Girolamo Gigli

La sorellina di Don Pilone

o sia

L’avarizia più onorata nella serva che nella padrona

Commedia

 

 

a cura di

Françoise Decroisette

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana

lineadacqua

2020

 

 

 

Girolamo Gigli

La sorellina di Don Pilone, o sia L’avarizia più onorata nella serva che nella padrona

a cura di Françoise Decroisette

© 2020 Françoise Decroisette

© 2020 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 30

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

Supervisore per i dialetti: Piermario Vescovo

Comitato scientifico: Beatrice Alfonzetti, Francesco Cotticelli, Andrea Fabiano, Javier Gutiérrez Carou, Simona Morando, Marzia Pieri, Anna Scannapieco e Piermario Vescovo.

www.usc.gal/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.gal

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-32066-46-3

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito dei progetti di ricerca Archivio del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663), Archivio del teatro pregoldoniano II: banca dati e biblioteca pregoldoniana (FFI2014-53872-P) e Archivio del teatro pregoldoniano III: biblioteca pregoldoniana, banca dati e archivio musicale (PGC2018-097031-B-I00) finanziati dal Ministerio de Ciencia e Innovación spagnolo e dal FEDER. Lettura, stampa e citazione (indicando nome dei curatori, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietato qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana n° 30

 

 

 

NOTA al testo

Il testo dell’ultima commedia gigliana, preso com’era stato tra la fretta dello scrivere, la censura immediata e il divieto di pubblicazione, obbliga lo studioso, come accade per la maggior parte delle opere del Senese, a delucidare molteplici punti oscuri, a cominciare dalle variazioni del titolo e dall’aggiunta postuma di testi periferici non attribuibili con certezza all’autore. È anche fortemente improbabile che Gigli, espatriato a Roma, abbia potuto controllare di persona la prima edizione veneziana del 1721, priva di qualsiasi paratesto che possa esplicitare le circostanze della pubblicazione e i criteri della trascrizione. Il testo fissato nel 1721 appare poi modificato e corretto, a livello microscopico (tipografia, ortografia, morfologia) ma anche macroscopico (battute aggiunte o soppresse), nell’edizione Paperini del 1749, anch’essa priva di qualsiasi paratesto. Questa poi passa senza modifiche nelle edizioni ulteriori, se non per quanto riguarda il paratesto di origine incerta, aggiunto, con variazioni sensibili, nelle edizioni del 1768.

 

Edizioni del Settecento della Sorellina di don Pilone

1721     L’Avarizia / più onorata nella serva / che nella padrona / ovvero / La Sorellina di D. Pilone / commedia / recitata dagl’Accademici / ROZZI in Siena / del sig. Girolamo Gigli Nob. Sanese. Venezia, Alvise Pavino, 1721, 143 pp., nessun paratesto, (digitalizzata in Internet archive, archive.org).

1749    L’Avarizia / più onorata nella serva / che nella padrona / ovvero/ La sorellina / di Don Pilone / commedia recitata in Siena/ dagli accademici Rozzi/ l’anno 1712 / e di nuovo nel carnevale / dell’anno 1749, Firenze, nella stamperia di Bernardo Paperini, 1749, 131 pp., nessun paratesto. (digitalizzata in Google Books, books.google.com).

1768a   La Sorellina / di don Pilone, / ovvero / L’Avarizia più onorata nella serva / che nella padrona / commedia di Girolamo Gigli / sanese/ con alcune composizioni cavate / dal manoscritto originale / dell’autore poste in fine, (s.l., s.e.), 1768, pp. xii-128; sta in Componimenti / teatrali/ del signor / Girolamo Gigli / pubblicati / da Vincenzo Pazzini Carli / mercante di libri in Siena / in Siena, appresso il Bonetti stamperia del publico, Per Francesco Rossi stampatore, 1759, con 8 farse.[1] Paratesto pp. i-xii: Soggetto ed occasione che ebbe Girolamo Gigli di fare la presente commedia (comincia con: L’Autore...), Lettera dedicatoria..., Madrigale per maschera, Nota sui personaggi; pp. 126-128: Canzone.

1768as L’Avarizia / più onorata nella serva / che nella padrona, / ovvero la Sorellina di D. Pilone / commedia, (s.l., s.e.), 1768, ed. separata identica a 1768a, tranne il titolo, e la presenza di un ritratto di Gigli e di una illustrazione, posta prima della sc. 1, atto I.[2] Paratesto pp. i-xii: Soggetto ed occasione che ebbe Girolamo Gigli di fare la presente commedia (comincia con: L’Autore...), Lettera dedicatoria, Madrigale per maschera, Nota sui personaggi; Canzone.

1768b La Sorellina di D. Pilone / O sia / L’AVARIZIA / più onorata nella Serva / che nella Padrona. (s.l., s.e.), 1768; sta in Il / don Pilone / ovvero / Il bacchettone falso / commedia / di Girolamo Gigli / accademico della Crusca / Si aggiunge / La Sorellina di don Pilone, / commedia dello stesso autore. Paratesto a pp. i-viii: Dedica dell’autore / All’illustrissima signora contessa / Flavia Teodoli Bolognetti /[3] A chi legge /;[4] a pp. ix-xv: Soggetto della seconda commedia intitolata La Sorellina di don Pilone, spiegata da un Amico dell’Autore (comincia con: Il Sig. G. Gigli).

            La mancanza di un manoscritto originale autografo aumenta ancora la difficoltà. Ci sono pervenute solo copie manoscritte conservate alla Biblioteca Riccardiana di Firenze MR, alla Biblioteca Comunale di Siena MS e Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, o in biblioteche private,[5] di cui possiamo confrontare la grafia con certe lettere autografe di Gigli conservate alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze,[6] alla Biblioteca Estense Universitaria di Modena,[7] o alla Bibliothèque nationale de France a Parigi,[8] oggi quasi tutte digitalizzate. Queste copie non sono datate precisamente, tranne quella conservata alla Biblioteca Comunale di Siena,[9] eseguita, secondo quanto notato nel manoscritto, nel settembre 1741, a partire da un manoscritto preesistente, non conosciuto, e non necessariamente autografo o stabilito in vita dell’autore. Questa copia può nondimeno essere considerata la più anziana e, come s’è detto nell’Introduzione, comprende uno dei testi periferici inseriti nelle edizioni dopo il 1768, il Soggetto ed occasione, concluso con la nota sulla parlata dei personaggi. La ‘scrittura’ del paratesto, o almeno di parte di quello, Il Soggetto e la Nota sui personaggi, può quindi essere considerata anteriore al 1741, e la Nota legittima gli interventi e correzioni dell’edizione Paperini. Per quanto riguarda l’affermazione di Pazzini Carli nel titolo dell’edizione 1768a a proposito dei testi aggiunti, si tratta forse solo del madrigale e della canzone finale, data la formula utilizzata dall’editore: «con alcune composizioni cavate dal manoscritto dell’autore». Va notato che la versione del Soggetto presente nella copia senese è più vicina a quella dell’edizione 1768b. Considerando le date indicate in questa copia, e certe grafie interne (cfr. Apparato, passim), si potrebbe ipotizzare che la copia senese sia stata fatta sull’edizione del 1721. Tuttavia nel primo atto sono già presenti le varianti macroscopiche della scena 1 (cfr. Commento I.1.30 e 31), assenti dell’edizione princeps, ma registrate nella 1749, nelle 1768a e b, trascritte anche nella copia della Riccardiana di Firenze.

 

Copie manoscritte della Sorellina di don Pilone

MS La Sorellina di D. Pilone / comedia / del Sig.r Girolamo Gigli nobile senese / recitata in Siena dall’Accademia de / Rozzi / Nel Salone, il 27 febbraio 1712/3, «Terminata di copiare dalla Sr. D F.ill.V, il di 30 settembre 1741 dal manoscritto favoritomi dal sig. Celio Brancadori»;[10] c.n.p./1: titolo e interlocutori,[11] cc. 1/2r- 4/5r: Soggetto ed occasione dell’operetta scenica spiegata da un amico dell’Autore; comincia con: Il signor Girolamo Gigli...; finisce con il paragrafo sui personaggi (a cc. 3/4v- 4/5r).

MR[12] L’Avarizia / più onorata nella serva che nella / Padrona / overo / La Sorellina di Don Pilone / commedia / di Girolamo Gigli / (senza data, nessun paratesto).

Manoscritto Bib. Centrale Roma, (non consultato):[13] L’Avarizia più onorata nella serva che nella padrona ovvero la Sorella del Sig.re Don Pilogio, del Signore... (senza data; nessun paratesto (?)).

Manoscritto Gonelli (non consultato):[14] L’Avarizia / più onorata nella serva che nella / Padrona / Ovvero / La Sorellina di Don Pilone / Commedia / del Sign.r Girolamo Gigli / di/ Siena (senza data, nessun paratesto (?)).

            Per la trascrizione, abbiamo seguito l’edizione fiorentina Paperini del 1749, e abbiamo segnalato nel Commento le varianti più importanti che essa presenta coll’edizione 1721 e coi due manoscritti che abbiamo potuto consultare MR, MS: qualifica degli interlocutori, battute o scene tolte/aggiunte o trasformate, presentazione diversa di certi dialoghi, nell’ atto V, variazioni nella posizione e la redazione delle didascalie, e varianti lessicali significative. Abbiamo trascritto in Appendice i testi periferici a partire dall’edizione 1768a, dove è presente la totalità di questi testi, segnalando anche nell’Apparato le varianti principali che appaiono da una parte nel Soggetto del manoscritto senese, e dall’altra nella versione di detto Soggetto dell’edizione 1768b. Questo dovrebbe permettere di stabilire una cronologia delle copie. Nello stato attuale della ricerca, possiamo costatare una vicinanza maggiore dei manoscritti MR e MS con l’edizione 1749 che non coll’edizione princeps ad esempio: baullo ] 1721 bavulo MR MS baullo). Le varianti più significative di 1749 con 1721 e con MR e MS, a livello grammaticale e lessicale, o a livello di battute omesse o aggiunte, come pure nella redazione, e la situazione delle didascalie sono registrate nell’Apparato.

            L’edizione fiorentina presenta già una larga modernizzazione della grafia (a. e. caduta della h iniziale: havere> avere, habbia > abbia, haverà>averà; legature e doppie consonanti ristabilite: sta notte> stanotte, femine > femmine; legatura sistematica delle preposizioni articolate: de i, con i, con le, a i > dei, coi, colle, ai, ma uso di per il, per i; legatura dei pronomi combinati (gle li, glie le, glie ne > glieli, gliele, gliene ecc., ma conservazione di ve la, me ne...)–. Si registra anche in 1749 una razionalizzazione della punteggiatura (a. e., nell’uso dei punti interrogativi o esclamativi), ancora imprecisa nella princeps e variabile nei manoscritti. Come s’è detto sopra, [15] quest’edizione opera una dialettalizzazione sistematica della lingua, assente dall’edizione princeps, specie nelle parti delle donne, rendendo i personaggi più verisimili, in particolare Credenza che si rivendica a più riprese di origine popolare, contadinesca (IV.2) (a. e.: domandar > dimandar; poverino > povarino; signor padrone > gnor padrone; illustrissimo > lustrissimo; fatica > fadiga; gomita > gombita; neve > nieve; melma > memma; madonna > monna; stenteremo > stentaremo; l’averebbe > l’arebbe; averei > arei; bisognerà, pagherò > bisognarà, pagarò; fosse > fusse; siete > sete, può >puol ecc.).

            In 1721 1, il testo è privo di qualsiasi segno in margine usato nell’edizione per indicare i passi che possono essere non recitati o tolti. Questi segni esistono nell’edizione 1749 (trattini doppi nel margine =, ad ogni linea) e sono ripresi nell’edizione 1768b sotto forma di virgolette basse. Vengono apparentemente sottolineate in questo modo diverse battute che, nella recitazione in scena, potrebbero apparire troppo lunghe o contrarie alle convenienze morali. I passi segnati sono gli stessi nel 1749 e nel 1768. Nella trascrizione i passi più significativi sono segnalati da trattini doppi, ma solo all’inizio e alla fine del passo.

            Per il titolo, benché l’edizione Paperini porti ancora il titolo L’Avarizia..., con il quale probabilmente la commedia circolava ancora quando il giovane Goldoni viene coinvolto nella recita perugina, abbiamo scelto quello, rovesciato, con il quale il testo è passato alla posterità: La sorellina di Don Pilone ovvero L’Avarizia..., seguendo in ciò la volontà implicita dell’ autore espressa nella battuta finale di Tiberino (cfr. Introduzione, p. 36).

 

Criteri di trascrizione

Per la trascrizione abbiamo seguito le Norme editoriali dell’edizione veneziana Marsilio delle Opere di Carlo Gozzi e Carlo Goldoni, vòlte ad avvicinare il testo al lettore moderno.

 

 

 

Girolamo Gigli

La sorellina di Don Pilone[16]

 

 

               

interlocutori[17]

geronio, gentiluomo sanese[18]

L’Accademico detto lapostato

egidia, sua consorte

L’Accademico detto lopportuno

don pilogio, finto bacchettone[19]

L’Accademico detto lo strinito

buoncompagno, amico di geronio

L’Accademico detto l’intrepido

tiberino, segretario di geronio[20]

L’Accademico detto il maneggevole

menichina, cameriera di buoncompagno

L’Accademico detto il primaticcio

credenza, serva d’egidia

L’Accademico detto il facile

maestro burino argentiere

L’Accademico detto l’infuocato

 

Attori per la cantata

La Maestra del Conservatorio

Quattro Zoccolette[21]

 

personaggi per un ballo

La Malmaritata

Il suo Sposo

Donne con bambini

Altre Vergognose

Alcuni Mascherati

 

mutazioni di scene

Civile[22]

Stanza d’egidia

Camera di geronio

Appartamento di buoncompagno

Appartamento e Conservatorio di don pilogio

 

l’appiccicato e

l’imbiancato                  Deputati

 

 

 

                                   Atto primo

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Civile.

 

                                   Buoncompagno, Geronio e Tiberino dietro con un cane legato e una valigia in spalla.

 

            geronio        Con tutto ch’io sia mezzo stroppiato, come vi dissi, per una caduta, e stracco che non ne posso più, tanto non vi darà l’animo il condurmi ove credete, Signor Buoncompagno mio, lasciatemi stare e lasciatemi andare alla locanda. Sapete voi che da Roma a qui son venuto in ventiquattro ore? La cambiatura, le cattive strade, la pioggia, col male addosso m’hanno sconquassato

 

buoncompagno        Tant’è, signor Geronio, non voglio che si dica che in Siena, vostra patria, vi dobbiate alloggiare alla locanda; avete la casa della moglie bella e buona.

 

            geronio        Bella e buona, a chi si riferisce? Alla moglie o alla casa?

 

buoncompagno        In rigor di parlare, né all’una, né all’altra; perché la signora Egidia vostra consorte è già vicino a sessant’anni e la casa è solo adattata al bisogno suo e della serva; ma per questi pochi giorni che vi fermarete, è comoda quanto basta.

 

5          geronio        Un letto e un tavolino da scrivere, e non cerco di più. Ma io fuggo l’occasione di prender briga con una signora che non è tagliata al mio genio.

 

buoncompagno        Del genio bisogna fare come del vestito, adattarlo al luogo, al tempo e alla stagione. Io voglio accordarvi che sia un poco tenace...

 

            geronio        Un poco tenace, eh? So che voi abitate l’appartamento superiore della casa dove ella sta. E tutto il giorno ne risapete dalle serve delle belle e delle curiose. E perché ne muta tutto il dì, se non perché le fa morir di fame e le ammazza dalla fatica del lavorare?

 

buoncompagno        Lo fa per voi e per i vostri figliuoli. Ma adesso per fortuna s’è incontrata in una serva che non è troppo ghiotta; e non dubitate che non si approfitti della congiuntura. Sentite questa che mi ha contato Menichina mia.

 

            geronio        La vostra Menichina è una ragazza scaltra e saprà cavargliele di bocca tutte.

 

10 buoncompagno   La sera del passato carnovale, madonna Credenza – così si chiama la vostra serva –...

 

            geronio        Credenza? Questa appunto vo io cercando.

 

buoncompagno        In quanto in casa, ve la troverete; ma voi forse vorreste trovarla nelle botteghe. Credenza dunque fu invitata ad una veglia, perché con tutto che sia un poco attempata, ha il baco di ripigliare il secondo marito. Ma perché la signora Egidia aveva fretta di mettere in ordine certa biancheria per mandare a Roma a’ vostri figliuoli, pregò madonna Credenza a voler filare, promettendole una buona cosa da cena. La poveretta, che per altro è ubbidiente, restò a filare, con animo di ristorarsi un poco a quella cena che non viene più di una volta all’anno.

 

            geronio        Magre cene e magri desinari fa sempre la signora Egidia: suol ben mangiare volentieri a casa d’altri.

 

buoncompagno        Sì, sì, quando viene a casa mia, mi fa grazia di mangiare d’ogni cosa un poco.

 

15        geronio        E anco si metterà qualcosa un tasca.

 

buoncompagno        In tasca, e qualche volta ancora si cava le pianelle per riporvi qualche pezzo d’arrosto, e scende le scale scalza per tornarsene al suo appartamento, raffreddandosi un poco i piedi per riscaldarsi lo stomaco.[23]

 

            geronio        Queste sono attrattive che m’invitano a tornar con lei. Ma qual fu la cena della serva, signor Buoncompagno?

 

buoncompagno        La condusse in dispensa e dopo avere aperta a quattro chiavi una cassa di melesecche e di sorbe...

 

            geronio        Una cassa simile, a quattro chiavi!

 

20 buoncompagno   A quattro chiavi; due ne faceva tenere a due più prossimi parenti, una al Priore delle Malmaritate e una la teneva lei. E soleva aprir quella cassa col notaro ancora. Ma perché non voleva pagar il rogito che con due melesecche per volta, ha cominciato adesso ad aprirla senza solennità.

 

            geronio        Tra questo scherzo ci sarà pur mescolato del vero.

 

buoncompagno        Prese dunque due sorbe più fracide che mature, e disse: «Orsù madonna Credenza, voi avrete logorata della saliva nel filare più del dovere, non è vero? Succhiate queste due cose dolci, e succhiatele adagio, e succhiatele col pane».

 

            geronio        Che grasso carnevale fece madonna Credenza! = In cotesto penso che voi facciate delle caricature. Posso ben dirvene un’altra io, che faceva la signora Egidia quando io teneva della gente a lavorare nella vigna. V’immaginareste voi come ingrassava la minestra a quelle povere genti?

 

buoncompagno        Come?

 

25        geronio        Sapete come ogni due o tre anni ognuno fa ungere i pesti, e le serrature col lardo vecchio e colle cotenne avanzate. Ora ella metteva nella pignatta un pestio a bollire colla carne di bufala, e poi lo faceva leccare a certi povaretti che venivano a chiedere limosina, e diceva: «Pregate per noi, che il Cielo ci facci moltiplicare la robba».[24]

 

buoncompagno        Quei povaretti sono stati poco esauditi, perché per troppo spesso levar que’ pesti dagli usci, la vostra robba, che era libera, ha presa la strada e se n’è uscita di casa.

 

            geronio        Amico, delle domestiche mie disgrazie forse ne hanno la maggior colpa le mie domestiche discordie, accese da un mio maligno ascendente e da più sfortunate combinazioni. Passiamo ad altri ragionamenti e concludiamo per ora, secondo che voi medesimo mi dite, che in casa della signora Egidia non potrei godere un’ora di quella quiete di cui tanto, come sapete, ho bisogno.

 

buoncompagno        Io sono informato quanto voi dell’origine de’ vostri pregiudizi. Compatitemi se con la facezia avessi punta un poco quella piaga che ragionevolmente debbe dolervi. Or per tornare al nostro proposito, vi accordo subito che la signora Egidia vostra moglie è inquieta, avara e forse sordida, tantocché madonna Credenza chiamandola corrottamente la signora Accidia è stata accettata comunemente da tutti questa denominazione: ma con tutto questo per quattro motivi intendo obbligarvi a questa resoluzione.

 

            geronio        Dite.

 

30 buoncompagno   Il primo, per togliere lo scandalo che date con questa separazione. Il secondo, per iscemarvi qualche maggiore spesa che vi porterebbe la locanda, di pigione, di fuoco e di servitù. Dove che convivendo con la signora Egidia a tutto questo non penserete; ed oggi siete in uno stato che dovete ancor badare alle minuzie. Il terzo, per dare colla vostra persona qualche soggezione a quel bacchetton falso di Don Pilogio, il quale siccome con le sue insinuazioni piene di secondo fine ha seminato molta zizania in casa mia, così mescolatosi negl’interessi di vostra moglie a titolo di direttore spirituale, coopera al possibile alla vostra disunione con lei ed a raffreddarla nell’amore verso i vostri figliuoli. Quarto. Io so per via di Menichina, la quale tutto il dì cava qualche cosa di bocca a madonna Credenza, che vostra moglie, sentendo il vostro ritorno, ha canzato certi baulli di robba, dubitando forse di qualche vostra visita improvvisa. Onde se vi riescisse colla vostra poetica invenzione guadagnarvi la confidenza della serva, chi sa che non arrivaste a metter le mani in quelle sacchette che la signora Egidia ha messo da parte, siccome voi credete e credono tutti universalmente.[25]

 

            geronio        Il primo addotto motivo dello scandalo può cessare nel reflesso che maggiori scandali nasceranno a star con mia moglie che s’io ne vivo lontano. Il secondo dello sparammiare è un servizio che poco vien a tempo a’ miei interessi, e che mal si compensa colla libertà che in un’altra casa goderei. La terza considerazione di far sloggiare da casa mia Don Pilogio è più potente delle due prime, perché n’ho risapute tante di questo malizioso Volpone, ch’io voglio mortificarlo a dovere. Ma pur crederei che due parole ch’io gli dicessi all’orecchie servissero a farmi intendere senza ch’io m’impegnassi a ritornare in casa. Ma quei baulli canzati, come mi dite, ed il poterli ricuperare colla confidenza della serva, sono il più forte argomento dei precedenti. Oltre che di qualche cosa di più che de’ baulli può darmi lume Credenza. Nondimeno signor Buoncompagno mio, quell’inquietudine, quel mangiar male, quel viso dispettoso...[26]

 

buoncompagno        All’inquietudine si rimedia con una stanza libera e colla conversazione di vostro genio, col comporre gli avvisi della Cina, qualche sonetto, e che so io. Al mangiar male provvederanno in qualche modo i vostri amici e vi farò far io qualche salsetta e qualche stufatino da Menichina; ed infine potrete salire alla mia tavola quando vorrete.[27]

 

            geronio        Qui si rimedierebbe all’inquietudine ed al mangiar male; ma al viso dispettoso?

 

buoncompagno        Spegnere il lume la notte ed il giorno voltarsi in là.

 

35        geronio        Ah, baulli maladetti!!

 

buoncompagno        Resoluzione, su, andiamo, cho io voglio farvi la strada.

 

            geronio        Almeno quando saremo alle scale, fatemi la carità, sapete?

 

buoncompagno        Che carità?

 

            geronio        Di bendarmi.

 

40 buoncompagno   Siete curioso al vostro solito. Andiamo.

 

            geronio        Facciamo quel che volete. Ma del cane e del paggio che dirà la signora Egidia?

 

buoncompagno        Mangeranno in casa mia, se vostra moglie non ce li vorrà. Andiamo.

 

            geronio        Ah, baulli maledetti! Che gran sproposito mi fate fare!

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Appartamento.

 

                                   Egidia che fila, Credenza che fila e tiene a’ piedi il girello facendolo girare e s’addormenta.

 

            egidia            Madonna Credenza, eh, madonna Credenza! A dire eh, che siete fatta tutta di sonno. State su, vi dico. Ohimene, ohimene! Quando è tempo di fare covelle, voi vi addormentate.[28]

 

            credenza      Adesso, signora.

 

            egidia             Su, su, e annoi, dormigliona.

 

            credenza      Si dorme tanto poco la notte e si dura tanta fadiga il giorno...

 

5          egidia             Eh, scredenziata, dimandate come si campa nell’altre case.

 

            credenza      Sì, ho a indugiare a ora a dimandarene. Nell’altre case si mangia e si dorme più e si lavora meno. Perché quando una povara serva lavora colle mani, non lavora co’ piedi; e quando lavora co’ piedi, non lavora colle mani. Cancamene! La rocca da una mano, il fuso dall’altra, e di più co’ piedi lavorare al girello...[29]

 

            egidia            Le fo io che son gentildonna, quando però ho la sanità: filo come voi, volto il girello come voi, e colla bocca fo un altra cosa; e son gentildonna.

 

            credenza      Oh che fa colla bocca, gnora padrona?

 

            egidia            Mondo i semi a quel che vende l’orzate, e son gentildonna; e con le gombita ne fo un’altra, e son gentildonna.[30]

 

10        credenza      Oh, che fa con le gombita, gnora padrona?

 

            egidia            Staccio le noci allo speziale; e son gentildonna.[31]

 

            credenza      Io so’ una povarina, che non so fare che una cosa per volta.

 

            egidia            E quella male.

 

            credenza      Gli volevo dire una cosa,veh; ma a noi altre povarine non ci sta bene il dire quel che ci viene in bocca.

 

15        egidia            Dite pure.

 

            credenza      No, no, siam povarine.

 

            egidia            I vostri fatti ho caro che me li diciate, perché io non son permalosa.

 

            credenza      Non è permalosa, dice!

 

            egidia            Che volevi dire? Annoi.

 

20        credenza      Volevo dire... Gnora no, gnora no, siam povarine.

 

            egidia            Sarà stata qualche scioccaria delle vostre.

 

            credenza      Ora non era scioccaria, sa. Volevo dire... Uh la dirò, veh. Sì che la vo’ dire, toh. Vosignoria fila colle mani, e gira il girello co’ piedi nel medesimo tempo, neh?

 

            egidia            Sicuro quando son sana.

 

            credenza      E monda i semi e staccia le noci colle gombita, nel medesimo tempo, neh?

 

25        egidia            Quando son sana.

 

            credenza      Potrebbe fare un’altra cosa. Noe, noe, l’arebbe per male.[32]

 

            egidia            La fate longa.

 

            credenza      Scortiamola. Potrebbe farsi fare una sedia bucarata...[33]

 

            egidia            = E poi?

 

30        credenza      E poi farsi spalare sotto il grano e dillolarlo.[34]

 

            egidia            Rispostacce da contadine barone. (le tira una pianella)

 

            credenza      Garbi da gentildonne sgarbate; trattar male di pane, di salario e di parole, e poi... Basta, lo vo’ dire al signor don Pilogio.

 

            egidia            Oh, ditegli di questa ancora. (le tira l’altra) =

 

 

                                    SCENA III

 

                                    Buoncompagno, Geronio, Tiberino e detti.

 

buoncompagno        Tanta collera, signora Egidia? Adesso bisogna mandar da parte l’irascibile e dar luogo al concupiscibile. Il signor Geronio vostro sposo è tornato da Roma ed è qui adesso a posarsi da voi.[35]

 

            egidia             (a parte) (Ci mancava questo diavolo.)

 

            geronio        Signora consorte, buon dì a Vosignoria.

 

            credenza      Il Padrone? Oh, che sia benedetto. Benvenuto a Vosignoria. Uh, quanto è garbato. Segga, gnor padrone; stia qui da noi e non se ne vadia più, gnor padrone..

 

5          geronio        Buondì a Vosignoria, signora Egidia.

 

            egidia            Serva.

 

            credenza      Sarà stracco povarino. (a Tiberino) Mostri le bolge, quel giovano. (A Egidia) = Eh, signora rivuol le pianelle? Le farà freddo a’ piedi. =[36]

 

            geronio        Resta forse sorpresa dalla mia venuta?

 

buoncompagno        Che donna incivile!

 

10        geronio        Io non sono per trattenermi qui che per quindici giorni.

 

            credenza      Quindici soli?

 

            geronio        E questo giovine mio scrittore, se le dà impaccio, mangerà in casa del signor Buoncompagno.

 

buoncompagno        Certamente.

 

            egidia             Eh, mi meraviglio. Stentaremo tutti: del resto...

 

15        tiberino        Bacio le mani a Vostra Signoria Illustrissima.

 

            egidia             Baciatele a vostra madre.

 

buoncompagno        Anzi se per questi quindici giorni...

 

            credenza      Dico quindici giorni soli, io! Eh vorrei veder questa, che questo giovanetto avesse a star qui per tanto poco! Lei, gnor padrone, ha da star sempre qui, sempre, veh; e questo giovano ancora.

 

            egidia            La padrona son io. La casa ed il vitto devo offrirlo io e non voi. Poca creanza che avete.

 

20        credenza      Gnor padrone, i signorini stanno bene a Roma?

 

            egidia             E di questi tocca a dimandarne a me che son sua madre, e non a voi.

 

            geronio        (a Buoncompagno) Si vede che è donna di buon cuore questa serva.

 

buoncompagno        Più della padrona.

 

            egidia            È una donna un poco scema, la compatiranno. (a Credenza) Date da sedere che saranno stracchi.

 

25 buoncompagno   Non è poco che se ne sia accorta adesso.

 

            credenza      Il signor padrone averà appetito lui e questo giovanetto ancora. Non è vero?

 

            egidia             Se averanno appetito, lo diranno da sé.

 

            geronio        Signora Egidia, m’aspettava altra accoglienza da Vosignoria.

 

            egidia             Son donna di poche parole.

 

30        geronio        Ella al vedermi è restata tantina.[37]

 

            credenza      = Li dirò, signor padrone: la signora padrona è restata tantina ancora innanzi che Vosignoria venisse, perché s’è cavate le pianelle per tirarmele e però è rimpiccinita.

 

            egidia             (a parte) (La rabbia mi mangia con questa pettegola.)

 

            geronio         (a Buoncompagno) Se guasta le pianelle non potrà più mettervi l’arrosto.

 

            credenza      Gnora padrona, si rimetta le pianelle, e ritorni tantona.

 

35        geronio        (a parte) (Questa serva vuol essere il mio spasso.)

 

            egidia            = Questa serva è la mia dannazione. È una contadinaccia malcreata... =

 

            geronio        Si vede però che è amorosa dei padroni, ubbidiente e fadigante.

 

            credenza      Eh, gnor padrone, li piace il ben dire a lei. (a parte) (Ma è poi garbato: è bene altra cosa che la sua moglie.)

 

buoncompagno        Orsù signora Egidia, signor Geronio, mi rallegro della loro buona riconciliazione; e supponendo che il signor Geronio abbia bisogno di riposarsi un poco, gli lascerò in tutta libertà.

 

40        egidia             (a parte) (Se non aveva altro da lasciarmi.)

 

buoncompagno        Se occorre alcuna cosa, facciano capitale della mia casa... (parte)

 

            geronio        Obbligato, signor Buoncompagno.

 

            egidia             Serva sua.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Geronio, Egidia, Credenza e Tiberino.

 

            geronio        Tiberino, fatevi insegnare la mia camera e riponetevi le mie robbe.

 

            tiberino        Illustrissimo, sì.

 

            credenza      Andiamo, giovanetto. Uh, come ci fanno savi a Roma! Altra cosa che queste fulene di Siena. (parte con Tiberino)[38]

 

            geronio        Questo è un giovine d‘ottima indole e d’une civilissima nascita ancora. Ha un carattere franco e corretto, quanto qualsivoglia segretario di Corte.

 

5          egidia             In quanto a me, questa segretaria la lassarei tenere a prencipi.

 

            geronio        Ma come ho da supplire a tante lettere con personaggi e con letterati?

 

            egidia             Lasciate stare coteste lettere.

 

            geronio        E tante scritture per le mie stampe?

 

            egidia             Lasciare stare le stampe ancora.

 

10        geronio        Massime vili di voi altre donne; e la promessa fatta al mondo di tanti libri? certo se io non li finisco, mi chiameranno l’autore dei frontespizi.[39]

 

            egidia            Massime di donne sì. Eh, marito mio, vorrei che pensaste alle promesse e a’ debiti pe’ quali ci troviamo in questo stato.

 

            geronio        A’ soliti discorsi: come se voi non sapeste le liti patite nell’eredità...

 

            egidia             Le commedie in musica, le cantatrici...

 

            geronio        (torna Credenza) Tiberino, ripiglia il fagotto.

 

 

                                   SCENA V

 

                                    Credenza e detti

 

            credenza      Il fagotto è già disfatto e Tiberino rigoverna i panni e la biancaria. Che ne voleva fare?

 

            geronio        Andarmene di qui, che appena giunto ci trovo de’ contrasti.

 

            credenza      Oh, andarsene poi no. Signora, non lo faccia scandalizzare che è una pasta di mele.

 

            geronio        Credenza, eccovi un mezzo grosso. Pigliatemi un par d’uova a bere, e portatemele in camera, che per questa sera mi servono. Questa notte bisognerà aver pazienza.

 

5          credenza      Dico che lei abbia a pagare l’uova io, se ci sono in casa belle e fresche.

 

            egidia             Dove sono, sciocca?

 

            geronio        Prendetele senz’altro. Buona sera a Vosignoria. (parte verso la camera)

 

 

                                    SCENA VI

 

                                   Credenza ed Egidia

 

            egidia            Buona sera e buon anno, e buon viaggio per domattina. Chi v’ha detto che voi non pigliate i denari quando esso ve li vuol dare?

 

            credenza      Mi pareva...

 

            egidia            Vi pareva, vi pareva... Date qua quel mezzo grosso. Andate nel nostro pollaio per una coppia d’uova e cuocetegliele.

 

            credenza      Ne volete veder più! Farsi pagare una coppia d’uova dal marito.

 

5          egidia            Eh, ditegli che l’avete comprate fuora, sapete. Perché se sapesse che io avessi le galline in casa, non gli venisse voglia di far cuocere l’uova a bere la mattina anco allo scrittore che non si svenisse al tavolino.

 

            credenza      In quanto a questo scrittore, si vede che è un angiolo. Ma a lui bisogna pur trovargli qualche cosa. Son giovanetti, mangerebbero a tutte l’ore.

 

            egidia            = Oh, poveretta me! Quando co’ frutti della mia dote non ho da campar per me, mi è venuto questo sparapane addosso col compagno.[40]

 

            credenza      Ho visto una gallina fredda qui all’osteria. Signora, la vogliam pigliare?

 

            egidia             Spropositata! Avvezzarli alle galline fredde, eh?

 

10        credenza      Ma quel giovanetto... =

 

            egidia            E pur lì col giovanetto. Poteva stare da sua madre e da suo padre, se era cosa buona. Voi lo sapete: la botte fa i fiori, e della farina non c’è da fare il pane per un’altra volta.[41]

 

            credenza      O quella calza piena di que’ giuli d’oro che era in quel baullo?

 

            egidia            V’ho detto cento volte che quelli son denari d’una monaca, e in quel baullo v’è della robba d’una mia amica che la canzò a tempo de’ quartieri. Eh, di questo baullo non ne state a chiacchiarare, chiacchiarona.

 

            credenza      Oh, io so’ una donna che parlo, veh! Ma il pane per tavola, signora, mi pare un po’ duro.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Menichina col cane e detti.

 

            menichina     Se è duro, lo mangerà questo cane del signor Geronio, che, credo, sia digiuno da Roma in qua: miri come sbadiglia. Il signor Buoncompagno lo voleva tener da sé; ma perché m’ha pisciato nel letto, non ce lo voglio. Tenga, signora Egidia, la riverisco. (parte)

 

            egidia            O questa di più adesso! Passa via. Ghiottone, via, via, non c’è da mangiare per il padrone e per lo scrittore, considera se ce n’è per te. Passa via.

 

            credenza      Teh, teh, uh, bell’animale! Non lo mandi via, è un peccato.

 

            egidia            Governatelo col vostro, dottora. Tera, via cagnaccio. Oh, meschina me.

 

5          credenza      Piccinino, sei diguno! Teh, teh. Credo d’aver un po’ di pane in tasca, ma secco.

 

            egidia            Se è secco, poteva farsene la pappa al padrone. Tera via. Datemi quel bastone.

 

            credenza      Dico il bastone, io! Povara bestia. Ah, gnora padrona, sono animali fedeli che guardano la casa. Teh, teh.

 

            egidia             Che ha da guardar la casa, se non c’è niente?

 

            credenza      Portano le lepri, le starne... Teh, teh.

 

10        egidia            Mangiano anche dieci libbre di pane il giorno. Tera via. Guarda che fa quella cosa, il porcone.

 

            credenza      Se la farà, toccarà a spazzare a me. Teh, teh.

 

            egidia             E a me tocca a governarlo. Va al diavolo.

 

 

                                    SCENA VIII

 

                                    Tiberino, Egidia e Credenza

 

            tiberino        Lustrissima, Scroccaminestre la morderà, veda. Tanto più che a questi giorni si dubitava che fusse arrabbiato.

 

            egidia             Dico arrabbiato ancora!

 

            tiberino        Lasci fare a me, che mi conosce. Il padrone appunto lo voleva, per metterselo a letto.

 

            egidia            Oh, questa di più, venir qui per dormir co’ cani! Che riconciliazione è questa?

 

5          tiberino        Madonna Credenza!

 

            credenza      Ahu.

 

            tiberino        Trovate una capaccia di castrato con due pagnotte grosse, e fate un poca di minestra a quest’animale; basti che mangi lui, che noi per ora non importa. (parte)[42]

 

            credenza      Volentieri, povarino. (parte)

 

            egidia            Che volentieri? Passate qua Credenza. Datemi la mantiglia e la scuffia, che me ne vo’ andare ora a casa delle mie genti. Ora, me ne vo’ andare, ora, ora.

 

 

                                   Fine dell’atto primo.

 

 

 

                  ATTO SECONDO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Civile.

 

                                   Egidia alla finestra, e poi Don Pilogio.

 

            egidia            Averei pur bisogno di raccontare le mie passioni a quell’uomo da bene di Don Pilogio. Questa è la sua ora; anzi è troppo tardi, perché è l’alba chiara e lui non ha caro d’esser visto, per amor delle cattive lingue. Sta, mi pare, sì. Zì, .[43]

 

            don pilogio  Zì, .

 

            egidia             Buondì a Vosignoria.

 

            don pilogio  La carità del prossimo sia con noi, e la pazienza.

 

5          egidia            Della pazienza, ne ho bisogno sicuro. Lo sa che è tornato quel diavolo di Roma?

 

            don pilogio  Lo so, e per questo non salgo questa mattina da voi; perché egli ha tanta contrarietà con gli uomini che hanno dato un calcio al mondo.

 

            egidia            Se lui vorrà mangiar del mio, bisognarà che ci stia. Ma iersera, Dio lo sa i grandi atti d’impazienza che mi fece fare.

 

            don pilogio  Impazienza sola?

 

            egidia             Impazienza e qualche parola cattiva.

 

10        don pilogio  Parole immodeste?

 

            egidia            Immodeste, signornò, ma risentite a cagione del suo scialacquare e tenere i segretari come i prencipi, quando non c’è da mangiare.

 

            don pilogio  Il Cielo l’illumini.

 

            egidia            Ecco, ora ha menato un ragazzotto che non par cattiva cosa veramente, ma è rivestito come un marchese: e que’ figliuoli, piaccia a Dio che abbiano cencio di camicia addosso.

 

            don pilogio  Che tempo ha?

 

15        egidia             Può aver diciotto o dicianove anni; e nel viso non è sgarbato.

 

            don pilogio  Ho inteso. Me ne dispiace per cagione di Menichina. Elle n’ha sedici, che pur non è sgarbata. Gioventù romana con cattiva educazione, la ragazza è un po’ libera, l’istessa casa, l’istesso tetto: oggi si comincia con uno sguardo inavvertito, dimani con una canzoncina immodesta, l’altro con un ghignetto e con un sospiro. Insomma – oh signora mia –, aviamo il fuoco qui accanto alla paglia, che ne sarà? Meschini a noi, quanto siam fragili!

