolino sul braccio, col fiasco e col bicchiere in mano: e con uno o due bicchieri di vino si finiva la festa. Ora, acque, che costano sette volte più del vino, sorbetti, pappine, e di più caffè, cioccolata. Che gli venga la rabbia a chi ha trovato il modo di rinfrescar coll’acqua bollente; e sapete s’e’ c’è chi ha la gola lastricata in tal modo, che se la cionca come se la fusse l’acqua della villa.[1]

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Lisetta di dentro e detto.

 

            lisetta           Tofano? Calandrino?[2]

 

            anselmo        La cameriera in sala fa la rassegna de’servitori.

 

            lisetta           Nessun risponde, eh?

 

            anselmo        O questi ribaldacci dormiranno, farebbero a stare a diacere co’ sacconi.[3]

 

5          lisetta           La signora è desta.

 

            anselmo        Non è poco, è quasi mezzogiorno.

 

            lisetta           Eh là, dico.

 

            anselmo        Eh, madonna Lisetta! Una parola.

 

            lisetta           (fuori) Buondì a Vossignoria, signor Anselmo.

 

10        anselmo        Voi fate un gran gridare, vi verrà qualche infiammazion di gola.

 

            lisetta           Ma se quei servitoracci poltroni non sentono.

 

            anselmo        Non dite queste parole, perché anch’essi diranno il simile a voi, e voi l’avereste a male. Ma che c’è di grazia?

 

            lisetta           La signora è desta e vuole il brodo.

 

            anselmo        E perché non andate in cucina per esso da voi, senza mettere a soqquadro la casa?

 

15        lisetta           Io in cucina! Eh, signor Anselmo, ella mi burla; io sto in camera.

 

            anselmo        Ah, voi siete la serva di camera solamente.

 

            lisetta           Cameriera, sì signore, cameriera.

 

            anselmo        Scusatemi signora cameriera; sicché voi non potete andare in cucina?

 

            lisetta           Guarda; infino ad affacciarmi alla sala, pur pure.

 

20        anselmo        O questo brodo dunque come farà a venire?

 

            lisetta           Chiamavo a posta un servitore che andasse su dalla cuoca per esso; e poi chiamavo quell’altro, perché intanto mettesse all’ordine la cioccolata.

 

            anselmo        Il rinfresco comincia a buon otta. V’è Orazio mio figliuolo?[4]

 

            lisetta           No, signore, è ito fuori ch’è poco.

 

            anselmo        O tornate dalla signora, che non stia sola, che chiamerò io costoro.

 

25        lisetta           Eh, la signora non sarà sola no.

 

            anselmo        O chi vi è?

 

            lisetta           V’è il signor Vanesio.

 

            anselmo        Il signor Vanesio? Chi è questo signor Vanesio?

 

            lisetta           Uno de’ signori che vien la sera a conversazione.

 

30        anselmo        Questo è venuto a pigliar il luogo per tempo. E la signora non è levata?

 

            lisetta           No, signore.

 

            anselmo        E v’è il signor Vanesio?

 

            lisetta           Signorsì.

 

            anselmo        O questa è buona. Andate signora Lisetta un po’ in camera da lei, s’ella si volesse vestire.

 

35        lisetta           Così credo, perché appunto il signor Vanesio le aveva messo a scaldare la veste da camera.

 

            anselmo        Il signor Vanesio scalda la veste da camera, eh? Va’ un po’ là tu, dico, e sbrigala, che questo signore non s’incomodi di vantaggio.[5]

 

            lisetta           Uh, signore! Andare in camera senz’esser chiamata, sarebbe una malcreanza; starò bene in sala ad aspettar ch’ella mi chiami. (via)

 

            anselmo        Oh, la farò io quella malcreanza senz’aspettar ch’ella chiami! Credo di poter entrare in camera della mia nuora quant’il signor Vanesio.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Orazio e Anselmo.

 

            orazio           Buongiorno, signor padre.

 

            anselmo        Buondì e buon anno, signor figliuolo.

 

            orazio           Er’uscito fuor di casa.

 

            anselmo        E un altro c’è entrato.

 

5          orazio           E mi sono scordato di venir da Vossignoria.

 

            anselmo        Bisogna che venga da me, perché la moglie è occupata.

 

            orazio           Avendo bisogno di pigliare alcuni di quei conti, ch’ella ha appresso di sé per finir di soddisfar quegli artefici.[6]

 

            anselmo        Di grazia finischiamo una volta se sarà possibile: e che il finir di pagar questi, non sia un principio per farne degli altri e aver poi a far all’usanza.[7]

 

            orazio           Come all’usanza?

 

10        anselmo        Non pagar nessuno; tenete, eccogli. (gli dà i conti)

 

            orazio           Che vuol ella far, signor padre, queste spese non si fanno ogni giorno.

 

            anselmo        Poter del mondo, s’elle si facessero ogni giorno, non si vorrebbe finir la settimana.

 

            orazio           Signore, bisogna ricordarsi che in questi casi di sposalizi si spende. Ancor voi, se guarderete quei libri, quando fuste sposo, in quel tempo, troverete quanto averete speso.

 

            anselmo        Spesi, ma meno assai; avete ben voi speso senza misericordia, e forse più in un giorno che io in un anno. Ma io presi moglie privatamente.

 

15        orazio           Come privatamente?

 

            anselmo        O perché presa ch’i’ ebbi moglie, restammo in casa ella ed io solamente; ma voi poi avete preso moglie pubblicamente.

 

            orazio           Io non intendo questa differenza.

 

            anselmo        O l’intend’io: la mia moglie in casa ci venne sola, e sola sempre ci stette.

 

            orazio           Ed io, chi ci ho condotto di più?

 

20        anselmo        Eh, voi non credo che ci abbiate condotto nessuno; diavol sallo! Ci son venuti, e ci vengon altri da loro.[8]

 

            orazio           E chi son questi?

 

            anselmo        Se non lo sapete voi, considerate se lo so io. E’ cominciano a venir a buon ora, ch’è quel ch’io stimo, son solleciti.

 

            orazio           Ma signore, parlatemi chiaramente.

 

            anselmo        Vi parlerò chiaramente. Un certo signor Vanesio, a me ignoto, è già venuto a pigliar il luogo per questa sera, ed è già in camera: e vostra moglie non è levata; ma ora la veste.

 

25        orazio           Il signor Vanesio è da mia moglie?

 

            anselmo        Così mi ha detto ora Lisetta, che chiamava i servitori a ciel rotto.[9]

 

            orazio           E perché chiamava con tanta fretta?

 

            anselmo        O perché la signora vuole il brodo: e questo signore, secondo me è debole di stomaco, e gli si doveva far la cioccolata.

 

            orazio           Ma che volete fare? Questa è la moda.

 

30        anselmo        Di che?

 

            orazio           Di dar la mattina, nella maggior parte delle case, queste e simili bevande.

 

            anselmo        Ma, e che i giovani scapoli, che non ci hanno alcuna attenenza, vengan dalle mogli degli altri la mattina, il giorno e la sera, senza che mai vi siano i mariti, è la moda?

 

            orazio           Sì signore.

 

            anselmo        Una bella moda! Per me ell’è venuta un po’ tardi. E i mariti che debbon dire di questa moda?

 

35        orazio           Accomodarvisi; che volete andar solo contro la piena e mutar l’usanze ch’hanno vigore di leggi?

 

            anselmo        Ma non debbon almanco averlo per male?

 

            orazio           No signore; e perché?

 

            anselmo        Perché, eh? Dunque l’averanno caro.

 

            orazio           Certo che debbon gradire chi favorisce di servir con tant’assiduità le loro mogli.

 

40        anselmo        Sicché si debbon anche ringraziare.

 

            orazio           Se si piglian tant’incomodo.

 

            anselmo        Di grazia andate dunque a ringraziar questo signor Vanesio, ch’io non so chi sia, perché questo s’è incomodato più di tutti. È dalla sposa, ch’è un’ora; poveraccio, le scalda infin la veste da camera.

 

            orazio           Sarei notato di troppa pusillanimità se ritornassi dalla mia sposa, quando v’è altra persona; e mostrerei scioccamente, o d’esserne innamorato più del dovere, o che una pazza gelosia, senza ragione alcuna, mi sovvertisse la mente.

 

            anselmo        Sì, sì, non bisogna farsi scorgere; ammiro la vostra prudenza. Io però, che non posso esser tacciato né d’innamorato, né di geloso, ho risoluto d’andare...

 

45        orazio           Dove?

 

            anselmo        Dalla mia nuora.

 

            orazio           Quando?

 

            anselmo        Adesso.

 

            orazio           Compatitemi, signor padre, si vede che siete vecchio, e veramente fatto all’antica; voi farete malissimo.

 

50        anselmo        Sì, eh?

 

            orazio           Certo. E che direbbe quel signore in vedervi là comparire? Compatirebbe quella povera donna, oltre al marito, soggetta anche al suocero, e ad un suocero incivile e soffistico, che senza alcuna circospezione va esaminando i di lei andamenti. E sareste cagione che ella me ne facesse giuste querele e ragionevoli lamenti: e che io, per mantenermi in concordia colla moglie, fusse costretto a venire in discordia col padre.

 

            anselmo        Voi volete bene, così ella operando, e voi così vilmente soffrendo, che io venga in discordia con tutt’a due. Che soffistico, o non soffistico? Che sognate, o siete pazzo? Vorrò veder questa! Il non voler in casa certi tulipani e rosolacci, non buoni ad altro che a recar mal odore nella reputazione d’un galantuomo, e il procurar di svellere cert’erbe velenose, che se non sempre infettano colla vicinanza la bella e rara pianta dell’onore, almeno gravemente l’aduggiano, si chiama un esser incivile, soffistico e fatto all’antica, eh? Siete voi ben fatto malamente alla moderna: e se questo costume di conversar così libero, dite che adesso regna ed ha preso vigore, non so che vi sia necessità che lo pigli in casa vostra; come voi non ci mettereste un appestato, benché per tutto fusse dilatata la peste.[10]

 

            orazio           Signor padre, vi compatisco, perché voi fondato su certe massime, che hanno più del maligno che dell’onorato, misurate del pari i concetti plebei e quelli degli uomini d’onore: e facendo inconsideratamente un vil fascio di questi con quelli, ne deducete una pessima conseguenza, che tutti infama egualmente. Bisogna distinguere.

 

            anselmo        Che volete voi ch’io distingua? So che i vizi hanno luogo per tutto indifferentemente, senza badare al Priorista, ed abbondano in tutte le sorte di persone, e forse più in quelle che più dovrebbero sfuggirli, perché più sono obbligate a conoscergli. E molto resto meravigliato di voi e della vostra semplicità, per non dir balordaggine.[11]

 

55        orazio           Signor padre, io non voglio con voi disputare.

 

            anselmo        Perché non avete ragione.

 

            orazio           So chi è mia moglie.

 

            anselmo        È una donna.

 

            orazio           E conosco il signor Vanesio.

60        anselmo        È un uomo.

 

            orazio           È un uomo, certo, e per tutte le conversazioni viene ammesso, perché ne è il condimento più suave, essendo egli uno sciocco.

 

            anselmo        Uno sciocco, che va per le case de’ savi a divertirsi.

 

            orazio           Che ha una vana pretensione, che ogni donna s’innamori di lui.

 

            anselmo        Però vien qui.

 

65        orazio           Presume di bello.

 

            anselmo        Presunzione, che l’hanno sempre i più sgraziati.

 

            orazio           Di ricco.

 

            anselmo        Non averà un quattrino.

 

            orazio           E di virtuoso.

 

70        anselmo        Sarà un asino di prima riga.[12]

 

            orazio           Ma non ha niuna di queste parti.

 

            anselmo        Ch’ho io detto?

 

            orazio           Solo avendo fatto un folle studio in romanzi, ha preso a favellare con una tale affettazione e improprietà, che riesce d’un ridicoloso trattenimento.[13]

 

            anselmo        Ora questo trattenimento ridicoloso non mi piace punto. E se costui è uno sguaiato, come voi dite, io non so perché non si possa mandare a fare i fatti suoi; certa gente non mi farebbe mai ridere; piuttosto mi farebbe recere.

 

75        orazio           Conosco che la signora ci ha gusto.

 

            anselmo        Peggio.

 

            orazio           So che è impossibile il concepirne sinistro pensiero.

 

            anselmo        E io l’ho per facile.

 

            orazio           Però non parlo.

 

80        anselmo        Però parlerei.

 

            orazio           Signor padre, siete troppo rigido e sospettoso.

 

            anselmo        Signor figliuolo, siete troppo dolce e babbeo.

 

            orazio           Questi vostri giudizi temerari v’aggraveran la coscienza.

 

            anselmo        E questa vostra dabbenaggine vuol aggravarvi.

 

85        orazio           Lasciateci pensare a me.

 

            anselmo        Quest’è ben vero; il peso ha esser tutto vostro.

 

            orazio           Dunque lasciatelo sulle mie spalle.

 

            anselmo        E i’ ho che voi lo vogliate portare in capo, se altro non occorre. Ora udite; com’io ho fatto monaca Isabella, mia figliuola e vostra sorella, vo’ lasciarvi a fare e disfare, non vo’ impazzar co’ pazzi. Ma quella ragazza non vo’ abbandonarla. Quella è una santerella; s’è cavata di casa di quella buona donna di vostra zia colle spingarde: e mi tempesta che vi vuol ritornare. Quella non ha genio a girare e a conversare, no, guarda, se ne sta sempre fitta nella sua camera solitaria e a legger libri buoni. Oh, che buon anima! Vo’ un poco andar da lei, giacché da vostra moglie, ora che v’è il signor Vanesio, sarebbe un mal termine. Anche voi non v’andate, che il signor Vanesio non avesse a dir che siete della moglie troppo innamorato e troppo geloso; badate.[14]

 

            orazio           Farò quanto richiede la convenienza.

 

90        anselmo        No, no; dite quanto comanda la moda.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Camera d’Isabella.

 

                                   Isabella sola ad un tavolino dove sono vari libri, con un ritratto in mano.

 

                                   Vaghe sembianze del mio bene, che qui colorite rimiro, quanto, benché mute, perorate al mio cuore e con tacita facondia me lo persuadete ad amare, ancorché della di lui presenza sia priva! Appagatevi per ora, o mie pupille, di fissarvi in questo volto dipinto, giacché non potete soddisfarvi nel vero. Caro Silvio, la tua effige è l’unica consolazione ch’io provo nella tua lontananza; e questi morti colori, ravvivando le mie speranze di rivederti ben presto, interrompon la doglia, che co’ continui assalti nel non vederti, mi torrebbe la vita. Ma, ecco il mio genitore, ascondo il ritratto, e fingo attenta di leggere.

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Anselmo e Isabella.

 

            anselmo        Buon giorno, figliuola mia, o così. Si suol dire, che chi si diverte co’ libri, si trattiene saviamente co’ morti; la tua cognata però ha più genio a trattenersi scioccamente co’ vivi. Che bel libro è cotesto. Mostra. (Isabella gli dà il libro)

 

            isabella         (da sé) (Uh, pover’a me!)

 

            anselmo        (legge) Il parlatorio delle monache. Ah! Sempre libri spirituali. (ne piglia un altro sul tavolino e l’apre a caso) E quest’altro?[15]

 

            isabella         Che sarà!

 

5          anselmo        (legge) Alibech divien romita. (ne guarda un altro) Il divorzio celeste. Tutti libri da religiose e da persone di spirito. Anch’io leggerei volentieri, ma la vista non mi regge; e con gli occhiali m’ affatico la testa. E chi te gli ha dati? Non mi paion libri di casa.[16]

 

            isabella         Gli ho trovati in casa la zia.

 

            anselmo        Cotesta donna è tutta esemplarità; tira innanzi; da queste letture divote un’anima s’incammina per la buona strada.

 

            isabella         Ella vede, signor padre, io cerco di divertirmi così.

 

            anselmo        Così mi piace.

 

10        isabella         Anzi, vorrei chiedergli una grazia.

 

            anselmo        Di’ pure, figliuola mia.

 

            isabella         Vorrei ritornare dalla zia, perché a dirvela in questa casa mi par d’essere un pesce fuori dell’acqua.

 

            anselmo        Ti vo’ consolare; ma non son che pochi giorni che te ne se’ andata, e già vuoi ritornarvi. Di’ il vero, ella t’ha fatto venire una gran voglia d’esser monaca.

 

            isabella         Non mi dichiaro in questo, perché ancora sento mancarmi una buona parte di vocazione.

 

15        anselmo        O aspetta che ti venga il resto; e poi, tu dei far la tua volontà; io non te lo dico; perché tu ti faccia; io non son di quei padri, che per far con più lustro risplendere i maschi, metton al buio le femmine; fa’ pure liberamente quanto il cielo t’ispira.

 

            isabella         Io posso dirvi per ora che ho un gran genio a star dalla mia cara zia, colà solo avendo cominciato ad udire quella vocazione, che al mio cuor fu sì grata, e che qui ho affatto perduta.

 

            anselmo        Questo desiderio di star così ritirata dalla tua zia, dà indizio di voler per sempre ritirarsi in un chiostro, pel quale quella vocazione ha cominciato a fartisi con tal gusto sentire, che qui hai ragione di aver perduta; anzi te ne verrebbe un’altra affatto diversa.

 

            isabella         Può essere, che sia come voi dite; ed oltre a questo, vedo quello, che qui non posso vedere.

 

            anselmo        Anch’io veggo in questa casa di quelle cose che non posso vedere; anche tu forse ti sei accorta dell’andirivieni che si fa in questa casa, da poi che c’è questa signora sposa?

 

20        isabella         Eh, a questo io non bado! E poi non ci ho veduto oggetto che mi appaghi, come vedo essendo dalla zia.

 

            anselmo        Ti compatisco, tu sei avvezza a veder la Niccolosa, e quelle buone donne che vengon da lei: e qui si veggon certi suggetti per non dir suggettini o suggettacci, che anch’io non gli posso vedere.

 

            isabella         Quanto io veggo colà, mi consola.

 

            anselmo        E quel che tu vedi qui, ti dà noia.

 

            isabella         Perché non vedo quel ch’io vorrei.

 

25        anselmo        Neanch’io. Orsù consolati, che quanto prima vi ti vo’ rimandare; perché veramente in questa casa, tu non ci stai bene e impareresti quello che tu non sai, e ch’i’ non mi curo che tu sappia mai. Insomma la vera educazione per le fanciulle si trova da queste buone vecchie.

 

            isabella         Ivi ho imparato quel poco che io so.

 

            anselmo        Eh! Lo veggo dagli studi, che tu fai. E me ne gode l’animo; là starai con tua quiete.

 

            isabella         Lì troverò ogni mio contento.

 

            anselmo        Insomma collo star da questa buona donna.

 

30        isabella         Finalmente collo star dalla zia.

 

            anselmo        S’è conservata semplice e pura.

 

            isabella         (a parte) (Son divenuta accorta ed amante.)

 

            anselmo        Colà vede quelle pinzochere.[17]

 

            isabella         (a parte) (Là vedo l’amato bene.)

 

35        anselmo        Parla con esse tutto giorno.

 

            isabella         (a parte) (Con esso favello il giorno e la notte.)

 

            anselmo        E se ne va in gaudeamus.[18]

 

            isabella         (a parte) (E provo gioia indicibile.)

 

            anselmo        Orsù, addio figliuola, perseveranza.

 

40        isabella         Il cielo così mi mantenga.

 

            anselmo        Che figlia innocente

 

            isabella         Che padre buono!

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Sala.

 

                                    Leonora e Vanesio che le dà il braccio.

 

            leonora        Signor Vanesio, voi siete così compito, che io ardisco d’affermare non vi esser nel mondo un altro vostro pari.

 

            vanesio         Signora, ella che ha spremuto il sugo della gentilezza in su gli accenti che scioglie, va con tal piena di saporiti favori inondando gli animi di tutti quei che godon l’onor di servirla che non reggendo colle sponde d’ogni più valida corrispondenza, rimangon sommersi nella confusione; le di lei cortesi maniere hanno saccheggiate le grazie; e col suo volto masnadiero ha assassinato Ciprigna; quindi non sia stupore, se tutti i ruscelli de’ più umili ossequi, vengon a dar tributo all’inesausto Egeo de’ suoi vari meriti.[19]

 

            leonora        Per mia fe’, signor Vanesio, che per adeguatamente replicare ci vorrebbe altra lingua, che la mia; però col silenzio confessandomi vinta, ammirerò la sua facondia.

 

            vanesio         L’eccesso delle sue prerogative felicitano le umane menti, ed io testé ben lo provai che scordato della terrena fralezza fatto estatico Atlante, arrivai a così sovrumano vigore, che col braccio sostenni non guari un ciel di bellezze.

 

5          leonora        Di grazia in un tempo non mi confonda, e mi mortifichi in tal guisa, che io le cedo. Oh, ecco mia cognata!

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Isabella e detti.

 

            leonora        Signora cognata, appunto veniva a reverirla.

 

            isabella         Ci siamo unite nell’intenzione, perché appunto io mi portava, com’era mio debito, a darle il buongiorno.

 

            vanesio         Signora, si compiaccia che ancor io le presenti l’omaggio de’ miei ossequiosi rispetti; e siccome ho l’onore d’esser servo della signora Leonora, possa aver quello d’esserlo egualmente di lei, e goda la sorte singolare di esser veneratore di due dee, che altrettanto belle, quanto benigne, rimarranno appagate d’una sol vittima, qual è quella della mia volontà, che io ministro officioso, col coltello d’una cieca ubbidienza, scanno in voto de’ loro riveriti comandi.

 

            isabella         Obbligata a’ suoi favori, signora cognata, chi è questo signore così gentile, che favella con modo così specioso, che mi rende affatto inabile a rispondergli come dovrei?[20]

 

5          leonora        Questo è il più compito e il più obbligante signore che sia tra quanti abbia mai conosciuto: egli è il signor Vanesio, che mi onora di tanto in tanto di sue visite per mia consolazione.

 

            vanesio         No signora, ella per favorirmi cambia la frase; dica così che dirà vero: io sono uno schiavo avventurato, che strascino le soavi catene, nelle quali mi ha avviluppato il dispotico aguzzino dell’assoluto imperio, che ella tiene sopra ogni mio volere; e quelle che ella si degna, per favorirmi, di chiamar visite, sono indispensabili riprove della mia schiavitù, la quale ad ogni momento vuol ch’io adori la mia sovrana padrona.

 

            isabella         (a parte) (Questi è matto in mezzo al cervello.) Signora Leonora, questo signore mette affatto in soggezione a replicargli.

 

            leonora        Veda bene, ch’io sto cheta.

 

            vanesio         (da sé) (Ambedue si burlan di me; ma facciano quanto sanno, che i loro scherzi son miei piaceri.) Come nelle vaghe pupille di questa non più veduta signora, a maraviglia innalza il suo trono l’arcier bendato!

 

10        isabella         (a parte) (Quanto mi si rende ridicolo costui; voglio coltivare questa sua debolezza.) Invidio, o signor Vanesio, le fortune di mia cognata, che può disporre di voi, come dite; quanto io mi glorierei di poter essevi serva.

 

            vanesio         O bene o bene, anch’ella cambia i modi di dire per onorarmi: a me solo tocca ad esserle servo per ogni rispetto: prima, perch’ella è cognata della signora Leonora, in secondo luogo perché ella per se stessa esige le adorazioni di cui le son debitrici in un tratto quelle pupille che la rimirano. (da sé) (Già parmi, che ella di me sia invaghita, com’è il solito di tutte quelle che godon l’onore de’ miei sguardi lusinghieri.)

 

            isabella         Signor Vanesio, io non voglio far torto alla signora Leonora; ma si creda che io non men di lei ambisco il pregio desiderabile della sua grazia.

 

            vanesio         (da sé) (Che dissi?) Già nella purpurea fucina del suo cuore, per me vi accese la fiamma il dio vezzoso di Tespo.[21]

 

            leonora        No, no, signora Isabella, siamo è vero parenti ed amiche, ma della grazia del signor Vanesio ne son troppo gelosa; però quando ella me lo togliesse, la parentela e l’amicizia anderebbero da parte.

 

15        isabella         Come? A tutti è permesso, quando si vede l’ottima congiuntura d’acquistarsi la sorte, senza riguardo d’alcuno, l’afferrarla pel crine.

 

            leonora        Bene, ma quando si vede chi già l’ha pigliato, mi pare un mal termine lo strapparglielo di mano.

 

            isabella         L’interesse proprio non riguarda né all’amicizia, né alla parentela, molto meno al galateo.

 

            vanesio         Signore, non voglio, che i mongibelli de’ vostri petti nevosi a mia cagione covin fiamme di sdegno; piuttosto imprimerò altrove l’orme del piè vagante, acciò dileguandomi io qual nube infausta, apportatrice di rissose tempeste, tornin sereni i cieli de’ vostri sembianti.[22]

 

            leonora        Sarà meglio che mi priviate per ora della vostra grata presenza, perché già sento che l’ira m’avvampa il seno.

 

20        isabella         Ottima resoluzione, che io perda col vostro allontanamento quel piacere che io provai n’un istante in vedervi; perché già la bile m’opprime i sensi.

 

            vanesio         Orsù, per comune lor quiete, in simil frangente si parta. (da sé) (Ma l’immagine d’Isabella fra le tant’altre che adornano lo specioso scarabattolo de’ miei pensieri, abbia il luogo primiero.) Signore, abbasso all’inaccessibile altezza delle loro immense prerogative l’ossequiosa cervice.[23]

 

            leonora        Eh, sentite signor Vanesio. Non vorrei che avendo veduta Isabella, io restassi da banda.

 

            vanesio         (da sé) (S’è accorta la sagace donna già de’ tumultuanti miei affetti.) No, signora, sarò qual fui suo servo fino che questo spirito con questa salma s’annoda.[24]

 

            isabella         (a Vanesio) E favorisca. Ancor io bramo un luogo nella sua grazia, senza pregiudizio di Leonora.

 

25        vanesio         (a Isabella) Averà il luogo più cospicuo. (da sé) (Già teme di perdermi.) Signore per ambe al suolo di nuovo incurvo l’ossequio. (da sé) (Insomma Leonora averà la mia grazia, perché me ne supplica; Isabella il mio cuore, perché più di tutte l’altre in quest’oggi me ne fece rapina.) (via)

 

            isabella         Che gentil pazzo è questi, signora Leonora?

