Girolamo Gigli
I litiganti
ovvero il giudice impazzato
a cura di Françoise Decroisette
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2017
Girolamo Gigli
I litiganti ovvero il giudice impazzato
a cura di Françoise Decroisette
© 2017 Françoise Decroisette
© 2017 lineadacqua
edizioni
Biblioteca Pregoldoniana,
nº 21
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
Supervisore dei
dialetti: Piermario Vescovo
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-72-7
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direttore della collana.
Biblioteca Pregoldoniana, nº 21
Nota al testo
Questa trascrizione de
I litiganti segue
il testo contenuto nell’edizione veneziana delle opere di Girolamo Gigli, realizzata
da Marino Rossetti nel 1704, sotto
il titolo Opere / nuove / del signor
/ Girolamo Gigli / accademico Accesso,
consacrata all’Altezza Serenissima del signor Francesco Maria Pico, duca
della Mirandola, marchese della Concordia e signore di San Martino, ecc. Oltre a I litiganti, questa edizione comprende, Il Leone di Giuda in
ombra, ovvero il Gioasso,
dramma sacro (pp. 9-37); Amor dottorato, invenzione
drammatica, dedicata da
Gigli, accademico Intronato,
alla signora Girolama Bandinelli (pp. 41-65); La via della
gloria, cantata per musica
(pp. 69-76); La viola di Pratolino, cantata, dedicata alla serenissima principessa Violante di Toscana (pp. 79-86); Canzoni e sonetti (Il canto di Clori, cantata, La colombaia, La madriperla,
cantata per la passione, Davide, canzone fanatica
sopra l’istesso metro, e numero della pagina 22 del Petrarca, Sonetti sacri e profani,
tra cui uno intorno alla figura di Bertoldo, sonetto faceto, e Le sei visioni funeste nella piazza di Siena, canzone per la morte della
granduchessa Vittoria della
Rovere, morta nel marzo 1694 in Pisa, pp. 89- 140); Un pazzo guarisce
l’altro, opera serioridicola (pp. 253-358). I litiganti ovvero
il giudice impazzato, opera satiricocomica sta a pp. 141-250.[1]
La dedica dell’intero
volume è firmata Marino Rossetti. Come s’è detto nell’ introduzione,
l’opera non è integrata nell’edizione delle opere del 1700, e non ne esistono altre ulteriori. La commedia non
è accompagnata di argomento,
o di testo di presentazione
che indichi se è stata rappresentata prima del 1704. Non
risulta che sia mai stata recitata dopo l’edizione, né a Siena né altrove,
quindi non si può parlare di una sua fortuna scenica.
I litiganti ovvero il
giudice impazzato[2]
Opera satiricomica
del signor Girolamo Gigli.
In Venezia, per Marino Rossetti, 1704.
Personaggi
dottor balanzone, giudice di Scarica-l’Asino.[3]
leandro, suo figlio.
roga-bugie, notaro di corte.[4]
zuccarino, suo paggio.[5]
noferì, fiorentino litigante.[6]
isabella, sua figlia.
urania mignatta, vedova litigante.[7]
bettina, sua serva.
lardello, oste genovese.
amaranto, poeta.
fioretto, ragazzo della Terra.
sempronio pela-borse, procuratore.
aiutante di
studio.
ATTO
PRIMO[8]
SCENA
PRIMA
Studio
con libri.
Leandro,
Notaro, Zuccarino, Balanzone di dentro.
notaro Finalmente, signor Leandro mio, il
signor dottor Balanzone vostro padre vuol dare la volta affatto al cervello.[9]
zuccarino Dite piano ch’egli dorme qui vicino, e
appunto come ora, si suole svegliar l’altra mattina.
leandro Lo smoderato desiderio di farsi ricco
cresciuto in lui con la vecchiaia che è negli uomini la balia dell’avarizia,
insieme con l’incessante applicazione ai libri ed ai processi gli hanno
offuscato ed indebolito a tal segno l’intelletto che lo fanno cadere in queste
sue bassezze ogni giorno più che mai.
zuccarino Ringraziamo il cielo che egli è
impazzito a casa sua, e nel territorio fertilissimo di Bologna, dove la canape fa delle cento per ogni staio.[10]
5 notaro Conviene
però ben custodirlo e farlo screditare meno che si può tanto che di Bologna
venga l’altro giudice in suo luogo e lasciarli dare quattro sentenze di
vantaggio per mettere queste poche di sportule nella casa.[11]
leandro Signor Notaro, al vostro affetto ed alla
sollecitudine di Zuccarino raccomando questa custodia.
zuccarino Bisognarebbe che ognuno di noi guardasse la
porta e l’altro la finestra.
leandro Come dire?
zuccarino L’altro giorno che gli pareva di dare
poche sentenze mandò a chiamare il banditore, perché facesse intendere per
tutta la Terra di Scarica-l’Asino che egli ne voleva
vendere alcune col giorno in bianco, però chi se ne voleva provvedere per le
liti future, venisse avanti Sua Signoria
Eccellentissima ad offerire, e perché il banditore a
mia istanza non venne, voleva bandirlo egli stesso dalla finestra se
l’impedivo.
10 leandro Già di questo son informato.
balanzone
(di dentro) Zuccarino?
zuccarino Diavol becco, egli
è desto. Eccellentissimo.
balanzone Mo chi è quel temerari,
quel presentuós, quel turbator della me’ giurisdizion attiva e passiva, ch’ardiss
int’al mi’ studi d’esser infurmà?
zuccarino Signore...
15 balanzone L’esser infurmà
l’è uffizi dal zudes; al zudes
a’ son me; donc s’a te prem la me’ reputazion, tuli la
stanga della porta, e fa’ un preçet a colù che l’è infurmà che se vada
a far infurmar ottanta mìa luntan d’la giurisdizzion de
Scarica-l’Asen e l’ su’ zità e provinzi suburdinà.
leandro Ancora delira!
zuccarino M’è sovvenuto il ripiego. Signor
padrone, il signor Leandro vostro figliuolo, che per togliervi qualche fatiga s’è esercitato alla legge, va esercitandosi adesso
nella professione del giudice, e si va provando nell’informazioni.
balanzone (esce fuori in
camicia) Ah, fiol da ben, fiol onurà; v’rament
adess a’ n’ stò più in dubbi c’mod una volta
che t’ sia me’ fiol, perch’a’
t’ cognosco al grand intellet che t’ ha.
notaro Mi farebbe ridere.
20 balanzone Mo l’è stà v’rament un grand sforz dal to inzegn l’aver fatt sta passà. Perch’ a’
me record, come se fuss addess,
ch’ arsira innanz ch’ andas a let, t’ eri un asen furmà e che n’ savivi gnanch tutt
le lettre d’l’ alfabet; e adess
t’ è dottor, t’ sta’ in cuntradittori con ‘i avucat; e finalment a’ si’ infurmà.
leandro Signor padre, ella
dorma un poco più, che ancora non è giorno chiaro.
balanzone V’luntira. Ma se t’ vu’ ch’ a’ dorma, fat infurmar un poch più pian.
leandro Sì signore.
balanzone Perché la rason
n’ stà int’al gridar, saviù?
25 leandro È vero, orsù dorma.
balanzone Ma stà int’le duttrine, int’i process, int’al fatt, saviù?
leandro Così è. O via, si riposi.
balanzone Perché s’ la stess
int’al gridar, al banditor vinz’rev
tutt le caus, saviù?
leandro Dice bene. Orsù si quieti.
30 balanzone E sa chi parla pian avess
al tort, a’ inseguerev ca tutt i omine infr’ddà av’rev al tort, saviù? (rientra)
leandro Orsù, buona notte a Vostra Signoria.
notaro Già non parla più, seguiamo a discorrer
così basso, e allontaniamoci un poco più dalla camera.
zuccarino Già comincia di nuovo a fornacchiare.[12]
leandro Ma i medici ieri nell’ultima visita, che
risolvettero?
35 notaro Niente.
leandro O perché?
notaro Dissero al solito che sta senza febbre
affatto, e con un polso robusto, come di vinticinque
anni. Ma nel buono del contradittorio che lor facevano per ritrovar la causa di
questi deliri, egli s’alzò nel letto e disse che dava di nullità a quel
contradittorio, perché essi non avevan depositato le
sportule.
leandro L’intelletto è molto offeso, e questi
segni mi fanno assai dubitare se veramente...
balanzone (di dentro) Zuccarin...
40 zuccarino Si dice troppo forte; è svegliato di
nuovo. Eccellentissimo...
balanzone Mo chi è qul furfanton, qu’ll’ insulenton, qu’ll’ ignuranton ch’ vin a dubitar int’la
me udienza? Al dubitar e li dar i dubbi tocca all’Ezzellentissimo signur zud’s Balanzon da Balanzan, e a n’ so ch’ n’sun di qualsivvia sess o condizion poss’ dubitar senza mi’
lizenza, saviù?
zuccarin Non si ricorda Vostra Signoria che ho detto che il signor
Leandro si va esercitando nella professione?
balanzone (esce) Zuccarin?
zuccarino Eccellentissimo.
45 balanzone Ch’ora è adess?
zuccarino Mezz’ora avanti giorno.
balanzone E adess, adess quand a’
m’ son desdà un’ altr’
volta?
zuccarino Non è mezzo quarto che ella era destata
la prima volta.
balanzone A n’è mezz’ quart?
Ah, fiolon d’or, vel plam di ezzellentissima razza d’i
Balanzon, a n’men de mezz quart dop l’infurmazion
t’ ha studià la causa, e t’ da’
i dubut ala part? Ah, ah, quest’ l’è ’l ver mod di sp’dir i puver litigant, e d’ dar una duzzina de s’ntenz ogn’ dì. Sia
pur benedet al dì ca t’ho fatt,
fiolon da ben![13]
50 notaro Se le cause si facessero così corte, mal
per noialtri seri.
leandro Dorma dunque adesso di buon sonno.
balanzone (torna) T’ ha’ rason, a’ poss dormir p’ bon sonn’. Bona not.
zuccarino Ma non si potrebbe andare a cicalar
altrove?
leandro Voi due non sapete ancora perché son
venuto qui nella libraria.
55 zuccarino Adesso, adesso intendo. Volete signor
Leandro vender forse degli altri libri?
leandro Odi se si sente mio padre.
zuccarino Di nuovo dorme. Ma serriamo la porta per
più sicurezza.
leandro Almeno almeno
bisognerà ch’io ne venda almeno trecento libbre più al solito pizzicarolo per
diverse mie spese.
notaro Ma piuttosto cerchiamo di scassar la
cassetta al signor padre.
60 leandro A’ giorni passati se n’avvide e ora l’ha
nascosta non so dove. Il bisogno è urgente; non occorre altro. Consideriamo
bene dove se ne può cavare, che mio padre non se n’accorga.
zuccarino Cavateli di dove volete, egli non studia
altrove che nella stadera. Chi manda roba di più peso ha le dottrine più in
punto dell’altro. L’altro dì, due litiganti gli mandarono a donare due porci,
uno pesava ducento libbre, l’altro ducentovinti; egli diede la sentenza a quello delle ducentovinti, con reservo però a
quello del porco delle ducento a provar le sue
ragioni con le venti libbre di carne che mancavano.[14]
leandro Voglio prender di questi più grossi per
far il peso più presto.
notaro Signor Leandro, lasciate stare questi
buoni vecchi, originali antichi, e vendete questi modernacci
che sono tutte copie.
zuccarino Crediamo che siano già trecento libbre?
(gettano de’ libri in terra)
65 leandro Giudico di sì.
balanzone (di
dentro) Zuccarin?
zuccarino Ma se fate tanto rumore!
Eccellentissimo.
balanzone O quest po, l’è un po’ tropp. A’ ’i ho sentì cun l’ mi’ urecch d’la zent che zudica int’al mi’ tribunal. Mo cancaraza, no ’l poss supportar.
Zuccarin?
zuccarino (vien
alla gattaiola) Signor padrone, e tre. È il signor Leandro che si prova ora
a dar le sentenze.
70 balanzone Mo ch’ora è adess?
zuccarino Dico che è quasi mezz’ora avanti giorno.
balanzone Quant sarà che me
son desdà la prim’ e la seconda volta?
zuccarino Non è un quarto che s’è svegliato due
volte.
balanzone Donch int’un quart d’ora me fiol si fa infurmar dall’avucat, dà i dubbi alla part e stend
anch la s’ntenza?
75 notaro E guardi quanti libri ha rivoltato.
balanzone Poh! ch’ v’lozità d’intelet! V’rament, a’ p’tivi asp’tar a imparar a lezzer ancor d’ uttant’ ann, ch’ ’n ogn’ mod t’avrest passà int’al saver Bartold e Bald.[15]
leandro Di grazia vada a dormire.
balanzone A’ n’ vu’ dormir più, perché a v’rament è tant al zel che t’ ha’ d’la bona ziustizia,
e ca t’ prem’ tant ca la fazza prest prest
al su cors, ca s’ a durmis
un alter tantin, ti av’rest
da’ la s’ntenz d’appellazion, di revision, e finalmente
per maggior sbrigazion d’l’ esecuzion
ti farest al sbir con l’ tu man.
leandro Signor padre, ecco m’inginocchio. Di
grazia vada.
80 balanzone Tu t’inz’nucci,
e a te do la mi’ benedizion e ’n forma d’ s’ntenza:
Nos Balanzonus a Balanzan ecc, iuris utriusque doctores ecc, pro gattaiola iudicantes, et in casa benedictionis
domini Leandri plusquam legitimi
nostri filii et supernaturalis,
definimus, pronuntiamus, sententiamus, declaramus omnes divitias, honores et felicitates pertinere ad D. Dominum meum filium
in sola quarta parte unius horae
informatum, dubitantem et indicantem et haec omnia ratione sportularum sibi debitarum, pro quibus condemnamus.
Essend la questa una benedizion
in forma d’ s’ntenza e’ and’ran le sportule, perch’ a dov ientra
la giustizia, a’ n’ guard
in fazza né a fiol, né a fiola.
leandro Signor padre, non ho denaro.
balanzone Mo, s’ t’ ha’ dà una s’ntenza poch
fa, a’ n’ pol esser dimanch che n’ t’ abbi al manch l’ spòrtul in bisaccia.
leandro Giudicavo così per mio spasso, non per
interesse.
balanzone O da burl o da
ver, le sportule ’i van semper merlot. A’ n’ occorr alter. Quando ti v’rà zudicar a uff in st’ mond, a’ t’ toio quel prinzipi d’ benedizion ca t’ho da’ e te dichiar ignorant, e a’ t’ suspend la duttrina, scanzelland tutt l’informazion d’la to memoria, tutt
le s’ntenz del to intellett,
e tutt la carità ca a’ t’ha
vers i litigant int’al non pias quattrin d’la to v’luntà. E così essend’ ogni mi’ s’ntenz inappellabili,
infallibil, immutabili, ed avend
l’esecuzion parà, ti com’ ignorant
a sii zia divintà un alfin,
e l’è n’zessarii ca adess a’ t’ tiri una coppia d’i calz ipso iure, e però a’
m’ retir ipso
facto. (parte)[16]
85 notaro Ma non è da ridere?
leandro Ma non è da piangere?
zuccarino Orsù sbrighiamo questa faccenda avanti
che il signor padrone ritorni, e prima che spunti l’alba, perché nessuno c’
osservi mentre portiamo questi libri.
notaro Avvertiamo però a una cosa, che nel
cortile vi soglion dormire degli sbirri e delle spie.
E così sarà forse meglio che Zuccarino e io usciamo fuora
e teniamo dei sacchi sotto la finestra, e voi per la finestra li gettiate
fuori.
zuccarino Poveri dottori, si romperanno il collo.
90 notaro Le cause ed i
litiganti rompono il collo. I dottori cascono sempre
ritti.
leandro Sì, facciamo così.
zuccarino Andiamo.
SCENA
II
Appartamenti
della vedova.
Urania,
Bettina di dentro.
urania Bettina?
bettina Signora.
urania Ormai è tempo di levarsi, ricordati
che s’hanno da fare le facende di casa, e stamattina
ho da andare dal procuratore.
bettina Ancor non si vede lume. Or ora
l’accendo.
5 urania Pah! Tu sei
pure di poco risparmio! Piglia la gatta in collo che ti farà lume meglio di un
candeliere.
bettina (vien
con il lume) Eccomi, signora.
urania Oh via, metti in tanto la carne al
fuoco.
bettina Signora sì.
urania (legge
citazioni) Questa citazione è per stamattina in causa dei miei vedovili e antifatti.
10 bettina (torna)
Signora, non c’è legna.
urania Lava intanto la carne, e mettila nella
paiola, e comincia ad accendere gli zolfinelli poiché
m’ha detto il signor Dottore che la sentenza di quel bosco s’ha da dare avanti
notte, e così la tagliaremo e averemo
legna, quante bisognano.[17]
bettina Signora sì. (via)
urania Questa va pure a stamane ed è di
quello speziale a conto de’ medicamenti serviti al mio primo marito. Non farò
poco a pagargli la cera del funerale.
bettina (torna)
Signora, non c’è manco carne.[18]
15 urania Ch’importa. Metti intanto a ordine
l’acqua e la paiola, perché mi ha detto il signor Dottore che quello che mi ha
fatto quel danno nella vigna sarà condannato il più longo
domane a darmi quella vitellina mongana, ed averemo da star bene per molti giorni.[19]
bettina Signora sì. (via)
urania Quest’altra citazione va a tutto dimani. È del cerusico che assisté al mio secondo marito.
Oh, non feci poco a pagare il beccamorto subito subito.
bettina (torna)
Signora, non c’è manco acqua.
urania Che importa! Metti intanto in ordine
la paiola, perché mi ha detto il signor Dottore, che il nostro vicino sarà
condannato a rifare il pozzo tutto di suo, ed averemo
presto presto quant’acqua vorremo.
20 bettina Signora sì. (via)
urania Questa va a posdimani.
È dell’ebreo che vorrebbe lo pagassi de’ bruni di due mariti. Non farò poco se
lo pagarò in buona moneta quando staccarò
quelli del terzo.
bettina (torna)
Signora, non c’è manco paiola.
urania Tu sei pure spericolata! Spazza
intanto la cucina. M’ha detto il signor Dottore che quando passa di qui quel
magnano lo vuol far citare a farmi la paiola e la padella che m’aveva promesso,
e che bisognerà che dentro il termine di quindici giorni l’abbia finita.
bettina Signora, dunque per desinare s’ha da aspettar primieramente quattro sentenze, poi che si tagli il bosco, e che si vinca la vitella, che si rifacci il pozzo e che piova, e finalmente che i magnani facciano ancora il paiolo.
25 urania Son cose che ci vanno.
bettina Ma il signor Dottore tra una disina e l’altra ci mette quattro sentenze, come i suoi
clientoli?[20]
urania Il signor Dottore che studia bisogna
che mangi un poco più spesso.
bettina Signora, e io che spazzo la casa e
duro tanta fatica, non voglio aspettare a desinare quattro sentenze; di vero,
veh.
urania Insomma, come siete incontentabili
voialtre serve. E che ti manca in casa mia?
30 bettina Mangiare, signora.
urania Ma quando una padrona tiene appaltato
il procuratore, ancora per la servitù, e che tu puoi litigare sera e mattina
senza pagar niente, hai da prentedere ancora di
mangiare? Che incapacità! (via)
bettina Oh povera Bettina! A quel che son
condotta. Avere a digiunare per ingrassare il procuratore alla padrona, ed
avere a litigare per scontare il salario. Ma se posso trovar la borsa a questa
vecchia avara.
SCENA
III[21]
Strada
e notte.
Zuccarino
e Notaro.
notaro Zuccarino, fa’ presto.
zuccarino Ho portato già due sacchi al pizzicaiolo. Quel maledetto Bartolo colle coperte di tavole
mi ha avuto a sdirenare.[22]
notaro Presto, presto, che il signor Leandro
starà alla finestra con gli altri libri, e tra poco farà giorno. Ma che sacchi
son codesti?
zuccarino Di quelli del mugnaio.
SCENA
IV
Balanzone
alla finestra, e detti.
balanzone Mo che diavol dis Zuccarin che l’è visin a dì,
e ’l gal al n’ ha gnanch cantà. Al pol esser che quel litigant che ha d’aver al tort in
q’la s’ntenz abbia corrott al gal con d’i quattrin parch’ al m’ svei a studiar contra. Ma pur al me fiol
che l’è d’sinteressà, e ca per l’ultima s’ntenza che a’ ’i ho dà el’ è divintà un asin. Com l’è v’sin a dì, d’vren rangiar. A’ m’ vegh un gran biù.[23]
SCENA
V
Leandro
ad altra finestra vicina e detti.
leandro Zuccarin doverebbe
esser già tornato.
notaro Sento gente. Zì, zì, zì.
leandro Zì, zì, zì. Caricate
presto.
balanzone Cargà prest? Ah, ah, la s’ntenz l’ha avù esecuzion. Al me fiol l’è zà un asin, e s’ fa cargar. A’ m’ despias cha m’ mi son avvist di privarl ancor dl’a parola.
5 leandro (getta
libri) Il testo civile, libbre dodici.
balanzone Al test zivil, lir dodiz? Pah!
A’ s’ ved ch’ancor int’la natur as’nina s’ mostra me fiol. al n’ vol purtar alter some che d’ liber.
leandro Il Baronio De citatione, lo Scaccia De sententia e
De re iudicata, il Rugginello De appellatione, l’Asinio De executione,
il Postio De subhastatione nel medesimo tempo, al medesimo posto.
Presto, presto.[24]
balanzone Cancaraz, t’ha più
fretta de zudicar adess che
t’è un asin, che quand
t’era un om. Int’el istess temp t’ vù la zitazion, la s’ntenz, la re iudicà,
l’appellazion, l’esecuzione, e d’ po’ la subastazione?
leandro La bilancia mi par addormentata.
10 balanzone Oh che sumar amig d’la zustizia! Al zita, al zudica, al dà l’appell, al grav, al vend a band in un temp, e dis ch’ la stadira d’la zustizia l’è addurmentà! Mo s’ la
stàdir a’ s’ desta, al fa
vender a band sicur, sicur,
la rob cent anns prima cha
la sia ubligà.
leandro Per fare il peso più presto vorrei
autori più gravi.
balanzone Al dis ch’al vrev autor più grav? L’è po’ d’
ver ch’ me medesm ch’a’ sun autor gravissm unora la sum di me fiol, e che ‘l
vaga a cargar anch me. A’ vui scender a bass. (si leva dalla finestra).
leandro Mi par di sentire mio padre alla
finestra. Zì, zì,
zì.
notaro Siamo qui.
15 zuccarino Ha detto che andiamo più su.
notaro Andiamo. (si pongono sotto la finestra del Dottore) Non getta più libri.
zuccarino Neppure lo sento.
leandro Non sento più mio padre. Zì,
zì, aprite il sacco.
zuccarino Pigliamone un altro, che uno è pieno
20 notaro Apri bene.
balanzone (torna) La porta è srà.
leandro (getta
libri) Vari autori, libbre vinti.
balanzone (si getta
dalla finestra) Al duttor Balanson sol lir duzent cinquanta. (entra nel sacco)
notaro Zuccarino, è un corpo intiero.
25 balanzone Ah, pvret mi!
Ah, p’vret mi!
zuccarino Ah, ah, ah, ah, conosco adesso l’autore.
È il signor dottor Balanzone sciolto.
notaro Oh, questa è bella! Ah, ah, abbiamo
insaccato il padrone.
balanzone Ah, traditor in ste manira;
insaccar un duttor ch’ha sost’nù a i so dì più di zent’ mila conclusion?
leandro (si
leva dalla finestra) Mio padre nella strada! Lume, lume![25]
30 zuccarino Non posso più dalle risa.
balanzone Insaccar un duttor senza pruvar
nient! Insaccar un duttor senza far la proposizion! Insaccar un duttor senza parlar![26]
notaro La finestra è bassa, argomento che non
si sia fatto male.
balanzone Mo sa me v’livi
insaccar zuridicament, b’sugnava
argumentar innanz.
zuccarino Bisognerà trovare un mezzo termine per
circondarlo.
35 balanzone Ah, canaia, q’sì donc a insaccar la zent, e a n’ avì gnanch truvà
il mez termin?
notaro Ecco il lume, bisogna ch’io nasconda il sacco de’
libri.
leandro (vien
col lume). Mi par sano e salvo. Che dolore ho provato!
balanzone A’ m’ maravì
d’ to fatt, t’ n’ ha pruvà nient, a’ son stà
insaccà senza ca n’sun abbi
fatt gnanch un argument.
leandro Signor padre, ah, quanto mi pesa...
40 balanzone Oh, t’ è un asin trop zentil, s’ a t’ pesa
quand t’ n’ m’ ha gnanch cargà.
zuccarino Noi non lo possiam più.
leandro Via, cavatelo del sacco.
balanzone S’ a’ ‘i ho da
uscir dal sacc, a’ pretend d’uscirn in forma.
notaro Come vuole.
45 balanzone Ch’è l’ultim a dir a’
n’ è in sacc. Quest l’è la mazzor. (esce
dal sacco a poco a poco, e resta infarinato)
Al zud’s tra la zent
che litiga, l’è l’ultim a dir. Questo è la minor.
Ergo al zud’s n’ è mai in sacch,
e eccm’ for del sacch in
forma.
notaro È fuor di
cervello per consequenza.
zuccarino Bel fuggir che farebbe adesso mio
padrone.
leandro Signor padre, andiamo in casa.
balanzone A’ n’ vignirò mai fin a tant che a’ n’ ho recuperà la mi’ reputazion; int’al lug dov’a’ son stà insaccà, a’
vui insaccar i du argument cuntrari.
50 leandro Custoditelo, che vado a chiamar della
gente.
SCENA
VI
Balanzone,
Zuccarino, Notaro.
notaro Vada pure che
lo guardaremo.
balanzone M’ttiù donc all’ordin per disp’tar. D’zì ch’ materia avì studià, ch’ conclusion avì a ment, perché a’ ‘i ho lett, imparà, insegnà,
d’fes, stampà in tutt le scienze. D’zì s’a’ vulì disputar di filosofia, d’
m’dzina, o de lez. S’a’ vulì di filosofia, d’zì s’a’ vulì
ca ve prov cha vu in materia prima, o ca vu sii du atom; se a’
vulì de med’zina, d’zì s’a’ vulì
cha ve prov cha vu sii san o ammalad.