 

            egidia            E la paglia signor Pilogio, non sarebbe niente. Il grano mi manderà mal tutto, che ha menato di più un cane grosso com’una bufala, che ci vuole uno staio di pane al giorno.

 

            don pilogio  Il cane, figliola mia, s’avvezzarà anche agli ossi.

 

            egidia             E lo scrittore bisognarà che ci s’avvezzi.

 

20        don pilogio  Lo scrittore forse s’attacarà alla carne, se non gli tenete lontana Menichina.

 

            egidia            La medicina farà da sé. Io me ne voglio uscire.

 

            don pilogio  No, per ora non è bene. Accarezzate vostro marito, servitelo; e poi pensaremo a fare i dovuti ricorsi e fargli dar l’esilio quando bisogni.

 

            egidia            È venuto pieno di sciantelli e sa di cerotti e d’impiastri, che rinega; e de’ quattrini non ce n’è uno.[44]

 

            don pilogio  Potete servivi di qualche somma di quelle che ho in deposito in que’ vostri baulli; ma quel meno ci trovarete.

 

25        egidia             No, no, non posso sapere come m’ho a condurre.

 

            don pilogio  Il giorno si rischiara e comincia a passar gente; ci riparleremo.

 

            egidia             Di grazia. Ma quebaulli li tiene in casa sua, non è vero?

 

            don pilogio  Non dubitate. Ma lo scrittore dove dorme? La sua camera ha corrispondenza con le finestre di Menichina?

 

            egidia             Signornò. Son pur serrati forte, mi pare!

 

30        don pilogio  Fortissimo. Eh, la ragazza sta pur savia, neh?

 

            egidia            A scassargli, mi pare che ci vada del buono, se non m’inganno: spesi una piastra nelle serrature.

 

            don pilogio  A far male non dovrebbe cascar alla prima, che le ho dato buoni libri da leggere.

 

            egidia             Ma non si sente altro che ladri.

 

            don pilogio  Ma non si sentono altro che cadute.

 

35        egidia             La gente non vuol lavorare.

 

            don pilogio  La gioventù non può resistere.

 

            egidia             Io dico sempre un’orazione per quebaulli.

 

            don pilogio  Io fo sempre qualche astinenza per quella figliuola.

 

            egidia             Signor Don Pilogio, addio: serri quella camera.

 

40        don pilogio  Addio, signora Egidia: abbia l’occhio a quel giovano.

 

 

                                    SCENA II

 

                                   Camera di Geronio, con tavolino da scrivere.

 

                                    Geronio in veste da camera e Tiberino.

 

            geronio        Già ve l’aveva detto che mia moglie è donna avara ed a me poco affezionata.

 

            tiberino        Ma quel ch’ho notato quanto al poco affetto, né pur dimandò a Vosignoria che male abbia al braccio e al fianco.

 

            geronio        E de’ figliuoli, vi pare che me ne dimandasse?

 

            tiberino        Forse non si cura di loro?

 

5          geronio        Gli ama teneramente, ma lo sturbo del mio arrivo gliene fece passare il pensiero. Ora abbiate pazienza. Giacché Buocompagno m’ha fatto far lo sproposito d’alloggiar qui, adoperate il vostro spirito simulando e guadagnandovela dal vostro partito.

 

            tiberino        E come?

 

            geronio        Ella è interessatissima e bacchettona.

 

            tiberino        Così dovrei non mangiare, non è vero? Già iersera si fece il primo digiuno.

 

            geronio        Non dico non mangiate, ma che mangiate più fuori che in casa: e tra poco saliremo su dal mio amico, per accordar seco il modo che facciate in casa sua di buone colazioni e merende.

 

10        tiberino        Per ubbidirla farò tutto.

 

            geronio        Già avete adunato qualche denaro di copie di scritture: e qui non sono per mancarmi simiglianti incumbenze.

 

            tiberino        Se dovessi stentare ancora un poco, lo farò di buon animo per servirla e per imparare in questo paese la buona lingua tanto necessaria al mio mestiere.

 

            geronio        Voi dunque vestitevi al possibile di parsimonia e spiritualità per compiacere ad Egidia, e per introdurvi seco in qualche confidenza che a me può servire per arrivare a certi fini. Sappiate ancora far la volpe con quel bacchettone, che qui bazzica...

 

            tiberino        Ecco gente.

 

15        geronio        Sarà forse Credenza a cui ordinai per quest’ora il bagnuolo. Ma andiamo più tosto al tavolino dove fingerete di scrivere, che io vi continuerò l’istruzione.[45]

 

            tiberino        Andiamo.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Credenza col bagnuolo e detti.[46]

 

            credenza      Ben levato, Vosignoria, ha dormito bene stanotte?

 

            geronio        (fingendo sempre dettare, si volta) Il mio bisogno.

 

            credenza      (a parte) (Povarino, averà dormito di vero. Dice il proverbio: chi va al letto senza cena, tutta notte si rimena.) (a Tiberino) E lei giovanetto, molto a buon’ora a studiare? Se si vuole sdigiunare, li darò due ciambellini io.

 

            tiberino        Oggi non mangio robba con uova, sorella mia. (finge tornar a scrivere)

 

5          credenza      Non mangia robba con uova? Ha qualche divozione, che sia benedetto. Signor padrone, questo è il bagnuolo, è calduccio calduccio.

 

            geronio        Adesso.

 

            credenza      (a parte) (Quella diavola della signora Accidia l’ha voluto annacquare questo vino: dice che pretto sarebbe troppo caloroso. Mirate se il braccio s’ha a imbriacare. Mi ricordo che quando stavo a podere, ne’ bagnuoli per le bestie non ci mettevo acqua io.) (a Geronio) Gnor padrone, si fredda.

 

            geronio        Veng’ora. (si leva dal tavolino)

 

            credenza      Io glielo volevo dimandar iarsera che male aveva a cotesto braccio, e perché andava zoppo. Ma la gnora Accidia, perché li dimandai de’ signorini e di certe altre cose, mi gridò e disse: «Tocca a dimandarne a me». E intanto il bagnuolo al marito, che l’averebbe a fa’ lei, vuol che glielo faccia la serva.

 

10        geronio        Conosco il vostro affetto ed il suo disamore. Il mio male procede da una caduta; ma spero presto ristabilirmi: servitemi bene, che sarete ristorata.

 

            credenza      Che vien a dire! So che lei ha bisogno per se, povarino!

 

            geronio        (si pone a sedere e nuda il braccio) Eccovi il braccio.

 

            credenza      Mi sbracciarò un po’ ancor io per non macchiar la camicia.

 

            geronio        Adagio! che mi duole.

 

15        credenza      Uh, è rosso e gonfio malamente.

 

            geronio        (a parte) (Ohimè costei è piena di rogna ed ha un fiato d’avello.)

 

            credenza      Non si ritiri, no, che non cuoce.

 

            geronio        Ma che pensate di fare?

 

            credenza      Il baguolo.

 

20        geronio        (a parte) (Mi prenderò un po’ di spasso.) (a Credenza) Non so se sappiate che io non ho toccato mai una mano a femmine, tolta la mia moglie.

 

            credenza      (a parte) (Uh, che signor buono! E pure la signora Accidia quando le parlavo del bagnuolo stamane diceva: «Il baronaccio è torno pieno di cacio e d’uova».)[47]

 

            geronio        Perciò non voglio che mi tocchiate colle mani, benché siate savia e molto avanzata d’età.

 

            credenza      Savia sì, ma avanzata, no. Le tribulazioni m’hanno fatta invecchiare: del resto non ho quel tempo che mostro.

 

            geronio        E darei scandalo a Tiberino se mi vedesse aver con voi tanta confidenza.

 

25        credenza      (a parte) (Queste so’ persone come va; che gli si può fidare le serve citte, le serve maritate e le serve vedove. A confusione di tanti, veh. Felice la mamma di quel giovanetto che l’ha messo in buone mani!)[48]

 

            geronio        Forse saprò ancor far da me. Datemi il panno caldo.

 

            credenza      Eccolo.

 

            geronio        Non v’accostate, madonna. (a parte) (Dà fiatate che appestano.)

 

            credenza      Che ne dite! Sicuro che gli darei le citte in serbo, più volentieri che ne’ conventi.

 

30        geronio        Insomma, non si fa bene.

 

            credenza      Lo scrittore lo potrebbe far lui?

 

            geronio        Io lo tengo in grado di fanciulla: oltre di che essendo ben nato, non ha da fare atti servili.

 

            credenza      Gnor padrone, se non vuol che m’accosti dirò una semplicità io.

 

            geronio        Dite.

 

35        credenza      Quando io ero ragazza, avevamo un’asina che era cascata come Vosignoria, e gli era enfiato un piede. Ora io, che avevo paura che mi tirasse de’ calci, lo sa come la medicavo? Colle molli del fuoco.

 

            geronio        Siete una donna di ripiego. Andate per esse.

 

            credenza      Burla, eh?

 

            geronio        Andate, andate.

 

            credenza      Eh, che minchiona.[49]

 

40        geronio        Non si può far altrimenti. Andate in tutt’i modi.

 

            credenza      Farò l’ubbidienza. (parte)

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Tiberino al tavolino e Geronio.

 

            tiberino        Non posso più dalle risa.

 

            geronio        Ed io oltre le risa della sua semplicità, non posso più dallo stomaco.

 

            tiberino        Io pure me n’ero accorto.

 

            geronio        Poveretta! La compatisco, ma voglio prendermi divertimento e farmela amica, per cavarle di bocca quanto bisogna.

 

5          tiberino        Ella scalzerà la serva, io la padrona.

 

 

                                    SCENA V

 

                                   Credenza e detti.

 

            credenza      Ecco le molli, ma non faremo bene.[50]

 

            geronio        Si faccia meno bene, purché si fugga lo scandalo. (Credenza comincia a far l’operazione) Oh, così basta. Voi siete donna d’abilità, e mia moglie dovrebbe tenerne conto.

 

            credenza      Ne tenga conto finché c’è Vosignoria, poi...

 

            geronio        Che volete lasciarla?

 

5          credenza      Mi par mill’anni.

 

            geronio        Per cercar marito o altra padrona?

 

            credenza      Marito, se Vosignoria mi facesse la carità...

 

            geronio        Volentierissimo, che posso fare?

 

            credenza      A Roma, non c’è delle doti per le povare vedove? Non può essere che quei principi, quei duchi non ne dieno: e lei che ci ha tanta entratura con quei signori, ne potrebbe aver una per me poveraccia, che pregarei sempre per Vosignoria, gnor padrone.

 

10        geronio        Pensava appunto adesso...

 

            credenza      Ci pensi un poco, buon citto.

 

            tiberino        (a parte) (Ora che il padrone ha trovato il terreno sollo, pianta qualche grossa carota.)[51]

 

            geronio        Dite, siete donna di buona fama?

 

            credenza      A dire, eh! Tanto io che tutte le mie genti: oh, non c’è bruscole poi.[52]

 

15        geronio        Male, sorella.

 

            credenza      Male, l’esser donna da bene.

 

            geronio        Malissimo.

 

            credenza      Oh, fammi veder questa!

 

            geronio        Vo’ dir malissimo nel caso nostro. Sentite. Il signor principe Giovanni Pilastro di Castrovincastro, con cui ho particolar dipendenza, distribuisce alcune doti di scudi cento venti.

 

20        credenza      Oh, codesta è buona limosina! Sia benedetto.

 

            geronio        Poi vi sono circa trenta stara di grano...[53]

 

            credenza      Di più!

 

            geronio        Certa botticella di vino...

 

            credenza      Ancora!

 

25        geronio        Due o tre para di lenzuola fine viterbesi...[54]

 

            credenza      Sentite!

 

            geronio        Una bella fede d’oro e certe pezze e fasce per il parto.

 

            credenza      La fede d’oro e le pezze e fasce per il parto! Caspitera! È dote da buttigaione, questa. Ed io ci potrei supplicare?[55]

 

            geronio        Mutate il bagnuolo.

 

30        credenza      (sta astratta) Adesso. Eh, dica, io ci potrei supplicare?

 

            geronio        Secondo che informazione aveste. Il bagnuolo, dico.

 

            credenza      L’informazioni me le daranno buone tutti i padroni e le padrone dove so’ stata...

 

            geronio        Il bagnuolo è freddo, Credenza.

 

            credenza      Gnorsì, adesso. Tutti diranno che sono una donna come si deve...

 

35        geronio        Ma che fate i bagnuoli un poco adagio.

 

            credenza      Ecco, ecco. (replica il bagnuolo)

 

            geronio        Ohimè, scotta.

 

            credenza      Ci soffiarò un poco. (s’accosta)

 

            geronio        In là, madonna.

 

40        credenza      Le molli non soffiano, la bocca soffia. Se non vuole che pigli il soffietto. E così l’informazioni dei padroni...

 

            geronio        Voi l’avete co’ padroni. Vorrebbero esser del bargello, l’informazioni. Il bargello vi conosce?[56]

 

            credenza      Dico il bargello, io! Dio me ne guardi, che avessi queste conoscenze, signore.

 

            geronio        Male, madonna Credenza, male.

 

            credenza      (a parte) (Eh, ho paura che il vino del bagnuolo non andasse annacquato davvero.) (a Geronio). E che ho da fare del bargello, io?

 

45        geronio        Al principe che v’ho detto, fu lasciata una grossa eredità da un suo parente. Costui era stato in gioventù un pessimo uomo, persecutore e rubbatore di fanciulle; tantoché sopra dugento se ne contano sviate da lui = e poste da lui al postribolo. =

 

            credenza      E forse dice una o due! Dugento? Bricconaccio!

 

            geronio        = Delle spose tolte a’ mariti e d’altre precisamente non mi ricordo.

 

            credenza      Manigoldo!

 

            geronio        Per abbreviarla, = in sua vecchiezza si ravvide dei suoi falli, e ne fece aspra penitenza. Infine per correggere il suo male e rifare al possibile i danni da lui portati all’onestà, lasciò in morte un grosso fondo, acciò col frutto di esso si dispensassero tante doti...

 

50        credenza      A tante povare citte, neh?

 

            geronio        Madonna no.

 

            credenza      A tante povare vedove, forse?

 

            geronio        Né meno. A tante donne di mala vita che si volessero levar dal peccato.

 

            credenza      Che testamentaccio! L’averà fatto qualche sere sguaiato.

 

55        geronio        Testamento bello e buono, perché per le fanciulle non mancano simili assegnamenti per metterle al mondo; e le vedove han per lo più sempre vivo il fondo loro dotale: solo questa sorte di donne miserabili non aveva fin qui aiuto per tornare a ben vivere col mezzo del maritaggio. Ecco perché vi dissi che l’aver buona fame era male, ed il non esser nota al bargello che di queste malvage femmine tiene il ruolo.[57]

 

            credenza      Sì, ora intendo.

 

            geronio        Di queste doti il principe me n’ha data una a mia disposizione; e bisogna che qui cerchi di far questo bene...

 

            credenza      Questo bene cerchi di farlo a un’altra.

 

            geronio        E ad un’altra lo farò.

 

60        credenza      Io, eh! Prima morire. Uh, l’onore della mia mamma e della mia nonna, eh?

 

            geronio        = Ma questo è un legato per donne di malaffare: e per gente d’onore come voi, vi sono mille altre disposizioni.

 

            credenza      Cento venti scudi, n’è vero?

 

            geronio        Per donne di malaffare.

 

            credenza      Uh, se m’incoronassero. E lei potrebbe avere il decreto di questa dote?

 

65        geronio        L’ho appresso di me col nome in bianco, per segnarvi chi vorrò io, di donne di malaffare.

 

            credenza      Se le tenghino queste baronaccie, queste doti. Dica un poco, com’è buona moneta?

 

            geronio        Tant’oro di zecca, nuovo nuovo. Ma come vi dissi, per donne di malaffare.

 

            credenza      Le donne da bene e le buone citte durano fadiga a averle in tanti cenci le sue doti. Ma basta, dice il proverbio: «È meglio vestir cencio con leanza, che broccato con disonoranza».

 

            geronio        Parliamo d’altro, che questo non è assegnamento per voi.

 

70        credenza      Parliamo d’altro sicuro, non me ne discorra più a me.

 

            geronio        Volete venir meco a Roma?

 

            credenza      Oh, pensi un poco a guarire.

 

            geronio        Dico, tra due o tre mesi.

 

            credenza      Non dico né sì, né no. Ma dice che le scarpe son tanto care là.

 

75        geronio        Sono ancora più grandi i salari.

 

            credenza      Ch’ei possa scoppiare quel principe pollastro! Andare a dare quelle lenzuola viterbesi a quelle befane.

 

            geronio        È pur lì: una serva qua guadagna mezzo scudo al mese e là cinque testoni.[58]

 

            credenza      Oh, se loro quelle donnacce non partorissero, per esempio? Quelle fasce e quelle pezze son sue, vo’ dir io, oppure...

 

            geronio        O sue o no, che v’importa?

 

80        credenza      Che vuol che m’importi? Che sia santo! =

 

            geronio        Ho là il decreto nel baullo, ma non vo’ stare adesso a cercarlo.

 

            credenza      Oh, metterebbe conto! Non me ne parli più, no.

 

            tiberino        Vuol vederlo, Lustrissimo, il decreto?

 

            geronio        Badate a scrivere. Per tornare al discorso di Roma, le serve de’ gentiluomini non hanno la fadiga che hanno qua.

 

85        credenza      L’acqua, chi l’attigne? Loro o i servitori?

 

            geronio        I servitori fanno tutto.

 

            credenza      Quel principe deve tenere delle serve tante tante, se non altro per filare quelle gran lenzuola.[59]

 

            tiberino        (a parte) (La lingua batte dove il dente duole.)

 

            geronio        No, il filare ancora tocca a’ servitori.

 

90        credenza      Oh, in quanto agl’uomini a filare non ci hanno garbo. Se avessi a avere una di quelle doti, io – che Dio me ne guardi, sa! – vorrei filarmele da me quelle lenzuola, che è tanto fino quel lino viterbese. E se lei vuol far questa carità, penso che se le sarà messe nel baullo, perché tengono tantin tantino di luogo.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Egidia e detti.

 

            egidia             Che dite, sciocca, di lenzuola e di baullo? Buondì a Vosignoria.

 

            geronio        Buondì a Vosignoria.

 

            credenza      Son certe lenzuola di certe limosine. Eh, non si dice di quel servizio, no.

 

            geronio        (a parte) (Buon equivoco! Pensa Egidia che si parlasse de’ suoi baulli.)

 

5          egidia            Ma io non ci badai a cotesto suo braccio iersera: è cascato per la strada o a Roma, Vosignoria?

 

            geronio        A Roma, nell’uscir da una dama.

 

            egidia             (piano a Credenza) O dama o pedina, veh, Credenza.

 

            credenza      (piano a Egidia) Uh, stia cheta: non sa la cosa delle molli. Gliela dirò tra me e lei.

 

            egidia            S’abbia cura. (a parte) (Lo dico per far l’ubbidienza del signor Don Pilogio.)

 

10        geronio        Mi tiene più incomodato questo fianco che non mi lassa camminar troppo. Orsù, levate dattorno questo bagnuolo, che basta.

 

            egidia             E vedete se nel fagotto v’è panni sporchi da dare in bocata.[60]

 

            credenza      Ci avevo pensato io ancora. (va con Tiberino a cercare i panni)

 

            egidia            I nostri ragazzi, che fanno a Roma? Studiano almeno? A quanti ne viene, a tanti ne dimando.

 

            geronio        A me però n’ha dimandato un po’ tardi.

 

15        egidia            Mi fa ridere, lei arrivò qui a un tratto che... E poi questa benedetta serva... Il pensiero della cena, una cosa e l’altra...

 

            geronio        La cena cagionò più a lei stordimento che a noi ripienezza.

 

            egidia             Quanto c’è di buono s’è avuto da dare a’ povari stamane.

 

            geronio        Suppongo a’ poveri convalescenti che non devono caricare lo stomaco.

 

            egidia            Eh, bisognerà avvezzarsi ad esser convalescenti tutti qua, perché il pane è caro, il vino è più, l’olio non si può mirare. Se lei n’ha portati, gli dirà bene. Io ho fin qui debito colla serva. Eh, Credenza, non mi prestaste i quattrini per il sale ieri?

 

20        credenza      (di sopra, dove sta cercando i panni) Gnora sì.

 

            egidia             Al pizzicarolo non ci abbiamo debito un testone?

 

            credenza      Gnora sì.

 

            egidia             E ’l sarto, non mi mandò a chiedere quattro lire?

 

            credenza      Gnora sì, gnora sì, l’hanno a avere da vero loro: ma suo danno. Se n’avessero bisogno, gli cambiarebbero quel bel doblone che lei gli ha mandato, che dicono che è un poco scarso.

 

25        egidia            Sciocca, quello l’ho in serbo, e se lo spendo bisognarà che glielo renda. Il bisogno fa far di brutte cose.

 

            tiberino        Lustrissimo, è il barbiere.

 

            geronio        Orsù, andarò a pulirmi un poco per poi uscire. Tiberino, prestami mezzo pavolo per il barbiere.[61]

 

            tiberino        Lo pagarò io, vada. (Geronio parte)

 

            egidia             Considerate come stiamo!

 

30        tiberino        Finisco di ritrovare i panni, e vengo.

 

            egidia            È meglio che vada a canzare quella saliera e quelle posate, e le mandi al signor Don Pilogio; ma non per quella chiacchiarona. (parte)

 

            credenza      Eh dico? Sete digiuno ancora, eh, giovanetto?

 

            tiberino        Ci sono avezzo.

 

            credenza      Se volesse quattro castagne lesse, qui non c’è uova, veh.

 

35        tiberino        Volentieri.

 

            credenza      È qui, tra questi panni, il decreto del principe?

 

            tiberino        Sarà tra le scritture in un involto; ma quella dote non è per voi.

 

            credenza      Giudicate, figliuolo, se farei questi spropositi.

 

            tiberino        Benedetto questo paese che si sta tanto nel puntiglio dell’onore in materia di donne.

 

40        credenza      Eh poi...

 

            tiberino        Credete che a Roma, signore ancora di condizione non si sono vergognate... Non vo’ levar la fama a nessuno, che è peccato.

 

            credenza      Oh, non trattiamo. (a parte) (Come è scrupoloso, eh!)

 

            tiberino        Basta, voi non le conoscete. Io ve lo dirò. Credete che alcune delle prime non si sono vergognate di farsi scrivere al libro delle donne cattive per aver la dote di quel principe!

 

            credenza      Che mi dite, eh! Delle prime, dunque?

 

45        tiberino        Delle prime, sì. Madama la Colonna Traiana è una di quelle.[62]

 

            credenza      Sfacciatona! Per questa dote?

 

            tiberino        Per questa dote. Madama la Guglia Popolana ha fatto il medesimo.[63]

 

            credenza      Insomma quando non ci è riputazione... E poi, cattivo segno, finiscono tutt’e due in ANA, che ci va per rispetto quella parolaccia di quel mestiere che fanno. Madonna Credenza vuol fare il rispetto in ENZA, perché vuol vivere povarina e di buona coscienza.

 

            tiberino        Tuttavia se lo trovo, quel decreto, vo’ mostrarvelo adesso.

 

50        credenza      Sì, sì, cercatelo un poco, che lo vedrei volentieri.

 

            tiberino        Ci ha da essere attaccato un sigillo d’oro ben grosso.

 

            credenza      E quel sigillo d’oro entra ancora nella dote?

 

            tiberino        Quello ancora. Anzi madama la Colonna Traiana che ebbe tal dote per mezzo del nostro padrone, a me diede per mancia il sigillo d’oro del suo decreto.

 

            credenza      Oh mirate, il mi citto: io vi darei il sigillo e un paro di lenzuola a vostra scelta, e una di quelle pezze da parto che ci escirebbe quattro moccichini per pezza.[64]

 

55        tiberino        Con buona grazia. Il padrone ch’è sotto il barbiere mi pare che mi chiami. (parte)

 

            credenza      Ma sentite, giovanetto. Quel ch’io v’ho promesso s’intende se io non m’ho a scrivere al libro, come quelle due sfacciate che finiscono in ANA. Uh, meschina me! Non mi so’ dichiarata!

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Egidia e Credenza.

 

            egidia            Una bella cosa! A solo a solo con Tiberino, è vero? Eh, andatevi a vergognare.

 

            credenza      Uh, tutti fussemo come lui! Gli ho voluto dare un ciambellino, e non l’ha preso, perché c’era l’uova, che oggi non ne mangia.

 

            egidia            Certo che questo ragazzaccio mi par savio. Or voi andate in cucina a far quel che bisogna e non entrate per le stanze dei padroni, che non siete buona se non a mettere scandali. Chi v’ha detto che quel doblone fusse mio? E chi sa de’ baulli... Basta, basta...[65]

 

            credenza      Signora...

 

5          egidia             In cucina, dico.

 

            credenza      (a parte) (Pazienza. Ma bisognarebbe che andassi a dichiararmi collo scrittore, ché non mi vo’ fare scrivere a quel libraccio, veh, se vuol le lenzuola e il sigillo.) (via)

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Egidia.

 

                                    Tra i ricordi del signor Don Pilogio è che io abbia un po’ l’occhio al tavolino e che miri le lettere, per sapere i suoi rigiri e le sue cattive amicizie. Lui si fa la barba e ha mandato fuori il paggio per il tabacco. Veggo scritto non so che. Starò attenta e leggerò un poco. Quella deve esser mano di quel ragazzo. Sì, sì, scrive benuccio. A chi domine scrive? (legge) «Carissimo padre». Al babbo scrive. (legge) «Gli do parte del mio arrivo a Siena, dove Vosignoria sa quanto io sia venuto mal volentieri a servire il signor Geronio, non portandomi il mio genio allo studio della segreteria; perché cento volte ho detto a lei ed a mia madre che voglio lassare questo mondo ingannatore». Mirate che buon ragazzo! E pure me n’aveva cera. Sì, sì, iersera mi baciò la mano con un garbo... «Se Vosignoria non mi richiama perché io entri in quel convento che sa, scapparò in uno di questi di Siena». Ah, buon per lui! «Ma mi dispiace che qui non conosco nessun buon direttore». Lo metterò io nelle mani del signor Don Pilogio. «Mi ritrovo circa dodici scudi; e ho paura che il signor Geronio me li chieda». Si sente che mio marito fa debito fin co’ servitori. (s’affacciano Geronio e Tiberino, osservando che Egidia legge, e ridendo) «e però li vo’ dare in serbo alla sua signora consorte perché è una donna spirituale». Ah, so’ peccatore io! «e fidata e d’onore». Oh questo sì. Mirate come mi ha squadrata subito! «e mi vo’ gittare nelle sue braccia. Perciò Vosignoria mi mandi un taglio d’abito di color modesto da regalarla». Vedete che buon animo, povaro giovine! «o qualche gioia». Ma questa bisognarebbe che la riponessi, perché se la vedesse quel diavolo... «con tutto che non sia interessata». Oh, di vero, che quel che ho non è mio. «Per quel tempo che starò qui farò le mie parti, comprando qualche soma d’olio o altro». Appunto il ziro sarebbe vuoto ora.[66]

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Geronio, Tiberino, e detta.

 

            geronio        (gridando di dentro) Trovate quel cane, che mi farete gridare.

 

            tiberino        È uscito non so come.

 

            egidia            Vengono in camera. Ripongo la lettera dov’era e me ne vo qui a rifare il letto per sentir quello che dicono.

 

            geronio        (fuora) Avete inteso, sbadato che siete?

 

5          tiberino        E poi, se non tornasse, Lustrissimo, che male sarebbe? È cane di molta spesa e di verun servizio.

 

            geronio        Non voglio mi facciate da maestro di casa. Sapete pur che io soglio adoperar la canna d’India.[67]

 

            tiberino        Ma per questo mi vuol battere?

 

            geronio        (tutti dicono in modo che Egidia senta) Ci sono altri conti. E quella commedia, perché non cominciate a copiarla? È già un mese che a Roma vel dissi: siccome quelle poesie non stampate del Marino; e voi scuotete il capo.

 

            tiberino        Le dissi che ho qualche scrupolo a copiar la commedia e le poesie, perché son piene d’oscenità.

 

10        geronio        Bacchettoncello affettato! Tanto non vi credo. I giovani han da ubbidir ai lor direttori: e vostro padre vuol che io vi avvezzi disinvolto, e che vi levi di capo que’ pensieri malinconici, che c’intendiamo.

 

            tiberino        Mio padre mi diede Vosignoria come direttore nelle lettere, non già nella coscienza. Mi perdoni, veda.

 

            geronio        Tiberino, siete impertinente: alzerò la canna. Ma leviamone l’occasione per non far del chiasso qui in casa. Purtroppo ho de’ disgusti con mia moglie per conto vostro. Andate a scrivere.

 

            tiberino        Quando io sia cagione di scandalo tra di loro, me ne partirò. La signora Egidia non merita esser da lei disgustata. Se non ci vede volentieri, ha ragione, conoscendo la casa incomodata; e con tutto che mio padre corrisponda a Vosignoria Illustrissima li dieci scudi il mese per il mio vitto...

 

            geronio        Temerario! A che rinfacciarmi cotesto? Se mi dà dieci scudi, me ne merito venti, per tanta fadiga nell’insegnarvi e particolarmente la buona lingua.

 

15        tiberino        Di cotesta ne so quanto basta.

 

            geronio        Siete un ignorante più che mai.

 

            tiberino        E dei dieci scudi io dicevo...

 

            geronio        Che «dicevo». Va detto «diceva», ignorante che siete. Io diceva, io leggeva, io amava, io beveva. (lo batte colla canna)

 

            tiberino        Mi perdoni! Ohi, ohi!

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Egidia e detti.

 

            egidia             (esce) Oh via, basta, povaro giovano.

 

            geronio        Vo’ che impari bene l’arte del coniugare.

 

            egidia             E che vuole che sappi, che ha tanto poco tempo.

 

            geronio        Si dice: che vuole che sappia, sa! Non sa l’arte del coniungare né meno Vosignoria. (parte)

 

5          egidia            L’arte coniugale, io la sapevo una volta; ma se lui sta quattro o cinque anni a tornare a casa e poi dorme co’ cani, me ne scorderò affatto.

 

            tiberino        Ah, misero me! Pagar dieci scudi il mese per esser bastonato!

 

            egidia            Spropositi! Voler che impari lui quest’arte coniugale, che è giovanetto e che si vede non vuol stare al mondo.

 

            tiberino        Lustrissima, io n’ho toccate per difender lei.

 

            egidia             Per dirvela, ho sentito, sì, sì.

 

10        tiberino        Ora vo’ prender qualche resoluzione. Basta, so io. (finge piangere)

 

            egidia             (a parte) (Vuole entrare in qualche convento; ma farei come lui, io.)

 

            tiberino        Vorrei da Vosignoria Illustrissima una grazia.

 

            egidia             Eh, non ci mettere la Lustrissima, non importa: dite, dite.

 

            tiberino        Questi sono dodici scudi: in tutta confidenza, me li tenga in serbo.

 

15        egidia            Oh perché no? Che vien a dire? Come ce l’avete messi in questa borsa, così ce li trovarete.

 

            tiberino        Conosco la sua carità. Voglio tenerla in luogo di madre. (s’inginocchia)

 

            egidia             Rizzatevi, via: e io vi tengo in luogo di figliuolo.

 

            tiberino        Pochissimi giorni averà quest’incomodo, perché il signor Geronio non fa per me. Anzi vado adesso alla posta...

 

            egidia            No, no, non voglio che andiate. (a parte) (Se se n’andasse, quel taglio d’abito non verrebbe.)

 

20        tiberino        Si contenti. (vuol partire)

 

            egidia             No, no, non mi contento: sapete che vi so’ in luogo di madre.

 

            tiberino        Ubbidisco. (le bacia la mano)

 

            egidia            A me l’ho cara che me la baciate; ma alle giovani no, sapete. (a parte) (Dico per amor di Menichina, come m’ha detto il signor Don Pilogio.) (via)

 

            tiberino        La pozzolana romanesca attacca pur bene in questo Paese! (via)[68]

 

                                   Fine dell’atto secondo

 

 

 

                  ATTO TERZO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Appartamento medesimo.

 

                                   Egidia, Don Pilogio e Credenza.

 

            don pilogio  Oh benedetta semplicità! Ma voi, madonna Credenza, che dovreste sapere il vivere del mondo... Vi darò una similitudine, perché siete ignorante. Avete osservato quando le strade sono lastricate di neve e di ghiaccio, che se cade qualche povera donna o qualche povero villano, ci mettiamo a ridere?

 

            credenza      Eh, non credo che sia peccato, n’è vero?

 

            don pilogio  No, no, se pure il prossimo non ci facesse male. Ora, siccome il villano dalle beffe ricevute impara a camminar più piano e più appoggiato, così dalle risate che altri fa talora sopra di noi, vuole il cielo che impariamo a non fidarci di tutti, e particolarmente delle nostre passioni. Che voglio dire, figliuola mia?

 

            credenza      Non lo so, io, signore.

 

5          don pilogio  Quelle vostre passioncelle di voler marito così vecchia e così difettosa, v’hanno fatto sdrucciolare in quella vostra credulità alla dote di quel principe romano ed a quell’altre pastocchie inventate dal signore Geronio.

 

            credenza      Io cercavo marito, perché qui non ci posso campare.

 

            egidia             C’è tant’altre case.

 

            credenza      Basta; o vera o no, era tutt’una; a quel libro sa? No, veh.

 

            don pilogio  Libracci, libracci, sorella.

 

10        credenza      Né a quelle partite, vo’ dir io...

 

            don pilogio  Partitacce, partitacce.

 

            egidia             Ma si crederebbe che gli asini volassero.

 

            don pilogio  E chi sa che voi ancora, signora mia, non siate nello stesso bisogno di correzione? Dico che di questo giovine romano ve ne fidiate meno che potete, o almeno non ve ne fidiate così alla prima. Egli vien d’un paese dove la simulazione è la prima grammatica che si studi. Basta, tutto può essere, ma il signor Geronio non suole amar gente così spirituale.

 

            egidia            Anzi per questo io ho qualche fede a questo giovano, perché mio marito non lo puol patire di vedere; e come dicevo gli ha date non so quante bastonate... E poi quella lettera? E que’ dodici scudi che m’ha dato a tenere? E dirmi che vuol che gli sia in luogo di madre? Finalmente non so’ tanto corriva che caschi alla prima.

 

15        credenza      Oh, non son corriva né manch’io; e innanzi mi fidi delle persone, ci vo’ prima mangiare un moggio di sale. Ma quando ho visto che non ha mangiato i ciambellini perché c’è l’uova, e un’altra cosa che non vo’ dire, da me da me ho detto: questo ragazzo è un’animuccia buona.[69]

 

            don pilogio  La modestia, figliuole mie care e buone, è il miglior saggio che possa dar la gioventù. Osservaremo un poco i suoi discorsi, le sue pratiche e tutti i suoi andamenti; e quelli ci faran far giudizo del resto. (si sente colpi di martello sopra i chiodi)

 

            credenza      Della sua modestia gliene vo’ dire una io.

 

            egidia             Guardate un po’ chi è in camera che picchia così, Credenza.

 

            credenza      Ora vado. (via)

 

20        don pilogio  Ma io mi trattengo qui colla sicurezza datali da voi che il signor Geronio sia inteso dalla nostra confidenza.

 

            egidia            È come gli ho detto: lui l’ha caro di certo. Eh, non è stato geloso di me quando io ero giovana; consideri...

 

            don pilogio  Non ho veduto in lui altra gelosia, se non che io mi mescolasse qualche volta a consigliar lei intorno al non obbligarsi per le sue doti, ed a tenere conto del suo, che Dio l’aiuti. A questo fine, io bazzico in qualche altra casa, e per tutto posso tornare a fronte scoperta, perché se qualche dama mi ha dato a tener denari per salvarsi qualche assegnamento in vecchiaia, io gliel’ho conservati senza che n’abbian voluto né pure due dita di ricordo.[70]

 

            egidia             E né men io l’ho voluto, come sa.

 

            don pilogio  Se qualcun’altra m’ha chiesto consiglio per separazione di letto...

 

25        egidia            Lo dica a me. Oh, non son di Siena, io? La mi comare, ogni volta che mi vede, me lo dice: che sia benedetto il signor Don Pilogio, che mi fece esiliare il marito perché mi bastonava! E madonna Taddea, vedova, quanto gli è obbligata perché Vosignoria la tenne a partorire in casa sua, ché partorì sedici mesi dopo la morte di misser Martino, suo sposo.

 

            don pilogio  Ci sono opinioni probabili, che ancora per tredici mesi possa tenere il feto; e così credetti... (si sente il medesimo picchio)

 

            egidia             Ma che fate, Credenza? Ditemi chi picchia?

 

            credenza      (di dentro) Fo la punta a questo giovanetto, e vengo.[71]

 

            don pilogio  È pur curiosa la semplicità di costei.

 

30        egidia            Lascia fare adesso a mio marito quante novelle ci vuol compor sopra: ma il caso sarà che lei ha da essere a poco a poco la bertuccia de’ fattorini, ed io me l’ho a condur così dietro alle feste e alle visite.[72]

 

            don pilogio  Ah, che sia benedetto questo vostro marito! Se applicasse il suo spirito in bene, buono per l’anima sua e per la sua casa. Sera e mattina io lo raccomando, e fo raccomandarlo ancora alle citte della mia custodia.

 

            egidia            Sì, bene, da quell’anime pure. Eccola questa trucidona. Che si picchia là, che facevi?[73]

 

            credenza      (fuora) È Tiberino che conficcava la finestra: ha voluto che gli faccia la punta a un chiodo.

 

            egidia             Che finestra?

 

35        credenza      La finestra che guarda nella strada, perché dice che ci sono in faccia certe citole che si spulciano con poco rispetto; e una gli ha detto «bello», e una gli ha tirato un fiore.

 

            egidia             Ora, che ne dite, signor Don Pilogio?

 

            don pilogio  È qualche cosa; e comprendo in lui delle cautele contro la sensualità che mi piacciono per maggior sicurezza di Menichina.

 

            credenza      Ma quell’altra che gli volevo dir testè della sua camicia?

 

            egidia             Che cos’è?

 

40        credenza      Guardino un po’ quel che è e quel che m’ha dato a lavare.

 

            egidia             Uh, che camicia longa!

 

            credenza      Dice lui che si chiama la camicia della modestia.

 

            egidia             Com’a dire?

 

            credenza      Questa se la mettono i giovani savi e le giovani savie quando si fanno i cristeri: e sapete me la vo’ fare ancor io – se pur non fosse in quel donamento tra quelle pezze e tra quelle fasce –, perché questi spezialacci non vegghino quel che non hanno a vedere.

 

45        egidia             E io me la vo’ fare, signor Don Pilogio.

 

            credenza      Se è tanto stitica, i cristeri che li hanno a fare a lei?

 

            don pilogio  Se voi leggeste il trattato De aromatariorum impudentia corrigenda...[74]

 

            egidia             L’ha fatto Vosignoria?

 

            don pilogio  Signora sì: vi trovareste l’istessa vesticina da me pure ideata; e le mie divote la praticano tutte.

 

50        egidia             Ma ecco qua Tiberino.

 

            credenza      Meschina me! Vo’ ripor la camicia della modestia. (via)

 

 

                                   SCENA II

 

                                    Tiberino, Egidia, Don Pilogio.

 

            tiberino        Signora madre, la sua benedizione. Si contenta, ch’io esca? (le bacia la mano)

 

            egidia            Signor Don Pilogio, lo benedica lei. Venite qua, addirizzatevi la perucca e pareggiatevi la crovatta.

 

            tiberino        Eh, son vanità. Signor mio, mi raccomando alle sue orazioni: e quando vede che io non vo per la via retta, mi ammonisca.