 

            leonora        Crediatemi, che costui è l’unico divertimento delle conversazioni. Si crede che tutte le donne siano innamorate di lui, come egli di tutte subito s’innamora. E si è messo in soggezione di parlare in quel modo sì improprio e affettato, e fermamente suppone d’essere stimato un ottimo ed erudito parlatore.

 

            isabella         Io, per dirvela, mi son subito avvista di questo suo debole, ed ho procurato di far seco la parte che più si confà col suo genio stravolto.[25]

 

            leonora        Già me n’accorsi: ed egli, per quanto ho potuto comprendere, secondo la cognizione che ne ho, è già innamorato di voi.

 

30        isabella         Vuol esser innamorato solo, per me.

 

            leonora        Non dubitate, che così gl’interviene con tutte; mi dispiace bene che molte così fingendo, gli cavan di sotto di buoni regali. E i mariti d’accordo ve lo conducono, anteponendo francamente questo vantaggio, che proviamo in fatti, alla diminuzione della buona fama, che finalmente consiste nell’opinione, ed egli intanto perché ha poco da spendere, malamente s’indebita.

 

            isabella         Ma questo è un burlare con poca carità; lo scherzo che finisce solo in parole è poi comportabile.

 

            leonora        La signora Florinda Gramigni ebbe una mantiglia che valeva dieci doble. La signora Quintilia Importuni, nostra vicina, una giardiniera di diamanti molto bella; e la signora Candida Infangati, un orologio d’oro.[26]

 

            isabella         Cappita, questo cicisbeo le potrà dire con ragione, signore mie care, ma io ce n’avrei scrupolo, perché questo mi pare un amoroso assassinamento.[27]

 

35        leonora        Eh, voi che volete esser monaca avete la coscienza più delicata; è ben vero che per esser uscita appena di sotto la vigilante custodia di vostra zia, vi stimava non così scaltrita da conoscer subito l’umor di tal bestia, né così sagace in adularlo sì bene.

 

            isabella         Voi siete pur buona; mi sarei conservata semplice e balorda in mia casa, non dalla zia: e talora dove si crede più sicura un’ottima educazione, vi s’apre una scuola dove s’apprendon di quelle lezioni, che altrove forse non sarebbero insegnate. In me così successe, poiché dove fui messa sull’aspettativa di tirarmi innanzi per religiosa, ivi son diventata amante.

 

            leonora        Amante! E come?

 

            isabella         Vi confiderò il tutto, perché vi scorgo non meno mia amorevol cognata che amica fedele; e che non solo mi terrete segreto, ma mi darete opportuno consiglio.

 

            leonora        Di questo potete esserne più che certa.

 

40        isabella         Ora udite: essendo io dalla mia zia, presi amicizia colla signora Lidia che le sta allato, alla quale spesso veniva a parlare un bel giovanotto chiamato Silvio, il quale seppi esser genovese, fratello d’una cognata di lei, e qua per non so qual cagione si tratteneva. Io che aveva presa confidenza con essa, mediante le finestre, che allato l’una coll’altra rispondevan sulle corti di ambedue le case, cominciai da quelle, prima a vederlo, quindi a parlargli; insomma m’invaghii di lui, com’egli il simile fece di me.

 

            leonora        Brava; queste son le fortune.

 

            isabella         E tanto più s’accese in noi quest’amore, quanto che aveva così pronta l’occasione di vederlo e di parlargli, e di giorno e di notte senz’essere anche osservata.

 

            leonora        Ma la zia non se n’avvedeva?

 

            isabella         La zia è vecchia, e poco esce di camera; e poi sapeva ch’io parlavo a quella vicina sua amica, né sapendo altro, non pensava più là.

 

45        leonora        O come in ogni luogo son mal sicure le fanciulle.

 

            isabella         Ora avendomi mio padre cavata di lì in tempo che questo mio amante fu costretto a ritornare a Genova; benché mi desse sicura speranza di presto ritorno, potete considerare com’io sia rimasta sconsolata.

 

            leonora        E quasi; ma a tutto si troverà rimedio, perché ritornando egli di Genova, e andando dalla vicina sua parente, ella benissimo farà la carità d’informarlo dove state di casa; onde ben presto potrete rivederlo. Ma è vostro pari?

 

            isabella         Sento sia unico, e figliuolo d’un mercante ricchissimo di quella città.

 

            leonora        Orsù allegramente, che fra poco la strada non è per metter erba.[28]

 

50        isabella         Ma sotto gli occhi del padre e del fratello, poco potrò vagheggiarlo, e fuggiascamente. Oltrediché, come potrò parlargli? Pertanto ho pregato mio padre che quanto prima mi voglia rimandare dalla zia.[29]

 

            leonora        Da queste premesse egli crederà a quest’ora ch’ella v’abbia fatto risolvere di farvi monaca

 

            isabella         E quasi, e’ mi stima una santina per questo mio zelo di voler da lei ritornare.

 

            leonora        O quanto son dissimili l’opere dall’apparenza.

 

            isabella         Per questo non bisogna mai credere alle parole, ma a’ fatti. Oh, gli ipocriti non mi vorrebber burlare, no!

 

55        leonora        Sì, perché tra voi vi conoscereste.

 

            isabella         Io fo così, perché così ora pei miei fini conviene.

 

            leonora        Così fanno tutti di questa razza.

 

            isabella         Io però non sono ipocrita; ma fingo d’essere, perché ora mi torna, come avete udito.

 

            leonora        Già, già; e poi trovate chi vi crede.

 

60        isabella         O come non si trovassero di questi balordi, il mestiero anderebbe per terra.

 

            leonora        De’ balordi, bisogna che se ne trovino, perché il mestiero è più che mai in credito. Ora basta, questo vostro amante mi pare d’averlo in memoria, perché quando ebbi avuto l’anello, e che fui a far la visita alla vostra zia ed a voi, vidi un bel giovane forestiero entrar appunto lì accanto.[30]

 

            isabella         Può essere; ma se volete chiarirvi, mirate se lo riconoscete. (gli dà il ritratto)

 

            leonora        Affé, siete innanzi, cognatina mia; anch’il ritratto ne avete?[31]

 

            isabella         Egli me lo donò, siccome volle il mio, che fece fare alla macchia, mentre seco discorreva.[32]

 

65        leonora        È quello per l’appunto ch’io vidi.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Anselmo in disparte, e dette.

 

            leonora        È veramente un bel giovane.

 

            anselmo        (a parte) (Il mercante tratta della sua mercanzia, e di più colla mia figliuola.)

 

            leonora        Merita d’esser amato, e da voi corrisposto.

 

            anselmo        (a parte) (Canchero, questo è troppo!)

 

5          leonora        E se alle qualità del volto s’uniscon quelle dell’animo, è degno dell’amor vostro; orsù tenetene conto; prendete. (Anselmo si pone in mezzo, e piglia il ritratto)

 

            anselmo        Obbligato a’ suoi favori.

 

            leonora        Ohimè!

 

            isabella         O fortuna perversa!

 

            anselmo        Signora nuora, che voi abbiate qual civetta sul mazzuolo, un diluvio d’uccellacci, che vi faccian corteggio, giacché il vostro marito babbaccio non ci bada o non ci vuol badare, transeat; ma che poi voi vogliate far degli allievi, questa sa di furfanteria in superlativo grado. Procurare co’ ritratti de’ vostri cicisbei di far prevaricare questa verginella innocente, e persuaderle l’amare gli originali, che poca coscienza è la vostra? Va’ nella tua camera, figliuola mia: di’ il vero, ella t’avea chiamato a posta per far questa bella prova? Sfacciata. Il cielo mi ci ha mandato per tuo bene e mio; ritorna a legger i tuoi libri divoti, che ti confermin nella buona via ch’hai pigliato. Avevi ragione di voler ritornare dalla tua zia; una buona rivelazione ti aveva palesato l’assalto, che ti doveva esser dato da questa compita giovane. Sicuro, che vi ti vo’ rimettere, e forse fra poch’ore; capperi qui non c’è da perder tempo! Questo bel muso dipinto dal diavolo, resterà in mia mano; così fusse in mia mano il grugno dell’originale, ch’io lo vorrei perfezionare a furia di chiariscuri colle nocca. Isabella, va’ in camera.[33]

 

10        isabella         Vado, signor padre. (finge partire)

 

            anselmo        E voi restate in malora. (via)

 

            leonora        Signora Isabella?

 

            isabella         Signora Leonora?

 

            leonora        Che improvviso avvenimento!

 

15        isabella         Che impensato accidente!

 

            leonora        Io son affatto confusa.

 

            isabella         Io del tutto perduta.

 

            leonora        Ma pure, voi siete in miglior grado di me, perché Anselmo, voi suppone innocente, e me la rea.

 

            isabella         Quanto me ne dispiace che voi per mia cagione vi ritroviate in tal intrigo.

 

20        leonora        Mi creda però quel ch’ei vuole, che questo poco m’importerebbe, se non che temo ne parli a mio marito, gli mostri quell’effigie, e susciti nel di lui animo qualche sospetto, che possa ingiustamente dileguare la bella pace, che noi godiamo.

 

            isabella         Ed il mio fratello, in veder quel ritratto – se qua ritorna il mio Silvio – potrebbe col riconoscerlo, venire a qualche risoluzione, che mettesse in pericolo la vita d’ambedue.

 

            leonora        Come può rimediarsi a questo sconcerto?

 

            isabella         Chi puote apprestarci il filo per uscir di tal laberinto?

 

            leonora        Se potesse riaversi il ritratto…

 

25        isabella         Che è quanto io bramerei.

 

            leonora        Saremmo in sicuro.

 

            isabella         Ma chi potrà cavarlo di mano a mio padre?

 

            leonora        Qui sta la difficoltà insuperabile.

 

            isabella         Son disperata.

 

30        leonora        Son fuor di me.

 

            isabella         Vaghe sembianze del mio bel Silvio, chi mi vi rende?

 

            leonora        Effigie di Silvio chi ti riporta?

 

            isabella         Se non mi aiuta Amore.

 

            leonora        Se la fortuna non ci favorisce.

 

35        isabella         Sono in impegno.[34]

 

            leonora        Mi veggo in procinto.

 

            isabella         Di non aver mai più bene.

 

            leonora        Di avere a star sempre male.

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Lisetta col ritratto e dette.

 

            lisetta           Miracoli donne; una volta ho trovato qualcosa. Che bel figurino è in questa scatoletta! Uh se fussi stato il ritratto del mio Meo.

 

            isabella         Che c’è Lisetta?

 

            leonora        Che hai trovato?

 

            lisetta           O Baccio, quanti ghiotti a un tagliere! Egli è dipinto, che vi credete?[35]

 

5          isabella         (a parte) (O cielo, questo è il mio Silvio.)

 

            leonora        (a parte) (O sorte, questo è il bramato ritratto.)

 

            isabella         Da’ qua.

 

            lisetta           Via, voi volete esser monaca, non è roba per voi.

 

            leonora        Mostra.

 

10        lisetta           Voi siete maritata, non occorre mostrarvi di vantaggio.[36]

 

            isabella         Dove l’hai trovato?

 

            lisetta           Appiè della scala di terreno.

 

            leonora        Il mio suocero l’hai veduto?

 

            lisetta           Or ora infuriato è uscito di casa.

 

15        isabella         Sicuro gli è uscito di tasca.

 

            leonora        Così certo è seguito per nostra ventura.

 

            isabella         Di grazia, o cara Lisetta, dammelo.

 

            leonora        Via, compiaci due padrone, che ti pregano.

 

            lisetta           Ma che ne volete voi fare?

 

20        isabella         Ti donerò qualcos’altro in quel cambio.

 

            leonora        Sì, ti faremo un regalo per ricompensa.

 

            lisetta           Ma che volete voi darmi?

 

            isabella         Questo cerchietto d’oro sia tuo. (glielo dà)

 

            lisetta           (da sé) (Oh che monachina di garbo!) E voi, che mi regalerete, signora padrona.

 

25        leonora        Prendi, ti do questa dobla. (gliela dà)

 

            lisetta           (da sé) (Oh poveri mariti, se le mogli spendon tanto ne’ ritratti de’ cicisbei, quanto spenderanno negli originali!) Orsù, tenete; ma a chi l’ho io a dare?

 

            isabella         Dallo a me.

 

            leonora        Sì, dallo alla signora Isabella.

 

            lisetta           O che volete fare a mezzo? O via siete donne discrete; vadia per quelle che non si contentan d’una dozzina.[37]

 

30        isabella         Non pensar più là; e senti, non parlare ad alcuno d’averlo trovato.

 

            lisetta           Questo cerchio m’imprigiona la lingua.

 

            leonora        Ascolta, non dir nemmeno che sia in nostra mano.

 

            lisetta           Questa doppia mi tura la bocca.

 

            isabella         Orsù, non occorr’altro.

 

35        leonora        Addio Lisetta.

 

            lisetta           Le riverisco, e le ringrazio; avendo avuto caro d’averle consolate. (da sé) (Ma se egli era il ritratto di Meo, non l’avrei mostrato loro per millantamila scudi.)  (via)[38]

 

            leonora        La paura è stata grande.

 

            isabella         Il timore mi soppresse non poco per amor vostro.

 

            leonora        Però non è ancora passata affatto la burrasca; perché Anselmo, Dio sa, quel che sia per dire al mio sposo. Bisogna prepararsi alle difese.

 

40        isabella         Non vorrei vedervi per me in angustie.

 

            leonora        Non dubitate, che spero che usciremo a bene anche del resto; il passo più cattivo è superato.

 

            isabella         Così volle la sorte. Ma, o Dio, ecco mio fratello.

 

            leonora        Venga pure, ho pensato al ripiego. Voi seguite il mio discorso.

 

            isabella         Starò ben sull’avviso.

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Orazio e dette.

 

            orazio           Mia sposa, amata sorella, che buon incontro è il mio?

 

            leonora        Mio riverito signore e consorte, il vostro incontro è per me sempre oltremodo gradito; ma ne abbiamo avuto un altro, che ci è stato oltremodo discaro.

 

            isabella         Sì certo, signor fratello.

 

            orazio           Qual è stato?

 

5          leonora        Poco fa in questo luogo, vostro padre mi ha trovata a discorrere colla signora Isabella, ed in atto che io appunto le mostrava il ritratto del signor Vanesio; quello che voi sapete che ad ogni poco mostrava.

 

            isabella         (da sé) (O sagace Leonora, dice che il ritratto è di Vanesio; quanto ti sono obbligata.)

 

            orazio           Sì mi ricordo, che egli sempre faceva scioccamente la mostra di questo suo ritratto, e millantava che gli era stato chiesto da molte belle signore, e che niuna nol volle mai dare; e voi, avendolo egli in una scatoletta d’argento, mostrando di vederlo, con destrezza il cavaste, e gli rendeste chiusa la scatoletta senz’esso.

 

            leonora        Da quella perdita si fece poi da esso tanto schiamazzo, e da noi tanta celia.

 

            orazio           Che ancor dura.

 

10        isabella         (da sé) (E si vede che è per durare ancora.)

 

            leonora        O bene, avendo veduto dianzi vostra sorella Vanesio con me, e meravigliata delle sue affettate maniere di parlare, e riconosciuto il suo debole, sul credere egli al suo solito che ella subito si fusse innamorata di lui, e viceversa facendo egli l’innamorato di lei, dopo che egli fu partito, io dissi ad Isabella, per modo di burlare, se si è partito l’originale, che v’innamora, posso per vostra consolazione mostrarvene il ritratto.

 

            isabella         Così appunto.

 

            leonora        In questo arriva vostro padre; mi fa un rivellino solenne, quasi che io insinui gli amori nel cuore di questa buona donzella, che ha ogn’altro pensiero, e che tutta dedita al chiostro, non vuol saper nulla del mondo.[39]

 

            isabella         Così è, per grazia del cielo.

 

15        leonora        (a parte) (Che astuta femmina, come fa ben la sua parte!)

 

            orazio           Ora proseguite.

 

            leonora        E dopo avermi malamente sgridata e rimproverata, avendomi strappato già di mano il ritratto, pieno di mal talento si parte.[40]

 

            orazio           Dunque che male c’è?

 

            leonora        Che male c’è? Chi sa quel che verrà a dire a voi di questo ritratto; quanto esagererà la mia malizia, che distolga dal miglior sentiero questa mia savia cognata; e – benché mi conoschiate – chi sa qual impressione potrà in voi fare un padre, benché meco ingiustamente sdegnato.[41]

 

20        orazio           Eh via, cara Leonora, non vi supponete queste chimere; purtroppo m’è nota l’integrità del vostro amore, l’innocenza de’ vostri costumi; ma compatite la stravaganza e il sospetto, che son comuni difetti de’ vecchi.

 

            isabella         (da sé) (Il mio fratello è il buon giovane.)

 

            leonora        Basta, dolce mio sposo, assicuratevi che se dubitaste di me, che nemmen per ombra potessi mai dirvi una minima bugia, sarei morta.

 

            isabella         (da sé) (Finora se n’è dette una balla.)

 

            orazio           Non dubitate, o Leonora, che io mai creda che non mi parliate sempre con tutta schiettezza.

 

25        leonora        Su questa vostra asserzione mi quieto.

 

            orazio           Quietatevi pure, e non ci pensate, e state allegramente con mia sorella, che credo non sia per disgradire la vostra conversazione.

 

            isabella         Basta, che alla signora Leonora, mia amatissima cognata, non sia discara la mia, che io non ho provata consolazione maggiore, in questi pochi giorni, che son ritornata in casa, che star con lei.

 

            leonora        La mia amorevol cognata mi compatisce e mi tollera.

 

            orazio           O quanto ho caro vi siate prese di genio. Così per le case si mantien quella pace, che in molte per la disunione si perde. Altri affari altrove mi chiamano; sposa, sorella amata, a rivederci ben presto. (via)[42]

 

30        leonora        Addio mio sposo.

 

            isabella         Signor fratello, addio. Signora cognata, voi siete trista.[43]

 

            leonora        E voi monachina non mondate nespole.[44]

 

            isabella         Quanto ho ammirata la vostra astuzia in rimediare a quanto potesse succedere, se mio padre parlerà a mio fratello.

 

            leonora        Che volete fare, bisogna rimediare agli scandali; massime a questi, che riguardano la nostra innocenza.

 

35        isabella         Dite solamente la vostra, che se nessuna è la rea, son io. Voi non avete in ciò colpa alcuna; e credetemi che vi sono obbligata della vita; invero vi siete portata valorosa.

 

            leonora        E voi avete fatto molto bene le vostre parti.

 

            isabella         Stavo sulle parate ancor io; ma se non si dava il caso di ritrovare Orazio, e prevenirlo coll’informazione, forse imbrogliato dal vecchio padre, poteva sospettar di qualcosa.[45]

 

            leonora        Perché? Ci voleva un po’ di manifattura a capacitarlo, ma sarebbe seguito l’istesso. Il mio marito è trattabile.

 

            isabella         Sì sì, si vede che è agevole.

 

40        leonora        Oltrediché il ritratto, ch’era il corpo del delitto è in nostra mano.

 

            isabella         Così è; e voi ben ve ne valeste, con asserir ch’era il ritratto di Vanesio, e non di Silvio.

 

            leonora        Poteva dir ch’era di chi voleva, mentre non se ne può far il riscontro, se noi non vogliamo.

 

            isabella         Fortunate noi, che mio padre il perdé.

 

            leonora        E che Lisetta trovollo.

 

45        isabella         Del resto la barca ondeggiava malamente.

 

            leonora        E la marina era torbida.

 

            isabella         Ma voi da buona pilota, la liberaste dagli scogli.

 

            leonora        Ed il vento favorevole del vostro accorto intendimento la fece andare a seconda.

 

            isabella         Dunque si porgan voti…

 

50        leonora        Pertanto si rendan grazie.

 

            isabella         Al bel nume d’amore…

 

            leonora        Alla propizia fortuna…

 

            isabella         Se lungi dalla tempesta…

 

            leonora        Se dal naufragio risorta…

 

55        isabella         Per gire in porto sicura…

 

            leonora        Un buon cammino ella prende.

 

                                    Fine dell’atto primo.

 

 

 

                  Atto II

 

 

                                   SCENA I

 

                                   Civile.

 

                                   Silvio solo.

 

                                   Eccomi colla maggior celerità ritornato dove ogni mio bene risiede. Mi ha detto la signora Lidia, mia parente, che son pochi giorni che Isabella s’è partita dalla zia e tornata da suo padre, e mi ha insegnata la strada e la casa. La strada a’ contrassegni è questa indubitatamente; ma la casa non mi sovvengo bene qual sia.[46]

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Anselmo e detto.

 

            anselmo        Oh che nuore alla moda! Si può egli peggiorare! Lodare i giovani alla mia figliuola, e darlene i ritratti! I ritra… o sangue di Caracalla, ecco l’originale, che ronza intorno casa; vo’ farne la riprova; (cerca in tasca) dove s’è fitto quel ritratto; ah il diavolo se l’è portato via sul buono; basta le specie l’ho fresche, gli è lui, luissimo.

 

            silvio             Alla descrizione, che mi fu fatta, credo sia questa.

 

            anselmo        Poffar’io; osserva molto costui la mia casa da capo a piede, certo è qualche ingegnere, che la leva di pianta, per poi levarne di pianta la reputazione.[47]

 

            silvio             Non vorrei errare.

 

5          anselmo        Guarda il tetto; sicuro non gli piace, e disegna di farvi il cornicione.

 

            silvio             Il battere alla sorte, non ista bene; perché quando io la indovini, so che ella ha il padre e un fratello; e benché possa avergli veduti, non gli conosco; e quando gli conoscessi, sempre mi metto in impegno.

 

            anselmo        Borbotta e considera; quanto più lo guardo più somiglia quel ritratto, che non ne perde un capello: oh dove l’ho io messo, per chiarirmi affatto.

 

            silvio             Se poi non è la sua casa; posso, è vero, a chi risponde domandare del di lei padre e fratello, che so che quegli Anselmo, e questi Orazio si chiama, ma i vicini dopo avermene data notizia, non vedendomi fare altro motivo di battervi, potrebbero sospettar di qualcosa.

 

            anselmo        Costui fa un lungo cicalio intorno al mio uscio; io vo’ veder dov’ell’ha ire a parare.[48]

 

10        silvio             Lo spurgarsi, o il far altri cenni, così di giorno non è decente; merita nome di pazzo, e non di amante chi non ha le debite circospezioni all’onor dell’amata. Basterebbe a me il saper del certo qual è la di lei casa, poi piglierei le misure più proprie per veder Isabella più celatamente che fusse possibile.

 

            anselmo        Se questi fusse innamorato della mia casa solamente me ne contenterei; ma io credo che faccia come i gatti, che ustolano intorno alle pentole.[49]

 

            silvio             Vedo uno per questa strada: gli domanderò della casa d’Anselmo, e mi governerò secondo le risposte.

 

            anselmo        Vien alla volta mia. Poter del mondo, egli è quel del ritratto davvero.

 

            silvio             Servo di Vossignoria.

 

15        anselmo        Buondì a Vossignoria.

 

            silvio             Vossignoria è di questa contrada? Perdoni in grazia.

 

            anselmo        (a parte) (Non mi vo’ scoprir per chi sono, giacché al vedere non mi conosce.) Signor no, son ben di questa città.

 

            silvio             Di questa città, eh?

 

            anselmo        Signorsì di questa città.

 

20        silvio             È un pezzo?

 

            anselmo        O s’io ci son nato, e invecchiato.

 

            silvio             Mi scusi, son forestiero.

 

            anselmo        Mi meraviglio io; in che posso servirla?

 

            silvio             Vorrei sapere dov’è la casa d’un certo signor Anselmo Taccagni, che m’è stato detto esser qui oltre.[50]

 

25        anselmo        (a parte) (All’erta.) Della casa del signor Anselmo Taccagni cerca, eh?

 

            silvio             Sì signore; lo conosce?

 

            anselmo        Lo conosco benissimo; e ella lo conosce?

 

            silvio             No, signore.

 

            anselmo        Punto punto?

 

30        silvio             Né punto, né poco.

 

            anselmo        Egli ha un figliuolo, e questo lo conosce?

 

            silvio             Nemmeno; sento ben dire sia un giovane molto cortese e garbato.

 

            anselmo        O sì sì, egli è cortese e garbato, gli hanno detto il vero; e del padre di lui che ha sentito dire?

 

            silvio             Che sia buon uomo, ma fuor di modo fantastico e sospettoso.

 

35        anselmo        E egli non è fantastico né sospettoso, ma quando vede le cose malfatte, chiare e patenti, non può soffrirle.

 

            silvio             Sicché ella lo conosce?

 

            anselmo        È molto mio amico.

 

            silvio             È suo amico?

 

            anselmo        Sì signore.

 

40        silvio             L’ho molto caro.

 

            anselmo        È per sua grazia.

 

            silvio             Saprà dunque dove è la sua casa?

 

            anselmo        Sicuro. (a parte) (Vo’ vederne la fine.)

 

            silvio             Qual è?

 

45        anselmo        È questa qui dirimpetto.

 

            silvio             Questa?

 

            anselmo        Sì signore.

 

            silvio             Questa qui?

 

            anselmo        Cotesta costì.

 

50        silvio             Perdoni, se di vantaggio m’inoltro.

 

            anselmo        Si serva pure.

 

            silvio             Che uomo è questo signor Anselmo?

 

            anselmo        È un uomo di garbo, ed è sempre stato un uomo onorato.

 

            silvio             O che non è di presente?

 

55        anselmo        Eh, e’ vorrebbe seguitar a essere, non trattiamo.

 

            silvio             O che ci trova qualche difficoltà?

 

            anselmo        (a parte) (Vo’ scoprir paese e chiarirmi del tutto, se costui è quel del ritratto.) Vi dirò, questo Anselmo è mio confidente e intrinseco, e presentemente, essendo delicatissimo in materia d’onore, si ritrova in angustie.[51]

 

            silvio             (a parte) (Anselmo in angustie a causa d’onore! vorrò saperne l’intero.) E che cagione ha d’esser così angustiato?

 

            anselmo        M’avete cera di galantuomo, e vi dirò il tutto, ma segretezza.