Si vulì di lez, d’zì s’a’ vulì
cha ve prov’ cha vu sii degn
de la galera o de la forca. Se vulì esser materia prim, d’zì s’a’
vulì esser materia sod o
t’nera. S’a’ vulì esser atom, d’zì s’a’
vulì esser aguzz o spuntà, tond o long, stort o dritt. S’a’ vulì esser san, d’zì s’a’ vulì
esser san di ment o di corp.
Se vulì esser malad d’zì s’a’ vulì
esser convalescent o sp’dì.
S’a’ vulì andar in galera,
d’zì s’a’ vulì andar a beneplazit o a vita.
Si vulì andar alla forca, d’zì
s’a’ vulì aspettar sabbat, o s’a’ vulì andar adess.
zuccarino Adesso sono un poco occupato, e sabato
non posso.
notaro Signor
giudice, andiamo a disputar in casa.
5 balanzone Qui dov vualter avì commess al d’lit d’insaccarm, qui avì da esser insaccà.
notaro Ma poi
tornerà subito?
balanzone Subbit, subbit.
notaro Signore, non
ci dà l’animo d’arrivarla, non occorre disputare.
zuccarino Ne sappiamo meno di lei, e siamo già in
sacco.
10 balanzone A n’ me bast q’sì. A’ vù ch’ vu a n’ sappia
men di me in forma, e ch’ s’ vu a n’ m’ savì arrivar,
se vegga int’la esperienz.[27]
zuccarino Ci vogliamo insaccare per contentarlo?
notaro Sì, per
finirla. Signor Dottore, noi entreremo in sacco volontariamente. Ecco.
balanzone In forma, in forma.
notaro Lei argumenti, che entriamo.
15 balanzone La proposizione
sarà, che vu donc a n’ m’ arrivà,
e a’ ne so più de vu.
zuccarino Come vuole.
balanzone S’ a’ v’ insacc, a’ in’ so più de vu; e vu
a n’ m’arrivà. Quest’è la mazor.
Che d’zì?
notaro Non
rispondiamo niente.
balanzone Intra donca in
sacch sin a mezza gamba.
20 zuccarino Ecco.
balanzone Ma za a’ v’ insacc. Quest’è la minor. Rispondiù.
notaro Niente.
balanzone Intra in sacc
sin alla zintura.
zuccarino Signor sì.
25 balanzone Donc adess a’ in so più ‘e
vualter. Intra in sacc fin
al col. E perché l’argoment l’è in forma, adess l’è ver ch’ vu a n’ mi p’sì
arrivar mai a vostri dì.
SCENA
VII
Zuccarino,
Notaro, insaccati.
zuccarino Oh merlotti che siamo stati!
notaro Signor
Dottore, distinguo, niego, contra.
zuccarino Non occorre altro, siamo in sacco in
forma, non l’arriviamo di certo.
SCENA
VIII
Leandro
e detti.
leandro Non trovo alcuno, che fate qui?
zuccarino Il signor Dottor poco fa fece l’asino
per via di sentenza, ed ora per via d’argomento ha fatto la soma.
leandro Furfanti, voi burlate quel povero
vecchio, e disprezzate ancora me. Se mio padre ha fatto la soma, io la voglio
arrandellare.[28] (li bastona)
zuccarino Ahi, ahi!
5 notaro Ahi, ahi!
SCENA
IX
Amaranto
e Fioretto.[29]
amaranto Vi chiamate dunque Fioretto, e sete nato
in questo luogo?
fioretto Per servirla.
amaranto Tanto che l’oste abbia preparato il pranzo,
conducetemi un poco a passeggiare questa vostra terra, che io giro pel mondo
per ritrovare ancora nei luoghi più ordinari qualche pascolo alla mia
curiosità.
fioretto Prenderò volentieri l’occasione di
lasciare la scuola perché non so troppo bene la lezione.
5 amaranto Che dovevate imparare?
fioretto Nominativo, hic poeta.
amaranto Imparate, Fioretto, questo nome, ma non
imparate la professione, perché l’esser oggi poeta è il medesimo che esser
l’oggetto di tutte le sventure.
fioretto È forse poeta Vostra Signoria?
amaranto Per mia disgrazia.
10 fioretto Come si chiama Vostra Signoria, poeta
per sua disgrazia?
amaranto Amaranto.
fioretto E dove va adesso?
amaranto Verso Fiorenza, dove sento che si trova
un ricovero alla virtù e particolarmente
alla poesia, a cui è stata sempre questa città grand’amica e gran madre.
fioretto Guardi, ecco appunto un fiorentino
ch’esce di quella casa.
15 amaranto Come si dimanda?[30]
fioretto Noferì del
Contrasto.
amaranto E abita in questo luogo?
fioretto Ci ha de’ beni e delle liti.
SCENA X
Noferì e detti.
noferì Nemica, ’ntendi
tue! Fruga nelle me braghe delle feste mobili, e to’ questa chiave della tasca
a mano manca, e va’ aprì quel usciolino a piè di scala, e guarda nella dispensa
sotto quella pentola a do maniche capovoilta che v’ha
da esser tre chiav[i], una mascolina, una feminina e l’ailtra neutra. To’
la mascolina, ch’è la chiave del bugigatolo delle stovigghie, e cerca po nella
pianella diritta della me’ suocera che v’è la chiavicina
d’i me’ scannello, e guarda vicino alla scritta d’i parentado della me’ prima
moglie, che v’è un rimasughiolo di provatura avanzata
a’ topi, e mèttela presto presto n’i tegame su la brace. Po, quando tu vedi che la fa
le fila, e tu la dipana, ch’i’ ne vo’ dar un gomitolo al me’ notaio. E to’ (moia l’avarizia), ne vo’ donar dù
gugghiate anch’a Maco della Rimbecca che mi vien a far il failso testimonio tuttavolta ch’i’ mi ghi
raccomando. Menich’, ha’ tu nteso?
La non si finisce ma co’ ’i procuratore,
ogni die mi costa quailche cosellina.
Ecch’ i’ ho saputo che gh’ho
comprato la cavailcatura per andare alla so grillaia,
i’ ghi vo far un presente della cavezza della me’
mula ch’ i’ scorticai. Pah! la messe da gh’occhi, ch’ i’ la tenevo per memoria di quella bestiola?
Ch’avea proprio proprio
anche lei un giudizio da dottore. Vo’ vede’ s’io ho preso qui’ fogghiolino ai quali ho da far la risposta all’offizio. Voglio recitar qualche sonetto a quel fiorentino.
Chi sa ch’io non guadagni seco qualche buon regalo. Fioretto, questo ferraiolo
mi pesa, tenetelo un poco per grazia.[31]
fioretto Volentieri.
Veramente quando lei l’ha adosso credo sia ben
aggravato.
noferì Gravato! Questo è un famiglio ch’ha
fatto delle catture, ed ha fatto un gravamento n’i ferraiolo.
amaranto Non ci vuole meno a chi batte la
campagna.[32]
5 noferì A il sentire gli è di campagna. Ma quil bambolino mi par di
castello. Pah, che peccato che quil
bel ragazzo abbia a far i’ birro anche lui.
amaranto Voglio parlarli.
fioretto Appunto ci mira.
noferì Canchita, e’ m’ accennano.[33]
fioretto Oh via, all’esecuzione.
10 noferì All’esecuzione! Oh vete quil porcheria se gli ha
imparato come va. Ohimé, l’hanno meco.
amaranto (s’accosta)
Servitor suo.
noferì Bondì, me’ padrone.
amaranto Ella è il signor Noferì?
noferì A so comandi.
15 amaranto Ha una buona cera e mi par molto
prospero.
noferì Oh che risuilt eghi a lui com’ i’ sto! Non è già lo sbirro che mi voil far un precetto da parte di medico perché i’ m’ammali.
Messer sì, i’ son lesto come un pesciolino, e così vecchio come mi vedete, i’
rodo ogni cosa.
amaranto Suppongo ch’ella abbia letto...
noferì Oh che mi cucugliate! Volete vo’ ch’i’ dorma in terra? Ma nel leto no, non vi potrete far nulla, perché i’ l’ ho toilt a credenza, e v’ha le
ragioni mastro Pialla legnaiolo finch’io non ghielo pago.[34]
amaranto No, no. Volevo dire
che suppongo ch’ella abbia delle cose del Petrarca...
20 noferì Nulla, nulla, canchita
a i sentire, i’ Petrarca ghi è morto fallito e so’
creditori si risentono. Ma ghi è spiovuto che e’ son già delle centinaia d’anni,
e a quest’ otta ghi è terra cavolina
lui e le so’ rede.[35]
amaranto Ella s’inganna, il Petrarca è sempre
vivo più che mai.
noferì Le so spie per questa
volta le so’ male informate. E’ dice ch’ i’ Petrarca è
vivo, eppure i’ nonno del me nonno dicea che non avea conosciuto nemanch’ i’
becchino che l’avea sotterrato.
amaranto Egli stesso dichiara di sopravivere dopo la morte, quando parlando della sua donna
disse:
«Spero per
lei gran tempo
viver,
quand’altri mi terrà per morto.»[36]
noferì Guate ribaldone, disonorato! E’ s’è
messo a far questo mestier anche doppo
che ghi aveva studiato? Se vi desse i’ cuore di far
ch’ i’ Petrarca fusse vivo, i’ vi vorrei far fare
Bargello di Firenze.
25 amaranto Io credo d’aver in tasca quella
citazione sua così nominata avanti la Ragione. La cerco adesso e gliela dò.
noferì Una citazione d’ i’
Petrarca! Pofar i’ mondo, vi mancherebbe anche
questa, ch’ i’ Petrarca fosse risuscitato per litigar meco.
amaranto (cavando
carte) Sarà forse forse questa. No, è la cattura
del Melosi.[37]
noferì Oh diavol
becco, ghi è il birro de’ poeti costui?
amaranto Non la trovo, ma la dirò a memoria.
30 noferì Noe, noe. In quanto a poi la citaizione
i’ la vo’ in foglio. Oh non vi mancarebb’ ailtro ch’ v’ avessi a citare a mente, noe,
noe, in foglio!
amaranto Veramente le cose voglion
esser sott’occhio.
Segnus irritant animos demissa per aves.
Quam quae sunt
oculis subiecta fidelibus.[38]
noferì To’, to’, to’. Anche
di latino e’ sapeva. Guate che peccato. Orsù finischiamla
una voilta; ghi è omai l’ailba de tafani, e gl’offizi a mana a mana saranno
aperti. Me padrone, i’ ho de’ negoizi, e i’ tempo mi
fugge, con so bona graizia.[39]
amaranto Aspetti. Dice che il tempo li fugge. A
proposito giusto, voglio legger a costui quel sonetto ch’io feci sopra l’oriolo
a polvere, dove scherzo sopra il tempo che fugge.
noferì Sbrigazion,
ch’ i’ me la coilgho.
35 amaranto Aspetti dico.
noferì E suona la campanna.
amaranto Vostra Signoria erra.
noferì I’ ho negoizi.
amaranto (lo
prende) Vostra Signoria erra se crede d’andarsene.
40 noferì Ho i’ a ire alle
buiose.[40]
amaranto (cava di tasca
una carta). Questo è
suo sospetto.
noferì I’ me sospetto! E’ m’hanno levato il sospetto di fuga, quando i’ ho da pagar
tutti!
amaranto Voglio lasciar il titolo per veder se
costui intende senz’altro ch’il sonetto è per l’oriolo a polvere. Senta.[41]
(legge) «Per trattener la fuga»...
noferì I’ non me n’andavo mica, veh.
45 amaranto «Per trattenere la fuga al vecchio errante»...
noferì A i’ vecchio errante! Anche di male
parole?
amaranto Errante vuol dire...
noferì Perch’ i’
ho sbagliato che le mi parean quindici ore e che
sonasse la campanna.
amaranto No, senta.
«Per
trattener la fuga al vecchio errante
ch’ogni cosa
quaggiù rose col dente»...
50 noferì Perch’ i’
v’ho detto ch’io rodo ogni cosa, io ho da entrar nelle stinche?
Non è egli meglio ch’io mangi ogni cosa perch’ i’
campi quel piùe e possa dar soddisfaizione
a’ me’ creditori?[42]
amaranto Intende poco Vostra Signoria.
«Racchiuso in
picciol loco, e trasparente
prigioniero starà»...
noferì L’è chiara, chiara e spiattellata. Io
non son già tondo come l’O di Giotto. E’ dice ch’ i’
non intendo. Il luogo piccino e trasparente l’è la prigione, perché chi v’è
dentro si vede dall’inferriata.[43]
amaranto E che non c’è ferrata?
noferì Oh misericordia! O
questa è l’ailtra. Ho i’ a star donca
‘l buio? Ma ascoltamo un po’. A istanza di chi è.
55 amaranto «Prigioniero starà ciascuno istante»...
noferì Ciascuno istante? I’ ho capito dunque male
a istanza di tutti. Corbezzole.[44]
Amaranto Seguo. O che pazienza!
«qui divorato
dal suo sovrastante»...
noferì Divorato da il soprastante? Cànchita, e s’hanno a vendere i debitori per carne, come le pecore al beccaio? Oh, questa l’è da pigliar colle molle.
amaranto Curiosa ignoranza! Sentite.
«qui divorato
dal suo sovrastante
nello stesso
venire è ogni presente.»
60 noferì Oh via, via. Non è
tanto male. Ma non è manco poco ch’ i’ soprastante abbia a divorar la carità e
presenti de’ poveri prigioni. Ma finalmente quanto c’ arò i’ a stare?[45]
amaranto «E qui misuri ancor l’età cadente.»
noferì C’ho i’ a ’ncanutire? Oh ch’ingiustizia marcia, quando noiailtri vecchi abbiamo i nostri privilegi beghi o buoni
di non poter morir nelle stinche. Ma ascoltatemi in
grazia. Non potrò i’ vender do zolle ch’i’ ho per pagare?
amaranto Ma il senso fenisce
qui.
«La terra
imprigionata all’uomo avante.»
noferì La terra imprigionata
innanzi? Capperi! E mi hanno donche catturato personailmente con un ailtro
sospetto di fuga i’ me’ campicino, e hanno messo a
bacio anche lui. Oh, che leggiaccia scommunicata![46]
65 amaranto E sentite in buon’ora.
«E qui misuri
ancor l’età cadente
la terra
imprigionata all’uomo avante.»
noferì I’ sent’, i’ sento. Oh, ma più, e ai dì de’ nati! Ma quant’ha
ella a durar questa vostra cantilena stucchevole? Vo’ mi fate venir l’uggia.
amaranto Già che mi so’ messo a leggere convien
finire, Qui ì, cioè in questa
prigione.
«Qui sott’il filo
all’uom tronchi la vita.»
noferì Il filo tronchi la
vita! Anch’impiccato per debito?
amaranto Mi faresti disperar.
70 noferì Oh se vo’
m’impiccasse per disperazione, i’ ne vo capace, ma i’ per debito![47]
amaranto Non vuol dir codesto.
noferì Orsù sentian i’ resto, via sentiamo.
amaranto «E quando il suo morir sarà ch’appresti.»...
noferì I so’ morir sarà capresti! E vuoi pur dir impiccato ‘n tanta malora. Io non
so’ mica sbalordito, veh. Oh, guai a me, meschin a
me, e non accade legger piùe ch’i’ son ascoilto.
75 amaranto Qua giù sta il resto:
«L’alma fuor
di prigion avrà l’uscita.»
noferì Come, come! Un’altra voilta. Di graizia, la mi
favorisca di rilegge qui’ versicino.
amaranto «L’alma fuor di prigion
avrà l’uscita.»
noferì Oh veh, che ha quailche giurisdizione anche nell’ailtro
mondo questo giudice.
amaranto Come dice?
80 noferì Se l’anima ha d’aver
l’uscita, e’ vuoil significare che pe il medesimo debito l’anima mia
sarà condannata anco alla cacaiola. Ma non si sarebbe eghi
modo d’aggiustarla con quailche cosellina?[48]
amaranto Badate che siamo al punto.
«Tu col
presente riparar potresti
a morte ed
alla tua giornal partita.»
noferì Beil bello. La si
può dunque aggiustar con qualche cosellina!
amaranto Sì, voglio dire che con lo spender bene
il presente...
noferì I’ ho intese, e non
solo la morte. Ma i’ sbatterò anche la partita de’ me’ creditori. Non accad’ ailtro, i’ ho capito.
85 amaranto Mi manca l’ultimo verso, dove sta il
pensiero.
noferì Sentiam un po’ il so
pensiero, e quei che pretende di cortesia.
amaranto Dico.
«Et alla tua giornal partita
basta ch’avezza la memoria resti!»
noferì Vuò, vuò, com’ i’ la saildo con non
nulla. «Cavezza la memoria presti.» E
vien a dire: ch’ i’ ghi presti la cavezza ch’ i’
tengo per memoria della me mula.
amaranto Ha pur inteso Vostra Signoria?
90 noferì Io ho inteso a un
pontino, e i’ so’ prontissimo. La ringrazio del favore e gliela dò liberamente
acciò se ne serva a so gusto che la può anco bisognare alla so professione. (gli dà la cavezza in volta) Me padrone, ho fretta. Oh, questa volta
sì ch’ i ne so’ uscito pel bucco dell’acquaio![49]
SCENA
XI
Fioretto,
Amaranto.
fioretto A mezzo, a mezzo.
amaranto Ne farò parte ancor a te. Il pover uomo non ha inteso. Ma tanto s’è mostrato generoso.
Fioretto, la virtù trova sempre la sua mercede.
fioretto Vediamo che cos’ha.
amaranto (a
parte) (Per non crescer la voglia a Fioretto d’aver qualche parte di questo
regalo, indugerò a spiegare l’involto finché io sia dentro all’al-bergo). Orsù Fioretto, seguiamo a camminar per la terra.
5 fioretto Pur che non si cammini per aria, io son
con voi.
SCENA
XII
Leandro,
Notaro.
notaro Signor
Leandro, io non la voglio guardar a’ miei giorni in
due bastonate meno. E già che ho perdonato all’agozzin
di galera che me n’ha date migliera a conto di quel
rogito che avevo fatto sotto il 30 di febbraro,
perdono questa dozzina ancora a voi.[50]
leandro Fu tratto più di confidenza che di
disprezzo. Compatitemi, la collera mi prese. Ma ohimè! Ancor mio padre non si
trova?
notaro Non stia più
sopra pensiero. Il signor padre si troverà, e si troverà modo ancora che egli
non possa più uscir di casa.
leandro Intanto egli si fa la favola del paese.
5 notaro Che vuol
fare! Dei matti e dell’impiccati ciascun ne ha alla sua porta. Piuttosto chi lo
vedrà gli averà compassione e cercarà
di ricondurlo a Vostra Signoria.
leandro Quest’accidente tronca il filo a tutti i
miei disegni. Voi sapete, signor Notaro, ch’io pensavo già d’accasarmi con la
signora Isabella figliuola del signore Noferì e che
ancor ella applicava alle mie nozze.[51]
notaro Voi avete il padre
impazzito per dar sentenze e avereste il suocero
impazzito per litigar, del restante sarebbe una gran carità il maritar quella
povera fanciulla prima che suo padre scialacquasse nelle liti quel patrimonio
che doverebbe servir per la sua dote. Né il signor Noferì non può sfuggir il vostro partito.[52]
leandro Il signor Noferì
la vuol maritar al suo procuratore per non spender in avvenire nelle sue liti,
ed io son disperato perché il padre non mi dà orecchio.[53]
SCENA XIII
Notaro,
Leandro, Balanzone infarinato.
balanzone Ah, l’ho fatto un asin,
e a’ n’ i ho dà gl’urecc? Quest’è ’l prim’ error
ch’a’ ’i ho pres a me dì.
notaro Se la signora Isabella è d’accordo con
voi, questo vi basti.
balanzone Basti! L’è il bastir cha tratta di pìar la mesura a me fiol.
leandro E per questo che Isabella vuol sposarsi
con me. Io voglio difenderla della violenza di suo padre. E quando non vi sia
altro rimedio, col Procuratore io la disputarò col
ferro.
5 balanzone Anch l’ha in la
testa delle lit; e dis
ch’al vol disputar cun al fer e tirar di calz al
procurator.
notaro Lasciate fare a me,
che con le buone ancora la vinceremo. Pensaremo a
qualche strattagemma, e il procuratore se n’andarà
con la testa rotta.[54]
balanzone Ma l’andrà con la test
rott sicur; e s’al romp la testa del procurator, la zent
non potrà litigar, e a’ n’ potrò dar più s’ntenz, qsì a revoc’adess
la s’ntenz d’asnità che a’ ’i ho dà conter me fiol. Al restitiuisch alla pristin umanità, convertend al
rai in risibiltà, al bast int’la toga, la paia int’ ’l pan,
l’acqua dal pozz in vin de Montepulcian.[55]
leandro Ma ecco mio padre. Signor padre, dove
va?
balanzone A’ zudicar, a dar
s’ntenze, a tor via tutt le liti al mondo.
10 leandro Ma a giudicar, così infarinato?
balanzone Infarinà. Me, infarinà? Me, cha son fundà, profundà, impastà, compst, identificà in tutt le facultà, t’ha detto infarinà?
leandro Infarinato nella toga.
balanzone Infarinà int’la toga? A’ ’i ho sostnù conclusion publich dl’una e dl’altra lezz’ in coppa me mader? A’ ’i ho
fatt vinzer <int’un> subbit, subbit ch’a’ sun
nat una causa alla me balia cha mi truvò una s’ntenz in favor denter al filel? Ch’al prim dì ch’a’ parlà
a’ fè tant
dezision, che con qle sportul di qui’ dì a’ fè marito la me balia ch’era putta, e a te par infarinà?
leandro Non s’affatichi; già ognun sà che ella è il giudice nominatissimo, e che in materia
legale...
15 balanzone A n’ sol int’la
materia legal, ma a’ son zud’s competent in tutt l’ materi, in tutt le scienz. E al dis ch’a’ sun
infarinà. A’ sun duttissim in la grammatica, e innanz
d’ me verton l’ differenz
cha rifferiss Luzian tra ’l
sigma e tau. Innanz d’ me le differenz
d’la rettorica tra Zizeron
e Quintilian intorn al stil
asiatich e al stil laconich.
Innanz di me le differenz
dell’istoria tra Livi e Salusti intorn
al prinzipat dell’istoria rumana.
Innanz di me tutt le differenzi
d’la mitologia tra le besti d’Esop.
Innanz di me tutt le
differenzi d’la poesia per cont d’ furt fatt da Verzil
a Umer. Int’l’eroica de
Seneca e Sofocle int’la trazica;
da Plaut a Aristofan int’la comica; da Urazi a Pindar int’la lirica. Da Sannazar a Teocrit int’la buccolica, e ti dis ch’a’ sun infarinà?
A’ son ductissim int’la
filosofia. A’ ’i ho da zudicar tra Platon e Aristotele se si dia l’idea o no; int’la logica tra Purfirii e Averruè; s’al zollessim abbia tre
o quatte part; int’la fisica tra Democrit
e i peripatetiz sa si dia la materia o i atom; int’la metafisica tra
Zabarella e Nifo intorn’alla chimera; int’l’ etica tra Seneca e Epicur s’ la felizità stà int’la
virtù o int’al piaser. Int’l’ animastica tra Pittagora e Anassagora, se l’anima passa da una bestia
all’altra o se la vegn’ da una ment,
e ti dis ca i’ son infarinà?
A’ son versatissim int’la munastica e son zudise delegà tra Apollonio Tiane e Diozene Zinie per defnir s’al filosuf sulitar abbi da trattar semper cum se stess,
o qualche volt cun de alter. A’ son zud’se delegà
int’l’ economica tra Plutarco e La<erzio>(?) per def’nir
s’a’ da più frut la
mercatura o la coltivazion. A’ son zud’se delegà int’la
politica tra Tazit e Zust Lipsi per def’nir s’al prenzip decì ubedir
alla razon de Stat o alla zustizia.
A’ son zud’se delegà int’l’ agricoltura tra Columel e Tremellio per def’nir s’ la terra
invecchia e sterilìs c’mod
fa fem’na. A’ son zud’se delegà int’la m’dsina tra Parazels e Galen per defnir s’al simil s’
cura cun al so simil, e al cuntrari
cun al so cuntrari. A’ son zud’se delegà int’la
farmazia tra i galenist e ermetizi par defnir sa le m’dzine sta tra minerai o tra i vezetabil.
A’ son zud’se delegà int’l’ anocomica tra i moderni e i antichi per def’nir s’al sangu s’a’ faz
int’al fegat o s’al circula, e ti dis ch’a sun infarinà? A’ sun versatissim int’l’ astronomia e mi ho fatt zitar a s’ntenz Tolomeo e Copernic par pronunziar s’al zenter
del mond sii al sol o la terra; l’ho fatt zittar a s’ntenz int’l’ astrologia Zoroaster e Arat par pronunziar s’ ’l cumet sian segn liet
o funest. A’ ’i ho fatt
zittar a s’ntenz int’la fisonomia
il Port e Niquet par pronunziar s’a’
si possa mei presazir ad futur dell’acqua o dal fugh. A’ ’i
ho fatt zittar a s’ntenz int’la negromanzia Cornell Agripp
e Parazels par prununziar
s’al diavol ha più virtù int’la
sconzurazion o ind’i zizilli. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenza int’la cabala Pico della
Mirandola e Caramuel par prununziar
s’i nom posson aver significat. A’ ’i ho fat zitar a s’ntenza int’la matematica Archimed e i
moderni per prununziar s’al mond
si possa metter a lieù. A’ ’i ho fat
zittar int’la zeometria
Euclide e Obles par pronunziar intorna
la proposizion duplicà. A’ ’i
ho fat zittar int’la
statica Galileo e Guid Bald
par pronunziar s’i element sian
più grav int’el zenter. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenza int’la zeografia
Tolomeo e Strabon par prununziar
sopr’ l’opnion d’ Antipod.