 

            don pilogio  Oh via, voglio che ci facciamo buoni, sapete? E mi avete edificato, dicendo che queste cose del mondo son vanità. (gli mette la mano sulla spalla)

 

5          tiberino        Con licenza, ma non ne son degno. (gli lega una scarpa sciolta)

 

            don pilogio  Questa è vera umiltà. Chi è stato il vostro direttore?

 

            tiberino        Il signor Geronio.

 

            don pilogio  Poco sana dottrina, poco sana dottrina!

 

            tiberino        E ancor un certo custode delle Zoccolette di Roma.

 

10        don pilogio  E voi praticavate le Zoccolette?[75]

 

            tiberino        Tutto giorno.

 

            don pilogio  Custode semplice, custode semplice! Signora Egidia, con Menichina, non ce l’assicuriamo.

 

            tiberino        Anzi, a Roma dicevano che dovesse andarvi a governare quelle fanciulle un uomo di gran pietà di questo paese.

 

            don pilogio  Come si chiama?

 

15        tiberino        Non me lo dissero, solo che ha verso i cinquant’anni.

 

            don pilogio  Tanti ne ho io.

 

            tiberino        Limosiniero...

 

            don pilogio  Ah! Fo quel che posso.

 

            tiberino        Direttore di giovinette...

 

20        don pilogio  Cerco di levarle dei pericoli.

 

            tiberino        Procuratore di vedove e d’altre persone derelitte.

 

            don pilogio  Do sesto a’ loro interessi facendo quello che mi detta la coscienza, impiegando i loro depositi ad onesti guadagni.

 

            egidia             Uh, non ci pensi a andarsene, sa? Disgraziate noi! Che farebbamo?

 

            tiberino        Orsù, debbo servirla?

 

25      don pilogio    Andate savio, e ricordatevi quanto vi può costare un’occhiata inavvertita.

 

            tiberino        Me lo rammentava ancora il custode delle Zoccolette.

 

            don pilogio  E per Roma vi lasciava andare così solo?

 

            tiberino        Tanto solo andava per Roma che tra le Zoccolette, dicendo, che l’innocenza...

 

            don pilogio  Poco sana dottrina! Custode semplice! Andate. (Tiberino parte)

 

30        egidia            Mi pare un po’ troppo rigoroso, signor Don Pilogio: è un volerlo acquorare questo povaro giovano con tanti scrupoli.

 

            don pilogio  Nel principio io pendo più tosto un poco nella severità. Ma, Dio buono! Quel custode delle Zoccolette mi perdoni, non doveva assicurarsi d’un giovine così solo, nel modo ch’ei ci racconta. Poveri noi! Che sentenze larghe!

 

            egidia            Ma già è l’ora della conferenza. Sarà meglio ritirarsi di qua: vedremo intanto quella fattura di que’ tolleri del baullo, che mi ci pare errore.

 

            don pilogio  Ed io pure desidero che ci ponghiamo in luogo segreto avendo da confidarvi il maggior negozio ch’io m’abbia.

 

            egidia            Vada intanto a trovar la lezione, tanto che io chiuda l’appartamento. (Don Pilogio entra, lei va e torna subito) Quest’uomo da bene, me l’immagino quel che vuole: tien delle citole per carità, ha delle schenelle, de’ negozi, così solo non può stare perché tutti ancora non gli sono amici. E senza una donna in casa, tenere tante citte non sta bene bene. Oltre che, oggi ci va una maritata per un consiglio, domani una vedova per un soccorso, quell’altro una vergognosa per una gonella: non sta bene, no di certo. Bisogna che lui la pigli una donna soda e fuor di figliuoli. A quel modo si finiranno tutte le chiacchiare.[76]

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Appartamento di Buoncompagno.

 

                                   Buoncompagno e Geronio.

 

            geronio        Questo Don Pilogio in ultimo io non lo voglio in casa. Per ora io fingo con la moglie di vedercelo volentieri, finché io faccia i fatti miei e forse pigli la congiuntura di fargliene qualcheduna delle buone. Se egli ha veramente dato mano ad Egidia per isgombrar la casa prima del mio ritorno, come dubito, crediatemi che me l’ha da pagare.

 

buoncompagno        Fate perciò bene a dissimulare con vostra moglie, siccome ancora convien fare a me qui in casa mia con Eufrasia, mia sorella, attratta già da cinque anni in letto. Ella trova tutto il conforto nelle visite di lui, le quali, Dio sa, che non abbiano per oggetto più tosto il trastullo con Menichina che la carità verso l’inferma.

 

            geronio        E Menichina, che ne dice?

 

buoncompagno        La ragazza s’è accorta che egli la guarda con molta passione e che, nel mentre gl’insegna a scrivere, volentieri le tien la mano, stringendola, con scusa che ella non tien forte la penna. Le cose non son più avanzate; e Menichina, in ogni caso, saprebbe farsi sentire perché l’odia a morte, avendoli fatto da mia sorella proibir le finestre, le veglie ed il frequente uscir di camera, nonché di casa.

 

5          geronio        Questa, per dirvela, mi sa di gelosia.

 

buoncompagno        Ne sa ancora a me. Anzi, vedete dove arriva l’accortezza della fanciulla: a questi giorni ella fingeva genio di ritirarsi in un chiostro; e Don Pilogio la riprese più volte con severità, lodandole il restar al secolo, allorché trovasse un marito di buoni costumi e d’età matura.[77]

 

            geronio        Tenete a mente: costui la vuol sposare.

 

buoncompagno        Potrebb’essere che mia sorella gliel’accordasse, ma non già io. Menichina sta per aver una grossa eredità dallo zio; onde e per questo, e per le qualità personali, può trovare ogni migliore incontro.

 

            geronio        Amico, voi osservarete le buone maniere del mio Tiberino, e gli prenderete addosso qualche mira per Menichina vostra.

 

10 buoncompagno   E perché no? Ma pensiamo prima a dar sesto a’ vostri negozi.

 

            geronio        Dimani, che tornerà di villa il mio Procuratore mi c’impiegherò di proposito. Intanto, prendiamoci un poco di spasso di madonna Credenza, intorno la consaputa proposta dote.

 

buoncompagno        M’avete fatto rider bene.

 

            geronio        E voglio che ridiamo ancor più sopra il curioso contrasto che fanno nel cuor di lei l’onore e l’interesse.

 

buoncompagno        E coll’interesse, un poca di voglia di marito.

 

15        geronio        Un poca di vero! Ma vedete che pazzia! È vecchia, brutta ed infetta, e tanto pensa accattarsi un partito. Ora io ho meditato una seconda scena più bella; e stimo ormai che Tiberino sarà in ordine colla finzione.

 

buoncompagno        Ed ecco qua l’accorto orefice nostro che farà pure il suo personaggio a maraviglia.

 

            geronio        Ditemi, Credenza lo conosce?

 

buoncompagno        No, certamente, perché è donna di contrada, poco pratica di Siena, e costui sta sempre in casa a lavorare. Anzi, a’ miei conti, neppur Menichina lo può conoscere.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                    Maestro Burino e detti.

 

            burino           Schiavo reverente di lor signori e ben tornato il signor Geronio.

 

            geronio        Per servire, maestro Burino garbato.

 

            burino           Ma si sta forse male, signor Geronio?

 

            geronio        Male di poca conseguenza.

 

5          burino           Bisogna guarire e far qualche cosa a’ poveri Rozzi: io per me son pronto a far il matto la mia parte, senza tanto farmi pregare, come oggi usa.

 

            geronio        C’è da fare una commedia qui adesso in casa mia per poi rappresentarla al Saloncino.[78]

 

            burino           Io so’ su.

 

            geronio        Avete portato un libro di vostra bottega, come v’ho fatto dire?

 

            burino           Eccolo, sarà buono? È lo spoglio di certi debitori, e appunto faremo un viaggio e due servizi: la signora Eufrasia mi disse che mi vuol pagare questa bagatella ed io gli piglierei volentieri, perché giusto giusto non ce n’è uno.

 

10        geronio        Non ce n’è uno, eh?

 

            burino           Friggo coll’acqua. Anzi, la signora Egidia ancora ci ha da essere segnata.[79]

 

buoncompagno        Discorriamo di cose allegre. Il libro è ottimo, e ottimo sarete voi per il bisogno d’oggi. Ma andiamo in camera mia a prendere un abito nero, perché facciate una parte da cancelliere.[80]

 

            burino           Farei quella del birro ancora, per risquoter quattro soldi che sono scritti in questo spoglio.

 

            geronio        Lasciatelo qui, e venite.

 

15        burino           Vengo. (lascia il libro sul tavolino)

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Menichina.

 

                                   Io penso d’avermi a intisichire con questa marcia catarrosa di mia padrona. Ah, dove son condotta a consumare la mia gioventù! Che domin di libro è questo? (s’accosta al tavolino) Uh, è scritto! Dice Don Pilogio che io scrivo male, ma questo è scritto peggio, e di quanto! Collo torto maledetto! Se mi sta a stuzzicare, glielo vo’ dire, veh, alla padrona, che mi stringe le dita e mi scarpiccia i piedi.[81]

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Credenza e detta.

 

            credenza      Si studia, eh, Menichina, e si fa del bene?

 

            menichina     Si studia di vero: guardavo un po’ per curiosità questo libro.

 

            credenza      In quanto a cotesto saper leggiare, è una bella cosa. Noi altre contadine siamo fatte fare però, perché non sappiamo di lettara.

 

            menichina     Oh, non dite male.

 

5          credenza      (a parte) (Ecco se io sapesse leggiare, vedrei un po’ da me, come sta quel decreto.) (a Menichina) Eh, Menichina, son devozioni coteste, o pure...

 

            menichina     È scritto tanto male che non lo intendo; qui dice: (compita adagio) «La signora Egidia, per una piletta d’argento». Poi non ne intendo una parola.[82]

 

            credenza      Sì, sì, ci è una piletta d’argento nel baullo, e a capo del letto del marito ci ha attaccato uno zucchino secco, perché aveva paura che non l’impegnasse la piletta.

 

            menichina     (legge) «La signora Pileria, nipote del signor Don Pilogio, per uno infilanastri». E poi c’è certi numeri, che non li so leggiare. E poi dice: «Nena, citta del signor Don Pilogio, per un filo di coralli falsi».

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Buoncompagno e dette.

 

buoncompagno        Menichina, che fate?

 

            menichina     Meschina me!

 

buoncompagno        Dice il proverbio, né mano in cassa, né occhio in carta. Il vostro buon precettore non ve l’insegna queste creanze?

 

            menichina     Non pensavo fusse male il guardare i libri.

 

5          credenza      Oh via, è una ragazza; che ha da saper lei? Gna compatirla.[83]

 

buoncompagno        Quando i libri sono serrati e legati come quello, non vanno toccati; e quello non è libro da fanciulle. Sapete voi che ciò che vi è scritto dentro, nessun deve leggerlo?

 

            menichina     Gnornò, non lo sapevo.

 

buoncompagno        Vi sono segnate tutte le cattive donne pubbliche. (va a prenderlo)

 

            credenza      Uh, diavolo, toh!

 

10 buoncompagno   Lo porterò in camera e così non ci porrete le mani. (lo porta via)

 

            menichina     Mi par d’aver il fuoco nel viso. Povara me, se lo dice a quel collo torto.

 

            credenza      Uh, le gran cose, Menichina mia! Il libro delle donnaccie cattive era quello? Che ci possa scoppiare quella brutta vecchia della mia padrona! Dice che lei ancora è cascata in peccato per una piletta d’argento. Se lo sapevo quando la messi nel baullo, la volevo buttare nel chiasso. Sicuro che l’aveva un certo sudicino, quella piletta.

 

            menichina     E dico che ci è la nipote di Don Pilogio ancora, che ha fatto male per meno, per uno infilanastri: avete sentito?

 

            credenza      E poi quel piollo porco va a fare le correzioni a casa degli altri: frusti, frusti la sua nipote. Per uno infilanastri, sa! Dice che noi caschiamo nella nieve, ma lei è cascata nella memma. Lercia![84]

 

15        menichina     E quella porchettaccia di Nena?

 

            credenza      Porchettaccia di vero: per un filo di coralli falsi lei ha fatto male. Oh, a me fino le scaramazzi a tre fila mi furno promesse da uno quando ero citta; sì, ma trovò Cecca soda.[85]

 

            menichina     Oh, come la vedo, Nena!

 

            credenza      Oh, come lo vedo quel bacchettone, gliele vo’ cantare, veh. Che uominacci finti! Ha la nipote e la scolara scritte al libro e faceva scasimo di me. Basta dire: libracci, libracci; partitacce, partitacce.[86]

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Don Pilogio, Egidia e dette.

 

            don pilogio  Acquistiamo questo poco di merito nel consolare questa povera signora Eufrasia inferma.

 

            menichina     (a parte) (Farebbe meglio a stare a casa a guardare quelle due sfacciate della sua nipote e di Nena.)

 

            egidia            Ancora noi, signor Don Pilogio, non potiamo sapere come ci abbiamo a condurre.

 

            credenza      (a parte) (Nella carretta, come l’altre barone, s’ha a condurre: eh, non può far di meno.)

 

5          don pilogio  (piano a Egidia) Ed intanto potrà parlare del negozio di Menichina alla signora Eufrasia. Per questo principalmente ci son venuto.

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Maestro Burino e detti.

 

            burino           Menichina, dice il signor Buoncompagno che conduciate queste due visite dall’ammalata e le serviate come si deve. (a parte) (Non vorrei guastassero il negozio.)

 

            menichina     Vo ad avvisarla (via)

 

            egidia             (a M. Burino) Che direte che non ho mai aggiustata quella partita?

 

            credenza      (a parte) (Della tassa vuol dire.)

 

5          burino           Si pigli il suo comodo.

 

            egidia             Quasi, quasi n’ho mortificazione.

 

            credenza      (a parte) (Eh, dico, ci mette il quasi quasi!)

 

            don pilogio  Ed io pagherò per la mia nipote e per Nena.

 

            burino           Eh, vada, vada.

 

10        credenza      (a parte) (Vituperoso! Sentite! Dice che vuol pagar per loro. Oh, andate a crederli a questi cappellacci.)

 

            menichina     (torna) Passino, son padroni. (entra con Don Pilogio e Egidia)

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Mastro Burino e Credenza.

 

            burino           (a parte) (Manco male, son entrati dentro. Non vorrei che questa serva si fusse inospettita nel sentir parlare di quelle partite e che mi scoprisse per orefice, quando ho da essere il sere.)

 

            credenza      Al sentire, non pagano a’ suoi tempi queste donacce, eh? Io gli vorrei mandare il birro a casa.

 

            burino           (a parte) (L’equivoco non poteva andar meglio.) (a Credenza) Ah, sorella, hanno delle protezioni questa sorte di gente.

 

            credenza      Così l’avessero le povarine! Ma se ne converte mai di queste diavole?

 

5          burino           Troppo sarebbe se ciò non fosse. Mirate: queste partite con lo sfregio tutte sono di donne convertite.

 

            credenza      Il cielo gli tocchi il cuore a tutte, disgraziate. (a parte) (Vorrei domandarli se la mia padrona è sfregiata, ma non mi arrischio. Menichina me lo dirà, che penso sappia leggiare gli sfregi ancora. Oh, se sa leggiar le lettare!)

 

            burino           Anzi, adesso adesso, deve qui venire una di queste tali, che si vuol cassare e pigliar marito.

 

            credenza      Farà molto bene. Ha buona dote, eh?

 

            burino           Gliela dà il signor Geronio; e per quello io so’ qui da lui.

 

10        credenza      Che? È certa dote di Roma?

 

            burino           Di cento venti scudi, e grano e vino...

 

            credenza      E lenzuola e pezze, e fasce?

 

            burino           Cotesta è.

 

            credenza      E sigillo d’oro nel decreto?

 

15        burino           Cotesta è.

 

            credenza      Ma a donne di mal affare.

 

            burino           Cotesta è.

 

            credenza      Che io non ho voluto, come lei saprà. Ma, o bene la trova tanto presto l’occasione di darla questa dote?

 

            burino           Mi dispiace, che poteva far la carità a gente del paese e non a forestieracce. L’ha data a una Tedesca da casa del diavolo.

 

20        credenza      Dico a una Tedesca, io! Oh, va a servirlo di bagnuoli senza mettallici l’acqua, e di ricucir lui e lo scrittore... E sapete se m’ha promesso Roma e toma?[87]

 

            burino           Eh, tutti hanno questa inclinazione di far bene ai forastieri, più che a’ paesani. Comprar pannine? Da’ forestieri. Dar cariche? A’ forestieri. Ogni cosa a’ forestieri.

 

            credenza      Se mi comanda più, gli vuò dire: chiami un po’ la sua Tedesca. Guardi, gnor sere, mi pigliarei la strada e me n’andarei ora io.

 

            burino           Ma perché vi stizzate? Questa già non era cosa per voi che siete una donna onorata.

 

            credenza      Basta, basta...

 

25        burino           Io conoscevo Nencio, vostro zio, che medicava le scrofole.

 

            credenza      E il mio nonno Maio che morì sindaco? E ’l mi’ marito che stimava i buoi per tutto Sovicille?[88]

 

            burino           E perciò non era cosa per voi, madonna.

 

            credenza      Lo so da me, senza che nessun me lo dica. E se il padrone me n’avesse parlato, li arei avventato quel che mi fosse venuto alle mani.

 

            burino           E perché vi dolete di lui e trattate d’andarvene?

 

30        credenza      Perché no’ altre di casa duriamo fadiga, e l’altre hann’a esser le belle e le buone.

 

            burino           In quanto a gente di casa, a chi doveva darla questa dote, alla signora Egidia, sua moglie?

 

            credenza      Oh, non dico a lei, no.

 

            burino           A voi?

 

            credenza      Né manco a me, non trattiamo, ohibò.

 

35        burino           Ma in casa non ci è altre donne.

 

            credenza      Signor no, in quanto a questo. Ma intanto, che quelle lenzuola fine abbino a uscire di casa e che ci abbi a dormire una Tedesca, che non glien’averà obbligo...

 

            burino           La carità...

 

            credenza      E quel grano e quel vino e quei quatrini...

 

            burino           La carità in ultimo bisogna farla senza interessi; e così faccia un po’ lui.

 

40        credenza      E io ho sentito dire: la carità falla a’ tuoi e all’altri se tu puoi.

 

            burino           Orsù, ho inteso. (va a scrivere) Venite qua madonna, come vi chiamate?

 

            credenza      Credenza mi chiamo, e poi?

 

            burino           Per dirvela: questa dote non vo’ che esca di casa; vi vo’ scrivere al libro e finirla.

 

            credenza      Eh, ci vada a scrivere le sue serve e le sue figliuole.

 

45        burino           (scrive) «Credenza...» E vostro padre?

 

            credenza      Credenza di Nanni, di Meio, di Gano. E poi?

 

            burino           Troppi, troppi: scriverò il padre solo.

 

            credenza      Lo strappo, veh, questo foglio: non faccia.

 

            burino           Avete fortuna che l’inchiostro non corre.

 

50        credenza      Oh, se corriva, era tutt’una. Oh, no, no, gnor sere. Eh, non ha già scritto niente?

 

            burino           Ho avviato a scriver Credenza; ma senza il nome del padre, è come se non fusse scritto.

 

            credenza      E scritto non sia.

 

            burino           Perché con tanti nomi, me n’avete fatto scordare.

 

            credenza      E scordato sia. Se non bastano le tedesche, la dia alle francesi, alle zingare, a chi vuole. Dice il proverbio:

 

                                    = Povarina, ma onorata

                                    mal vestita e mal calzata

                                    con la fronte scoperchiata.

 

55        burino           Sete poetessa voi.

 

            credenza      Gnarebbe che avesse sentito cantar mi padre che si chiamava Nanni; che com’ho = detto, io mi chiamo Credenza di Nanni, di Meio, di Gano. =

 

            burino           Scriverò dunque. (scrive) «Credenza di Nanni, di Meio...»

 

            credenza      Lo straccia davvero, veh. Gnor sere.

 

            burino           (scrive) «Si fece volontariamente descrivere a tassa...»

 

60        credenza      Che volontariamente? Che tassa? Bugiardo! (straccia il foglio e lo porta via)

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Geronio, Buoncompagno e detti.

 

            geronio        Che rispetto è questo alla mia gente, signor cancelliere? Se questa vuol essere donna da bene...

 

            credenza      Sicuro che voglio essere. Oh, guardate un po’ insolente!

 

            geronio        Perché forzarla a scriversi fra le femmine poco oneste?

 

            credenza      (a parte) (Grida della serva. Oh, pensate se sapesse della sua moglie.)

 

5          burino           Lo facevo per suo servizio, perché quella dote non uscisse di casa. Si tratta di centocinquanta scudi fra ogni cosa, tra denari e robba viva; che a questi tempi non si trova chi li conti.

 

            credenza      Non dice male cotesto.

 

            burino           Volerli dare a una Tedesca, quando questa povara donna...

 

buoncompagno        Vuol dire, essa a stentato a servire la vostra casa...

 

            credenza      E tante male notti, e tanta biancaria tirata innanzi colle mani e co’ piedi; e poi pagarmi di questa moneta.

 

10        geronio        E perché ha faticato tanto per la mia casa, voglio difender la sua riputazione; poiché quando uno l’ha perduta... Non è vero, madonna Credenza? So che volete esser donna d’onore.

 

            credenza      A dire!

 

buoncompagno        Son tanti anni che serve, meritarebbe...

 

            credenza      Altro che cento cinquanta scudi.

 

            geronio        Forte lì, madonna Credenza: prima morire che perder la riputazione.

 

15        credenza      Prima scoppiar cento volte.

 

buoncompagno        Ma che l’abbia avere una Tedesca...

 

            credenza      Prima me ne voglio andare.

 

            geronio        Cioè, prima andarsene che farvi scrivere al libro, vero?

 

            credenza      Così è.

 

20        geronio         Signor cancelliere, questo dunque è il decreto per quella Tedesca: voglio far la carità a lei e finirla.

 

            burino           E lei segnarò.

 

            credenza      Senz’invidia.

 

buoncompagno        Appunto credo che sia qui per farvi istanza di questa limosina e farsi segnare nel decreto istesso. Volete che passi?

 

            geronio        Come vi piace.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Tiberino vestito da donna, coperto il viso e con croce, e detti.

 

            tiberino        Sua servitora molto umilissima.

 

            credenza      (a parte) (Che tu arrabbi... barona! ..Guarda com’è condotta!)

 

            geronio        Buondì, = madonna =.

 

            tiberino        Ie non poter discoprirmi più a fostra Illustrissimeria perché prendo medicamento legnaiolo.[89]

 

5          credenza      (a parte) (Benché so’ sciocca, l’intendo bene sì: dice che piglia il legno.)

 

            geronio        Che male avete, povera donna?

 

            tiberino        Avere dolori artefici e molte postreme.[90]

 

            credenza      (a parte) (Che arrovelli se non consuma quelle fasce e quelle pezze alla prima.) (s’accosta ad osservare il decreto) Questo bel sigillo! Non è un peccato!

 

            geronio        Il vostro nome e la vostra patria?

 

10        tiberino        Ie son contessa di Poppegnau.

 

            credenza      Contessa, sentite! Se vi dico io che noialtre contadine manteniamo l’onor del mondo, noi.

 

buoncompagno        = Gran miserie, signor Geronio, e grand’esempi son questi della cattiva educazione. Sa perché si chiama di Poppegnau?

 

            geronio        Non saprei.

 

buoncompagno        Le contesse di quel gran feudo, quando partoriscono femmine, per avvezzarle a trattar la lancia, tagliano loro le mamelle, gettandole via.

 

15        geronio        All’uso delle Amazzoni.[91]

 

buoncompagno        E perché una volta accadde che una di dette mamelle fu presa dal gatto di corte, perciò si chiamò il luogo di Poppegnau. =

 

            credenza      (a parte) (Questa qui mi par da dare al gatto tutta oramai...)

 

            geronio        Orsù, intendo quello che volete. Voglio farvi la carità, sì per la vostra nascita, sì per lo stato vostro miserabilissimo. Signor cancelliere, prenda i dovuti confronti nel libro e poi scriva il nome di quella donna nel decreto dotale.

 

            burino           (a parte) (Io non posso più dalle risa, e voglio andare al mio lavoro.) (a Geronio) Molto volentieri, lustrissimo. Ma questo è il libro delle donne cattive ordinarie: bisogna che vada per quello delle titolate, dove la signora contessa di Poppegnau sarà descritta.

 

20        geronio        Fate presto.

 

buoncompagno        Non si potrà far presto presto perché quelle, subito che si scrivono, dopo che il magistrato l’ha approvate, si fa quell’altra diligenza ne’ fogli del libro: perché sieno più segrete – loro lo sanno –, s’impastano.

 

            credenza      Come dire, s’impastano?

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Egidia, e detti.

 

            egidia            S’impastano come gli gnocchi e le gnocche che sete voi, che sete la cimbella di tutti.[92]

 

            burino           Buondì a lor signori. (a parte) (Non ne vo’ più adesso.)

 

            egidia            Ma voi ancora, marito mio, volete che mi conduca questa donna dietro e che tutti li dichino, vella vella, come alle bertuccie?[93]

 

            credenza      Vella vella a me, eh? Io non ci so’ scritta, come Vosignoria a quel libro, sa. (a parte) (Cancaro, me l’ha fatta scappare poi.)

 

5          egidia             Se io ci so’ scritta, è segno che ho avuto credito.

 

            credenza      (a parte) (Svergognata, lo dice in faccia al marito.)

 

            egidia             E vi menarò ancora un ceffone io.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Don Pilogio e detti.

 

            don pilogio  Il demonio insomma sempre ci vuol la sua.

 

            egidia            L’ho che sia il demonio e la carne ancora. Quella sgualdrina coperta chi è la?

 

            geronio        Oh, qui sta l’imbroglio.

 

buoncompagno        Una povaretta a cui il signor Geronio vuol fare certa carità.

 

5          egidia            Il signor Geronio a bisogno d’accattar per sé, lui. E lei signor Buoncompagno, è buono ad altri che a svagolarmi il marito? Che riputazione è la sua, condur simil gente in casa, dove ha la sorella in letto ed una fanciulla da marito?[94]

 

buoncompagno        (a Geronio) Disinganniamola.

 

            geronio        Annoi. Oh, vedete, moglie mia, come siete sempre maligna nel giudicare contro di me. (scopre la scuffia a Tiberino, il quale resta nel suo sembiante femminile, alterato con cerrotti e gomme)

 

            credenza      Oh, brutta carogna! Che tu ti rompa il collo.

 

            tiberino        Verghi eghet alric zucheren alrin ormzel gez baib.

 

10 buoncompagno   Vuol dire: appagatevi nel vedere la mia miseria.

 

            don pilogio  A vostra confusione, signora Egidia: vedete quanto sia pericoloso l’umano giudizio.

 

            tiberino        (cava fuori il bussolo) Elphetet der not hamer hormen stranen.[95]

 

buoncompagno        Dice che vorrebbe una poca di limosina.

 

            egidia            Povare e superbe: vanno accattare e voglion fare l’usanze. Tenete un cortecciuolo, è un po’ secco, ma giusto è buono per voi, sorella mia, che avete bisogno di mangiare asciutto. (parte)

 

15        don pilogio  Figliuola, povarella mia, io non intendo il vostro linguaggio. Prendete questa piccola moneta. Se verrete a casa mia, mangiarete la minestra conventuale coll’altre povarine che vi stanno per far del bene. Signor Buocompagno, questi sono malacci che s’attaccano: non la lasciate accostare alla mia scolara. (parte)

 

            geronio        Credenza, datemi un poco braccio per queste scale.

 

            credenza      Si faccia prestar le crocce dalla sua Tedesca. (parte)

 

            geronio        Che più commedie, eh, amico! Tenetemi conto di Tiberino, o per dir meglio della signora contessa di Poppegnau. (parte)

 

buoncompagno        Condurrò adesso a rinfrescare questa dama. (parte)

 

20        tiberino        Di grazia, che altrimenti mi parrebbe di prender il legno santo, e di far l’ammalata da burla e la dieta da vero. (parte)

 

                                   Fine dell’atto terzo

 

 

 

                                   ATTO QUARTO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Egidia e Credenza.

 

            egidia            Merlotta, spropositata che sete! Quello è Maestro Burino orefice, uomo burlone com’è mio marito, che fra tutti voglion farvi voltare il cervello.

 

            credenza      Merlotta, sì, merlotta... Eh, gnora padrona, io per me non lo dirò a nessuno; ma con me non occorre pigliar queste scuse, che io so dove il diavol tien la coda.

 

            egidia            Così sapesse voi dove sono i miei baulli, come sapete dove tien la coda il demonio. Io vi torno a dire che questo è maestro Burino.

 

            credenza      E io vi torno a dire che quello è ser Impasta, che me l’ha detto or ora il signor Geronio. E Vosignoria, che ha fatto il male, si deverebbe fare scrivere nel libro delle contesse, che dice che sono impastate le carte l’una coll’altra, perché non si legghino i fogli dove so’ scritte. E poi... Basta, una serva non ha da fa la dottora alla padrona.

 

5          egidia             Oh qui ci vuol più pazienza di quella che predica il signor Don Pilogio.

 

            credenza      Don Pilogio predica bene e ruspa male, lui. E a lui che ghi era, non dico impastare Nena, che se il diavolo l’ha acciecata non è poi la contessa di Poppegnaula, né quelle due signoracce che finiscono in ANA: ma far impastare la gnora Pileria sua nipote e non si fare scorgere per un po’ di tassa doppia che ci vadia.[96]

 

            egidia             Ma voi mi fareste dare al diavolo, vecchia matta.

 

            credenza      Eh, al diavolo ci si dà da per sé, povarina, che è vecchia più di me e non si vuol convertire.

 

            egidia             Che convertire e non convertire?

 

10        credenza      Adesso adesso ghien’ho voluto dimandare a Menichina, se il suo nome era sfregiato, cioè che lei fusse convertita, e m’ha detto di no. La ragazza non m’arebbe detto una cosa per un’altra.

 

            egidia            (a parte) (Costei ha dato la volta, lei! Ecco quel che n’ho cavato dalla venuta del mio marito: m’ha fatto impazzar la serva. Meschina a me! Era un po’ semplice prima ancora, ma faceva le faccende; e della bocca la trattavo come volevo. Con un capo d’aglio ci faceva alle volte un par di nozze.) (A Credenza) Orsù, Credenza mia, io non voglio che quando giro per Siena con voi i fattorini mi facciano la chiucchiurlaia come alla civetta. Provedetevi, e provedetevi presto.[97]

 

            credenza      Non saprei io: finché ho la sanità, non mi mancaranno padroni.

 

            egidia             (a parte) (Ma se chiacchiara di quebaulli! Eh, li farò canzar presto presto.)

 

            credenza      Per finta e per ladra non m’arà mandato via, ma per dilli le cose per suo bene. Facciamo i conti e mi dia quel po’ d’avanzo, che me n’andarò ora io.

 

15        egidia             = Oh, che vi par d’avanzar, sorella?

 

            credenza      Il salario di tre mesi; e poi ci è tanti giorni, quanti nodi ho fatto del moccichino.

 

            egidia             È vero: ma quel fiasco d’olio rotto?

 

            credenza      Oh, perché mi manda in cantina al buio, lei? =

 

            egidia             Manco chiacchiare, mena chiacchiarona. Tiberino?

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Tiberino e dette.

 

            tiberino        Lustrissima?

 

            egidia             Voglio parlarvi, buon figliuolo.

 

            tiberino        Comandi.

 

            credenza      = Eh, quella camicia vecchia che lei mi diede, me la mette a conto?

 

5          egidia             Andate in cucina, che ora verrò giù.

 

            credenza      Gnora sì. (via)

 

            egidia            Io, per dirvela, Tiberino mio, non posso più aver pazienza con questa scimunita; e crediatemi che me la cavarebbe di mano delle volte.

 

            tiberino        Stimo che non sia troppo avvezza a servir dame sue pari.

 

            egidia             La poca creanza non sarebbe niente: la pazzia.

 

10        credenza      (torna) Perché quella camicia era tutta rotta, e in conto non ce la voglio, sa.

 

            egidia            Andate giù, e due... (parte Credenza) Con questa voglia di marito è fatta strafalciona, bisbetica; e poi mi risponde come se io fusse una pettegola.[98]

 

            tiberino        Le contadine anche a Roma son di questo costume di replicare con arroganza a’ padroni. =

            credenza      (torna) E poi me la diede quando portai quebaulli in capo al signor Don Pilogio, e mi disse: «Te la do per carità».

 

            egidia             Costei ha del vino in testa, Tiberino. In cucina, dico spropositata.

 

15        credenza      E mi c’ebbi a stempanare, tanto sprofondavano; e mi ci guastai una scuffia nuova nuova.[99]

 

            tiberino        Oh, via, la signora vi ristorerà: andate e ubbidite. (parte Credenza)

 

            egidia             Bisogna che si briaca sicuro. Considerate se io ho baulli da caricare.

 

            tiberino        Purtroppo mi son note le sue miserie, signora.

 

            egidia            Che stento come una poveraccia. Baulli dice! Eh, meschina me! Per tornar dunque al nostro proposito, bisogna che me la levi dinanzi.

 

20        tiberino        Quando questa poveretta non resti per le strade e Vosignoria possa trovar compenso, direi che farà bene; tanto più che il padrone con questa finta dote la fa diventar la favola del paese: e io non so con qual coscienza lo faccia il signor Geronio.

 

            egidia            Mio marito, coscienza, eh? Mi fate ridere, Tiberino. Ora dunque se io mando fuor di casa costei, veramente veramente daresti un po’ di mano – che io vi ristorarò, sapete –, un po’ di mano alla cucina, a spazzare, a tirar qualche brocca d’acqua. So che sete di buone genti e che non avete a fare il servitore. Ma... c’è de’ figliuoli de’ gentiluomini ancora...

 

            tiberino        E de’ principi pure, Lustrissima, che s’accomodano a tutto.

 

            egidia            Ora conosco che sete un giovane perbene. Quanto poi a cucire e certe cose da donna, come filare, depanare e ancora fare il pane, ho pensato un’altra cosa.

 

            tiberino        A che ha pensato, veramente?

 

25        egidia            Ho visto quella povera Tedesca che è per la male in quanto a lei, ma si vede che le mani non l’ha impedite; e credo che la disgraziata, per una minestra e una tazza di vino, cucirebbe una giornata intera. Che ne dite?[100]

 

            tiberino        Le dico che la Tedesca e Tiberino — mi perdoni però signora madre — non possono mai combinare insieme. Guarda, signora, guarda.

 

            egidia             Oh, che vuol dire?

 

            tiberino        Vuol dire che io son giovane e la modestia non lo comporta. La pece, lustrissima, accanto al fuoco si distrugge.

 

            egidia            Quello che gli si vede in quei cerotti mi par aquilonne e non pece a me; cioè a dire, quella non è donna a far cascar merlotti.[101]

 

30        tiberino        Piaccia al cielo che non gli faccia cascare più grossi che ella non pensa. Tenga a mente. Tra poco mi saprà riparlare.

 

            egidia             Voi mi fate sospettare, sapete.

 

            tiberino        Troppa ragione ha ella di sospettare. E un’altra signora che non avesse la sua buona coscienza, la quale giudica tutti gli altri secondo sé, avrebbe inteso alla prima il mistero di questa donna.

 

            egidia             Oh, dite un po’, di grazia, Tiberino.

 

            tiberino        A me ne dispiace sino all’anima. = E più mi dispiace il non poterci rimediare con tutto che veda il pregiudizio della sua casa e l’ultima rovina de’ suoi figliuoli, perché signora mia non posso parlare.

 

35        egidia            A me lo potete dire, sapete, che vi sono in luogo di madre. Tiberino, figliuolo, non mi tenete più nella corda.[102] =

 

            tiberino        Ho chiusa la bocca col suggello di segreto naturale.

 

            egidia             Al padrone forse?...

 

            tiberino        Ho chiusa la bocca.

 

            egidia             O voi me l’avete a dire, o noi spartiremo l’amicizia.

 

40        tiberino        Sarà mia disgrazia.

 

            egidia             = Orsù non vi parlo più.

 

            tiberino        Sarà cosa da farmi mettere in disperazione, ma non da farmi rivelare il segreto.

 

            egidia            Sarete causa che non mangiarò, non dormirò, diventarò secca come una lucertola. Appagatemi, Tiberino.

 

            tiberino        Ma s’appaghi ella della ragione. Mi dica. Se per esempio fusse vero – che io non lo credo – di quebaulli che ella gli avesse dati a portare a me...

 

45        egidia             Eh, che baulli, sciocco?

 

            tiberino        Dico che non lo credo. Ma per esempio gli avessi promesso di non parlare, con obbligo di natural segreto...

 

            egidia             Volete badare a quella briaca?

 

            tiberino        Ella non sa quel che si dice. Ma se per impossibile ciò fusse stato, che direbbe Vosignoria, se io rompessi il segreto, e ne facessi scoperta al signor Geronio?

 

            egidia             Orsù, me ne vo Tiberino.

 

50        tiberino        Me ne dispiacerà.

 

            egidia             E non vi parlo più.

 

            tiberino        Me ne passerà l’anima.

 

            egidia             E da me non aspettate più cortesie. Addio. (finge partire)

 

            tiberino        Sono avvezzo a tutte le sventure.

 

55        egidia             Tiberino?

 

            tiberino        Lustrissima!

 

            egidia             Io ho bisogno di star qui, andatevene voi.

 

            tiberino        Adesso.

 

            egidia             E non mi capitate più d’avanti, caponaccio, disubbidiente.

 

60        tiberino        Come comanda. (vuol partire)

 

            egidia             Passate qua, non andate via.

 

            tiberino        Non vado. =

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Don Pilogio, e detti.

 

            don pilogio  Questa gioventù romana è indocile: non ve lo dissi signora Egidia?

 

            egidia             Mi fa un po’ scandalizzare.

 

            don pilogio  Sarà qualche storta massima ch’egli ha in capo, di quel custode semplice delle Zoccolette, suo direttore.

 

            tiberino        Ella è persona di conscienza e di sapere; o potrà sodisfare alla signora Egidia intorno ad una violazione.

 

5          don pilogio  Violazione di che?

 

            tiberino        Di segreto naturale alla quale vorrebbe obbligarmi.

 

            egidia             Ora mi contento che ce ne stiamo a quest’uomo da bene.

 

            tiberino        Mi contento.

 

            egidia            Al sentire, quella Tedesca è della razza che m’imaginavo; e ci deve esser dell’impiccio tra lei e mio marito e del male grande: ora Tiberino sa qualche cosa; ed io per rimediare volevo che me la confidasse.

 

10        don pilogio  È vero, figliuol mio, tutto questo?

 

            tiberino        Colla bocca chiusa dalla data fede posso poco sodisfarvi, signore. Del resto io so gran cose.

 

            don pilogio  Cose di male?

 

            tiberino        Di male; ma...

 

            don pilogio  Di male passato o futuro?

 

15        tiberino        Passato e futuro; ma...

 

            don pilogio  E ci si potrebbe rimediare?

 

            tiberino        Potrebbe solo rimediarvisi, se io potesse parlare; ma...

 

            don pilogio  Ma dunque a parlare voi siete obbligato.

 

            tiberino        Questo è quello che non posso fare in coscienza, atteso il segreto naturale col signor Geronio.

 

20        don pilogio  Mi confermo in ciò che testé vi dissi, che abbiate della dottrina poco sana. Figliuol mio, intorno a questo segreto naturale io ho studiato qualche autore; e non c’è dubbio che il meglio sarebbe il morire che romperlo. Fanno però i moralisti delle distinzioni, cioè, che quando si tratta di male passato del nostro prossimo, noi non dobbiamo rivelarlo quando l’abbiamo in segreto: e in questa parte potete star costante, anco se bisognasse lasciarvi la vita, figliuol mio: son qua per voi; non parlate; guarda. Ma quando si tratta di male futuro, cioè che rivelando voi il segreto possiamo ovviare a scandali, a occasioni abituate, a rovine di case, che altrimenti ciò far non si possa, non c’è segreto che tenga, no, figliuol mio caro; riposatevi sopra di me.