 

60        silvio             Ve lo giuro da quel ch’io sono.

 

            anselmo        Non v’arristiate a tanto se non potete; perché tradirei bruttamente l’amico a pubblicare quegli affari che riguardano il suo decoro.[52]

 

            silvio             (a parte) (Mi mette in sospetto.) Vi dico che mi offendete non poco a dubitar di mia fede.

 

            anselmo        Voglio credervi; le vostre parole, e la vostra effigie m’assicurano purtroppo. Anselmo è tutto travagliato a causa d’un ritratto d’un giovanotto, che ha trovato.

 

            silvio             (a parte) (Ohimè!)

 

65        anselmo        (a parte) (Si turba; s’io dico ch’egli è lui.)

 

            silvio             E dove l’ha trovato, per la via?

 

            anselmo        Signornò.

 

            silvio             Dove dunque? Dite, dove?

 

            anselmo        Bel bello, l’ha trovato in mano d’una giovane.

 

70        silvio             (a parte) (O cielo ha trovato il mio ritratto in mano alla figliuola.) E chi è questa giovane?

 

            anselmo        (a parte) (Il negozio gli preme.) È una giovane maritata.

 

            silvio             In mano a una giovane maritata ha trovato il ritratto d’un giovanotto? (a parte) (come può star questa cosa!)

 

            anselmo        La vi par strana anche a voi, dite il vero, considerate ad Anselmo, a cui la disgrazia ha messo in casa questa razza di femmine.

 

            silvio             Ma che quella giovane che aveva in mano il ritratto di quel giovane è maritata?

 

75        anselmo        Ell’è maritata certo, così non fusse.

 

            silvio             E quant’è?

 

            anselmo        Non è un mese.

 

            silvio             (a parte) (Appunto non è un mese, ch’io mi partii. Oh, Isabella infedele, tu m’hai tradito!) Ma lo sapete di certo?

 

            anselmo        O buono, fate conto, ch’io sia stato presente a ogni cosa.

 

80        silvio             E il ritratto, che aveva in mano, era il ritratto del suo sposo forse?

 

            anselmo        Eh! Se fusse stato il ritratto dello sposo, Anselmo non fiaterebbe. Egli era il ritratto d’un altro. E per dirvela, Anselmo me l’ha mostrato, e vi somiglia al maggior segno: e io per chiarirmene veramente, son entrato con voi apposta in questo discorso.

 

            silvio             (a parte) (O perfida donna!)

 

            anselmo        Mi pare che questa cosa v’abbia dato fastidio, e che vi siate fortemente turbato; bisogna ch’io non abbia fatto un giudizio temerario.

 

            silvio             O Dio, non posso far di meno, per isfogo del mio tormento, di non confidarvi la cagione di questo mio subito affanno.

 

85        anselmo        Vi prometto l’istessa fedeltà nel tacerla.

 

            silvio             Anzi pubblicatela a tutto il mondo. Sappiate, che quell’indegna donna, che aveva in mano quel ritratto, fu da me amata quanto l’anima mia.[53]

 

            anselmo        (a parte) (Non mi sono ingannato!) O ch’era vostro davvero quel ritratto?

 

            silvio             Purtroppo era il mio, ed io aveva il suo.

 

            anselmo        To’; voi avevate il ritratto di lei?[54]

 

90        silvio             Sì, lo feci fare alla macchia.

 

            anselmo        L’avete costì?

 

            silvio             No, perché lo tengo custodito tra le cose più pregiate e più care; ed ella mostrommi un’intera corrispondenza.

 

            anselmo        Quand’era fanciulla; e ora?

 

            silvio             Quand’era fanciulla, come ancora tale dopo il mio ritorno io la credeva, e la trovo maritata. O spergiura!

 

95        anselmo        (a parte) (Fuss’ella finita almen ora; ma mi par che si peggiori.) Sicch’ell’era vostra dama?

 

            silvio             Così è.

 

            anselmo        E quant’è che vi partiste di qui?

 

            silvio             Mi partii di qui, che non è un mese.

 

            anselmo        Giusto è maritata, che non è un mese.

 

100      silvio             Dunque, mentre che io l’adoravo, si trattava il suo accasamento?

 

            anselmo        Certo, è un anno che se ne discorre. (a parte) (Non se ne fuss’egli mai fatto nulla.)

 

            silvio             Un anno! Ed ella il sapeva?

 

            anselmo        O buono, s’ella n’era innamorata morta di questo marito ch’ell’ha avuto.

 

            silvio             Sicché, nemmen fu costretta dal padre a pigliarlo all’improvviso e per forza?

 

105      anselmo        Oibò.

 

            silvio             O s’è maritata, che faceva dunque del mio ritratto?

 

            anselmo        Consigliava ad una modesta fanciulla ad amar l’originale e le lodava la sua bellezza e compitezza; che è quel che di vantaggio è dispiaciuto ad Anselmo.

 

            silvio             Garbata! Questa misleale m’ha tradito, ed abbandonato, ed ora procura di cercar di un’altra che mi ami?[55]

 

            anselmo        Si vede ch’è tutta carità verso il prossimo.

 

110      silvio             E dovrò crederlo?

 

            anselmo        Neanche quel povero galantuomo d’Anselmo mio amico lo credeva ch’ella fusse di tal razza.

 

            silvio             Ma se arrivo a conoscer quell’Anselmo.

 

            anselmo        Che gli volete voi fare?

 

            silvio             Se arrivo a parlargli.

 

115      anselmo        Che gli volete voi dire?

 

            silvio             Quel che gli vo’ dire, eh?

 

            anselmo        Sì, di grazia?

 

            silvio             Che in casa sua si ricovra l’infedeltà, il tradimento.

 

            anselmo        State, che anch’egli lo dice.

 

120      silvio             Ch’egli fu genitor d’una furia, padre d’un demonio.

 

            anselmo        (a parte) (E ch’io lo credo ch’il mio figliuolo voglia diventar un demonio, almeno nel capo.)

 

            silvio             Basta, quest’è la sua casa?

 

            anselmo        Signorsì.

 

            silvio             Casa indegna, casa infame.

 

125      anselmo        (a parte) (Si comincia il panegirico di casa mia. Attenti.)

 

            silvio             Spelonca d’una tigre, che tanto ha il cuore quanto la pelle macchiato.

 

            anselmo        Bravo.

 

            silvio             Tana d’un basilisco, che affascina col guardo, e poi divora.

 

            anselmo        Buono.

 

130      silvio             Ricovro d’una sirena, che con gli accenti innamora, e dopo uccide.

 

            anselmo        Non si poteva dir più.

 

            silvio             Addio, galantuomo. (via)

 

            anselmo        Servitor suo. Canchero! Questo è scottato davvero. Poveraccio, compatisco lui, quanto compatisco me stesso. O che nuora m’è toccato! Misero me, sfortunato mio figliuolo! Ah non c’è rimedio! Il mal di colui al par del mio è uno zucchero; a lui passerà l’amore, e con l’amore il travaglio; a me resterà la vergogna, e colla vergogna, la rabbia. O ecco quel dolce intingolo del mio figliuolo.[56]

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Orazio e detto.

 

            orazio           Signor padre, buon giorno a vostra signoria.

 

            anselmo        Buondì, e buon anno.

 

            orazio           Siete molto sopraffatto? (a parte) (È in collera a conto del ritratto di Vanesio.)[57]

 

            anselmo        Ne ho troppa cagione.

 

5          orazio           Che c’è di nuovo?

 

            anselmo        Che c’è di nuovo, eh? Domandane a tua moglie.

 

            orazio           Che ha fatto mia moglie?

 

            anselmo        Che so io quel ch’ella abbia fatto, e quel ch’ella voglia fare. So ch’ell’è una gran frasca; e voglia il cielo che questa frasca non diventi un’insegna che faccia diventar la mia casa l’osteria del disonore.[58]

 

            orazio           Signor padre, con questi umor malinconici volete impazzar voi, e far perdere il cervello anche a me.

 

10        anselmo        Sta’ cheto, che tu non lo vuoi perdere, anzi lo vuoi ingrossare; io sì che morrò disperato.[59]

 

            orazio           Eh! Pensate a vivere.

 

            anselmo        Come, così travagliato?

 

            orazio           È una forza d’una mala impressione che così vi fa stare.

 

            anselmo        Così la discorre un pazzo come te.

 

15        orazio           Signor padre, vi compatisco, avete sposato la vostra opinione; e conosco che non v’è modo, con quante riprove possa addurvi, di cancellarla.

 

            anselmo        Che riprove e non riprove, dove parlano i fatti; tu non sai ogni cosa.

 

            orazio           Ditemi in grazia quel che non so.

 

            anselmo        Non volevo dirtelo; ma giacché me ne preghi, per tua maggior confusione, ti vo’ servire; ascolta.

 

            orazio           Ascolto.

 

20        anselmo        Ho trovato tua moglie con un ritratto d’uno zerbino.

 

            orazio           (a parte) (Vuol dire del ritratto di Vanesio, ho inteso.)

 

            anselmo        E se fusse d’uno ch’avessi a servir per lei, po’ poi non m’importava, pensaci tu; ma quel che m’è scottato, è ch’ella lo mostrava alla mia figliuola, e glielo lodava per un bel giovane, degno d’esser amato, e che ne tenesse conto. Io che vedo e sento ch’ella s’adopra per imbrattar dell’istessa sua pece la semplicità di quella colombina di Isabella, glielo strappo di mano.

 

            orazio           (a parte) (Così m’ha detto per appunto mia moglie.) E dov’è?

 

            anselmo        O s’io non so dov’io me lo sia scacciato, né dove si sia fitto: basta, credimi, che l’ho avuto in queste mani.

 

25        orazio           Ve lo credo; e così?

 

            anselmo        Esco fuori di casa, e vedo…

 

            orazio           Che cosa?

 

            anselmo        L’originale di quel ritratto.

 

            orazio           (a parte) (Ha visto quel matto di Vanesio.) E bene?

 

30        anselmo        Il quale, entrato meco in discorso, non credendo che io sia Anselmo…

 

            orazio           (a parte) (Giusto non lo conosce.)

 

            anselmo        Dopo vari riscontri fatti per accertarmi io s’egli era veramente colui ch’era dipinto, fingendomi un amico d’Anselmo, gli presi a confidare il travaglio, nel quale io era a causa di quella figura; egli turbatosi, e confessandola liberamente per sua, ha dato nelle scandescenze, perché è stato tradito essendo quella donna sua amata, e che gli aveva promesso fedeltà, e poi s’era con altri accasata; e s’è partito come un forsennato.

 

            orazio           (a parte) (In altro modo non poteva partir Vanesio.) Avete altro da dirmi?

 

            anselmo        Che ti par poco?

 

35        orazio           Anzi nulla.

 

            anselmo        Nulla eh?

 

            orazio           Nulla, sì; e che ne cavate da tutto questo?

 

            anselmo        Quel ch’io ne cavo? Che tua moglie sia una donna o che poco stimi il decoro, o che abbia poco cervello, e che voglia indurre altri ad esser com’ella. Ma ad Isabella ci rimedierò con rimetterla ben presto dalla zia; a Leonora ci lascerò rimediare a te, se tu vorrai o saprai, perché a me non tocca; me n’andrò in villa a morir colla mia quiete all’antica, e lascerò viver te alla moderna in quella pace, della quale gode chi è come te nella lista de’ mariti balordi.

 

            orazio           Signor padre, io non posso replicarvi come vorrei, perché l’oppormi a’ vostri detti sarebbe un perdervi quella riverenza, ch’io sempre son per avervi da figliuolo. Solo vi dirò che conosco mia moglie, che forse è dotata di mente più semplice e di più pura intenzione che non è la mia buona sorella.

 

40        anselmo        Orsù tu hai sciolto, figliuol mio. Di’ il vero, questa tua moglie è qualche strega, la t’ha ammaliato; fuss’ella un terzo men buona di quel ch’è la tua sorella, che io me ne contenterei. Basta, l’esperienza sarà maestra di tutte le cose.

 

            orazio           Questa v’insegnerà a discernere il vero dalla menzogna.

 

            anselmo        Questa lezione imparala ancor tu.

 

            orazio           L’ho già imparata; la riverisco. (via)

 

            anselmo        Io credo che tu faccia un giudizio temerario; tu credi d’essere in queste materie un dottore, e tu vuo’ essere un bue. Gran cecità, o per meglio dire ostinazione nel mal operare, che è questa al presente. Il mio figliuolo, seguitando lo stile di molti simili a lui, non so con qual dottrina vuol temerariamente sostenere il male operare per indifferente e per buono; s’adira con me, che il riprendo; e mi taccia d’indiscreto, d’ignorante e di malcreato. O queste son cose da dar la volta al canto; il vizio dee per forza passar per brio e per galanteria, e quasi sto per dir per virtù; e chi dice in contrario, è una linguaccia, un mormoratore, un plebeo. Voglio andar in casa a discredermi colla mia amata e buona figliuola.[60]

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Vanesio e detto.

 

            vanesio         Zì, .

 

            anselmo        Dice a me?

 

            vanesio         Sì a voi; non serrate la porta.

 

            anselmo        O perché?

 

5          vanesio         Perché io voglio là dentro portarmi.

 

            anselmo        O scusi.

 

            vanesio         Siete di casa?

 

            anselmo        Signorsì, son di casa.

 

            vanesio         La signora è fuori?

 

10        anselmo        Non so dire a Vossignoria; ma credo di no.

 

            vanesio         V’è alcuno da lei?

 

            anselmo        Non vi dovrebbe esser nessuno; poi se…

 

            vanesio         Con licenza. (entra in casa)

 

            anselmo        Si serva pure; mi meraviglio io. O questo è informato bene della mia casa; non ha fatto come quell’altro tant’interrogatori per saperla; costui è pratico più di me, la sa a chius’occhi: e viva. Questa non è la casa d’Anselmo, è la casa della comunità. (entra)

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Meo solo.

 

                                   Sempre il servire fu una mala minestra; ma chi poi serve un padrone povero e pazzo merita di diventar più povero e più pazzo di lui; così, merito io, che servo questo signor Vanesio, con riverenza parlando, ch’è più pazzo della Fiorina, che andava la notte sui prati a sonare il cembolo a’ grilli perché saltassero. Si crede d’essere un bel suggetto, e che tutte le donne, appena che lo veggono, caschin morte per le sue ladre bellezze. Favella in punta di forchetta, e dice le cose con certe sue parole spropositate, che io non ne raccapezzo mai straccio. Entra per tutte le conversazioni: e chi gli fa una bischenca, e chi un’altra: ed egli se le succia e le piglia per favori e per giuochi amorosi. Queste donne se ne servono per balocco, come fanno i ragazzi delle bambole e de’ fantocci; e di più lo pelano, ed egli sta alla passione; è strapazzato e regala e paga veramente il boia che lo frusta. A questa cagione ha più debiti che la lepre; e si diletta di non pagar nessuno; e mi dà una ragione filosofica, che mi quadra: dice che non è tenuto a pagare, perché non ha quattrini. Qui non c’è replica; ma io brevemente soggiungo con questo argomento e dico: «Signor padrone, dunque, perché volete voi spendere se voi non avete quattrini?» E lui ripiglia con enfasi: «I par mia debbono spendere.» «O spendete il vostro, e non quel degli altri, canchero vi mangi», replico io con tutta carità; sì, e lui forbice. Di qui ne viene, che a ogni poco c’è picchiato l’uscio, e vengon certi viglietti, ora grandi, ora piccoli: e il padrone tarocca più a quei piccoli, che a quei grandi. Bisogna che sieno scritti peggio e concludin più, perché dopo avuti uno o due di quei fogliolini, una volta ci fu sgomberato la roba senz’aver a cercar di casa; ed un’altra il padrone restò rattrappito, perché e’ si ritirò. Stamani son comparsi quattro letteroni, e tutti di personaggi grandi. Dicon che son tutti conti; e un altro me n’è stato dato adesso caldo caldo da un ebreo, che è il suo guardaroba: e non v’è pericolo che il padrone possa perder nulla, perché l’ebreo m’ha detto che tutta la roba ch’egli ha addosso è inventariata su questo foglio.[61]

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Silvio e detto.

 

            silvio             Pur torno a rivedervi odiate mura, che in voi racchiudete la prima cagion de’ miei mali.

 

            meo                (da sé vedendo Vanesio) (O ecco il padrone.)

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Vanesio che esce di casa d’Anselmo, Meo, e Silvio da parte.

 

            vanesio         Ho consegnati i teneri sensi de’ miei nascenti amori per Isabella al patrocinio gentile di Leonora. Ella oratrice eloquente, a mio favore comparirà davanti al tribunale di quella sovrumana bellezza, renderà preziose le mie suppliche coll’aurea facondia dell’argentina sua voce; ond’Isabella non possa a meno di non benignamente ricevere, e di non isprigionare da’ porporini ceppi de’ suoi bei labbri un favorevol rescritto; sicché ne succeda che sia Isabella mia consorte.

 

            silvio             (a parte) (Isabella mia consorte! Che vuoi di più Silvio infelice; ecco il marito d’Isabella, il possessor d’ogni mio bene che esce di casa d’Anselmo. Ne volevi più certa riprova? Fuggi per minor tuo tormento da sì funesta veduta.) (via)

 

            meo                Signor padrone, buondì a Vossignoria.

 

            vanesio         Mi ha soggiunto Leonora che alle preghiere, che ella sarà per porgere ad Isabella a mio nome in voce, unisca le mie in carta, per muoverla con doppio assalto alla resa del suo amore. Così farò, inciderò con pennuto scalpello sovra foglio d’avorio caratteri d’ebano, e adornandoli d’espressioni amorose, e seminandogli di sospiri di fuoco, farò diventar quella carta in cotal modo incantata che, con occulta magnetica violenza, induca Isabella a porvi l’occhio per leggerne attenta lo scritto e in un disponga la mente ad amar lo scrittore.

 

5          meo                E di nuovo da quest’altra parte; buondì a Vossignoria.

 

            vanesio         Abbian pazienza tant’altre belle s’io l’abbandono; so che i mobili cieli di lor pupille, spargeranno piogge perenni d’amaro pianto, così facendo liquidi funerali al mio per loro defunto amore; ma si consolino, perché la mia cortesia e la mia gentilezza in servirle conserverassi ciononostante verso di loro propensa; ma questo core…

 

            meo                Ma questo conto…

 

            vanesio         È d’Isabella…

 

            meo                È dell’ebreo…

 

10        vanesio         Ella in questo giorno…

 

            meo                Egli in questo punto…

 

            vanesio         Me l’ha rapito.

 

            meo                Ve l’ha mandato.

 

            vanesio         E chiaro favella il suo bel volto.

 

15        meo                E dice apertamente quel brutto ceffo.

 

            vanesio         Ch’io pensi a non riaverlo giammai.

 

            meo                Che voi pensiate a pagarlo una volta.

 

            vanesio         Misero cuore.

 

            meo                Povero ebreo.

 

20        vanesio         Quanto sarai tormentato?

 

            meo                Quando sarai pagato?

 

            vanesio         Sempre.

 

            meo                Mai.

 

            vanesio         Ma pure io spero che alla fine…

 

25        meo                E pure io credo che da ultimo…

 

            vanesio         Impaziente Vanesio.

 

            meo                Disperato Merdacai.[62]

 

            vanesio         Ricorrerà a Cupido.

 

            meo                Anderà alla Mercanzia.[63]

 

30        vanesio         E genuflesso avanti a quella deità.

 

            meo                E arrivato in quel luogo pio.

 

            vanesio         Invocherà quel nume benigno.

 

            meo                Chiamerà un birro maligno.

 

            vanesio         Perché gli faccia rendere il suo cuore.

 

35        meo                Perché lo faccia pagar del suo avere.

 

            vanesio         Così si faccia.

 

            meo                Così farà certo.

 

            vanesio         Chi?

 

            meo                L’ebreo, se voi non lo pagate.

 

40        vanesio         Che dici?

 

            meo                Dico che l’ebreo vi manda questo conto; e son due ore, ch’io vi dico che vuol esser pagato.

 

            vanesio         E questo indegno ha avuto tanto ardire? Ho inteso, so quel ch’ei vuole.

 

            meo                Lo so anch’io quel che vuole, esser pagato.

 

            vanesio         Con due mazzate l’aggiusto.

 

45        meo                O non occorreva che voi lo facessi aspettar tanto, se voi lo volevi pagar di cotesta moneta.

 

            vanesio         Simili bricconi vanno pagati così. (via)

 

            meo                O vo’ ve n’andrete in bastonate, perché di questi bricconi voi n’avete un rubbio. Avevo pensato appiè di questo conto d’aggiugnervi il mio salario; ma se questo signore salda i conti colle mazzate, i’ ho caro di tener conto acceso. Non m’ha detto ch’io vada seco; se mi vorrà mi chiamerà, e non sarà poco s’i’ andrò allora. Ero venuto qui per veder Lisetta, mia dilettissima, e consolare almeno gli occhi colla di lei vista. Il padrone ed io siamo due cicisbei affamati, che ci paschiamo d’occhiate; e se queste empissero il corpo, non ci sarebbero i più grassi di noi. Ma almeno in questa faccenda mi par di star meglio del padrone, perché lui è minchionato, e io no, o almeno non lo credo. Ma e’ non lo crede neanche lui; sicché noi sarem del pari. O ecco la ladra, che appunto è sull’uscio di casa. Buon giorno, Lisetta bellissima.[64]

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Lisetta e detto.

 

            lisetta           Oh, che nuova, Meo mio, ch’è tanto ch’io non t’ho visto?

 

            meo                Io è un pezzo che non ho fatto la giostra colle lance de’ miei sguardi nel bianco saracino del tuo bel volto.[65]

 

            lisetta           Uh che belle parole! Si vede che tu e il tuo padrone avete studiato nel medesimo libro.

 

            meo                Che ti pare ch’io sia sguaiato quanto lui?

 

5          lisetta           Non dico tanto; ma ve’, siete tutt’a due spiritosi.[66]

 

            meo                Io credo che tra poco di spiritoso diventerò spiritato, perché spirito dalla fame.

 

            lisetta           È vergogna in un innamorato l’aver fame.

 

            meo                E io credeva ch’ella fusse usanza.

 

            lisetta           Ma il tuo padrone, che non ti dà mangiare?

 

10        meo                Non me lo dà, e non me lo deve dare.

 

            lisetta           O perché?

 

            meo                Perché non ista bene che il padrone dia mangiare al servitore; e il servitore non si curerebbe di tante cirimonie, mangerebbe da sé, se n’avesse.

 

            lisetta           Ma chiedilo al padrone; non ho voluto dir che t’imbocchi, quando t’ho detto se ti dà mangiare.

 

            meo                O bene, ch’occorre chiedere, se non ha per sé.

 

15        lisetta           O ch’è povero? Veggo pur che gli sciala a abiti e a parrucche.

 

            meo                O sì sì, quant’all’apparenza la va bene, ma non v’è sostanza, son tutti accidenti.

 

            lisetta           Come tutti accidenti, io non t’intendo?

 

            meo                Ecco; tu lo vedi con un abito nuovo e gallonato.

 

            lisetta           Bene.

 

20        meo                Quell’è un accidente.

 

            lisetta           Perché è un accidente?

 

            meo                Quanto dura un accidente? Un giorno, due?

 

            lisetta           Non tanto, che si morrebbe.

 

            meo                O così dura quel vestito, un giorno o due.

 

25        lisetta           O perché?

 

            meo                Perché lo deve rendere, e ne piglia un altro; ecco un altro accidente.

 

            lisetta           O che se gli fa prestare?

 

            meo                Madonna no, gli piglia a pigione.[67]

 

            lisetta           Da quanto in qua si pigliano i vestiti a pigione?

 

30        meo                Sentite voi! Come si piglian le case?

 

            lisetta           Ma c’è differenza da pigliare una casa a pigione, a un vestito; la casa s’abita.

 

            meo                E il vestito non s’abita? Non vi sta dentro la persona? E per questo si chiama abito.

 

            lisetta           Tu hai ragione.

 

            meo                Ma gli è ben vero, che non paga mai né la pigion della casa, né quella del vestito. E l’ebreo tarocca; ecco qui, carta canta.

 

35        lisetta           O povero Meo, tu sei acconcio.[68]

 

            meo                Pel dì delle feste, non dubitare.

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Anselmo alla finestra e detti

 

            anselmo        (a parte) (O la donna di camera, che ha scrupolo ad affacciarsi alla sala, è fuor dell’uscio da via anch’ella col cicisbeo. O pover’a me!)

 

            meo                Ringrazia il cielo tu, Lisetta, che stai ’n una buona casa.

 

            lisetta           Io certo sto bene con questa padrona ch’è un angiolo amorevole, allegra.

 

            anselmo        (a parte) (O ell’è allegra un po’ troppo.)

 

5          lisetta           E il signor Orazio, che giovane d’oro!

 

            anselmo        (a parte) (O egli è d’oro davvero, me ne sent’io.)

 

            lisetta           Ma c’è ritornata quella bizzoca d’Isabella, ch’è una segrenna.[69]

 

            anselmo        (a parte) (Eh questa ha il malanno, lo sapevo.)

 

            lisetta           Quel vecchio poi è un uomo sospettoso, dispettoso, insolente, sofistico, egli ha il diavolo addosso.

 

10        anselmo        (a parte) (E tu l’inferno, carogna di sette cotte; ora vengo a basso.)

 

            meo                Sicché ognuno ha il suo osso da rodere; ma se tu mi vuoi bene…

 

            lisetta           Sicuro che te ne voglio.

 

            meo                Saremo marito e moglie.

 

            lisetta           Questo è quel ch’io desidero.

 

15        meo                Vo’ che n’apriamo un po’ di bottega.

 

            lisetta           Giusto, e campar colle nostre fatiche; ma che mestiero ti vorresti tu metter a fare?

 

            meo                Già ci ho pensato; mi vo’ metter a fare il becchino; e tu farai la levatrice.

 

            lisetta           Uh, che mestieri t’hai scelto!

 

            meo                Buonissimi; perché essendo il più delle volte sottoposto l’uomo a nascere e a morire, in tutti i modi noi averemo de’ bottegai; io per un verso, e tu per un altro.[70]

 

20        lisetta           Facciamo quel che tu vuoi; purché si lasci questo maladetto servire.