A’ ’i ho fat zittar a s’ntenz
int’la fortificazion conte
Pagano e ’l cavalier Trisim
par difinir s’a’ defenda mei la fortezza la fossa bagnà
o fugà. A’ ’i ho fat zittar
a s’ntenza int’la bellica Vegezi e Fratin par pronunziar s’a’ sia più inzegnos ’l machin o i strattazem. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenza int’la nautica Dedalo e Tisi par pronunziar sa ’i è più sicur int’al mar i rem o ’l vel, e ti dis cha son infarinà? Infarinà Balanzon, che è zud’s d’ultim appell tra i Cartes e Vitellion int’l’ ottica per dichirar se la
vista se forma denter o for. Infarinà
Balanzon, che è zuds d’ultim appell tra Sest Empirich e Massim Tiri int’la musica per dichiarar s’ la ordena
i affetti o li disordina? Infarinà
Balanzon, che è zud’s d’ultim appell tra Vetruvi e Michel Angel int’l’
architettura sopra le differenze d’ fabricar in terra
o in aria? Infarinà Balanzon,
che è zud’s d’ultim appell tra Diofante e il Viera int’l’ aritmetica per dichiarar sopra le differenzi d’la numeral e d’la speziosa? Infarinà Balanzon, che è zud’s d’ultim appell
int’l’a lzebra tra Zucarin e ’l Nutar per mostrar quant grane li entran in du sacch,
e ch’a’ vul mustrar tra lu e vu du quant para fan tre bù.[56]
leandro Già sapevamo.
balanzone A’ t’ ment per la
gola, a n’ savì nient e a
n’ potì saver nient perch’a fin ch’al duttor Balanzon
al n’ ha definì in tutte ste materi, tutt ’l mondo l’è un grandissim as’ne.
leandro Volevo dire...
balanzone Asp’tta a dir, ch’a’ ’i abbia decis tutt la lit d’la rettorica per saver più particular
in ch’ stil avì da parlar.
20 notaro Oh, signor dottore, per dirle la
verità...
balanzone Asp’tta ch’a’ ’i abbia definì int’la filosofia
per saver la verità qual la sia.
leandro Ma vorremmo...
balanzone Asp’tta a vuler dopp ch’avrò decis int’la mural per saver il ben dal mal.
notaro Signor Leandro, non c’è rimedio.
25 balanzone Asp’ttà ch’a’ ’i abbia sentenzià int’la m’dzina per truvar el remed
second la duttrina.
leandro Cieli!
balanzone Asp’ttà
l’astronomica decision per parlà
d’ ziel con più rason.
notaro Indovinala tu...
balanzone Asp’ttà che su la
fisonomia abbi sentenzià, sa v’lì indovinar quel che
sarà.
30 leandro Noi ce n’andiam...
balanzone Asp’ttà che d’la zeografia a’ decida se v’lì andar
per al mondo senza guida.
notaro E piantamolo.
balanzone Asp’tta cha
d’agricoltura dia la s’ntenz per saver al temp dal temp dal piantar e d’la smenza.
leandro Ma quanto vuol durare?
35 balanzone Asp’tta ch’
definisca int’la mattematica
e a sav’rè intant c’mod la duro la misura dal quant.
notaro Ma come diavolo...
balanzone Asp’tta ch’a’ pronunzia int’la negromanzia
per saver s’al diavol è più brut o più bel di quel
ch’al fan cun al p’nel.
leandro Venga a casa una volta.
balanzone Asp’tta ch’a’ dizida int’l’
architettura per parlar d’la volta cun la so misura.
40 notaro A casa, ch’ormai è tempo.
balanzone Asp’ttà che d’zida int’la sol, fa, mi, re per
saver giust al temp qual è.
leandro Noi siamo due ed egli è solo,
prendiamolo.
balanzone Asp’ttà ch’ d’zida int’l’ aritmetica cun vostro malan (lo vogliono fermar) per saver du e un quant fan... In malora, fermev.[57]
leandro Si contenti di venir in casa.
45 balanzone A’ b’sogna prima
tornar ch’a’ dia s’ntenz in
tutt le differenzi ch’avì
sentì par ch’al mond ti pol
più star in st’ dubbi.
leandro Ella sa che io ho incominciato a
giudicare e però toglierò io stesso qualche fatica a Vostra Signoria con dare
alcune di quelle sentenze. Ma venga intanto con noi.
balanzone A’ t’ bast l’an’m di sentenziar in st’ materie?
leandro Sicuramente.
balanzone S’a’ t’ bast l’an’m a’
m’ quit a fat, e a’ t’ dò parola di vegnir in ca’.
50 leandro Veda in che materia vuol ch’io giudichi.
(al Notaro). Notaro, avvertite che
non fugga.
notaro Lo tengo per un manicone
della toga.
leandro Ed io per l’altro.
balanzone A’ vui dar una materiola fazilina, fazilina da zud’s prinzipiant.
leandro Quale vuole.
55 balanzone A’ vù ch’ t’ d’zida qui presto e po andarem a ca’. Quant para fan tre bù?
notaro Oh via, signor Leandro, la materia è
facile assai.
leandro Signor sì.
balanzone Ma perché al zud’s
anch int’le cos de nient n’ decì aver passion né interess, a’ b’sogna serar
gl’ucci in faz ale raccomandazion, ai regal, e quest a’ desì far al nutar par scriver al ziust, al ret. E per quest tutt i m’nister della zustizia han d’aver i ucci s’rà
c’mod l’ tra lie.
leandro Abbreviamola, che s’ha da fare?
60 balanzone Serra i ucci ti e
al nutar.
leandro Per tutto il solo tempo della sentenza?
balanzone Basta.
leandro Poi, verrà in casa?
balanzone Vegn’rò subbit.
65 leandro Signor notaro, diamo dunque questa
sentenza con gl’occhi chiusi.
notaro Ma con le mani intente alla toga.
leandro Così farò. (si bendano gl’occhi tenendolo per la toga).
balanzone Bon. I donc adess fo istanza da part d’ tutt
l’aritmetiz per la s’ntenz
perentoria sovra lit ca vert
quante para fan tri bù.
leandro Notaro scrivete. Tre buoi sono un paro e
mezzo.
70 notaro Non mi son rogato a miei dì di cosa più
vera.
balanzone E mi a’ n’ho
sentì s’ntenz più spropusità.
leandro Come! Eh, signor padre!
balanzone Ferm; ferm. Sentì adess a si vui far veder in fat l’error ca t’ha pres. D’zì per esempi q’sì: al zud’s l’è un bò.
notaro Bene.
75 balanzone Un bò Leander, un bò al nutar, adess
guarda ben, ch’ sti tri bù resta un par. (si sfibia la
toga, e gli lascia con la toga in mano).
leandro Veramente n’abbiamo saputo pur poca. (si sbendano).
notaro Se siamo buoi, non siam tenuti a saperne
più.
Fine
del primo atto
ATTO SECONDO
scena
prima
Amaranto,
Fioretto.
fioretto Ecco girata tutta la terra. Dica un po’
signor Amaranto, ella che ha veduto tanto paese, chi è più bella, Scarica-l’Asino o Roma?
amaranto A te parebbe più
bello Scarica-l’Asino, poiché la propria patria a
tutti par più bella di Roma. E forse gudicaresti
ancor bene che se quella gran città ha più diletto per l’occhio, questo picciol luogo ha più diletto per il cuore.
fioretto A Roma ci sono delle castagne?
amaranto Purtroppo quivi ogni cibo è di quella
sorte, perché ogni boccone per saporito che sia va ingoiato con molte punture.
5 fioretto Dunque si mangiano le castagne coi ricci,
eh? Cappita! Bisogna che abbiano le budelle foderate![58]
amaranto Dove è corte, bisogna aver foderato anche
il cuore. Ma chi è questa donna?
fioretto Si chiama la signora Urania Mignatta, che
anderà forse adesso al procuratore.
amaranto È ricca?
fioretto Di molto.
10 amaranto (a
parte) (Potessi cavar di mano qualche cosa ancora a costei). (a Fioretto) Ritiriamoci.
SCENA
II
Bettina,
Urania, e detti da parte.
bettina Uh, signora, lei la mattina si leva
avanti giorno, e non finisce manco di vestire. Guardi questa camicia nel collo
come si vede.
urania Ti dirò. Io consumo adesso le camicie
de’ miei mariti, e però m’arrivano al collo come tu vedi. Non importa.
amaranto Tu mi dighi
dunque che ha aùto due mariti?[59]
fioretto Due, signor sì.
5 bettina Ma che ha bisogno di risparmiare
Vostra Signoria se è tanto ricca?
urania Ricca di vero, poverina! Con tante
liti addosso.
bettina Ma quante sono queste sue litaccie?
urania Quanto c’è di buono son ridotte a
poche, perché io ora non ho altre cause vive che una co’
miei fratelli, una co’ miei figlioli, una con mio
padre, e una con mia madre.[60]
bettina Ma non è peccato litigar con questa
gente?
10 urania Peccato è il suo, traditori, che mi
fanno tribolare.
amaranto Dunque è ricca assai?
fioretto Assai, ma è avara come il diavolo.
amaranto Voglio comporre alcune ottave
all’improvviso in sua lode. La donna è di natura tanto ambiziosa quanto avara.
La sollecitterò con un poco di gloria per moverla a qualche mercede.
bettina Ma che pretendono in tutto in tutto?
15 urania Ti dirò, Bettina mia: loro veramente
vorrebbero assegnarmi la casa co’ mobili come tu sai,
e quattro poderi nel Piano. Loro vorrebero pagare i
salari, mantenere due mule con la lettiga, pagarmi tutti i medicamenti e danni
25 scudi il mese.
bettina Oh che vorrebbe, Signora, se sta come
una prencipessa?
urania Hanno messo nell’accordo una condizion troppo grave. Essi mi danno tutte le cose che
t’ho detto, benché io non possa pretender tanto. Ma vorrebbero che io li
lasciassi stare in pace e che non potessi più litigare con loro. Ti par poco,
eh, Bettina, ch’io non abbia a poter più litigare?[61]
bettina Ma questo è l’accordo.
urania Bell’accordo, obligar
una povera donna a non poter più litigare.[62]
20 bettina Ma che pretende Vostra Signoria?
urania Litigare, Bettina.
bettina Quant’è che lei litiga?[63]
urania Cominciai da nove anni a litigar con
la maestra, perché voleva che noialtre ragazze non litigassimo insieme. Poi...
bettina Signora, chi sono quei due?
25 urania Quando si discute di liti non si bada
altrove, monninella; quell’è gente che sta pe’ suoi
fatti. Orsù è già tardi io m’avvierò al giudice, e tu vai dal signor Dottore, e
portali questa scrittura della mia dote. Digli che io ho falsificato quel
numero come restaremo per far la dote trecento scudi
più, e portali cotesta cosa ch’io t’ho detto.
bettina Signora, quello scrive e ci mira.
urania Bada a quel che ti dico del
procuratore. Digli così nel cercare le bazzecole dell’ultimo marito che era
cacciatore v’ho trovato della munizione avvanzata, e
che sapendo che alle volte lui va ai balzelli, gliene fo un presente.[64]
bettina Eh, signora,
a quel che piglia la mira i procuratori non so se questa poca di munizione gli
servirà.
amaranto Due mariti, è vero?
30 fioretto Due.
urania Ti dirò. Sai che c’è la proibizione
di tenerla, e che della polvere c’è l’appalto. Però questa è forestiera, me la
voglio levar di casa.
amaranto Dammi della polvere.
bettina Signora, quello che scriveva dice non
so che di polvere.
urania Sarà qualche spia. Meschina a me!
35 amaranto Polvere, ogni poca basta.
bettina Dice che ogni poca basta.
urania Sicuro ch’ogni poca basterebe per farmi pagar la pena.
amaranto Non occorre altro, ti ringrazio.
bettina Dice che non occorre altro, e lo ringrazia.
Quel ragazzettaccio ha fatto la spia.
40 fioretto Il guadagno a mezzo.
urania Il guadagno a mezzo?
Sicuro ch’è una spia, andiamo, andiamo.
amaranto Signora, la riverisco.
urania Serva. (a Bettina) Bettina, mettila sotto bene.
amaranto Quanto la compatisco!
45 urania Che spia misericordiosa!
amaranto Io ero servitore dei suoi signori mariti.
urania Questi servitoracci
stanno per le case, e poi fanno la spia ai padroni. Sicuro costui c’ha servito
e sapeva il negozio della polvere forestiera. Ma non mi parè
che siate stato mai in casa nostra?
amaranto Conviene che finga d’esser stato amico del
primo marito per introdurmi. Signora, lunghi viaggi e li stenti mi fecero
alterare quei caratteri che ella ricerca.
urania Io non ricerco caratteri alterati, né
m’importa se l’aviate fatto per bisogno o per
viaggiare. E che necessità avete di viaggiare?
50 amaranto Ricercare in qua, là...
urania Ricercare in qua e là? A casa sua
forse il guadagno delle spie dev’esser poco.
amaranto Degli amici tra i quali erano i miei più
cari il suo ultimo consorte. (a parte)
(Mi voglio disintrigare.) Signora, mi vien da piangere
quando ci penso. Che tratto cortese, che fedeltà, che amorevolezza! Il pianto
non mi lascia dir più.
urania Si mette la mano agli occhi lo
sciagurato per osservarmi meglio.
amaranto Sono inconsolabile.
55 urania Ma se me ne sono data pace io, che
era la sua moglie ve ne potreste dar pace ancora voi.
amaranto Tutti non posson
aver la sua virtù.
urania O virtuosa o no, non so quel che fate
voi.
amaranto Signora, non mi so contenere. Giovanetta,
contentatevi ch’io m’asciughi al vostro fazzoletto, ch’il mio l’ho lasciato in
casa.
urania No, no, Bettina. Sentite sciagurato
con che scusa voleva far cavar fuori il fazzoletto per trovar la polvere. Ma
ora ce lo voglio prendere. Dite un poco, che scrivevi or’ ora quando ci miravi?
60 amaranto Voglio palesare...
urania Oh sfacciato, non si vergogna di dirlo. Ma..., e perché fate queste cose?
amaranto Il desiderio di viver lungamente m’ha fatto applicare a dare in luce tutto quello ch’io so di lei in un libro intiero, di cui questo sarà il principio.
urania Un libro intiero!
Sicuro che potrà viver lungamente a mie spese. O meschina a me! E che v’ho
fatto?
amaranto Altr’ obbligo non mi muove a ciò, che della
giustizia.
65 urania Ma
per fare un libro intiero non potete dir alla
giustizia se non delle bugie.
amaranto Tutta verità. Senta.
«Io vo’
cantare, e molte cose io voglio
render
d’oscura donna al mondo note.»
urania Dice che vuol cantare e far la spia a
un’oscura donna cioè a una povera vedova. Ma sin’ora
della polvere non c’è niente. E che non lo può sapere.
amaranto «Ciò che ridir si può, quivi raccoglio,
e perciò
guadagnare assai si puote.»
urania Io l’ho che, per ridir le cose,
questa volta voglia guadagnar poco.
70 amaranto «Chiaro al mondo farò quant’è sua dote.»
urania Oh meschina a me! Sa il negozio della
scrittura falsa della dote. Oh, ora sì che son rovinata.
amaranto «E quanto ha di viril
nel suo cordoglio.»
urania Oh, che gl’importa poi se io porto le
camicie de’ miei uomini col cordoglio. Non so che ci sia bandi che lo
proibiscono. Di questo me ne rido. Basta che non ci metta della polvere.
amaranto «E come Libitina...»
75 urania Chi dice di Bettina? Ora m’aspetto
della polvere.
amaranto « In grembo involve
gl’avanzi dei mariti in tanta polve.»
urania O poverina a me, che so’ a accattare,
se si sa il negozio della polvere e della scrittura falsa! O poverina a me, che
so’ a accattare! Ma che pretenderesti per non dir altro?[65]
amaranto Non si cura dunque ch’io dica più?
urania Non me ne curo davvero. Dite, che
pretendete?
80 amaranto Che avarizia con la virtù e coll’istessa
fama di se medesima. Signora, io son contento che ella
mi dia per mercede quel medesimo ch’ella aveva destinato pel procuratore, in
questo giorno. Meno d’una piastra non può essere e una piastra per un ottavo mi
può bastare.
urania Ma stracciate codesta cosa e non dite
niente di me.
amaranto La straccierò. (a
parte) (Le donne insomma non
intendono), e non parlerò niente
di Vostra Signoria. (li dà un’involta)
urania Pigliate. Questo portavo al
procuratore. Ma di grazia non parlate.
amaranto Così prometto.
85 urania Addio. V’ho dato una cosa secondo il merito
della vostra professione onorata. Bettina, andiamo.
bettina Andiamo.
SCENA
III
Amaranto
e Fioretto.
fioretto A mezzo, a mezzo.
amaranto Ne sarai
a parte. Che mai può essere second’il merito della mia professione?[66]
fioretto Mi pare una cosa dura.
amaranto Sarà qualche zampogna pastorale. (cava un corno da polvere)
5 fioretto È un corno, e un corno civile ancora.
amaranto Oh donna indegna! Sesso dispreggiatore
della virtù; questa mercede a chi ti loda!
fioretto Qui non solo non ci voglio entrar a
mezzo, ma neanche nella quarta parte. Vediamo quest’altro, disse il Fiorentino,
che era cosa che poteva servire ancora alla professione di Vostra Signoria. Mi
pare una cosa come corda.
amaranto Forse, o da cetere o da lire!
fioretto Signor no, da asini. È una cavezza,
questa ancora ve la lascio tutta.
10 amaranto Tali ingiurie alla poesia! Non son Amaranto
s’io non mi vendico. La penna è la spada dei poeti, che sa fare eterne ferite.
E l’inchiostro loro adirato è un balsamo velenoso che sa dar vita ai suoi
nemici per farli sempre morire.
SCENA
IV[67]
Leandro
in abito di Dottor, Notaro in abito di messo.
notaro Crediatemi signor
Leandro, che con cotest’abito e con coteste bafete voi parete un dottor naturale.
leandro Mi dispiace di non ricordarmi di quattro
parole latine.
notaro Quanto meno sapete di latino tanto più
siete simili a’ nostri dottori moderni. Via, fatevi
animo e non pensate più adesso al signor padre, che già vien ritenuto dal
nostro pizzicaiolo in una camera, e questa sera lo
condurremo a casa.
leandro Mi dispiace che il pizzicaiolo
fa la bottega ancora dell’osteria, e che perciò mio padre sarà sentito da molta
gente. Pure l’esser egli già stato fermato mi toglie l’apprensione del suo
pericolo e mi lascia in qualche libertà di servire in questa maniera a’ tuoi capricci.
5 notaro Anzi di servire ai vostri fini. Ditemi,
ho io faccia di sbirro?
leandro Più che di notaio assai assai. Ma intanto cosa dobbiam
fare?
notaro Fidatevi di me. Fate voi per la parte
vostra quanto vi ho detto, e non dubitate. Datemi quella carta che voi mandate
alla vostra sposa, e non pensate ad altro.
leandro Et a voi da l’animo di dargliela in
propria mano? Non vi riescirà. Il padre la tien troppo guardata.
notaro Noferì ha delle liti, fingerò di portare
una citazione adesso che non è in casa. E così Isabella averà
la lettera senza dare osservazione ad alcuno.
10 leandro Sapete che il pensiero non mi dispiace.
Ma a qual fine volete ch’io mi finga commissario dell’Annona di Bologna?[68]
notaro Perché Noferì
ha già cognizione di tutti gli ufficiali del paese, e così perch’ei
non ci riconosca, in caso che in questo tempo ritornasse, convien che vi
fingiate officiale straordinario, come pure mi fingerò io messo forastiero. Adesso a punto che si teme di carestia, e che
quel magistrato vuol riconoscere il numero delle bocche e lo stato delle
raccolte, la finzione porta seco del verisimile.[69]
leandro E credete che con tal pretesto entreremo
in casa del signor Noferì?
notaro Non ne dubito. Siate attento a tutti i
cenni che vi farò e adoprate la solita accortezza.
leandro Studiatevi di mutar ben la favella.
15 notaro Terrò sotto la lingua questa piccola
noce d’India per alterare il suono alla mia voce.
leandro Questa è la lettera.
Isabella gentile
Lettera
Assicurato
dalla vostra corrispondenza vi assicuro d’esser vostro. Ma pure anderanno in lungo le nostre nozze, se non gettate dalle
finestre quel vecchio scemo che è contrario al mio partito. Per concludere il
tutto, bisogna che trattiamo a bocca.
Vostro
servitore obbligato e amico,
Leandro
notaro Quel dar del matto a suo padre e
volerlo gettare dalle finestre mi par troppa confidenza.
leandro È uno scherzo. Orsù, mi nascondo qui
vicino.
SCENA
V[70]
Notaro,
Isabella dalla finestra.
notaro Batterò.
isabella Chi batte?
notaro Amici. Questa è la voce d’Isabella.
isabella Di chi dimandate?
5 notaro Signorina c’è una certa citazione, se Vostra Signoria volesse far grazia...
isabella Oh scusatemi, non m’intendo di queste
cose. Aspettate il signor padre, la potreste dare a lui.
notaro La citazione viene a Vostra Signoria.[71]
isabella A me? Voi avete sbagliato l’uscio. Se
tutti litigassero come fo io, sareste meno grassi voialtri, canaglia. Andate,
andate.[72]
notaro Sentite.
10 isabella Non vo’ sentire, dico.
notaro Non è quello che credete.
isabella Dico di no; andate pe’ vostri fatti.
notaro È una lettera.
isabella Niente, niente.
15 notaro Ma leggete!
isabella Dico che ve n’andiate, che vi tirarò il mortaio in capo.
notaro È una lettera del signor...
isabella Non so di signori, né di
signore. Menica, dammi il mortaio.
notaro
Del signor Leandro.
20 isabella Di che signore? Dite piano.
notaro Del signor Leandro. Ma già che non la
vuole la riportarò.
isabella Sentite, sentite.
notaro Non voglio mortari
in capo.
isabella Eh, pensate. Non l’ho manco in casa, mio
padre è tanto misero che fa il savore nella
tabacchiera. Adesso scendo, non ve n’andate, veh.
25 notaro Questa giovine è più lieta di suo padre,
e starà ben accopiata col signor Leandro.
isabella Non ve n’andate. Eccomi. (esce)
notaro La riverisco. Lei non mi conosce.
isabella Uh, signor notaro, a dir che siete voi?
E chi vi riconoscerebbe?[73]
notaro Ecco la lettera.
SCENA
VI[74]
Noferì, e detti.
noferì I’ so’ stato dai procuratore per fa’
liberar dalle stinche quella mia Podepina
che m’ha detto qui’ birro, che l’era imprigionata all’uomo avante.
Ma l’è stata bianca perch’ i’ non gh’ho
portato l’imbeccata e m’ha fatto di’ che gh’ha le
gotte. E fanno sempre così quand’ e’
clientoli non muovon le mane, gh’hanno
la gotta a’ piedi. Insomma costoro e non ghi riempirebb’ Arno colla piena.
Ma i’ so com’ i’ ho a fare. I’ ghi vo’ da’ la me Isabella, e mettemel’
in casa per aver i procuratore a me’ comodità e sen’
interesse. La ragazza i’ so che la bindola con Leandro, ma qui’ pollastrone, in quant a mene, e’ non m’andrebbe ma’ a fagiuolo. Primieramente e’ ne fa buccia buccia. Po vi è quailche sentore
che so padre sarà trucchiato dall’offizio, perché e’ vuoil
dar la voilta alle carrucole. Ma....Vedo l’Isabella
nella via...[75]
isabella Meschina a me, è mio padre!
notaro Siamo colti.
isabella Il signor padre si saprà difendere, e
finora chi ha litigato con lui ci ha avvanzato poco.
Signor padre, siamo perseguitati al solito, e ci vorrebbero togliere il nostro.
Ma so che c’è buona giustizia, e lei sa dire il fatto suo. (straccia la lettera). Guardate che conto
fo delle vostre cedole, ve le straccio nel viso, nel viso, sì bene.[76]
5 notaro Il tempo è dritto.
noferì Come, come! L’era una citaizione. Oh veh, che ragazza scailtrita.
Oh, tu vo’ sapè difendere il tuo me’ di me.
isabella Guardate un poco se non c’hanno da
lassare aver bene manch un’ora. Sì bene, nel viso ve
l’ho stracciata.
noferì I’ ti vo’ comprare Il dottor voilgare, e i’ formolario, perché tu ti faccia una dottoressa. Ma per un’ailtra voilta le citaizioni non si stracciano, sai tue![77]
notaro Quel peggio sarà per voi, perché v’entra
il disprezzo della giustizia.
10 isabella Sì bene, nel viso, nel viso. (rientra)
SCENA
VII
Noferì, e Notaro.
noferì Bisogna po po considerare che l’è una ragazza e non la pigghiate per la punta. La non ha pensato più làe.
notaro Io ho da fare l’offizio
mio, e referirò quant’occorre, perché la giovine sa
conoscere il ben dal male.
noferì Noe, noe ch’i’ accetto la citaizione e
adesso io raccorrò quei tricioli
per vedì quil che la dicea.[78]
notaro Non s’incomodi che io le dirò il
contenuto.[79]
5 noferì I’ ghi mett’insieme senz’ailtro. Pah, che ragazzettaccia
maledetta.
notaro Dicea che glielo
dirò. Senta. È venuto il signor commissario dell’annona in questa terra per provedere ai bisogni del grano in quest’anno così
penurioso, però secondo le denunzie e il bisogno va destribuendo
tanto grano per ogni casa a titolo di prestanze, e in questo foglio veniva
notificato a Vostra Signoria l’assegnamento fatto alla sua casa con gl’ordini opportuni sopra ciò, veniva citato insieme a dire
quanto gli occorreva avanti il signor commissario che qui adesso si trattiene.[80]
noferì Vi
ringrazio. Ma tant’è se ne può leggicchià quailche cosellina. Vète voi?
notaro (vuol partire) Non occorre altro, la riverisco.
noferì Eh, ascoiltate,
ascoiltate me. Che dic’
egli? Assicurato della vostra corrispondenza.