 

            tiberino        Mi diano dunque una licenza.

 

            egidia             Che licenza?

 

            tiberino        Il custode delle Zoccolette, mio direttore, mi diede questo ricordo fra gli altri.

 

            don pilogio  Sentiamo se è buon ricordo.

 

25        tiberino        Che trovandomi in qualche inquietudine e dubbio di coscienza, mi ritirasse a parte a chiederne consiglio col cielo.

 

            don pilogio  Non ci trovo male in cotesto ricordo. Andate.

 

            egidia             E poi tornate. (Tiberino parte)

 

            don pilogio  Sapete che questa mi pare un animuccia delicata.

 

            egidia            Ma quando io glielo dicevo che questo è un giovanetto di buono spirito. Ha sentito che scrupolo ha a dire le cose che ha in segreto? In quanto a me, gli fidarei il negozio de’ baulli, la chiave e ogni cosa.

 

30        don pilogio  Siete sempre a tempo a fargli questa confidenza.

 

            egidia            E pure quella sciocca di Credenza... Basta, adesso adesso lei saprà tutto, che l’abbiamo a discorrere a lungo di molte cose, e gli ho da dar buone nuove del suo negozio; perché quando eravamo dalla signora Eufrasia, che Vosignoria si messe a legger quel libro nell’altra stanza, io presi la congiuntura di fare il discorso e mi parve ci desse orecchio; anzi ci rise ancora.

 

            don pilogio  Oh, via sia fatta la volontà del cielo.

 

            egidia            Le lasciai quel foglio di Vosignoria... Basta, quando saremo soli, gli contarò tutto; ma presentemente sto colla smania di quella Tedesca, che stimo sia una solennissima, e cetera. Eh, signor Don Pilogio, mio marito non è uomo da far limosine senza i suoi finacci maledetti.[103]

 

            don pilogio  Adagio, adagio col giudicare.

 

35        egidia             Sarà qualche cantatrice dismessa.

 

            don pilogio  Adagio adagio col giudicare.

 

            tiberino        (torna, a parte) (Già ho informato il padrone e concertato seco lo scenario della burletta.)

 

            don pilogio  Oh, ecco il giovane. Suppongo che le vostre ispirazioni s’accorderanno co’ miei autori, intorno ad appagare la signora Egidia come desidera.

 

            tiberino        La considerazione di torre il futuro male...

 

40        don pilogio  Oh, vedete figliuolo, se io vel diceva.

 

            egidia             Oh, dite.

 

            tiberino        Ma non ci ascolta già alcuno?

 

            egidia             Chi ha da sentire?

 

            tiberino        Supponendo che l’uno e l’altra mi serberete fede inviolabile, ascoltate, signori. Quella Tedesca che trovaste coperta in casa del signor Buoncompagno ha inviluppato ne’ suoi lacci in tal maniera il signor Geronio, che egli non può scapparne e non può vivere senza lei.

 

45        egidia            Adagio adagio col giudicare, eh, signor Don Pilogio? E dico io, gli feci la limosina!

 

            tiberino        Ella lo segue ovunque vada spolpandolo di sostanza e debilitandolo di credito, ed avendolo già ridotto a camminare con bastone per quel medesimo male che fa camminar lei colle crocce.

 

            egidia             E sa, se diceva che era cascato nell’uscir da una dama!

 

            tiberino        Questi sono que’ medesimi impiastri che le vedeste in viso; ed io ho ordine da lui di farli rinfrescare dallo speziale.

 

            egidia            E poi sento che dice che non può sentire la serva perché gli puzza il fiato! Signor Don Pilogio, adesso mi dà licenza di giudicare?

 

50        tiberino        Ella mostra spesso della volontà di ritirarsi da questa scandalosa occasione; ed oggi per ultimo me l’ha detto.

 

            don pilogio  Bisogna farle animo e darle aiuto. Via, uniamoci tutti a quest’opera di carità.

 

            tiberino        Non ha questa donna bisogno d’altro aiuto che riparo dalle violenze del padrone: del rimanente ha danar in quantità per mantenersi, e maritarsi ancora, benché fingesse con noi limosinare in quella forma.

 

            don pilogio  (a parte) (Ha dunque molti danari!) (a Egidia) Signora Egidia, bisogna facciamo qualche ricorso.

 

            egidia             Facciamolo.

 

55        tiberino        Sopra tutto non tardi, perché se il signor Geronio potrà avvedersene, la trafugherà benissimo, non perdonando ad impegno di robba, di riputazione e di vita medesima. Io piango la sua cecità, la sua miseria; e piango la disgrazia di questa povera dama e di quei poveri signorini.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Geronio con spada alla mano, e detti.

 

            geronio        Piangerai adesso davvero, scellerato impostore! In questa maniera, eh! Intaccare l’onore del padrone con tante bugie! Giuro al cielo...

 

            egidia             Tenetelo. (lo riparano)

 

            don pilogio  Un cavaliere par suo, mettere le mani addosso a un servitore?

 

            geronio        Proteggo quella giovane con altri fini.

 

5          don pilogio  E chi vuol che creda il contrario?

 

            geronio         Ti voglio passare il cuore e poi la lingua mentitrice con questa spada.

 

            egidia             Ma se non lo tenete! Figliuol mio, fuggiamo il mar turbato.

 

            tiberino        (a Egidia) Mi sta il dovere. Vede, signora madre, che io non doveva parlare? (partono Tiberino e Egidia)

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Don Pilogio e Geronio.

 

            geronio        Me lo levino pur d’intorno.

 

            don pilogio  Così fanno. Noi, signor Geronio, non demmo fede...

 

            geronio        Signor Don Pilogio, attribuisco a grazia del cielo questo mio incontro con lei. Ella in mia lontananza guida co’ suoi consigli la conscienza di mia moglie; ed ora voglio che favorisca me della sua direzione in un caso di mia somma premura.

 

            don pilogio  Io direttore a Vosignoria? Oh, che il cielo la consoli! Mi vuol burlare. Un signore dotto, che ha tanti bei lumi, che delle volte uno dei suoi pensieri servirebbe di soggetto a qualsivoglia discorso spirituale; eppur è vero, voler direzione da me disgraziato!

 

5          geronio        Lasciamo i complimenti. Il zelo che Vosignoria ha per la virtù e per il servizio del cielo, m’assicura che abbraccerà un’impresa di suo gran merito e di mio gran sollievo.

 

            don pilogio  Per quel che vaglio, povarello, eccomi qua.

 

            geronio        Ha veduto, Vosignoria, quella povera Tedesca?

 

            don pilogio  Veramente fa compassione. Ah, miseria umana!

 

            geronio        Questa femina ha menato quasi sempre la sua vita tra le milizie in compagnia d’un capitano suo marito o tale almeno essa lo chiama.

 

10        don pilogio  Oh, basta, pensiamo sempre al meglio, e diciamo che fosse marito.

 

            geronio        Egli l’istruiva nell’arte militare, e se la condusse all’assalto di Lilla, dove dice, ch’ella restò così malconcia nel viso da certe schegge d’un carro battuto dal cannone della piazza.[104]

 

            don pilogio  Crediamole schegge, e pensiamo sempre al meglio.

 

            geronio        Il marito se la guidò poi in Roma, tenendola in un albergo dove era, e dove egli si morì, lasciandola erede di molto denaro e gioie. Io la consigliai ad accasarsi la seconda volta; ma ella mostrò genio di voler finir più tosto in un conservatorio i suoi giorni: e sentendo pertanto che in Toscana ce ne siano tanti per ogni stato di donne, determinò qua portarsi.

 

            don pilogio  Ottima resoluzione.

 

15        geronio        In questo mentre un certo Liparotto, uomo facinoroso, potente e arbitrario, capitò alla stessa locanda con alcuni suoi bravi; ed adocchiando il più grosso peculio della donna che le sue sconcie fattezze, usò seco mille artifizi d’ossequio e poi di violenza per tirarla alle sue nozze.[105]

 

            don pilogio  Son diavoli di carne queLiparotti.

 

            geronio        Io mi trassi fuori dall’impegno, mutando albergo. Ma sempre me l’intesi però colla donna per via di lettere, intorno al suo venire in Toscana; ed infine la feci partire prima di me, appuntando il giorno dell’arrivo in Siena.

 

            don pilogio  Il cielo la rimeriterà di carità così grande.

 

            geronio        Ma senta, signor mio, e s’intenerisca. Questa buona femina, cioè buona la chiamerò adesso...

 

20        don pilogio  E chi sa forse sarà stata buona per sempre, la poverina.

 

            geronio        Questa dico, ha tanta compunzione della passata libertà e tanta divozione per questi coservatori da me propostile, che è voluta venire da Roma a Siena limosinando, com’elle vidde, per sua mortificazione.

 

            don pilogio  Ha però tutto il danaro pe’ bisogni dell’ingresso e del mantenimento?

 

            geronio        Gran danaro e gran gioie stanno in mano del signor Buoncompagno. Per tanto la carità che io vorrei da Vosignoria è questa: che non potendola l’amico mio tenere in casa per rispetto della sorella, né io per quello della moglie, così stravagante e gelosa, Vosignoria le desse ricetto in casa sua per due o tre giorni – sempre però co’ modi abili – tanto che si trovi il bramato compenso.

 

            don pilogio  Il pensiero è bello e buono; ed io vorrei sviscerarmi per servir Vosignoria e dar aiuto a questa forestiera.

 

25        geronio        Coi modi abili, cioè di ristorarla de’ suoi incommodi.

 

            don pilogio  Cotesto non importa. Ma ella sa che io ho la casa piccola ed è tutta piena al presente di certe povere persone da me raccolte; e così...

 

            geronio        Ma vedo che ella mi nega la grazia per l’insinuazione di Tiberino.

 

            don pilogio  Eh, via!

 

            geronio        Egli ha sospettato d’amicizia poco innocente per l’accennato mio impegno.

 

30        don pilogio  Eh, signorsì.

 

            geronio        E per cagione di queletterini che tra noi passavano.

 

            don pilogio  Letterini onestissimi.

 

            geronio        E del suo venire a Siena dietro a me e cose simili.

 

            don pilogio  Non si riscaldi per questo, no.

 

35        geronio        Ma in effetti giuro...

 

            don pilogio  Eh, che mi fa torto. Vosignoria è un gentiluomo sincero. Mi direbbe: «Pilogio questa donna sì e sì...ora io sì e sì, me la voglio levar d’intorno». Eh, io n’ho fatte dell’altre di queste carità; ma dico che di presente...

 

            geronio        Bisogna farmi questo favore senz’altro.

 

            don pilogio  Senta, che sia benedetto. Nel primo appartamento vi sono tre stanze, dove sta la mia nipotina con dodici ragazze levate da’ pericoli; e vi sono due letti per stanza e dormono due per letto. Di sopra, che Dio l’aiuti, c’è una dama separata dal marito che vuol star sola in una stanza; nell’altra vi è una riscappata vergognosa; nell’altra vi tengo certi depositi d’alcune buone signore, e nell’altra vi dormo io.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Menichina e detti.

 

            menichina     Signor Geronio di grazia venga un po’ su dalla mia padrona. Si scandalizza con me e dice mi vuol mandar fuor di casa, se son fo a suo modo; ma io prima me n’andarò.

 

            geronio        Perché?

 

            menichina     Perché io non lo voglio, no, il signor maestro: non m’importa che mi senta.

 

            geronio        Che maestro? Che non volete?

 

5          don pilogio  Eh, non le dia retta. E così ella sente che la mia casa è tutta piena.

 

            menichina     Signorsì, la padrona vorrebbe che io pigliasse per marito il signor maestro: guardi un poco!

 

            don pilogio  Lasciate discorrere chi ha negozi e tornatevene a casa vostra, immodesta che siete.

 

            geronio        (a parte) (Ottima congiuntura.)

 

            don pilogio  Se Vosignoria vuol poi che io esca della mia camera io medesimo, per mettervi questa Tedesca.

 

10        geronio        Questo poi no; ma pensiamo...

 

            menichina     N’ha un serraglio in casa, e cerca di quelle di fuora.

 

            don pilogio  Alla lezione ci rivedremo.

 

            menichina     Da qui innanzi vo’ pigliar lezione da quel giovanetto che il signor Geronio ha condotto di Roma; perché lei mi stringe sempre le dita.

 

            geronio        Fa per correggervi, figliuola.

 

15        don pilogio  Dice benissimo.

 

            menichina     E mi mette il suo piede sopra il mio.

 

            geronio        Cotesto sarà a caso.

 

            don pilogio  Dice benissimo.

 

            menichina     E m’invita a casa sua a far delle biciancole.[106]

 

20        geronio        Coll’altre zitelle vostre pari.

 

            don pilogio  Benissimo.

 

            menichina     E si mette nella tavola con loro, e poi si rompe la tavola e si fa un monticcio in terra.

 

            geronio        Tavola fatta forse a cattiva luna.[107]

 

            don pilogio  Dice benissimo, benissimo.

 

25        geronio        Ora voi siete una chiacchierina che v’inventate queste cose: e non puol essere che il signor Don Pilogio abbia fatta quest’istanza alla signora Eufrasia.

 

            don pilogio  Manco male che Vosignoria n’è capace. Ora facciamo così: se la Tedesca vuol venire...

 

            menichina     Aspetti, signor Geronio.

 

            don pilogio  Io ho pensato per servirla...

 

            menichina     Questo è il foglio bianco che la signora Egidia ha portato alla padrona, soscritto da lui: guardi. (gli dà un foglio)

 

30        geronio        Che dice: (legge) «Io Pilogio Baciapile prometto e m’obbligo sposare la sopradetta colle condizioni mentovate». Semplice Menichina! Qui non parla di voi: egli vorrà far la carità a qualche fanciulla forse pericolosa, di sposarla senza dote; o pure a qualche donna fatta, per il bisogno che n’ha in casa. Non sapete che vi governa tante citole e tant’altre donne?[108]

 

            don pilogio  E chi n’ha dubbio?

 

            menichina     La padrona m’ha detto che vuol me; me vuole, me.

 

            geronio        Buon per voi se il cielo v’avesse destinato un partito simile, scioccarella.

 

            don pilogio  E chi n’ha dubbio?

 

35        geronio        Uomo posato, e da bene; dotto, ricco e sano: voi donna e madonna di tutto.

 

            menichina     Allo staccar delle tende lo vedremo se quello che ha in casa è suo. Cecia di Marco da Duile non gli puol cavar di mano due libbre di seta che gli diede in serbo tre anni sono. Nastasia del Fondaco non puol riavere due ruotoli di panno fino, che dice che non l’ha avuti.

 

            geronio        Ora siete cattive lingue, voi altre donnacce.

 

            don pilogio  Lingue pessime.

 

            geronio        Andate in casa e ubbidite a’ vostri Padroni che hanno cura di voi e fanno il vostro meglio.

 

40        menichina     Prima vo’ gettarmi nel pozzo. Non lo voglio, no. Tiberino, portatemi l’esempio voi: v’aspetto, veh. (parte)

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Don Pilogio e Geronio.

 

            don pilogio  Ma che ne dice eh, signor Geronio? Tanto si sarebbe se io fussi arrossito.

 

            geronio        È quasi l’istesso caso della calunnia che Tiberino ha dato a me, quella che a Vosignoria dava ora Menichina. Con tutto che se fusse ancor vero che Vosignoria volesse far la carità a questa giovanetta, che male sarebbe?

 

            don pilogio  Nient’altro che il mondo mi tacciarebbe di poco savio, perché m’accompagnassi con una tanto inferiore d’età e qualche poco di condizione.

 

            geronio        Sono affetti che si danno, particolarmente di maestri colle scolare, i quali si permettono ancora senza fine di matrimonio e si dimandano affetti platonici, e sono lecitissimi.

 

5          don pilogio  Lecitissimi.

 

            geronio        E nel caso di Vosignoria, certo, che ha bisogno d’una ragazzetta per allevarsela a suo modo nel governo tanto difficile della sua casa; e questa per altro sarebbe savia e ubbidiente.

 

            don pilogio  Savissima, ubbidientissima.

 

            geronio        I suoi natali sono troppo civili; perciò il signor Buoncompagno la tiene più tosto in qualità di figliuola, tenendola alla sua medesima tavola.

 

            don pilogio  Ma io ho la mira di fare la carità a qualched’un’altra; e se non avessi un poca di fretta, le direi tutto il negozio del foglio bianco.[109]

 

10        geronio        Vosignoria non ha bisogno meco di sincerarsi. Le dico solo che Menichina farà la volontà de’ suoi padroni; ed io non mi sono ritenuto questo foglio soscritto a caso; basta... Intanto non potendo ella favorirmi di ricetto per la Tedesca, voglio cercarlo altrove. Il signor Buoncompagno dubita che quelli enfiori che ella ha nel viso siano altra cosa che colpi di schegge; perciò non vuole che dorma questa notte con Menichina. La riverisco.[110]

 

            don pilogio  Aspetti, signor Geronio. La sua cortesia m’obbliga finalmente a servirla. M’è sovvenuto che la Malmaritata a me rifuggita deve ad ognora tornarsene dal suo consorte. Daremo alla Tedesca quella camera; o in ogni caso uscirò io stesso dalla mia.

 

            geronio        Maggior grazia non mi potrà fare. Dunque verso l’imbrunir della sera, la Tedesca verrà: ed ho caro che ella si disinganni intorno all’imposture fattemi da Tiberino.

 

            don pilogio  Eh, mi maraviglio, io. Ella sì che verrà in cognizione di quanto Menichina m’abbia aggravato nell’onore.

 

            geronio        Menichina è una pazzerella.

 

15        don pilogio  Tiberino è un bugiardello.

 

            geronio        I padroni la mortificheranno.

 

            don pilogio  Il cielo lo castigherà.

 

            geronio        Del resto, a Tiberino gli perdono.

 

            don pilogio  Ed io con Menichina, non ho più collera.

 

20        geronio        La fa da quell’uomo da bene ch’ella è.

 

            don pilogio  Ed ella la fa da cavaliere par suo.

 

            geronio        Son sempre suo servo.

 

            don pilogio  Son peccatore.

 

                                   Fine dell’atto quarto[111]

 

 

 

                  ATTO QUINTO

 

 

                                   Appartamento di Buoncompagno

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Geronio, Buoncompagno, Tiberino.

 

            geronio        Tiberino, voi sentite: il signor Buoncompagno è così soddisfatto della vostra disinvoltura che v’accorda a mia richiesta la sua Menichina. = Questa, benché faccia tutti i servizi di casa, non è altrimenti sua serva, ma da lui accolta in fasce e tenuta in luogo di figliuola. = Io ho fatto fede a lui che siete civilmente nato, che siete unico e che avete qualche comodità; ed all’incontro egli assicura me che Menichina (i cui natali non sono a’ vostri inferiori) vi porterà alla morte del suo decrepito zio circa due mila scudi, con tanto danaro di più alla mano che possa bastarvi a comprare un offizio nella Dogana di Roma, quando non vogliate avanzarvi a quello di segretario.

 

buoncompagno        Tale è il mio sentimento. Ed in verità i vostri pronti ripieghi con la signora Egidia, la bacchettoneria a tempo, la mascherata da dama Tedesca così ben portata, m’hanno dato tali testimonianze del vostro spirito che io giudico di non potermi ingannare nel concetto preso di voi.

 

            tiberino        Signor Buoncompagno, signor Geronio se essi non fussero que’ cavalieri che io so, potrei credere che volessero scherzar meco compartendomi all’improvviso grazie così eccedenti. Potrò dire che non mi hanno dato né pur tempo di addimandarle. La fanciulla è d’intiera mia sodisfazione, la dote è confacevole al mio bisogno, e l’una e l’altra son superiori al mio merito.

 

            geronio        Benché suo padre m’abbia dato per ciò tutto l’arbitrio, ed io sappia che ha sollecitamente bisogno d’una nuora, vuole il rispetto che io non proceda all’ultimazione degli sponsali senza dargliene cenno.

 

5 buoncompagno     Basta che inoltriamo oggi le cose a tanto che Don Pilogio perda la speranza di conseguire la giovanetta; onde poi col favore di mia sorella, tanto semplice, non s’avanzi a qualche attentato.

 

            geronio        Egli sarà testimonio de’ primi sponsali con Tiberino.

 

buoncompagno        Come?

 

            geronio        Del come ne riderete. Tiberino, state pronto a mascherarvi la seconda volta, perché voglio condurvi da Don Pilogio per l’effetto che sapete.

 

            tiberino        Son all’ordine.

 

10        geronio        Sopra tutto, col linguaggio alemanno a voi sì famigliare, alterate al possibile la voce, alterandovi ancora le fattezze coll’impiastri.

 

buoncompagno        Ma che dirà Egidia se questa sera vedrà mancare in casa il secondo direttore della sua coscienza?

 

            geronio        A quest’effetto appunto della mascherata io ho fatto finta di licenziarlo da me col meditato pretesto che vi narrai.

 

            tiberino        Ed io ho finto partirmi.

 

            geronio        Ma ditemi: come v’ha lasciato partir volentieri la signora Egidia?

 

15        tiberino        Mi ha dato l’addio quasi colle lagrime.

 

            geronio        Credo piangesse più il perder quello stacco d’abito scritto da voi nella finta lettera, che il perder voi.[112]

 

            tiberino        E perciò stimo m’abbia fatto qualche dimostrazione d’affetto materno; come per esempio il non volermi rendere il deposito de’ dodici scudi che Vosignoria sa, dicendomi: non voglio gli mandiate male. E perché oggi mi sostentassi, m’ha dato due ciambellette calde, mandateli dalle sue suore.

 

            geronio        Orsù, giacché il signor Buoncompagno ci fa tanto comodo delle sue stanze, andate nel gabinetto a prepararvi.

 

            tiberino        Vado.

 

20 buoncompagno   Sentite, se la vostra sposa volesse intanto qualche lezione di scrivere da voi, non le stringete così forte le mani come Don Pilogio.

 

            tiberino        Sa pur Vosignoria quanto io sia scrupoloso. Non prenderò alcuna licenza senza il consiglio del custode delle Zoccolette ed il parere di quegli autori di Don Pilogio che mi dispensarono dal segreto naturale. (parte)

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Buoncompagno e Geronio.

 

buoncompagno        È grazioso questo giovane.

 

            geronio        Abbiamo fatto una bella coppia e Menichina ne sarà contenta.

 

buoncompagno        Non mi sarei a ciò impegnato senza le dovute scoperte. Ma Credenza? Povera donna! È poi un poco troppo il farla divenire il matto dei tarocchi. Vedete con quanto amore vi serve: non v’abusate della sua semplicità con tanto suo discredito.[113]

 

            geronio        Oggi medesimo vedrete quanto mi sarà a cuore il ricompensarla, tanto più che dalla sua bocca Tiberino ha ricavata incidentemente la notizia de’ baulli nascoti.

 

5 buoncompagno     Purché sia vero. Volete che io ve la dica? Tutti conchiudono che non trovarete neppur chi vi serva.

 

            geronio        Perché?

 

buoncompagno        Perché, cominciando dalla moglie, voi mettete tutti in canzone. Basta, molti non sono informati, come son io, della tanta avarizia di lei, la quali forse ha fatto più del dovere de’ riposticoli; ed ora nega a voi i giusti sovvenimenti, ed a’ vostri figliuoli.

 

            geronio        Per trovare questi riposticoli ho già all’ordin l’incantesimo; e vo’ farvi vedere come si tratti lo stregone che ha fatto sparir di casa mia quel che non doveva.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Menichina e detti.

 

            menichina     (a Buoncompagno) La signora Egidia vorrebbe parlare a Vosignoria.

 

buoncompagno        La signora Egidia può passare.

 

            geronio        Aspettate; non dite nulla ch’io sia qui.

 

            menichina     Non dubiti, no.

 

5          geronio        Vado a nascondermi con Tiberino.

 

            menichina     Ed io vado a dire alla signora Egidia che salga.

 

 

                                    SCENA IV

 

                                   Buoncompagno.

 

buoncompagno        Geronio e la moglie non possono mai accordarsi. Egli dà nell’estremo della generosità e dell’amorevolezza; Egidia nell’estre-mo dell’avarizia e del dispetto. Ma se Don Pilogio ci resta scottato, se lo merita: lasci governar le mogli da’ suoi mariti, le fanciulle da’ suoi padri o da’ suoi tutori, le vedove dal suo maestrato. = Lasci raccogliere i depositi dal Monte o da’ bancherotti; e lasci infine la cura dell’anime a’ loro legittimi Direttori. =

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Egidia, Buoncompagno.

 

            egidia             Serva sua, signor Buoncompagno.

 

buoncompagno        È padrona, signora Egidia, che si fa?

 

            egidia             Tribolata e tribolata tanto.

 

buoncompagno        Come tribolata quando è tornato il suo marito?

 

5          egidia            Non fusse tornato lui! Dio mel perdoni. È più cattivo che mai. E poi lui non ha portato un quattrino e vorrebbe mangiare alle mie spalle con degli altri.

 

buoncompagno        Ma sento che Tiberino corrisponde con dieci scudi il mese, e con regali.

 

            egidia            Tiberino era una coppa d’oro e un giovane come si deve: ma perché ha voluto rimediare a certo male, gli ha dato l’andare, al povero ragazzo.

 

buoncompagno        Me ne dispiace perché con tale assegnamento si provvedeva alla maggior parte della tavola.

 

            egidia            Eh, se non c’è cervello! E poi, ne vuol sentire una? È venuta quella Tedesca, come si dice, dietro a lui – tratto del mio marito – che ha da entrare in un conservatorio...

 

10 buoncompagno   Sì, che la prende intanto il signor Don Pilogio.

 

            egidia            Ora questa donna, dice che non è troppo sana, come si conosce ancora dal viso, che deve essere infetta dentro...

 

buoncompagno        Anzi è in letto in quella camera contigua che sta medicandosi; ed io non vedo l’ora che se ne vada, perché mi appesta tutta la casa.

 

            egidia            Disgraziata! E dice che ha tanti quattrini e gioie.

 

buoncompagno        Tanto è denarosa quanto è generosa, tutto che facesse finta di limosinare.

 

15        egidia            Mi ha detto il signor Don Pilogio che lo faceva per divozione.

 

buoncompagno        Non dirò altro. Al giovane dello speziale, per due bocconcini di cassia ha donato sei tolleri, ed a Menichina, per solo cavarle e metterle le pianelle, ha donato un anellino.[114]

 

            egidia            Queste barone non sanno di dove vengano; e però...

 

buoncompagno        Buon per chi li darà ricetto. Io credo voglia lasciar tutto alla casa dove muore: il che accadrà senz’altro fra poche settimane.

            egidia            Fortuna per quelle povare citte del signor Don Pilogio.

 

20 buoncompagno   Don Pilogio saprà fare i fatti suoi; il quale, come sento, ha una particolare attrattiva per guadagnar legati ed eredità.

 

            egidia            Se li guadagna, n’ha ancor bisogno, che fa tanto bene a’ povari. Ma quando uno ha le sue genti...

 

buoncompagno        La Tedesca non ha congiunti; o almento così credo.

 

            egidia            Oh, quando uno ha obbligo a qualche casa...

 

buoncompagno        Che vuol dire?

 

25        egidia            Vuo’ dire una cosa; e per dirla son venuta qui apposta da Vosignoria. Che scioccarie sono del mio marito? Quando si potrebbe far la carità a questa povera donna in casa nostra, volerla mandare altrove?

 

buoncompagno        (a parte) (Oh qui t’aspettava.)

 

            egidia            Un po’ di letto e un po’ di pappa, gliela potevo dar io. Lui sa pure che l’ammalate le so governare, e tenerle pulite e allegre.

 

buoncompagno        E intanto potrebbe darsi il caso che la Tedesca facesse disposizione del suo alla casa loro.

 

            egidia            No, no, non dico per questo: ma poi poi in quel punto a chi l’ha da lasciare? Se la robba l’ha avuta dal mio marito.

 

30 buoncompagno   Questo non credo.

 

            egidia            E io credo di sì: e chi potesse veder quell’anello che ha avuto Menichina dalla Tedesca, sarà de’ miei.

 

buoncompagno        Sia come si vuole. Costei per buona che sia...

 

            egidia            Buona, buona: bisogna sentire Tiberino.

 

buoncompagno        Non ha un ottimo nome; e stando in casa di suo marito che l’ha condotta di Roma, darebbe da dire alla gente.

 

35        egidia            La gente si chetarebbe. E poi quando le cose si fanno con quel vero fine di carità... Perché io fo conto che sia una povarina.

 

buoncompagno        Ma quando faceva la povarina, Vosignoria le fece una carità molto scarsa, dandole un secco avanzo di pane.

 

            egidia            Perché sapevo che era in medicamento; e però...

 

buoncompagno        Io per me non approvarei questo fatto, né lo stimarei di tutta riputazione di Vosignoria e del signor Geronio. Oltre che se questa donna ha da pensare a’ casi suoi per rimettersi della vita passata e fare un buon passaggio, è bene che stia alle mani di persona spirituale com’è il signor Don Pilogio.

 

            egidia            Ma Don Pilogio non sa la lingua Tedesca; e qui in casa ci sarebbe la comodità di Vosignoria, che l’intende.

 

40 buoncompagno   E io anderò per questi pochi giorni di sua vita in casa di Don Pilogio, per servirle d’interpete; benché quando ella vuole, molto si fa intendere ancora nell’italiano.

 

            egidia            = Ora basta, lo dicevo per lo meglio di questa creatura abbandonata; perché quando le povare ammalate non son ben servite, il demonio gli fa fare degli atti d’impazienza; e la carità che non ci ho io del prossimo, nessuno ce l’ha di vero. Il signor Don Pilogio sempre mi dice: voi siete fatta apposta per uno spedale. =

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Credenza con una balluccia di panni, e detti.

 

            credenza      Gnora padrona, ho fatto le mie ballucce: ma prima ho attinto l’acqua, ho spazzato la casa e ho messo al fuoco; perché la serva che verrà oggi non abbia a durar fadiga. Vorrei un pochino di salario...

 

            egidia            Che salario, che salario? C’è da discorrere. Vo’ vedere se nel fagotto c’è niente di mio; vo’ vedere se avete filato il vostro compito d’una semmana, vo’ vedere...[115]

 

            credenza      Nel fagotto non c’è di suo che quella camicia vecchia, che lei...

 

            egidia            Ci sarà la camicia, e ci sarà... Basta, vo’ vedere il cacio, vo’ vedere se ci sono le mi’ scarpe vecchie. Appoiosa, insolente, che siete. Levatemivi dinanzi.[116]

 

5          credenza      Ma io so’ una povarina...

 

            egidia            Povara, ghiotta e superba. Andate.

 

buoncompagno        Signora Egidia, ella, per quanto vedo, ha meno pazienza colle persone sane che colle persone ammalate. E se stesse in uno spedale come vorrebbe il signor Don Pilogio, credo che con coteste grida guastarebbe il sonno alle povare febricicanti.

 

            egidia            L’ammalate non chiedono il salario quando non l’hanno avere.

 

buoncompagno        È probabile che questa povera donna avanzi qualche cosa; ed in tal caso – mi perdoni se parlo libero – questa scarsa giustizia non corrisponde a quella tanta carità ch’ella vanta.

 

10        credenza      Che sia benedetto! Io dicevo che quella camicia vecchia...

 

            egidia            Dico, che dura ancora!

 

            credenza      Che mi diede, quando portai...

 

            egidia            Via di lì, scredenziata.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Geronio e detti.

 

            geronio        Di grazia moglie mia, abbiate un poca di carità. Questa povera Tedesca travaglia adesso di certi suoi accidenti di testa: e perciò andate altrove a saldare i conti colla serva.

 

buoncompagno        Quando sia con loro piacere, Credenza resterà al mio servizio: poi a tempo più proprio si parlerà de’ loro interessi

 

            egidia            Faccia lei.

 

            geronio        Volentierissimo.

 

5          credenza      Manco male! Qui non si poccerà le sorbe e non si mangiarà le minestre ingrassate co’ pesti unti.[117]

 

            egidia            Signor Buoncompagno, me n’andarò in poco a visitar la signora Eufrasia. (via)

 

            geronio        Credenza, torno alla Tedesca ammalata: restate col signor Buoncompagno, che vi sarà grato del buon affetto e del buon servizio. (via)

 

            credenza      Se cotesta ammalata morisse, quel decreto non lo dia a altre.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Buoncompagno e Credenza.

 

buoncompagno        Servirete per oggi questa povera Tedesca e l’accompagnate dal signor Don Pilogio.

 

            credenza      Servire e accompagnare la Tedesca? Ogn’altra cosa. N’ho servita un’altra di queste padrone descritte; non ne vo’ saper più.

 

buoncompagno        Nel servir la Tedesca, servirete me. E poi non sapete che regali ha fatti a Menichina?

 

            credenza      So che andava accattare, e bisogna accattasse per furbaria, come di molte ce n’è. Ma se mi coprisse d’oro, non c’è la mia reputazione. Oh, dirà Vosignoria, è contessa: ma finalmente è di quelle impastate. No, no, ripiglio le mie ballucce ora, io.

 

5 buoncompagno     Mi edifico delle vostre massime. Andate dunque a servire la signora Eufrasia.

 

            credenza      Oh, lei sì. (via)

 

buoncompagno        Finalmente l’onore prevale in costei all’interesse, più che nella padrona medesima, la quale sulla speranza di regali o di eredità voleva servire e ricettare la supposta cattiva pratica del marito.

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Geronio e Buoncompagno.

 

            geronio        Tutto sta in ordine a meraviglia. Tiberino è accomodato in modo che non lo ravviso io medesimo, né pure alla voce alterata dall’idio-ma e da certa noce che tiene in bocca.

 

buoncompagno        Suppongo che Menichina vi abbia consegnati que’ trecento scudi che mi trovo, e che mi chiedeste per l’accennato vostro bisogno.

 

            geronio        Sono in pronto; e ve ne ringrazio. Ella poi scalda gl’impiastri al suo grazioso Tiberino; ma più si struggono l’uno e l’altra d’un reciproco impaziente amore.

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Menichina e detti.

 

            menichina     Ho visto dalla finestra quel bacchettone che entra in casa.

 

            geronio        Egli viene a prender la Tedesca: lasciate, che io vada ad incontrarlo. (via)

 

buoncompagno        E voi Menichina, già vi suppongo istruita per quello dobbiate fare.

 

            menichina     Farò tutto quello che m’ha detto il signor Geronio. Non si ricorda lei che quando mi menava alle veglie, io facevo sempre la burla della pecora, del cappello tento e del pignatto? Quanti ce ne chiappavo di que’ giovanotti.

 

5 buoncompagno     Siete poi contenta dello sposo che v’ho trovato? Ma non è tempo ora: mi ritiro; restate a fare quanto sapete.

 

            menichina     Lassi fare a me.

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Geronio, Don Pilogio, Seggetieri con seggetta che resta in scena, e Menichina.[118]

 

            geronio        Sulla mia parola, la serva del sig. Buoncompagno sarà sua.

 

            don pilogio  Son cose da pensarci bene.

 

            menichina     (s’inginocchia) Signor maestro, gli domando perdono degli sgarbi che ho fatti e non li farò più; e la prego per amor del cielo della penitenza. Avevo detto a quel modo, perché ero stata messa al ponto e non conoscevo il mio bene. Ora io non voglio altri che lei; lei voglio, lei.[119]

 

            don pilogio  Leggerezze di gioventù?

 

5          menichina     Mi par mill’anni di venire a comandare a tante citte, a casa sua.

 

            don pilogio  Portatevi bene. Andate.

 

            menichina     La penitenza vorrei.

 

            don pilogio  Orsù, oggi servirete con carità questa povara Tedesca; e quando sarà a casa venite qualche volta a vederla.

 

            menichina     Questo lo farò di certo. Guardi bell’anello che m’ha donato; e m’ha detto: «Tenete, sposa». Signor sposo, mi voglia bene; vo a far la penitenza. (parte)

 

10        geronio        Che carità ha questa figliuola per gli ammalati! È proprio il caso per Vosignoria.

 

            don pilogio  Certo che se questa ragazza non piglia almeno una persona spirituale è rovinata. Ma pensiamo a condurre quest’ammalata a quel povero ricetto che per servire a Vosignoria le ho messo in ordine.

 

            geronio        Il commodo del trasporto non può essere migliore; tanto più che ella è assai aggravata, e dianzi credetti mi morisse nelle mani.

 

            don pilogio  = Spesso il demonio ci tenta a far delle mortificazioni indiscrete per renderci poi noiosa la penitenza. E che direttori sono a Roma? Insinuare a questa miserabile, piena di malanni, il venire a Siena limonisando!

 

            geronio        Non le do quindici giorni di vita. = Or vado a prenderla. =

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Egidia e Don Pilogio.

 

            egidia            L’ho sentita alla voce, che ero qui dalla signora Eufrasia. E così lei si vuol mettere quest’appestata in casa, eh?

 

            don pilogio  Veramente mi torna scommodo: ma siamo in questo mondo per servire al nostro prossimo.

 

            egidia            E que’ miei baulli, penso che saranno in luogo...

 

            don pilogio  Che Dio l’aiuti! Costei ha altra voglia che de’ suoi baulli. Ma pur non si dubiti; gli ho chiusi in camera di suor Calidonia Depositaria, che è quella citta fidata che dorme accanto alla mia stanza e che tien le chiavi d’ogni cosa. Ecco l’inferma.

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Tiberino vestito da donna, coperto come l’altra volta, sostenuto da Buoncompagno, e Geronio con Menichina, che tien le sacchette de’ denari, Credenza, Egidia, e Don Pilogio.

 

            tiberino        An be ich stirbe.

 

            geronio        Via si faccia animo: siamo qui per lei.

 

            tiberino        Ich bolte zu kmie fovera, dem herren Pilogi.

 

buoncompagno        Dice che vuol inginocchiarsi al signor Don Pilogio.

 

5          don pilogio  No, no, povera signora; basta che s’inginocchi coll’intenzione. (la mettono nella seggetta) Si metta in sedia e andiamo. (a Buoncompagno) Ma non intende l’italiano?

 

buoncompagno        Intende, ma parla poco per soggezione di storpiare i vocaboli nostri che non sa pronunziare.

 

            geronio        Prenda i suoi denari e le sue gioie. (nel mettere le sachette nella sedia, Tiberino le dà un calcio)

 

            credenza      (a parte) (Denari e gioie! E voleva il decreto.)

 

            tiberino        Nemb eschin danes mir das gebissen besteret.

 

10 buoncompagno   Dice che non vuol questo peso alla coscienza.

 

            egidia            La robba di mal acquisto non fa mai pro.

 

buoncompagno        Signora, perché non vuole questi denari? Parli pure italiano al meglio che può.

 

            tiberino        Date tutto a signore Orologio

 

buoncompagno        Vuole dire al signor Don Pilogio, suo direttore, eh?

 

15        tiberino        Sì, a Pilogio, mio carissimo dirittone, dirittone.

 

            geronio        Prendete signor Don Pilogio. (vuol darli i denari)

 

            don pilogio  Li portaremo in camera sua, e ne faremo due versi in ricordo. (i seggettieri prendono le sacchette) Ma se la signora stesse aggravata, dovrebbe far quanto prima un po’ di disposizione del suo; e vorrei che ci fussero lor signori, per ogni buon fine.

 

buoncompagno        Il testamento l’ha dettato poco fa dopo il primo accidente; e godendo lei i privilegi militari del marito ancora nella sua vedovanza, colla sua sola soscrizione l’ha fatto valido. Voglion sentirlo?

 

            geronio        Sì sentiamolo tutti.

 

20 buoncompagno   Lo leggerò nel nostro volgare. (legge) «Io Massimiliana, ecc.» Qui pone una filastrocca di titoli.