 

                                   (Anselmo esce di casa e si pone in mezzo di loro non veduto)

 

            meo                O questo è il mestieraccio davvero.

 

            lisetta           Che possa scoppiar chi lo trovò.

 

            meo                Non vo’ già che scoppiam noi, perché voglio che lo lasciamo.

 

            lisetta           Mai più.

 

25        meo                E i padroni per la nostra parte vadano a farsi servir dal boia.

 

            lisetta           Quanti sono: e cominciar da questo… (si volta e vede Anselmo)

 

            anselmo        Da chi?

 

            lisetta           Riverisco Vossignoria. (entra in casa)

 

            anselmo        Servo di Vossignoria.

 

30        meo                Fo reverenza a Vossignoria. (via)

 

            anselmo        Bacio le mani a Vossignoria. Furfantacci, malnati, bricconi, ribaldi; malevoli de’ padroni, canaglia stipendiata per nostro danno, inimici domestici, dissipatori della nostra roba, banditori de’ nostri fatti, salariati maldicenti delle nostre azioni; gente piena di vizi, ingrata, ghiotta, indiscreta, arrogante, impertinente, capona.[71]

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Silvio e detto.

 

            silvio             Galantuomo, ancora intorno a quell’indegna casa pur vi ritrovo.

 

            anselmo        Per mia disgrazia.

 

            silvio             Lì v’abita un mostro.

 

            anselmo        Vi son tutti i malanni.

 

5          silvio             Lì sta colei che mi tradì.

 

            anselmo        Che volete voi fare? Anselmo è stato tradito peggio di voi.

 

            silvio             Da chi? Da quell’infida?

 

            anselmo        Da quella.

 

            silvio             Pover’uomo!

 

10        anselmo        Pover’uomo più che voi non dite.

 

            silvio             L’avete a rivedere?[72]

 

            anselmo        L’avrei a rivedere in breve.

 

            silvio             Tenete. (gli dà il ritratto d’Isabella)

 

            anselmo        Che scatoletta è questa?

 

15        silvio            Qui c’è il ritratto ch’io feci fare di quella traditrice, quali io conservavo con quella stima sì grande, come poc’anzi vi dissi; pertanto, se trovate il signor Anselmo, fatemi grazia di dirgli da mia parte.

 

            anselmo        Che cosa?

 

            silvio             Che tradito dall’originale, in tal foggia gli rimando il ritratto, che non mi serve ad altro che a rimirar una furia crudele che sotto angeliche sembianze ebbe cuor di tradirmi; pregatelo che gliele mostri, acciò ella il riconosca, e riconosca se stessa per mancatora di quella fede, di cui questa muta effigie l’accusa. Ed io, libero dalla orrida visione di questo aspetto, voglio ritornarmene alla patria a goder quella pace, che in questa città ho miseramente perduta. Mi farete questo favore?

 

            anselmo        Volentieri vi servirò; ammiro la vostra prudente resoluzione, e commendo il vostro degno proposito; così potesse fare il marito di costei, di disfarsi dell’originale, come fate voi del ritratto.

 

            silvio             Quanto lo compatisco, perché sarà infedele anche a lui.

 

20        anselmo        E io lo compatisco più di voi; ma per lui non c’è rimedio.

 

            silvio             L’ho veduto il miserabile.

 

            anselmo        Ma se non lo conoscete?

 

            silvio             L’ho imparato a conoscere, perché l’ho visto uscir di quella casa, e gli ho sentito dir di sua bocca che ella è sua consorte.

 

            anselmo        Di grazia, ne mandi il bando, perch’ognun lo sappia scimunito.

 

25        silvio             Caro amico, v’abbraccio.

 

            anselmo        V’abbraccio ancor io.

 

            silvio             E senza bramar di sapere chi siate, perché purtroppo vi conosco.

 

            anselmo        Mi conoscete?

 

            silvio             Vi conosco per un uomo onorato, per un amico sincero, e tanto mi basta.

 

30        anselmo        Così ho sempre bramato d’essere; ed io ancora ho acquistato cognizione di voi.

 

            silvio             E chi vi ha palesato ch’io sono?

 

            anselmo        Il senno che voi mostrate, e l’espediente che prendete, mi dicono che siete un giovane molto sensato e giudizioso.

 

            silvio             Così sarebbe di mestieri ch’io fussi.

 

            anselmo        Però non ho curiosità di aver di voi cognizione maggiore.

 

35        silvio             Non vi curate maggiormente conoscermi; che il conoscere gli sventurati non è divertimento, è travaglio. Ritornerò alla mia patria, dove potrò dire per esperienza che le donne di questo clima son belle e spiritose, ma altrettanto menzognere ’nfedeli e spergiure. (via)

 

            anselmo        L’elogio è stato fatto per bilancio, ma il dare è più un terzo dell’avere. Povero giovane, di verità è degno di compassione; ma che carogna è costei, innamorarsi di tutti! Col mio figliuolo faceva la cascamorta a una foggia, che si sarebbe creduto che ella non avesse visto altro uomo che lui. E pure manteneva amori così sviscerati con questo forestiero. E s’io dico ch’ell’è una donna diabolica; chi sa ch’ella non sia innamorata ancora di mezzo mondo, bench’ell’abbia marito? Vo’ veder questo ritratto per isfogarmi almen seco, giacché con Leonora vuol la prudenza ch’io vegga, stia cheto, e ingozzi. (apre la scatoletta) O corpo d’Epaminonda! Questo non è il ritratto della mia nuora; ma è il ritratto d’Isabella mia figliuola; o questo è altro che chiacchiere. Eh signor forestiero? Signor forestiero? Sì, egli è costì, che cova. O pover’a me, quest’è il ritratto della mia figliuola senz’altro. (cava gli occhiali) Peggio, egli è lui più che mai. O povero Anselmo! Può egli stare che la mia figliuola sì savia abbia dato in queste pazzie![73]

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Meo con lettera e detto.

 

            meo                O di casa?

 

            anselmo        (a parte) (O ecco quel servitoraccio di dianzi che picchia alla mia casa. Mi ritiro a vedere anche questa.)

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Lisetta di dentro e detti.

 

            lisetta           (dentro) Chi è?

 

            meo                Il portalettere.

 

            anselmo        (da sé) (Portalettere!) (s’accosta dietro a Meo)

 

            lisetta           (dentro) O Meo garbatissimo, ora vengo.

 

5          meo                Vien pure. Che bella lettera è mai questa; credo che il mio padrone ci abbia scritto dentro le belle cose. O s’io sapessi leggere. (Anselmo piglia la lettera a Meo)

 

            anselmo        La servirò io.

 

            meo                O padrone.

 

            anselmo        Ah furbo, torcimanno vituperoso, sensale iniquo, se’ qui di nuovo, eh? Fuggi da questo luogo, e se più ci torni, ti vo’ fiaccar le braccia con un bastone.[74]

 

            meo                Resto molto tenuto alla sua gentilezza. (via)

 

10        lisetta           (all’uscio) Eccomi Meo…

 

            anselmo        Che vuoi mezzana amorosa, ambasciatrice scimunita?

 

            lisetta           La sua buona grazia. (via)

 

            anselmo        Questa lettera va alla mia nuora senz’altro. O casa mia, un tempo albergo della ritiratezza e della modestia; ora divenuta pubblica locanda di passeggeri, e ridotto di sfaccendati. Vedrò chi scrive a questa mia nuora garbata; ma prima leggiamo la soprascritta. «Alla Signora Isabella nume celeste in terra adorato. Come? Alla Signora Isabella», quest’è mia figliuola, non è mia nuora. «Alla Signora Isabella». Dice Isabella in questa lettera, come dice Isabella in questo ritratto. Che metamorfosi son queste? La mia figliuola è più buona ch’io non credevo, perché al vedere ella piace a più d’uno. O disgraziato Anselmo, mentre credo la nuora poco savia, trovo del tutto pazza la figliuola; la stimo una solitaria e la scorgo provvista di più amanti; un che ne tiene il ritratto; un che seco carteggia. Non maraviglia che a quel forestiero pareva strano ch’ella fusse maritata, aveva ragione; io buon uomo, pensavo che discorresse di Leonora, ed egli d’Isabella intendeva. O mondo più che mai rincattivito, non si può più credere a nessuno; la malizia sotto il mantello della bontà si nasconde; la malignità passa coperta di zelo; la dissolutezza va vestita da brio: e con questa bella mascherata, alla barba de’ balordi, e a dispetto degli accorti, ogni vizio trionfa, ogni virtù si calpesta. Vo’ entrare in casa e pigliar la granata; vo’ cacciar fuori la nuora col suo marito, riserrar la figliuola, bastonar la serva, e mandare al barone quanta canaglia v’è dentro. (entra in casa furioso)[75]

 

 

                                    SCENA XIII

 

                                   Camera d’Anselmo.

 

                                    Isabella sola.

 

                                   L’impazienza di saper nuove del mio Silvio così mi tormenta, che ogn’altro martire reputo a questo inferiore. Insomma la lontananza dell’oggetto amato in chi ben ama, non salda l’amorosa piaga, ma viepiù l’incrudelisce ed esacerba; e se il dolce lenitivo della speranza che ho del suo vicino ritorno non ne mitigasse il dolore, a quest’ora si sarebbe resa incurabile, ed io morrei disperata. Ah, che in me verissimo provo che

                                                           «troppo angusto vaso è debil core

                                                           a traboccante amore.»[76]

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Anselmo e detta.

 

            anselmo        Signora figliuola, molto pensosa? quest’afflizione di non ritornare dalla tua zia, si vede che ti tormenta.

 

            isabella         Lo potete credere, signor padre, io non ho altro pensiero che di riveder quella buona donna.

 

            anselmo        Non hai altro pensiero che di riveder quella buona donna, eh? Oh pinzochera falsa, ipocritona finissima; o tu sei di quei suggetti alla moda, che voi gli credete all’aspetto il tipo dell’innocenza, e sono il prototipo della furfanteria. Questa figurina dipinta la riconosci?

 

            isabella         (a parte) (O cielo, questo è il mio ritratto che fece far Silvio; come in mano a mio padre!)

 

5          anselmo        Non occorre bollir fra’ denti, e guardar la soffitta. È vostra quella figura?[77]

 

            isabella         Signorsì.

 

            anselmo        Signorsì, o manco male. E questa lettera a chi va? Legga di grazia, e legga che s’intenda.

 

            isabella         «Alla signora Isabella…»

 

            anselmo        Forte, ch’io son sordo.

 

10        isabella         (legge) «Alla Signora Isabella mio nume celeste…»

 

            anselmo        O ti vo’ dare il nume celeste e l’idolo turchino. Che dite voi, scrupolosissima abitatrice del mondo? un amante ha il vostro ritratto, un altro ha il vostro carteggio; il terzo che averà? Questo è il gastigo della vanagloria che i’ avevo per una figliuola che supponevo fra poco dovesse far miracoli. O va’ fidati di certe paroline melate, profferite da certe bocche strette, che paion fessi di salvadanai: «Signor padre vorrei ritornare dalla zia, perché fuori di sua casa mi par d’essere un pesce fuori dell’acqua.» Che tu mi sia rubata; ma non c’è questo pericolo, perché tu, a quel ch’io veggo, non ti lascerai rubare, ti doneresti.[78]

 

            isabella         (a parte) (Non ti smarrire mio cuore; già il carattere non è del mio Silvio.) Signor padre, io sopporto quanto mi dite, perché vi conosco sopraffatto dall’ira, e che la ragione da quella oppressa non può mostrare il suo vigore per farvi ben distinguere il vero dal falso.

 

            anselmo        Come distinguere il vero dal falso? Qui che c’è da scambiare, eh? Questa lettera a chi è diretta?

 

            isabella         A me è diretta.

 

15        anselmo        O sia ringraziato Aristotile.

 

            isabella         Ma io che ci ho a che fare in questo?

 

            anselmo        Che ci hai che fare, eh? Ti darei pur di cuore un tempione.[79]

 

            isabella         Ma signor padre, che non volete che io difenda la mia innocenza?

 

            anselmo        Innocenza? O povera innocenza tu sei ben condotta!

 

20        isabella         Ditemi, signor padre, che posso tenere un temerario che non mi scriva?

 

            anselmo        Eh madonna mia, non s’ arriva a scrivere a una fanciulla da chi non ha confidenza precedente di poterlo fare.

 

            isabella         Ma leggete voi medesimo la lettera, e si vedrà chi è questo ardito, o pazzo che scrive.

 

            anselmo        Questo si può fare. (apre la lettera e legge) «Bellissima dilaniatrice del mio cuore.»

 

            isabella         (a parte) (Orsù riconosco la frase.) Vedete chi si sottoscrive. (a parte) (Questo è quel matto di Vanesio; son franca.)

 

25        anselmo        (legge) «Vanesio, il più fervido adoratore del vostro bello.» Bello sguaiato. Questi è quel suggetto, che viene in casa.

 

            isabella         Sì signore, questi è quello, che avendomi veduta appena una volta con mia cognata, facendo il grazioso al suo solito con quante vede, non ha voluto – com’ella m’asserì – al vedere privar me di tant’onore. Il contenuto della lettera sarà qualche bella cosa.

 

            anselmo        Non ho altra curiosità di vederla; il nome dell’autore me l’ha fatta perdere; tieni, te la dono.

 

            isabella         (straccia la lettera in due parti) Vanne in pezzi foglio importuno, che hai potuto farmi cadere dall’affetto dell’amato mio genitore. (la getta via)

 

            anselmo        In questa parte tu hai ragione, e ti credo, perché ancor io ho notizia pienissima di questo suggetto: e ti vorrei, non rimandare dalla Niccolosa, ma cacciare ne’ pazzerelli, se tu ne fussi innamorata; se però tu non facessi, com’è il solito delle donne, che per lo più s’attaccano al peggio.[80]

 

30        isabella         Io non son sì priva di senno.

 

            anselmo        Ora tutto bene sin qui, ma quanto al ritratto? Questa è dura a smaltire: è egli  tuo?

 

            isabella         Così mi pare, e mi somiglia anche bene.

 

            anselmo        O nome del cielo.

 

            isabella         Ma di che per ciò mi potete incolpare?

 

35        anselmo        Anche qui tu non ci hai che fare. O chi l’ha dato a colui che l’aveva?

 

            isabella         Che volete che io sappia? Io certo non gliel’ho dato, perché non l’ho mai avuto nelle mani, se non ora da voi.

 

            anselmo        Se io t’avessi a credere, ogni cosa sarebbe aggiustata; ma bisogna accordare il resto.

 

            isabella         Questo è quel che io bramo per totalmente sincerarmi.

 

            anselmo        O ci vuol che ugnere. In primis, chi aveva questo ritratto ha detto che tu avevi il suo.[81]

 

40        isabella         Io avevo il suo? Mi meraviglio di lui; in mia mano effigie d’uomini, o cielo è egli possibile!

 

            anselmo        Ma qui veramente ha detto una bugia, perché il suo ritratto lo aveva Leonora, che io veddi, e glielo levai di mano nell’atto appunto che te lo voleva dare.

 

            isabella         Ah quel ritratto, che mi mostrò Leonora è quello di quel vantatore che teneva il mio? A dire! Uh che cose!

 

            anselmo        Certo io l’ho riconosciuto, ed egli l’ha confermato.

 

            isabella         Vedete signor padre, chi è bugiardo in una cosa lo è in tutte l’altre. (a parte) (Oimè, Silvio è tornato, ed ha trovato mio padre.)

 

45        anselmo        Bel bello, non ti attaccare. Disse che tu gli avevi giurato corrispondenza, e poi l’hai tradito.[82]

 

            isabella         Io non ho tradito nessuno. (a parte) (Come può mai dir questo?) E che cause allega perché io l’abbia tradito?

 

            anselmo        Coll’essere sposa di un altro.

 

            isabella         Io non so d’essere sposa d’alcuno.

 

            anselmo        Egli è vero.

 

50        isabella         Dunque non dice di me.

 

            anselmo        Sicuro voleva intender di Leonora, ch’è maritata, ed era sua dama; oltre di che, mi disse infino d’aver visto il di lei marito, e perciò se ne volev’ir per disperato.

 

            isabella         Il mio marito non credo che poss’averlo veduto certo; dunque che ci ho che far io? (a parte) (Come sta questo equivoco!)

 

            anselmo        Tu hai ragione. Ma questo sguaiato se è innamorato di Leonora, perché teneva il tuo ritratto dunque?

 

            isabella         Che volete ch’io sappia. Lo conosceste?

 

55        anselmo        Io no; neanch’egli conosce me.

 

            isabella         O come gli favellaste?

 

            anselmo        Trovatomi egli a caso per istrada, mi domandò di mia casa: io gliela insegnai, essendovi lì appunto vicino; ma tacqui l’esserne io il padrone, e mi finsi altra persona mia amica; e venuto in parole scopersi questo negozio. Ma come aveva dunque il tuo ritratto? Di dove l’ha egli cavato?

 

            isabella         L’avrà fatto fare alla macchia. Quanti ho sentito dir che ci sono, i quali hanno i ritratti di persone che esse non solo non sono state mai al naturale, ma nemmeno sanno di essere state ritratte.

 

            anselmo        Può stare, perché io veggo in oggi che la maggior parte di questi Narcisi hanno ne’ coperchi delle tabacchiere dipinti vari ritrattini di femmine, vestite talvolta in maniera così bizzarra, che dove più bisogna son del tutto spogliate, e non bastando loro di divertire il naso, vogliono nell’istesso tempo divertir anche l’occhio. Ma perché fidarlo a me, perch’io lo dessi ad Anselmo, che lo rendesse a colei che l’ha tradito e mostrarsene così appassionato?

 

60        isabella         Eh signor padre, questi è qualcuno che ha perduto il cervello.

 

            anselmo        Senti n’avea cera di pazzo; ma s’io lo ritrovo gli vo’ lavar il capo; la prima cosa gli vo’ render cotesto ritratto.

 

            isabella         Anzi questo dee restare in mia mano, signor padre mio: e come comportereste che il ritratto di vostra figliuola stesse in mano d’un giovanaccio sfrenato? Ed io, benché dipinta, potrei comportarmi nelle mani d’un uomo; uh uh, mi sento inorridire!

 

            anselmo        Tu parli bene figliuola mia, scusami; tienlo pure appresso di te; ma s’io trovo costui non potrò far di meno di non gli dire il fatto mio.

 

            isabella         No, caro ed amato genitore, non ne cercate; anzi, quando a sorte il troviate, sfuggitelo. È precetto de’ numi il perdonare l’offese, ed il sopportar con sofferenza le persone moleste; lasciatelo andare in buon’ora: anzi che io pregherò il cielo per lui, che gli faccia ottenere quanto desidero d’ottenere per me.[83]

 

65        anselmo        Questi son sentimenti che m’inteneriscono e mi fanno maggiormente conoscere quanto io a torto abbia dubitato di te.

 

            isabella         Dunque avete potuto di me sospettare, e avete fatto questo affronto alla mia innocenza?

 

            anselmo        Ah che vuoi tu: veder un giovanotto che ha il tuo ritratto, un altro che ti scrive lettere amorose, a che volevi tu in un tratto ch’io pensassi?

 

            isabella         A che avevate a pensare, eh? Ah signor padre, se la mia ritiratezza come in un monastero in compagnia di quella buona vecchia per tanto tempo; se l’assidua fatica di quella in educarmi, invece di far nascere in voi qualche buon concetto delle mie azioni, ha prodotto un effetto così diverso; eccomi a’ vostri piedi (s’inginocchia), seppellitemi di nuovo in quella casa; toglietemi per sempre dalla vostra presenza; ascondetemi dalla vostra vista, davanti a cui non son degna di mai più comparire, creduta rea di vani amori, di lesa onestà. (finge di piagnere)

 

            anselmo        Sta su figliuola mia; (piagne) uh uh; farò quel che tu vuoi; eccomi qui, (s’inginocchia) perdonami se io ho offeso la tua pudicizia con essere stato così ardito di dubitarne, o figliuola mia; uh uh.

 

70        isabella         Che fate signor padre? Voi in ginocchioni davanti alla figliuola rea? Rizzatevi.

 

            anselmo        Rizzati anche tu; uh uh.(si rizza)

 

            isabella         Mai non mi partirò dai vostri piedi se prima non mi assicurate d’avermi nel vostro cuore reso il luogo primiero.

 

            anselmo        Sie, sie; tu mi sei rientrata nel cuore più su che mai.[84]

 

            isabella         Davvero?

 

75        anselmo        Vuo’ tu ch’io bestemmi, perché tu lo creda; o via su.

 

            isabella         Vi credo senza di più; e questa credenza, ritornandomi lo spirito fuggitivo nel seno, mi dà vigore di quietarmi sul credere che non dubiterete mai più di vostra figlia.[85]

 

            anselmo        Mai più, non lo farò più, non v’è pericolo. Addio figliuola mia, voglimi bene.

 

            isabella         Assicuratemi voi del vostro, che del mio siete più che sicuro.

 

            anselmo        Addio, figliuola benedetta; uh uh. (via)

 

80        isabella         Ecco appresso il mio genitore con mio decoro saldato ogni conto; altro non mi resta che di vedere il mio Silvio, il quale, per quanto mio padre ho sentito, è in questa città ritornato, e da questa casa s’è lasciato vedere; molto recandomi meraviglia che egli di me dolendosi abbia consegnato a mio padre il mio ritratto. Qui c’è qualche intrigo nascoso, di cui con troppa premura ne bramo lo scioglimento; che farò? Scriverò a Silvio una lettera, né di alcuno di casa fidandomi pel sicuro recapito, starò sull’avviso, se di qua mai passasse e gliela getterò dalla finestra quando mi sia negato di potergli parlare da me stessa. Non vorrei già che volesse la mia sventura ch’egli veramente credendomi mancatora ed infedele, sdegnato e deluso, come asserisce mio padre, se ne fusse per sempre partito.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Lisetta e detta.

 

            lisetta           Signora Isabella?

 

            isabella         Che vuoi Lisetta?

 

            lisetta           Vien la signora Leonora.

 

            isabella         È padrona la signora Leonora.

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Leonora e dette.

 

            isabella         Signora Leonora, che manda l’imbasciata quando vuol passare in mia camera? Questo è un burlarmi.

 

            leonora        State cheta signora cognata carissima, che ho voluto assicurarmi di sapere se da voi c’era vostro padre, mio suocero.

 

            isabella         Adesso appunto s’è partito.

 

            leonora        O cielo sono stata prevenuta! Ci sono degli sconforti.

 

5          lisetta           E anche babbuschi. Il vecchio ha trovato in mano a Meo una lettera scrittavi dal signor Vanesio.[86]

 

            leonora        Il che tanto più mi dispiace, quanto che io sono stata cagione ch’egli l’abbia scritta.

 

            isabella         Se non v’è altro di peggio, a questo è già rimediato; la lettera di Vanesio eccola in terra stracciata.

 

            leonora        Chi ve l’ha portata?

 

            isabella         Mio padre medesimo.

 

10        lisetta           Vostro padre? O via, pover’uomo, s’accomoda.

 

            leonora        Come vostro padre?

 

            isabella         Vi dirò tutto.

 

            lisetta           Uh, la vo’ raccorre, e la leggerei pur volentieri s’i’ sapessi. (la raccoglie)

 

            leonora        Non può esser se non qualche composizione erudita al suo solito.

 

15        isabella         Ce ne possiam chiarire, ancor io ne ho la medesima curiosità. Anzi che io l’ho stracciata apposta solamente in due parti per poterla riunire e leggere con mio comodo. Leggetela signora Leonora di grazia.

 

            leonora        Tocca a leggerla a voi, a cui è diretta.

 

            lisetta           Uh sì, fate le cose per filo e per segno.

 

            isabella         Da’ qua Lisetta.

 

            lisetta           Tenga; uh le belle parole; io ci ho pur gusto a quelle maiuscole fatte con que’ ghirigori.

 

20        leonora        Chetati.

 

            isabella         (legge) «Bellissima dilaniatrice del mio cuore.»

 

            lisetta           Che dic’egli di levatrice?

 

            leonora        Taci scioccherella.

 

            isabella         (legge) «Appena osai trasformarmi nella foriera di Giove, volante regina de’ pennuti, e fissar le malaccorte pupille nel fulgido sole del vostro volto bellissimo, che mal reggendo a tanta luce la vista, restai cieca talpa.»[87]

 

25        lisetta           O l’è bella.

 

            leonora        Più che tu non dici.

 

            lisetta           Ma io non ho inteso nulla ancora, seguitate.

 

            isabella         (legge) «Icaro sfortunato, mal fornito di meriti, tentai con ali di cera sollevarmi tropp’alto verso di voi, o lucidissimo re de’ pianeti.»

 

            lisetta           Chi è egli il re delle pianete?

 

30        leonora        Non interrompere.

 

            isabella         (legge) «Che struttesi e liquefatte da’ potentissimi ardenti rai de’ vostri lumi celesti.»

 

            lisetta           O bel colore; io n’ho sempre avuto voglia d’una sottana celeste.

 

            isabella         (legge) «Con irreparabil caduta nel profondo oceano della confusione son già naufragante.»

 

            leonora        Bene davvero; questo è un alto stile.

 

35        lisetta           Sarà quello che si sale per cavare i paperi.[88]

 

            isabella         (legge) «Ma sorgerò qual Anteo novello ad ogni piccol cenno di gradimento.» Qui è dov’ei s’inganna.[89]

 

            leonora        Non gli vuol giugner nuovo; con tutte ha avuta l’istessa fortuna.

 

            isabella         (legge) «Ed un vostro benigno sguardo sarà il Prometeo per me felice che vibrando una viva scintilla dal bel complesso di tanti splendori, che vi adornano, animerà il simulacro di questo misero cuore, che esanime stassi nel mio petto racchiuso.»

 

            lisetta           Poh! Chi intendessi la lingua latina, bisogna pur che dica bene.

 

40        leonora        Anzi questa è lingua volgare.

 

            lisetta           Ma io non intendo.

 

            isabella         Questa è la meraviglia maggiore. (legge) «Il vostro consenso sarà il Radamanto, che darà la sentenza definitiva per far viver lieta quest’alma negli Elisi della corrispondenza, o per farla morire in Lete sommersa: e resto dichiarandomi con gli spiriti impinguati per ogni dove dell’umilissimo ossequio, il più fervido adoratore del vostro bello. Vanesio.»[90]

 

            leonora        Di grazia, datemi questo foglio, che voglio mostrarlo ad Orazio.