Questa parola corrispondenza in quarantacinqu’ anni
ch’i’ litico i’ non l’ho vista ma’ piùe pelle
citazioni, ma’ più a’ mie dì.
10 notaro (tra sé) Ohimè! Diceva che il magistrato
assicurato della corrispondenza, cioè della restituzione alla nuova raccolta
farà la prestanza del grano.
noferì Oh buono, buono. Si l’ho dir giusta i
facev’ un giudiziaccio. Sì,
sì, la mi c’entr’ ora.
notaro (vuol
partire) Servo suo.
noferì Quae quae quest’ailtro pezzolino, che dic’ egli? Bisogna che trattiamo a bocca. Eh, mi’ padrone,
dit’ i’ vero, i’ fogliolino va a Isabella o a me?
notaro A voi senz’altro da parte dell’annona.
15 noferì Ma i’ non so d’aver confidenza
nessuna con questa signora Annona che la voil parlar
a bocca con me. Eh, me padrone, i’ so’ diritto, vète.
Vo’ non m’infinocchiate di certo.[81]
notaro Diceva nella citazione che per la
penuria dei viveri bisogna trattar a bocca per bocca.
noferì Uh, la può anch’esser, veh. Oh via,
i’ non dico nulla. I’ cominciano a sospettà
dell’Isabella. Sapete, perché l’ha tant allocchi
d’intorno!
notaro Isabella non c’entra niente. Con sua
licenza. (vuol partire)
noferì Come, come? Ora sì ch’i’ l’<ho>
arrivata: Isabella gentile. Ah,
furfante, disonorato, una citaizione, eh, l’è una citaizione? Come ha’ tu tanta faccia di dillo? Diceo ben io che v’era maccatella.
20 notaro Come siete sospettoso!
noferì Sospettoso m’ in là. Sapete vo’
legger punto punto?
notaro Il magistrato dell’annona è così
caritativo...
noferì Oh, andate un po’ ’n tanta malora a portà la carità d’i’ magistrato in casa d’un ailtro.
notaro Sentite. Considerando il magistrato che
le giovanette sono di complessione più tenera degl’uomini,
per loro assegna tanto grano gentile, e però dicea
Isabella gentile. Cioè grano gentile, stara 12. Cercate l’altro pezzuolo che ci
trovarete il resto.
25 noferì Ah, ù ate
ragione. La mi quadra anche questa. Pah, i’ son pur ombroso
alle voilte!
notaro Io ho da portar altre citazioni, però si
contenti ch’io la lassi.
noferì Eh, eh questa, questa. Come la sailderete voi! Andranno
in lungo le nozze. Com’ èntregghi l’annona con le
nozze d’Isabella? Non occore ailtro,
i’ ho capito, e’ so quante
paia fan tre buoi.
notaro Dico che cerchi i versi corrispondenti
della carta stracciata e troverà che l’annona consiglia a mandar in lungo le
nozze in quei tempi che non c’è pane per i
pasti necessari. Non posso più aspettare, addio.
noferì Beil bello,
me’ padrone. Ascoiltate quest’ailtra
sola sola, e po’ fatevi la coperta, se potete. Gettate quel vegghio
scemo dalla finestra. Ah, bricconcellaccia. Tu ti
se’ accordata anche tue a dir che l’era una citaizione,
e perché mi volevi dar la bailta dalle finestre. Noe, noe, per questa voilta tu non l’arai graziata, ch’i’ le farò turà quante e’
ve n’è, ch’a’ qui mo tu non
farà tutti dì la civettina.
30 notaro Questo è il più bell’ordine che vegli.
noferì Eh, vo’ mi farest
i gran servizio a farl’ un po’ addormentare e a levarmivi d’intorno, che la non si facci criminale.
notaro Appagatevi...
noferì Anche.
notaro Intende del gran vecchio; e essendo
quello vuoto e scemo per esser riscaldato,
il magistrato dell’annona per timor che non si semini, e che non vada peggio la
futura raccolta, vuole che si getti dalle finestre.
35 noferì Venga la rabbia alle me’ ombre. I’ l’avò presa pure a traverso.
notaro Cercate gl’altri
pezzuoli e troverete che dirà così.
noferì Ma i’ cerco cerco,
e i’ non trovo mai né grano, né annona, né staia. Ailmen
i’ trovass i’ nome d’i cancelliere; come si chiama egghi, dite?
notaro Il signor Petronio. Orsù, non posso più
badare.
noferì Eh, eh, fate moitto.
Vostro servitore e amico Leandro. E’ dice Leandro e non Petronio. I’ ho ‘nteso.
Questo gh’è un buco da non trovarvi cavicchio. Eh, i’
son il beil balordo. I’ v’ aéo
conosciuto alla prima, che vo’ siat’ un portalettere,
e che questa non era una citaizione. Isabella, oh, i’
te le vo’ far rosse le gote, veh, i’ non vo’ che tu t’avvezzi da qui ’n poi.
40 notaro No, no, questa è una soddisfazione che
vuole il magistrato.
noferì Questa soddisfazione il magistrato
non la vuol aver di certo perché Isabella è già maritata a un ailtro. Ate vo’ inteso, i’ me
Nibbio?[82]
notaro Dico che nella prestanza vuol due
promesse, e perciò dice che vuol obbligato il vostro servitore, e il vostro
amico Leandro.
noferì Eh, vo’ sete un furfante e v’aete più ritorte che fastella, i’
non ci calo alla pania.[83]
notaro Ma pagate di questa moneta!
45 noferì Se questa non vi piace, togliete quest’ailtra ‘n tanta malora.[84]
(gli dà uno schiaffo)
SCENA
VIII[85]
Isabella
alla finestra, e detti.
notaro Dichiaratevi, se date a me.
noferì A vo’, messer
sì. E se vo’ siate sordo da questa gota, eccovene una più forte da quest’ailtra.
isabella Signor padre, non faccia, che benché
siano sbirri, son di carne come noi. Poverini!
noferì L’ha a essere una carne, ch’ha costar
salata anch’a te, mozzina.
5 notaro Due schiaffi, scriviamo. (scrive) Il qual signor Noferì doppo aver trattato mal di
parole me, caporale infrascritto, mi percosse con due mostaccioni, prima dalla
mancina, poi dalla ritta, e mi fece cadere in terra il cappello.[86]
noferì (le
dà uno scapellotto) Fa’ a me, mo’. Séguaci anche questa per coilmo
della misura.
isabella Finalmente fanno l’offizio
loro, signor padre.
noferì Sta’ cheta, che e’ vuol essere un offizio
che ti vuoil fa sentì sonar a doppio anche a te, la
me’ ragazza.
notaro Durate, durate, che per me son tanti
zecchini gigliati. Appunto ho da far le spese a quattro figliolini. Di grazia,
datemi ancora bastonata, o almeno qualche calcio.[87]
10 noferì Vo’ dàte
fortuna che a’ piedi i’ ho le gotte e i bastone i’ l’ho lasciat’ a casa
che d’i resto. Razza voistra per questa voilta, i’ non saprè che mi ci dire. Ma pur accettate di buon animo.
Tenete. (un altro scapellotto)
isabella Signor padre, que’
quattro figliuolini, carità, carità.
noferì Oh la carità ci vuol esser anche per
te d’ sicuro, ma a man chiusa.
notaro Ohimè, ohimè, che ho sputato! Ohimè!
noferì Che ha eghi
sputato! La mi par una noce.
15 isabella Che non gl’abbia
fatto venir su la noce del piede! Uh, meschin a lei.
notaro Ohimè, che son stroppiato! Ohimè, ch’è
m’è uscita la noce del piede!
noferì Con quei scapellotti
i’ gh’ho chiarito la voce. Pah,
i’ sarè pur i’ caso a dar lezzione
a’ musici. Ma a escì d’le
burle, ghi zoppica davvero, lui.
notaro Ohimè, la mia noce del piede!
SCENA
IX[88]
Leandro
e detti.
leandro Che insulto v’è stato fatto, caporale?
noferì Oh meschin
a me, che gh’ier’ un birro da vero, e quest’è i’
commissario. Ora si ch’i’ so’ per la mala via. Noferì,
ch’ha’ tu ma’ fatto?
notaro Signor commissario, hanno perduto il
rispetto alla giustizia.
noferì Ah, che l’er’
una citaizion sen’ ailtro.
Venga la rabbia alle me ombre, e a quand e’ ma’ i’ ebbi sospetto.
5 notaro Sono stato percosso e stroppiato dal
signor Noferì, per aver portata l’intimazione
consaputa d’ordin di Vostra Signoria Eccellentissima.
noferì Ora sì, ch’i’ ho fatto il becch all’oca.[89]
leandro Avete preso i testimoni?
notaro Non occorre testimoni, le mie gote sono
ancora calde calde. Vostra Signoria Eccellentissima
senta e veda la noce del piede che m’ha fatto sputare a forza di scapellotti.[90]
leandro Il delitto è provato a bastanza
10 noferì E chi l’arebbe
ma’ creduto che la noce d’i piede fosse tanto vicino
alla collottola.
leandro Dov’è l’intimazione?
notaro Sua figliola l’ha strappata in cento
pezzi.
leandro Bisogna processar la figliuola ancora.
Olà, fate che scenda vostra figliuola.
noferì L’ha da compatire signore, l’ha da
sapere...
15 leandro Che venga, dico.
noferì Ah, ch’i’ son fritto. Isabella vien giue.
leandro Battere i ministri della giustizia e
strappar gl’ordini dell’annona?[91]
SCENA
X[92]
Isabella
e detti.
noferì E te ne voil
sapere anch’a te di stritolar le citaizioni.
leandro E bene signora, voi strapazzate i nostri
officiali e lacerate i nostri decreti. Come vi chiamate?
isabella Isabella.
leandro Scrivete, offiziale.
E la sua età?
5 isabella Sedici anni.[93]
leandro Ella ha marito?
isabella No, signore.
leandro Scrivete che ha detto di no, e che ha riso.
noferì Oh, to’, anche che l’ha riso? L’è un
po’ troppo sottigliezza. E tu non rider, m’ha’ tu ’nteso,
sfacciatella!
10 leandro Scrivete che elli l’ha interrotta, e che
le ha proibito che rida meco.
noferì Oh i’ non dico più nulla, i’ non
alito piùe, non dubitate.
leandro Ha Vostra Signoria ricevuto da questo
famiglio una carta scritta?
isabella Sì, signore.
leandro L’ha ella letta?
15 isabella Due volte.
noferì E chi ghi
domandava sa la l’aveva lett una voilta
o dua.
leandro Che n’ha ella fatto?
Isabella
L’ho stracciata.
Leandro Per disprezzo della giustizia.
20 isabella Io stimo assai la giustizia, e rispetto
sommamente Vostra Signoria.
noferì Eh, che le son cirimonie
buttate via, le non vi vanno.
leandro Scrivete che il signor Noferì non vorrebbe che la figliola trattasse con cortesia.
noferì E dev’esser commissario anche d’i
Galateo costui, a sentire.
leandro Perché l’ha stracciata Vostra Signoria?
25 isabella Per paura che il signor padre non si
disturbasse a leggerla.
noferì Pah! La
l’ha rivoltata bene per eccellenza.
leandro Scrivete. Del resto avrebbe ella per la
sua parte repugnanza ad eseguir ciò che si conteneva in quel foglio?
isabella Io sarei prontissima, s’io fossi la
padrona.
noferì La par’ imboscata dai procuratore.
30 leandro Gettarebbe ancora quel
vecchio dalle finestre, se ella potesse, cioè quel grano vecchio?
isabella Mi pare che quel vecchio si può serbare
per carità; del resto me ne rimetto a Vostra Signoria.
noferì Che
accade trattar d’la carità, quando non t’è domandata, saccentina?
leandro Scrivete che il signor Noferì non vuol che la figlia sia caritativa.
noferì To’, ghi è
anche procurator de’ poveri.
35 leandro Del resto Vostra Signoria è pronta a
mantener sempre quello che ha detto una volta?
isabella Sempre sarò costante.
noferì La par’ una salamoncina.[94]
leandro Ratificate, signora Isabella, ciò che desponeste con la vostra sottoscrizione.
isabella Signor padre, non so fare ancor bene
bene la pancia al B, si soscriva per me.
40 noferì Signor commissario, se la non risuiltasse,
i’ la sottocrivere’ io per Isabella.
leandro Mi contento.
noferì Teh, i’ la
vo’ anche sottoscrivere alla cieca, perché l’ha risposto tanto bene che e’ parea
che la sputasse pepe. E i’ so che la non v’arà lasciat’ arpioni per la giustizia. (soscrive)
leandro (basso,
a Isabella). Quello è il contratto delle nostre nozze, et ora vien
soscritto da vostro padre medesimo.[95]
isabella Ringraziato il cielo! Mi compatisca di
quella lettera.
45 noferì La fa la scusa della lettera, cioè
d’i B che la non sa fare. O via, per questa voilta i’
signò commissario te la passa; va’ a cas e ‘mparala.
isabella Serva del signor commissario.
leandro Obbligato alla sua gentilezza. Signor Noferì, resta ora da aggiustare lo strapazzo dello sbirro
stroppiato da voi.
notaro Questa è la noce del piede, la giustizia
farà il suo corso.
noferì S’i’ cavo la noce da ghi stanchi anch a gh’ailtri birri, ho paura che la giustizia correrà poco.
Ma, cappita, i’ non me ne vo’ far beffe. I’ vo’ un
po’ tornà dai procuratore per vede’ come la si può aggiustà senza tanti chiaiti e
con manco frastorno.[96]
SCENA
XI[97]
Zuccarino.
Insomma il
bastone è autor più grave assai di Bartolo, lo sento io alle spalle. È stato
peggio però il povero sacco che è stato primo ad esser colto. Pah, il signor Leandro ha mandato male quelle quattro
bastonate senza profitto. Se le dava fra il capo e ’l collo a suo padre con due
giorni poi di biscotto e d’acqua chiara, gli rimettevano il cervello senz’altro.
Venga la rabbia a’ matti. Dice che il Dottore è
capitato in bottega di mastro Lardello e il signor Leandro vuol ch’io vada a
guardare fino che si faccia notte per ricondurlo poi a casa. Intanto mi farò
pagare da mastro Lardello il denaro che importano quelle trecento libbre di
libri che gli abbiam venduti. O di casa.
SCENA
XII
Lardello,
Zuccarino.
lardello Chi g’hè?
zuccarino Amici.
lardello L’oste non dee avè
i amizi perché i amizi non
t’ vuean pagà, e l’oste non
puoe dà da mangià senza dinè.
Zuccarino Nimici dunque.
5 Lardello I me’ nemizi non me parlan, e mi non
son obligào a rispondergh.
zuccarino Aprite via.
lardello ’A strada è averta, e voi e’ puei andà pe’ o vostro camin.
zuccarino Io non voglio andar altrove, voglio star
qui.
lardello Se vuoie stà costì, n’importa dunque che ve vegna
arvì.
10 zuccarino Presto che ho bisogno di voi.
lardello Se vuoie ei
bisogno, tocca a voi a incomodâve, non a mi.
zuccarino Ma se è serrato.
lardello Aspettè a avéi b’sogno de mi, quando ’a
porta è averta.
zuccarino Orsù andrò a un’altra osteria.
15 lardello Son chì, son chì, buon ghiorno, Zuccarin. (esce)
zuccarino Bel modo di fare l’oste, trattener tanto
i forestieri!
lardello Te diò, ho finìo o’ povêe e espesie in buttegha, e non ho
atro muêo de fa’ beive i fosatiè un poco chiù, che fâi ciarlà ’na mezz’ora.[98]
zuccarino Li osti ancora son come i dottori di
legge che fanno il guadagno nelle ciarle.
lardello Dimmi
se sei vegnùo pei dinè di
quei livri o per vér ’o zudize to patron?
20 zuccarino Per l’uno e per l’altro. Ma in che
maniera il signor giudice è capitato qui da voi?
lardello Ghe avevo una tôoa de foestè accompagnè da ìo procaccio da Venezia
tra i què ghe êa un bergamasco, un calabrese, un zenese
e un bolognese che litigavan insieme a chi parlava megghio italian. Allora o’ sior ghiudize entrò dentro nella butega
per vôei dà la sentenza, mi che cognosceivo
che allora pativa de mêi de testa, lo serrai in una camêa, dove ancûa gh’è.
zuccarino Faceste un’opera di carità.
lardello Andemo in ca’
perché besogna che mi metta a tôa
certi passaggiè, e ho du rosto au feugo
che comincia a bruciasse.
zuccarino (fanno i
complimenti nella porta dell’osteria). Andiamo, che ancor io farò colazione
con voi. Or via passate.
25 lardello Passee vuoi,
Zuccarin. Non vuoei voi che faccia ninte di creanza?
zuccarino Tocca a voi.
lardello Mi dico che tocca a vuoei.
Presto che o’ rosto è cotto.
zuccarino Va’ così.
lardello Non è ragion.
SCENA
XIII[99]
Balanzone
alla finestra con un mattone in mano, e detti.
balanzone Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. Doctores
utriusque Iuris in causa cer’moniarum
inter Zuccarinum nostrum et magistrum
Lardellum Cauponem.
zuccarino Il padrone ci vuol dar la sentenza.
balanzone Definimus, pronuntiamus,
sententiamus et declaramus.
lardello Non posso aspettà tante sentenze, perché o’ rosto
se brugia, andeò intanto
mi.
5 balanzone Asp’tè la s’ntenza, ch’altriment a’ v’ tir st’ sass int’la testa.
zuccarino Sarà meglio mandar male l’arrosto che il
capo.
balanzone Avì interrott la s’ntenz, a’ dirò da cap. Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. utriusque
Iuris ecc. in causa cermoniarum.
lardello Siiò giudice,
di grazia...
balanzone La grazia l’ha da far al prinçip. Al zud’s ha far la zustizia. Un’altra volta da cap. Sta’ attent,
e n’ d’zì parola.
10 lardello Non parlo chiù.
balanzone Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. Zuccarin ha sputà, donc cominzerò
un’altra volt da cap.
zuccarino O via, non sputerò più.
balanzone Nos Balanzonus ecc. Master Lardel
s’è suffià al nas, donc un’altra volt da cap.
lardello Ne manc mi susciâò u’ naso. Segua.
15 balanzone Nos Balanzonus ecc. Master, le vultà
in là. Donc un’altra volt da
cap.
lardello Eccomi vortoo a
voee.
zuccarino Presto, che non posso più dall’appetito.
Balanzone Nos
Balanzonus ecc. Zuccarin ha suspirà,
donc un’altra volt da cap.
Lardello Femo conto d’essêe statue.
20 balanzone Nos Balanzonus a Balanzano iuris utriusque
doctores ecc, in causa ceremoniarum inter Zuccarinum
nostrum et magistrum Lardellum
Caupone in porta Cauponae occurrentium, dicimus, pronuntiamus, sententiamus et declaramus in volgar: che se Zuccarin vuol pagar l’ost, a’ ’l ven
a magnar dal so, al ven in casa so, e così ha da dar
la prezedenz all’ost; se Zuccarin
non vuol pagar l’ost, l’è padron de dar da magnar o
no, e c’sì essend padron l’ost,
ha da aver la prezedenza Zuccarino.
lardello ’A sentenza è finìa,
andemo .
balanzone A’ b’sogna prim ch’ Zuccarin se dichiari.
zuccarino Io mi dichiaro.
balanzone T’a’ si’ ancor in stà d’ minorità e a
n’ p’sì dichiarar.
25 lardello O’ rosto va in
malora.
balanzone D’zì al can ch’ zira l’arrost, ca ’l se trattegn a zirar finché Zuccarin che adess
ha dod’s ann sia arrivà a ventun per p’ter dichiarars validament.
lardello Ma se o’ rosto
è lardellao e sâao, voel che ’o tegne noeu anni chiù a feugo?
balanzone A’ t’ lassarò
al matton int’la testa se
ti pass’ innanz che Zuccarin s’ dichiar.
zuccarino Ma s’io non mangio non posso arrivar mai
a ventun anno.
30 lardello Che remedio ghe sarebbe?
balanzone Al remedi che
dà la lez sarebbe ch’ Zuccarin piasse al tutor.
lardello Demmoghe dunque
il tutor.
balanzone A’ b’sogna esaminar testimoni sopra l’idoneità del tutor. A’ b’sogna infurmar al mazistrat d’ pupilli per dar il tutor a Zuccarin con tutt l’qualità.
lardello O’ rosto ghià cominza a cantà. E’ pignatte spàndon o’ brodo, mi mando in malora tutto!
35 balanzone S’a’ ti mand a mal ogn’ cosa, a ch’
sarà po un’altra difficultà,
perché a’ b’sognerà dar al
curator anch’a te perch’a
t’ possa stipular validament.
zuccarino Oh che
quell’arrosto si sente ancor di qua. Vorrebbe esser cavato adesso.
lardello Ho pensoo un
modo per lever via tutte le differenze, e ghià che ’a porta dell’oste a è tanto larga, andâemo tutti due insieme.
balanzone A’ me content.
Quest’è ’l mezz termin unurà, prudent e inzegnós. Mettiv donc tutt a du
a piè par c’minzà a caminar
int’l’ istess temp, e guardè ben d’entrar tutt du insiem
per tor via tutt le differenz di chi entra prima e di chi entra dopo.
(camminano a piedi pari verso la porta).
lardello Benêeto sia ’o ziel!
40 zuccarino Andiamo ben del pari?
balanzone Zuccarin, guarda ben ch’ l’udor dell’arrost non t’ fazz far i pass più lungh di m’ster Lardel.
lardello Manco mal che tutte e’ cose son aggiustà.
balanzone Aspetè un poch...
Mo cancheraza! La differenz
d’la man dritta e d’la man manca, e’
b’sogna veder s’ l’è da più l’osto o al servidor del zud’s.
lardello Ghe dâò ’a banda dritta, che non m’importa ninte.
45 balanzone Senz’ il consens
di tutt i ost dal mond vu a n’ pussi zéder dal voster drit e la man dritt sarev nulla.
zuccarino Se s’ha d’aspettare il consenso di tutti
gl’osti del mondo, la colazione vuol andare un pezzo
là.
lardello Femo così. Mi
prenderò in spalla Zuccarin, così entrâemo tutti duei in un’otta e non ghe sarà defêenza de man.
balanzone «Al ripiegh l’ì
bon e bell,
grand’astuzia
e gran zervel
cha t’ha mester Lardel.»
A’ me cuntent q’sì, intra pur che la
cos l’è aggiustà.
lardello Oh ’a è finìa, vegnì Zuccarin.
50 balanzone A’ n’occorr
alter; a’ n’ più intrar gnanch qsì, perché master Lardel intrarev a piè e Zuccarin
in sul asin.
lardello Dunque non posso intrà
in casa me’?
balanzone La difficoltà sta ch’ bisogna che Zuccarin
se dichiari quand avrà vintun an s’al vol pagar o s’al vol mangnar a uff, per saver se vu sii al paron,
o s’al sarà Zuccarin pagand ‘i su’ quattrin.
lardello Che pecoo è di
quello rosto, Zuccarin, a un boccon
da predicatôei.
(si sentono due far alla morra, e dicon «sette sette»)
balanzone Second la disposizion
d’la lez a’ b’sogna aspettar a magnar l’arost
nov’anni più.
55 lardello A’ ’i ha dig
che in manc nov.
zuccarino È zent che fa
alla morra.[100]
(gridano di nuovo «sette sette)»
balanzone E mi a’ torn a dir ch’in manch nov. Cr’d’ forz ch’i duttor di lex sian sumar?
(gridano, «tutti tutti»)
balanzone A’ ’in mintì
per la gola, canaia. (parte dalla
finestra)
lardello E andemo, andemo Zuccarin , che o’ matto se
n’è andao.
60 zuccarino Andiamo avanti che torni.
SCENA
XIV
Stanza
d’osteria con vari prosciutti attaccati ed incartati.
Amaranto,
Fioretto a tavola.
amaranto Fioretto, mangiate.
fioretto Ma pure, Amaranto mio, al conto ce
n’avvedremo; se l’oste non piglia un sonetto, io non posso pagarlo in altra
moneta. Ma ella mangia molto poco?
amaranto Mastico ancor male
quel corno e non posso mandar giù quella cavezza.
fioretto Eh, non roda quel corno, che si romperà
tutti i denti; e quella cavezza, o la sputi o la mandi giù, perché per la gola
gli potrebbe far qualche nodo.
5 amaranto Per dirtela ne son rimasto un poco
disgustato.
fioretto Se ella è disgustata, una dozzina di fegatelli gli farebbe tornare
l’appetito?
amaranto Se ti piacciono, falli portare.
fioretto Padron Lardello, fegatelli.
amaranto Una cavezza e un corno a un uom di tanta
fama?
10 fioretto Dico che sputi codeste porcherie e se ha
fame mangi di quest’altra roba buona.
SCENA
XV
Lardello,
con fegatelli e con uno spiedo con pillotto, e detti.
lardello Sanitè e buon
pro a questa camêata. Ecco i fegaetti.
amaranto Hanno aùto
fuoco più del dovere e son quasi abbrucciati.
lardello Può esse che sien
abbrugià. Ma che aggian avuo feugo chiù de dovvêi, non poe esse; perché ’o sciò ghiudize
’i ha fatte cuoze sin a questo segno co una sentenza.
fioretto Nondimeno, così
arrostiti son più teneri di quel corno, signor Amaranto.
5 amaranto Che foglie son quelle?
lardello D’orbaco o allôo,
come vuoei.[101]
amaranto Temerario dunque tra le piante
d’Apollo...
fioretto Non son piedi di pollo, no. È fegato di
maiale.
amaranto Dov’è lo spiedo sacrilego che non
perdona a quella foglia onorata, a cui perdona l’istesso fulmine di Giove?