 

            don pilogio  Non importa, che son vanità mondane.

 

buoncompagno        (legge) «Voglio essere trasportata a morire nello spedaletto del signor Don Pilogio per acquistare qualche merito in morte». È vero, signora Massimiliana?

 

            tiberino        Sì, sì, marito in morte.

 

            credenza      (a parte) (Bisognava maritarsi avanti, disgraziata.)

 

25 buoncompagno   Merito, merito, non marito. (legge) «E voglio che di tutto il denaro e gioie ed ogni altro capitale che mi trovo, sia erede il detto spedaletto e amministratore il signor Don Pilogio».

 

            don pilogio  Senza obbligo di render conto, ci aggiungeremo: e senza pesi perpetui.

 

            egidia            Il cielo manda il bene a chi lo merita.

 

            geronio        Signora Massimiliana, ha parenti Vosignoria? Bisogna pensare a quelli.

 

            don pilogio  Per ora non bisogna infastidirla. = E quanto a’ parenti, se mai fusse vero che suo marito avesse acquistato questo peculio in guerra, ci nasce la disputa fra i moralisti se si tratti di guerra giusta o ingiusta: e così per la più sicura è bene fare eredi i povari, in quanto ella avesse obbligo di restituzione.

 

30        geronio        Mi rimetto.

 

            egidia            Eh, non lo dice un ignorante.

 

            don pilogio   Signora Massimilana, Dio gliel meriti. (s’accosta col viso alla sedia) Faremo una bella lapida nello spedaletto ad perpetuam rei memoriam; che i parenti si giuocarebbero la sua eredità in due giorni.

 

            tiberino        Ioh, ioh.

 

            geronio        Signor Don Pilogio, se ella s’accosta così vicino all’ammalata, sentirà del cattivo odore.

 

35        don pilogio  = Puzzano più le mie iniquità. =

 

buoncompagno        Seguo. «Voglio però che di detto denaro si diano trecento scudi a Menichina, per il buon genio che ho preso seco, affinché si faccia religiosa; e questi sono in tant’oro di Zecca, nel fondo d’una sacca».

 

            don pilogio  Suor Massimiliana mia – già vi considero come sorella dello spedaletto, o conservatorio –, lasciate questa povara fanciulla in libertà ancora di prender marito, accioché non bestemiasse poi questo vostro legato. Sì, sì, testate così per santa obbedienza; e per tanto quell’oro di Zecca...[120]

 

            tiberino        Ioh, ioh, Menichina portar zecche a marito.

 

            menichina     Gli vo’ baciar la mano. Uh, la miTedesca cara, cara.

 

40        egidia            Signora Massimiliana, si ricordi della nostra casa. Finalmente...

 

buoncompagno        Più abbasso verso l’ultimo, leggerò ancora un legato per il signor Geronio. (a Egidia) Ma vuole che paghi con quel denaro tanti de’ suoi debiti.

 

            egidia            Giudizio.

 

            geronio        Purché non m’obblighi a pagarne uno, che so io, non importa.

 

buoncompagno        Seguiamo. (legge) «E perché io Massimiliana ho commesso tante colpe...»

 

45        tiberino        Au be ich stirbe. Non più, pasta, pasta.

 

            credenza      (a parte) (Gli hanno parlato che ha fatto male; e lei ha confessato della pasta,cioè che è impastata.)

 

            geronio        Temo di qualche nuovo accidente. Andiamo.

 

            don pilogio  Sì, è bene che venga a morire nello spedaletto. Conduciamola, che colà aggiustaremo il tutto con più tempo. (le tasta il polso) Il polso però è buono, signor Buoncompagno, il foglio è già sottoscitto, neh?

 

buoncompagno        (gli dà il foglio) In buona forma; e subbito che Vosignoria torna aggiustaremo la carta degli sponsali con questa ragazza.

 

50        menichina     Torni subbito, subbito, signore sposo.

 

            don pilogio  Modestia, modestia. Andiamo signora Massimiliana, = questa è la via del cielo. = (via con Geronio e la seggetta)

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Buoncompagno, Egidia, Menichina e Credenza.

 

            egidia            Manco male che costei s’è ricordata della mia povara casa.

 

buoncompagno        Ora se ne va a morire in buone mani.

 

            egidia            Orsù, in casa mia non c’è nessuno; voglio andarmene. La riverisco.

 

buoncompagno        = Mi rallegro del suo legato. Ma ella potrebbe mandare adesso qualche regaluccio alla signora Massimiliana, giacché Vosignoria aveva tanto genio di servirla; cioè qualche conserva, che so io...

 

5          egidia             Bisogna sentire prima il medico. Serva sua. = (via)

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Buoncompagno, Menichina e Credenza.

 

buoncompagno        Menichina, tra poco tornerà il vostro sposo: andate ad acconciarvi; ed io pensarò intanto a provedervi qualche cosa che vi bisogni.

 

            menichina     Adesso vo: ma che sarebbe che un par di nozze servissero a quattro sposi? Vo’ dire che trovasse un cencio di marito a madonna Credenza ancora? (via)

 

            credenza      Com’ha da essere un cencio, non mette conto.

 

buoncompagno        Non sarà un cencio, no, madonna Credenza. Il signor Geronio pensa più a voi che non credete.

 

5          credenza      A mi’ tempo vorrebb’essare.

 

buoncompagno        A vostro tempo sarà, e forse più presto che non pensate.

 

            credenza      Ma lui è un povaro gentiluomo: e di quel decretaccio con que’ patti, non ne vo’ saper niente, sa. Ha visto quella forestiera, che adesso non gli fanno pro i suoi quattrini? E perché si vergognava di quel che ha fatto, diceva «pasta, pasta», per non essere scoperta.

 

buoncompagno        (a parte) (Onorata semplicità!) (a Credenza ) Fate qualche facenda, fino che io vado qua da mia sorella. (via)

 

            credenza      E che domin di marito ha per le mani per me il signor Geronio! Facci lui, purché sia uomo fatto e da bene.

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Maestro Burino, e Credenza.

 

            burino           (a parte) (Credo che Menichina sia sposa; e però vo’ dimandare al suo padrone se gli bisogna delle gioie della mia bottega. Ma è qui questa matta. Pigliamoci due altri quattrini di gusto.) (a Credenza) Madonna, bisogna rendermi quel foglio strappato.

 

            credenza      Oh, renderlo poi no, ser Impasta; non voglio esser scritta per forza in quel libraccio.

 

            burino           Oh, via via, v’ho servito bene. Voi sete impastata onoratamente tra le contesse di malaffare; e non ci sarà barba d’uomo che ’l libro lo possa vedere. Ma poi vi ricordarete del cancelliere?

 

            credenza      Sicuro, ma co’ modi abili.

 

5          burino           Perché vedendo che sete così schizzinosa dell’onore, v’ho impastata; sapete con che? Colla farina da zuccarini.[121]

 

            credenza      Oh come dire, in que’ libracci sudici vi servite di farina di monache?[122]

 

            burino           Tal persona, tal pasta. Ora, eccovi il decreto bello e buono; = e giacché non è servito per la Tedesca, io ci ho scritto voi; e se volete dar il luogo ad un’altra, or ora vi conto cento scudi, ma ora, per una povaretta che pigliarebbe quel resto, che ci avanza.

 

            credenza      E come dice questo decreto? =

 

            burino           Mirate. Ma questo sigillone non dice bordello, bordello?

 

10        credenza      Se fusse bordello buono, cioè bordello di conventi come la farina, perché no?

 

            burino           Oh, sentite quel che ho fatto per voi. Leggo il decreto.

 

            credenza      Uh, sì.

 

            burino           (legge) «Noi Giovanpilastro di Castrovincastro, Duca di Nonnagiovanna e di Coccomarzocco...»

 

            credenza      La fornaia al nome di questo prencipe non ci crede: dice che è un beltrovato.[123]

 

15        burino           La fornaia è una sciocca: non ci aviamo de’ nomi strambi noi ancora? Asinalunga, Belsedere, Culecchio...

 

            credenza      Oh, è la verità, sì, sì. La fornaia sa per molto.

 

            burino           Seguo. (legge) «In virtù della presente concediamo alla disonesta donna...»

 

            credenza      Non è fatto niente, son donna da bene.

 

            burino           Con tre paoli di spesa alla Cancelleria, mutaremo questa parola e diremo licenziosa.

 

20        credenza      Oh, licenziata non si potrebbe dire? Che appunto la padrona m’ha mandato via.

 

            burino           Licenziata, sì bene vi vo’ servire. (legge) «Concediamo la solita nostra limosina di scudi 120, staia 30 grano, una botticella di vino, una fede d’oro, quattro paia di lenzuola, pezze e fasce, purché lasci il peccato».

 

            credenza      Questa scioccaria del peccato non ce la voglio.

 

            burino           Con tre altri pavoli l’aggiustaremo, dicendo «purché lassi il peccato della gola».

 

            credenza      Della gola po’ poi, lassiamocelo: era ghiotta la mi’ padrona ancora, quando andava a mangiare fuor di casa: e poi ne conosco tante delle ghiotte.

 

25        burino           Ma quaggiù ci è una condizione che non si può levare; sentite. (legge) «E perché dette donne sogliono essere infette dal morbo gallico, vogliamo che detta Credenza pigli per quindici giorni la salsa».[124]

 

            credenza      E perché mi vuol mettare queste sporcizie in corpo, se son sana e schietta?

 

            burino           Il magistrato dubita che abbiate le viscere infeste, a cagione del vostro fiato puzzolente.

 

            credenza      Se non puzza lui, il porcone, cotesto magistrato...

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Buoncompagno da parte, e detti.

 

buoncompagno        (a parte) (La solita partita con Credenza.)

 

            burino           Del resto poi sarebbe aggiustato tutto.

 

            credenza      = E la dote la potrei avere, eh? Ma la salsa, sarà salsa disonesta o salsa licenziata?

 

            burino           Salsa onoratissima da conventi, come la farina della pasta.[125]

 

5          credenza      E poi come dice il decreto?

 

            burino           C’è la firma del prencipe, e poi la recognizione del magistrato,  = che dice così: (legge) «Noi, soprintendenti de’ vicoli e de’ bordelli della città e stato di Siena...»

 

            credenza      Ma de’ vicoli de’ conventi vorrei che dicesse.

 

            burino           Lassate dire. (legge) «Provveditori delle crocce e delle carrette, approvatori dei cerrotti ecc.» E poi c’è l’approvazione e la firma del Priore, e mia; cioè (legge) «Gherardo del Chiavica, priore libidinoso. Ser Impasta cancellier sensuale».

 

buoncompagno        (s’accosta) Signor cancelliere sensuale, servo suo. Ora giacché que’ libidinosissimi signori hanno fatta tanta grazia a questa donna di dispensarla da ciò che come onorata non voleva accettare, operi in modo che abbia l’ultima carità.

 

10        credenza      Sì, eh, buon citto.

 

buoncompagno        Che la dispensino ancora del medicamento della salsa, perché sta forse per maritarsi fra poche ore.

 

            burino           Signor Buoncompagno, mi vo’ prendere un arbitrio io, e gli farò la fede della fatta purga, purché si contenti di venire a ricevere un cristere in Cancellaria. =

 

            credenza      Ma colla canna da monasteri.[126]

 

            burino           Oh, questo è dovere.

 

15        credenza      Vo a pigliare la camicia della modestia che Tiberino m’ha donata, e verrò con lei adesso. (via)

 

buoncompagno        Venite pur meco, messer Burino, che vedrete qualche cosa di bello.

 

            burino           Suppongo sarà delle solite del signor Geronio che m’ha mandato a chiedere alcuni giovanotti da mascherare.

 

 

                                   SCENA XVIII

 

                                    Appartamento di Don Pilogio.

 

                                   Geronio e Tiberino da donna.

 

            geronio        Ma vedete con che pace il bacchettone ci ha lasciati in casa sua, per la fretta di ritornare a Menichina.

 

            tiberino        Si conosce che sta con tutto il commodo e che si provede per la sua tavola d’ogni ben di Dio.

 

            geronio        La stanza che egli chiama de’ depositi, credo sia quella serrata; e là senz’altro sono i baulli di mia moglie, ne’ quali, come vedrete, ella ha riposto per molte centinaia: ma dovunque si siano, li troveremo coll’aiuto di quelli amici di maestro Burino, che or ora saliranno dal muro dell’orticello.

 

            tiberino        Conviene aspettare che le donne vadano a letto. Ma ha ella osservato come al solo vederci si sono serrate tutte nelle sue camere?

 

5          geronio        Pensate che son citole e femmine rifuggite, e per conseguenza paurose. Ecco non so qual fanciulla col lume e col campanello.

 

 

                                   SCENA XIX

 

                                   La cantora col lume, suonando il campanello, e detti a parte.

 

            cantora        Citte, diciamo quello che s’ha da dire, prima d’andar a letto.

 

                                    Ad ogni due versi risponde, replicando i medesimi, il coro di dentro.

 

                                    Sommi Dei alti e possenti,

                                   fate far de’ testamenti

                                   per fanciulle abbandonate

                                   vergognose e riscappate.

                                   Per far letti al dormentorio

                                   per più carne a refettorio.

                                   Sommi Dei: date una sposa

                                   bella, ricca e virtuosa

                                   al buon padre direttore

                                   che patisce di calore.

                                   Sommi Dei, il buon Pilogio

                                   fate grasso e fate grogio,

                                   che ci metta ’l nostro argento

                                   a quarant’almen per cento

                                   per isbatter la gengia

                                   buona notte e così sia. (rientra dentro)[127]

 

            tiberino        Avete sentita la bella canzona? Son pur contenta d’aver fatto que’ grossi legati a questo buon conservatorio!

 

            geronio        Abbiamo però l’occhio a questi denari e gioie che si son riposte in camera vostra; a qual effetto son qui restato a dispetto di Don Pilogio.

 

            tiberino        Non ci voleva altro che l’amore che ha per Menichina per farlo uscir di casa a quest’ora.

 

5          geronio        Ma quanto tardano a venire questi mascherati? Hanno pur anch’essi un po’ di pizzicor d’amore che dovrebbe sollecitarli.

 

            tiberino        Com’a dire?

 

            geronio        Sono alcuni giovani che amoreggiano con queste chiuse zitelle; e c’è qualche marito che vorrebbe ricondursi a casa la sua moglie, che Don Pilogio con poco lodevoli pretesti gli ha fatta levar da canto.

 

            tiberino        Ma questa parrà una violenza che si faccia a tali ritirate.

 

            geronio        Dalle violenze, Dio mi guardi. Ma siccome Don Pilogio ci conduce a ricreazione i suoi divoti, volendo forzar queste fanciulle a sposar colli torti, così posso arrischiarmi per una volta, introdurci io con tutto il rispetto questi applicati ed onesti giovani, alcuni de’ quali con tal fanciulla di queste ha contratta qualche promessa.

 

10        una donna    (di dentro) Citte, serrate gli usci sodo, che c’è gente nell’orto, e il signor Don Pilogio non è in casa.

 

            geronio        Sono i nostri amici.

 

 

                                   SCENA XX

 

                                   Alcuni mascherati con suoni e detti.

 

            geronio        Benvenuti Signori. Di grazia non fate rumore: parte di voi vada con Tiberino ad esplorare quant’ei vi dirà, e parte resti qui.[128]

 

            tiberino        Le donne non saran tutte addormentate.

 

            geronio        Anzi, se sono addormentate, vo’ che si destino. Andate.

 

            tiberino        Che mai vorrà fare? (via con due mascherati)

 

5          geronio        Signori osservate con quanta facilità s’aprono le porte di questo violento conservatorio, nell’istesso modo appunto che aprì Orfeo le porte dell’inferno.

 

                                   Prende da uno de’ mascherati la chitarra, e canta su l’aria del Ruggiero, ballando a solo.

 

                                    Questo ballo non va bene

                                   se a ballare meco non viene

                                   quella bella sconsolata

                                   dal marito scompagnata.

 

                                   Esce a ballare la Malmaritata.

 

            malmaritata Questo ballo m’è noioso,

                                   se non ballo col mio sposo

                                   da cui vivo in divisione

                                   per martel del bacchettone.

 

                                    Uno de’ mascherati balla con lei cantando

 

            mascherato  Sposa mia, balliamo su,

                                   ma la piolla non far più

                                   giuoca al desco e va alla danza

                                   e saluta con creanza.[129]

 

            tiberino        (torna) Allegri, allegri, suor Calidonia depositaria, che ha bevuto un po’ di vino delle limosine, senza annacquare, dorme già distesa quant’è longa per una scala; e le abbiam levate le chiavi dalla cintola, tanto della stanza dei depositi che della cantina. (via)

 

            geronio        Signora Malmaritata, potrà dunque ripigliare i suoi depositi e tornare a casa dal suo marito.

 

10        malmaritata Illustrissimo sì, Dio glielo rimeriti.

 

                                    Geronio torna a ballare.

 

            geronio        Questo ballo andrà altrimenti

                                    se verranno le partorienti

                                    vergognose e riscappate

                                    e le putte ritirate.

 

                                    Qui vengono le Vergognose, coperte co’ lenzuoli, le donne co’ bambini in braccio e le citole ballando tutte.

 

 

                                   SCENA XXI

 

                                   Don Pilogio, Menichina, Buoncompagno e detti.

 

            don pilogio  Che scandalo è questo in una casa di divozione! Siamo noi in bordello? Vado adesso a chiamar la giustizia.

 

            geronio        Signor Don Pilogio, queste sue donne e questa mia brigata han preso ardire di fare un ballo in onore del suo sposalizio.

 

            don pilogio  Il mio sposalizio s’ha da celebrare con un pranzo a’ prigioni, e qualche staio di pane agli altri poveretti.

 

            uno della

            compagnia    (beve e dice) Alla salute del signor Don Pilogio e della signora Menichina; e un figliol maschio.

 

5 buoncompagno     Signore sposo, bisogna gradir queste dimostrazioni e tenere allegra la sposa.

 

                                   Balla e canta.

 

                                   Di ballar non si rincresca,

                                   o bellissima Tedesca.

 

            don pilogio  E come volete che balli se è in caso di morte, serrata in camera sua? Che gioventù sconsiderata!

 

buoncompagno        Le stampelle deponete

                                   e mostrateci chi siete.

 

            tiberino        (torna) Per mostrare opidienza

                                    pallerò con sua licenza

 

                                    Balla con una croccia, coperto come prima.

 

            don pilogio  (a parte) (Ah, peccato abituato maladetto!) Basta basta, che vi piglierà qualche accidente.

 

10        tiberino        Con pellissima sposina

                                   appellata Menichina.

 

            don pilogio  Oh questo no, non deve, come mia moglie, dar cattivo esempio al conservatorio.

 

            menichina     Signore sposo, mi lassi ballare. E che n’ha gelosia, se è una donna?

 

            geronio        In grazia mia.

 

            don pilogio  Al signor Geronio non si può negar nulla. Ma che dirà il vicinato di questi bagordi?

 

15        menichina     Se si contenta, signore sposo, io invitarò qualche persona lontana, per non avere occasione di ballar più.

 

            don pilogio  Così fate, figliuola mia, così fate.

 

            menichina     Tiberino, io chiamo te,

                                   che tu dia la mano a me

 

            tiberino        Ecco a te la mano e il cuore

                                    alla barba del dottore.

 

                                   Tiberino si scuopre, resta colle sue sembianze virili, getta la gonella e canta, e balla dandole la mano.

 

            geronio e

buoncompagno        E viva gli sposi!

 

20        don pilogio  Che viva? Che sposi? Questa casa mi par piena di diavoli.

 

            geronio        Questa casa è piena di galant’uomini. Quegli è Tiberino e sposo legittimo della giovanetta, che non era un boccone da’ vostri denti. Egli in quel modo ha ingannata la vostra avarizia e la vostra ippocrisia, dando luogo a me di ricuperare i miei baulli che già saranno trasportati, e di rendere a queste povere femmine la loro libertà. Esse torneranno alle loro case più ricche che qui non vennero, perché tutta la robba ammassata nella vostra stanza de’ latrocini spirituali pregherò i superiori che vogliano dividere a queste miserabili in assegnamento di loro maritaggio. Formicone, sensuale, usuraio! Abbiam le leggi belle e buone che provedono a’ divorzi de’ maritati, all’onestà delle zitelle ed alla protezione delle vedove, senza che voi vi facciate questa scandalosa bottega. = Basta, manderemo tutte le vostre scritture al governo, che in quelle scassaie si chiudono =[130]

 

            don pilogio  Signor Geronio, le raccomando per carità la mia reputazione. Le offerisco tutta la mia casa, tutta la mia famiglia devota: e quando voglia entrar meco a compagnia di direzione, io volentieri...

 

            geronio        Non voglio entrar a società d’ippocrisia.

 

            don pilogio  Eccomi nelle sue braccia. Non sarà poi suo decoro l’avere ingannata la mia semplicità.

 

25        geronio        Sarebbe restituzione d’inganno, per quanti semplici avete presi voi al lacciuolo! Ma pure io voglio usare con voi tutta la discrezione: e quando pensiate continuare qualche opere di pietà con certe persone abbandonate, spogliandovi dell’interesse e de’ secondi fini, ho risoluto accompagnarvi con una donna da bene, la quale in materia dell’onestà può servir d’esempio a tutte le donne del suo grado, e forse, forse.

 

 

                                   SCENA XXII

 

                                   Burino, Credenza vestita colla lunga camicia della Modestia, e detti.[131]

 

            burino           Ecco qua la pudicissima serva impastata che rinunziando costantemente alla dote del signor principe di Castrovincastro, vestita della camicia della modestia, se ne passa al talamo nuziale del signor Don Pilogio.

 

            credenza      E che frastuolo è questo? Io non vo’ far la buffona a nessuno.[132]

 

            don pilogio  E che vuol significare quest’altra matta così vestita? E che si parla di talamo e di Don Pilogio?

 

            geronio        Questa è vostra sposa, secondo che vi promisi.

 

5          don pilogio  Come?

 

            geronio        Vi promisi la serva del signor Buoncompagno, e ve la mantengo.

 

            credenza      Io m’ero vestita a medicamento e non a sposalizio.

 

            geronio        Ecco la scrittura da voi soscritta.

 

            don pilogio  Questa non fu mia intenzione. Ah, meschino!

 

10        credenza      Meschino, eh, a pigliar me? Son di buon parentado, e non ho nessuno delle mie genti scritte dove sa lei.

 

            don pilogio  (a parte) (Costoro hanno tutte le mie scritture in mano, e non mi comple si pubblichino que’ testamenti estorti a certe vedove, né qualche scrittura di matrimoni forzati. Il cielo fa a me quel che io ho fatto agli altri.)

 

            geronio        Dando la mano a Credenza, si metteranno sotto il tavolino tutte le cose.

 

            don pilogio  E come vuol necessitarmi a sposare una donna, la quale – tralasciando l’altre disuguaglianze – ha un fiato di sepoltura aperta; il che può essere impedimento dirimente?[133]

 

            tiberino        Eh, che puzzano più le vostre iniquità. Ricordatevi che per cavar que’ legati dalla Tedesca puzzolente pe’ suoi cerotti, non aveste nausea di starle accanto.

 

15        geronio        Benissimo.

 

            credenza      Miracoli! È un dente guasto dallo stiacciar di tante fave secche per far la favarella alla padrona.[134]

 

            geronio        Pilogio, facciamo il matrimonio, poi si farà tempo a discorrere. Ed accioché vediate che vo’ vincervi di cortesia, e rimunerare cotesta buona donna dell’ottimo servizio e delle sue massime onorate, le assegno per dote trecento scudi, accomodatimi dal signor Buoncompagno; e son que’ medesimi che ha trasportati nella sua sedia la pia testatrice Tedesca. Di più le assegno altri cinquanta scudi di biancheria, di quella che si trova ne’ miei recuperati baulli che sono là in guardia de’ miei buoni amici.

 

 

                                   SCENA ULTIMA

 

                                   Egidia e detti.

 

            egidia            Questi baulli li lasserà stare Vosignoria: sono robba di povare donne che me l’hanno fidata. Me l’immaginavo e già son venuta qua, perché la signora Eufrasia m’ha fatto sapere che dubita che quella Tedesca non sia quel monello di Tiberino, travestito nella sua stanza contigua.

 

            tiberino        Signora madre sono sposo, se è con buona grazia di Vosignoria, se no, stia per non fatto.

 

            egidia            Signor bricconcello, n’ho fatti gastigar degli altri. Che ne dice, signor Don Pilogio?

 

            don pilogio  Ecco il frutto della dottrina di quel custode delle Zoccolette. Ma io gliel’aveva avvertito.

 

5          egidia            Ah, son troppo buona.

 

            geronio        E per questo che siete troppo buona, bisogna ritirarsi dal secolo, e prender luogo qui nella camera di quella malmaritata che appunto adesso n’è uscita. Ma bisogna ubbidire alla reverenda madre Credenza, direttrice del conservatorio e sposa di Don Pilogio.

 

            credenza      Ora farò pocciare io le sorbe a lei.

 

            egidia            Che sorbe? Baronaccia, vecchia, matta, buffona.

 

            credenza      Citte, eh, citte, mettete in noviziato la signora Accidia che dice delle parolacce.

 

10        geronio        Don Pilogio, la mano a Credenza: questo è il vostro obbligo, e questo sarà il vostro meglio.

 

buoncompagno        Sagrificate al cielo quest’amara bevanda.

 

            don pilogio  (a parte) (Finalmente sono a termine di far questo passo così duro. La ragione apparentemente mi ci obbliga senza difesa e la forza mi ci costringe senza scampo. Per salvare in parte l’onore, bisogna far patire l’amore. Geronio non sarà sempre in Siena, ed intanto qualche autore morale mi suggerirà delle dottrine per annullare questo contratto.) (a Credenza) Credenza, eccovi la mano.

 

            credenza      Pensavo di no, io. Credevo che gli fusse venuto qualche scrupolo e che mi volesse sposare colle molle

 

            menichina     Mi rallegro col signor maestro: ma avverta di non stringer le mani così forte alla signora direttrice, perché vi ha non so quanti patarecci.[135]

 

15        egidia            Io non ne vo’ veder più. (vuol partire)

 

            geronio        Fermatevi qui, signora Egidia.

 

            egidia            A che fare?

 

            geronio        A conferire col vostro Don Pilogio i frutti ricavati dalla vostra credulità, ed a imparare a fidarvi qualche volta più del marito che de’ falsi divoti.[136]

 

            egidia            E così dunque...

 

20        geronio        Non replicate: così voglio io per mia quiete, e per vostro vantaggio e correzione, poiché sotto la disciplina del vostro direttore potrete assistere a vostro piacere alle povere ammalate partorienti che qui vengono, soddisfacendo intanto alla natural vocazione che avete di servire agli spedali. Ma principalmente imparando dall’onorata Credenza, poco fa vostra serva ed ora vostra direttrice, a far prevalere le massime della virtù e del decoro a quelle d’un vilissimo interesse.

 

            egidia            Ma io...

 

            geronio        Ma voi non vi vergognaste d’adottarvi un mio servitore per figlio sull’oggetto di guadagnare un abito e dodici scudi; né vi arrosiste di offerire alloggio e servitù ad una da voi supposta infame donna colla speranza che vi beneficasse. Onde io, per far giustizia a Credenza, in faccia a voi, ed a chi m’è presente, dirò che l’AVARIZIA è stata più onorata nella SERVA che nella Padrona.

 

            tiberino        Ed io, se di questi accidenti di schernita avarizia e di mortificata ippocrisia dovesse intrecciarsene una commedia, la vorrei chiamare LA SORELLINA DI DON PILONE.

 

                                   IL FINE DELLA COMMEDIA

 

 

 

APPENDICE

I. [p. iii] Soggetto ed occasione che ebbe Girolamo Gigli di fare la presente commedia.[137]

 

 

 

 

5

 

 

 

 

10

 

 

 

 

15

 

 

 

 

20

 

 

 

 

25

 

 

 

 

30

 

 

 

 

35

 

 

 

 

40

 

 

 

 

45

 

 

 

 

50

 

 

 

 

55

 

 

 

 

60

 

 

 

 

65

 

 

 

 

70

 

 

 

 

75

 

 

 

 

L’autore fu fin dai primi anni del suo accasamento quasi sempre in continue liti con la sua consorte per differenza di genio, essendo quella donna di troppo stretta economia, quegli di eccedente generosità. Ella di trattamento ruvido con la famiglia di servizio, esso riconoscente più del dovere con i servitori e mercenari, largo e manieroso, essa finalmente non troppo giovine, non troppo bella, ed affettatamente spirituale, egli fresco, non disgradevole, e quanto alla pietà ed ai costumi, né troppo bacchettone, né troppo libero. Disgustati loro due l’autore si portò a Roma, conducendovi due figli per quivi impiegarli e principalmente per trarli dall’educazione della madre. Ma dopo qualche tempo convenne a lui riportarsi in Siena per dare sesto a certi interessi e riparare alle rovine della casa notabilmente incomodanti, parte perché egli sempre più si applicò alla poesia che al governo delle proprie sostanze, parte perché le domestiche discordie e le liti esterne condussero non senza qualche fatalità il suo stato a questo termine. Ritornato dunque alla sua patria fu da qualche suo amico persuaso a posare in casa della moglie tanto per togliere lo scandalo che avrebbe potuto cagionare nella separazione, quanto per fuggire la suggezione e la spesa di saltare altrove, giacché egli nel partirsi per Roma [p. iv] dismesse in Siena casa e mobili dando in amministrazione le proprie sostanze. Per tanto scavalcò veramente in casa della moglie ed ebbe da lei così poco buona accoglienza che poco non mancò che non slogiasse l’istesso giorno del suo arrivo. Il contrario della padrona fece la serva di lei, donna amorevole e sincera benché semplice più dell’ordinario, non lasciando dimostrazione alcuna di fedeltà e di buon cuore particolarmente nell’assistere il padrone nella cura d’un ginocchio che si era sconvolto in Roma in occasione di certa caduta. Conoscendo dunque l’autore così amorosa verso di sé la semplice serva, prese a coltivare il terreno con più e diverse carote, obbligandola talora con qualche regalo a rivelargli tutti i fatti della padrona di cui ella si trovava poco soddisfatta per la strettezza con cui la teneva tanto nel vitto che in ogni altra cosa. Tra gli altri modi con cui l’autore si obbligò la serva, uno fu questo che diede il principal soggetto alla presente commedia. Si mostrava tutto dì la serva, quanto che brutta, vecchia, di fiato puzzolente, rognosa e priva d’ogni assegnamento desiderosa di lasciare il mestiere della serva e passare alla seconde nozze; per lo che ogni poco pregava il padrone che li trovasse delle limosine dotali per accattarsi marito; onde l’autore che molte volte aveva risposto non trovarsi limosine per donne vedove, pensò finalmente di prendersi spasso della buona femmina a questo modo che è qui appresso. Diedele ad intendere che un principe romano, [p. v] amico suo, aveva obbligo di dispensare ogni anno certe grosse doti a donne di mal affare ad effetto che lasciando il peccato si riducessero per mezzo del matrimonio ad onesto vivere, soggiungendo che una di queste limosine avrebbe avuto a suo arbitrio, ma che ben conosceva questo non convenirsi all’onor di lei, e che meglio era per essa il morir povera vedova con buona fama che riccamente maritarsi con disonore. Sospirò madonna Cecilia (tal era il nome della serva) a questa proposizione, e parve in certa maniera che essa si fosse pentita di non aver fatto quello per cui le convertite di tutto il mondo oggidì sospirano d’aver fatto.

Sopra questo altrettanto inverisimile accidente quanto verissimo, è tessuta la commedia quasi tutta; con i contrasti tanto ridicoli che fanno in queste scene nel cuore della serva l’onor del suo parentado con l’interesse della dote e la voglia di essere donna da bene con la voglia del marito. Sono state perciò verissime le cose che alla commedia s’intrecciano, cioè le invenzioni di farla descrivere al libro delle meretrici mediante un accorto orefice che si disse notaro, come qui si mostra nell’atto terzo. Verissimo lo stato del decreto dotale che nell’atto quinto si legge, arciverissimo il bagnuolo fatto con le molli per lo scrupolo del padrone che nell’atto secondo si vede. Tanto che la commedia in questo particolare fu prima in piazza che nel teatro. Trovandosi così obbligata Cecila al suo padrone benefattore [p. vi] non dubitò di affidarli quanto voleva circa gli interessi della moglie, cioè che essa aveva ragunati gran quattrini e biancherie e drappi i quali aveva insieme raccolti e trafugati in certi baulli fuori di casa per mezzo d’un certo suo spirituale amico e consigliere. Questi fu il Sig. Ambrogio S..., cavalier di nascita e bacchettone di ministero, il quale tutto dì andava in casa di questa o di quella vedova, o maritata a dar consigli, dirigere interessi, protegger liti, e per lo più seminare scandali, e sopra questo è delineato il personaggio di D. Pilogio, non senza però molte caricature di cattivo costume che in detto Pilogio si riprendono, e che nel sign. suddetto non erano, perché in verità toltone un poco d’amor platonico verso qualche vedova, ed un poca di ghiottornia, egli non poteva per altra ragione essere il soggetto di questa commedia. Tiberino, segretario favorito dell’autore fu Francesco Tondelli giovine da lui educato, e con qualche parzialità d’affetto non troppo però ben veduto dalla consorte dell’autore, che era una di casa Perfetti, se non in quanto egli sapeva all’occasione far lo spirituale per cattivarsi il genio di lei e raddolcire le sue asprezze con qualche regalo, tuttavia ella guardollo sempre con occhio livido, come supposto arbitro del genio del marito e procurò che ne fosse allontanato, il che seguì con molta fortuna di lui che fu aiutante di camera del Gran Duca Cosimo terzo, e poi passò ad altro onorifico impiego. Avendo per tanto l’autore una miniera bollente di tutte [p. vii] queste ridicolezze pensò ultimamente di darla fuori in una farzetta [sic] satirica da rappresentarsi dopo una commedia, e con questo disegno furono principiati i primi atti, ma crescendo la materia alla penna, la farzetta diventò commedia, concepita, partorita e fatta salire in palco nel termine di tre settimane, perloché ella avrebbe bisogno di ritornare un’altra volta in corpo a chi l’ha fatta per riuscire poi matura e più ben formata, ed avere qualche anno di baliatico affine di raddrizzare qualche stroppio tra le fasce e mettere i denti a poco a poco per mordere con più innocenza i poveri bacchettoni ed i loro conservatori di zitelle pericolose e di altre miserabili refugiate che allo strepito di questa commedia si sono intanate con più timore nelle loro celle di quel che non fanno i conigli all’apparir del gatto.

 

II. [p. viii] Lettera dedicatoria / con cui l’Autore indirizzò manoscritta la presente commedia a Sua Eccellenza la signora Principessa di F...

 

 

 

 

5

 

 

 

 

10

 

 

 

 

15

 

 

 

 

20

 

 

 

 

25

 

 

Aiuto, signora principessa, aiuto che io sono nella sedia coi dolori di parto, oh S. Cresci benedetto! Oh, S. Perpetua, protettrice delle collette, aiuto! Oh che gran male![138] Di grazia mi sostenga, o Eccellenza, da un braccio e Madama Bolognetti[139] dall’altro. Come è possibile che io abbia a dar fuori un parto che non è concepito di più che di dieci, o dodici giorni? Certo sarà qualche sconciatura e non potrà aver l’anima, ohi, ohi, che vien fuora! Ha il suo capino, e le sue manine, e’ ride, e’ ride! Oh che curiosa creatura! Oh com’è ridicolina! Arieggia tutto Don Pilone. Sicuro che è sua Sorellina. Ah di grazia, me la faccino ritornare in dentro che si maturi un poco. Ma, ohi ohi, sono certi maledetti tolleri[140] che la cavan fuori così stroppiata. Presto dov’è l’abbate Ne... che la battezzi! Presto, presto, come si ha da chiamare? La chiamino la Serva impastata: oh perché dice, [p. ix] o Eccellenza, La Serva impastata? Ma di grazia non m’inquietino: lo sapranno poi. Povere Sig. lo vedo che durano fatica a reggermi. Madama di F... ha da essere la commare. Mi par che giri il capo perché ha paura d’averla a dotar di suo. Non si dubiti, no: che ha già la dote bella e buona, ohi ohi, eccola tutta, dov’è un catino di acqua? Bisogna lavarla che è lorda bene. Ah che poca carità, se la lavano la guastano. Questa creatura è come il Magliabecchi che aveva tutta la sua grazia in un poco di sudiciume.[141] Chi somiglia? La guardino un poco. Il Gigli certo vi è tutto dentro dipinto. La signora Laurenzia ci è poi tutta tutta nata sputata; di grazia la guardino bene cotesta creatura, che streghe non me la guastino. Veggio certi Gesuiti che la vorrebbero in mano, non gliela diano; la lascino tutta aggiustare dalla signora principessa di F... Mi fido di lei; adesso sì che ha dato in buone mani. Non ci penso più. Sia laudata S. Perpetua; ah sarebbe meglio poter dire sia laudata Santa Fine. Fine di che? Lo so io.

Si aggiunge infine un madrigale fatto e dispensato dall’autore mascherato da Don Pilogio l’ultimo giorno del carnevale relativo a questa commedia, dato alle dame [p. x] con questa distinzione, cioè alle belle e giovine con le molli da fuoco, alle vecchie e alle brutte con le mani, per la ragione che in questo madrigale si adduce

 

III. don pilogio / Licenziandosi dalle belle Sanesi dirette dal suo consiglio porge loro alcuni ricordi / Madrigale per maschera:[142]

            Alfin vi dico addio,

            carissime figliole,

            dal buon consiglio mio.

            Addio belle, addio brutte,

5          giovani, vecchie e putte,

            nobili e cittadine

            e ricche e poverine,

            state savie e modeste,

            coprite con la veste

10        o almeno con le mantiglie

            quelle membra che in Licia e in Poppegnau[143]

            si tagliano alle figlie.

            Adoprate ne’ mali,

            quella casta camicia che Credenza

15        porta per ricoprirsi alli speziali.

            Abbiate diffidenza

            d’ogni inganno coperto del Demonio,

            e come il pudicissimo Geronio

            le molli ha praticato,

20        [p. XI] rimedio singolar di mia invenzione,

            nel tratto di persone

            che ci può cagionar dilettazione,

            praticate ancor voi simil cautela

            quando una bella mano o un volto bello

25        scotta d’amore e qualche volta pela.[144]

            Così dando pur io questo cartello

            alle figlie e alle nuore

            che altrui tramandan fiamme

            d’ardentissimo amore,

30        le molli per timore

            adopro, ed alle suocere ed alle mamme

            tocco la man, perché l’antico fuoco

            o è spento affatto, o pure ne manca poco.

 

IV. Personaggi

 

I personaggi nobili di questa commedia osservano parlando la buona favella sanese, ma le donne e l’orefice parlano nell’idiotismo plebeo, con termini, declinazione e coniugazione corretta, la quale non ha sotto l’occhio tutta quella grazia che dalla pronunzia suol ricevere più vivace e più propria.

 

V. Canzone / fatta e cantata con vari frammenti (sta dopo il testo della commedia, pp. 126-128)[145]

            La sorellina

            di Don Pilone

            nel gran salone

            si recitò.

5          La Letterina

            d’un certo Piollo[146]

            a darle il crollo

            poi non bastò.

 

            (La sorellina ecc.)

 

            Un galenista[147]

10        del naso grosso

            a più non posso

            di lei sparlò.

            Ma la sua trista

            fortuna nera

15        alla primiera

            poi lo scottò.

 

            (La sorellina ecc.)

 

            Un altro tale

            di quel Collegio

            qualche dispregio

20        farle tentò.

            E il memoriale

            di già graziato

            da sé ordenato

            esser negò.

 

            (La sorellina ecc.)

 

25        Ma in conclusione

            la gran burletta

            tutta perfetta

            si dimostrò.