 

            isabella         Servitevi pure. (dà la lettera)

 

45        leonora        Non si può dir meglio.

 

            isabella         Non si può sentir peggio.

 

            lisetta           Che damo di garbo. Meo non me l’avrebbe saputa scrivere una lettera a questa foggia, ch’i’ me ne sarei andata in broda di succiole.[91]

 

            leonora        E pure dal padrone doverebbe avere imparato qualcosa.

 

            lisetta           Eh s’egli è un asino.

 

50        isabella         Non è tuo amante?

 

            lisetta           O signora sì, non sent’ella com’io ne parlo con confidenza.

 

            isabella         Ma si lasci questo svenevole, e torniamo a quel che sopr’ogn’altra cosa m’importa. Io non vedendo comparire il mio Silvio, né sapendone nuove, provava non piccolo affanno; quando comparve in camera mio padre, dal discorso del quale compresi che Silvio è tornato; onde non può fare – con tutto che forse io ne tema – che non passi da questa casa, che a lui benissimo è nota.

 

            leonora        O chi gliel’ha insegnata? Quella vicina sua parente?

 

            isabella         Non lo so, e può anch’essere; so bene, che poi non ritrovandola ne domandò a mio padre, da lui non conosciuto per tale, che gliela insegnò –com’egli mi disse – per chiarirsi di quello che Silvio pretendesse dalla medesima, vedendolo intorno ad essa soffermato.

 

55        lisetta           Onorato vecchio, questo leva le brighe alla servitù.

 

            leonora        Ora che volete fare?

 

            isabella         Ho deliberato di scriver a Silvio una lettera, stare alla finestra, e da una fessura star attenta se passa, e scorgendo il tempo opportuno di non esser da altri osservata, fargli un cenno, e gettargliela.

 

            lisetta           A questo modo voi farete ogni cosa da voi.

 

            leonora        Dice bene Lisetta, voi scriverete la lettera, e voi la recapiterete.

 

60        lisetta           O che non vi servirei io.

 

            isabella         I tuoi recapiti non voglio, che come quelli di Meo sian soggetti a disgrazie; oltre di che, se vedrò di non essere osservata ho anche grave necessità di parlargli. Se però voi l’approvate, signora cognata mia cara.

 

            leonora        Mi maraviglio di voi, fate pure, per quanto veggo siete scaltrita in modo che intendete benissimo quanto operate.

 

            isabella         Sono stata in educazione.

 

            leonora        Si vede. Andiamo dunque in camera mia, dove più sicura di non essere interrotta da vostro padre, potrete scriver quanto vi piace; e poi dalle finestre della medesima, che rispondono sulla strada, quando non vogliat’ire a quelle di sala, potrete servirvi a vostra soddisfazione.

 

65        lisetta           O che cognate d’oro!

 

            isabella         Eccomi a ricever le vostre grazie, se pur farò in tempo; giacché, per non so qual equivoco preso, meco Silvio sdegnato – come da me puntualmente saprete – Dio sa, se per più non vedermi, non s’è per sempre partito.

 

            leonora        N’averei sommo cordoglio.

 

            isabella         Ed io sarei inconsolabile.

 

            leonora        Pure non disperate. (via)

 

70        isabella         Sperar si dee sempre. (via)

 

            lisetta           Queste son donne, che la sanno bollire e mal cuocere. O pover’uomini, a’ tempi d’oggi voi siete aggiustati per il dì delle feste![92]

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Civile.

 

                                   Vanesio e Meo.

 

            vanesio         Dunque andò in sinistro la carta? E tu incauto messo, rovinasti in un momento l’amoroso edificio, ch’io m’era fabbricato sul vago disegno, che mi aveva prescritto l’alato architetto, figliuolo della diva di Cipro.

 

            meo                Io non so né di Cipro né di Cipriano, la disgrazia volle che la lettera fu presa da quel vecchio, che se egli indugiava, quant’è un dire canchero vi mangi, il negozio er’ito benissimo; ma eccolo qua che viene a veder se può far qualch’altra bella prova.

 

            vanesio         Aiutami nume cieco.

 

            meo                Egli sta bene come si raccomanda a’ ciechi; non serve con quel vecchio essere un argano, ch’avea cent’orecchi.[93]

 

5          vanesio         Questo vecchio è quell’Anselmo, che è padre d’Isabella?

 

            meo                Così si dice.

 

            vanesio         Lo sai di certo?

 

            meo                O a questo non m’impegno, e non credo che si possa impegnar né anche lui; in questo affare si sta sulla buona fede. So che egli fa da padron di casa, per quant’i’ ho visto e sentito.

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Anselmo e detti.

 

            anselmo        Quella mia buona figliuola è ripiena di carità anche verso i nemici, e tutta amore del prossimo; ah, ell’insegna a me, che son vecchio, come si doverebbe operare per rettamente vivere: e io malaccorto avevo fatto di lei così cattivo concetto.

 

            vanesio         Questi è quello che in sua mano ebbe la lettera ad Isabella diretta?

 

            meo                È lui in presenza sua, ed è quel medesimo che scombuiò l’amoroso decalogo ch’io facevo con Lisetta.[94]

 

            anselmo        Di che costumi innocenti è mai dotata questa cara Isabella!

 

5          vanesio         Questi è quel medesimo, che poco fa nell’entrar in casa d’Orazio trovai dalla porta, né lo stimai il di lui genitore; dunque sarà consapevole de’ miei sentimenti?

 

            meo                Se l’averà letta, come si può piamente credere, averà sentiti gli smiaci e gli omei che v’avevate fitto dentro.[95]

 

            anselmo        Lo veggo per aria; questa vuol esser monaca, non è punto attaccata al mondo.

 

            vanesio         Sarà meglio che faccia seco mie scuse per non averlo dianzi conosciuto, e gli ratifichi a bocca i miei desideri, acciò ch’egli ravvisi l’ingenuità de’ miei amori.

 

            meo                Giusto; e cavarne cappa o mantello.[96]

 

10        anselmo        O ecco qua il familiare di casa mia, il tornagusto saporito, il dolce finocchietto della conversazione di mia nuora.[97]

 

            vanesio         Signor Anselmo, comparisco davanti alla sua presenza colle guance ammantate di vergognoso scarlatto; mentre dianzi nell’ingresso di sua magione, non avendola le malaccorte pupille ravvisata per lo sovrano padrone, posi in non cale quel rispettoso ossequio che in perpetuo tributo da me indispensabilmente a lei si doveva offerire.

 

            anselmo        E mi meraviglio io, tropp’onore.

 

            meo                Ora gli stura il trogolo delle cirimonie.[98]

 

            vanesio         Prego pertanto la bontà di Vossignoria a perdonarmi il grave, benché involontario errore, che io commisi in quell’atto; assicurandola che da quel momento in poi, che porterommi in sua casa, non mancherò…

 

15        anselmo        No, no, manchi manchi pure, ch’io le ho perdonato ogni cosa: e in questo venir in casa mia, averei caro che la fusse finita, e che non si muovesse di vantaggio.

 

            meo                Gli darebbe l’erba cassia pur volentieri.[99]

 

            vanesio         Io, signore, son Vanesio.

 

            anselmo        Vossignoria è il signor Vanesio?

 

            vanesio         Sì signore.

 

20        anselmo        Quegli che favorisce mia nuora?

 

            meo                Oh ne favorisce tante!

 

            vanesio         Ho l’onore di essere ascritto nel ruolo de’ di lei servi.

 

            meo                Ma come me, senza salario.

 

            anselmo        Sì, sì, già so ch’ella frequenta con assiduità le visite, ed è de’ più solleciti.

 

25        vanesio         Questo fo per non trasgredire, per quanto sia possibile, al moderno gentilissimo rituale, del quale io mi pregio d’esser esatto osservatore.

 

            anselmo        Ma chi non osservasse questo gentilissimo rituale così puntualmente, incorrerebbe in pregiudizio nessuno?

 

            vanesio         In sommo pregiudizio incorrerebbe, o signore.

 

            anselmo        Sì, eh? E che pene vi sono a trasgredirlo?

 

            vanesio         Pene rigide, pene gravissime.

 

30        anselmo        Pecuniarie?

 

            meo                (a parte) (O s’elle fussero di coteste il mio padrone non ne pagherebbe nessuna; lo potrebber condannare quanto volessero.)

 

            vanesio         S’incorre nelle pene d’incivile, di non curante e di scortese, e ne’ danni…

 

            anselmo        Anche ne’ danni to’: e che danni? [100]

 

            vanesio         D’esser deriso, preso in abominazione, e riguardato da tutti com’un oggetto impraticabile, rozzo e selvaggio.

 

35        meo                (a parte) (E d’esser pubblicato e bandito per un’arsura solenne.)[101]

 

            anselmo        Ma chi l’ha composto?

 

            vanesio         La moda sempre più amabile ne fu suprema legislatrice.

 

            anselmo        È stampato?

 

            vanesio         È impresso a caratteri indelebili ne’ petti di urbanità e di compitezza dotati.

 

40        anselmo        Sarà stampato alla macchia, perché io nel mio concetto l’ho per proibito di prima classe.

 

            vanesio         Come proibito, un’opra così essenziale e necessaria? Si vede che ella non ne ha notizia.

 

            anselmo        Dirò a Vossignoria, quand’ero giovane, questo rituale gentilissimo non c’era; anzi chi l’avesse allora volto introdurre ci averebbe avuto poco gusto, perché allora il secolo era salvatico; ma ora ass’e sei, questo ha dato troppo nel domestico. Basta, sicché ella n’è degli osservatori più zelanti?[102]

 

            meo                (a parte) (Oh egli è puntuale, non lascia tornate, no.)

 

            vanesio         Di questo unicamente mi pregio.

 

45        anselmo        E viene in casa mia a esercitarsi?

 

            vanesio         Doppiamente.

 

            anselmo        Doppiamente? O cappita! Questo è doppio favore; e perché tanto vantaggio?

 

            vanesio         Perché in sua casa son doppie le sfere, alle quali s’innalza – però con diverso moto  la fiamma del mio ossequioso servaggio.

 

            anselmo        Di grazia non tante sfere, favorisca di parlarmi più chiaro.

 

50        meo                (a parte) (O così venghiamo a’ ferri.)

 

            anesio           Servo la signora Leonora per debito generale, che mi corre, come servitor attuale di sì nobil sesso; servo poi la signora Isabella per debito particolare.

 

            meo                (a parte) (Questo sono i debiti, ch’ei paga con puntualità.)

 

            anselmo        E che debito ha ella con mia figliuola?

 

            vanesio         Le debbo tutto me stesso.

 

55        anselmo        Dite un po’, ch’io intenda bene, di grazia.

 

            meo                (a parte) (Il vecchio non vuol gerghi.)

 

            vanesio         Giacché ella così comanda, coll’aura propizia di sì ottima congiuntura, spingo la navicella del mio desiderio; permettetemi voi, o signore, che per lo placido mare della sofferenza, entri nel porto della vostra grazia.

 

            anselmo        Entri pure.

 

            vanesio         Ma non vorrei in faccia di esso urtar negli scogli della vostra indignazione.

 

60        anselmo        No no, voi siete entrato sicuro.

 

            vanesio         Sarà un effetto dello zeffiro suave della sua cortesia.

 

            anselmo        Ora non più zeffiri, né libecci; che volete voi?

 

            meo                (a parte) (E’ ne vorrebb’uscire; farei come lui.)

 

            vanesio         Assicurata la povertà del mio merito sul ricco capitale della sua innata gentilezza, farommi ardito a porgerle un memoriale.

 

65        anselmo        E io non son principe, non occorre ch’ella s’incomodi.

 

            vanesio         Acciò ella il renda animato con una sua firma graziosa.

 

            anselmo        Ch’ho io a fare, in conclusione?

 

            vanesio         Ora esporrò quanto agogno, in brevi note.

 

            anselmo        Sì, di grazia, e pigliate di quelle note che ne vanno di molte a battuta, per isbrigar più presto questa musica.

 

70        vanesio         Io, son pochi momenti, che vi venero come Anselmo; ma son ben molti quelli, che io vi reverisco qual novello Iperione.[103]

 

            meo                (a parte) (Com’egli entra in Parione vuol far sicuro una partita alla pillotta.)[104]

 

            anselmo        Che ci ha che fare Iperione?

 

            vanesio         Egli fu come voi padre del Sole, che tale alle mie luci sembra la vostra figlia, che io amoroso Egizio inchino et adoro.

 

            anselmo        Signor Egizio mio, a questo Sole voi non vi volete scaldar certo.

 

75        vanesio         E come a tale poc’anzi osai d’inviare gl’incensi de’ miei caratteri.

 

            anselmo        Già so ogni cosa.

 

            meo                (a parte) (Lo credo; se mentre ch’i’ ero per incensare, mi sgraffignasse il profumiere di mano.)[105]

 

            anselmo        Ora finalmente con questo incenso, e con questa storace, che pretendete voi signor Vanesio mio bello?[106]

 

            vanesio         Pretendo tutto.

 

80        anselmo        Tutto, eh? E io non vi darei nulla.

 

            meo                (a parte) (Si vede che qui si cammina d’accordo; si vuol concluder presto.)

 

            vanesio         Tutto intesi di dire, perché ottenendo Isabella in consorte, averei tutto quello ch’io mai potessi bramare.

 

            anselmo        Orsù, cercate di bramare tutto questo da un altro, perché Isabella non vuol marito.

 

            meo                (a parte) (Ecco fatto il parentado.)

 

85        vanesio         Come? Per lei dunque non arderà la face Imeneo?

 

            anselmo        Signornò. Menameo non vuol accender né manco un moccolo; però risparmiatevi il carteggiare e il mandar ambasciatori, perché qui non c’è la posta, né chi voglia dare udienza.[107]

 

            vanesio         Io dunque, quando penso di gire a nuoto fralle dolcezze, resterò in secco?

 

            anselmo        Cercate l’acqua altrove.

 

            meo                (a parte) (Se non va ne’ rigagnoli, o se non dà un tuffo in Arno!)

 

90        vanesio         E sul feretro d’una repentina repulsa, sarà portato al tumulo della disperazione il mio defunto amore?

 

            anselmo        Sotterratelo al buio per risparmiarvi la spesa del mortorio.[108]

 

            meo                (a parte) (E per non spender nulla affatto, faccia il becchino da sé.)

 

            vanesio         Dunque la mia speranza appena vagì in cuna bambina, che voi barbaramente la privaste di vita?

 

            anselmo        Io non l’ho tocca neanche per sogno.

 

95        meo                (a parte) (Di questa speranza n’è sempre campato, perch’egli è sempre stato al verde.)

 

            vanesio         E mi negate così la vostra figlia per isposa?

 

            anselmo        Io non ve la nego, né ve la do; è ella che non vi vuole.

 

            vanesio         Come? Se dimostrò negli accenti suoi, che d’un reciproco amore nacquero in un punto nelle fucine de’ nostri petti, coetanee le fiamme?

 

            meo                (a parte) (Per lui le fiamme è un pezzo che s’accesero, perché egli è arso davvero.)

 

100      anselmo        Ora qui non ci son tante fiamme, né tanti fuochi. Il negozio è che la mia figliuola non vi vuole; e quando ella fusse tanto pazza di volervi, non sarei io sì spiritato da darvela mai.

 

            vanesio         Voi?

 

            anselmo        Io.

 

            vanesio         E nutrite sentimenti sì crudi?

 

105      anselmo        Signorsì.

 

            vanesio         avrà più vigor la mia speme?

 

            anselmo        Signornò.

 

            vanesio         E così mi rendete dal vostro consorzio esule miserabile?

 

            anselmo        Signorsì.

 

110      vanesio         Né mi stimate degno d’esservi congiunto?

 

            anselmo        Signornò.

 

            vanesio         Benché abbattuto dalla sorte, son chiari i miei natali.

 

            anselmo        Signorsì.

 

            vanesio         E non son qual forse voi mi stimate.

 

115      anselmo        Signornò.

 

            vanesio         Conosco il torto che mi vien fatto.

 

            anselmo        Signorsì.

 

            vanesio         E son forzato a chiamarvi ingiusto e spietato.

 

            anselmo        Signornò.

 

120      vanesio         Vengo supplice a’ vostri piedi.

 

            anselmo        Signorsì.

 

            vanesio         Vi chiedo la signora Isabella: voi…

 

            anselmo        Signornò.

 

            vanesio         Negate.

 

125      anselmo        Signorsì.

 

            vanesio         Di darmela per isposa.

 

            anselmo        Signornò.

 

            vanesio         E sarà vero?

 

            anselmo        Signorsì, signorsì, signorsì, signorsì; non ve la vo’ dare mai, mai, mai: signornò, signornò, signornò, signornò; o canchero poi avete voi inteso?

 

130      vanesio         Dunque nel tribunale della vostra barbarie è fulminata contra di me così spaventosa sentenza?

 

            anselmo        Sibbene, la sentenza è data.

 

            meo                (a parte) (Questa è la prima causa che si sia spedita presto.)

 

            vanesio         Me n’appello a Cupido. (via)

 

            anselmo        Appellatevene a chi vo’ volete.

 

135      meo                E signor Anselmo, e io ho viso di sentenza contro?

 

            anselmo        Che pretendi? Ci mancava quest’altro.

 

            meo                Di comparire a comodo di processo.

 

            anselmo        Che vuoi inferire?

 

            meo                E non vo’ ferire, né ammazzare io, il ciel me ne guardi; anzi vorrei far nascere al mondo qualche eroe, che propalasse la strippa del mio stipito.[109]

 

140      anselmo        O io ho dato ne’ pazzi.

 

            meo                O sicuro, se noi cerchiam di pigliar moglie.

 

            anselmo        Anche tu cerchi di moglie?

 

            meo                Sibbene.

 

            anselmo        Che hai imparato dal tuo padrone?

 

145      meo                Il bove maiore lascia arare al minore.

 

            anselmo        E che ci ho che far io?

 

            meo                O perché anche lei tiene in casa sua la Dea, che colla ventosità de’ sospiri io incenso e profumo.[110]

 

            anselmo        Ah tu se’ il damo di Lisetta, me ne ricordo, che ti chiappai a discorrer con essa sull’uscio.[111]

 

            meo                Facevo all’amore a mio risico; ma Vossignoria arrivò al solito, e guastò ogni cosa.

 

150      anselmo        Facevi all’amore, eh? Dicevate bene ambedue un monte di vitupero de’ padroni.

 

            meo                Signornò, si diceva quel che in coscienza ci pareva dovere.

 

            anselmo        Sì, eh? Ora che vorresti?

 

            meo                Lisetta per moglie, ecco detto, senza mettervi Cupido colle frecce, e Manameo con la torcia accesa, con tutte quell’altre sguaiataggini del mio padrone.[112]

 

            anselmo        Orsù, Lisetta, che tu mi chiedi per moglie.

 

155      meo                Sì signore.

 

            anselmo        Te la vo’ dare.

 

            meo                O garbato signor Anselmo.

 

            anselmo        Ma con patto.

 

            meo                Che patto?

 

160      anselmo        Quando me ne verrà voglia.

 

            meo                E quando vi verrà ella?

 

            anselmo        Può essere anche che non mi venga.

 

            meo                E a me la m’è venuta, e ve la chiedevo per creanza; del resto.

 

            anselmo        Come dire?

 

165      meo                Come dire, che quando vorrò lei, e ch’ella vorrà me, ci piglieremo senza Vossignoria; Lisetta non è la vostra figliuola.

 

            anselmo        Sta in mia casa, ed è fanciulla.

 

            meo                O ella n’uscirà, e sarà maritata.

 

            anselmo        Col mio consenso.

 

            meo                M’importa più il consenso di Lisetta, che il vostro; anzi che col vostro senza il suo si farebbe dell’acqua da occhi.[113]

 

170      anselmo        Ora non te la vo’ dare.

 

            meo                O io me la piglierò.

 

            anselmo        Tu se’ un impertinente.

 

            meo                Voi siete un capone.

 

            anselmo        Che temerità è la tua?

 

175      meo                Che asinaggine è la vostra?

 

            anselmo        Elà, dov’è la creanza?

 

            meo                Alò, dov’è la discrizione?[114]

 

            anselmo        Sta’ a vedere, sta’ a vedere.

 

            meo                State a sentire, state a sentire.

 

180      anselmo        E che sì.

 

            meo                E che no.

 

            anselmo        Ribaldaccio, levamiti dinanzi.

 

            meo                E voi venitemi di dreto.[115]

 

                                   Fine dell’atto secondo

 

 

 

                                   ATTO TERZO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Silvio solo.

 

                                   Eppur non so da questa contrada volgere il piede, né so con qual violenza il destino ancor qui mi trattenga; mi concedesse almeno, che prima di partire, potessi rimproverare all’infida la tradita fede; ma ecco che s’apre il balcone: è dessa purtroppo. E chi non direbbe in rimirare quel volto, che ivi il suo trono avesse Amor collocato: e pure v’ha posta infedeltà la sua sede.

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Silvio, e Isabella alla finestra.

 

            isabella         (a parte) (Ecco il mio Silvio, sono osservata, ti ringrazio, o fortuna.) Signor Silvio?

 

            silvio             Dice a me?

 

            isabella         A voi sì, che non mi riconoscete?

 

            silvio             No, che non vi riconosco.

 

5          isabella         Dunque la breve dimora alla patria di pochi giorni vi ha già cancellata dalla memoria la mia effigie.

 

            silvio             In quella guisa, che la mia partenza da questa città per pochi giorni, ha abolito dal vostro cuore l’amore e la fede.

 

            isabella         Silvio a chi dite?

 

            silvio             Parlo ad Isabella.

 

            isabella         Ad Isabella, che costante v’adora, in simil guisa parlate?

 

10        silvio             Ad Isabella, che mi ha tradito, così è dover ch’io favelli.

 

            isabella         Io tradirvi?

 

            silvio             Voi sì; e molto mi stupisco che, sposa d’un altro, abbiate tanta faccia di favellarmi. E che da me pretendete? Raccontarmi le vostre prodezze, che essendo di gran tempo amante d’un altro, me avete schernito? Già questo m’è noto; tutto ho saputo da chi troppo ben vi conosce.

 

            isabella         Io sposa d’un altro?

 

            silvio             Voi, sì signora.

 

15        isabella         È mendace chi ve lo disse, e voi pure, se avete cuor d’asserirlo.

 

            silvio             Chi me lo disse purtroppo fu veritiero: ed io, che l’asserisco, non dico menzogna, perché ho veduto con questi occhi propri uscir di cotesta casa il vostro sposo novello, e co’ propri orecchi ho udito dirli che voi siete sua sposa.

 

            isabella         Io?

 

            silvio             Voi sì; e quanto compatisco quell’infelice, altrettanto ho pietà del vostro povero genitore, benché nol conosca, il quale delle vostre azioni ragionevolmente si lagna. Però gitene pure, e se tradiste un amante sincero, conservate almeno intatta la fede ad uno sposo innocente: e paga di quel solo non vogliate coll’ambito vergognoso corteggio d’altri amanti, non dico in minima parte macchiarla, ma né men renderla sospetta. Ridonate la quiete all’afflitto padre, che geloso per ogni ragione di quell’onore, di cui non mostrate di far l’intera unica stima, in questa sua cadente etade, tormentato sen vive.

 

            isabella         Silvio amato.

 

20        silvio             Non mi dite Silvio amato, che non potete né dovete darmi epiteto un tempo a me sì caro, senz’offesa del vostro marito, a cui sol si conviene.

 

            isabella         Sappiate che… (a parte) (Ma ecco mio padre, non posso discolparmi, e già da esso son stata scoperta.)

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Anselmo e detti.

 

            anselmo        (a parte) (O la mia buona figliuola mi esorta a non cercar di costui; ma egli al vedere ha ben cercato di lei, ed ella s’è lasciata trovare. Mi ritiro ed osservo.)

 

            isabella         O Dio, voi equivocate.

 

            silvio             Che ho da sapere, parlate.

 

            isabella         (a parte) (Miei spiriti assistetemi.) Hai da sapere che quanto tu se’ audace, io sono onorata, nemica di profani amori, inflessibile alle insidiose preghiere de’ folli amanti.

 

5          anselmo        (a parte) (Ella m’ha persuaso a star cheto con costui, se lo trovavo, e poi ella ha sciolto giordano. Insomma da ultimo la pazienza scappa anche a’ buoni.)[116]

 

            silvio             A me…

 

            isabella         A te sì, che ardito vantando meco corrispondenze non vere, per indur sospetti nel mio buon genitore, gli sai porre in mano il mio ritratto, non so come da te fatto fare; e dov’hai la coscienza?

            anselmo        (a parte) (Di questa mercanzia in oggi la piazza è sfornita.)

 

            silvio             Io resi il ritratto…

 

10        isabella         Né quello bastandoti, o temerario, se’ venuto in tempo di notte.

 

            anselmo        (a parte) (O canchero questa non la sapevo.)

 

            isabella         E per la finestra dell’orto, che risponde nella mia camera.

 

            anselmo        (a parte) (Ohimè ch’è egli seguito? Quest’è altro che ritratto.)

 

            isabella         E hai potuto: o Dio …

 

15        anselmo        (a parte) (Ch’ha egli potuto?)

 

            isabella         Lo dirò pure.

 

            anselmo        (a parte) (Dillo mai più, ch’io sudo freddo.)

 

            isabella         Ed hai potuto, dissi, avvolta ad un sasso lanciarmi una lettera.

 

            anselmo        (a parte) (Che ti venga la rabbia; respiro; pensavo ad altro che a lettera.)

 

20        silvio             Ne menti.

 

            isabella         Tu ne menti, che fusti, da chi a caso ti vedde passando con lume, a me benissimo descritto. E tanto più ti ravviso, quanto che intorno a questa casa aggirandoti, se’ tornato a turbarmi la quiete, palesemente chiamando.

 

            silvio             Io chiamarti?

 

            anselmo        (a parte) (O poteva picchiare, e far come gli altri.)