10 lardello Lo spiedo è chì,
e apponto gh’avêo accomodòo
un zerto lardo per pillittaghe
una pollanchetta.[102]
amaranto (Prende
lo spiedo)
«O maledetto
abominoso ordigno,
che
fabbricato nel tartareo fondo
fosti per man
di Belzebù maligno
per girar
fegatelli in questo mondo,
perché
sfrondi gl’allori al casto cigno
per formar
corona al porco immondo (lo rompe)
ti rompo e
intanto il mio furor s’appaga.»
lardello «E per chiusa può dir chi rompe paga.»
Che ve vegna la rabbia, sciò foastè, me
ho i’ rotto un spedo che êa ’a spà
di Don Chisciotto, con a que
fe’ question con i barè de vin neigro. E chiù segnaò ottanta sôdi pe ’a spà rotta di Don Chisciotto e dezi sôdi do’
lardo mandào mà.[103]
amaranto Ma con che fogli involtate il lardo?
lardello De zerte
commedie che ho compròu i giorni passè.
15 amaranto E coi sudori de’
poveri poeti fabbricate i condimenti a’ vostri arrosti?
fioretto Il signor Amaranto ha finito di rodere e mandar giù quel corno, e mi par che quella polvere che vi era dentro gl’abbia preso fuoco nello stomaco. Voglio scansar le brighe, e me ne voglio tornar a casa. (parte).
amaranto Che leggo? Opere comiche d’Amaranto Sciatidico pastore arcade. Colle mie commedie voi date il pillotto? Oh
sventurate mie vigilie, a quel che siete condotte![104]
lardello Parla do’
pilotto nelle vigilie. L’amigo ha al sûo o’ gommio.[105]
amaranto E quant’è che voi involtate i pillotti
con queste commedie e che cuocete l’alloro co’
fegatelli?
20 lardello Son già dez
anni che questo autò stampa commedie e compro ogn’
anno a due da quattro a lîîa. L’allaûo
poi l’ho ghia coi fegâetti da fin che son nasciùo, e così faceva me paûe e
me’ nonno. Vostra Signoria me paghi, che mi ho da fa’ d’atre cose in buttega.[106]
amaranto Pur troppo ho da pretender io da voi.
Che se una corona di lauro è più preziosa d’una corona d’oro, fate conto di
quante siete debitore a tutti i poeti per il lauro che avete consumato coi
fegatelli in tre generazioni. E poi considerate quanto avete tolto di fama a me
medesimo con aver consumate tutte l’opere mie nei
vostri pillotti. Però non avendo voi moneta
che vaglia la corona di tanti poeti, e la gloria mia, resterete perpetuo
debitore a me e a loro, e vi farò condannare a pasteggiare tutti i poeti
passaggieri in perpetuo senza far lor il conto.[107]
lardello Sciò pueta,
questa non è robba da métte
in musica. Paghè, paghè!
amaranto Non pagarò.
lardello Vuoei pagâei.
25 amaranto Io non pagarò.
SCENA
XVI
Balanzone
e detti.
balanzone Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. iuris utriusque
Doctores inter magistrum Lardellum vu parì et Dominum poetam,
e mi a’ n’ pagarò.
lardello Sciò giudize,
senta.
balanzone Definimus, declaramus.
amaranto Aspetti d’esser informato.
5 balanzone Voster dan, a m’ d’vivi infurmar inanz, perch’adess a’ sun in calcul
ferendae sentenziae, a’ gn’ è più temp
d’infurmazion.[108]
lardello Ma nuei ghiusto litigavamo, aôa, aôa.
balanzone A’ doviv c’minzar a litigar un ann fa se v’livi aver temp a pruvar, a defenderv, a infurmarm.
lardello Ma ’a caousa è incomincià per quei fegaetti.
balanzone Mo s’ i feg’tel
entran in causa, l’è vuer
ch’a’ sent ancha lor, e intanta p’sì finir le voster prov. (si mette a tavola).
10 amaranto Il giudice è bizzarro. Chi sa che non
sia la mia fortuna.
lardello Sciò ghiudize,
io Lardello fo istanza d’esse pagaûo da questo foastè di’ me conto.
amaranto E io Amaranto Sciatidico
per via di riconvenzione fo istanza prima in nome di tutti i poeti perché paghi
il danno portato agl’allori che si son consumati in
tre generazioni con i fegatelli dentro quest’osteria. Poi in mio nome, perché
mi rimetta tutta la gloria che m’ha fatto scapitare appresso il mondo,
bruciando le mie commedie. Qual gloria fo istanza liquidarsi da Vostra Signoria
Eccellentissima secondo la stima che farà dei miei versi.
balanzone A’ b’sogna donc che l’un’ e l’altra fazza le
so pruduzzion d’ rason, e
primieramente ch’al sior Amarant mostr
d’esser pueta per p’ter com-parir, almeno actione utili a nom d’l’ univessità d’i Puet.
amaranto Coll’istesse mie composizioni proverò di
poter comparire come poeta in causa dell’alloro e provarò
Vostra Signoria Eccellentissima ordini farsi compensazione col credito preteso,
e per l’avanzo condanni l’oste a pasteggiar in perpetuo tutti i poeti.
15 balanzone A’ ’l n’occor
alter; vegnì alla produzion.
amaranto E prima produco La Geneviefa opera mia.
balanzone Ch’ d’zì mèster Lardel?
lardello E mi produco me conto e prima contro
questa Geneviefa
sei sôdi di pan e dodes de
vin.
balanzone Ch’ d’zì, al
signor Amarant, a sei sold
d’ pan e dodes de vin?
20 amaranto Produco un’altra commedia La forza del sangue e della pietà.
balanzone Ch’ d’zì, mèster Lardel della Forza del sangu?
lardello Contro a Forz de sangue, diziotto sôdi
de burist!
balanzone Ch’ d’zì, signor Amarant a disdot
sold d’ burist?
amaranto Il Lodovico Pio commedia da un’istoria francese.
25 balanzone Ch’ d’zì, mester Lardel, all’istoria franzès?
lardello Chin’se sôdi per un galletto stofou?
balanzone Ch’ d’zì,
signor Amarant, al negozi
del gallet?
amaranto La fede nei
tradimenti, drama sopra un’istoria spagnuola.
balanzone Ch’ d’zì, mèster Lardel, sopra l’istoria spagnuola?
30 lardello Cinque sôdi pe
l’insalata e per un ravanetto.
balanzone Ch’ d’zì,
signor Amarant, sopra al ravanel?
amaranto Un
pazzo guarisce l’altro.
balanzone Ch’ d’zì,
master Lardel, sopra sti do pazzi?
lardello Sei sôdi de sal.
35 balanzone Ch’ d’zì,
signor Amaranto, a’ sé sold
d’ sal.
amaranto Atalipa indiano.
balanzone Ch’ d’zì, master Lardel, d’ st’ indian?
lardello Quâanta sôdi d’una pollanca.
balanzone Ch’ d’zì,
signor Amarant, d’la pollanca?
40 amaranto Amor
dottorato.
balanzone Ch’ d’zì,
master Lardel, all’amor duttorà?
lardello Vinti sôdi de bù per far porpette.
balanzone Ch’ d’zì, al
signor Amarant, a’ vent sold di bò?
amaranto Amor fra
gl’impossibili.
45 balanzone Ch’ d’zì,
master Lardel, all’impossibil?
lardello Trenta sodi per granelli di castrato, un
spedo rotto e ho finìo.
amaranto Io non ho che mostrar di vantaggio, mi
par che tanta autorità possa bastare.
lardello Voggio purtà un auto ancora che parli per mi, e sâà uno de questi presciutti che ho incartauo
questa mattin. (stacca
uno presciutto).
balanzone Nos
Balanzonus ecc, visis omnibus actis et consideratis la Geneviefa,
e sì soldi d’ pan, e dod’s de vin; la forza d’i sang, e d’sdott sold d’ burist; l’istoria franzes e l’ gallett
stufà; l’istoria spaguola e
l’ ravanel; Un
pazzo guarisce l’alter e sì sold d’ sal; Atalipa indian e quarant sold d’ una pollanca, Amor dutturà e
vint sold d’ bù; Amor fra
gl’impossibili, i grani di castrà...[109]
50 lardello Aspettè, sciò zudize, guardè un poch questo auto, se dize niente per me. (li
dà un presciutto)
balanzone Master Lardel
ha invultà i persut coll’opre de Bartol. Pah, v’rament vu m’avì adess
appagà d’una difficultà
che aveva cont de vu. Ma perché quest’autor ne zita
d’i alter più antich, lassem
andar a trovar le duttrine in font.[110]
(vuol prendere gli altri presciutti)
lardello Ecco quest’altro dell’anno passò.
balanzone Bon; quest po parla chiarament a f’vor voster. Ma perché
quest’autor zita la lez, portame
qui’ zinque liber affumegà, che faran al codiz e a dizest, s’ a’ vulì la s’ntenz
in favor.[111]
amaranto Che sento!
55 lardello Caspita, sette presciutti
per avochè sarebbe una lite troppo cara.
balanzone Mo, lassem purtar st’ autor a ca’, che farò reflession
al’ voster rason.
lardello Voggio star a buttega, perch non esce u’ pueta senza pagâme, e non se ne
vada o’ giudize con chesti presciutti. (parte)
SCENA
XVII
Amaranto,
Balanzone.
balanzone Mo sior avvocat
d’ll’allor abbrustl’ì, a’ ’i ho paura ch’ st’ sett autor
rispondan in punt ale voster sette commedie.[112]
amaranto Dunque sette presciutti
averan più stima appresso di lei che sette commedie
ch’io detti alle stampe. (getta i
fegatelli coll’alloro) Signor giudice, getto a vostri piedi quegli allori
che voi tanto avvilite. Calpestateli. Ma prego il cielo che faccia in questo
punto le mie vendette.
(il cane e il gatto
litigano sotto la tavola).
balanzone Al ra’ns d’as’n n’ entra in ziel... Mo al
can e ’l gat litigan insiem sott la taula. (entra
sotto la tavola e lo sgraffiano)
Nos Balanzonus
a Balanzano, ecc. in causa differentiarum inter Don Gnau e Don Bau. Ah, puveret
me, ah puveret me, purta rispett al zuds, purta rispett al zuds!
Fine
del secondo atto
ATTO TERZO
SCENA
PRIMA
Studio
con camino.
Procuratore
che siede al tavolino ed al fuoco, Aiutante, poi Noferì
di dentro.
aiutante Signor procuratore dica un poco. Come le
pare sia sia approffittato
nella pratica in questo tempo che io ho servito d’aiutante di studio? Cotesta è
quella scrittura d’accordo, e quell’altro è quel testamento che io ho disteso
di suo ordine.
procuratore Il primo giorno che voi entraste per aiutante nel mio studio vi dissi che il nostro offizio vuol esser esercitato con somma carità, e che bisogna far all’altri quello che si vorrebbe per se medesimo. Or siccome i procuratori nostri antenati pensando ai procuratori che dovean venire hanno sempre lasciato nelle scritture molte cavillazioni e molti termini equivoci, che sono la sementa delle nostre raccolte, così è pur dovere che noi lasciamo seminato il campo, come ci è stato consegnato, acciò i procuratori che verranno abbiano da raccogliere qualche cosa. Mettete questo mio ricordo al repertorio acciò non v’esca di mente.[113]
aiutante In che le pare che io abbia errato?
procuratore Quest’accordo è troppo chiaro e non v’è alcuna cosa da
disputare. In questo testamento dove restano così ricchi gli eredi e che posson litigare senza rovinarsi, apponeteci qualche
condizione, determinate qualche tempo, e finalmente lasciateci dei punti e
delle virgole che molte volte importano assai.
5 aiutante M’approfittarò
dei suoi avvertimenti. Ma sento molta gente nella stanza di là; suppongo che lo
studio sia già pieno di clientoli.
procuratore Vedete chi è. Se fosse quel mio compare che non paga mai,
cercate di prender discorso seco e ditegli così: il signor Dottore vostro
compare che non vuole scrupoli nell’anima vi consiglia di dar accordo, perché
avete il torto. Se fosse misser Salamone che ha
perduta la lite, e che portava di buone pezze, primieramente abbracciatelo, poi
ditegli: Salamone la vostra ragione non è stata intesa. I libri per voi parlano
chiaro, ma il giudice intende poco. Appelliamoci e non dubitate che il signor
Dottore la vuol vedere.
aiutante Mi pare che vogliano entrare.
noferì (di dentro) Signò sere, si contenterebb’ ella per graizia
ch’i’ sigillassi di solamente do lettere?
aiutante Mi pare il signor Noferì.
10 noferì Ma perch’io non l’ho né manco scritte, mi fagorirebb’
ella di do fogli soli soli di carta?
procuratore È esso
noferì Ma perché le vanno a
d’i gentilomini, me ne fagorirebb’
ella di do ailtri per farci le sopracoperte’
aiutante Sempre vien a
scrivere allo studio le sue lettere per risparmiarsi la carta.
noferì Ma perch’i’ le ricopio tutte per ogni casaccio che possa ’ntravenire e i’ le ricopio anche colla sopracoperta,
mi fagorirebb’ ella di darmene fin a otto?
15 aiutante Dal sigillar due lettere solamente è
venuto già a otto fogli.
noferì Ma perché delle volte
le mi vengan scorbiate, me
ne fagorirebb’ ella per più sicurtà fin a dodici?
procuratore E noi con un foglio gliel
faremo pagar tutti.
noferì E finalmente perché
ho bisogno di sc<r>ivelle a casa, e nella me’ camera
vi tira ventaolo, me fagorirebb’
ella fin a un quaderno, perch’ i’ rifaceri
le ’mpanate alla me’ fenestia?[114]
aiutante Ancor per le finestre?
20 procuratore Fatelo passare, ch’egli non rifacesse a mie spese li
sportelli ancora a tutte le porte della sua casa.
aiutante Vada.
procuratore Questo Noferì non mi paga con
altra moneta che con la speranza di darmi Isabella per mia consorte; e dubito
che non l’abbia promessa anch’al medico per litigar e star sano a spese della
figliuola. Ma voglio costringerlo alla stipulazione delli
sponsali.
SCENA
II
Noferì, Procuratore, Aiutante.
noferì (parlando con quelli di dentro) E bast un
quaderno, o dua quanto la vuole. Oh, servo di Vostra
Signoria.
procuratore Che dice il signor Noferì?
aiutante (all’orecchio del procuratore) Il giovane di studio ha osservato che
il signor Noferì ha denari in tasca. (via)
procuratore Ho inteso. Segga, signor Noferì.
Sente freddo? Tirate la portiera. Copra, signor Noferì.
Vuol quella seggiola più comoda? Dica, signor Noferì.
5 noferì
Come sta ella?
procuratore La podagra m’ha sequestrato in questa seggiola.
noferì I’ ho dato do legnate
a un famigghio. Ailmen i’
avessi sciorinat’ i’ groppone a qui’ che porta i
sequestri della podagra.[115]
procuratore Che gli occorre?
noferì E’ m’è stato
portato non so che citazione da parte dell’annona e i’ cred’
anche d’avene do tricioli in tasca.
10 procuratore E come! È lacerata!
noferì L’è stata quella besticciolla d’Isabella senza giudizio, e di piùe la l’ha stritolata ‘n faccia a i’ famigghio.
procuratore Male. Bisogna rispettare gl’ordini
della giustizia.
noferì I’ non so, se me la
troverò. (cavando roba di tasca gli cade
una moneta)
procuratore Aspetti che coglierò io quella moneta. (si rizza e corre)
15 noferì (raccoglie la moneta) Noe, noe, la s’arricordi che l’è
ancora ’n sequestro da parte della gotta, e bisogna rispettar gh’ordini della giustizia.
procuratore Ohi, ohi, ohi! Che ho messo il piede in fallo.
noferì (a parte) (I’ malan che ti coilga. E i’ ho
messo la man ’n guadagnata). Basta, la sustanza è che no’ sian venuti a
tu per tue co’ i birri e i’ g’ho
scosso ’l pelliccione.
procuratore Che avete fatto, signor Noferì!
Pover a voi. Ritiratevi e levate ancor la robba di
casa, perché vi faranno l’inventario. Battere i famegli
e di più l’esecutor dell’annona?
noferì Ma ditem un po’. Come si potrebb’
ella saldare?
20 procuratore Salvar, dico, e la persona e la robba.
noferì Ma pella Isabella a fa’ come vo’ dite vi sarà eghi pregiudizio?
procuratore Questi criminali s’attaccan
dove possono.
noferì Basta, la s’è
disaminata per eccellenza, e con que’ so bocchinauzzo da scior aghetti
l’ha sputato corte risposte che la parea una sibillesca. In quanto a lei, signò
dottore, i’ v’ho già detto più voilte che l’ha da esse
vostra. Vo’ ve la pigghiarete, e la difenderete po voi.[116]
procuratore Io ho sempre sospirato quest’accasamento e vorrei che
ultimassimo al fine questo matrimonio.
25 noferì La distenda pur la
scrittura a so’ soddisfazione.
procuratore Questa sera ce n’andaremo
a Palazzo, e stipularemo il tutto. Ma adesso bisogna provedere al pericolo di Vostra Signoria; per tutt’oggi non
può arrivare la nuova a Bologna, né sdedirsi dal
magistrato dell’annona le commissioni contro di lei; onde per questo tempo pare
che ella si possa assicurare. Intanto nasconda il meglioramento
delle sue cose, e pensi ad uscir di questo Stato dentro dimani.
noferì Teh, venga la
rabbia alle me’ ombre. Ora no’ faren donche la scritta e i’ vi lascerò l’Isabella con quelle
quattro stovigghie e quell’ailtre
bazzecole che i’ ho ’n casa. E perch’i’ mi ritrovo
una collana con quattro craizie, i’ ve le vuò dare un po’ in serbo, perché le non entrassero tra gh’arvioni della giustizia.[117]
(li dà una borsa).
procuratore La ringrazio.
noferì Oh noe, noe; in serbo, in serbo.
30 procuratore Dico che la ringrazio della confidenza che usa meco. Riporrò nella mia cassa questa borsa, e vi scriverò questo segno: collana del signor Noferì.
noferì In serbo, s’intende.
procuratore Sì signore, e perché non si può sapere il vivere e
morire, dirò ancora al mio giovane di studio che questa borsa mi è stata data
da lei.
noferì In serbo.
procuratore In serbo.
35 noferì Ma e’ sarà megghio
che la me faccia do righe in un foghiolino.
procuratore O perché no. (scrive). Io Sempronio Pela-borse... come vuol ch’io dica?
noferì Per la verità
confesso che i’ ho ricevuto...
procuratore (scrivendo)
Pela-borse... questa penna non dice. Olà dentro, datemi una penna.
aiutante (torna)
Eccone due.
40 noferì Non dice questa, né
quest’altra.
aiutante Eppure a me dicon
benissimo.
noferì Ah, i’ non saprei; e
può esse che le penne non sien temperate a queste
parole.
procuratore Può esser sicuro. E che parole s’ha da scrivere?
noferì Per la verità. Che
fate i’ nescio, eh![118]
45 procuratore Diciamo in qualche altro modo.
noferì Io Sempronio Pela-borse
restituirò ...
procuratore Restituirò non è vero. (si mette a scrivere)
noferì Muilt Eccellente
signor sì.
procuratore Ohi, ohi, la mia solita chiragra. Ho voluto scrivere quel
termine di restituire che è una cosa per noi un poco straordinaria e mi son venuti
i miei mali.[119]
50 noferì Oh, noi siamo
freschi! Se gli vien la chiragra quand’egl’è ai
termini di dà di’ suo, e’ ghi cascherà la gòcciola.
procuratore Avanti notte ci rivedremo, e aggiustaremo il tutto. Ella non si fida di me?
noferì Sie, via, sie, che alla fin della fine v’ate
po a esce me zenero. Orsù,
fra tanto i’ anderò a cercar i me’ stivali.[120]
procuratore Ella non perda tempo.
SCENA
III
Aiutante,
Procuratore, poi Urania e poi Noferì, tornando ad
ogni poco.
aiutante La signora Urania.
procuratore Che passi.
urania Signor dottore, serva
sua.
procuratore Che porta la signora Urania?
5 urania Che vuol che porti,
se son tanto povarina.
procuratore Dico, che porta di nuovo?
urania Io vado a pregar per
lei, acciò che il cielo li conceda sanità. Come se la passa?
procuratore Coi soliti dolori delle mie mani.
urania Gran dolori, eh?
10 procuratore Non posso muover queste due ditta,
e’ son mali così grandi che Dio ne liberi tutti i
miei clientoli.
urania Come piglia?
procuratore Pigliarei assai e a
tutte l’ore.
urania Bisogna pigliar poco
perché ella non può far esercizio.
procuratore Anzi per farmi muovere bisogna farmi pigliare assai.
15 noferì (torna) I’ ho trovat uno stivale e son tornat po’ prima di cercà di quel
ailtro a cercà di lei, per sapiè come la se la passa di q’la
so’ chiragra che gh’è venuta a conto della
restituzione.
procuratore Al solito, di grazia si fidi di me.
noferì Eh, non trattiamo; i’ mi fido. Ma e’
bisogna po’ pensare che i’ vi tengo ora per me’ figghiolo
e vi porto affeizione. A rivederci stasera. (parte)
procuratore La riverisco. In che ha da servire la signora Urania?
urania Ho lasciato a’ giovani di studio alcune citazioni che Vostra Signoria vedrà, e avevo preso una certa polvere forestiera che teneva mio marito benemerito, per farne un presente a Vostra Signoria, ma mi sono incontrato in una spia che sapeva il tutto ed è bisognato che gliela dessi.[121]
20 procuratore Ha data Vostra Signoria l’istessa polvere forastiera ad una spia, e crede che non dirà niente?
urania Così m’ha promesso;
anzi sapeva ancora che io avevo falsificato quella scrittura in quella parte
che ella mi disse, e voleva palesare alla giustizia quanto aveva di dote.
procuratore Com’è semplice Vostra Signoria! Per aver praticato sempre
coi procuratori, sa pure che ci sono pene così rigorose; e lasciare l’istesso
corpo del delitto in mano della spia!
urania Meschina a me, che ho
fatto!
procuratore Non bastarà tutto ’l suo pel
negozio della polvere.
25 urania Oh meschina a me!
procuratore E la pena del falsificare le
scritture si estende fin’ al taglio della mano.
urania Della mano, non
sarebbe niente. Ma se mi sgombrasser la casa, come
farei?
noferì
(torna) I’ ho trovato anch i’ secondo
stivale. Ma perch’ i’ penso più alla so’ mano ch’a
me’ piedi, i’ so’ tornato un po a sapè
se la muove punto quelle do dita?
procuratore Niente ancora. Ora sì, conosco ch’ella non si fida.
30 noferì La mi fa torto. I’ mi
fido benissimo, io. Ma facevo per portà le nuove a
quella ragazza che la vuoil saper a ogni otta come la
sta. Orsù stassera no’ ci riparleremo. (parte)
procuratore Ci rivederemo, Vostra Signoria.
Signora Urania primieramente riponga le sue gioie e gl’altri
mobili migliori che quanto alli stabili troverem modo.
urania Di gioie mi son
restate quell’accoppiatura da testa di diamanti, quali, a cagione della servitù
poco fidata che si trova ogni giorno, io porto sempre con esso me. Queste le lasciarò un poco a Vostra Signoria che le me’ chiuda nella
sua cassa.
procuratore (a parte) (A
tempo le gioie, mentre io sono sposo). (ad
Urania) Le dia pure a me e non ci pensi più.
urania (li dà una cassetta di gioie). Prenda e prenda ancor la scrittura
falsificata, acciò non mi sia trovata in casa dalla giustizia. Oltre che a rubbar trecento scudi, ch’avevo un poco di scrupolo ancora.
35 noferì (torna) Signò procuratore, i’ mi fido, vegga; ma i’ so’ tornato a vedè
come la tratta quella so chitarra nelle dita, perché l’Isabella si dà alle bertuccie, la si tapina, e testè
la m’ha detto: me pà, finch’il
signore sposo non e scrive corrente tutte le parole, non lo lasciate mai.[122]
procuratore Si trattenga un poco, ch’or ora sarò con lei. (ad Urania) Del resto signora Urania,
quant’a celar questa scritta a conto della giustizia ella fa molto bene. Ma
quanto allo scrupolo, io me ne rido. La prima parola ch’io dica a’ miei clienti è sempre questa: chi ha paur’
del diavolo, non fa mai robba. (a Noferì) Che ne dice signor Noferì?
noferì Di diavolo i’ me ne
so’ sempre riso, e ci vorrei spartir i pian di Migello
con esso lui.[123]
urania E io dunque ci vorrei far a’ capelli adesso, adesso.[124]
SCENA
IV
Amaranto
che scende dal camino tutto tinto ed affumicato, e detti.
procuratore Ohimè, ’l diavolo. Lascia il
procuratore, che i clientoli non importa. (via)
noferì Oh meschina a noi! I’
mi disdico, lascia la collana, ch’i’ genero i’ te lo dono. (via)
urania Ohimè! Lascia le gioie, e pigliala...
se la vuoi. (via)
SCENA
V
Amaranto
solo.
Mi hanno
preso per il diavolo. Povero Amaranto! Per fuggir dalle mani dell’oste
impertinente e del giudice ignorante son salito sopra i tetti dell’osteria e
sono sceso poi per questo camino in questo luogo dove in cambio d’esser accolto
e compatito, son fuggito da tutti. Ma mi maraviglio.
La fuligine che m’ha così tinto e trasformato, il
luogo per dove io son venuto, e i peccati che averanno
nell’anima costoro che quì si trattenevano ha fatto
credere... Ma questa è una borsa, e quest’altra è una casettina di gioie. La
donna che fuggì e che temeva meno dell’anima che delle gioie mi parve alla
favella ed al portamento quella del corno. Opportuna è la vendetta. Che cosa è
scritto in questa borsa? Collana del
signor Noferì. Questa vada per la cavezza.
Fortuna, non son già questi i favori che facevan le
fate ai cavallieri erranti del Boiardo e del Furioso. Certo che questo per quanto mi
pare è uno studio di procuratore, e il procuratore era quel medesimo che si
fuggì con loro. Ma non è tempo di trattenersi. Se posso arrivar facilmente la
corda che m’ha sostenuto nello scender, voglio ritornare nell’osteria, già che
Lardello non può essersi accorto della mia fuga, ed ho qualche cosa nella
valigia che mi preme di ricuperare. La fune s’arriva, non occorre altro, io
torno in su.[125]
SCENA
VI
Strada.