            E fu un sermone

30        per cui più gente

            immantinente

            dal mal cessò.

 

            (La sorellina ecc.)

 

            Ogn’attempata

            di fiato infetto

35        che un giovanetto

            sposar bramò,

            addottrinata

            da quella serva

            la sua proterva

40        brama smorzò.

 

            (La sorellina ecc.)

 

            Ogni padrona

            piena d’accidia

            da monna Egidia

            pure imparò.

45        Né pur la buona

            serva digiuna

            la sorba o pruna

            da lei succhiò.

 

            (La sorellina ecc.)

 

            Il direttore

50        delle zitelle

            di serrar quelle

            più non cercò.

            Fare a chi muore

            de’ testamenti

55        contro i parenti

            più non curò.

 

            (La sorellina ecc.)

 

 

 

APPARATO

Interlocutori ] 1721 Interlocutori MR Personaggi MS Interlocutori; Geronio ] 1721 MS Geronio MR 1768a e b Geronio gentiluomo sanese; Don Pilogio ] 1721 Don Pilogio bacchettone MR Don Pilogio falso bacchettone direttore d’Egidia ; Buoncompagno ] 1721 confidente di Geronio MR gentiluomo sanese amico di Geronio ; Tiberino ] 1721 Tiberino segretario di Geronio MR Tiberino, giovine segretario di Geronio MS Tiberino segr.o di Geronio; Menichina ] 1721 Menichina cameriera in casa di Buoncompagno MR Menichina fanciulla di servizio di Buoncompagno MS Menichina serva di Buoncompagno; Maestro Burrino ] 1721 Maestro Burino orefice MR Mastro Burino Argentiere MS Mro Burino; La Maestra del Conservatorio ] 1721 Cantora del conservatorio MR La Maestra delle fanciulle del Conservatorio di D. Pilogio MS (omittit); una Malmaritata ] 1721 MS (omittit) MR una Malmaritata in detto Conservatorio ; Alcune citte e vergognose che non parlano ] 1721 MS (omittit) MR Alcune citte e vergognose che non parlano ; Alcuni mascherati per un ballo ] 1721 MS (omittit) MR Alcuni mascherati per un ballo

 

Mutazioni di scene... ] 1721 (omittit) MR Mutazioni: Civile o sia strada; appartamento d’Egidia; appartamento di Buoncompagno; stanze di D. Pilogio corrispondenti al suo Spedaletto o Conservatorio MS (omittit)

 

Atto primo

I.1 Didascalie iniziali ] 1721 Buoncompagno, Geronio che s’appoggia ad un bastone, e Tiberino che vien dietro tenendo legato un cane ed in spalla una piccola valigia MR Buoncompagno, Geronio e Tiberino che vien dietro, e tien legato un cane ed in spalla una valigetta. Geronio appoggiandosi ad un bastone MS Civile / Buoncompagno, Geronio, Tiberino / Geronio col bastone, appoggiato a Tiberino, il quale tien legato un cane, e porta una valigia

I.1.25 Sapete come ogni ] 1721 Già sapete ; a certi povaretti ] 1721 a certi poveretti

I.1.30 qualche maggiore spesa ] MS qualche minore spesa ; il terzo, per dare colla vostra persona qualche soggezione a quel bacchetton falso di Don Pilogio] 1721 il terzo, perché io so, per via di Menichina, la quale tutto ’l dì cava qualche cosa di bocca a madonna Credenza, che vostra moglie sentendo il vostro ritorno MR MS Terzo: per dare colla vostra persona qualche soggezione a quel bacchettone

I.1.32 All’inquietudine ] 1721 All’inquietudini

I.1.35 Ah, baulli maladetti! ] 1721 Ah bavuli maledetti!

I.1.43 Ah, baulli maledetti! Che gran sproposito mi fate fare ] 1721 Ah, bavuli, bavuli! MR (omittit) (la scena si chiude sull’«Andiamo» di Buoncompagno)

I.2 E s’addormenta ] 1721 MR e sta cascante di sonno MS e sta cascante dal sonno

I.2.1 far covelle ] 1721 far cavelo MR MS far cavelle

I.2.7 volto il girello come voi e colla bocca ] 1721 (omittit)

I.2.9 Mondo i semi a quel che vende ]  MR Mondo i semi a quello che vende MS Mondo li semi a quelli vendono

I.2.10-11 Oh che fa con le gombita [... ] Staccio le noci allo speziale ] 1721 Oh che fa colla bocca, signora padrona? egidia Mondo i semi a quello che vende l’orzato e con le gomita ne fo un’altra, e son gentildonna. credenza Eh che fa con le gomita, signora padrona? egidia: Staccio le nocci allo speziale, e son gentildonna MR (omittit)

I.2.19 Annoi ] 1721 MR MS a noi

I.2.28 Scortiamola ] 1721 Sentiamola MS (omittit)

I.2.29 dillolarlo ] 1721 dicollarlo MR MS dilollarlo

I.2.32 Basta lo vo’ dire al signor Don Pilogio... ] 1721 Basta lo vuò dire al signor Don Pilogio (parte). egidia Eh, ditegli questa ancora (le tira l’altra pianella) MR Basta lo vo’ dire al Sig.r Don Pilogio. egidia O ditela quest’altra ancora (le tira l’altra paniella) MS (omittit)

I.3. Buoncompagno, Geronio, Tiberino e detti. ] 1721 Egidia sola, poi Credenza, Buoncompagno, Geronio, e Tiberino col cane MR Buoncompagno, Geronio, Tiberino e dette MS Buoncompagno, Geronio, Tiberino e dette

I.3.2 e 3 (Ci mancava questo diavolo.) Signora consorte ] 1721 Ci mancava questo diavolo (Entra Geronio, con Tiberino) Signora consorte MR Ci mancava questo diavolo. ger. Signora consorte (entrando) MS Ci mancava questo diavolo. ger. (entra) Signora consorte

I.3.4 e 5 Il padrone? [...] Buondì a Vosignoria ] 1721 MR (omittit); Uh, quanto è garbato ] 1721 Questo è garbato

I.3.11 Che donna incivile ] 1721 Che donna incivile (tra sé) MR (omittit)

I.3.15 Bacio le mani ] 1721 tiberino (va per bacciar la mano alla signora Egidia) Bacio le mani MR tib. Bacio le mani (va per baciarle le mani) MS tib. (si accosta ad Egidia) Bacio le mani

I.3.18 Lei, gnor padrone ] 1721 MS Lei signor padrone MR Lei padrone

I.3.19 La casa e il vitto ] MR la casa e il letto

I.3.23 Più della padrona ] 1721 Più della padrona (a parte) MR MS (omittit)

I.3.32 La rabbia mi mangia ] 1721 La rabbia che mi mangia MR la rabbia mi rode

I.3.35 geronio (a parte) ] 1721 geronio  (tra sé) MR MS (omittit)

I.3.38 Eh gnor padrone ] 1721 Eh signor padrone (tra sé) MR Eh signor padrone MS Eh Signor padrone (in disparte)

I.3.39 in tutta libertà ] 1721 MS in tutta libertà (parte)

I.3.40-41 egidia (a parte) (Se non aveva altro da lasciarmi.) buoncompagno Se occorre alcuna cosa, facciano capitale della mia casa. (parte) ] 1721 (omittit )

I.4.14 (torna Credenza) Tiberino ] 1721 MR Tiberino

I.5.7 Prendete senz’altro [... ] (parte verso la camera) ] 1721 Prendete [...] (parte verso la camera) MR Prendete senz’altro [...] (parte) MS Prendete senz’altro [...] (via )

I.7 Menichina col cane e detti ] 1721 MR Menichina col cane e detti MS Menica col cane, Egidia e Credenza

I.8.1 Lustrissima, Scroccaminestre ] 1721 Illustrissima, Scroccaminestre MR Lustrissima, Scroccapagnotte MS Lustrisa Scroccapagnotta

I.8.7 con due pagnotte grosse ] MS con due pagnotte dalle più grosse

I.8.9 Ora, me ne vo’ andare, ora, ora ] 1721 che me ne vuo’ andare, ora. (parte) MR me ne vuo’ andare ora MS ora me ne voglio andar, ora.

Atto secondo

II.1. Civile. / Egidia alla finestra, e poi Don Pilogio ] 1721 Egidia alla finestra e poi D. Pilogio MR MS Civile / Egidia alla finestra e poi Don Pilogio

II.1.16 Gioventù romana con cattiva educazione ] 1721 Gioventù romana ha cattiva educazione

II.1.24 ma quel meno ci trovarete ] 1721 ma quel meno ve ne ritroverete MR ma quel meno ci troverete MS (omittit)

II.2 Camera di Geronio, con tavolino da scrivere. Geronio in veste da camera e Tiberino ] 1721 Appartamento d’Egidia, con tavolino da scrivere Geronio in ovata, e Tiberino MR Appartamento con tavolino da scrivere, Geronio in ovatta e Tiberino MS Camera / Tavolino. Geronio e Tiberino

II.2.16 Andiamo. ] 1721 Andiamo (si pongono al tavolino, fingendo Geronio di dettare e Tiberino di scrivere) MR si pongono al tavolino facendo finta Geronio di dettar piano, e l’altro di scrivere MS si pongono al tavolino, fingendo Geronio di dettare piano, e Tiberino di scrivere

II.3. Credenza col bagnuolo e detti ] 1721 Credenza col pignatto del baguolo, e detti MR Credenzia col pignatto del bagniuolo MS Credenza col bagnolo, e detti

II.3.2 (Fingendo sempre dettare, si volta) ] 1721 (torna a dettare) (segue la battuta) MR parlando mostra di tornar a dettare MS (omittit)

II.3.4 con uova, sorella mia. (finge tornare a scrivere) ] 1721 con ova, sorella mia  

II.3.8 Veng’ora. (si leva dal tavolino) ] 1721 Vengo ora MR MS Vengo ora (si leva dal tavolino)

II.3.11 povarino! ] 1721 poverino!

II.3.12 (Si pone a sedere e nuda il braccio). Eccovi il braccio ] 1721 (Geronio si pone a sedere e denuda il braccio per fare il baguolo) Eccovi il braccio MR MS ger. Eccovi il braccio (si pone a sedere e snuda il braccio)

II.3.17 (A parte) ] 1721 (ritirandosi a dietro, dice tra se) MR MS (omittit)

II.3.21 il baronaccio è torno pieno di cacio e d’uova ] 1721 il baronaccio è pieno di cacio e d’ova MR il baronaccio è torno pieno di cacio e uova (da sé) MS il baronaccio è torno pieno di cacio e di uova

II.3.24 ma avanzata, no ] 1721 ma avanzata no MR MS ma avanzata

II.3.30 nei conventi ] 1721 ne conventi. (Geronio si prova adi metteresi le pezze, ma non riesce) MR MS (omittit)  

II.3.41 Non si può far altrimenti ] 1721 Tantè dico da vero. Non si può far altrimenti che così: andate in tutti i modi. MR Non si può fra altrimenti che così andate in tutti i modi MS non si può far altrimenti che così. Andate in tuttj modi

II.3.42 l’ubbidienza ] 1721 MR l’obbedienza (parte) MS l’ubbidienza (via)

II.4 Tiberino al tavolino e Geronio ] 1721 Tiberino al tavolino, e Geronio MR MS Tiberino e Geronio

II.4.2 Ed io oltre le risa della sua semplicità [...] dallo stomaco ] 1721 Ed io non posso più dalle risa di sua sempicità e dallo stomaco MR MS E io non posso più dalle risa della sua semplicità e dallo stomaco

II.5 Credenza e detti ] 1721 Credenza che torna colle molli e detti MR Credenza e detti MS Credenza colle molli e detti

II.5.2 (Credenza comincia l’operazione) Oh così basta ] 1721 (Credenza comincia l’operazione)Oh così basta MR Oh così basta (comincia l’operazione) MS (omittit) (sta in II.5.1)

II.5.11 per le povare vedove ] 1721 per delle vedove MR MS per le vedove

II.5.12 il terreno sollo ] 1721 il terreno sodo

II.5.14 non c’è bruscole ] 1721 non c’è bruscoli MR MS non ci è bruscole

II.5.19 Castrovincastro ] 1721 Pilastro di Lastro Vincastro MR Giovan Pilastro di Castro Vincastro MS Giovani Pilastro di Castrovincastro

II.5.28 Caspitera! È dote da buttigaione questa ] 1721 È dote da buttigajone a testa MR Caspita, è dote da bostigaiona cotesta MS Caspitera è dote da buttigaiona cotesta

II.5.30 (sta astratta) ] 1721 MR (omittit) MS (sta astratta)

II.5.44 Eh, ho paura che il vino del bagnuolo ] 1721 (da sé) Eh, ho paura che il vino del bagnuolo MR Oh, ho paura che il vin del Bargello (da sé) MS Eh ho paura che il vino del bagnolo

II.5.54 Che testamentaccio! ] 1721 MS Uh che testamentaccio!

II.5.55 di queste malvage femmine ] MR di queste malvagie MS di queste malevage donne

II.5.64 Uh, se m’incoronassero! ] 1721 credenza Già, già. E grano e vino e anello e lenzuola e pezze e fasce e tutto ’l ben di Dio, ? geronio Per gente di mal affare. credenza  Uh, se m’incoronassero! MR cred.  Già, già, e grano e vino e anella e lenzuola, e fascie e tutto il bendidio? Ger.  Per donne di mal affare. cred.  Oh se m’incoronassero! MS cred.  E grano e vino e anello e lenzuola e pezze e fascie, e tutto il ben di Dio? Ger.  Per donne di malaffare. cred.  Uh, se mi incoronassero!

II.5.76 principe pollastro ] 1721 MR principe Pollastro MS principe Pilastro

II.5.80 che sia santo ] 1721 MR che sia santo MS che sia benedetto

II.5.81 ho là il decreto nel baullo ] 1721 Ho il decreto nel bavulo

II.5.83 Vuol vederlo, Lustrissimo, il decreto ] 1721 Illustrissimo, vuol vedere il decreto? MS Vuol vederlo illustrissimo, il decreto?

II.5.87  tenere delle serve tante tante se non altro per filare ] 1721 tenere delle serve tante tante; se non altro per far filare MR tenere delle serve tante se non altro per filare MS tenere tante serve per filare quel lino viterbese con cui fanno quelle grand lenzuola

II.5.88 (La lingua batte dove il dente duole) ] 1721 (omittit) MR La lingua batte dove il dente duole (da sé)

II.5.89-90 No, il filare ancora tocca a’ servitori. Credenza Oh in quanto agli uomini a filare non ci hanno garbo. ] 1721 E il filare ancora tocca a’ servitori. credenza  Oh, in quanto al filare gli uomini non ci han garbo MR O il filare ancora tocca ai servitori. cred.  O in quanto a gli uomini a filare non c’anno garbo MS il filare ancora tocca a’ servitori. cred.  O in quanto all’uomini a filare non ci anno garbo

II.6.3 Son certe lenzuola di certe limosine ] 1721 (Ad Egidia) Son certe lenzuola di limosine MR son certe lenzuola di certe limosine MS Sono certe lenzuola di certe limosine (piano a Egidia)

II.6.7 (piano a Credenza) O dama o pedina, veh, Credenza ] 1721 (omittit) MR O dama o pedina, veh, Credenza (a Credenza) MS O dama o pedina veh Credenza

II.6.12 (va con Tiberino a cercare i panni) ] 1721 (va con Tiberino a cercare i panni nel fagotto) MR (via) MS (omittit)

II.6.20 (di sopra, dove sta cercando i panni) Gnora sì. ] 1721 Gnorasì (risponde per di dentro dove sta con Tiberino raccogliendo i panni) MR Gnora sì (parla di sopra) MS Gnora

II.6.21 pizzicarolo ] 1721 pizzicaiuolo MR MS pizzicaiolo

II.6.24 Gnora sì, gnora sì, l’hanno a avere da vero loro: ma suo danno. Se n’avessero bisogno, gli cambiarebbero quel bel doblone che lei gli ha mandato, che dicono che è un poco scarso. ] 1721 Gnorasì, gnorasì l’hanno a avere di vero loro ma suo danno. Se ne avessero bisogno, li cambierebbero quel bel dobblone che lei mi ha mandato; e dicono ch’è un poco scarso MR Gnoragnora sì, non mi mandò a chiedere quattro lire si (barrato) hanno a aver di vero loro. Ma suo danno se n’avessero bisogno, cambierebbono quel bel dobblone che lei gli ha mandato e dicono che è un scarso MS Gnora sì, gnora sì. L’anno avere di vero loro, ma suo danno, se ne avessero auto bisogno gli averebbero cambiato quel dobblone che gli mandò e che dissero che era un poco scarso

II.6.27 mezzo pavolo ] 1721 un mezzo paolo

II.6.30 canzare ] 1721 MR MS cansare

II.6.34 castagne lesse, qui non c’è uova, veh ] 1721 castagne secche che qui non c’è ova . MR castagne lesse, ve le potrei dare perché qui non c’è uova veh MS castagne lesse, qui non ci ova, veh

II.6.48 vuol fare il rispetto in ENZA ] 1721 vuol fare il rispetto in entia MR vuol fare il rispetto in –enzia MS vuol fare il rispetto in Enza

II.6.55 che ci escirebbe quattro moccichini per pezza ] 1721 che esce MR MS che ci esce

II.7.3 doblone ] 1721 MR MS dobblone

II.7.6 (Pazienza. Ma bisognarebbe [...] il sigillo) (via) ] 1721 Pazienza, pazienza. (da sé) Bisognerebbe ch’andassi a dichiararmi collo scrittore, che non mi vuo’ far scrivere , se vuole le lenzuola e ’l sigillo (parte) MR Pazienza ma bisognerebbe che andassi a dichiarammi collo scrittore ora che mi fare servire, veh se vuol le lenzuola e il sigillo (parte) MS Pazienza pazienza. Ma bisognerebbe [...] il sigillo

II.8.1 Egidia ] 1721 MR Egidia sola MS Egidia ; Tra i ricordi ] 1721 MS Fra i  ricordi ; e le sue cattive amicizie. Lui si fa la barba e ha mandato fuori il paggio per il tabacco] 1721 MS e le sue amicizie. Ora lui si fa la barba e ha mandato il suo paggio fuora per il tabacco. MR e le sue cattive amicizie; perché Don Pilogio cento volte me l’ha detto che gli vuol far dare il curatore e bisognando lo sfratto di questi ricordi per noi altre povere donne lui ne fa ogni giorno e sapete basta che parli. Ora Geronio si fa la barba e ha mandato il paggio fuora pel tabacco

II.9 scena IX ] 1721 MS scena IX MR continua la scena ottava; Geronio, Tiberino e detta ] 1721 Geronio di dentro, gridando con Tiberino, e detta MS Geronio, Tiberino e detta.

II.9.1 (gridando di dentro) Trovate quel cane che mi farete gridare ] 1721 Trovate quel cane che mi farete gridare MR Trovate quel cane che mi farete gridare (gridando di dentro) MS (di dentro) Trovate quel cane che mi farete gridare

II.9.3 Vengono [...] dicono ] 1721 Vengono [...] discorrono (entra in una camera) MR Vengono [...] dicono (escono) MS Vengono [...] dicono (si ritira)

II.9.8 Tutti dicono in modo ] 1721 MR MS (omittit) ; quelle poesie non stampate ] 1721 quelle poche poesie non stampate MR MS quelle poesie non stampate

II.9.11 direttore nelle lettere ] 1721 direttore delle lettere MR MS direttore nelle lettere

II.9.17 E dei dieci scudi io dicevo... ] 1721 E se dieci scudi io dicevo... (Geronio lo batte colla canna)

II.9.18 Che «dicevo»? Va detto «diceva», ignorante che siete. (lo batte colla canna) ] 1721 Che dicevo? Va detto io diceva, ignorante che siete MR Che dicevo? Va detto io diceva, ignorante che siete (lo batte con la canna) MS Che dicevo; Va detto io diceva, ignorante che siete (lo batte con la canna di sud a.)

II.9.19 Mi perdoni. Ohi, ohi! ] 1721 Mi perdoni. Ohi, ohi (Egidia esce) (poi continua la scena IX con Egidia) MR Mi perdoni. Ohi, ohi. (continua la scena ottava) egidia  (esce) Or via basta basta povero giovine MS tibe  Mi perdoni. Ohi, ohi (Egidia esce) / egidia  Oh, via, basta basta povero giovano [continua la scena 9a]

II.10.5 l’arte coniugale ] 1721 MR l’arte del coniugare

II.10.13 non ci mettere la Lustrissima ] 1721 Eh non ci mettete Illustrissima. Dite dite MR Non ci mettete Lustrissma, dite, non m’importa MS Eh non ci mettete la Lustrissima, non importa dite, dite

II.10.20 (vuol partire) ] 1721 (finge voler partire) MS (omittit)

II.10.22 Ubbidisco (le bacia la mano) ] 1721 MR obedisco MS obbedisco (Le bacia la mano)

II.10.24 La pozzolana romanesca ] MS La puzzolana romanesca ; (via) ] 1721 (parte) MS (omittit)

 

Atto terzo

III.1 Appartamento medesimo ] 1721 MS (omittit) MR Segue l’istesso appartamento

III.1.3 Ora, siccome il villano dalle beffe ricevute [...] figliuola mia? ] 1721 MS Ora, siccome il villano dalle beffe ricevute [...] figliuola mia? MR (omittit)

III.1.16 (si sente colpi di martello sopra i chiodi) ] 1721 (si sente picchio di martello sopra chiodi MR (si sente battere in un chiodo) MS (si sente un picchio di martello sopra chiodi) (dopo III.1.17)

III.1.22 bazzico in qualche altra casa ] 1721 io bazzico in quest’altra casa MR bazzico in qualche casa

III.1.25 sedici mesi ] 1721 MR MS tredici mesi [1768a e b ] dodici mesi

III.1.26 (si sente il medesimo picchio) ] 1721 (si sente di nuovo a picchiare di dentro) MR (si sente il picchio di nuovo) MS (si sente il picchio come sopra)

III.1.28 Fo la punta a questo giovanetto ] MR Fo la punta al chiodo di questo giovanetto MS Fo la punta a questo giovinetto

III.1.32 trucidona ] 1721 MS truciolona MR tinciolona

III.1.44 Questa se la metton i giovani savi ] 1721 Queste se le mettono li giovanetti savi MR MS Questa se la mettono i giovani savi ; questi spezialacci ] 1721 questi speti lacci MR questi spetialacci MS questi spezialacci di Siena

III.2 Tiberino, Egidia, Don Pilogio ] 1721 Tiberino, Egidia e Don Pilogio MR Tiberino e detti MS Tiberino, Egidia e Don Pilogio.

III.2.1 (le bacia la mano) ] MS (bacia la mano d’Egidia)

III.2.2 addrizzatevi la perucca e pareggiatevi la crovatta ] 1721 drizzatevi la parrucca e pareggiatevi la corvatta. (Gliel’assetta) MR MS addrizzatevi la perrucca e pareggiatevi la corvatta

III.2.3 mi ammonisca ] 1721 abbia la carità d’ammonirmi MR m’ammonisca

III.2.4 dicendo che queste cose ] MR e mi avete detto che queste cose ; (gli mette la mano sulla spalla) ] 1721 (Mettendoli una mano sulla spalla) MR (omittit) MS (gli pone una mano alla spalla)

III.2.6 (gli lega una scarpa sciolta) ] 1721 (s’abbassa a legarli una scarpa sciolta) MR MS (gli lega una scarpa)

III.2.20 levarle dei pericoli ] 1721 levarle da’ pericoli MR salvarle a pericoli MS levarle da pericoli

II.2.23 che farebbamo ] 1721 MR che farebbemo

III.2.28 che l’innocenza... ] 1721 ch’all’innocenza...

III.2.29 Andate. (Tiberino parte) ] 1721 Andate. (Tiberino parte) (finisce la scena II, si passa a scena III, Egidia, Don Pilogio) egidia Mi pare  MR Andate. Scena terza, Don Pilogio e Egidia. egidia Mi pare MS Andate Scena 3a, Egidia, Don Pilogio. egidia Mi pare

III.2.30 acquorare ] 1721 accorare

III.2.35 (Don Pilogio entra, lei va e torna subito) ] 1721 (Pilogio entra, Egidia va e torna subito) MR (omittit) MS (Egidia lo segue e torna subito) ; oggi ci va una maritata per un consiglio, domani una vedova per un soccorso, quell’altro una vergognosa per una gonella: non sta bene, no di certo. Bisogna che lui la pigli una donna soda e fuor di figliuoli ] MR oggi va una maritata per un consiglio domani una vedova per un soccorso quell’altro una vergognosa per una gonella non sta bene no di certo. E vero che ci ha una nipotina, ma una ragazza non basta. Bisogna che lui la pigli una donna soda e fuor di figliuoli MS ci ha una maritata per un consiglio, qualch’altro una vergognosa, per una gonnella, non sta bene di certo, bisogna che lui la pigli una donna soda e fuor di figliolo

III.3 scena III ] 1721 MR MS scena IV

III.3.18 neppur Menichina lo può conoscere ] 1721 neppure Menichina lo conosce

III.4. scena IV ] 1721 MR MS scena V

III.4.2 maestro Burino garbato ] 1721 mastro Burrino garbato MR maestro Burrino garbato MS misser Burino garbato

III.4.7 Io so’ su ] in MS mancano delle pagine; dopo questa frase (c. 31r) si passa a III.7.4: menichina Non pensavo fusse male il guardare il libri (c. 32v)

III.4.14 e venite. ] 1721 e venite. MR e venite. (parte)

III.4.15 Vengo (lascia il libro sul tavolino) ] 1721 Vengo (lascia il libro sul tavolino ed entra con Buoncompagno)

III.5 scena V ] 1721 scena VI, Menichina sola MR scena sesta. Menichina sola MS (cfr. supra, III.4.7)

III.5.1 Io penso d’avermi ] 1721 Io penso averci a intisichire MR Io penso di averci a intisichire MS (cfr. supra, III.4.7) ; Che domin [...] (s’accosta al tavolino) ] 1721 (s’accosta al tavolino) Che domin di libro è codesto MR che domin di libro è questo (s’accosta al tavolino) MS (cfr. supra, III.4.7)

III.6. scena VI ] 1721 scena VII MR scena settima. Credenzia e detta MS (cfr. supra, III.4.7)

III.6.3 non sappiamo di lettara ] 1721 non sappiamo di lettera MR non sappiamo di lettere MS (cfr. supra, III.4.7)

III.7 scena VII ] 1721 MR scena VIII MS (cfr. supra, III.4.7)

III.7.8 tutte le cattive donne pubbliche ] 1721 tutte le donne cattive pubbliche MR tutte le cattive donne pubbliche ; (va a prenderlo) ] 1721 MR MS (omittit)

III.7.14 piollo porco ] 1721 MS piollo porco MR quel collo torto ; nella nieve [...] nella memma ] 1721 nella neve [...] nella melma lercia MR MS nella neve [...] nella memma lercia

III.7.16 di coralli falsi ] 1721 MR MS di coralli

III.8 scena VIII ] 1721 MR MS scena IX

III.8.5 (piano a Egidia) ] 1721 (pil. ad Egidia) MR (a Egidia) MS (all’orecchio di Egidia)

III.9 scena IX Maestro Burino e detti ] 1721 MS scena X, Burrino da cancelliere, e detti MR scena decima Maestro Burrino e detti

III.9.11 menichina (torna) Passino, son padroni. (entra con Don Pilogio e Egidia) ] 1721 (Menichina ritorna) men. Passino che son padroni. (Partono Egidia e Don Pilogio) (continua la scena X) MR men. (torna) Passino. Son padroni (Entra D. Pilogio e Egidia) (finisce la scena decima) MS menichina (torna). Passino che son padroni (finisce la scena 10a)

III.10 Mastro Burino e Credenza ] 1721 continua la scena X (cfr. supra) MR MS scena undecima. Burrino e Credenza

III.10.2 credenza Al sentir ] 1721 credenza (a Burino) Al sentire

III.10.5 Mirate: queste partite con lo sfregio tutte sono di donne convertite ] 1721 MS (omittit)

III.10.6 è sfregiata ] 1721 (omittit) ; ma non mi arrischio ] 1721 non m’arrisico MR MS ma non m’arristio

III.10.8 Ha buona dote, eh? ] 1721 Avrà buona dote, ? MR MS arà buona dote ?

III.10.15 Cotesta è ] 1721 Si, cotesta è

III.10.20 senza mettallici l’acqua ] 1721 senza mettervi l’acqua MR senza metterglici MS senza metterci

III.10.21 Comprar pannine? Da’ forestieri. Dar cariche? A’ forestieri. Ogni cosa a’ forestieri. ] 1721 Comprar pannine da’ forestieri: ogni cosa da’ forestieri MR Comprar pannine da forestieri, dar cariche a forestieri, ogni cosa a forestieri MS Comprar pannine e drappi da forastieri. Dar cariche a forastieri. Ogni cosa à forastieri.

III.10.26 Sovicille ] 1721 per tutto Sovicille? MR per tutto [corretto in «per tutte»] Sovicille [barrato], le ville [sopra la linea] MS Sovicille

III.10.36 Ma intanto che quelle lenzuola fine abbino a uscire di casa e che ci abbi a dormire una Tedesca che non glien’averà obbligo... ] 1721 Ma intanto, quelle lenzuola fine che abbia a dormire una Tedesca che non gliene averà obligo... MR ma intanto che quelle lenzuola fine habbiano a uscir di casa e che ci abbia dormire una Tedesca che non gli è n’averà obbligo... MS ma intanto che quelle lenzuola abbino a uscir di casa e che ci abbia a dormire una Tedesca che non glie ne averà obbligo...

III.10.41 madonna ] 1721 MS madonna Credenza

III.10.57 Scriverò dunque (scrive) «Credenza di Nanni, di Meio»] 1721 Scriverò dunque Credenza di nani, di meo (Torna per scrivere) MR MS Scriverò dunque (omittit) Credenza di Nanni, di meio

III.10.59 (scrive) ] MR (scrivendo) MS (omittit)

III.10.60 (straccia il foglio e lo porta via) ] 1721 Bugiardo! (straccia il foglio)

III.11 scena XI Geronio, Buoncompagno e detti ] 1721 MR scena XII, Geronio Buoncompagno e detti MS scena 12a, Geronio, Buonc., Burino e Credenza

III.11.9 biancaria tirata innanzi colle mani e co’ piedi, e poi pagarmi ] 1721 MR biancaria tirata inanzi con i piedi e con le mani, ed ora pagarmi MS biancaria tirata nanzi colle mani e co’ piedi, e ora pagarmi

III.11.18 cioè prima andarsene ] 1721 cioè prima andarmene MR cioè prima andarsene MS così prima andarsene

III.12 scena XII. Tiberino vestito da donna, coperto il viso e con croce, e detti ] 1721 scena XIII. Tiberino vestito da donna e coperto il viso che non si conosca, sostentato da due croccie, e detti MR scena decimaterza Tiberino vestito da donna coperto il viso che non si conosca, con una croccia e detti MS scena 13a Tiberino vestito da donna coperto il viso che non si mostra, con una o due croccie, e detti

III.12.4 Ie non poter discoprirmi più a fostra Illustrissimeria ] 1721 Io non potere discoprirmi a Vostra Illustrissimeria MR Ie non poter discoprirmi più a Vostra Illustrissima MS Ie non potere discoprirmi più a Vostra Illustrissimaria

III.12.8 che arrovelli ] 1721 che annovelli; alla prima (s’accosta ad osservare il decreto) ] 1721 MS alla prima (s’accosta a osservare il sigillo del decreto) MR alla prima. questo bel sigillo è un peccato! (s’accosta a vedere il decreto) alla prima

III.12.11 Contessa, sentite! ] 1721 Contessa sentite! (Da sé)

III.12.16 perciò si chiamò il luogo di Poppegnau ] 1721 e perciò il luogo si nominò di Poppegnau MR perciò si chiama il luogo Poppegnau MS perciò il luogo si nominò Poppegnau

III.13 scena XIII ] 1721 MR MS scena XIV

III.13.3 vella, vella come alle bertuccie! ] MR vella, vella come alle bertuccie! (via)

III.14 scena XIV ] 1721 MR MS scena XV

III.14.3 Oh qui sta l’imbroglio ] 1721 (omittit) MR O qui sta l’imbroglio MS O questo è l’imbrogio

III.14.5 accattare per sé, lui ] 1721 d’accattare per se lui MR d’accattar per lui e lei Signor Buoncompagno MS d’accattare per sé lui ; è buono ad altri che a svagolarmi ] 1721 non è buono ad altri che a svagolarmi MR MS è buono ad altro che a svagolarmi

III.14.7 Annoi ] 1721 A noi MR MS Annoi ; contro di me (scopre la scuffia a Tiberino, il quale resta nel suo sembiante femminile, alterato con cerrotti e gomme ] 1721 (scuopre la scuffia di Tiberino) contro di me. (Resta scoperto Tiberino in sembiante feminile, scontrafatto con cerotti e gomme) MR contro di me (scuopre la scuffia a Tiberino il quale rimane nel suo sembiante femminile)

III.14.9 Verghi eghet alric ] 1721 tib. (dice alcune parole tedesche) MR vergnehet alie rusechen abin armselighez baid fulder gleester un onduen ibelen MS (parla con alcuni termini tedeschi)...

III.14.12 Elphetet der not hamer ] 1721 (Tiberino cava fuori il bussolo e dice alcune parole tedesche) MR Olef den not hainer normen fia ven mit a in benigh olmvesen (cava fuori il bussolo) MS Tibe. (Cava un bossolo)...

III.14.20 mi parrebbe di prender il legno santo, e di far l’ammalata ] 1721 Mi parrebbe di prendere il legno santo da vero MR mi parrebbe di prendere il legno santo, e di far l’ammalata da burla e la dieta da vero MS prendere il legno santo di vero (via)

 

Atto quarto

IV.1.11 La chiucchiurlaia ] 1721 la ciucciurlaja MR MS la chiucchiurlaia

IV.1.19 Manco chiacchiare, mena chiacchiarona ] 1721 meno chiacchiere, monna chiacchierona MR Manco chiacchiere, mona chiacchierona MS Manco chiaccare, mona chiaccarona

IV.2.4 che lei mi diede, me la mette a conto ] 1721 che mi diede, me la messe a conto? MR che lei mi diede me la messa a conto MS che lei mi dette me l’ha messa a conto

IV.2.9 La poca creanza non sarebbe niente ] 1721 (omittit) MR MS la poca creanza non sarebbe niente

IV.2.11 e due (Parte Credenza) ] 1721 MR e due. (Credenza parte) MS e due (via Credenza)

IV.2.16 e ubbidite (parte Credenza) ] 1721 ubbedite(Credenza parte) MR e obbedite (Cred.a via) MS e obbedite (Cred.za parte)

IV.2.20 trovar compenso ] 1721 trovar prontamente compenso MS trovare prontamente compenso.

IV.2.30 tenga a mente. Tra poco ] 1721 tenga a mente tra poco, e mi saprà riparlare MR tenga a mente tra poco mi saprà riparlare MS tenga a mente; tra poco mi saprà riparlare

IV.2.37-38 Al padrone forse? ] 1721 egid. Al padrone forse? tib. Ho chiusa la bocca. (addidit)  egid. Che? e qualche buona donna colei, ? tib. Ho chiusa la bocca MR MS egid. Al padrone forse? tib. Ho chiusa la bocca

IV.2.53 Addio (finge partire ) ] 1721 non aspettate più cortesie. (si scosta per andarsene) MR Addio (vuol partire) MS Addio

IV.2.60 Come comanda (vuol partire) ] 1721 Come comanda. (si scosta per partire) MS Come comanda (si avvia)

IV.2.62 Non vado ] 1721 (tornando addietro) Non vado. MR MS Non vado

IV.3.20 intorno a questo segreto naturale ] 1721 MS intorno a questo segreto naturale MR Intorno a questo segreto naturale del signor Geronio ; son qua per voi ] 1721 Sin qua, voi pur non parlate. Guarda! MR son qua per voi, non parlate, guarda. MS sin qua per voi non parlate guarda! ; a rovine di casa, che altrimenti ciò far non si possa ] 1721 MR a rovine di case, non c’è segreto che tenga

IV.3.27 e poi tornate (Tiberino parte) ] 1721 E poi tornate. (parte Tiberino), segue: scena IV, D. Pilogio Egidia MR E poi tornate. (parte) segue: scena quarta MS e poi tornate, segue: scena 4a, Don Pilogio e Egidia

IV.3.36 adagio col giudicare ] 1721 adagio col giudicare (fine scena IV) MR fine scena quarta MS fine scena 4a

IV.3.37 Tiberino (torna) Già ho informato il padrone ] 1721 scena V: Tiberino e detti. tib. (da sé nell’uscire) Già ho informato il signor Geronio MR scena quinta, Tiberino e detti Già ho informato Geronio MS Scena 5a, Tiberino e detti. Già ho informato il signor Padrone

IV.3.42 Ma non ci ascolta già alcuno? ] 1721 Ma non ci ascolta già alcuno (osserva intorno

IV.4 scena IV ] 1721 MS scena VI, Geronio tirando mano alla spada, e detti MR scena sesta, Geronio colla spada alla mano e detti

IV.4.1 scellerato impostore! ] 1721 scellerato impostore! (correndo alla vista di Tiberino, vien trattenuto da Egidia e Don Pilogio) MR MS scellerato impostore! ; (Si sforza d’avventarseli) ] MR (omittit) MS (li va alla vita).