 

            isabella         Prendi dunque la tua lettera, e dal non essere aperta riconosci che stima io n’ho fatta: ed averei dubitato in aprirla che il solo fissar lo sguardo nell’oscuro di quei caratteri, non avesse annerito il bel candore della mia onestà. Partiti dunque, e leggi seriamente in essa epilogato il processo della tua temerità; che io per poterti davvantaggio mirare, né potendoti più a mio modo parlare, mi parto. (serra la finestra)

 

25        anselmo        (a parte) (Buona notte e buon anno, e buon pro ci faccia. O che figliuola d’oro; se tutte parlassero così a certi ganimedi sfacciati non ce ne sarebbe il morbo, come ce n’è.)

 

            silvio             Io son rimasto di sasso.

 

            anselmo        (a parte) (Gli è allibito.)

 

            silvio             Isabella, affettuosa mi chiama, e quando par che voglia sincerarsi, muta in un tratto discorso; m’accusa di cose non vere; mi rimprovera falsi, ch’io non commisi; mi getta questa lettera, che dice da me scrittale; io son affatto smarrito.

 

            anselmo        (a parte) (O gli ha avuto la sua; ma i’ vo’ che gli abbia la seconda di cambio.) Buon giorno padron mio; o non siete partito?

 

30        silvio             Non son partito per mia disgrazia. Rendeste quel ritratto ad Anselmo, perché lo rimettesse nelle mani di sua figlia mancatrice e infedele?

 

            anselmo        Sibbene.

 

            silvio             E che disse quel povero vecchio?

 

            anselmo        O quel povero vecchio disse, e dice, ed è per dire tutto quello che v’è stato detto adesso dalla sua figliuola. Lo conoscete questo Anselmo?

 

            silvio             Posso averlo veduto, ma non lo conosco.

 

35        anselmo        Orsù, perché voi non viviate più in questa cecità, Anselmo son io.

 

            silvio             Voi?

 

            anselmo        Io sibbene.

 

            silvio             Ma perché vi siete finora celato?

 

            anselmo        Perché così finora ho giudicato bene di fare; ma ora, che da me stesso ho visto e udito l’impostura del ritratto, e di più come v’inoltrate con maggior impertinenza che mai a lanciar di notte tempo lettere amorose, per tentar la costanza d’Isabella mia figliuola, che ad ogn’altra cosa che a questa ha rivolto piamente l’animo suo, convien ch’io mi faccia conoscere per quel ch’io sono; sono Anselmo: e a dispetto di quanto usi in contrario, ambisco d’essere uomo onorato. E mi meraviglio molto di voi, messer bellimbusto, che non si sa chi voi siate, che abbiate tanta faccia di vantar corrispondenze, e millantar tradimenti di quelle persone che non vi conoscono, e che non vi vogliono a nulla quando vi conoscessero. Secolo malvagio! Dai giovani presuntuosi si toglie il buon nome altrui vanamente per iattanza e per gloria e per una pazza compiacenza di se medesimi, per dimostrar che son essi i cercati, i desiderati, gli ambiti! Or addio, mio padrone, imparate ad astenervi da simil modo di fare, perché non tutti saranno di sentimenti sì placidi com’Anselmo, che se la passino in sole parole. M’intendete ser cacazibetto? Ritornate a casa vostra, o andate a casa del diavolo, che a quel modo non averete mai più occasione d’uscire. (via)[117]

 

40        silvio             S’io non perdo il senno per così stravaganti successi è miracolo. Quest’è il padre d’Isabella, che anch’egli mi rinfaccia l’istesse cose da esso viste ed udite! Io sono affatto all’oscuro; ma questa carta potrebbe apprestarmi lume opportuno; se ne vegga il contenuto. Il carattere è d’Isabella, bene il conosco: e d’Isabella è la firma. Leggerò: «Amatissimo Silvio». Amatissimo, eh? Spergiura! «Uscii di casa di mia zia per entrare in un carcere qual mi rassembra questa di mio padre, poiché colà godevo la sorte di spesso vedervi e parlarvi; fuste costretto a partire in quello ch’io ebbi ad uscirne; non ho più saputo alcuna nuova del vostro ritorno, ed ansiosa di aver di voi qualche avviso, scrivo la presente, senza sapere come, o dove possa indirizzarla, perché sicura vi giunga. Spero che Amore me ne somministrerà la congiuntura. Quando questa vi pervenga, sul far della notte sarete dalla porta dell’orto di mia casa, che a questo effetto opero che sia sempre socchiusa. Entrate quivi non osservato, e tacito attendete un mio cenno, ch’io ogni sera verrò su quell’ora a una finestra serrata, che in esso risponde, dove averò campo di parlarvi per concertare il modo più proprio di stabilire al mio ed al vostro cuore la sospirata quiete. Leonora mia cognata, fatta da me consapevole de’ nostri amori, anch’essa darà mano, e col consiglio e coll’opra, perché mio fratello suo sposo da’ medesimi non dissenta: e resto ecc.» Che ascolto! Isabella mi scrive con tanta baldanza, quand’è maritata ad un altro? Ma s’è maritata, come dice che ha confidato questi illeciti amori alla cognata, sposa di suo fratello, e che ella darà mano al felice esito de’ medesimi col di lui consenso; vorrò vederne la fine, sarò questa notte alla porta dell’orto. O che io ho preso equivoco finora, o che in questa casa si tien l’onore in vilissimo prezzo.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Vanesio solo.

 

                                   Misero Vanesio! Vantan l’alme perdute nell’Erebo profondo pene eguali alle mie? No, che io solo bevvi tutto Flegetonte in un sorso. Amore, più fiero avoltoio di quello di Prometeo, mi lacera il cuore, d’Isabella il sembiante, di quella di Tantalo, sete più tormentosa mi reca. Ed è uno scherzo appresso la mia, la pena di Sisifo, che avendo recato in cima al desiato monte della conclusione il grave pesantissimo affare del mio sperato Imeneo, nel cupo fondo della disperazione precipitato lo miro. O Isabella, unica e sola cagione di tutti i miei mali, che occorreva che io ricevessi l’amoroso incendio per gli occhi, e tu vieppiù l’accendessi coll’auretta lusinghiera di tue nettaree parole, onde fatto inestinguibile penetrasse ad incenerire i più intrisi recessi del seno, se poi volevi pormi barbaramente in oblio? Ah ben mi sta, questa è la pena condegna che mi si deve per aver fatto ad ognora immensa preda di cuori, e permesso che tante belle di me invaghite, senza ottener da me una stilla minima di pietade, penino disperate in un inferno amoroso, senza averne mai potuto rintracciare il perché.[118]

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Meo e detto.

 

            meo                Padrone, io son debole.

 

            vanesio         Che hai?

 

            meo                Non posso più le polizze.

 

            vanesio         Come dire?

 

5          meo                O se a casa ce ne vengon tante, ch’io non posso riparare; eccone qui alcune poche.

 

            vanesio         Ho altro pensiero adesso che leggere inviti e viglietti di dame.

 

            meo                E non son viglietti di dame.

 

            vanesio         O che sono?

 

            meo                Chi gli ha portati mi ha detto che sono avvisi.

 

10        vanesio         Saranno quei di Parigi.

 

            meo                Signor no, son quei di Firenze.

 

            vanesio         Questi mi son noti.

 

            meo                Questi non vi son noti di sicuro.

 

            vanesio         Che c’è qualche fresca particolarità ch’io non sappia?

 

15        meo                Signor sì, ce n’è una tra l’altre, che se Vossignoria infra tre dì non paghetur, verrà il capietur.[119]

 

            vanesio         Eh Meo, altre più fiere passioni mi si racchiudon nel cuore!

 

            meo                E i birri chiuderanno voi in prigione col cuore, e colla curatella.[120]

 

            vanesio         Isabella…

 

            meo                Spillo…[121]

 

20        vanesio         Co’ suoi disprezzi…

 

            meo                Colle sue funi…

 

            vanesio         Mi vuol condurre alla tomba…

 

            meo                Vi vuol menare alle Stinche[122]

 

            vanesio         E tu caro servo…

 

25        meo                E io vi verrò a vedere.

 

            vanesio         Non compiangerai la perdita del tuo padrone?

 

            meo                Vi porterò da far delle palle e degli arcolai.[123]

 

            vanesio         Io sono agonizzante.

 

            meo                Sicuro, ci son tre giorni per voi: e questo d’oggi non occorre contarlo, perché è gia sera.

 

30        vanesio         c’è rimedio.

 

            meo                E ci sarebbe lui, pagare.

 

            vanesio         Anche Anselmo il di lei genitore è d’accordo.

 

            meo                Son d’accordo tutti a voler esser pagati.

 

            vanesio         Orsù che farò?

 

35        meo                Ritirarsi, vedete; questa mi par la più sana e la più usata.

 

            vanesio         Tornerò da Leonora.

 

            meo                Tornate di lì a un’ora, ma portate il sacchetto.[124]

 

            vanesio         E conterogli il tutto.

 

            meo                E quando non gli vogliate contar tutti da voi, quei ch’hanno ad avere per torvi la fatica conteranno da loro.

 

40        vanesio         La pregherò di consiglio.

 

            meo                O se ve lo do io il consiglio; ci son tre cose da fare: o pagare, o ritirarsi, o andare in gabbia.[125]

 

            vanesio         E che interponga di nuovo appresso d’Isabella le sue faconde parole.

 

            meo                E’ non ne voglion più delle parole, n’hanno avute tante, che se le facessin pagamento, voi sareste voi il creditore; voglion esser quattrini adesso.

 

            vanesio         Le dica, che ella il più prezioso de’ miei affetti riscuote.

 

45        meo                La sarà la prima ch’abbia con voi questa fortuna, perché nessuno può riscuotere un soldo da voi.

 

            vanesio         Ch’io procuro con neri caratteri farle un valido attestato della mia bianca fede, ed ella di tal moneta mi paga.

 

            meo                O di quella medesima, che voi pagate gli altri. Padrone, queste polizze?

 

            vanesio         Le rappresenti che il di lei genitore alle mie umili istanze in domandargliene in isposa, con assoluta negativa ha risposto.

 

            meo                Giusto, come rispondete voi a chi ha da avere. Padrone, pensate a queste polizze.

 

50        vanesio         Ci ho già pensato.

 

            meo                Che n’ho io a fare?

 

            vanesio         Te le dono.

 

            meo                Obbligato de’ suoi favori; egli è che mi regalerebbe anche i debiti s’i’ gli volessi. Sicché voi…

 

            vanesio         Non più; parti e lasciami solo.

 

55        meo                Tra poco vo’ sarete accompagnato. La reverisco.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Orazio e Vanesio.

 

            orazio           Che si fa signor Vanesio? Molto confuso, molto perplesso.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Anselmo e detti.

 

            anselmo        Voglio andar da mia figlia, e dirle che ho fatto pulito con que’ due ganimedi, e rallegrami seco ch’ell’abbia così bene lavato il capo ad uno di essi. O gran scimuniti! O eccon’uno col mio figliuolo, sentiam un poco s’è possibile il dialogo di due pazzi.

 

            orazio           Voi non mi rispondete?

 

            vanesio         Ah, Signor Orazio, un intenso cordoglio m’ha insimulacrite le membra![126]

 

            orazio           Che c’è di nuovo? Palesatemi questo duolo che v’accora, che potrò se non togliervelo dal cuore, almen mitigarvelo col confortarvi al rimedio.

 

5          anselmo        (a parte) (O che mariti garbati, si pigliano a cuore i guai de’ cicisbei della moglie.)

 

            vanesio         Il mio male è irrimediabile.

 

            orazio           Pure scopritemelo, chi sa.

 

            vanesio         Depositerò nell’erario della vostra ingenuità quell’arcano che ad altri di fidar non ardirei, quand’anche credessi che mi venissero offerti i diademi e gli scettri dell’universo.

 

            anselmo        (a parte) (Sballa; egli è uno spiantato che chi potesse vedere piglierebbe sei giuli in presto; ora renunzia scettri e corone.)[127]

 

10        orazio           Dite pure, senza tanta eleganza.

 

            vanesio         Amore cacciatore industrioso, per far una volta misera preda del mio cuore, che qual veloce damma aveva innumerabili fiate fatti scoccare a vuoto i suoi strali, piccato di mia cotanta destrezza, nelle pupille di vostra sorella s’ascose.[128]

 

            anselmo        (a parte) (O vedete dove s’andò a ficcare; doveva stare a disagio.)

 

            vanesio         Quindi appena fissai a caso in quelle le mie, che egli a un tratto vibrò la saetta fatale, e il lato manco m’aprio.

 

            orazio           Mi dispiace dell’accidente, ma perché non pensaste a provvedervi di balsamo per curar tanta ferita?

 

15        vanesio         Vi pensai, e ricorsi alla signora Leonora vostra consorte.

 

            anselmo        (a parte) (Buon ripiego.)

 

            orazio           Non l’ho per gran cosa addottorata in chirurgia.

 

            vanesio         Ella promise assistere alla cura; ma che io ancora vi cooperassi con iscrivere ad Isabella il penoso mio stato.

 

            anselmo        (a parte) (To’, la mia nuora d’accordo a sovvertir mia figliuola; o maligna!)

 

20        orazio           E così scriveste?

 

            vanesio         Scrissi, e bramai che la penna, per dare un’occulta forza a’ miei caratteri di persuadere ad Isabella la bramata corrispondenza al mio amore, diventasse magica verga.

 

            anselmo        (a parte) (Piuttosto un manico di granata, e ti si rompesse sulle schiene.)

 

            orazio           In conclusione, voi vi siete innamorato di mia sorella, e le avete scritta una lettera, la quale suppongo che sarà stata al solito un degno parto del vostro spirito.

 

            anselmo        (a parte) (Sentite voi, come cammina di concerto con esso.)

 

25        vanesio         La condii con la salsa della più forbita erudizione, e l’ornai colla più efficace dicitura e colla più melliflua scelta facondia che mi sapessero in quel punto dettare tutti uniti insieme e le grazie e gli amori.

 

            orazio           Bravo; ed ella rispose?

 

            anselmo        (a parte) (Bravo; se ne compiace il fantocciaccio.)

 

            vanesio         Qui comincia la dolorosa catastrofe de’ miei lugubri singulti; venne la carta, per inavvertenza del messaggero malaccorto, in mano del vostro genitore.

 

            anselmo        (a parte) (Sicuro ch’ella venne.)

 

30        orazio           Male, signor Vanesio.

 

            vanesio         Io però intanto adunata la repubblica de’ miei pensieri a consiglio, fu risoluto per comun decreto di parlare al signor Anselmo vostro padre, e calate le tende de’ miei desideri, scoprirgli l’interno del mio cuore, come subito feci.

 

            orazio           Or ora ne pigliaste la strada.

 

            anselmo        (a parte) (O sì sì, fu subito negozio fatto.)

 

            orazio           E che rispose mio padre?

 

35        anselmo        (a parte) (Tu lo sentirai adesso.)

 

            vanesio         Ecco dove ogni mia speme rimase sommersa.

 

            orazio           Dite il vero, non ve la volle dare?

 

            anselmo        (a parte) (Pure tu l’hai indovinata.)

 

            vanesio         In breve periodo epilogaste l’Iliade di mie sventure; me la negò risolutissimamente.

 

40        orazio           Me ne dispiace assaissimo.

 

            anselmo        (a parte) (O mentecatto, gliene dispiace!)

 

            orazio           Ma mia sorella vi vuole?

 

            anselmo        (a parte) (Signor no, la non lo vuole al giuoco de’ noccioli.)[129]

 

            vanesio         Parvemi nell’ameno prato di quella faccia ridente, spuntare un fiore di repentina corrispondenza; ma tosto invanito da non so qual maligno lampo d’incostanza svanì col fiore ogni più dolce frutto sperato; mentre mi confermò vostro padre che per me il tesoro delle di lei grazie era vuoto. Ed egli era risoluto, quand’anche fusse aperto a mio favore, di tener egli con adamantina chiave di negativa serrato il gabinetto segreto del suo consenso.

 

45        anselmo        (a parte) (Egli è che il gabinetto non si vuol aprir mai per voi, il mio bel suggettaccio.)

 

            orazio           Sicché, signor Vanesio mio, io ho perduta la sorte d’avervi per cognato?

 

            anselmo        (a parte) (Io ho avuta la disgrazia d’aver costui per figliuolo.)

 

            vanesio         Ella ha perduto un cognato, ma non un servo, qual io sarò sempre di vostra casa, ciononostante fino alle ceneri.[130]

 

            anselmo        (a parte) (O perché non è egli stasera l’ultimo dì di carnovale.)

 

50        orazio           Vedete, che da me non dipende.

 

            anselmo        (a parte) (O già, già, tu acconsentiresti a cose peggiori.)

 

            vanesio         Riconosco il vostro buon cuore.

 

            anselmo        (a parte) (Anzi, il suo poco cervello.)

 

            orazio           (da sé) (Voglio che si faccia un po’ di celia da mia moglie su ’l nuovo innamoramento di questo buon umore.) Eh signor Vanesio, ci rivedremo a veglia.

 

55        anselmo        (a parte) (Egli ha paura di non lo perdere.)

 

            vanesio         Sarò a ricever le sue grazie quanto prima; giacché ammantata di tenebre della sua porzione notturna, piglia il possesso Diana.

 

            anselmo        (a parte) (O la Diana tu la vo’ batter fuori di casa mia, s’altro non occorre.)

 

            orazio           E perché mio padre, che a buon ora suol ritirarsi in casa, cenare, e andar a letto, non senta strepito di batter la porta, essendo egli, com’è solito di tutti i vecchi, un po’ fantastico e partigiano de’ riti austeri, che si osservavan nell’uno.

 

            anselmo        (a parte) (Nell’uno usava esser più galantuomo che nel millesettencetotto.)[131]

 

60        orazio           Per usargli il dovuto rispetto.

 

            anselmo        (a parte) (O com’è attento verso la mia persona! Che figliuolo amorevole!)

 

            orazio           Venite alla porta del nostr’orto, che farò tenere apposta socchiusa; entrate e fate cenno, che io terrò lì un servitore, che vi apra il cancello del cortile, e vi serva col lume.

 

            vanesio         Sarò dov’ella m’impone.

 

            orazio           E discorreremo quanto si può fare, per veder se ci fusse modo ch’io vi avessi per parente.

 

65        anselmo        (a parte) (Quant’avessi tu fiato.)

 

            vanesio         O se ciò seguisse, il vostro orto sarebbe per me quell’orto che mi farebbe sorger lieto e ridente dopo un sì lacrimevole occaso.

 

            anselmo        (a parte) (O ti vo’ dar l’occaso e l’oriente io.)

 

            orazio           Ci siamo intesi, servo suo; entro in casa e v’attendo. (via)

 

            vanesio         Signor Orazio, da nuova speme animato, ripiglio il moto e parto per riportare in qua brevemente le piante. (via)

 

70        anselmo        O le piante tu non le vuoi piantare in casa mia senza me. Se Orazio è pazzo, Anselmo non ha perduto il cervello. Isabella è fanciulla, e troppo mi preme il badarvi, e non voglio che, persuasa da un fratello stolto e da una nuora poco avveduta, si rivolgesse, bench’io nol possa mai credere, a prestargli il consenso di pigliar per marito questo spiantato, del quale ho saputo vita, morte e miracoli; un disgraziato pien di debiti e d’imbrogli, che si regge sul giuoco, su’ bindoli e sugli scrocchi, che merita d’esser legato non co’ lacci del matrimonio, ma colle funi, come si legano i pazzi, non sarà certo marito di mia figliuola. E se fui cieco nel ritrovarmi una nuora sciocca e malaccorta, aprirò tanto d’occhi, in caso che Isabella mutasse pensiero, in ritrovarmi un genero saggio ed onorato. Già si fa buio, sarò dalla porta dell’orto prima di questo Narciso; m’asconderò in quel salvatico, ed osserverò quanto sia per seguire e comparirò dove occorre, per distrugger colla mia presenza le indegne macchine che contra di me si preparano.[132]

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Meo solo.

 

                                   Quel vecchio m’avrebbe fatto scappar l’asino pel verso; io fo seco le parti di civiltà e di creanza, che non son da par mio, in chiedergli Lisetta per moglie; mi risponde sul sostenuto che vedrà e che farà? Se Lisetta mi vuol bene, ed io ne voglio a lei, il parentado è fatto. Il padrone non ha che far sulla serva in quelle cose che non sono il suo servizio. Se la serva si vuol maritare, il padrone può dire «io non vuo’ serve maritate»: se le dà il suo salario, e si manda a fare i fatti suoi col suo marito. Gli schiavi si comprano e s’è padrone di farne quel ch’uno vuole. O canchero Betta, e pur ci sono certi padroni asini, che ci trattan peggio degli stiavi: e non solo non ci hanno comprato, ma non ci pagano, e vogliono esser serviti per l’appunto; se no si mette sottosopra il mondo e le trombe, e poi si casca a bastoni. Ma questa razza di padroni alle man di Meo s’hann’a servir da loro: io servo questo per ora, che mi tratta bene, non gli chieggo mai salario, e lui puntualmente non me lo dà: e così non ho avuto seco che dire una parola; ma non son però tanto pazzo, che io non mi sia salvato; veggo la mala parata, mi pago da me anticipato. O vedessi pur Lisetta, le vorrei dire il mio parere, ed accordarci a fare i fatti nostri nel miglior modo possibile. Spirito di quel vecchio, che sempre ronza intorno casa. Ora si comincia a far buio, chi sa che non sia sul tornare, perché lui si ripone a buon’ora. Sta, ecco gente alla finestra; l’è lei; ora fo un po’ di cenno con bel modo: uhi, ehi. (gridando)[133]

 

 

                                    SCENA IX

 

                                   Lisetta alla finestra e detto.

 

            lisetta           Uh che tu scoppi, mi hai avuto a fare spiritare!

 

            meo                Che ti venga la rabbia, che hai tu? Crederanno che tu sia spiritata.

 

            lisetta           Ma hai tu a gridare a quel modo, mentre ch’io non me l’aspetto.

 

            meo                Quest’è stata una finezza.

 

5          lisetta           O via non vo’ tante finezze, vorrei un po’ di garbo e un po’ di grazia.

 

            meo                Sorella, ce n’è scarsità, non ne viene né per mare, né per terra; queste guerre hanno impedito il commercio.

 

            lisetta           O il garbo e la grazia che viene come la mercanzia?

 

            meo                Madonna sì, viene come la mercanzia; ma l’è cara, e ne vien poca: e i mercanti non si curan di commetterne, perché anche quella poca non ha spaccio.

 

            lisetta           Dunque la si farà male?

 

10        meo                Anzi la si farà bene; io non vedo che la vadia meglio che a quei che non hanno né garbo né grazia.[134]

 

            lisetta           Orsù tu la farai benissimo, perché tu non hai punta.[135]

 

            meo                Se non ho grazia io, basta che io sia in grazia tua.

 

            lisetta           Ci sei, sì sì.

 

            meo                O tu me lo dii in un modo così misero e scarso, che non par che ci siano sfoggi.[136]

 

15        lisetta           Ora senti un poco, appunto io cercavo di te.

 

            meo                Buono, e io cercavo di te.

 

            lisetta           Sicché chi cerca, trova.

 

            meo                Giusto ci siam trovati.

 

            lisetta           E che volevi da me?

 

20        meo                E tu che volevi da me?

 

            lisetta           Io ti volevo parlare.

 

            meo                E io anche.

 

            lisetta           Ora senti, non posso star più qui alla finestra. Questa sera ho sentito che il signor Orazio ha detto alla signora che ci dee venire il tuo padrone al solito, però, non venir al tardi per esso: e quando vieni, vieni dalla porta dell’orto, che sarà aperto, avendo così sentito dar ordine a Tofano; trattienti lì cheto cheto, che io scenderò per una scala a chiocciola in una camera terrena, che ha una finestra inginocchiata che ci corrisponde. Tu verrai a quella volta, e discorreremo di concludere in nostro parentado.[137]

 

            meo                Ma per discorrer del nostro parentado, quello scender per la scala a chiocciola non m’entra in testa.

 

25        lisetta           Che vuoi tu fare, se non v’è altro modo.

 

            meo                O come non v’è altro modo, pazienza; e come farò io a sapere se tu sei alla finestra?

 

            lisetta           Mi spurgherò: e tu sta’ in orecchi.

 

            meo                Tu ti spurghi, io vengo subito a quella volta, in quello tu sputi, e mi vien lo sputacchio nel muso.

 

            lisetta           Uh tu se’ pure sciocco, farò le viste.

 

30        meo                O bene via; appunto anch’io ho bisogno di parlarti in tutti i modi, perché ci sono delle novità, ed è necessario di fare un po’ di accordellato, perché tu sia mia moglie, che questo vecchio, al quale dianzi ti chiesi, me l’intorbida.[138]

 

            lisetta           Intorbidi quanto vuole, e noi penseremo a chiarirlo; io son libera di me.

 

            meo                Però pensatene a liberare.

 

            lisetta           Ora non occorr’altro, vieni fra poco nell’orto, e aspetta il cenno; ci siamo intesi; addio Meo.

 

            meo                Addio, Lisetta, mia dilettissima sposa in erba.[139]

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Camera di Leonora con lume.

 

                                   Leonora e Orazio.

 

            leonora        Adunque Vanesio è davvero travagliato per questi suoi nuovi amori con mia cognata?

 

            orazio           Travagliatissimo, e dice le più belle cose del mondo; e mi ha narrato che fu da voi a chieder soccorso.

 

            leonora        Ed io gli promisi d’adoperami con Isabella, esortando anche lui a far la sua parte con iscriverle una lettera; perché supposi di sentir qualche vaga composizione da trarne un po’ di divertimento, come riesce sempre di tutte le sue operazioni.

 

            orazio           O bene, la lettera fu scritta, e per disgrazia andò in mano a mio padre. Ma Isabella sa nulla di ciò?

 

5          leonora        È informatissima di tutto: e la lettera le pervenne in mano datale dal medesimo signor Anselmo, e si lesse che veramente non defraudò la mia aspettativa; e quando abbiate gusto in vederla, è rimasta in mia mano.

 

            orazio           Tenetela, che la leggerò volentieri. La più bella è che egli ha trovato mio padre, e gliela ha chiesta in consorte.

 

            leonora        E che risposta n’ha avuta?

 

            orazio           Lo potete credere, una negativa assoluta; ma ditemi, di ciò s’è scandalizzata mia sorella?