Bettina,
poi Isabella.
bettina Micio, micio, micio. Meschina, se ’l
gatto s’è perduto. Che sarà di me? Micio, micio. Uh, che la padrona li voleva
tanto bene, perché litigava con tutti i gatti del vicinato. Micio, micio,
Lecca-lucerne, Lecca-lucerne! Uh, poverina a noi, come faremo! Che quando non
avevamo olio in casa lo mandavamo pel vicinato a leccar le lucerne, e condivamo
l’insalata coll’olio che li colava dalle bafette!
Micio, micio.
isabella Bracca-minestre, tè tè.
Piccina a tè, tè. Uh, non vorrei già che quella cagna fosse andata male. Che il
signor padre li voleva tanto bene, perché andava a mangiar sempre fuor di casa.
Bracca-minestre, tè, tè. Che era una canina tanto amorosa, che quand’avea leccate le minestre in casa d’altri tornava subito a
casa senza nettarsi la bocca perché il signor padre c’ intignesse
il pane. Tè, tè, piccinina, tè, tè.
bettina Micio, micio, to’.
isabella Bettina, averesti
veduta la mia cagna?
5 bettina Signora, no. E Vostra Signoria averebbe veduto passare la mia gatta?
isabella No, Bettina.
bettina Bisogna ch’io vada a veder se fosse
capitata nell’osteria.
isabella Mi farai servizio d’accompagnarvi ancora
me perché madonna Codenna, moglie di missier Lardello, fa festa alla mia cagna, e può esser che
sia in casa sua.
bettina Andiamo.
Micio, micio, tò.
10 isabella Bracca-minestre, tè, tè.
SCENA
VII
Leandro,
Notaro.
notaro Zuccarino ha mandato a dire che il
signor giudice è così mal ridotto per le sportule che ha avuto del cane e del
gatto.
leandro Andiamo a ricondurlo in casa, e dopo che
l’averemo fatto giudicare sopra la consaputa
scrittura chiuderemo l’udienza e diremo che sta infermo.
notaro Così facciamo. Ma voliamo andarvi così
travestiti? Io per me non voglio andare a caccia d’altre legnate con questi contrasegni di sbirro. Comincierò
a sciogliermi i capelli ed a nasconder questi arnesi.
leandro Non so se Zuccarino sarà tornato a
prender i miei abiti, e gli averà portati
nell’osteria. Pure questa toga potrà dar ad intendere a mio padre ch’io
m’esercito nella professione. Non perdiam tempo.
5 notaro Andiamo.
SCENA
VIII
Osteria
interiore.
Balanzone
sgraffiato e fasciato il naso, e Lardello.
balanzone V’rament al s’rà memorabil a tutt la posterità l’enorm delitt, l’esecrand misfat de m’ser Lecca-luzern e d’
m’ser Bracca-minestr, che con bocca sacrilega e con
fame arrabià i han staccà
un pez d’orecchi e la punt
del nas all’Ezellentissimo
sior duttor Balanzon de Balanzano.
Auris
sacra fames et nasi dira cupido.[126]
lardello Mi ho ditto a Vostra Signoria Ezzellentissima
che n’ è ’a gatta, né u’ can d’ buttega nostra. Ma ’a gatta
è della signora Mignatta, e o’ can è d’o foentin che per
maggiò economia ’o governan
a me’ speise.
balanzone A’ me maravei
che m’ser Zioù a’ n’
l’abbia fulminà; e non pò
esser altriment che avesser
zià magnà un pez d’allor per un, e che Ziov aspettà a fulminar Lecca-luzern e
Bracca-minestr, quand’ i avran
d’zrì l’allore e ch’ s’ran andà dal corp.[127]
SCENA
IX
Zuccarino
col cane e gatto legati, e detti.
zuccarino Eccellentissimo, ecco i malfattori nelle
mani della giustizia.
balanzone Onorà Zuccarin, a’ mi ti dichiar birro colonnel di tutt <i> urecch morsicaà e barsel marescial di tutt i nas spuntà
de st’ mund. Pah, al s’ ved che tant Lecca-luzern quant Bracca-minestr han fisonomia d’impiccà!
lardello S’hanno da essee
impicchè se recordi che non
hanno avùo altro che un buccon
de oêgia e un buccon de naso, però besogna che ghe dia qualche atra cosa de so’ per finì a cena.
balanzone Non occorr’alter,
a’ son stà pià in fragranti crimine, perch’i
dilinquent s’ leccan ancor
la bocca e a’ se ved ch’ vurebber un po’ d’ finoc fra i dent.
5 zuccarino Maestro Lardello, sarebbe bene che voi
teneste uno di questi diliquenti, perché non è dovere
che essendo nelle mani della giustizia abbian
commercio insieme.
lardello (piglia
il gatto) Volontè. Adesso è quando immatisco ancôa mi.[128]
SCENA
X
Leandro,
Notaro, e detti.
leandro Signor padre, che gl’è intervenuto?
balanzone T’ha da saver, fiol
mi’, ch’ la zent ch’ litiga porta a noster temp l’ungia
q’sì lunga, ch’abbisognerà ch’al zud’s
in avvesnir port la musarola
al tribunal. E za che te vegh
in toga ancha te, a’ te pregh a prevalert d’ quest avvertiment per quant amor t’ porta a la punta del to nas.
notaro Adesso Vostra Signoria Eccellentissima averà più credito, e passerà per autore antico, perché gli
vedranno armato il frontispicio.[129]
balanzone Zà ch’ donch a iè al nudar, a’ p’trò d’stender la s’ntenza conter i malfattor. Nos Balanzonus a
Balanzano ecc.
SCENA
XI
Isabella,
Bettina, e detti.
bettina La mia gatta perché la strapazzate così,
che ha da fare i gattini?
isabella La mia cagna, Zuccarino, perché l’hai
legata pel collo? Sai pure che non abbaia mai né a te né alla gente di casa del
signor Leandro?
zuccarino Il signor Dottore vuole che sieno impiccati tutte due.
bettina Signor Dottore, di grazia, non c’ amazzi questa gatta, perché abbiamo certi topi in casa
tanto ghiotti che ci verrebbero a rodere il naso.
5 balanzone A’ ’i ho considerà
che l’è mei che te restin a magnar ’l nas i top ch’al gat; perch’i topi fann i b’ccon p’zinin p’zinin, e Lecca-luzern s’ magn un nas per volta.
isabella Signor Leandro, se il vostro signor
padre m’impicca il mio cane, io non vi voglio più per marito.
leandro Trovaremo
qualche mezzo termine.
isabella Di grazia.
leandro Signor padre, il delitto è grande, ma
finalmente tutti i rei voglion la sua difesa.
10 balanzone L’è d’ rason;
e perch’ a’ son zud’se o part, mi delegarò sto zudizi in un alter zudiz.
notaro Il signor Leandro sarà il caso.
leandro Opportuna occasione per trattenermi con
Isabella.
balanzone V’rament s’a’ fuss zert
che me fiol non se lassas traspurtar dall’affet vers so pader, e ch’a me mustaz sgraffgnà n’al facess prevaricar, al sarebb’ un zud’s a proposit.
leandro Signor padre, lei mi farà prevaricare
meno di quel che crede. Le prometto di non guardar in faccia Vostra Signoria,
ma più tosto altrove per non ingannare i miei affetti.[130]
15 balanzone S’ t’ prumet di star semper
vultat in là, mi te fo zud’s in questa causa tra Lecca-luzern
e Bracca-minestr delinquent
da una, e l’urecc morsa e ‘l nas
spuntà dl’Ezzellentissimo signor
duttor Balanzon dall’altra, il nas
spuntà in particolare a’ t’
raccomando dentr’ i termini d’la bona zustizia.
notaro (Leandro
si pone a sedere) Faccia dunque il naso di Vostra Signoria Eccellentissima
le sue parti col signor giudice voltato in là.
leandro Dica Vostra Signoria, e s’assicuri che
non guardo lei.
balanzone Io Balanzon de
Balanzano a nom dell’ezzellentissimo
nas, e d’l’ ez-zellentissima
oreccia mia a’ dmand la restituzion in integram, e a’ fo istanza condennars, int’le pep d’la lez, Bracca-minestr e Lecca-luzern.
notaro Risponda Bracca-minestre e
Lecca-lucerne, la parte, e chi fa per loro.
20 isabella Signor notaro, faccia il procurator lei
a queste povere bestie.
bettina Sì, signor notaro. Finalmente benché
siano animali, sono ancor ladri, come Vostra Signoria.
notaro Povere bestie! Voglio difenderle per
carità. Io Roga-bugie, notaro di corte, procuratore della gatta e del cane,
pretesi malfattori, primieramente dò di nullità alla comparsa del signor
Balanzone...
bettina Bravo, signor procuratore, se difendete
la mia gatta, vi voglio dar un testone di zecca, che io ebbi per la mancia.
isabella E io se liberate la mia cagna voglio
darvi una pollastra fiorentina nuova, che tolsi di tasca a mio padre.
25 balanzone Un teston d’ zecca, una piaster nova al procurator del gat
e del can? S’a’ ’i defend dal forche! Mo cancaraz. L’è mei
ch’al nutar che vuol far il procurator per carità vegna a difender al me nas ch’
l’è ruvinà, e mi vaga a d’fender i delinquent che pagan. Signor procurator
d’i malfattor che sgnàula e d’i malfattor che ros’ga, fem una cosa. Vu sii
ancor procurator prinzipiant, al s’rà mei che v’gna vu a far il procurator
del me nas, che l’è nas
d’un duttor; e mi farò al procurator de Bracca-minestr
e d’Lecca.luzern, perché per salvar dale forche a’ ’i vuol d’la duttrin e dei valentomen.
notaro Come vuole. Ha sentito che Isabella e
Bettina voglion pagare, e per guadagnar questi pochi
vuol far il procurator fin contro sé stesso. (va dall’altra parte)
balanzone Per difesa donc de delinquent contro l’ezzellentissimo nas, e l’ezzel-lentissima ureccia dal duttor Balanzon, e lassand andar le nullità che son ezzession da procurator ignorant, a’ dighi ch’essend solit master Lardel t’gnir c’vert il persut denter Bartol e Bald, divers autori prinzipal d’i lez, ed essend al duttor Balanzon un autor prinzipalissim, e l’han pres per la c’verta d’un persut, e a q’usì l’han mors’gà senza malizia, e al più al più i pos n’esser condannà alla pena de dù boccon de persut.
notaro Non ho veramente che replicare per il
naso di Vostra Signoria Eccellentissima, mio principale.
zuccarino Se io fussi
procurator del naso direi che la carne del signor Dottore si conosce da lontano
che non è salata.
30 balanzone Al b’sogna po’
dir una parola anche per el me nas,
e s’ t’ s’ un ignorant, a’
sarò procurator d’l’ uno e d’l’ alter. (va
dall’altra parte) E al q’sì al ripiegh d’la cverta dal persut mi respond ch’i persut n’ disì una parola quand al gat le magnà, e mi ho gridà alla prima zampà. E Lecca-luzern m’ha spuntà al nas mentr
a’ gridava.
isabella Ora chi difenderà que’ poverini per guadagnar quella piastra d’argento?
bettina E quel testone?
notaro Io.
balanzone E m’ t’ dicch
ch’ ti <è> un ignorant, e ch’ farò a<l>
procurator per i delinquent, e p’r
al menà. (va
dall’altra parte) E però rispondend a procurator
di’ nas, che dis che Balanzon ha parlà, e che però ‘i doiv’n c’gnosser cha n’ era un persut e m’ die ch’il prol dal zud’s han da esser salà. E a q’sì essend salat
i p’siun creder che gl’eran prol d’un persut. (va
dall’altra parte) E m’ com procurator d’l nas a’
r’spond al procurator dal can e dal gat cha l’equivoz d’aver pres’ al duttor per un persut n’
se pò ammetter p’r esser tropp differenz tra un porch e un virtuos. (va dall’altra parte) E m’ com’
procurator dal can e dal gat rispond
al procurator dal nas ch’al virtuos
e al porch sien similiss’m perch’ tant al porc quant
al virtuos n’ sun stimà, se ’o quand i’ èn mort. E per mazzor rason
dal me prinzipal che sgraff’gna
e dal me prinzipal ch’ n’ mors’ga
a’ digh di più, che essend Balanzon infarinà, li han p’sut creder
ch’al fui frittura bianca. (va dall’altra
parte) Pian pian, signor procurator dal prinzipal che sgnàula e dal prinzipal che mors’ga, non m’affolà con l’ prol.
Al zud’s allor dava la s’ntenz.
La s’ntenz va al fin, la frittura bianca dà prinzipi; donc al zud’s non pò esser stimà frittura bianca c’mod avì dett. (va dall’altra parte) A quest po v’ replich ca sott la taula a’ ’i era
bui, e che Lecca-luzern e Bracca-minestr
n’ p’tiun distingerer ben
se l’era al zud’s. (va dall’altra parte) A quest po a’ m’in rid
perch Lecca-luzern porta il
lantern int’i ucci, e a n’
va mai al bui. E se n’ avì altr rason, andav
a far squartar. (va dall’altra parte)
Signor procurator, contrari n’ tratte mal d’ prol, perché
a v’ darò un pugn nel mustaz,
e a’ ti digh ch’al can e al
gat deun esser ossolut almanc per ste do rason. Primierament
in quant al can a’ v’ digh ch’al zud’s den’ dar urecc a tutt; e parziò s’ Bracca-minestr n’ha staccà un poch, l’ha staccà quel che l’ dà le lez. Secondariament,
la gatta è gravida, al pò esser ch’abbia aùto voia di’ nas
dal zud’s! E alle don gravid al ne pò negar nient. (va dall’altra
parte) Ah, ah, ah. Oh che procurator d’ mei stival
a sii vu, guard ben c’mod parl. (va dall’altra
parte) A’ parl ben, e a’
so ca dic a n’ al savì zà vu ch’a’ sii un sumar. (va dall’altra
parte) A’ v’ mentì per la gola. (e va
dando dei pugni di qua e di là)[131]
35 notaro Piano, signori procuratori, portino
rispetto al tribunale.
leandro Questo è troppo ardire, ed io Leandro,
come giudice delegato...
balanzone Al me fiol n’
ha nianch imparà ch’a zud’s è persona plural.
leandro Considerate le ragioni delle due bestie
pretese delinquenti e le pretensioni del naso del signor padre. Assolvo le
medesime bestie da ogni pena.
isabella Bracca-minestre è
liberato.
40 bettina Lecca-lucerne è dichiarato innocente.
balanzone A’ do, al me dspiaz al mi’ urecc e al me nas spuntà. E a’ do. al me rallegr alla me borza ch’arà guadagnà la piastr fiorentina e al teston d’ zecca.
leandro E con la medesima autorità condanno il
procurator delle bestie predette ed il procurator del naso pel poco rispetto
portato alla giustizia ad aver questo luogo per carcere a sin a nuovo ordine.
Con questo modo lo fermarò forse qui dentro sino alla
sera.
balanzone Com procurator
dal can e dal gat a’ n’ m’ mov. Ma com procurator dal nas a’ n’ intendend
d’ob’dir al perpet e a’ dò d’incompetenza a tutt i
far’ d’l mond. (via)
leandro Seguitelo.
45 lardello Andem, Zucain.
zuccarino Sciogliamo i clientoli e andiamo a legare
il padrone.
leandro Signora Isabella, mio padre è così bizzaro. Compatitelo, eccovi liberato il vostro cane.
isabella Vi ringrazio, signor Leandro. Ma se voi
sarete mio sposo, averete Bracca-minestre per dote, e quand eghi ha la bocc’ unta c’integnerete il pane ancora voi.
leandro Sono a servire a casa.
50 bettina E io la ringrazio per la mia gatta. Ma
voglio che ella sia a far le sue parti a bocca con Vostra Signoria.
SCENA
XII
Strada.
Procuratore.
Per esser
procuratore ho avuto paura del diavolo un po’ troppo presto. Quello per quanto
io ho fatto poi riconoscere era un mascalzone calato nel mio camino che... Ma
ecco Noferì e Urania spauriti. Gli mantenerò nella loro opinione, e l’indurrò a litigare col
demonio medesimo, facendo in tanto da buon dottore legale per metter le cause
nell’eternità.
SCENA
XIII
Noferì, Urania, Procuratore.
noferì Oh che tremiti, oh
che ribrezzi! I’ mi so’ tutto rimescolato. Quil
diavolo gh’ha medicato tutti, perché gh’ha guarito la [...] dalle gotte, e ha purgato me e la
signora Urania da cert ostruizioni
che n’aveamo ‘n corpo megghio
che le pillole d’i Gelli. Però l’è stat’ una medicina
di poco risparmio, perch’ e’ mi ha sgraffignato la collana, e questa presa di
diavolo la mi cost un po’ troppo.[132]
urania Eppure non è mi tornata bene bene la
parola!
procuratore È stato un gran caso! Ma ringraziamo il cielo che ha
portato via le gioie e la collana, ed ha lasciato noi; del resto vi sono i suoi
rimedi belli e buoni. E ancora il demonio è tenuto alla restituzione, come
vogliono molti dottori.
urania Che mi dice, signor Dottore? M’ha
rimesso gli spiriti in corpo con dirmi che si può litigare con il demonio,
perché io la voglio vedere.
5 noferì Tant’è. L’è però
detta fallita perché ei non ha nulla a i’ mondo. E po
i’ m’arricordo d’avello sentito mentonà
da me pâe e da i’ me’ nonno
quand’e’ tirava le cailze,
che vuoil di’ ch’anche lui sarà più che squarquoio e
però non si potrà mica mette nelle stinche, veh.[133]
procuratore La causa è criminale ed io m’esibisco di servir lor
signori, con tutto che pochi procuratori si trovino che voglino
dar contro il diavolo.
SCENA
XIV
Balanzone
e detti.
procuratore Servo di Vostra Signoria Eccellentissima, che ha fatto al
naso?
balanzone L’è stà una voia d’una gatta gravida.
noferì Se di queste vogghie ghie ne vengano spesso, i’ non ho che di nulla.
procuratore Vorrei far un’istanza a Vostra Signoria Eccellentissima
per questi miei clientoli.
5 balanzone Fala pure adess liberament. Ma a’ v’rrè saper, tant da i vostr clientol quant d’la part avers, c’mod i han l’ungh longh?
procuratore I miei clientoli non credo l’abbian
longhe gran cosa; l’averà
ben lunghe la parte avversa, ch’è il diavolo.
balanzone Al diav’l vrament a’ gl’arà un po’ trop lungh, lu.
SCENA
XV
Amaranto
alla finestra, e detti.
amaranto Il cane e il gatto hanno fatto le mie
vendette. Insomma il cielo difende le ragioni della poesia. Ma eccolo nella
strada col fiorentino, e colla vedova. Tutti e tre impararanno
a strapazzare i poeti.
balanzone A’ faren aq’sì, a’ zitaren
al diavol a risponder un po’ da luntan.
noferì Oh sie, sie, perché dai canto i’ non
mi curo che comparisca.
urania Basta che egli renda quella che in
coscienza non può tenere.
5 amaranto Voglion citare il
diavolo! Intendono di me. Voglio prendermi spasso di questi matti. (si leva dalla finestra).
procuratore Io dimando dunque al diavolo la
restituzione d’una collana tolta al signor Noferì ed una appuntatura da testa rubbata
alla signora Urania.
balanzone E me a’ commett la citazion contr’ al diav’l, perch’a venga senza però
comparir e a render quel che l’ha rubbà ai voster prinzipal.
amaranto (getta
la borsa e la cassetta nella strada) Pigliate.
balanzone Al diavol n’ vol sbir intorno a casa. L’ha oppost senza esser zità e senza
comparir. Ma, grand’autorità che ha al duttur Balanzon!
10 noferì Oh veh, to’ to’. L’è
la borsa d’lla collana, perdinci.[134]
urania E la mia cassetta. Uh, gran bella
cosa è il litigare.
procuratore Che vedo!
noferì Uh, collana, collana!
Tu sei pur ritornata una voilta.
urania Uh, la mia appuntatura, l’ho pur
riavuta.
15 noferì I’ me la vo’ metter a
i collo ‘n questo punto perché, cappita, i’ non vo’
che la mi vadia ’n visibilio un’
altra voilta, e che la sbagghi
la via. Oh, i’ sarè aggiustato p’i
dì delle feste se la non tornasse piùe.[135]
urania Me la voglio metter in capo adessa perché la non mi sia più rubbata.
noferì (scuopre e trova la cavezza) Ma
modo! Che robb’ è ella?
balanzone Qu’ll’incantator
ch’ha fatt in st’ mond l’as’n d’or, l’ fiarà
p’ssù, a contrari, far anch
le cullan d’ cavez.[136]
procuratore Che curioso accidente.
20 urania Il diavol
v’ha fatto la burla, signor Noferì. Eh, non l’averà già fatta a me. (cava
dalla cassetta il corno) Ma che cosa è questa?
balanzone Il diavol ha rimandà l’acconzitura con d’ su’ cavù.
noferì Ma qui è dov’ i’ mi
conturbo. La borsa della collana colla cavezza ch’i’ ho imprestat
a i’ birro. Le sono cose ch’i’ mi darè alle bertuccie![137]
urania Quella
non capisco. La cassetta delle gioie o ‘l corno che ho dato alla spia.
SCENA
XVI
Amaranto
in strada e detti.
amaranto Gente semplice, ma però maliziosa, a me
deste la cavezza ed il corno; ed io vi tolsi la borsa e la cassetta. Non sono
però né sbirro, né spia, come mi credeste, né sono il diavolo quale
v’immaginaste. Sono un poeta, pover uomo sì, ma
onorato. E benché la fortuna mi presenti quest’occasione di farmi ricco e di
vendicarmi delle ingiurie che m’avete fatto, nondimeno sappiate che i poeti pensan più ai benefizi che all’ingiurie, e più alla gloria
che alle ricchezze. (le rende la collana
e le gioie) Signor Noferì, signora Urania,
prendete le vostre cose, e imparate a conoscere che se i procuratori ed i
giudici fosser così generosi e così sinceri come i
poeti, voi ancor sareste più ricchi e più contenti, e varrebbero qualche cosa
più le commedie dei consulti.
balanzone Al poeta rend la bors?
Mo l’è un gran merlott. E me maravii
do quel gat ca è tant ghiot d’la frittura che n’abbia magnà
più prest cha ’l mi nas.
urania Signor poeta, la ringrazio e mi
scusi, e l’assicuro che son tanto soddisfatta della sua gentilezza che se io
dovessi scorticare un altro marito, io non cambiarei
Vostra Signoria.
noferì E i’ ghi bacio le mani tanto tanto. E se la passa ma’ per
Firenze io vo’ che la venga ’n via d’i Cocomeri a casa mia, che vi si vend un vino bianc e rosso d’i tibi soli; e si può arrivà
fin lie, la sentirà.[138]
5 procuratore. Vorrei che
ella fosse più amico dei procuratori. Finalmente tanto la profession
sua che la nostra è fondata nelle finzioni e nelle bugie.
balanzone S’ la finz ben, a
v’rrè ch’ la m’ des un po’
de nas.
noferì Ma moilto! L’Isabella co’ i’
commissario.
SCENA
ULTIMA
Tutti.
procuratore Commissario appunto! Quello è il signor Leandro.
noferì Leandro! Passa quae. Dove se’ tu stata? Ch’ tu ti vò
disaminar un poco troppo spesso.
leandro Questa dev’esser la mia sposa.
noferì Ascoiltate questa! Vo’
venite dall’osteria. Ma v’aete fatt’
e’ conti senza l’oste.
5 balanzone Me fiol ha bon gust int’la materia d’Isabella, quant Lecca-luzern int’la materia di nas.
procuratore. Isabella è
promessa a me, e questa sera faremo la scritta.
noferì La sta così per
l’appunto.
isabella Signor padre, lei ha pur poca memoria.
Non si ricorda che oggi ha sottoscritto la scrittura col signor Leandro?
procuratore Come!
10 noferì Noe, noe. Tu mi vorresti dà l’erba trastulla, eh? Ma vieni, vieni, ti non m’infinocchi.[139]
leandro Signor giudice, questa è la scrittura
sottoscritta dall’istesso signor Noferì e questa è la vostra nuora.
isabella E la sua serva, signor Balanzone.
balanzone Oh, t’ v’rrest
esser me nora per aver Leander, e d’pò me serva per aver al salari. (Balanzone legge la scritta) Mo l’è un
po’ trop.
procuratore Certo che Noferì m’ha burlato,
ed io l’ho indovinata a credere che con la speranza di queste nozze voleva
venire allo studio senza spendere.
15 noferì Pofar i’ mondo.
S’i’ avessi do cappi coll’accappiatura della signora Urania che l’è un po’
dura, i’ ne vorrè batter uno pelle
muragghie, a fe’ de gobbi.[140]
isabella Signor padre, ha poca memoria.
noferì Oh sie, i’ ho poca memoria. Ma tu ha’ n’ po’ troppa volontà,
sa tue!
procuratore La litigaremo.
amaranto Signor procuratore, le nozze voglion esser libere. Lasci in sua libertà quella
fanciulla, e s’accompagni con quella vedova a cui ella ha già consumata la dote
con farla tanto litigare.
20 urania Signor poeta, son troppo obligata al signor procuratore, ed io che desidero che viva
un pezzo, non voglio sposarmi seco essendo io solita di far crepar tutti i miei
mariti.
procuratore E io non voglio sposarla, perché avendo la signora Urania
litigato coi suoi mariti medesimi, di suo procuratore diventarei
sua parte contraria. Voglio la signora Isabella.
notaro È una voglia che ve la volete cavar
più difficilmente che non se la cava Lecca-lucerne, quand’ha voglia de’ nasi
de’ giudici.
balanzone Mo la scrittura è chiara chiara,
l’è.
noferì E che me l’hanno fatta scrive con invenzione e con cento mila riboboli.