IV.4.2 Tenetelo (lo riparano) ]  1721 (omittit)

IV.4.8 tiberino (a Egidia) ] 1721 tib. (fingendo piangere) MR MS tib. (omittit) ; che io non doveva parlare (partono Tiberino e Egidia) ] 1721 che non dovevo parlare (Partono) MR che io non doveva parlare. (a Egidia. Partono) MS (A Egidia) Vede signora madre che non doveva parlare? (via)

IV.5.23 non potendola l’amico mio tenere in casa ] 1721 che non potendola l’amico per rispetto della sorella, né io per quello della moglie così stravagante e gelosa ricevere, V.S. le desse ricetto MR non potendola l’amico mio tenere in casa MS che non potendo l’amico mio per rispetto della sorella ne io per quello della moglie così stravagante, e gelosa tenerla, V. S. le desse ricetto

IV.6 scena VI ] 1721 MR MS scena VIII

IV.6.19 a far delle biciancole ] 1721 a far le biciancole MR MS a fare alle biciancole

IV.6.32-34 ] MS (omittit)

IV.6.36 Marco da Duile ] 1721 MS Marco da Vuile MR Marco adovile ; Nastasia del Fondaco ] 1721 Anastasia dal Fondaco

IV.7 scena VII ] 1721 MR MS scena IX

IV.7.9 Ma io ho la mira ] 1721 Ma ho la mira MR MS V.S. ha la mira ha la mira

IV.7.11 Aspetti, signor Geronio ] 1721 (omittit), comincia con: La sua cortesia MR Aspetti signor MS Aspetti signor Geronio

IV.7.13 ella si che verrà in cognizione di quanto ] 1721 ella si verrà in cognizione, quanto MR ella verrà in cognizione quanto MS ella si che verrà in cognizione quanto

IV.7.22 son sempre suo servo ] MS suo servo. (via)

IV.7.23 Son peccatore ] MS son peccatore (via)

 

Atto quinto

V.1.4 senza dargliene cenno ] 1721 senza dargliene contentezza MS senza dargliene parte

V.1.16 quello stacco d’abito ] MR quello staccio d’abito

V.2.7 rispoticoli ] MR riposticoli [ma poi corretto in ripostigli] ; ed ora nega a voi i giusti sovvenimenti ] 1721 ed ora nega a voi ed a’ vostri figliuoli i giusti sovvenimenti MR e ora nega a voi i giusti sovvenimenti, ed a i vostri figliuoli MS e ora nega a voi i giusti sovvenimenti, ed a i vostri figliuoli

V.3.5 con Tiberino ] 1721 con Tiberino (parte) MS con Tiberino (via)

V.3.6 che salga ] 1721 che salga (parte) MS che salga (via)

V.4. maestrato ] 1721 MR MS magistrato ; raccogliere i depositi ] 1721 raccorre li depositi

V.5 Egidia, Buoncompagno ] 1721 MR MS Egidia e detto

V.5.14 tanto è denarosa quanto è generosa ] 1721 quanto è denarosa, tanto è generosa MR tanto è denarosa quanto è garbata

V.5.20 legati ed eredità ] MR le genti e l’eredità

V.5.27 Un po’ di letto e un po’ di pappa gliela ] 1721 e una pappa glie la potevo dar’ io MR un po’ di pappa e un po’ di letto glie lo potevo dare io MS un po’ di letto e una pappa gliela potevo dare io

V.5.41 atti d’impazienza, e la carità che non ci ho io del prossimo ] 1721 atti d’impazienza, e la pazienza e la carità che non ci ho io col prossimo, nessuno ce l’ha di vero MR e la pazienza e la carità che tien (?) V.S. nel prossimo sempre è tale che mi dice il sign.r Don Pilogio: «voi siete fatta a posta per uno spedale» MS e la carità la pazienza che non ci ho io col prossimo nessuno ce l’ha di vero. Il signor Don Pilogio sempre mi dice «voi siete fatta apposta per uno spedale, è un peccato che non siete la signora Rettorica.» (fine della scena )

V.6 Credenza con una balluccia di panni, e detti ] 1721 Credenza col un fagottino di panni sotto ‘l braccio, e detti MR MS Credenzia con una balletta di panni, e detti

V.6.4 vo’ vedere il cacio ] 1721 vuò vedere il ziro, vuò vedere il cacio, vuò vedere se ci sono le mie scarpe vecchie? MR vo’ vedere il ziro, vo’ vedere il cacio, vo’ vedere se ci sono le mie scarpe vecchie MS vo’ vedere il ziro, vo’ vedere il cacio, vo’ vedere se ci sono le mie scarpe vecchie ; Appoiosa, insolente che siete levatemivi dinanzi ] 1721 appoiosa, insolente che siete. Levatemici d’inanzi? MR insolente, levatemivi dinanzi (gridando) MS appoiona, insolente che siete, levatemi dinanzi

V.6.6 e superba. Andate ] 1721 Andate. (parte Credenza)

V.6.9 ch’ella vanta ] 1721 ch’ella vanta (ritorna)

V.7.1 saldare i conti con la serva ] 1721 saldare i conti MR MS saldare i conti colla serva

V.7.6 La signora Eufrasia (via) ] 1721 la signora Eufrasia. buonc. Si serva. (Parte Egidia) MR MS la signra Eufrasia. (via)

V.7.7 Credenza, torno alla Tedesca ] 1721 Torno dalla Tedesca MR MS Credenza, torno dalla Tedesca

V.8.1 Servirete per oggi questa povera tedesca e l’accompagnate ] 1721 Servite per oggi questa povera Tedesca, e l’accompagnerete MR MS Servirete per oggi questa povera Tedesca e l’accompagnerete

V.8.4 So che andava accattare, e bisogna accattasse per furbaria ] 1721 So’ andava ad accattare. Ma se accattava per furberia MR So che andava a accattare e bisogna accattasse per furberia MS so che andava accattare ma se accatasse per furberia

V.9. Geronio e Buoncompagno ] 1721 MS Geronio e detto

V.9.1 Tiberino è accomodato in modo ] MR Tiberino è accomodato così bene

V.9.2 vi abbia consegnati ] 1721 MS v’abbia trovato MR v’abbia consegnato

V.9.3 l’uno e l’altra ] 1721 l’un l’altro MR MS l’uno e l’altro

V.10.1 quel bacchettone ] 1721 MR quel bacchettonaccio MS quel bacchettoncino

V.10.3 per quello dobbiate fare ] 1721 per quello che dobbiate fare MR per quello dobbiate (corretto con: abbiate) MS per quello dobbiate fare

V.10.4 che m’ha detto ] MR che m’ha detto (barrato) che mi comanda ; del cappello tento ] 1721 MR o del capello tinto e del pignatto MS o del cappello tondo e del pignatto

V.10. 5 quanto sapete ] 1721 quanto sapete (parte)

V.11 Geronio, Don Pilogio, Seggetieri con seggetta che resta in scena, e Menichina ] 1721 Geronio, D. Pilogio co’ seggettieri e seggetta, e detta MR Geronio Don Pilogio, seggettieri con seggetta che resta nella scena e Menichina MS Geronio Pilogio con seggettieri e seggetta, e Menichina.

V.11.3 (s’inginocchia) ] 1721 (si va ad inginnocchiare a D. Pilogio) MR (s’inginocchia) MS (si va a inginocchiare a Pilogio)

V.11.12 il comodo del trasporto ] MR il comando del trasporto

V.12.4 non si dubiti; gli ho chiusi in camera ] 1721 non si dubiti. Sono chiusi in camera MR non si dubiti l’ho chiusi in camera MS non si dubiti gli ho chiusi in camera

V.13 Tiberino vestito da donna coperto come l’altra volta, sostenuto da Buoncompagno, e Geronio con Menichina, che tien le sacchette de’ denari, Credenza, Egidia, e Don Pilogio ] 1721 Tiberino vestito da donna, coperto al solito, in atto di non reggersi, sostenuto da Buoncompagno, e Geronio; Menichina che tiene certe sacchette di denari / Credenza e detti MR Tiberino vestito da donna, coperto come la prima volta, sostenuto da Buoncompagno e Geronio con Menichina che tiene le sacchette de denari / Credenzia Egidia e Don Pilogio MS Tiberino vestito da donna coperto come l’altra volta in atto di non reggersi, sotenuto da Buonc.o e Geronio, con Menichina che tien sacchette di danari / Credenza e detti

V.13.1 An be ich stirbe ] 1721 (dice alcune parole tedesche) MR Au be ich stibo MS (fa dei termini tedeschi mezzi ritalianati)

V.13.3 Ich bolte zu kmie fovera ] 1721 (Dice altre parole tedesche) MR Ich bolte zuchnie follendem heren MS manca la battuta di Tiberino, si passa a quella di Buoncompagno: Dice che vuole inginocchiarsi dal sign. D. Pilogio

V.13.5 No, no, povera signora; basta che s’inginocchi coll’intenzione (la mettono nella seggetta) ] 1721 No, no. Povera signora! Basta che s’inginocchi coll’intenzione. Si metta in sedia e andiamo (la mettono nella seggetta che sta in palco) MR No, no, povera signora basti che s’inginocchi coll’intenzione, si metta in sedia ed andiamo (la mettono nella seggetta) MS No, no, povera signora. Si metta in sedia e andiamo

V.13.8 E voleva il decreto ] 1721 il decreto. (mettono le sacchette a piedi di Tiberino che sta in seggetta, ed egli dà loro un calcio) MR il decreto [didascalia in V.13.9] MS il decreto. (nel metter le sacchette nella sedia a piedi di Tiberino, esso dà a quelle un calcio)

V.13.9 Nemb eschin danes mir das gebissen besteret ] 1721 (Dice alcune parole tedesche) MR Nembe et lin dan es mir dasgehessen testset (nel mettere le sacchette nella sedia Tiberno li da un calcio) MS (omittit)

V.13.10 Dice che non vuol questo peso alla coscienza ] 1721 MS Dice che non vuole questo peso alla coscienza MR Dice che non vuole questi denari. Parli pure italiano.

V.13.11 La roba di mal acquisto non fa mai prò ]  MR (omittit) MS La roba mal acquista pesa alla coscienza

V.13.12 Signora perché non vuole questi denari ] MR cfr.V.13.10

V.13.14 Date tutto a signore Orologio ] 1721 MS a signore Elogio MR al signore Orologio [barrato] Piologio

V.13.15 Si, a Pilogio, mio carissimo dirittone, dirittone ] 1721 , , a Pilogio mio carissimo dirittone dirittone MR si a Pilogio mio carissimo dirittore, dirittore MS si si a Pelogio mio carissimo dirittone dirittone

V.13.16 Prendete, signor Don Pilogo (vuol darli i denari) ] 1721 Prenda Signor Don Pilogio (Vuol darli le sacchette de’ denari. Le dà a seggettieri) MR Prendete Signor Don Pilogio (omittit)

V.13.17 (I seggettieri prendono le sacchette) ] 1721 (omittit) MR (I seggettieri prendono le saccette) MS (li seggettieri prendono le sacte)

V.13.20 (legge) Io Massimiliana ] 721 (legge) Io Massimilana di Poppegnau…&cc (qui legge una longa filastrocca di titoli) MR MS (Legge). Io Massimiliana... (qui pone una filastrocca di titoli)

V.13.22 (Legge) ] 1721 (Seguita a leggere) MR (Legge ) MS (omittit)

V.13.23 Sì sì, marito in morte ] 1721 , : marito in morte

V.13.29 tra i moralisti ] 1721 tra i morali MR tra i mortali

V.13.32 Dio gliel meriti ] 1721 il cielo glielo meriti; (s’accosta col viso alla sedia) ] 1721  MS Pil. (s’accosta col viso alla seggia) Signora Massimiliana MR (s’accosta alla segia); ad perpetuam rei memoriam ] 1721 ad aeternam

V.13.33 joh, joh ] 1721 , MR joh, joh MS Io’, io

V.13.36 Seguo (legge) ] 1721 (seguita a leggere) Voglio però MR Seguo (Legge) Voglio però MS Seguo. Voglio però ; nel fondo d’una sacca ] 1721 in fondo d’una cassa MR MS nel fondo d’una cassa

V.13.37 dello spedaletto, o conservatorio ] 1721 MS dello spedaletto MR dello spedaletto o conservatorio

V.13.39 Tedesca cara, cara ] 1721 MR MS Tedeschina cara cara

V.13.43 a pagarne uno, che so io, non importa ] 1721 a pagare un debito che so io, non m’importa MR a pagare un debito che so io, non importa MS a pagare un debito che so io, non mi importa (per modestia non si dice il debito con la moglie) (addidit nel margine)

V.13.45 Au be ich stirbe. Non più, pasta, pasta ] 1721 Non più non più ; ... pasta pasta MR tiberino Aube ich stirbe basta, pasta non più MS ... Non più pasta pasta

V.13.46 Gli hanno parlato ] 1721 gli hanno ricordato che ha fatto male MR gli hanno detto che ha fatto male MS gli hanno parlato che ha fatto male

V.13.51 (via con Geronio e la seggetta) ] 1721 (parte con Tiberino portato in seggetta da’ seggettieri) MR (via con Geronio e seggettieri) MS (via con la seggetta e Geronio)

V.15.1 provedervi qualche cosa che vi bisogni ] 1721 penserò intanto a qualche cosa che possa bisognarvi MR MS proverdervi qualcosa che vi bisogni

V.15.7 decretaccio con quei patti ] 1721 MS decretacio co que’ patti MR decretaccio con questi patti

V.15.8 (A Credenza) ] 1721 MR MS (omittit)

V.16 Maestro Burino, e Credenza ] 1721 Burrino e detta MR Maestro Burrino e Credenzia MS Mro Burino e detta

V.16.5 farina da zuccarini ] 1721 farina de’ zuccherini MS farina di zuccarini

V.16.6 farina di monache ] 1721 farina di zuccherini MR farina da monache

V.16.8 questo decreto ] 1721 cotesto decreto

V.16.10 cioè bordello di conventi ] 1721 (omittit) MR MS bordello buono, cioè bordello di conventi

V.16.13 Giovanpilastro di Castrovincastro duca di Nonnagiovanna e di Coccomarzocco ] 1721 Giovan Pollastro, principe di Castro Vincastro, duca di Nanna Giovanna e di Locco Marzocco MR Gio. Pilastro di Castro Vincastro duca di Nanna Giovanna e di Cocco Marzocco MS Giovan Pilastro principe di Castro Vincastro e di Cocco Marzocco

V.16.15 la fornaia è una sciocca ] MS La fornaja fa minchioni, e poi l’appaia, e poi è una sciocca ; Belsedere ] 1721 Belsedere MR MS Belvedere

V.16.21 vi vo’ servire ] 1721 vi vuò scrivere MS vi scrivere

V.16.24 lassiamocelo: era ghiotta la mi padrona ancora ] 1721 lasciamolo stare. È ghiotta la mia padrona ancora MR lasciamcelo. È ghiotta ancor la mia padrona MS lasciamocelo È ghiotta la mia padrona

V.17.4 salsa onoratissima da conventi ] 1721 salsa onoratissima, come la farina de’ zuccherini

V.17.7 ma de’ vicoli de’ conventi ] 1721 ma de’ vicoli e de’ bordelli onorati vorrei dicesse MR ma de vicoli, de conventi vorrei che dicesse MS ma de vicoli de conventi vorrei dicesse

V.17.8 Gherardo del Chiavica, Priore ] 1721 Ghierardo della Chiavaja MR Gherardo della Chiavica, priore ; Ser Impasta ] MR Ser Impra

V.17.9 (s’accosta) ] 1721 MS (omittit)

V.17.13 canna da monasteri ] 1721 canna de’ conservatori MR MS canna de monasteri

V.17.16 messer Burino ] 1721 MR Maestro Burrino MS Mro Burino

V.17.17 alcuni giovanotti da mascherare ] 1721 alcuni giovinotti da mascherare. (Partono) MR alcuni giovanetti da mascherare MS alcuni giovanotti per mascherare (via)

V.18 Appartamento di Don Pilogio ] 1721 Casa di Don Pilogio MR Appartamenti di DP. MS Appartamento di Don Pilogio

V.19 La cantora col lume, suonando il campanello ] 1721 MS La cantora col lume e detti da parte

V.19. 1 cantora Citte, diciamo quello che s’ha da dire, prima d’andar a letto. Ad ogni due versi risponde, replicando i medesimi, il coro di dentro ] 1721 cantora. Citte citte, diciamo la lauda, prima d’andare a letto./ Sommi Dei alti e possenti / fate far de’ testamenti.

coro di dentro replica: Sommi Dei alti e possenti, fate far de’ testamenti.

cantora Per fanciulle abbandonate / vergognose e riscappate.

coro Per fanciulle ecc.

cantora Per far letti al dormentorio / per più carne al refettorio.

coro Per far ecc.

cantora Sommi Dei: date una sposa /bella, ricca e virtuosa.

coro Sommi Dei ecc .

cantora Al buon nostro direttore / che patisce di calore.

coro Al buon nostro ecc.

cantora Sommi Dei, il buon Pilogio / fate grasso e fate grogio.

coro Sommi ecc

cantora Che ci metta ’l nostro argento / a quarant’almen per cento.

coro Che ci metta ecc

cantora Per isbatter la gengia / buona notte e così sia.

coro Per isbatter ecc.

cantora Addio citte (parte).

tiberino Avete sentita la bella lauda? Son pur contento d’aver fatto questi grossi legati a cotesto buon conservatorio MR (Canta la cantora ed ad ogni due versi risponde replicando il coro di dentro) MS (a ogni due versi risponde replicando il coro di dentro) 1768a Cantando

V.20 Alcuni mascherati con suoni e detti ] 1721 MS Entrano alcuni mascherati, e detti MR Alcuni mascherati e detti

V.20.3 Vo’ che si destino. Andate. ] 1721 Vo che si destino. Andate. (Parte Tiberino con alcuni de’ mascherati). Or via amici allegramente. (Si fa una sifonia e fra tanto si vede aprirsi le porte ed uscir fuori e femine, che v’erano rinserrate). MR Vo’ che si destino. Andate. MS voglio si destino. Andate.

V.20.4 e 5 tiberino Che mai vorrà fare? (via con due mascherati) geronio Signori osservate con quanta facilità s’aprono le porte di questo violento conservatorio, nell’istesso modo appunto che aprì Orfeo le porte dell’inferno. ] 1721 (omittit) geronio Signori osservate con quanta facilità s’aprono le porte di questo violento conservatorio! (Geronio da uno de’ mascherati prende una chitarra, e canta su l’aria del Ruggiero, balando lui solo) MR tib. Che mai vorrà fare? (da sé, partendo con due mascherati) Ger. Signori osservate come s’aprono con facilità le porte dell’inferno (Prende la chitarra a un mascherato e canta solo sull aria del Ruggiero) MS tib. Che mai vorrà fare (parte con due mascherati. Restano gli altri) ger. Signori osservate con quanta facilità s’aprono le porte di questo violento conservatorio! Nell’istesso modo appunto che aprì Orfeo le porte dell’inferno. (Prende da uno de mascherati una chitarra e canta su l’aria di Ruggiero e balla solo)

V.20.5 (Esce a ballare la Malmaritata) ] 1721 (Esce la Malmaritata ballando, cantando) MR (Esce la Malmaritata) MS (Esce la Malmaritata ballando e cantando) ; se a ballare meco non viene ] 1721 se a cantare meco non viene; (Esce a ballare la Malmaritata) ] 1721 MS (Esce la Malmaritata ballando e cantando) MR (Esce la Malmaritata)

V.20.6 Uno de’ mascherati balla con lei cantando ] 1721 (Si stacca uno de’ mascherati ballando e cantando con lei) MR MS (si stacca un mascherato e balla con lei cantando)

V.20.8 (Torna) ] 1721 (Che torna) MS (Tiberino torna) ; (via) ] 1721 (Ritorna dentro) MR (via) MS (Torna dentro)

V.20.10 Dio glielo rimeriti ] 1721 il cielo gliel’ rimeriti (parte) MR Dio gliel rimeriti MS mal maritata col suo marito: Illustrissimo si, Dio glielo rimeriti. ; (Geronio torna a ballare) ] 1721 (Geronio torna a ballare e a cantare) MR (Danno luogo e Geronio torna a ballare dicendo)

V.20.11 e le putte ritirate. (Qui vengono le Vergognose, coperte co’ lenzuoli, le donne co’ bambini in braccio e le citole ballando tutte) ] 1721 e le putte ritirate. (Escono cittole e Vergognose, coperte co’ lenzuoli e con lucerne in mano) MR e le putte ritirate (Vengono vergognose con lenzuola e lucerne e Cittole) MS e le putte ritirate (Qui vengono vergognose coperte con lenzuoli e lucerne e citole ballando)

V.21 Don Pilogio, Menichina, Buoncompagno e detti ] 1721 Don Pilogio, Menichina, Buoncompagno e detti MR Buoncompagno, Don Pilogio, Menichina e detti MS Geronio, Menichina, Buoncompagno, Pilogio e mascherati

V.21.3 Il mio sposalizio s’ha da celebrare co un pranzo a prigioni 1721 MR il mio sposalizio s’ha da celebrare con un pranzo a’ prigioni MS (addidit) Che lotto, che sposalizio, e quando abbiano vinto buon pro vi faccia. Impiegaranno la vincita in bene, e non per l’ostaria, come tanti fanno. E il mio sposalizio – se fosse vero – si ha da celebrare con un pranzo a prigionj

V.21.4 uno della compagnia beve e dice ] 1721 (uno delli mascherati beve e dice)

V.21.5 tenere allegra la sposa (Balla e canta ) Di ballar non vi rincresca ] 1721 tenere allegra la sposa (Buonc. balla e canta) Di ballar non vi rincresca MS buonc. (Balla e canta) Di ballar non vi rincresca [...] tenere allegra la sposa

V.21.6 serrata in camera sua ] 1721 l’ho serrata in camera sua MR MS l’ha serrata in camera sua.

V.21.7 Mostrateci chi siete ] 1721 Mostrateci chi siete (Coperto al solito, ballando colle croccie e cantando) MS Mostrateci chi siete (Tiberino torna coperto ballando con una crocia)

V.21.8 tiberino (torna) ] 1721 (omittit) (cfr. supra V.21.7) MR (Torna coperto con una crocie e Buoncompagno parte) MS (Tiberino torna coperto ballando con un croccia) ; pallerò con sua licenza ] 1721 pallerò con sua licenza (A Don Pilogio)

V.21.9 Ah, peccato abituato maladetto!) Basta basta, che vi piglierà qualche accidente ] 1721 Ah peccato maladetto, quant’è abituato! Basta basta, vi piglierà qualche accidente MS Ah peccato habituato maledetto! Basta, basta che vi piglierà qualche accidente (addidit) - non saprei poi, il testamento è fatto -

V.21.17 menichina Tiberino io chiamo te ] 1721 (Menichina ballando canta) Tiberino io chiamo te MS Tiberino io chiamo te (ballando)

V.21.18 Ecco a te la mano e il cuore ] 1721 (Tiberino si scuopre nelle sue sembianze virili, e gettando la gonella e dandole la mano canta) Ecco la mano, ecco il core MR Ecco a te la mano e il core. (Tiberino si scuopre gettando la gonella restando colle sue sembianze virili e canta) MS tiberino (Si scopre e resta con la sua sembianza gettando la gonnella a terra e canta dando la mano a Menichina) ; alla barba del dottore ] 1721 MS del direttore MR (omittit)

V.21.21 de’ latrocini spirituali ] 1721 stanza de’ ladronecci spirituali MR de lastrocini MS latrocini spirituali ; scassaie ] 1721 scaffaie MR scaffarie MS scaffalo

V.22 Burino, Credenza vestita colla lunga camicia della Modestia, e detti] 1721 Burrino con Credenza vestita colla camicia della modestia, e detti MR Buoncomp.o e Credenza colla lunga camicia della modestia e detti MS Torna Buoncompagno con Credenza vestita dalla camicia della modestia, e detti

V.22.2 Che frastuolo ] 1721 Che frastuono MR E che frastuolo

V.22.3 talamo ] 1721 di letto maritale di Don Pilogio MR MS di letto maritale

V.22.10 Meschino, eh, a pigliar me? Son di buon parentado, e non ho nessuno delle mie genti scritte dove sa lei ] 1721 Meschino eh, pigliar me? Non ho nissuna delle mie genti scritte dove lei sa MR MS Meschino eh a pigliar me! Son di buon parentado e non ho nessuno delle mie genti scritte dove lei sa

V.22.13 impedimento dirimente ] MR impedimento di morte

V.22.17 la pia testatrice tedesca ] 1721 la pia testarice tedesca MR la pia tedesca testatrice ; che sono là in guardia de’ miei buoni amici ] 1721 MS (omittit) MR che sono là in guardia dei miei amici

V.ult.1 Questi baulli li lasserà ] 1721 Che bavuli? Che bavuli? Li lascerà MR MS Quei baulli li lascierà

V.ult.4 ma io glie l’aveva gliel’aveva avvertito ] 1721 ma sa pure s’io gliel’avea avvertito

V.ult.8 Baronaccia, matta, buffona ] 1721 brutta buffona MR buffona MS baronaccia, vecchia matta, buffona

V.ult.10 Don Pilogio, la mano a Credenza ] 1721 D. Pilogio, date la mano MR MS Don Pilogio! La mano a Credenza!

V.ult.11 Sagrificate al cielo ] MR (omittit) MS Sacrificate al cielo

V.ult.12 senza scampo ] 1721 MS senza scandalo

V.ult.16 Fermatevi qui, signora Egidia. ] 1721 geronio (La trattiene) Fermatevi qua, signora Egidia.

V.ult.22 più onorata ] 1721 MS più scrupolosa MR onorata

Il fine della commedia: 1721 fine MR Il fine MS Il fine / Terminata di copiare da Ma Fr D F.lli V. Il di 30 settembre 1742 (1741?) dal manoscritto favoritomi dal Sig.r Celio Brancadori

 

Appendice

I Soggetto ed occasione che ebbe Girolamo Gigli di fare la presente commedia ] MS Soggetto ed occasione dell’operetta scenica spiegata da un Amico dell’Autore 1768b Soggetto della seconda commedia intitolata La Sorellina di Don Pilone, spiegata da un Amico dell’Autore

I.1 L’autore fu fin dai primi anni ] MS 1768b Il signor Girolamo Gigli è stato sin da’ primi anni

I.2 con la sua consorte ] MS 1768b con la signora Laurenzia Perfetti sua consorte ; per differenza di genio ] MS 1768b di natura e di genio ; essendo quella donna ] MS 1768b essendo quella

I.3 quegli di eccedente generosità ] MS quegli d’eccedente generosità 1768b ] egli di eccedente generosità

I.4 di servizio ] MS 1768b di suo servizio

I.7 Disgustati loro due l’autore si portò ] MS 1768b Succeduti ultimamente tra loro due alcuni disgusti

I.8 due figli ] MS 1768b figli che gli restavano

I.9 convenne ] MS 1768b è convenuto

I.11 si applicò alla poesia ] MS 1768b Egli ha sempre più applicato

I.12 condussero ] MS 1768b avean condotto

I.15 cagionare nella separazione ] MS cagionare tal separazione

I.18 Per tanto scavalcò ] 1768b Scavalcò pertanto

I.22 nell’assistere il padrone nella cura ] 1768b nell’assistenza al padrone e per la cura

I.23-24 Conoscendo dunque l’autore ] MS Conoscendo dunque il Gigli

I.27 con cui l’autore ] MS con cui il Gigli

I.28 diede il principal soggetto alla presente commedia ] MS diede il principal soggetto e materia alla commedia

I.29 brutta, vecchia, di fiato puzzolente, rognosa ] MS brutta, di fiato puzzolente, vecchia, e rognosa

I.32 delle limosine dotali ] MS qualche limosina dotale; onde l’autore MS onde il Gigli 1768b però il Gigli

I.33 non trovarsi limosine ] MS non trovarsi limosine simili

I.34 che è qui appresso ] MS ch’è appresso

I.34-35 Diedele ad intendere ] 1768b Diedele pertanto ad intendere

I.36 a donne di mal affare ] MS a donne di mali affari

I.37 ad onesto vivere ] MS 1768b ad onesta vita

I.38 avrebbe avuto a suo arbitrio ] MS 1768b avrebbe potuto averla ad arbitrio suo

I.39 meglio era per essa il morir ] MS 1768b e che per essa era meglio morir povera vedova

I.40 a questa proposizione, e parve in certa maniera che essa si fosse pentita ] MS 1768b e forse sospirò più forte per il rammarico di non aver fatto ai suoi giorni la meretrice di quel che sospirino le convertite di tutto il mondo per averla fatta

I.42 altrettanto inverissimile quanto verissimo ] MS 1768b quanto inverisimile altrettanto verissimo accidente

I.43 con i contrasti ] MS 1768b Ed i contrasti

I.46 le invenzioni ] MS 1768b L’invenzione

I.47 si disse ] MS 1768b si finse ; si mostra ] MS 1768b si dimostra

I.49-50 che nell’atto secondo si vede ] MS 1768b che vedesi nell’atto secondo

I.50 fu prima ] MS 1768b è stata prima

I.51 Trovandosi così obbligata Cecila al suo padrone benefattore ] MS 1768b Beneficata pertanto in tali guise Cecilia dal padron suo

I.52 affidarli ] MS 1768b confidargli

I.55 fu il Sig. Ambrogio S... ] MS Il Signor A. S. 1768b Il Signor Ambrogio S...

I.59 nel sign. Suddetto ] MS 1768b Che nel soggetto preso di mira non si trovavano

I.59-60 perché in verità toltone un poco d’amor platonico ] P MS 1768b poiché a dir vero d’amor platonico ed un po’ di ghiottoneria, egli non potea per altra

I.61 essere il soggetto di questa commedia ] MS 1768b Esser lo scopo di questa satira

I.62 fu Francesco Tondelli giovine da lui educato ] MS 1768b È Francesco Tondelli giovine negli anni addietro educato con qualche attenzione.

I.63 dalla consorte ] MS 1768b dalla sig. Laurenzia

I.67 molta fortuna di lui che fu aiutante ] MS 1768b con molta fortuna di lui divenuto aiutante di camera

I.67-68 del Granduca Cosimo terzo ] MS 1768b del Granduca

I.72-73 e fatta salire in palco nel termine di tre settimane ] 1768b (Qui si chiude il Soggetto)

I.75-76 a chi l’ha fatta per riuscire poi matura ] MS a chi l’ha fatta per riuscirne più matura (Qui si chiude il Soggetto, segue il testo sui personaggi : Li personaggi nobili ecc a c. 3v-4r)

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Opere di Gigli

Per le edizioni e i manoscritti de La Sorellina di Don Pilone, si rimanda alla Nota al testo.

 

Altre opere drammatiche di Gigli citate:

Il Don Pilone ovvero il bacchettone falso commedia tratta nuovamente dal franzese da Girolamo Gigli e dedicata all’illustrissima signora contessa Flavia Teodoli Bolognetti, Lucca, Marescandoli, 1711.

Componimenti teatrali del signor Girolamo Gigli Pubblicati da Vincenzo Pazzini Carli mercante di libri in Siena, Siena, appresso il Bonetti stamperia del publico, per Francesco Rossi stampatore, 1759 (con 8 farse: contiene Il contrasto fra la serva e la padrona; La zoccoletta).

Il Don Pilone, La sorellina di Don Pilone, Il Gorgoleo, a cura di Mauro Manciotti, Milano, Silva, 1963.

Il Don Pilone ovvero il bacchettone falso, a cura di Roberta Turchi, in Ead. (a cura di), Teatro italiano, iv, La commedia del Settecento, tomo I, Torino, Einaudi, 1987, pp. 1-105.

Un pazzo guarisce l’altro, a cura di Elena E. Marcello, Venezia - Santiago di Compostela, lineadacqua, 2016 (ArpreGo, Biblioteca pregoldoniana: www.usc.gal/goldoni).

I Litiganti ovvero il giudice impazzato, a cura di Françoise Decroisette, Venezia - Santiago di Compostela, lineadacqua, 2017 (ArpreGo, Biblioteca pregoldoniana: www.usc.gal/goldoni).

 

Altre opere drammatiche

Destouches, Philippe nericault, Il teatro comico del signor Destouches, dell’accademia francese, in nostra favella trasportato, Milano, Agnelli, 1754-55 (tradotto dalla Contessa Serbelloni).

Goldoni, Carlo, Mémoires pour servir l’histoire de sa vie et de son théâtre, a cura di Norbert Jonard, Paris, Aubier, 1993,

———————, Il teatro illustrato nelle edizioni del Settecento, a cura di Cesare Molinari, Venezia, Marsilio, 1993.

———————, Il Molière, a cura di Bodo Guthmüller, Venezia, Marsilio, 2004.

———————, Prefazioni e polemiche, a cura di Roberta Turchi, iii, Memorie italiane, Venezia, Marsilio, 2008.

———————, L’Autore a chi legge, in Id., Commedie del dottor Carlo Goldoni, Venezia, Bettinelli, 1751, in Id., Polemiche editoriali, I, Prefazioni e polemiche, a cura di Roberta Turchi, Venezia, Marsilio, 2009, pp. 88-101.

Molière, Opere di G. B. P. di Molière, divise in quattro volumi e arricchite di bellissime figure, tradotte da Nicc. Di Castelli, Le, Leipzig, Johann Ludwig Gleditsch, 1697-1698.

Molière, Tartuffe, in Id., Œuvres complètes, ii, éd. par Georges Forestier et Claude Bourqui, Paris, Gallimard, 2010.

Muratori, Lodovico Antonio, Della perfetta poesia italiana spiegata e dimostrata con varie osservazioni da L. A. Muratori, Modena, Soliani, 1706.

Raccolta di commedie scritte nel sec. XVIII [opere di Gigli, Albergati Capacelli, Pepoli, Federici e Sografi], i, Milano, Società dei classici italiani, 1827.

 

Per la biografia e le opere di Gigli

Biografia degli scrittori sanesi composta ed ordinata dall’ab. Luigi De-Angelis, i, Siena, Rossi, 1824, pp. 323-334.

Elogio storico (firmato D.F.M.S.C.A.F.I.R.C.), in Collezione completa delle opere edite e inedite di Girolamo Gigli, celebre letterato sanese, i, L’Aja, si vende a Siena presso Vincenzo Pazzini, 1797, pp.v-xliv.

Favilli, Temistocle, Girolamo Gigli senese, nella vita e nelle opere, studio biografico-critico, con appendici e documenti inediti, e ricerche biografiche, Rocca San Casciano, Cappelli, 1907 (Reprint, London, Forgottenbooks, 2018)

GinguenÉ, Pierre-Louis, Notice sur Gigli, in Biographie universelle ancienne et moderne [...] rédigée par une société de gens de lettres et de savants, xvii, Paris, L. G. Michaud, 1816, pp. 340-350.

Spera, Lucinda, Girolamo Gigli, in Dizionario biografico degli Italiani, liv, Roma, Enciclopedia, Treccani, 2000.

Vita di Girolamo Gigli sanese, detto fra gli Arcadi Amaranto Sciaditico, scritta da Oresbio Agieo (F. Corsetti), pastore arcade, Firenze, all’insegna di Apollo, 1746, pp. 48-51.

 

Opere critiche

Buffaria, Pérette-Cécile, Sul retaggio di Molière e Girolamo Gigli in Carlo Goldoni, in Javier Gutiérrez Carou (a cura di), Goldoni ‘avant la lettre’: esperienze teatrali pregoldoniane (1650-1750), Venezia-Santiago di Compostela, Linedacqua edizioni, 2015, pp. 227-234.

CavaillÉ, Jean-Pierre, Hypocrisie et imposture dans la querelle du Tartuffe (1664-1669): la Lettre sur la comédie de l’imposteur (1667), «Dossiers du GRIHL» [En ligne],  Les dossiers de Jean-Pierre Cavaillé, Libertinage, athéisme, irréligion. Essais et bibliographie, mis en ligne le 9 juin 2007.

Cicali, Gianni, Pietro Trinchera, in Dizionario biografico degli italiani, xcvi, Roma, 2019.

Croce, Benedetto, Un insegnante di lingua italiana in Germania: Nicolò di Castelli, in Id., Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, Laterza, 1949, pp.347-357.

Decroisette, Françoise, De la traduction à l’appropriation dans La Scozzese de Carlo Goldoni, in Ead. (dir), La France L’Italie. Traductions et échanges culturels, Caen, Publications de l’Université de Caen, 1992, pp. 29-52.

——————————, Traccie degli Italiani nel Festin de Pierre di Thomas Corneille (1677), in Myriam Chiabò - Federico Doglio (a cura di), Fortuna Europea della Commedia dell’Arte, Roma, Torre d’Orfeo, 2009, pp.179-191.

——————————, Dans les méandres de l’invention goldonienne: l’affaire du Raggiratore (1755), in Clotilde Thouret - Emmanuelle Hénin (dir.), L’ombre d’un doute: nuances et détours de l’interprétation, Hommage à François Lecercle, Paris, Editions des Archives contemporaines, 2019, pp. 95-104.

Decroisette, Françoise, «Métathéâtre», in Lucie Comparini - Andrea Fabiano (dir.), Dictionnaire Goldoni, Paris, Classiques Garnier, 2019, p. 142-147.

della Torre, Arnaldo (a cura di), Storia dell’accademia Platonica di Firenze, Firenze, Carnesecchi, 1902.

Engelibert, Jean-Paul - Tran-Gervat, Yen-Maï (dir.), La littérature dépliée, reprise, répétition, réécritures, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2008.

Groppi, Angela, I conservatori della virtù. Donne recluse nella Roma dei Papi, Roma-Bari, 1994.

Frenquellucci, Chiara, Dalla Mancha a Siena, Il nuovo mondo. Don Chisciotte nel teatro di Girolamo Gigli, Firenze, Olschki, 2010.

Jori, Constance, La Moneca fauza de Pietro Trinchera (1726): un Tartuffe en jupons dans la Naples du Settecento, in Françoise Decroisette (dir.), Voyages des textes de théâtre. Italie-France-Italie, Saint-Denis, PUV, 1998, pp. 85-101.

Mangini, Nicola, Il teatro italiano tra Seicento e Settecento: primi tentativi di riforma, in Id., Alle origini del teatro moderno e altri saggi, Modena, Mucchi, 1989, pp. 57-58.

Mutini, Claudio, Niccolò Castelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, xxi, Roma, 1978.

Novi Chiavarria Elisa, Sacro, pubblico e privato. Donne nei secoli XV-XVIII, Napoli, Guida, 2009.

Rochon, AndrÉ (éd. par), Formes et significations de la «beffa» dans la littérature italienne de la Renaissance, i, Paris, CIRRI, Université de la Sorbonne Nouvelle, 1972.

Toldo, Pietro, L’œuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino, Loescher, 1910.

Turchi, Roberta, La commedia del Settecento, Firenze, Sansoni, 1985.

Vescovo, Piermario, Carlo Goldoni: la meccanica e il vero, in Ilaria Crotti - Piermario Vescovo - Ricciarda Ricorda, Il mondo vivo, romanzo, teatro, giornalismo nel Settecento italiano, Padova, Il Polifilo, 2001, pp. 55-152.

 

 

 



[1] Esemplare utilizzato: Bibliothèque nationale de France (BnF), Paris, Collection Rondel, Département des Arts du spectacle: Re 4509 (2), digitalizzato sul sito Biblioteca Accademia della Crusca (cfr. Appendice).

[2] Ivi: 8-RE-4511.

[3] Si tratta della Dedica a Il Don Pilone.

[4] Si tratta della prefazione a Il Don Pilone, che comincia con: «Il soggetto di quest’opera del Don Pilone...».

[5] Per motivi di confinamento generalizzato, non abbiamo potuto avere accesso al manoscritto di Roma. Ringrazio il progetto Archivio del teatro pregoldoniano (ArpreGo) per avermi fornito la possibilità di lavorare su copie elettroniche dei manoscritti di Firenze e Siena, fortunatamene eseguite prima del confinamento.

[6] Lettere di Gigli a Magliabecchi della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (BNCF): codici Magliabecchiani, VIII.698. Digitalizzate.

[7] Cfr. Introduzione, nota 24.

[8] Raccolta di 192 lettere dal Cinque al Settecento, 352 ff, BnF, Manuscrits, Fonds Libri 1872, italien 2035 (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b10033629r/f36.image).

[9] MS: Biblioteca Comunale Siena, H.XI. 290x205 mm. Legatura originale in pergamena, numerazione recente a matita affiancata alla numerazione originale (1-63) che esclude la prima carta con il titolo e gli interlocutori. Il testo della commedia sta a cc. 5/6r-63/64r.

[10] Questa notazione e questa data appaiono a c. 63/64r, dopo: Il Fine (cfr. Commento, V.ult.).

[11] Un’altra data appare a piè della prima carta , dopo la lista degli interlocutori, di mano diversa: l’anno 1739/40.

[12] MR: Biblioteca Biccardiana di Firenze, segnatura Ricc. 3162, cc. 183v-276v. Numerazione moderna. Titolo a c. 183r; personaggi a cc. 183v; La Sorellina di Don Pilone, cc. 184r-276r (il fine). Questa copia sta all’interno di un codice miscellaneo settecentesco di quattro commedie del Gigli – o attribuitegli –: Un pazzo guarisce l’altro (cc. 1r-72v), La scuola delle fanciulle ovvero Il Pasquale (cc. 73v-182v), L’avarizia più onorata nella serva che nella padrona (cc. 183v-276v) e La costanza vince l’ostinazione (cc. 277r-401r). Cfr. Elena Elisabetta Marcello, Presentazione e Nota al testo in Gigli, Un pazzo guarisce l’altro, cit., pp. 13-45.

[13] Ms Roma: Manoscritto cartaceo, con fascicoli legati (1701-1800), cc. 1-228 numerate a mattita recente (ms pervenuto alla Bib. dopo il 1873), una pagina ornata, a c. 121. (S.Maria della Vittoria, S.M.Vitt.31). Con un manoscritto de Il Don Pilone. L’Avarizia sta a cc. 121r-226r. Inizia con: «Con tutto che lo sia stroppiato», a c. 122r. Precede: «Atto primo. Scena prima» con didascalia scenica. Termina con: «...chiamare La sorellina del don Pilone» (c. 226r). Segue: «Il fine del quinto e ultimo atto».