 

            leonora        Di che?

 

10        orazio           Di vedere che Vanesio è innamorato di lei e che le scrive lettere amorose.

 

            leonora        Anzi ne ha goduto, e s’è accordata benissimo a reggere il lazzo, e a far impaniar maggiormente costui.

 

            orazio           Sicché ella non è punto balorda?

 

            leonora        Non mi pare; anzi, per dirvela in tutta confidenza, ella è innamorata morta.

 

            orazio           Di che? Di star da quella sua zia?

 

15        leonora        Giusto dalla zia, perché è innamorata di un certo Silvio genovese, che è parente della signora Florinda, che sta appunto di casa allato alla medesima zia, venuto qua ultimamente. E si dispera che non lo vede; e per questo fa ogni istanza di ritornare in là da lei, dove può facilmente vederlo e parlargli.

 

            orazio           Conosco questo Silvio per vista, ed è figlio unico di messer Pancrazio Aretusi, mercante ricchissimo in Genova.

 

            leonora        Ed è anche un bel giovane.

 

            orazio           Che lo vedeste ancor voi?

 

            leonora        Può esser che l’abbia veduto, come mi pare, verso la casa di vostra zia, quando una volta da lei mi portai; ma non posso dirlo sicuramente.

 

20        orazio           O come potete dir che sia quello e che sia bello o brutto?

 

            leonora        Perché Isabella me ne ha mostrato il ritratto, di cui vostro padre fece tal rumore che io vi dissi esser quello di Vanesio.

 

            orazio           O perché temeste di palesarmelo per di chi era?

 

            leonora        Che so io; il signor Anselmo lo ritrovò in mia mano e lo credé quello di un mio amante; ora io non so che impressione avesse potuto fare in voi l’udir da vostro padre che io teneva appresso di me ritratti d’uomini da voi non conosciuti.

 

            orazio           Sicché voi veniste a farvi rea per mia sorella?

 

25        leonora        Poveretta, la vidi per ciò in tal confusione che me ne venne pietà.

 

            orazio           Siete pur buona. Dunque mia sorella ne ha anche il ritratto?

 

            leonora        Sicuro, ed egli ha il ritratto di lei.

 

            orazio           O queste son le fanciulle che si voglion riserrare; e mio padre assolutamente lo crede.

 

            leonora        Crede una cosa che presentemente non vuol succedere.

 

30        orazio           Ma ella sa finger molto bene la monn’onesta: non esce mai di camera e si fa trovar sempre leggendo libri spirituali.[140]

 

            leonora        Spirituali appunto. Legge le novelle del Boccaccio, del Firenzuola, non so che opere di Pietro Aretino, ed altri libri su quest’andare.

 

            orazio           Ma questi son libri proibiti.

 

            leonora        Io non me n’intendo; ella dice che gli ha trovati in casa la zia.

 

            orazio           Ora sia ciò che vuole, quando ella non si voglia far religiosa, se l’amante è qual io penso, goderei al sommo di tal parentela; perché, come ho detto, è solo ed ella entrerebbe in una ricchissima casa. Ma Vanesio ancor non si vede.

 

35        leonora        Egli suol esser puntuale, non doverebbe mancare, ma guardiamo, signore sposo, di dissuaderlo da questi suoi amori, perché non vorrei per nostro passatempo fomentandolo in essi, dove appunto ha il suo debole, venissimo a fargli del tutto perder il senno.

 

            orazio           In questo non ci abbiate scrupolo, perché il male a quest’ora è già fatto. Non vorrei che il servitore, che l’aspetta dalla porta del cortile, non l’avesse sentito e che gli stesse lì al fresco nell’orto. Vado a vedere s’egli ancor sia venuto.

 

            leonora        Ed io vado al terrazzino mossa dalla medesima curiosità.

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Notte.

 

                                   Orto d’Anselmo con due finestre in prospettiva una di qua e una di là dal cancello della porta di esso con sopra un terrazzino.

 

                                   Isabella da una ferrata, e Lisetta dall’altra.[141]

 

            isabella         Silvio il mio bene non giugne.

 

            lisetta           Il mio caro Meo non si sente.

 

            isabella         Propizio Cupido, gli presti l’ali.

 

            lisetta           Amor garbato, gli dia una spinta.

 

5          isabella         Ond’egli giunga a parlarmi.

 

            lisetta           Perch’io gli possa un po’ cicalare.

 

            isabella         Temo del mio genitore.

 

            lisetta           Spirito di quel vecchio.

 

            isabella         Che non vada in camera mia.

 

10        lisetta           Che non cominci a chiamare.

 

            isabella         O cielo!

 

            lisetta           O diavolo!

 

            isabella         Non ve lo fare arrivare.

 

            lisetta           Portalo via di peso.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Leonora al terrazzino e dette.

 

            leonora        L’aria è oscura da vero, non odo alcuno; ma parmi in questo punto sia entrato gente, ed ho veduto apparire e sparire un lume ad un tratto.

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Anselmo con lanterna serrata e dette.[142]

 

            anselmo        Son venuto alla porta dell’orto e puntualmente l’ho trovata socchiusa; non l’ho voluta serrare perché vo’ veder questo nibbio del mio figliuolo quel che vuol fare con quell’altro uccellaccio di Vanesio: m’accomodo e a tempo e luogo verrò in scena. Alla mia casa ci vo’ badar finch’io vivo; aspettin quando son morto e poi la mettino a leva ch’io gli ho stoppati.[143]

 

            isabella         Sento gente; questi è il mio Silvio.

 

            lisetta           Ho sentito calpestare; questi è Meo.

 

            leonora        Udii non so che; questi è Vanesio.

 

5          isabella         Zi, zi.

 

            lisetta           Jach, jach.[144]

 

            leonora        Eh, eh.

 

            anselmo        (a parte) (Cappita, la fortezza è guardata bene, le sentinelle son vigilanti; mi rinferraiolo e m’accosto verso il cancello che va nel cortile, del quale a ben essere ho presa la chiave per entrare in casa, nonostante se lo trovasi serrato; non apro la lanterna per non esser riconosciuto e guastar ogni cosa.)[145]

 

            isabella         Son qua, Silvio mio.

 

10        lisetta           Eccomi qui, Meo garbato.

 

            leonora        Signor Vanesio, siete voi?

 

            anselmo        (a parte) (O qui c’è il passo buono, gli schiamazzi lavorano a sodo. Silvio mio, Meo garbato, e signor Vanesio. O casa mia, paretaio dello spasso; una donna da una parte, una dall’altra, e la terza di sopra. Fortuna che in casa mia non ce ne son più, che l’altre sarebbero sul tetto; frugnoliamo un po’ queste civette.) (Anselmo volge la lanterna in faccia alla finestra dov’è Isabella)[146]

 

            isabella         Accostatevi.

 

            anselmo        (a parte) (Corpo di mia vita, la monaca è alla grata.) (volge la lanterna in faccia all’altra dov’è Lisetta)

 

15        lisetta           Vien qua.

 

            anselmo        (a parte) (La cameriera da quest’altra.) (l’alza al terrazzino)

 

            leonora        Passate.

 

            anselmo        (a parte) (To’, la nuora di sopra; che farò? Non vo’ ancora scoprirmi.)

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Silvio e detti

 

            silvio             Non so se l’ora sia propria; vengo per chiarirmi d’ogni equivoco, o per affatto confondermi.

 

            anselmo        (a parte) (Altra gente nell’orto? Sicuro questo è l’aspettato Vanesio; questi è il primo che si butta; starò sull’avviso.)

 

            silvio             Qui sento gente, attenderò il cenno che nella lettera mi dice voler fare Isabella.

 

            isabella         Non s’accosta, che farà?

 

5          lisetta           Non si muove, ch’armegg’egli?[147]

 

            leonora        Non passa né chiama, che fa?

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Meo e detti.

 

            meo                Fin qui Lisetta è stata di parola. Ora bisogna ch’i’ aspetti ch’ella m’ammicchi.

 

            silvio             Nuova gente: in che laberinto mi trovo?

 

            anselmo        (a parte) (Cresce il crocchio; allegri.)

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Vanesio e detti.

 

            vanesio         Voglia il cielo che questo sia per me l’ingresso de’ campi Elisi, non quello della Stigia palude.

 

            meo                To’, sento un altro che mi vien dietro, che cos’è questa?

 

            silvio             Altri ascolto qui giungere. Ho cuore e mano da sapermi sottrarre da ogni tradimento. (mette mano)

 

            anselmo        (a parte) (S’empie addirittura; vo’ veder com’ell’ha ire; vo’ far un di quei cenni:) zi, zi.[148]

 

5          silvio             Signora Isabella?

 

            meo                Lisetta?                        tutt’a tre insieme

 

            vanesio         Tofano?

 

            isabella         Son più genti, o pover’a me! (via)

 

            lisetta           Ci son degli altri, uh meschina! (via)

 

10        leonora        Più persone nell’orto! Signor Orazio ove siete? (via)

 

            anselmo        (a parte) (Apro il cancello, ed ora che son in salvo mi fo vivo.) (apre la lanterna) Chi va là? Ladri. O di casa?

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Orazio con un servitore con lume e detti.

 

            orazio           Che c’è signor padre?

 

            anselmo        L’orto è pieno di ladri, che voglion rubare, o la roba o la riputazione.

 

            orazio           Ben riconoscerò chi son costoro. (mette mano)

 

            anselmo        Vo per l’arme ancor io. (entra)

 

5          orazio           Chi va là? Chi temerario osa porre il piè furtivo nella mia casa?

 

            silvio             Potrei coll’allontanarmi fuggir ogni impegno, ma nol consente il mio cuore.

 

            meo                S’io trovo l’uscio, mi basta.

 

            vanesio         Signor Orazio, ella non mi ravvisa? Son Vanesio.

 

            orazio           O signor Vanesio assistetemi, che altra gente è nell’orto.

 

10        vanesio         Altri pure anche a me parve che in questo suolo l’orme imprimesse e sprigionasse gli accenti; denudo il brando e per voi la vita consagro. (mette mano)

 

            meo                To’ il mio padrone fa il bravo.[149]

 

            orazio           Chi sei tu che costà ti stai ritirato?[150]

 

            meo                Un topo che è nella trappola.

 

            vanesio         Questi è il mio servo.

 

15        anselmo        (con spada alla mano) Mostra il ceffo, o ch’io ti sventro.

 

            meo                Ecco ch’io mostrerò ogni cosa.

 

            vanesio         Meo, ancor tu stringi il ferro, ed offriti vittima col tuo signore in così giusta tenzone.

 

            meo                In quant’alla tenzone non m’importa tanto, quella vittima mi dà un po’ di fastidio.

 

            anselmo        (a parte) (Ecco un altro galuppo.)[151]

 

20        orazio           Chi sei?

 

            silvio             Potrei con questa spada senza parlare altrimenti, farvi conoscere ch’io sono; ma se v’appagherete d’udirmi, quanto me riconoscerete onorato, altrettanto resterete voi rei d’ogni misfatto.

 

            anselmo        O questi è quel del ritratto.

 

            silvio             Sì quel del ritratto io sono, son Silvio Aretusi genovese.

 

            anselmo        Silvio Aretusi!

 

25        silvio             Quegli son io.

 

            anselmo        Figliuolo di messer Pancrazio mio corrispondente?

 

            silvio             Egli è mio padre; in questa città venni per miei affari, e nell’esser a visitar la signora Florinda mia cognata, qua accasata, vidi allato alla di lei casa, da una sua zia dimorar Isabella vostra figliuola. Non so se per mia sorte o se per mia disavventura di lei mi resi amante; siccome ella di me finse d’esser accesa; ma costretto a ritornar a Genova, ed in breve qua tornato, né vedendola più da sua zia, da mia cognata fu dettomi essere in casa vostra; pertanto qua venuto ed a voi a caso parlando, per imparar bene la di lei abitazione paterna, e vederla, mi fu detto esser maritata con altri, come sapete.

 

            anselmo        Intesi allora di dir della mia nuora che era maritata con altri, giacché in mano di essa si ritrovava il vostro ritratto, che voi mi diceste d’averle donato.

 

            orazio           Quel ritratto fu dato da mia sorella in mano di mia consorte, perché lo vedesse.

 

30        anselmo        Mi meraviglio di te. O furfantaccio, per difender la moglie rea, versa la broda addosso alla sorella innocente.[152]

 

            silvio             Come potete negare che vostra figlia non sia maritata, s’io qui veggo il suo sposo.

 

            anselmo        Dov’è egli? Ecco l’altra.

 

            silvio             Questi. (accenna Vanesio)

 

            anselmo        Cotesto? Se non ha altri moccoli vuol ire a letto al buio.[153]

 

35        silvio             Io pur sentii dirgli nell’uscir di vostra casa: Isabella mia consorte.

 

            vanesio         Il dissi, ben mi sovviene, avendo io per lei questo seno piagato.

 

            anselmo        O se voi siete impiagato, andate agli Incurabili: e credo n’abbiate bisogno davvero.[154]

 

            silvio             Sicché non siete marito d’Isabella?

 

            vanesio         Non son tanto felice.

 

40        silvio             Ma quel vedervi uscir di sua casa, e l’udirvi dir quelle parole, mel fece credere.

 

            anselmo        O se voi badate a chi viene e va in casa mia, voi crederete che le mie donne abbian quattordici mariti per uno.

 

            orazio           Signor Silvio, questo è un mio amico che viene in mia casa per mera conversazione.

 

            silvio             Sia come volete; dunque Isabella non è maritata?

 

            anselmo        O s’io vi dico di no, e non ne vuol saper nulla di marito, e vuol esser monaca.

 

45        silvio             Monaca, chi?

 

            anselmo        Isabella mia figliuola.

 

            silvio             Monaca?

 

            anselmo        Monaca, to’; monaca, che vorreste vo’ dire?

 

            silvio             Vostra figlia monaca, e come?

 

50        anselmo        Come si fanno le monache?

 

            silvio             Ma se passano tra noi amorose corrispondenze; se consentì che io avessi il di lei ritratto; se io le diedi il mio. E quando per pochi giorni ebbi per urgente necessità a ritornare alla patria, mi diede fede di sposa.

 

            anselmo        Chi vi diede fede di sposa?

 

            silvio             Isabella vostra figlia, quella che aveva il mio ritratto, e che ora sta in questa casa.

 

            anselmo        Il vostro ritratto l’aveva la mia nuora, vi dico; s’io medesimo lo pigliai di mano a lei che lo voleva dare alla mia figliuola. Che mi vorreste far briaco?[155]

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                   Leonora, Isabella, Lisetta e detti.

 

            leonora        Che occorre alterarsi, signor suocero mio? Il ritratto, che trovaste in mia mano, mi fu appunto mostrato dalla signora Isabella, ch’è amante del signor Silvio.

 

            anselmo        Venite fede falsa a contaminare colle bugie la bontà di mia figlia; non è vero. Isabella fatti viva, non senti le calunnie che ti si danno?[156]

 

            isabella         Che volete voi ch’io dica?

 

            anselmo        Il ritratto di questo bel cece, chi l’aveva?[157]

 

5          isabella         Io.

 

            anselmo        Tu?

 

            isabella         Sì signore.

 

            anselmo        O chi te l’aveva dato?

 

            isabella         Lui.

 

10        anselmo        Chi è lui?

 

            isabella         Il signor Silvio.

 

            anselmo        O perché lo pigliasti?

 

            isabella         Perché mi piace troppo l’originale.

 

            orazio           Signor padre, se mia sorella vuol esser monaca, non frastorni questa sua buona volontà.

 

15        leonora        Sì, signor suocero, si vede che ella è nata pel chiostro.

 

            anselmo        Piano un poco. Perché mi facevi tu tanta istanza dunque di ritornare dalla Niccolosa mia sorella?

 

            isabella         Perché vedevo e parlavo al signor Silvio.

 

            anselmo        Sicché io mettevo la lattuga in guardia a’ paperi. Dunque tu non vuoi esser monaca altrimenti?[158]

 

            isabella         N’ebbi pensiero, ma poi il signor Silvio me ne fece venir un altro.

 

20        anselmo        Il signor Silvio te ne fece venir un altro, eh? O perché mi facevi tu quelle smorfie? Non mi potevi dire, in tanta malora, io vo’ marito.[159]

 

            isabella         Mi diceva la signora madre, buona memoria, che le fanciulle oneste non debbon chieder marito da sé.

 

            anselmo        Questo è vero, e si conserva ancora, al vedere, questa modestia tralle fanciulle, perché oggidì le più non chiedon marito da sé, ma se lo pigliano; così hai fatto tu.

 

            isabella         Se sarà con vostra buona grazia però.

 

            anselmo        Ah c’entra la mia buona grazia; l’ho inteso.

 

25        orazio           Signor padre, quando si farà il vestimento?[160]

 

            leonora        Signor suocero, vorrei saperlo, perché tocca a me a far l’invito.

 

            anselmo        Entratemi un po’ in tasca; appunto ve’. Che dite voi signor Silvio?[161]

 

            silvio             Io chiarito del preso equivoco, riaccendo più vigorose le sopite fiamme, che per vostra figlia mi ardevano in seno, e ve la chiedo in consorte.

 

            anselmo        Ma che modo è stato il vostro di venir di notte in quest’orto? Che venivate prima a pigliarla, e poi me la volevate chiedere?

 

30        silvio             Ci venni, chiamato per lettera dalla signora Isabella.

 

            anselmo        Voi gliene scriveste la lettera e la gettaste nella sua camera, ed ella ve l’ha resa; sì che io non m’abbattei, e sentii, e viddi ogni cosa.

 

            isabella         Anzi allora io gli recapitai quella che gli avevo scritto.

 

            lisetta           Come le padrone portan le lettere da sé, noi altre buscherem poche mance.

 

            meo                Sta’ cheta, che in oggi le fanno ogni cosa da loro, noi altri mezzani abbiam fritto.[162]

 

35        anselmo        Quella lettera, che tu gli tirasti dalla finestra, e lo gridasti dell’ardir che s’era preso, di chi era?

 

            isabella         Mia.

 

            anselmo        O perché dicevi tu ch’ell’era sua?

 

            isabella         Perché vi vidi, e non avendo tempo di parlargli altrimenti, e voi ascoltandomi, m’appigliai a quel partito, ma lo feci per bene.

 

            orazio           O che buona sorella!

 

40        leonora        Che fanciulla savia e zelante!

 

            anselmo        Per bene eh? E dove consiste questo farlo per bene? Fammi veder quest’altra.

 

            isabella         Perché in quella lettera lo pregavo che venisse qui a parlarmi, per indurlo ad esser da voi e chiedermivi.

 

            silvio             Tanto contiene veramente la lettera; eccola. (la dà ad Anselmo)

 

            anselmo        Sicché, signor Silvio, voi la pigliereste per isposa?

 

45        silvio             Questo è l’unico mio desiderio.

 

            vanesio         Finora imprigionai in un profondo carcere di silenzio gli accenti; ma ora che scorgo voi, signor Anselmo, proclive a graziar il signor Silvio, do loro la libertà, e dico che io sono amante d’Isabella, che a me si dee, e chi me la contrasterà dee sostenerne l’impegno in pubblico arringo a singolar certame.

 

            silvio             Io sarò pronto in ogni luogo ove bisogni a far vive le mie giustissime pretensioni.

 

            anselmo        O che s’ha a far la giostra per aver la mia figliuola?

 

            vanesio         Signor Orazio, voi sapete in che trattato siete meco.

 

50        orazio           Son in trattato di parlare a mia sorella di ciò, avendomene voi discorso e adempirò le mie parti.

 

            vanesio         Signora Leonora, mi prometteste le vostre grazie.

 

            leonora        Sarò a chiederle per voi ad Isabella.

 

            vanesio         Signor Anselmo a voi mi volgo.

 

            anselmo        O voltatevi a me, via; ora l’avete intesa.

 

55        vanesio         Voi non potete ignorare che io non abbia implorato dalla deità del vostro volere autorevole di padre, co’ più sommessi memoriali, per ottener vostra figlia in consorte, il desiderato consenso.

 

            anselmo        Benissimo; e voi altresì non potete ignorare che la nostra deità non abbia risposto, che Isabella non ve la vogliamo dare, né mostrare, nemmeno per un buco di grattugia.

 

            vanesio         Dunque appresso la signora Isabella, giudice inappellabile, indipendente sovrano, resta l’ultima assoluta decisione di questa mia causa.

 

            lisetta           A costui non gli basta la prima sentenza contro.

 

            meo                E’ la vuol ribadita.

 

60        orazio           Signora sorella, vi supplico ad aver riguardo al merito impareggiabile del graziosissimo signor Vanesio.

 

            leonora        Signora cognata, vi ricordo che abbiate qualche considerazione alle rare prerogative di questo signore bellissimo.

 

            silvio             Se questi dicon da scherzo, lo burlan più del dovere.

 

            anselmo        Signora figliuola, se tu vuoi uno sguaiato e più spiantato di questo, ne puoi cercare, ma trovarlo mai, mai.

 

            lisetta           Questa è una calda raccomandazione.

 

65        meo                Ora la s’arebbe a sconvolgere.[163]

 

            silvio             Signora Isabella, io mi sono impegnato con questo signor Vanesio, mio dichiarato rivale, a sostenere coll’armi in mano, da esso provocato, quanto sia l’amor ch’io vi porto; ma perché in questo, forse egli non sarebbe per cedermi…

 

            vanesio         No ch’io non vi cedo, perché per Isabella ho nel seno un Mongibello, un Etna, un Vesuvio.

 

            meo                Gli arde vivo più d’un panello.[164]

 

            silvio             Rimetto alla vostra libera volontà il tutto.

 

70        vanesio         Io pure de’ vostri detti fatali sto ascoltando l’oracolo.

 

            lisetta           Questo sarà meglio che l’andarsi a sbudellare.

 

            isabella         Io dependo dal signor padre.

 

            anselmo        O che rassegnazione! T’hai fatto tanto senza me, fai il resto.

 

            isabella         Io, o signor Vanesio…

 

75        silvio             (da sé) (Che dirà?)

 

            vanesio         Oh cielo! Cade sopra di me la sorte felice.

 

            isabella         Per palesarvi il mio genio…

 

            vanesio         Pronunziate pure i dolci accenti con tutto coraggio.

 

            isabella         Fatta debita reflessione alla vostra persona…

 

80        silvio             (da sé) (Che ascolto!)

 

            anselmo        Diavol fallo.

 

            lisetta           (a parte) (Sta’ a vedere.)

 

            meo                (a parte) (O questa sarebbe babbusca; ma io non la credo.)[165]

 

            vanesio         Troppo onore fate ad un vostra vassallo, o regina de’ cuori.

 

85        meo                L’averebbe a esser la regina di coppe per lui.

 

            isabella         Servendomi dell’autorità datami dal signor padre…

 

            vanesio         L’anima natante nel giubilo, non potendo reggere alla piena, sta per sommergersi.

 

            isabella         Dico liberamente che non vi voglio.

 

            anselmo        Fin qui la m’è ubbidiente.

 

90        meo                E buon pro ci faccia.

 

            lisetta           Quest’ha avuto tutto quel che voleva.

 

            orazio           Signor Vanesio, io non ci posso far altro.

 

            leonora        Signor mio, nella volontà di mia cognata non ci ho dominio.

 

            vanesio         Avverso fato, numi crudeli, infida donna.

 

95        isabella         Se poi il mio genitore seguitando la permessa facoltà, mi concede che io prosegua il discorso…

 

            anselmo        Sì di grazia finiscila; tu piglieresti il signor Silvio, t’ho inteso benissimo. Tu hai ragione, che io conosco di gran tempo il signor Pancrazio suo padre, ed ho avuto seco varie corrispondenze; ma prima dal medesimo voglio averne la parola; perché non ti vo’ metter in una casa per le finestre.[166]

 

            silvio             Quand’altro non manchi, ultimamente che io fui a Genova, palesati a mio padre questi miei amori e la persona amata, in caso di non trovare in voi ripugnanza per ottener la signora Isabella in consorte, mi diede egli questa carta a voi diretta. (gli dà la lettera)

 

            anselmo        Riconosco il carattere; leggerò. (legge)

 

            silvio             Cara Isabella, son per giugnere al colmo delle felicità.

 

100      isabella         Io all’auge de’ contenti.

 

            silvio             Ma crediatemi, che dal supporvi maritata, ho avuto a perdere il senno.

 

            isabella         Ma abbiate per certo, che io non più vedendovi, né potendovi parlare, ho avuto a morir di dolore.

 

            anselmo        Ho inteso il tutto; il signor Pancrazio, vostro padre, in me si rimette ed approva pienamente quanto io sia per operare. Signora figliuola, giacché la voglia di farvi monaca è stata una credulità della mia dabbenaggine, date la mano al signor Silvio.

 

            silvio             Sia questa destra una caparra del mio perpetuo amore.

 

105      isabella         E la mia d’un’eterna ubbidienza a’ vostri voleri.

 

            orazio           Quanto godo di ritrovare un cognato di qualità così nobili.

 

            leonora        Io pure di acquistare un parente di prerogative sì rare.

 

            silvio             Il maggior pregio, ch’io possa avere, sarà l’essere di voi, signora Leonora, e di voi signor Orazio, non meno che amorevol congiunto, servo ossequioso.

 

            anselmo        Andiamo un po’ in casa, che quest’aria non è buona per nessuno, e lì discorreremo con più comodo. Signor Silvio, tocca a lei a pigliare come mio genero il possesso di questo tugurio.

 

110      silvio             Mortificato da esibizioni sì cortesi non replico di vantaggio, protestandomi che entro in vostra casa solo a titolo di servir la signora Isabella mia sposa.

 

            isabella         La vostra sposa non v’ammette con altro carattere, che di suo signore e consorte.

 

            anselmo        O via, va’ là, che la mia sorella ti ha rilevata di pepe: e poi allievi di vedove.[167]

 

            leonora        Signor Vanesio, per questa volta compatitemi.

 

            orazio           Signor mio, in questa congiuntura scusatemi, del resto siete il padrone.

 

115      vanesio         Se nel mondo da tutti se’ così vilipeso, Vanesio infelice, accoglietemi voi nell’Averno crudelissime Erinni. (via dalla porta dell’orto)

 

            meo                Il padrone se l’è fatta a denti asciutti, per la medesima che egli era venuto.[168]

 

            anselmo        Lisetta va’ in casa; e tu segui il tuo pazzo padrone.