25 procuratore Bisogna riconoscere in che modo è soscritta e con che
pretesto.
leandro Sottoscritta dal signore Noferì con consenso particolar di sua figlia.
isabella Certo.
procuratore Lo vedremo.
leandro Come volete.
30 balanzone La scrittura n’ è soscritta lezitimament, al b’sogna donca ben considerar la rason
d’una part e d’ll’ altra. Isabella per adesso n’ sarà d’ n’sun. E perché me fiol è d’ventà zud’s per torm qualch fatiga
int’la vecciaia, a’ darem ‘ntan’
Isabella in deposit al zud’s
per dars a che la va de iure.
leandro Benissimo.
procuratore N’han saputa più di me.
isabella Signor suocero, intanto starò in casa
sua e gli medicarò il suo naso.
noferì Ma ch’accade più
litigare, faccianla finita na
voilta, che po poi i’ mi c’
arrecorderò. E benché Leandro abbia l’alfabeto ’n
pelle ’n pelle, in ogni môe se gh’è
giudice e’ me darà tutte le
sentenze ’n fagore.[141]
35 amaranto Di questi accidenti ne comporrei una
commedia, se venissero nel giudice risanato dalla sua pazzia e ridotto in più
felice stato, acciò ogni cosa terminasse in lieto fine come vogliono le buone
regole.
leandro E come vorrebbe Leandro per compimento
d’ogni suo contento.
balanzone Nos Balanzonus a Balanzano,
bon boccon p’ul gatto e p’ul can.
In materia
d’la pazzia
quando un
pazzo non getta via
ma ch’ porta sempr’ a ca’,
pronunziam che mel sia
ca resta mat e ca s’ n’ guarissa ma’,
ecc...
Fine
dell’atto terzo
Bibliografia essenziale
Girolamo Gigli (1660-1722)
Vita di
Girolamo Gigli, sanese, detto fra gli Arcadi Amaranto Sciaditico
scritta da Oresbio Agieo,
(Francesco Corsetti.) Con aggiunta delle littere
delle principali accademie dell’ Italia, scritte al
medesimo, in approvazione delle opere di S. Caterina da Siena, Firenze,
stamperia all’ insegna di Apollo, 1746.
Opere complete
Una raccolta
integrale delle sue opere fu avviata alla fine del XVIII secolo, ma degli otto
volumi previsti ne furono stampati soltanto tre:
Collezione
completa delle opere edite ed inedite, Aia, si vendono in
Siena presso Vincenzo Pazzini Carli,1798, 3 voll. (I. Vita dell’
autore, da F. M. Soldini e Collegio Petroniano delle balie latine; II-III.
Vocabolario Cateriniano).
Numerose
furono le ristampe, complete o parziali, ottocentesche, tra le quali gli:
Scritti
satirici in prosa e in verso, a cura di Luciano Bianchi, Siena, 1865 e il Vocabolario
cateriniano, a cura di Pietro Fanfani, Firenze,
1866.
Componimenti
poetici e alcune lettere del Gigli sono custoditi, manoscritti, presso la
Biblioteca comunale di Siena, la Biblioteca Nazionale e la Biblioteca
Riccardiana di Firenze.
Opere sulla lingua
Le regole
della toscana favella, Roma, Antonio de’ Rossi,1721.
Lezioni di
lingua toscana dettate dal Sig. Girolamo Gigli, pubblico lettore nell’università
di Siena, coll’aggiunta di tre discorsi accademici e di varie prose sacre e
profane del medesimo, non più stampate, raccolte dall’abate Giovambattista
Catena sanese, prima edizione Venezia, Giavarina,
1729; 2ª ed. Venezia, Pasquali, 1736; 3ª ed. Venezia, Pasquali, 1744; 4ª ed.,
corretta e migliorata, Venezia, Pasquali, 1751.
Teatro
Raccolte drammatiche
Poesie dram[m]atiche del signor Girolamo
Gigli consacrate all’Illustrissimo Ferdinando Torriano, barone de Tassis,
Venezia, Antonio Bortoli, 1700 (comprende: La Geneviefa; Lodovico Pio; La forza del sangue
e della pietà; La fede nei tradimenti; Amore fra gl’impossibili;
La Guiditta, oratorio per musica; Il martirio
di S. Adriano, oratorio; La madre de Maccabei, oratorio; Il sogno
di Venere, cantata).
Opere nuove del signor Girolamo
Gigli, accademico acceso, edizione consacrata all’Altezza Serenissima del Signor Francesco Maria
Pico, duca della Mirandola, marchese della Concordia e Signore di San Martino,
Venezia, Rossetti, 1704 (comprende Il Leone di Giuda in ombra ovvero il Gioasso, dramma sacro; Amor dottorato,
invenzione drammatica; La via della Gloria, cantata per musica; La
Viola in Pratolino, id.; Cantate varie per musica, canzoni e sonetti; I Litiganti, overo il Giudice impazzato,
operetta satiricomica, in prosa; Un pazzo guarisse l’altro, opera serio ridicola, in prosa.
Edizioni di singole opere
La fede ne’ tradimenti, Siena, Stamperia del pubblico,
1689; Mantova, stamperia ducale G. B. Grana, 1699; Bologna, Pisari,
1732.
Un pazzo guarisce l’altro, opera serioridicola
dell’accademico Intronato, Siena, 1698; Vienna, P. Van Ghelen, 1723; edizione
critica: Un pazzo
guarisce l’altro, a cura di Elena E. Marcello, Venezia - Santiago de Compostela, lineadacqua, 2016 (Biblioteca pregoldoniana,
nº 17; www.usc.es/goldoni).
L’amore fra
gl’impossibili, dramma per
musica di Amaranto Sciaditico, pastore Arcade,
dedicato alla duchessa di Zagarolo, da lei fatto rappresentare nel suo teatro
in Roma, Siena, Stamperia del Pubblico,
1693; Amor fra gl’impossibili, Roma, Komarek, 1693; Perugia, Costantini, 1726.
L’amor della
patria sopra tutti gli amori, ossia L’Orazio, Siena,
Stamperia del Pubblico, 1701.
La gara
delle virtù tra i discepoli di Roma è di Cartagine o vero il Nicomede opera
tirata dal francese per le scene d’Italia, dedicata all
cav. Aurelio Sozzifanti, auditore generale della città e Stato di Siena, Siena, s. e., s. d. (la
dedica di Girolamo Gigli è datata del 22 febbraio 1701).
Il Gorgoleo
ovvero il governatore delle Isole natanti (1705), Siena, Quinza e Bindi, 1753.
Giuseppe, tragedia sacra rappresentata dagli accademici Rozzi, Siena,
Stamperia del Pubblico, 1710.
L’Anagilda, dramma per musica
da rappresentarsi nel teatro domestico dell’illustrissimo principe di Cerveteri
pel carnevale del 1711, Roma, Antonio de’ Rossi, 1711.
L’Attilio
Regolo, tragedia dal franzese, rappresentata in Roma
nel Teatro domestico dell’illustrissimo ed eccellentissimo signor Principe di
Cerveteri, nel Carnevale 1711, da una Nobil
conversazione, Siena, Quinza, s. d. (la dedica al
nipote del principe, scritta da «gli autori della tragedia» è in data del 9
gennaio 1711).
Don Pilone, ovvero il bacchettone falso, Lucca,
Marescandoli, 1711. Edizione moderna a cura di
Roberta Turchi, in Teatro italiano IV. La commedia del Settecento, Torino,
Einaudi, 1987, t. 1.
Ester, tragedia
cavata dalla sacra scrittura per Monsù Racine e
volgarizzata, Roma, Salvioni, 1720.
L’avarizia più onorata nella
serva che nella padrona, ovvero
La sorellina di Don Pilone, Venezia, Panvino,
1721; La Sorellina di Don
Pilone, ovvero L’Avarizia più onorata nella serva che nella padrona, commedia,
con alcune composizioni cavate dal manoscritto originale dell’autore poste in
fine, s. l.,
s. e., 1768.
Fernando, melodramma di Girolamo Gigli e Paolo Rolli, Londra, S. Aris,
1734.
I vizi correnti all’ultima moda (da Palaprat,
Les Moeurs du temps), Milano, Francesco
Agnelli, 1742; Firenze, s. e., 1745.
La moglie guidice e parte
ovvero il ser Lapo commedia di Girolamo Gigli, Bassano, s.e., 1748.
(Il marito più onorato del suo bisogno).
Le furberie di Scappino, commedia di Girolamo Gigli
patrizio sanese, prefazione di Vincenzo Pazzini Carli, Siena, Bonetti nella
Stamperia del Pubblico, 1752; Bologna, Girolamo Corciolani
e eredi, 1753.
La scuola delle fanciulle, ovvero il Pasquale (da L’Ecole
des filles di Montfleury), commedia inedita, Testo, commento,
introduzione a cura di Antonio di Petra, Firenze, Lemonnier
1973.
Riedizioni
Poesie dram[m]atiche del signor Girolamo
Gigli... Seconda impressione. Tomo primo, Venezia, M.
Rossetti, 1708.
Componimenti
teatrali del signor Girolamo Gigli, pubblicati da Vincenzo
Pazzini Carli, Siena, Bonetti, 1759, con le farse in musica.
Raccolta di
componimenti da teatro del signore Girolamo Gigli pubblicati da Vincenzo Pazzini
Carli, Londra, s. e., 1764 (L’Ospedale de’
Pazzi, La Madriperla, Scipione,
Intermezzo de’ Galoppini).
Raccolta di Commedie scritte nel secolo XVIII, Milano,
Società tipog. de’classici
italiani, 1827 (2 tomi in 1 vol.). Raccoglie commedie di Girolamo Gigli, Francesco Albergati Capacelli, Alessandro Pepoli, Camillo Federici, Antonio Sografi.
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di Luisa Bergalli, in Opere di M. Racine, tradotte, Venezia, Domenico Lovisa, 1736, vol. I
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e Athalie).
I litiganti, commedia
di Giovanni Racine, traduzione dell’abate Placido
Bordoni, Venezia, A. F. Stella, 1793.
I querellanti, traduzione di Luciano Budigna, Milano, Poligono, 1947 (con Fedra e Berenice).
Gli attacabrighe, traduzione
e commento di Guido Davico Bonino, Macerata, Liberilibri, 2007.
[1] Il titolo a pagina 140 è esattamente: I litiganti overo in giueice (sic) impazzato, opera satiricomica del sign. Girolamo Gigli.
[2] Nell’edizione
del 1704, il titolo registrato sul frontespizio del volume, nella lista delle
opere pubblicate, è I litiganti, overo il Giudice
impazzato, operetta satiricomica, in prosa,
mentre quello che precede il testo, a pagina 141, è I litiganti, overo il giuiece impazzato, opera
satiricomica, del sig. Girolamo Gigli.
[3] Dottor Balanzone: È il Dottore di Bologna, secondo vecchio degli scenari della commedia
dell’arte cbe parla bolognese misto di latino maccaronico. Nella commedia di Racine,
corrisponde al personaggio di Georges Dandin,
giudice. Il nome di Dandin deriva da «Perrin Dandin, homme honorable, bon laboureur, bien chantant au lutrin [...] qui appointait plus de procès qu’il n’en était vidé dans tout le Palais de
Poitiers», la cui storia è raccontata al capitolo XLI del Tiers livre di Rabelais. ♦ Scarica-l’Asino: nell’edizione, accanto a Balanzone, è scritto «giudice discarica l’asino».
Per il riferimento ai viaggi teatrali, vedi Domenico Bruni, Fatiche comiche di D. Bruni, detto Fulvio,
Comico di Madama Serenissima Principessa di Piemonte, 1623, in Ferruccio Marotti - Giovanna Romei, La Commedia dell’Arte e la società barrocca. La professione del teatro, Roma, Bulzoni, 1991, p. 346. E Jean-Joseph Expilly, Le Géographe manuel, Paris, Bauche, 1761, p. 301, con la forma Scarica-l’Asino.
[4] Roga-bugie, Notaro: personaggio che corrisponde a L’Intimé, secretario, in Racine. In
francese, ‘intimé’ è un termine della lingua
giuridica del Parlamento per designare l’avvocato difensore che ha vinto un
processo in prima istanza, ed è chiamato in appello (letteralmente ‘intimato’)
dall’avversario detto in francese l’appelant
(‘il richiedente’). Era già stata usata per un personaggio del Hopital des fous de Beys (1637).
[5] Zuccarino: forma usuale di ‘zuccherino’, per designare una pasta azzima intrisa con
uova e zucchero, tirata a guisa di vermicelli e ingraticolata insieme per
formare una ciambella. Corrisponde in Racine a
Petit-Jean, il quale apre la commedia presentandosi umoristicamente con un
gioco di parole, «venuto da
Amiens per essere svizzero». La
provenienza geografica lo riallaccerebbe a un certo Maître Petit-Jean,
consigliere e segretario del re Luigi XIV, suocero di un un
avvocato del Parlamento di Parigi, François Langrené,
originario di Amiens. Vedi G. Forestier, in Racine, œuvres complètes. Théâtre, cit., nota pp. 1387-1388. Nel testo di Gigli appare molto
giovane.
[6] Noferì: corrisponde a Chicaneau in Racine. Il nome Chicaneau deriva da Chiquanous
che, nel Quart livre di Rabelais, (ch XII-XVI), designa gli uscieri di giustizia. Secondo Il
Dizionario universale della lingua italiana, Noferì è una
contrazione di Onofrio, e si usa per una persona stupida, che dice di no ad
ogni domanda. ‘Fare noferi’ o ‘fare il noferi’, vale ‘fingersi ignorante, mal accorto’; si dice
anche ‘fare il nescio’ e più popolarmente ‘far lo gnorri’. Cosimo Noferì
era un professore e scrittore del 600, allievo di Galileo. Noferì
è più scempio e balordo di Chicaneau, nella linea
anche del vecchio Anselmo dei drammi civili di Giovanni Andrea Moniglia, che storpia le parole e non capisce il senso
esatto dei detti altrui; allo stesso modo Noferì non capisce le
parole di Amaranto (I.10.15 e sgg.) (vedi Moniglia, Il vecchio balordo,
cit.).
[7] Urania Mignatta: corrisponde alla Comtesse de Pimbêche di Racine. Racine avrebbe creato
questo personaggio a partire da un racconto di Boileau
intorno a un contrasto intervenuto nell’ufficio del fratello maggiore di Boileau, scrivano presso un giudice, tra la contessa di Crissé, litigante di professione, e Hugues de Lyonne, ministro di Louis XIV e segretario agli affari
esteri che aveva negoziato diversi trattati di pace negli anni precedenti. Vedi Claude
Brossette, Œuvres de Monsieur Boileau Despréaux,
Genève, Fabbin et Barillot,
1716, nota alla Satira III, p. 34. Boileau nota che alla creazione della commedia, l’attrice che interpretava la Comtesse vestiva un abito color di rosa appassita, con una
maschera che copriva un orecchio, copia del vestito con il quale la comtesse di Crissé appariva
ordinariamente in tribunale. In italiano, ‘mignatta’ è l’altro nome della
sanguisuga comune, e al figurato designa un usuraio, uno strozzino, e più
generalmente chi specula sulle necessità altrui quasi succhiandone il sangue.
Più comunemente, si dice per ‘seccatore importuno’.
Gigli usa lo stesso cognome nel Gorgoleo,
tratto da Monsieur de Pourceaugnac, per Nérine, femme d’intrigue,
tradotto con «Mignatta, donna di rigiro».
[8] I. È soppresso il lungo monologo di Petit-Jean (I.1.1-49), che propone vari
elementi di presentazione della pazzia di Dandin.
Questi elementi e le scene 2, 3 e 4 dell’atto I (L’Intimé
che risveglia Petit-Jean; Dandin che balza dalla
finestra ed è arrestato da L’Intimé;
l’arrivo di Léandre con una fiaccola, che ascolta i
rimproveri del padre e ordina a Petit-Jean di rinchiuderlo) sono ridistribuiti
e cambiati nella lunghissima scena d’esposizione.
[9]
vuol dar la
volta affatto al cervello: capovolgere il cervello; ti si è capovolto il cervello: sei diventato
matto.
[10]
la canape fa delle cento per ogni staio: i pazzi si molteplicano
a Bologna dove i campi sono fertilissimi e uno staio piantato a canapa produce
centinaia di grani.
[11]
le sportule: nell’antichità le sportule erano
i doni in natura che i patrizi facevano distribuire ai loro clienti. Uso letterairio. Elemosima in natura.
La sportula è il cestino dove si mettevano i doni.
[12] fornacchiare: russare.
[13]
vel plam: testo
corrotto. Il passo sembra voler dire: «Non è nemmeno un quarto d’ora? Ah, caro
figliolo, ... della eccellentissima razza dei Balanzoni...»,
cioè, vel plam verrebbe
a essere qualcosa come «vero rampollo» o simile (forse vel sta per ver
e plam
per palm,
dunque: «vero palmo»?
[14]
la stadera: la bilancia.
[15]
int’al saver Bartol e Bald:
Baldo degli Ubaldi era un giurista italiano del Trecento, allievo di Bartolo da
Sassoferrato, ambedue egregi esponenti della Scuola italiana del commento che
proponeva una nuova metodologia di interpretazione delle fonti romane, contro
il metodo della glossa (vedi Moniglia,
Il vecchio balordo, cit., Commento,
II.15.31).
[16]
i van semper
merlot:
sono sempre ingannati. Il merlo (merlotto) è una persona sciocca, o il marito
beffato, o per antifrasi una persona furba che si finge ingenua. Moniglia nella Dichiarazione de Il conte di Cutro,
(Poesie Drammatiche, Firenze, Vangelisti,
1698, p. 606), registra: «Merlotto: balordo, grossolano, facile ad
essere ingannato».
[17]
zolfinelli: parola toscana per solfanelli. Matassino di zolfini.
[18]
manco: nemmeno.
[19]
vitellina mongana: vitella da latte, giovanissima.
[20]
tra una disina e l’altra: desina viene da desinare, tra un pasto e l’altro.
♦ i suoi clientoli: secondo la Crusca, 3° ed., 1691, il
procuratore chiama clientolo quello per il quale egli procura. Dal latino Cliens.
[21]
Nei Plaideurs, il luogo dell’azione è la strada con le case di Dandin e di Chicanneau (vedi, introduzione,
n. 87). Dandin appare alla finestra di casa (I.3.v.
61) balza dalla finestra (v. 65) carico di sacchi (vv.
72-74), è subito afferrato da
L’Intimé et Petit-Jean, e poi da Léandre
(I.4.vv. 110-113), che lo costringe a andare di nuovo a letto.
[22]
sdirenare: mi ha fatto far male ai reni,
mi ha rotto i reni.
[23]
duren rangiar: dovrebbero ranghiare
(riferito agli asini). A m’ vegh un gran biù: mi vedo un
grande buio, giacché siamo al levar del giorno.
[24] Il Baronio de Citatione: Cesare Baronio (Sora, 30 ottobre 1538 - Roma, 30 giugno 1607) storico, religioso e cardinale italiano. Padre della storia ecclesiastica. Membro degli Oratoriani di San Filippo Neri, nel 1596, fu innalzato da papa Clemente VIII alla dignità cardinalizia: il suo nome è legato alla redazione dei primi
volumi degli Annales ecclesiastici (12 voll.), cioè la storia del cristianesimo dalle origini al 1198, prima intitolata Historia
ecclesiastica controversa, e alla
revisione del Martirologio Romano (Martyrologium Romanum,
cum Notationibus Caesaris Baronii (1586 - 1589), nonché di una Paraenesis ad Rempublicam venetam
(1606). ♦ Lo Scaccia
de Sententia ecc: Lo Scaccia è un insegnante di
giurisprudenza attivo all’inizio del 600 autore di Le impugnazioni delle
sentenze e delle lodi. ♦ Il Rugginello de Appellatione: Julius
Caesar Ruginellus (? - 1628), giurista milanese,
autore di Commentariis ad Caesareas constitutionnes in titulum de Appellationibus (1653). ♦ Asinio: si riferisce forse a Asinius Pollion, autore e storico romano (76 a.C
- 4 d.C) che criticò i Commentari di Cesare, o a suo figlio Gaio Asinio
Gallo, senatore romano, malvisto da Tiberio, che lo fece imprigionare e morire
di fame. ♦ Il Postio de Subastatione: allusione
al De subhastatione tractatus
singularis junctis ad materiam variis Rotae Romanae decisionibus (Genevae,
De Tournes, 1671, 16441) di Ludovicus Postius, o Lodovico Postio, recensito nel Catalogus
librorum qui reperiri possunt liburni, in bibliotheca donatiana, pro anno 1707. La subastazione di beni, sono gli atti relativi
all’imposizione ed esazione dell’imposta reale. Con questi libri, Gigli riassume l’intero percorso
al quale devono sottomettersi quelli che fanno appello alla giustizia: la
citazione è la chiamata in giudizio, l’atto introduttivo del processo;
l’appellazione è il ricorso in appello, l’esecuzione è l’insieme delle
operazioni con cui un provvedimento è reso effettivo.
[25]
Mio padre nella strada: battuta
che corrisponde a Racine, I.4.68: «Vite un flambeau, j’entends mon père
dans la rue».
[26]
Insaccar un duttor senza
pruvar niente: in tutta
questa scena intorno all’insaccamento del giudice, viene usato un lessico
tecnico intorno alla retorica giuridica (far la proposizione, argomentare,
mezzo termine, uscire in forma, la maggiore / la minore, il giudice è l’ultimo
a dir...). Questa evocazione caricaturale della retorica giuridica continua poi
nelle scene seguenti, e più avanti nelle arringhe contradittorie di Balanzone.
[27]
s’ vu’ a n’ m’
savì arrivar: se voi non sapete arrivare più
avanti di me, cioè essere più sapienti di me, si vegga
nella esperienza. Più avanti, I.6.15: che vu’ donc
a n’ m’arrivà: equivale a: voi dunque non arrivate
fino a me, non mi superate nella sapienza.
[28] arrandellare: il randello è un grosso
bastone. In basso toscano, vuol dire vendere a basso prezzo.
[29]
Amaranto: Amaranto Sciaditico
è lo pseudonimo di Girolamo Gigli all’interno dell’Accademia dell’Arcadia,
fondata nel 1690 a Roma.
[30]
Come si dimanda: come si chiama.
[31]
Nemica: Noferì
esce parlando a una sua serva che sta nelle quinte, come faceva Chicanneau (I.6.164-176), parlando verso le quinte a un suo
servo, La Brie, per dargli diversi ordini (su questa citazione deviata, vedi Introduzione, p. 30). Nemica è una forma
storpiata di Menica, che Noferì usa poi, nella stessa
battuta, sotto la forma abbreviata ‘Menich’. ♦ pianella
= sciabatta, fiorentino. ♦ scannello: leggio da
mettere sulla scrivania = cassetta. ♦ rimasughiolo: rimasuglio. ♦ gugghiate: cucchiate. ♦
Non si finisce
mai co’ i procuratore: riprende l’idea espressa da Chicanneau,
Les Plaideurs,
(I.6.168). ♦ fogghiolino: fogliolino. ♦
ferraiolo: ampio mantello.
[32]
a chi batte la
campagna: scorrere la campagna per provarne la sicurezza, esplorare (vedi sotto:
fare il birro, camminare in su e in giù come uno sbirro).
[33]
Canchita: canchero.
[34] O che mi cucugliate: cucugliare è fare il verso del cuculo, beffare,
canzonare.
[35]
ghi è terra cavolina: è morto e sotterrato, e
ridiventato terra per far crescere i cavoli.
[36]
Spero per lei gran tempo / Viver, quand’altri mi terrà per morto: Petrarca, Rime, canzone 12, vedi Le Rime del
Petrarca brevemente esposte dal Castelvetro, Parte prima, Venezia, Zatta, 1756, p. 254.
[37]
del Melosi: Francesco Melosio (1609 -1670). Perugino, di
famiglia nobile del secolo XVI. Autore di libretti di drammi per musica, di
sonetti lodativi indirizzati alla cantante Anna Renzi, e a Claudio Monteverdi.
Ebbe controversie con il musicista veneziano Francesco Cavalli per un mancato
pagamento. I suoi libretti furono musicati anche dal celebre castrato Atto
Melani, e da Luigi Rossi, tutti e due attivi alla corte di Francia. Autore
satirico, fu implicato in varie affaires. Alla corte di Torino, nel
1648, scrisse i suoi sonetti più famosi e controversi in occasione di una
‘congiura’ contro il giovane duca Carlo Emanuele e sua madre, la reggente
Cristina di Francia, per la quale i presunti responsabili furono condannati a
morte.
[38]
Segnus irritant animos demissa per aves./ Quam quae sunt oculis
subiecta fidelibus: versi
ripresi, modificati, da Orazio, De Ars poetica, parte II, vv.
180-181 parlando del potere della visione che non più forte
dell’orecchio sullo spirito dello spettatore. Questi due versi sono citati da
Voltaire in una lettera indirizzata a Francesco Albergati Capacelli
nel 1758, dove si parla della Sémiramis e
dell’effetto prodotto sull’animo del pubblico dalla visione di una scena ben
realizzata: «Quand j’ai fait jouer Sémiramis,
j’ai fait placer l’ombre dans un coin, au
fond du théâtre;
elle montait par une estrade,
sans qu’on la vît monter; elle était entourée d’une gaze noire; tout dépend de la manière dont sont placées les
lumières. Cela fait un terrible effet, quand tout est
bien disposé; car: Segnus
inritant animos demissa per aurem, / Quam quæ sunt oculis subjecta fidelibus».
[39]
l’ailba de tafani: l’alba dei tafani, cioè «il mezzo dì,
detto per ischerzo, perchè
allora cominciano a ronzare i tafani» (Crusca, 1691). Si trova Perchè il nimico all’alba de’ tafani / Vuol trucidare in
singolar battaglia, Lippi, Malmantile, 10.8.
[40] Ho i’ a ire alle buiose: ‘buiosa’ si usa nel gergo
letterario per parlare delle prigioni.