[14] Manoscritto registrato nel 2014 nel catalogo della libreria di libri antichi (Gonnelli.it, libreria antiquaria/casa d’Aste), con queste informazioni: non datato, ma dell’inizio XVIII, cartaceo in 4° (200x145 mm), inchiostro seppia, cc. 107 numerate a matita da mano moderna (p. 1 sulla pagina di titolo). Scrittura di un’unica mano. Nel catalogo appare la pagina del titolo. Le date scritte nella nota del catalogo che accompagna il manoscritto, che indicano il 1722 come data della prima recita in Siena presso gli accademici Rozzi, e 1749 come data della prima edizione, sono erronee.

[15] Cfr. Introduzione, p. 16, e anche Appendice IV.

[16] Nota al testo, pp. 37-40.

[17] Accademici: nella prima edizione del 1721 non figurano i nomi degli Accademici che interpretarono la commedia.

[18] Geronio: in 1721, il personaggio è designato dal solo nome Geronio, riallacciato al classico vecchio della commedia, mentre nelle edizioni 1749 e 1768 a e b, viene aggiunta la qualifica ‘gentiluomo sanese’ che  lo rende più vicino all’autore. Da notare che il MR segue la lezione di queste edizioni, mentre il MS registra solo il nome, senza nessuna qualifica. Lo stesso si può dire per Buoncompagno, che passa da ’confidente’ a gentiluomo sanese amico di Geronio (cfr. Introduzione, p. 36).

[19] Don Pilogio: la pila è la vasca per l’acqua benedetta all’entrata delle chiese. È ovviamente una variazione su Don Pilone, che traduceva Tartuffe, puntando più chiaramente sull’ipocrisia dei religiosi, odiati da Gigli, tra i quali Felice da Sarteano. Ma Pilogio introduce una sfumatura, coll’essere derivato piuttosto da pileggio, di origine incerta: ‘pileggiare’ significa navigare, il pileggio è la rotta del navigatore, equivale a passaggio, cammino; è una parola usata da Dante (Divina Commedia, Paradiso XXIII, 67-68) e da Boccaccio (Filocolo, lib. 7. 344). «Ed io ho veduto, e molte volte udito, nave correr lungo pileggio con vento prospero». Si trova anche nel poema in terza rima di Fazio degli Uberti, Dittamondo I.6, «All’uomo val poco penter dopo ’l danno / E pregiato e ’l nocchier, che i suo’ pileggi / Conosce, e i tempi, e sa fuggir l’ affanno». Cfr. Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, vol. III, parte II, Milano, Imperiale regia stamperia, 1824, Pileggio, p. 67. Qui evidentemente con senso negativo di maneggi.

[20] Tiberino: il nome vuol evidentemente ricordare l’origine geografica del personaggio con un vezzeggiativo che insite sulla sua giovinezza e astuzia. Allude in modo assai chiaro alla vicenda personale di Gigli, che si rifugiò a Roma (cfr. Introduzione, pp. 10 e 34). Da notare che nelle edizioni più tarde (1768a e b) Tiberino viene designato anche da questa sua origine geografica : Tiberino giovane romano, segretario di Geronio.

[21] Zoccolette: parola in rapporto con l’antica vita dei bassi fondi romani. Nel linguaggio romanesco, le zoccolette sono le donne di mala vita, e la parola è stata anche usata per designare i bambini abbandonati, che erano accolti in un orfanotrofio caritativo situato nella via delle Zoccolette, situata nel centro di Roma, parallela al Lungotevere. La zoccoletta è il titolo di una farsa del Gigli (cfr. Introduzione, p. 31).

[22] Civile: il Civile corrisponde a una piazza o a una strada di città con fabbricati intorno. È luogo aperto quindi, in opposizione con le scene ‘chiuse’, sale, appartamenti o camere. I luoghi scenici della Sorellina sono maggiormente ambienti chiusi: appartamenti in casa d’Egidia, dove è alloggiato Geronio con il suo segretario, appartamento in casa di Buoncompagno, e nel finale il conservatorio o casa di Don Pilogio. Per il Civile, troviamo anche indicato Civile o strada (1768a). Nell’edizione princeps, le mutazioni di scene non sono registrate dopo la lista degli interlocutori, come non lo sono nella copia manoscritta di Siena. Appaiono solo nel corso del testo, con parecchie variazioni nelle formulazioni. Ad esempio nella princeps, non viene precisato il luogo della prima scena (I.1) né quello della prima scena dell’atto II (ambedue: Civile), che invece è esplicitamente dato nel MR e MS. Nel 1768a, per le ultime scene, viene precisato : «Stanze di Don Pilogio corrispondenti al suo Conservatorio», invece di «Appartamento di Don Pilogio» presente in 1749 MR MS.

[23] pianelle: parola toscana, equivale a ‘ciabatte’ o ‘pantofole’.

[24] pesti: messo per ‘peschi’, equivale a ‘chiavistelli’.

[25] ha canzato certi baulli: canzare, equivalente a ‘scansare’, ‘mettere da parte’, ‘spostare oggetti’, ‘nascondere’.

[26] Il primo addotto motivo...: l’intera lunga battuta appare per la prima volta nell’edizione 1749. Nel 1721 la battuta di Geronio è ridotta a una breve imprecazione contro i bauli canzati: «geronio Ah bavuli maledetti, che gran sproposito mi fate fare! buoncompagno All’inquietudini si rimedia con una stanza libera... ». Nel MR l’intera battuta è invece registrata e quindi insiste di più sulla figura della moglie avara, con qualche variazione minima nella redazione: « [...] che maggiori scandoli nasceranno se io ritorno a star con mia moglie che se io ne vivo lontano. Il secondo dello sparmio è un servizio che poco viene a tempo da miei interessi [...] Ma quei baulli che voi mi dite canzati e il poter li ricuperare con la confidenza della serva [...]». Nel MS, la battuta è troncata, e sembra  riassumere quella dell’edizione 1749 e di MR, sfumando un po’ la carica satirica contro la moglie : «Ger. Questo motivo de baulli sapete che mi par più forte di quello dello scandolo, e dell’altro. Ma pure quell’inquietudine, quel mangiar male, quel viso dispettoso...». ¨ baulli canzati: quelli nascosti da Egidia, pieni di gioie e denaro rubati, che Geronio cerca di ricuperare, cfr. I.1.30.

[27] gli Avvisi della Cina: allusione ad un’opera di Gigli, cfr. Introduzione, nota 117 ¨ I.1.32 ed infine potrete: nell’edizione, et in fine.

[28] Ohimene!: equivale a ‘ohimè’ , forma toscana col ‘ne’ epentetico. ¨ far covelle: È un’espressione antica, usata da Bandello e Boccaccio, che significa non far niente. Covelle (o cavelle), viene dal latino quod velles oppure quam velles, cioè: ciò che tu voglia.

[29] cancamene: equivale a ‘cancaro’, forma toscana col ‘ne’ epentetico.

[30] gombita: i gomiti.

[31] Staccio le noci allo speziale: stacciare le noci significa ‘far passare attraverso lo staccio’, cioè ‘setacciare’, senso figurato: esaminare con cura. Qui usato certamente con doppio senso volgare.

[32] Noe, noe: negazione colla ‘e’ epentetica propria della parlata toscana.

[33] Scortiamola. Potrebbe farsi fare una sedia bucarata: bucarata viene da ‘bucare’, o ‘forare’, per dire ‘la cosa è andata ben’, ‘è ben forata’, ‘è ben riuscita’, cfr. Poesie drammatiche rusticali scelte ed illustrate dal dott. Giulio Ferrario, Milano, F. Fusi, 1812, p. 382. Qui, data la conclusione di sapore scatologico della proposta di Credenza (I.2.31), il senso di ‘seggetta’ sarà quello proprio, la sedia col buco per orinare.

[34] dillolarlo: significa ‘levare il guscio o la pellicola dei grani’, equivale a ‘dicollare’ che significa ‘frangere’, ‘schiacciare’, ‘rompere’, cfr. Dizionario italiano-francese, del signor Giovanni Veneroni, Lorenzo Basegio, Venezia, 1703, p. 234.

[35] Tanta collera...: nella princeps, Egidia, sola, pronuncia un piccolo monologo, infuriando contro Credenza. Indirizzandosi al pubblico, dà delle informazioni che nelle versioni successive Buoncompagno elenca in I.1.31, e Geronio in I.1.32. Questo monologo insiste maggiormente sulla volontà dell’autore di rappresentare la moglie sotto una luce davvero negativa: «egidia Vecchia barboccia, insolente! Vedete, m’ha sportate le pianelle e mi fa caminare a piè terra. Quanto me ne spiace! A dire non ne ho altre, che sono ancor quelle che ho portate a marito; e sebbene le ho fatte rattoppare tante volte, si accomodano sempre meglio al mio piede. Infatti, i travagli non mancano mai, e adesso che mi trova tutta quieta per l’assenza di quel demonio di mio marito per aver messo in sicuro le mie robe, secondo m’ha consigliato quest’uomo da bene di Don Pilogio, ecco che questa diavola mi mette la casa sotto sopra. Basta se mi dà per le mani. (viene Credenza con le pianelle) credenza Signora padrona buone nove. egidia Oh si, prendi la mancia, vecchia... (la batte) credenza Signor padrone aiutatemi, ahi..., ahi...(viene Buoncompagno) buoncompagno Tanta collera signora Egidia?»; nei due manoscritti il testo della scena 3 è quello di 1749 e 1768 a e b.

[36] mostri le bolge: la bolgia è una fossa o una caverna grande (cfr. le bolge nella Divina Commedia), ma anche una borsa o bisaccia, o sacco di cuoio.

[37] è restata tantina: l’espressione significa ‘è rimasta senza voce, stupida’, più avanti Credenza gioca sulla parola trasformando il diminutivo in accrescitivo: «è restata tantona» (I.3.34).

[38] queste fulene di Siena: ‘fulena’ è una parola d’origine spagnola (in realtà la forma spagnola è fulana) che designa una prostituta, una persona di poca moralità.

[39] l’autore dei frontespizi: allusione a Gigli autore e alle sue difficoltà editoriali, cfr. Introduzione pp. 14 e 33.

[40] mi è venuto questo sparapane: nella lingua comune, ‘sparapane’ equivale a ‘divoratore di pane, mangiapane’, ma popolarmente si dice per derisione ai bravazzi, agli spaccconi (Vocabolario universale italiano, Napoli, Società tipografica Tramater e Cie, Tramater, 1838, p. 469).

[41] La botte fa i fiori, e della farina: espressione che allude alle condizioni miserabili nelle quali Egidia pretende di essere per giustificare la sua tirchieria: nella botte non c’è più vino, e la farina è scarsa.

[42] capaccia di castrato: cioè una testa di castrato, si dice meglio ‘capoccia’ ¨ pagnotte grosse: la pagnotta è un pane tondo, pesa circa 800 grammi. Usato anche per dire ‘lo stipendio o la paga’.

[43] l’alba chiara: la notazione è importante, perché se l’unità di luogo non è assolutamente rispettata (cfr. supra, Mutazioni di scene), lo è globalmente l’unità di tempo. Geronio è arrivato a Siena dopo 24 ore di viaggio. Forse in serata. Passa una notte, giacché l’atto secondo si apre con questa notazione temporale data da Egidia che vuole parlare a Don Pilogio, come al solito, e poco dopo, Geronio, giunto da Roma con una ferita al braccio, viene curato da Credenza (scena del bagnolo e delle molli, II.3). La festa in casa di Buoncompagno colla beffa grande e il doppio matrimonio si svolge in serata, dato ché la cantora arriva in scena per il ballo con un lume in mano (V.19).

[44] pieno di sciantelli: nella parlata toscana il termine designa malanni fisici ¨ sa di cerotti: sapere nel senso di sentire: emette un odore di cerotti.

[45] Andiamo: in 1721 c’è una didascalia che corrisponde più concretamente a un movimento scenico suggerito dalla battuta precedente: si pongono al tavolino, fingendo Geronio di dettare e Tiberino di scrivere.

[46] bagnuolo: o ‘bagnolo’, qui evidentemente nel senso di ‘applicazione di pezzette inzuppate (le ‘molli’ di cui parlano a più riprese Credenza e Geronio) in acqua calda o fredda, medicata o non, a scopo curativo’; sinonimo di ‘impacco’ (Vocabolario Treccani).

[47] il baronaccio è torno pieno di cacio e d’uova:baronaccio’ è spregiativo, forma accrescitiva costruita su ‘barone’ nel senso di ‘furfante, cialtrone, briccone’. Usato anche da Egidia contro Credenza, V.ult.8.

[48] serve citte: cioè le giovani serve non sposate; le ‘citte’ sono le ragazze vergini alle quali Pilogio, Egidia e Credenza fanno allusione più volte nei dialoghi. Si parla anche di ‘citole’ nell’atto quinto, durante l’intermezzo cantato e ballato in casa di Don Pilogio (escono citole e vergognose, cfr. infra, V.20.11, didascalia).

[49] che minchiona: ‘minchionare’ significa ‘canzonare, prendere in giro’.

[50] Ecco le molli: per le molli cfr. supra II.3.

[51] il terreno sollo: ‘sollo’ equivale qui a ‘solido’, forma stroppiata.

[52] non c’è bruscole: ‘bruscolo’ designa un frammento molto piccolo di materiale; granello di polvere. (fig.) avere un bruscolo in un occhio: avere un fastidio; (fig.) levarsi un bruscolo dall’occhio: liberarsi da un fastidio dim. Bruscolino, si dice per scherzare di cosa o persona assai piccola: un bruscolo di bambino; non è un bruscolo: non è cosa trascurabile; (med.) foruncoletto.

[53] stara di grano: ‘stara’ per ‘staio’, misura usata prima dell’adozione del sistema metrico moderno, per designare il reddito di una superficie coltivata a grano per esempio.

[54] para di lenzuola fine viterbesi: ‘para’ messo per ‘paio’, come sopra. Sono lenzuola di lino fine, cfr. II.5.88.

[55] è dote da buttigaione questa: ‘buttigaio’ è la forma senese di ‘bottegaio’, qui coll’accrescitivo: da bottegaio ricco.

[56] il bargello: si tratta dell’ufficiale della giustizia a Firenze.

[57] le vedove han per lo più sempre vivo il fondo loro dotale: le vedove conservavano la possibilità di usufruire della dote versata al marito al momento del matrimonio.

[58] cinque testoni: testone, moneta d’argento che valeva un quarto di scudo. Circolava in Italia dal 1470. L’apparizione del testone segna il passaggio dalla monetazione medievale a quella moderna.

[59] tenere delle serve tante tante se non altro per filare: in MS Credenza dà una precisione sulla provenienza e la materia delle lenzuola (lino viterbese). Viterbo è situata nell’Alta Tuscia al confine colla Toscana, regione rinomata sin dal Medioevo per la produzione del lino.

[60] in bocata: al bucato, a lavare.

[61] mezzo pavolo: il paolo era una moneta pontificia creata a metà del Cinquecento dal papa Paolo III. Circolava anche nel Granducato di Toscana, con valore di 8 crazie.

[62] madama la Colonna Traiana: colonna trionfale di Roma situata sul foro di Traiano, all’epoca di Gigli era coronata da una statua di San Pietro. Usato in senso figurato per designare una donna maestosa e aristocratica, che con certa ironia Gigli registra sul libro di conti di Burino che poi Menichina e Credenza interpretano come un libro di donne di malaffare, cfr. infra IV.1.6.

[63] Madama la Guglia Popolana: la guglia in architettura designa una lunga punta posta su un campanile. Qui usato ovviamente in senso ironico per parlare d’una donna magra e lunga, in opposizione alla Colonna Traiana (quindi una donna maestosa, aristocratica e non popolana) evocata in II.6.45 e 53.

[64] quattro moccichini: il moccichino è un fazzoletto da naso, forma popolare già usata in Boccaccio.

[65] doblone: antica moneta spagnola che valeva due doppie (o doble) castigliane.

[66] il ziro sarebbe vuoto: dall’arabo ‘zīr’, ‘grande orcia’; voce usata nel Lazio e nella Toscana per designare un vaso di terracotta di forma panciuta, per tenere olio o altro (Vocabolario Treccani); cfr. anche infra, V.6.4.

[67] La canna d’India: un bastone molto duro. La canna d’India, o rotang, serve per lavori d’intreccio, canestri, sedie, e anche per la fabbricazione di ombrelli, battipanni; le più dure possono servire come bastone da passeggio.

[68] la pozzolana romanesca: roccia vulcanica frequente nella regione di Pozzuoli, usata dai Romani e prima ancora dagli Etruschi. Allude alla presenza di cave di pozzolana nel Lazio.

[69] un moggio di sale: il moggio è un’antica unità di misura di capacità soprattutto per i grani; si usa anche per una superficie di terra piantata a grano.

[70] bazzico in qualche altra casa: ‘bazzica’ o ‘bazza’ si riferisce a giochi di bigliardo o di carte, e designa anche un compagno di vizi. ‘Bazzicare’ significa ‘frequentare assiduamente persone o luoghi’, con un valore di biasimo.

[71] fo la punta: qui evidentemente Gigli introduce un doppio senso erotico nell’uso di ‘fare la punta’, cioè di ‘appuntare’ o ‘aguzzare’, da parte della vecchia serva in fregola.

[72] bertuccia de’ fattorini: la bertuccia è una scimmia; usato anche in modo peggiorativo per designare una donna brutta e pettegola.

[73] trucidona: accrescitivo costruito su ‘trucidare’, ‘massacrare’; variante incerta: ‘truciolona’, da ‘truciolare’, cioè ‘ridurre in trucioli, in piccoli pezzi ricciuti’, che ha anche senso qui.

[74] De Aromatariorum impudentia corrigenda: titolo inventato di un trattato medicinale e tutt’insieme morale per correggere l’impudicizia dei mali corporei. La camicia qui evocata si ritrova poi alla fine quando Credenza appare vestita della camicia della modestia all’atto V e sposa Don Pilogio.

[75] Zoccolette: cfr. Introduzione pp. 31-32.

[76] ha delle schenelle: ‘schenella’ o ‘schinella’, parola antica che designa nel senso proprio una rapa o delle ragadi, cioè delle screpolature, e al figurato, come in questo caso, un malore, un incomoduccio.

[77] Ne sa ancora a me: in MR la fine della battuta è cambiata e più dettagliata sui loschi maneggi di Don Pilogio verso Menichina, e insiste sulle promesse di denaro e di potere che Menichina potrebbe ricavare da un marito come don Pilogio : «Più volte poi se l’è condotta in casa in compagnia però di buone guardiane che io le dava e l’ha mostrato quei denari che tiene in serbo di questa e di quella dama, con dirle “questi son tutti miei, e ne terrà la chiave quella che il Cielo mi darà per consorte”, di più suol dirle ancora: “ma chi governerà le citole del mio conservatorio non sarà servita e rispettata come una principessa”».

[78] al Saloncino: la sala dove i Rozzi davano i loro spettacoli, nel Palazzo pubblico di Siena secondo una decisione di Francesco dei Medici governatore di Siena nel dicembre 1690, era situata al piano superiore dell’Opera metropolitana, che poi fu sostituita da una maestosa sala affrescata, inaugurata nel 1731. La Congrega dei Rozzi di Siena era stata fondata, quasi contemporaneamente a quella, aristocratica, degli Intronati, nel 1531 da un gruppo di dodici artigiani coltivati e amanti del teatro e delle lettere, che si erano dati a recitare dei testi poetici, strambotti e commedie villerecce e rusticane da loro composti, nelle piazze pubbliche per divertire il popolo, specie in tempo di carnevale. L’emblema era una sughera ricoperta di rozza scorza con quattro rami intrecciati che raffiguravano le quattro stagioni. I membri prendevano nomi ridicoli. Avevano anche uno scopo di educazione, e usavano sia il volgare sia il dialetto senese. La Congrega si trasformò poi in Accademia nel 1690. È tuttora una delle istituzioni più prestigiose di Siena. Gigli è nel Settecento, con Jacopo Angelo Nelli, l’autore più celebre e attivo dell’Accademia.

[79] friggo coll’acqua: ‘friggere’ nel senso figurato equivale a ‘sono impaziente, ho fretta’. Come s’intende poi (III.4.14), Burino ha bisogno dei denari che Eufrasia intende dargli in cambio del libro dei suoi debitori.

[80] un abito nero: cfr. Introduzione, p. 35 nota 119.

[81] mi scarpiccia i piedi: mi pesta i piedi colle sue scarpe.

[82] per una piletta d’argento: piccola pila, un vaso per mettere acqua benedetta, da sospendere vicino al letto. Egidia, per tirchieria, ha sostituito questa piletta con uno zucchino secco vuotato.

[83] Gna compatirla: bisogna compatirla.

[84] piollo porco: ‘piollo’ per ‘piolo’? Il piolo designa un pezzo di legno conficcato in terra, qui usato con senso figurato osceno, per il membro virile.

[85] le scaramazzi: ‘scaramazza’ designa una perla non perfetta, qui per collane di perle false. ♦ trovò Cecca soda: non accettai affatto, rimasi ferma nella decisione.

[86] faceva scasimo: ‘scasimo’, dialetto frignanese, detto per ‘spasimo’, dal latino spasmus, con la p cambiata in c. Dimostrazione di contrarietà. ‘Fare lo Scasimodeo o Squasimodeo’ significa ‘fare il gonzo, lo gnorri, lo svogliato’ (Dizionario etimologico online).

[87] m’ha promesso Roma e toma: espressione messa per far promesse eccessive, senza intenzione di mantenerle, lusingando. Derivato dal latino promittere Romam et omnia, con trasformazione di et omnia in toma.

[88] Sovicille: Sovicille è città reale, località della provincia di Siena, nel Val di Merse.

[89] perché prendo medicamento legnaiolo: parola storpiata nella parlata della falsa Tedesca, che Credenza interpreta poi nell’a parte come «piglia il legno», alludendo forse alle stampelle della donna.

[90] dolori artefici ... postreme: molti dolori alle articolazioni e al sedere.

[91] all’uso delle Amazzoni: evocazione del popolo di donne guerriere della mitologia greca, che vivevano nelle montagne del Caucaso da dove sarebbero migrate verso l’Anatolia. Erano governate da due regine, una della pace e una della guerra, tra cui Mirina, Ippolita e Pentesilea. Le guerriere avevano rapporti ogni anno con uomini del popolo dei Garganei, con i quali si accoppiavano per generare bambini, poi facevano ritorno nel loro territorio. I figli maschi erano poi restituiti ai Garganei, le femmine venivano allevate con le madri e continuavano a perpetuare i costumi e le tecniche di caccia.

[92] cimbella: per ‘zimbello’, oggetto di scherno e di risa.

[93] vella, vella come alle bertuccie: le bertucce sono le piccole scimmie alle quali si paragonano spesso le donne brutte, che si chiamano con onomatopee imitanti il grido degli animali (‘vella, vella’).

[94] accattare per sé, lui: da captare, intensivo, significa prendere le idee da altri; si possono accattare scuse, brighe, impicci, guai. ¨ è buono ad altri che a svagolarmi: ‘svagolare’ è equivalente a ‘svagare’, ‘rendere distratto’, ‘rendere trastullo’, ‘farlo disperdersi’.

[95] (Cava un bossolo): ‘bossolo’ o ‘bussolo’: piccolo vaso di legno usato per raccogliere unguenti o elemosine.

[96] e a lui, che ghi era: continua la grande beffa organizzata da Geronio e Buoncompagno per prendere in giro Credenza, e denunciare le pratiche losche di Don  Pilogio. La beffa, cominciata in III.3, prende appoggio sul libro dove Burino orefice registra i gioielli ricevuti in prestito, sul quale Egidia deve essere iscritta. In III.5, Burino ha lasciato il libro su un tavolo e Menichina, curiosa, cerca di decifrarlo per Credenza. Lo fa in modo totalmente erroneo, trovando scritti nomi di donne da loro conosciute tra le quali «Nena, citta di don Pilogio» iscritta «per un filo di coralli» (III.6.8), e Pileria, sua nipote. Da questa lettura esce un quiproquo perché Buoncompagno ha poi detto a Menichina e Credenza che questo libro è un registro di donne di malaffare (III.7.8), che hanno ricevuto gioielli per il loro ‘servizi’. Credenza, colla sua ingenua onestà, ha rifiutato di farsi iscrivere su questo libro, rinunciando ad una dote che le avrebbe permesso di risposarsi. Di fronte alla padrona che la maltratta, accusa Don Pilogio di non aver custodito abbastanza le sue figliole, e non vuol più servire una padrona che prende le difese dell’ipocrita. Ovviamente il suo discorso non può che apparire confuso e totalmente sconnesso ad Egidia.

[97] Costei ha dato la volta: dare di volta il cervello, ‘impazzire’, ‘perdere la ragione’, come sottolinea poi Egidia. ¨ chiucchiurlaia: in toscano è un rumore confuso di più persone insieme.

[98] strafalciona: uno strafalcione è un errore grossolano nel parlare o nello scrivere. Qui usato ovviamente per caratterizzare negativamente Credenza.

[99] stempanare: o ‘stimpanare’, dialetto lucchese, equivale a ‘stordire, assordire con urla e bussi’.

[100] cucirebbe: nelle varianti si trova «cucinerrebbe» (cfr. supra Apparato). «Cucirebbe» è più logico dato il lavoro che Egidia propone a Tiberino poco prima.

[101] mi par aquilonne: con l’allusione al vento forte venuto dal nord, Egidia segue con cattiveria ma anche logicamente la metafora iniziata da Tiberino: accanto al fuoco la pece si distrugge, la figura malaticcia e deforme della Tedesca le pare invece suscettibile di spegnere qualsiasi fuoco. ¨ far cascar merlotti: il merlotto è un uccello che si prende al laccio, in senso figurato significa ‘far cadere nei lacci amorosi qualsiasi uomo credulo’.

[102] non mi tenete più nella corda: ‘non mi tenete più in sospeso’, ‘ditemi il segreto’.

[103] i suoi finacci maledetti: ‘le sue cattive intenzioni’, ‘i suoi fini immorali’.

[104] all’assalto di Lilla: l’assalto di Lilla, sotto il comando del principe Eugenio di Savoia e del duca di Malborough, ebbe luogo nel 1708, durante la guerra di Successione di Spagna; l’esercito imperiale entra nella città francese dopo un assediamento lunghissimo (tra agosto e ottobre del 1708) e perdite immense. Gigli prende anche la sua ispirazione nella storia immediata.

[105] un certo Liparotto: Lipari è un comune siciliano della provincia di Messina. Secondo quanto dice poi Don Pilogio gli abitanti avevano una cattiva riputazione.

[106] a far delle biciancole: la biciancola è un’altalena costituita da una tavola in bilico. Anche qui Gigli sembra giocar sui doppi sensi, con allusione appoggiata all’ingordigia sessuale di Don Pilogio attraverso la metafora dell’altalena.

[107] tavola fatta forse a cattiva luna: cioè poco solida, secondo il proverbio che dice che il legno lavorato a cattiva luna è meno resistente.

[108] Pilogio Baciapile: qui Gigli riallaccia indirettamente Don Pilogio con Don Pilone, tramite il cognome metaforico costruito sulla pila. (cfr. supra, Interlocutori, Don Pilogio).

[109] Ma io ho la mira: mi sono fissato come progetto.

[110] colpi di schegge: allude alle ferite ricevute dalla falsa Tedesca durante l’assalto di Lilla di cui Geronio racconta prima (cfr. IV.5.11), e che non sembravano convincere Pilogio («Crediamole schegge...» IV.5.12). Qui Pilogio dubita ancora più apertamente della veracità di quelle avventure militari e pensa certamente a un male più vergognoso.

[111] nell’edizione del 1749 è indicato: fine dell’atto secondo, lo stesso in [1768, a e b]. Ristabiliamo l’indicazione giusta, che sta anche in 1721 MR MS (Il fine dell’atto quarto).

[112] stacco d’abito: un pezzo di tessuto necessario alla confezione di un abito.

[113] il matto dei tarocchi: una della carte figurate del gioco dei tarocchi, segnata dal numero zero, che rappresenta generalmente una persona che cammina senza meta precisa, cioè equivale a irrazionalità, stavaganza, incoscienza, caos.

[114] per due bocconcini di cassia ha donato sei tolleri: la cassia è una pianta del genere delle leguminose casalpiniaccee, con numerose specie, la cassia romana equivale alla gaggia. Il tollero, d’origine germanica, è una moneta d’argento apparsa nel sec. XVI, che circolava in Europa. ¨ Metterle le pianelle: cfr. supra I.1.16.

[115] semmana: forma contratta di ‘settimana’.

[116] Appoiosa, insolente che siete levatemivi: ‘appoiosa’ (che diventa «appoiona» in MS) potrebbe essere forma dialettale derivante da ‘poiana’ o ‘poana’, parola che designa un uccello rapace diurno, al quale Egidia paragona la povera Credenza che le chiede i giusti compensi al suo lavoro.

[117] non si poccerà le sorbe: la sorba è il frutto del sorbo; è piccolo, di colore porporino, si coglie acerbo e si prepara di diverse maniere fino a maturazione. La maturazione è lunga, la sorba indica generalmente che bisogna aver pazienza. ‘Pocciare le sorbe’ equivale a ‘poppare, succhiare le sorbe’; Credenza denuncia così la tirchieria della padrona che la faceva digiunare.

[118] seggetta: la seggetta è una sedia con orinale integrato, adatta alle persone inferme. Elemento essenziale nella commedia, che Gigli cita concretamente e sfacciatamente passeggiando in città durante il carnevale; cfr. Introduzione nota 28 e supra, I.2.28 sedia bucarata.

[119] ero stata messa a ponto: equivale a ‘mettere al punto’, espressione arcaica, cioè ‘piccare’, ‘aizzare’; instigare o stimolare qualcuno a dover dire o a fare alcuna ingiuria o villania, dicendogli il modo come possa e debba farla e dirla.

[120] dello spedaletto, o conservatorio: sui conservatori di virtù di cui Gigli denuncia gli abusi, cfr. supra, Introduzione, p. 30, n. 102.

[121] farina da zuccarini: gli zuccarini sono dei biscotti artigianali, tipici della Garfagnana, realizzati con farine macinate a pietra, cioè molto fine e dolce. Gigli aveva usato Zuccarino per il giovane paggio del giudice Balanzone nei Litiganti.

[122] farina di monache: ‘farina di o da monache’ allude forse a una farina utilizzata per far le tette delle monache, dolce delicato a forma di tetta, con allusione antireligiosa ingenuo-ironica di Credenza all’ipocrisia del contenuto dei libri di Burino, e alla corruzione generale esistente nei conventi.

[123] dice che è un beltrovato: sembra variante di ‘bentrovato’, cioè allusivo a cosa dimenticata, che si ritrova dopo molto tempo, oppure qui di cosa che non esiste affatto.

[124] morbo gallico: sifilide.

[125] salsa onoratissima da conventi: continua la metafora della farina da zuccarini o da monache.

[126] canna da monasteri: Credenza continua a filare la metafora della farina e ora della canna, cioè della pianta che produce lo zucchero.

[127] fate grogio: ‘grogio’ deriva da ‘crogiolare’, che significa ‘dillettarsi, delizarsi’, cioè qui ‘fatelo contento’. ¨ isbatter la gengia: ‘gengia’ equivale a ‘gengiva’, cioè sarà un’allusione al sorridere o ridere dal contento.

[128] Benvenuti signori...: nell’edizione princeps la battuta di Geronio si appesantiva di più sulla denuncia della «maliziosa», cioè nefanda, ipocrisia e sulle colpe del bacchettone: «Benvenuti signori. Di grazia non fatte romore. Ecco l’ora fatale in cui deve sciogliersi l’incanto di quest’intricato labirinto di maliziosa ipocrisia. Non ho prefisso altro fine a questo mio tentativo (in cui voi siete a parte) che quello della comune soddisfazione. Io l’averò ricuperando quel ch’era mio. Voi, riavendo le vostre spose ed amate. Mi persuado che col mettere noi le mani su le scritture dell’astuto bacchettone non avrà campo a risentirsi di questo nostro attentato; ed anzi gli tornerà meglio l’esercitare un atto di vera rassegnazione ch’esporsi ad una publica diffamazione. Con tutto ciò perché si conduca l’impresa colla maggiore giocondità possibile, ho disposto il concerto d’una ben allegra sinfonia. A così fatta novità non potranno non accorrere le donne e citte qui ritirate. Se tra queste però ritroverete le vostre mogli ed amanti, l’inviterete a ballo e sarà questo il preludio alle future vostre soddisfazioni, siccome Orfeo col suono aprì già le porte dell’inferno, così noi apriremo quelle di questo violento conservatorio. Fra tanto, parte di voi vada con Tiberino e parte resterà qui». È particolarmente interessante l’evocazione del poeta Orfeo e delle porte dell’inferno (che in 1749 è ridotta alla sola formula «nell’istesso modo appunto che aprì Orfeo le porte dell’inferno», cfr. V.6.5), sulla quale si chiudeva la battuta nel 1721. È un’altra traccia del valore autorefrenziale del personaggio di Geronio, che denuncia le pratiche conventuali.

[129] ma la piolla: cfr. anche piollo, III.7.14. Qui per dire una donna che fa capricci, che cambia spesso idea, che non rispetta il marito.

[130] scassaie: le casse, i cofani dove sono conservate le scritture di Don Pilogio.

[131] Burino, Credenza vestita colla lunga camicia della Modestia, e detti: in realtà, nell’edizione 1749 la didascalia indica Buoncompagno invece di Burino, e l’errore è ripreso dai copisti. Ma è chiaro che si tratta di un errore, perché Buoncompagno è già in scena (cfr. V.21.5 e 7); quindi la didascalia giusta è quella dell’edizione 1721 che fa entrare Credenza con Burino (cfr. supra, Apparato). Da segnalare però che il copista del manoscritto senese insiste di più nella redazione della didascalia sul movimento scenico (Torna Buoncompagno con Credenza), pur non correggendo l’errore sul nome.  

[132] Che frastuolo: equivale a ‘frastuono’: che gran rumore, che bacano.

[133] impedimento dirimente: termine giuridico di diritto privato; l’impedimento dirimente invalida un matrimonio, ad esempio il voto di castità per i preti costituisce un impedimento dirimente. Questo allude appunto allo statuto di Don Pilogio, non chiaramente ecclesiastico, e quindi più vicino allo statuto del direttore di coscienza laico, che può pretendere di sposarsi. ¨ questi bagordi: ‘bagordo’ designa ‘chi si dà ad eccessi di piaceri materiali, nel mangiare, nel bere e nel sesso’. ‘Darsi ai bagordi’ significa ‘far baldoria, bisboccia, gozzoviglia’.

[134] dallo stiacciar: ‘stiacciare’ messo per ‘stacciare’, equivale a ‘setacciare’, ‘lavorare il grano per separare le parti grossolane dalle parti più fini’. ¨ per far la favarella: ‘favarella’ o ‘faverella’, vivanda di fave macinate o disfatte, impastate con acqua e cotta al forno. Le feve macinate si danno anche per biada ai cavalli.

[135] patarecci: nodi che si formano sulle articolazioni, specie sulle dita, dolorose, quindi da toccare con precauzione. Menichina sottolinea ironicamente presso il futuro marito l’età avanzata della moglie.

[136] falsi divoti: qui Gigli sembra voler tornar a una traduzione letterale del francese ‘faux dévots’.

[137] I testi qui trascritti si trovano colla commedia intitolata L’avarizia più onorata nella serva che nella padrona ovvero La Sorellina di Don Pilone, all’interno della raccolta dei Componimenti teatrali del signor Girolamo Gigli, cit., 1768a. (Il Soggetto... è a pp. iii-vii; la Lettera dedicatoria a pp. viii-x, il Madrigale a Don Pilogio e la Nota sui personaggi a pp. xi-xii. La canzone segue il testo a pp. 127-128) (cfr. digitalizzazione opere-senesi.org, Le Cinquecentine della Crusca, Biblioteca Accademia della Crusca, 3.6.71). Si danno in commento le varianti del MS, e dell’edizione 1768b. L’edizione del 1827 e quella moderna proposta da Mauro Manciotti (cfr. Bibliografia) sono allineate sulla 1768b con il titolo: Il Soggetto della commedia spiegata da un amico dell’autore (comincia con: Il Signor Girolamo Gigli).

[138] San Cresci, santa Perpetua: San Cresci è uno dei primi martiri cristiani, di origine germanica, amico di San Miniato, morto il 24 ottobre 250. Di lui si conserva il cranio nella Pieve di San Cresci in Valcava, nel Mugello, sin dal XVII. Perpetua è con Felicita una delle prime martiri cristiane dell’Affrica romana. Morì a Cartagine nel 203. Quando furono arrestate, Perpetua aveva 22 anni ed era madre di un babmino, Felicita era incinta e partorì in prigione. Le collette sono le offerte di denaro a scopo di beneficenza, o anche qualsiasi tributo o imposta. Designa anche una radunanza di persone, o un insieme di preghiere, o orazioni da recitarsi durante la messa.

[139] Madama Bolognetti: la contessa Flavia Teodoli Bolognetti, cfr. Introduzione, nota 39.

[140] maledetti tolleri: tolleri, forma dialiettale derivata da togliere, sostantivato, per designare i forcipi che permettono di tirare fuori a forza un bambino durante un parto difficile.

[141] è come il Magliabecchi che aveva tutta la sua grazia in un poco di sudiciume: Anton Magliabecchi, accademico Pratico, è il famoso bibliotecario di Cosimo III. Celebre per la sua noncuranza della persona e la sua laidezza fisica, era perfino qualificato dai suoi contemporanei di ‘porco’ o di ‘animalaccio’. Non si piegava alle abitudini vestimentarie né ai costumi civili del suo tempo, ciò che gli conferiva un aspetto repellente. Soprattutto, era impietoso nelle sue censure sulle opere proposte per la sua biblioteca, riallacciandosi anche in questo al cinico Diogene. Sin dal 1696, Gigli intratiene col Magliabechi una corrispondenza (cfr. Lettere autografe dell’Economico -G. Gigli- ad A. Magliabecchi nei codici Magliabechiani della BNCF, VIII-698, intorno alla redazione della Storia e progresso dell’antica Accademia sanese, cioè l’Accademia degli Intronati: lettera del 6 sett. 1696, poi di dicembre 1696, e fino al maggio 1697, quando ancora chiedeva aiuto per rileggere il suo Diario Senese, Magliabecchi sembra non aver risposto alle sue attese.

[142] Madrigale: i versi sono registrati sotto l’etichetta di madrigale, ma si tratta metricamente piuttosto di  un ditirambo.

[143] Poppegnau: cfr. supra, V.12.10-15, Tiberino si presenta come Contessa di Poppegnau, dopo di che Geronio e Buoncompagno danno una spiegazione pseudo-storica, con riferimento alle Amazzoni che si tagliavano i seni, di cui uno fu ingoiato da un gatto.

[144] qualche volta pela: allusione al modo con il quale le donne prostitute o cortegiane sapevano ‘pelare’ gli uomini, estorcendo loro denaro, nonché trasmettendo loro malattie che facevano poi perdere i capelli o i peli.

[145] Canzone: questo il genere registrato dall’editore nella pubblicazione. Metricamente è una canzonetta melica o anacreontica (che adopera il sistema del ritornello della ballata).

[146] un certo Piollo: allusione alle circostanze della recita che ebbe luogo malgrado l’interdizione delle autorità fiorentine. Il ‘Piollo’ -cfr. supra III.7.14 e V.20.7, designa sicuramente quello che, da Siena, aveva avvisato le autorità e chiesto la censura. Cfr. supra, Introduzione, p. 15.

[147] un galenista: quello che segue la dottrina del medico greco Galeno per il trattamento delle malattie secondo i quattro umori fondamentali, fidandosi della natura. Usato oggi in senso spregiativo per chi lavora da solo, chiuso nel suo laboratorio.