 

            meo                Bel bello.

 

            anselmo        Che c’è?

 

120      meo                O ci manca il meglio; anch’io…

 

            anselmo        Che vuoi tu?

 

            meo                Voglio anch’io palesare agli antenati futuri, che Cupido uccellatore mi prese qual tordo alla ragna di Lisetta; quinci in quella inviluppato, invano svolazzai, invano adoprai l’ugna ed il becco per uscirne: e se voi non mi liberate, or ora amore mi stiaccia il capo e mi pela; quindi nello spiede del suo strale m’infila, acceso nel nero cammino del mio dolore, eternamente mi gira; ho detto.[169]

 

            anselmo        Anche tu vuoi entrare in dozzina. Orsù, se Lisetta ti vuole, pigliala, che io non vo’ più impazzare, né tener conto di donne, ci pensi adesso a chi tocca; e se all’onor più non usa badare, se alla libertà ch’è introdotta non c’è rimedio, chi farà male, sette suo.[170]

 

            meo                Lisetta tu senti?

 

125      lisetta           Io sento, ora?

 

            meo                Ora dammi la mano.

 

            lisetta           Ci penserò.

 

            meo                Ci penserò? Che vuo’ far come la signora Isabella al signor Vanesio? Ora ti pianto.

 

            lisetta           No, no, i’ burlo, to’. (gli dà la mano)

 

130      meo                O da’ qua; ora bene.[171]

 

            lisetta           Ma tu non seguiti il tuo padrone?

 

            meo                Non gli paia poco, ch’io gli ho mandato dietro il mio salario.

 

            lisetta           Affé l’hanno minchionato bene ve’.

 

            meo                Così interviene a chi in questo mondo è innamorato solo; dimmi che questa disgrazia non tocca a tutti; che se ciò seguisse il cicisbeismo andrebbe in malora; ma i più ci trovan il conto loro a dirtela, benché non voglian che se ne parli.

 

135      lisetta           A quel po’ ch’i’ mi son accorta, credo che tu dica il vero; basta è toccato a questo giovanaccio ad esser fra tanti contenti Il cicisbeo sconsolato.

 

            anselmo        Orsù chetatevi un poco voi altri sguaiati; e voi signor Silvio, e tu Orazio colle vostre spose entrate in casa vi dico, che questa brezza in quest’orto su quest’ora non vi faccia pigliar l’imbeccata; e io non mi sento di star più a questa serezzana.[172]

 

            orazio           Dice bene il signor padre. Signor Silvio, cognato carissimo, venite ad onorar la nostra casa, la quale colla vostra persona per la contratta parentela acquista pregio maggiore. E intanto da questo successo imparino tutti quei critici di prima impressione, che senz’altro riflettere, né esaminare, ostinati e caponi, voglion giudicar solo dall’apparenza: e biasimano e condannano tutte quelle azioni, benché sian buone, o almeno indifferenti, perché ad essi solamente paion viziose e cattive: e confessino a lor dispetto, dall’evidenza chiaritisi, che Ciò che pare non è.

 

 

Il fine.

 

 

 

Bibliografia

Palagi, Giuseppe, La villa di Lappeggi e il poeta Gio. Batt. Fagiuoli. Passatempo autunnale, Firenze, successori Le Monnier, 1876.

Bencini, Mariano, Il vero Giovan Battista Fagiuoli e il teatro in Toscana a’ suoi tempi. Studio biografico-critico, Torino-Roma, Fratelli Bocca, 1884.

Baccini, Giuseppe, Giov. Battista Fagiuoli poeta faceto fiorentino. Notizie e aneddoti raccolti su nuovi documenti, Firenze, Salani, 1886.

Re, Emilio, Molière, Fagiuoli, Goldoni (Trissotin, Vanesio, Lelio), «Rivista teatrale italiana», VIII, 1909, XIII/6, pp. 321-338.

Toldo, Pietro, L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino, Loescher, 1910.

Sanesi, Ireneo, La commedia, Milano, Vallardi, 1935.

Ortolani, Giuseppe, Settecento. Per una lettura dell’abate Chiari. Studi e note, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 1905 (edizione fuori commercio presentata dall’Istituto di Lettere Musica e teatro della Fondazione Cini in memoria del suo primo editore, 1960).

Ortolani, Giuseppe, La riforma del teatro nel Settecento e altri scritti, a cura di Gino Damerini, Venezia- Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1962.

Binni, Walter, Fagiuoli e Nelli, in Id., L’Arcadia e il Metastasio, Firenze, La Nuova Italia, 1963, pp. 207-243.

Goldoni, Carlo, Opere, con appendice del teatro comico del Settecento, a cura di Filippo Zampieri, Milano-Napoli, Ricciardi, 19642.

Pecori, Giampaolo, Il Fagiuoli, un poeta alla corte di Gian Gastone de’ Medici, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1979.

Aliverti, Maria Ines, Apprendistato teatrale di G.B. Fagiuoli, «Quaderni di teatro», II, 1980, 7, pp. 229-237.

Altieri Biagi, Maria Luisa, La “riforma” del teatro e una “pulitissima” scuola toscana, in Ead., La lingua in scena, Bologna, Zanichelli, 1980, pp. 58-161 (già in «Atti dell’Accademia toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”», XXX, 1965, pp. 251-378).

Lucchesini, Paolo, Rimettere in scena G.B. Fagiuoli: un granducato in crisi sotto gli occhi del vecchio poeta, «Quaderni di teatro», III, 11, febbraio 1981, pp. 181-187.

Turchi, Roberta, La commedia italiana del Settecento, Firenze, Sansoni, 1986.

Gallerini, Stefano, Tra imprenditorialità e sociabilità: un borghese gentiluomo e il suo teatro nella Firenze del Settecento, «Il castello di Elsinore», IV, 1991, pp. 31-42.

Foggi, Rossella, Giovan Batista Fagiuoli. Firenze, 24 giugno 1660-12 luglio 1742. Cultura e umorismo di un uomo del popolo alla corte dei Medici: un’eredità conservata, Firenze, Alberto Bruschi, 1993.

Russo, Maria, La scena e il convento, introduzione a Giovan Battista Fagiuoli, La commedia che non si fa, a cura di Orietta Giardi e Maria Russo, Roma, Bulzoni, 1994.

Garbero Zorzi, Elvira - Zangheri, Luigi, I teatri storici della Toscana. Censimento documentario e architettonico. VIII. Provincia di Firenze, Prato e provincia, Firenze, Giunta regionale toscana, 1998.

Trezzini, Lamberto, Il sistema di produzione, in Roberto Alonge - Guido Davico Bonino (dir. da), Storia del teatro moderno e contemporaneo, II (Il grande teatro borghese. Settecento-Ottocento), Torino, Einaudi, 2000, pp. 1049-1053.

Fantappiè, Francesca, Il teatro di Corso Tintori: l’edificio e le accademie (1673-1850), «Medioevo e Rinascimento», XV, n.s. XII, 2001, pp. 241-274.

Mamone, Sara, Il sistema dei teatri e le accademie a Firenze sotto la protezione di Giovan Carlo, Matias e Leopoldo principi impresari, in Elvira Garbero Zorzi – Mario Sperenzi (a cura di), Teatro e spettacoli nella Firenze dei Medici. Modelli di luoghi teatrali, Firenze, Olschki, 2001, pp. 83-98.

Bizzocchi, Roberto, Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2008.

Fantappiè, Francesca, Accademie teatrali fiorentine nel quartiere di Santa Croce tra Sei e Settecento: tra attori dilettanti, gioco d’azzardo e primi tentativi impresariali, «Annali di storia di Firenze», III, 2008, pp. 147-193; http://www.dssg.unifi.it/SDF/annali/annali2008.htm.

Spinelli, Leonardo, Il principe in fuga e la principessa straniera. Vita e teatro di corte di Ferdinando de’ Medici e Violante di Baviera (1675-1731), Firenze, Le Lettere, 2010.

Spinelli, Leonardo, Lo spettacolo toscano sotto il segno del Gran Principe: luoghi e protagonisti, ne Il gran Principe Ferdinando de’ Medici (1663-1713). Collezionista e mecenate. Catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 26 giugno-3 novembre 2013), Firenze, Giunti, 2013, pp. 105-113.

Turchi, Roberta, Da Fagiuoli a Goldoni: storie di cicisbei, in Javier Gutiérrez Carou (a cura di), Goldoni «avant la lettre»: esperienze teatrali pregoldoniane (1650-1750), Venezia, lineadacqua, 2015, pp. 215-225.

 

 

 



[1] speso … quadre: si son fatte grandi spese. ♦ filaticcio: seta scadente, ricavata dai bozzoli sfarfallati. ♦ fornimento … bianche: finimento di perline di vetro bianco. ♦ canovaccio: broccato tessuto d’oro e d’argento. ♦ piccioli: qui vale spiccioli, monete di scarso valore. Il picciolo era una moneta fiorentina del valore di un quarto di un quattrino. ♦ il cucco: la cocca, la prediletta. ♦ rilevar: rallevar(e). ♦ cecina: donna giovane, qui donnina. ♦ bufole: bufale; bufalo era lo stesso che uomo stolto. ♦ a scialacquo: senza risparmio. ♦ se la fusse … villa: se la tracanna come se fosse acqua di fonte.

[2] Tofano? Calandrino?: nomi di celebri personaggi del Decameron.

[3] farebbero … sacconi: non farebbero altro che dormire (farebbero a stare lett. equivale a farebbero a gara); sacconi erano materassi di foglie di granturco.

[4] a buon’otta: di buon ora.

[5] di vantaggio: di più.

[6] artefici: artigiani.

[7] finischiamo: incoativo, lo stesso che finiamo.

[8] diavol sallo: lo sa il diavolo.

[9] a ciel rotto: a dirotto, con insistenza.

[10] con tutt’a due: con entrambi. ♦ tulipani e rosolacci: fig. damerini, importuni; rosolacci: di persona sgradita. ♦ l’aduggiano: la danneggiano con l’ombra.

[11] senza … Priorista: senza usare rispetto per nessuno, nemmeno per i priori della città. Il priorista era il libro dove erano registrati i nomi dei priori di un comune.

[12] di prima riga: di prim’ordine.

[13] recere: vomitare.

[14] colle spingarde: a forza.

[15] Il parlatorio delle monache: libello anonimo di ambito veneziano pubblicato nel 1650 «all’insegna di Pasquino» e recentemente oggetto di studio da parte di Danilo Romei che nel 2015 l’ha curato per la casa editrice Lulu.

[16] Alibech divien romita: Boccaccio, Decameron, III, 10. ♦ Il divorzio celeste: opera polemica di Ferrante Pallavicino (Il divortio celeste, cagionata dalla dissolutezza della Sposa Romana e consacrato alla semplicità de’ scrofolosi cristiani, in Villafranca, s.t., MDCXLIII).

[17] pinzochere: bigotte, bacchettone.

[18] se … gaudeamus: è lieta, va in estasi.

[19] Ciprigna: Venere ♦ inesausto Egeo: infinito mare.

[20] specioso: singolare.

[21] il dio vezzoso di Tespo: Amore.

[22] i mongibelli: i vulcani.

[23] scarabattolo: scatola, qui per testa. ♦ cervice: testa.

[24] salma: corpo.

[25] genio stravolto: ingegno bizzarro.

[26] Gramigni: cognomen omen come quelli delle due dame successivamente menzionate che appartengono alle famiglie Importuni e Infangati. Anche Taccagni, il cognome di Anselmo, è parlante. ♦ doble: monete d’oro. ♦ giardiniera: collana.

[27] cappita: esclamazione di meraviglia, dalla combinazione tra capperi e caspita.

[28] la … erba: la strada sarà battuta; doppio senso.

[29] fuggiascamente: furtivamente.

[30] I.7.51-61 Con l’incalzare delle battute Leonora fa venire allo scoperto tutta l’ipocrisia di Isabella.

[31] Affé: in fede, per Dio.

[32] che … macchia: senza il modello reale, a memoria.

[33] civetta sul mazzuolo: espressione tratta dall’uso venatorio di cacciare le allodole con la civetta su una gruccia. ♦ babbaccio: gran babbeo. ♦ di … nocca: di pugni.

[34] sono in impegno: sono nella condizione.

[35] Baccio: nome proprio di persona un tempo diffuso; ipocoristico di altri alterati in -accio.

[36] di vantaggio: di più.

[37] vadia: vada (toscanismo).

[38] millantamila: millanta incrociato con mila sta a indicare una quantità iperbolica.

[39] rivellino: rabbuffo.

[40] pieno di maltalento: arrabbiato.

[41] conoschiate: lo stesso che conosciate (incoativo).

[42] vi … genio: che abbiate simpatizzato.

[43] trista: qui per furba.

[44] non … nespole: non siete da meno.

[45] sulle parate: in difesa.

[46] le specie: le fattezze.

[47] Poffar’io: detto per non pronunciare il nome di Dio; sarebbe, infatti, Poffareddio, esclamazione di meraviglia, come a dire «Può fare il Dio, che le cose siano così?».

[48] cicalio: chiacchierio.

[49] ustolano: aspettano con bramosia.

[50] Taccagni: vedi I.7.33

[51] Vo’ scopri paese: voglio prender notizie, farlo parlare.

[52] arristiate: arrischiate (toscanismo).

[53] a tutto il mondo: a tutti (francesismo).

[54] To’: O tieni! O prendi! Troncamento di togli (imperativo).

[55] misleale: sleale, infedele.

[56] dolce intingolo: dolce, perché senza sale, quindi sciocco, babbeo.

[57] sopraffatto: arrabbiato.

[58] questa … insegna: giuoco di parole tra frasca (donna leggera) e la frasca che si poneva a insegna delle osterie improvvisate.

[59] ingrossare: ingrossare il cervello vale divenir stupidi (Tommaseo-Bellini).

[60] dar … canto: impazzire.

[61] Fiorina: personaggio eponimo di una commedia di Ruzante (1528) imitata da Andrea Calmo con una commedia dal medesimo titolo (La Fiorina). ♦ sonare il cembolo a’ grilli: detto «di chi fa cose da pazzi, o stravaganze» (Tommaseo-Bellini); cembolo: lo stesso che cembalo, tamburello, strumento musicale «in uso tra le genti del contado toscano» (Tommaseo-Bellini). ♦ non…straccio: non capisco mai nulla. ♦ bischenca: dispetto. ♦ sta alla passione: non si stanca. ♦ par mia: i miei pari (toscanismo). ♦ e lui forbice: e lui si ostina a non sentir ragioni. ♦ tarocca: brontola.

[62] Merdacai: storpiatura di Mordecai (o Mardocheo), personaggio biblico (Ester, 2.5-7).

[63] Mercanzia: tribunale competente per le vertenze mercantili.

[64] rubbio: unità di misura per le biade, qui per una grande quantità. ♦ acceso: aperto.

[65] saracino: di color nerastro. Meo, nel suo intento d’imitare il linguaggio immaginifico del padrone, adopera impropriamente il vocabolo, con esito comico.

[66] ve’: vedi.

[67] a pigione: in affitto.

[68] acconcio: acconciato, sistemato.

[69] bizzocca: bacchettona. ♦ segrenna: si dice di donna magra ed emaciata; usato come appellativo ingiurioso di donna brutta e bigotta (toscanismo).

[70] bottegai: qui nel senso di clienti.

[71] capona: testarda.

[72] L’avete a: le dovete (toscanismo).

[73] sì … cova: figurarsi se aspetta.

[74] torcimanno: turcimanno, mezzano.

[75] granata: scopa (toscanismo). ♦ mandare al barone: mandare al diavolo.

[76] Troppo … amore: da Giovan Battista Guarini, Il pastor fido, III.5.11-12.

[77] bollir fra’ denti: borbottare.

[78] fessi: sottili aperture praticate nei salvadanai per introdurvi le monete.

[79] un tempione: un colpo nella tempia.

[80] cacciare ne’ pazzerelli: mandare al manicomio.

[81] ci … ugnere: ci vuol altro, non è una cosa facile.

[82] Bel bello: piano, piano; calma. ♦ non ti attaccare: non ti appigliare a questo per cambiar discorso.

[83] perdonare … moleste: sono due delle sette opere di misericordia spirituale.

[84] sie, sie: sì, sì (toscanismo).

[85] lo spirito fuggitivo: l’anima.

[86] babbuschi: grossi.

[87] foriera … pennuti: l’aquila, messaggera del dio.

[88] si sale … paperi: probabilmente la serva si riferisce alla scala per salire nel pagliaio dove le anatre, talvolta, andavano a deporre le uova e ad accudire ai paperi.

[89] Anteo: il gigante che Ercole sconfisse sollevandolo da terra.

[90] il Radamanto: il verdetto; nella mitologia classica Radamanto ricopre il ruolo di giudice infernale insieme con Minosse e con Eaco.

[91] in broda di succiole: in sollucchero per la contentezza. Le succiole sono le castagne lessate nell’acqua con la loro scorza.

[92] la sanno … cuocere: fanno grandi preparativi che si risolvono in niente.

[93] esser … orecchi: trasporta al suo livello l’espressione «Argo che aveva cento occhi».

[94] scombuiò: scompigliò, interruppe. ♦ decalogo: dialogo.

[95] gli smiaci e gli oimei: le smancerie, le moine e i lamenti.

[96] cavarne … mantello: venire a una conclusione.

[97] il torna gusto … finocchietto: il bocconcino saporito, il tenero allettamento; tornagusto si dice di vivanda che stuzzichi o faccia tornare l’appetito.

[98] gli stura il trogolo: dà la via.

[99] Gli darebbe … cassia: lo caccerebbe via.

[100] to’: vedi II.2.89.

[101] arsura: arsione, siccità, qui traslato per povertà, mancanza assoluta di denaro. Anche Mirandolina userà il sostantivo in questo senso a proposito del marchese di Forlipopoli: «L’eccellentissimo signor Marchese Arsura mi sposerebbe?» (Carlo Goldoni, La locandiera, I.9)

[102] ass’e sei: non c’è via di mezzo; l’asso e il sei somo il punto massimo e quello minimo marcati sulle facce del dado.

[103] Iperione: sole.

[104] com’egli … pillotta: pillotta era una palla piccola piena di aria. Al servo, che interpreta secondo il suo codice l’espressione del padrone, il Fagiuoli attribuisce l’adattamento di un verso del poema eroicomico, Il Malmantile riacquistato di Perlone Zipoli, cioè Lorenzo Lippi (Firenze, 1676), l. VIII, st. 43: «Questo è un tal cognominato il Tura / che in Parion gonfiava le pillotte». Parione è una delle antiche strade di Firenze, ricordata anche nel Decameron (VI,10), dove veniva praticato il gioco del calcio, vedi: Giulio Dati, Lamento di Parione, in Fiorenza, per Filippo Giunti, MDXCVI.

[105] profumiere: vaso per bruciare i profumi.

[106] storace: resina, ragia di origine indiana. Ma qui figuratamente per inganno, frode.

[107] Menameo: popolare per Imeneo; registrato anche in Giacinto Andrea Cicognini, I due prodigi ammirati overo il privato favorito per forza, e’l prencipe infaticabile in sostenerlo (I.13).

[108] mortorio: funerale.

[109] la strippa del mio stipito: la mia stirpe.

[110] colla ventosità de’ sospiri: traduce nel linguaggio volgare gli incensi e i profumi di Vanesio.

[111] il damo: l’innamorato. ♦ ti chiappai: ti sorpresi.

[112] Manameo: lo stesso che Menameo di II.18.86.

[113] si farebbe … occhi: non si verrebbe a capo di nulla.

[114] Alò: orsù. ♦ discrizione: discrezione.

[115] di dreto: di dietro.

[116] ha sciolto … giordano: ha sciolto il freno alla lingua. Con Giordano si allude al celebre fiume del Medio Oriente; «dalla velocità, ponesi quel nome ai cani, onde il modo proverbiale sciogliere giordano, come sciorre il freno alla lingua» (Tommaseo-Bellini).

[117] cacazibetto: ganimede.

[118] condegna: meritata.

[119] se infra … capietur: se fra tre giorni non paga, verrà preso e portato in prigione.

[120] curatella: coradella, gli organi interni.

[121] Spillo: qui, per metonimia, nome del capo degli sbirri, intendendo con spillo lo stiletto di cui era armata la polizia.

[122] alle Stinche: in prigione; le Stinche erano le antiche carceri di Firenze.

[123] Vi porterò … arcolai: vi porterò del legno per fare delle palle e degli arcolai.

[124] il sacchetto: i denari (metonimia).

[125] gabbia: prigione; ma letteralmente la gabbia utilizzata per esporre i condannati al pubblico ludibrio.

[126] insimulacrite: irrigidite.

[127] sei giuli in presto: prenderebbe in prestito sei monete; il giulio era una moneta d’argento del valore di dieci baiocchi, fatta coniare da papa Giulio II.

[128] damma: daino.

[129] lo non lo vuole … noccioli: i cinque noccioli era un gioco nel quale i bambini si sfidavano in destrezza; qui in senso figurato per dire che non lo vuole per niente, forse con doppio senso.

[130] fino alle ceneri: lett. fino al primo giorno di quaresima; ma Vanesio vorrà dire che rimarrà amico finché il suo corpo non sarà tornato cenere, cioè fino alla morte.

[131] che si osservavan nell’uno: nell’anno 1, «quando non c’era nessuno», proverbiale per dire anticamente. ♦ mille settecentotto: anno in cui per la prima volta fu rappresentata la commedia.

[132] su’ bindoli e sugli scrocchi: su imbrogli e alle spalle degli altri. ♦ salvatico: parte del giardino dove le piante vengono fatte crescere spontaneamente, allo stato selvatico.

[133] scappar … verso: perdere del tutto la pazienza. ♦ stiavi: schiavi (toscanismo). ♦ si casca a bastoni: si finisce per essere bastonati. ♦ si ripone: si ritira. ♦ sta: silenzio, zitti!

[134] vadia: vada (toscanismo).

[135] tu non hai punta: tu non hai nessuna grazia.

[136] dii: dici (toscanismo).

[137] dee: deve (toscanismo). ♦ finestra inginocchiata: o soltanto inginocchiata. Finestra con inferriata a curva e sporgente nella parte inferiore.

[138] fare … accordellato: tessere un po’ la tela, mettersi d’accordo.

[139] sposa in erba: sposa novella.

[140] mon’onesta: madonnina infilzata; monna (madonna) Onesta è personaggio della famosa novella di Machiavelli, Belfagor Arcidiavolo.

[141] ferrata: finestra con inferriata.

[142] con lanterna serrata: con la lanterna chiusa, o cieca.

[143] nibbio: uccello rapace; qui ironicamente per scaltro. ♦ la mettino a leva: la mettano sottosopra. ♦ li ho stoppati: non me ne curo.

[144] Jach, jach: si spurga.

[145] mi rinferraiolo: mi copro bene col mantello.

[146] paretaio dello spasso: ritrovo di persone frivole. ♦ frugnoliamo … civette: mettiamo un po’ la lanterna in faccia a queste frasche.

[147] ch’armegg’egli?: che armeggia?

[148] com’ell’ha ire: come la va.

[149] To’ … bravo: o guarda, il mio padrone fa lo spaccone.

[150] costà: in codesto luogo, dove si trova Meo, l’ascoltatore. Costà è avverbio corrispondente al pronome codesto/cotesto, vedi Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Sintassi e formazione delle parole, Torino, Einaudi, 1969, p. 248.

[151] galuppo: farabutto.

[152] versa la broda: dà la colpa.

[153] cotesto: pronome dimostrativo riferito a Vanesio che si trova in una posizione vicina a Silvio; vedi Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Morfologia, cit. p. 202. ♦ se non ha … buio: espressione popolare; in questo contesto sta a significare che se Vanesio non ha altre prospettive di matrimonio resterà solo.

[154] se … impiagato: se siete sifilitico. ♦ Incurabili: all’ospedale degli Incurabili; con incurabili si era soliti indicare i malati di sifilide.

[155] far briaco: far passare per ubriaco.

[156] venite fede falsa: bugiarda.

[157] bel cece: damerino.

[158] mettevo … paperi: espressione proverbiale; i paperi, come è noto, sono ghiotti d’insalata, quindi mettere la lattuga in guardia a paperi è lo stesso che dare cosa o persona in custodia a tale di cui non dovremmo fidarci.

[159] in tanta malora: imprecazione rivolta contro Isabella.

[160] vestimento: vestizione monacale; qui detto ironicamente.

[161] entratemi … tasca: non mi importunate. ♦ ve’: interiezione (vedi, vedete) con valore rafforzativo.

[162] abbiam fritto: siamo fritti, siamo spacciati.

[163] la s’arebbe a sconvolgere: dovrebbe rimaner disorientata.

[164] più d’un panello: più di una torcia; panello, voc. di uso fiorentino, era un “viluppo di cenci unti il quale per le pubbliche feste» si accendeva «in cima a’ più alti edifici della città, per far luminaria» (Tommaseo-Bellini).

[165] babbusca: grossa; sarebbe bella!

[166] non ti vo’ … finestre: non ti voglio accasare se sei sgradita ai futuri parenti facendo entrare dalla finestra ciò che è mandato via dalla porta.

[167] ti ha rilevata di pepe: ti ha allevata astuta. ♦ allievi di vedove: figli educati da madri troppo indulgenti. Allievi di vedove fu anche il titolo di una commedia di intento polemico di Angelo Jacopo Nelli (Siena, per Francesco Rossi, 1751).

[168] se l’è fatta … venuto: è rimasto a bocca asciutta, deluso, e torna indietro per la stessa strada da cui era venuto.

[169] uccellatore: cacciatore. ♦ alla ragna: con la trappola; la ragna è una rete sottile impiegata per catturare gli uccelli. ♦ mi stiaccia: si schiaccia, mi vince (toscanismo). ♦ spiede: spiedo.

[170] sette suo: vantaggio suo, detto con ironia.

[171] O da’ qua: oh, dai qua (la mano).

[172] pigliar l’imbeccata: prendere il raffreddore. ♦ serezzana: brezza; «detto così in Firenze, perché spira dalla parte di Sarzana o Serezzana come anticamente chiamavasi» (Fanfani).