[41] ch’il sonetto è per l’oriuolo a polvere. Allusione a sonetti sulla rappresentazione del Tempo, dello stesso
Girolamo Gigli, contenuti nelle sue Poesie sacre, profane e facete, in Lezioni
di lingua toscana, p. 226: «nell’anno 1700, calendo il secolo fu suggerito
agli accademici Rozzi quest’invenzione e rappresentata con questa pompa...».
[42]
ho da entrar
nelle stinche: allungare gli stinchi significa
morire. Più avanti si parla di «morir nelle stinche».
[43] L’è chiara chiara e spiattellata: mostrata chiaramente, messa sotto gli occhi. ♦ Io non son già tondo come l’O di Giotto: non sono
tonto, cioè tardo di mente, stupido.
[44] Corbezzole: esclamazione che esprime maraviglia, stupore.
[45]
Ma finalmente
quanto ch’arò i’ a stare?: nell’edizione questa parte di
battuta è attribuita a Noferì con il verso seguente,
invece il verso deve essere attribuito ad Amaranto.
[46]
messo a bacio: il bacio è un vento, simile
alla tramontana; si allude a un luogo esposto a tramontana, cioè luogo ombroso,
oscuro, ostile.
[47] vo’ m’impiccasse: forma dialettale per
‘m’impiccaste’.
[48]
Cacaiola: grossolano per dissenteria.
‘Aver la cacaiola’ significa aver una gran paura.
[49] ch’i
ne so’ uscito pel bucco dell’acquaio: Andarsene per il buco dell’acquaio, vale per smagrire,
struggersi insensibilmente. Lat. tabescere,
macescere (Crusca 1691: § II). Qui significa: mi sono
salvato con grande difficoltà.
[50] all’agozzin di galera: aguzzino, guardia dei galeriani, dei prigioni. ♦ di quel rogito: rogito, termine legale, atto e
solennità del rogare cioè firmare (subscriptio
in latino).
[51]
Comincia solo qui l’accenno agli
amori di Leandro ed Isabella, mentre in Racine Léandre si intratteneva di Isabelle con L’Intimé sin dalla sc. 5.
[52]
Voi avete il
padre impazzito: la battuta di Notaro, e la seguente di Leandro, echeggiano versi di Racine (I.5.129-146) «l’int.: L’un veut plaider toujours, l’autre toujours juger». ♦ Scialacquasse nelle liti: Racine, ibid.,
vv. 129-130: «Mais vous devez songer que monsieur Chicanneau / De son bien en procès
consume le plus beau».
[53]
Il signor Noferì
la vuol maritare al suo procuratore: corrisponde a un’allusione di L’Intimé (Racine, Les Plaideurs,
I.5.142), che cita le categorie di mestieri che hanno diritti a frequentare
Isabelle: «à moins
que d’être huissier, sergent ou procureur». Isabelle è sequestrata dal padre, ed è anche espressa l’idea che Chicanneau sta per rovinarla per soddisfare la sua passione
giuridica (ibid., v. 147).
[54]
Pensaremo a qualche stratagemma: riassume Racine (I.5.160-163), dove L’Intimé
suggerisce di stabilire un contratto falso. In Racine,
Dandin non è presente in scena.
[55]
Il giudice interpreta male le
parole del Notaro contro il Procuratore, e torna sulla diplomazione
del figlio, che lo ha fatto diventar un asino senza gli orecchi (I.13.1), per
farlo ridiventare uomo. Con una metafora cristica, pensa di convertire il
raglio in riso, il basto in toga, la paglia in pane, e l’acqua del pozzo in
vino di Montepulciano.
[56] Luzian tra ‘l sigma: Allude a Luciano di Samosata, rettore greco e
satirista nato a Samosata, in Anatolia (Siria) (c. 120 d. C. - Egitto c. 180 d. C.) che scriveva in greco in stile
neo-attico. Scrisse vari elogi satirici come L’elogio della mosca. Il
giudizio delle vocali è una arringa parodica pronunziata da una lettera
greca, il sigma, contro un’altra, il tau, accusata di troppo
espansionismo. ♦ Zizeron:
Cicerone ♦ Quintilian: Tullio Quintiliano Marco Fabio (Nassica
35-40 d. C. / Roma c. 96 d. C.), oratore e maestro di retorica. Il manoscritto
del suo trattato Istitutio oratoria fu
scoperto e edito da Poggio Bracciolini. ♦ Al stil asiatich e al stil laconich: allusione
confusa e parodica alla distinzione tra i vari stili elencati da Quintiliano (Istitutio L. 12 c. 10), stile asianico,
attico, rodio e laconico, presente in diversi trattati di rettorica
dell’inizio del 600 (Strada, Tesauro, e in trattati di musicisti come Doni e Burmeister). L’attico è laconico, l’asianico
è più entusiasta. ♦ Livi e Salusti: Tito Livio (Patavium 59 a. C.- 17 d. C.), storico di Roma, autore di Ab
urbe condita, e Sallusto (Caius
Sallustus Crispus (86 Amiternum -35/34 Roma), uomo politico e storico autore di
una storia romana sul periodo tra la morte di Sylla e la vittoria di Pompeo. Ha
influenzato Tacito. ♦ Le Besti d’Esop: cioè le favole
di Esopo, scrittore greco (620 a. C./ Delfi 564 a. C.), che ci ha lasciato 358
favole (Fabulae), conosciute in tutta
Europa anche nel Medioevo, in francese circolava sotto il nome di Isopet. ♦ Versil a Umer ecc.: allusioni a
Virgilio e Omero, e ai poeti e drammaturghi più celebri dell’antichità, Seneca
e Sofocle per la tragedia, Plauto e Aristofane per la commedia, Orazio e
Pindaro per la poesia lirica, Sannazaro e Teocrito per la bucolica. ♦
Purfirii e Averrue: Porfirio, filosofo greco autore del trattato Isagoge
ossia Introduzione alle categorie aristoteliche (c. 268-270 d. C.),
tradotto in siriaco, in latino, e ritradotto e commentato poi da Boezio; Averroe (Cordoba 1126-Marrakech 1198, metafisico, teologo,
giurista e medico, è uno dei maggiori filosofi della civiltà islamica, la cui
filosofia a influenzato il pensiero rinascimentale italiano. ♦ Zabarella e Nifo: Zabarella,
autore della seconda metà del 500, che scrisse vari trattati di logica, sulla
natura dell’intelletto umano e i suoi rapporti con l’anima e il corpo. Agostino
Nifo nato a Sessa nel 1473, insegnò a Napoli poi a Padova, scrisse tra l’altro
un trattato sull’immortalità dell’anima, contro Pomponazzi, dopo aver aderito
in gioventù all’aver-roismo, lo combattè,
come pur dell’alessandrinismo. ♦ Seneca
e Epicur:
Epicuro filosofo greco (Samo, 10 febbraio 342 a. C. - Atene, 270 a. C.) e
Seneca, filosofo e drammaturgo romano (Cordoba, 4?/1?
a. C- 65 d. C.). ♦ Pittagora e Anassagora: due
filosofi greci, il primo matematico e astronomo (Samo, 570 a. C. circa -
Metaponto, 495 a. C. circa), il secondo, presocratico (Clazomene,
496 a. C. - Lampsaco, 428 a. C. circa). ♦
Apollonio Tiane e Diozene Zinie: Apollonio
di Tiana, filosofo greco, morto a Pozzuoli nel 98
d. C); Diogene di Sinope, detto Diogene il Cinico o
Diogene il pazzo (Sinope, 412 a. C. circa - Corinto,
10 giugno 323 a. C.). ♦ Plutarco: Plutarco (Cheronea, 46 d. C./48 d. C. - Delfi, 125 d.
C./127 d. C.), filosofo greco, moralista e biografo, autore delle Vite
parallele, in cui personaggi greci sono accostati a personaggi latini. ♦
Tazit e Zust Lipsi: Publio Cornelio Tacito (Gallia Narbonense,
55-58 - Roma, 117-120), storico, oratore e senatore romano; Giusto Lipsio (Overijse, 18 ottobre 1547
- Lovanio, 23 marzo 1606), filosofo, giurista umanista e filologo fiammingo,
seguace dello stoicismo romano senechiano. ♦ Columel e Tremellio: Lucio
Giulio Moderato Columella (Gades 4 - 70), scrittore
romano di agricoltura che lasciò un De re rustica, in 12 volumi,
scoperti da Poggio Bracciolini; Gneo Tremellio Scrofa
(Tremellius Scrofa), scrittore latino del 1° secolo
a. C., ricordato da Varrone come un’autorità nel campo dell’agricoltura. La sua
opera, che non ci è giunta, fu una delle fonti della Naturalis
Historia di Plinio. ♦ Parazels e Galen: Paracelso e Galeno.
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus o Paracelso
(Einsiedeln, 14 novembre 1493 - Salisburgo, 24
settembre 1541), medico, alchimista e astrologo svizzero, noto per aver battezzato lo zinco, chiamandolo zincum; è considerato come
il primo botanico ‘sistematico’; Claudio Galeno: medico imperiale a Roma e
filosofo (Pergamo, c. 130 - ivi?, c. 200) fondò una teoria della medicina che
riformulò i principi ippocratici ancora vigenti nell’epoca medievale. Prima
chirurgo, fu medico di Marco Aurelio, scoprì la differenza tra nervi motori e
sensitivi, distinse le lesioni degli emisferi cerebrali da quelle del
cervelletto, valutò la funzione escretrice dei reni, riflettè
sul sangue, sul cuore e sugli scambi sanguigni che vi si producono, sulla
circolazione fetale e particolarmente sugli organi di senso. ♦
Tolomeo e Copernic: Claudio Tolomeo (Pelusio, 100 c. - Alessandria
d’Egitto, 175 c.) astrologo, astronomo e geografo greco antico che visse e lavorò ad Alessandria
d’Egitto, considerato uno dei padri della
geografia, autore del trattato astronomico noto come Almagesto; Mikołaj Kopernik
(Toruń, 19 febbraio 1473 - Frombork, 24 maggio 1543), ecclesiastico, astronomo giurista, astrologo, medico polacco famoso per aver portato all’affermazione della teoria eliocentrica. ♦ Zoroaster e Arat: Zoroastro e Arat, cioè Zarathuštra, anche Zarathuštra Spitāma, profeta
e mistico iranico, fondatore dello Zoroastrismo, ritenuto fondatore dell’astronomia, e autore degli Oracoli caldaici. ♦ Cumet: cometa: corpo celeste di grandezza e luminosità variabile. Dopo il XIV, le
comete erano considerate oracoli annunciatori di sfortune. ♦
Port e Niquet: Giambattista della Porta, napoletano, scienziato e letterato, autore
della celebre Physiognomonia (1586) e di opere drammatiche, commedie e tragedie; Honorat
Niquet è un padre gesuita autore di un tattato intitolato De
Phisiognomonia humana,
del 1619. ♦ Cornell Agripp e Parazels:
Enrico Cornelio Agrippa de Nettesheim, alchimista e astrologo esoterico tedesco
(Cologna, 1486- Lione, 1535), difensore dell’occultismo; Paracelso (Einsiedeln, 14 novembre 1493 -
Salisburgo, 24 settembre 1541), medico, filosofo e teologo laico nato in
Svizzera (1493) morto a Salisburgo nel 1541, noto per il suo trattato di
medicina, ma anche per aver battezzato lo zinco e aver controbbattuto la dottrina aristotelica
dei quattro elementi definendo i nuovi principi della materia (sale, zolfo,
mercurio). ♦ Pico della Mirandola e Caramuel: il conte Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), filosofo e teologo
umanista fiorentino, allievo di Ficino e amico di Poliziano, protetto da
Lorenzo il Magnifico, fece tradurre in latino i testi della cabala; Caramuel: Juan Caramuel y Lobkowitz, ecclesiastico cistersiano spagnolo (Madrid, 1606-1682), autore di una grammatica cabalistica nel 1642 che critica la cabala,
esponente dell’ateismo rabbinico. ♦ Archimed: Archimede (Siracusa, 287 a. C. ivi 212 a. C.), fisico matematico e ingeniere greco. ♦ Euclide e Obles: Euclide (c. 300 a. C), scienzato e matematico,
autore degli Elementi, testo fondatore della
matematica; Dom. Obles,
filosofo inglese, autore del Trattato del cittadino, e di opere filosofiche e
politiche. ♦ Galileo e Guid Bald: Galileo Galilei (1564-1642), astronomo, fisico toscano. Guidobaldo Del
Monte o marchese Guidubaldo Bourbon Del Monte (Pesaro, 11 gennaio 1545 - Mombaroccio, 6 gennaio 1607), filosofo, astronomo e italiano, amico fidato di Galileo, autore del Mechanicorum liber (1577). ♦ Tolomeo e Strabon: Tolomeo, vedi supra. Strabon, noto geografo greco, nato in Amasya (Turchia) (c. 64 a. C.-21/ 25 d. C.). Nel Quattrocento, Guarino
Veronese tradusse la totalità delle opere
di Strabon, e lo fece conoscere largamente. ♦
Conte Pagano e
’l cavalier Trisim: Il conte Pagano, potrebbe alludere al vicario imperiale dell’Imperatore
Federico I, membro della famiglia degli Ezzelini, di cui Giambatista
Verci scrisse la storia nel Settecento; il ‘cavalier Trissim’ allude a Gian Giorgio Trissino (1478-1550), poeta e tragediografo, autore
della prima tragedia italiana, la Sofonisba. (1515) e dell’epopea L’Italia liberata dai Goti (1527, pubb.
1547). ♦ Vegezì e Fratin: Publio Flavio Vegezio Renato,
scrittore romano, autore del trattato Epitoma rei militaris
o L’Arte della guerra, trattato della prima metà del V secolo,
largamente diffuso e tradotto nel Medioevo e ancora nel XV, pubblicato in
Italia a Roma e a Pisa; Giacomo e Giorgio Paleari, detti ‘fratini’, erano
membri di una famiglia di ingegneri architetti militari ticinesi della fine del
secolo XVI, che avevano conquistato la fiducia del rè
di Spagna Filippo II. Un ‘fratino’ è persino citato nel Don Chisciotte
di Cervantès, che Gigli conosceva (vedi infra,
II.15.12). ♦ Dedalo e Tisi: Dedalo è il
personaggio della mitologia greca, scultore e architetto, padre di Icaro,
costruttore del laberinto cretese; Tisi evoca
Teseo che riuscì a vincere il Minotauro nel laberinto, grazie al filo
d’Arianna. ♦ Cartes e Vitellion: René Descartes, filosofo e matematico francese (1596-1650), fondatore
della matematica moderna, autore della teoria della Diottrica (1637), dove
studia l’ottica, la rifrazione e la difrazione. Nel
1604, Kepler aveva anche pubblicato l’opera Ad Vitellionem
paralipomena, dove esponeva i principi teorici dell’ottica, senza arrivare a
determinare le leggi della rifrazione. Vitellion
alluderebbe quindi a Képler. ♦
Vetrvi e Michel Angel: Marco
Vitruvio Pollione (80 a. C.- 15 a. C.), architetto e scrittore romano il cui
trattato De Architettura fu riscorperto nel Quattrocento, tradotto e commentato da
Lorenzo Ghiberti e da Leon Battista Alberti; Michelangelo Buonarroti,
architetto, scultore e pittore (1475-1564). ♦ Diofante e il Viera: Diofanto d’Alessandria (III sec. d.
C. ?) d’origine siriana, padre dell’algebra, autore
del trattato Arithmetica, composto di tredici libri di cui solo
sei ci sono pervenuti, pubblicato a Tolosa nel 1620. ♦ Viera:
matematico del XVI secolo che pubblicò nel 1590 un libro di Aritmetica speciosa nel
quale denota le quantità ignote e note con simboli o lettere. Introdusse un
metodo per estrarre le radici dell’equazioni per mezzo delle approssimazioni.
♦ Mostrar quanta para faran
tre bue: espressione popolare, molto usuale a quel tempo, che si
indirizza a qualcuno che chiede risposte su cose impossibili. È anche segno di
pretenziosa stupidaggine. L’espressione torna poi alla fine della scena (55-77),
dove Balanzone la usa per porre un problema di aritmetica al figlio e al
Notaro, costringendoli a bendarsi gli occhi, e riesce così a scappare dalle loro
mani.
[57] I.13.20-43:
qui, al contrario di quanto accade ne Les Plaideurs, il Notaro non riesce a fermare Dandin nella sua logorea verbale.
In Racine, era L’Intimé,
nel processo finale (III.3.739-788), che si dilungava
nella sur plaidoirie comica, citando autori antichi (Aristotele,
Catone, Posania, Armeno Pul,
il Digesto di Giustiniano...) con
grande pathos ridicolo, rissalendo fino alla nascita
del mondo e al diluvio, per convincere l’uditorio dell’innocenza del cane
accusato, poi inteneriva la giuria presentando i cagnolini che rischiavano di
morire di fame se il genitore veniva condannato.
[58]
Cappita!: Caspita!
[59]
dighi: dici.
[60]
Son ridotte a poche: la fine della battuta di Urania corrisponde a quella della Comtesse
de Pimbêche nei Plaideurs di Racine, I.6.237-240: «Monsieur tous mes procès allaient être finis
/ Il ne l’en
restait plus que quatre ou cinq petits, / L’un contre mon
mari, l’autre contre mon père, / Et contre mes enfants. Ah, monsieur, la misère!...».
[61]
Hanno messo d’accordo una condizion: la battuta di Urania corrisponde a Racine, I.6.242-244: «Mais on leur
a donné / Un arrêt par lequel, moi,
vêtue et nourrie / On me défend, monsieur,
de plaider de ma vie».
[62] obligar una povera
donna a non poter più litigare: in Racine,
la Comtesse diceva a Chicanneau:
«Mais vivre
sans plaider est-ce contentement?» (ibid., v. 250).
[63]
Quant’è che litiga?: Bettina riprende qui la
parte di Chicanneau che diceva
alla Comtesse: «Mais s’il vous
plaît, madame / Depuis quand plaidez-vous?». La Comtesse era meno
evasiva sulla sua età: «Il ne m’en souvient pas / Depuis trente ans ou plus. Chic.:
Ce n’est pas trop. Comt: Hélas!
/ Chic.: Et quel âge avez-vous? Vous avez bon visage /. Comt. Hé, quelque soixante ans.», I.7.252-256.
[64] bazzecole: cose da poco, quisquiglie, inezie. ♦ balzelli: tassa gravosa e arbitraria, qui Uranaia ha
paura di essere tassata su ‘munizioni’, cioè polvere per la caccia, che tiene illegalmene a casa. Tutto il dialogo è costruito su un
fraintendimento, da sua parte e da Bettina, dello scambio di battute tra
Amaranto e Fioretto. Urania
manda la serva davanti al procuratore, mentre Chicaneau
consigliava alla Comtesse di andare a trovare il suo
giudice (Les Plaideurs,
I.7.261), e di buttarsi ai suoi piedi.
[65] II.2.66-77 Qui Gigli sfrutta il frainendimento di
parole, che esisteva anche in Racine tra la Comtesse e Chicanneau, alla fine
della scena I.7. di Les Plaideurs. L’effetto comico verbale veniva dal fatto che
la Comtesse interrompeva di continuo Chicanneau («Si vous parlez
toujours il faut que je me taise» (I.7.267), e
capiva poi tutto a rovescio, come Urania fa con Amaranto. Racine
giocava però più brevemente sui fraintendimenti: lo faceva in particolare sulla
parola giuridica «lier», fraintesa dalla Comtesse perché non lascia che Chicanneau
finisca la frase: «chic.: Et lui dirais, monsieur... comt.:
Oui, monsieur. chic.: Liez-moi.... / comt.: Je ne veux point être
liée», (ibid., vv.
269-271). ♦ Libitina: dea romana dei funerali che ne sorvegliava il corretto svolgimento. A
volte confusa con Venere o Proserina. ♦
che so’ a
accattare: sono ridotta a mendicare.
Urania ripete due volte la stessa formula di lamentazione. Nell’edizione c’è
prima che so’
accattare, poi che so’ a accattare, si è ristabilita la preposizione in ambedue i casi.
[66] II.3.1-2 Nell’edizione, le prime due battute sono attribuite in ordine
inverso, Amaranto poi Fioretto.
[67] II.4. La scena è ripresa in parte a Les Plaideurs
di Racine; scena tra Léandre
e L’Intimé, il primo travestito da commissario,
l’altro da usciere. «l’intimé: Monsieur, encore un coup, je ne puis pas tout faire / Puisque je fais l’huissier, faites
le commissaire [...] Changez en cheveux noirs votre perruque blonde»
(II.1.299-300). Gigli cambia il travestimento di Leandro nella logica della diplomazione farsesca ricevuta dal padre all’atto primo,
raggiunge poi Racine coll’evocazione del
‘commissario’ dell’Annona di Bologna.
[68]
commissario dell’Annona di Bologna: termine di economia o finanza.
Si occupava dei regolamenti dello stato o di altri enti pubblici di un paese
per regolare il commercio e i mercati, sorvegliare le proprie scorte di derrate
alimentari e la distribuzione, i prezzi, di modo a mantenere la pace pubblica.
Si ritrovano allusioni all’Annona e al magistrato dell’Annona a II.7.5, 14-15,
22 e 34; III.2.18 e 26; III.9.17.
[69]
si teme di carestia: questo allude forse
a una carestia reale, accaduta negli anni precedenti la scrittura della commedia. C’è un’altra
allusione del Notaro a un anno «penurioso» in II.7.5. Più avanti, nella
stessa scena (27-28), lo stesso Notaro evoca anche le disposizioni dell’Annona per rimandare le celebrazioni di nozze a causa della mancanza di pane per i pasti. Nell’ultimo decennio del 600, le raccolte
di grano furono spesso scarse, e il pane
mancava. Sul tema, vedi Lucia e
Luciana Bigliazzi, Fra carestie e alimentazione.
Saverio Manetti, «Delle specie diverse di frumento e di pane e della panizzazione», 1765. Note di storia e di filologia
testuale,
Firenze, Accademia dei Georgofili, 2011 (http://www.georgofili.it/download/1075.pdf). Nel 1694, per esempio, furono banditi dall’amministrazione granducale diversi decreti per «venir a cognizione
di come era provvisto lo Stato
serenissimo», ivi, p. 63. Questo potrebbe
permettere di precisare la data di scrittura de I litiganti.
[70]
L’intera scena è ripresa ai Plaideurs II.2.327-332, tra L’Intimé,
Isabelle, ed è quasi una traduzione in prosa, non un adattamento: «is.: qui frappe? l’int.: Ami. C’est la voix
d’Isabelle. / is.: Demandez-vous
quelqu’un, Monsieur? l’int.: Mademoiselle
/ C’est un petit exploit que j’ose vous prier/ De m’accorder l’honneur de vous signifier. / is.: Monsieur excusez-moi, je n’y puis rien comprendre. / Mon père va venir qui pourrait vous entendre...».
[71] La citazione
viene...: vedi Racine, II.2.334: «l’intimé: L’exploit,
mademoiselle, est mis sous votre nom».
[72] A me?...: qui Gigli utilizza un effetto comico presente nel dialogo di Racine, che però insiste di più sulla
resistenza di Isabelle e lascia
a lungo in sospeso la rivelazione del nome di Léandre: «is.: Monsieur vous me prenez pour une
autre sans doute; / Sans avoir de procès, je sais ce qu’il en coûte; / Et si
l’on n’aimait pas à plaider plus que moi, / Vos pareils pourraient bien
chercher un autre emploi. / Adieu. l’int.: Mais permettez… is.: Je ne veux rien permettre. /
l’int.: C’est une lettre. / is.:
Encor moins. int.: Mais lisez… is.: Vous ne m’y tenez pas. / l’int.:
C’est de monsieur... is.:
Adieu. l’int.: Léandre. is.: Parlez bas / C’est de
monsieur? l’int.: Que diable on a bien de la peine / A se faire écouter: je
suis tout hors d’haleine». (II.2.335-344).
[73]
E chi vi riconoscerebbe: vedi Racine,
II.2.347: «isabelle: Et qui t’aurait
connu déguisé de la sorte?»
[74]
La scena
segue anche Les Plaideurs, ma legando
due scene successive II.3 e II.4.352-370.
[75]
liberar dalle stinche quella mia Podepina: allusione agli Inferni e a
Proserpina. Per
stinche
(I.10.50) ♦ non ghi riempirebb’Arno colla piena: si dice a uno che non si trova mai sazio.
♦ la bindola equivale a: lei traffica, imbroglia. ♦ qui’ pollastrone [...] non
m’andrebbe ma’ a
fagiuolo: quel pollastrone
non m’andrebbe a genio. Uso di fagiolo come cosa che piacerebbe molto ai fiorentini: «potrebbe anche essere stato preso
dai fagiuoli, che pur si sono usati come le fave
bianche e nere, per dare il voto negli squittini [scrutini], e nelle pubbliche
adunanze» (Tommaseo). ♦ e’ ne fa buccia buccia: tutti d’una bucia
equivale a tutti d’un sapore, d’una stessa qualità (Crusca); esser tutti d’una bucia:
vale per ‘lo stesso’. ♦ vuoil dar la voilta
alle carrucole: ‘ugner le carrucole’ dicesi di corrompere
altrui con i donativi per arrivare ai suoi fini (Crusca). ♦ vedo l’Isabella nella via: l’entrata di Noferì è più estesa di quella di Chicanneau, il quale vede subito che Isabelle legge qualche
cosa e sospetta che sia da un amante (v. 358).
[76]
Guardate che conto fo delle
vostre cedole: Racine, II.4.365: «Tenez voilà le cas qu’on
fait de votre exploit».
[77]
Il dottor voilgare, e i formolario: allusione a Il dottor volgare o compendio di tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale, trattato di Giovan Battista de Luca, Roma,
Corvo, 1673. In Racine, c’era una parodia di Corneille quando Chicanneau si mostrava orgoglioso della difesa lanciata da
Isabelle in suo favore («Viens mon
sang, viens ma fille», v. 368, ripreso a Le Cid, «Viens mon
fils, viens mon sang», v. 266), e si alludeva al Praticien français, opera di un avvocato del
Parlamento, Lepain, che Gigli trasforma in «il dottor voilgare e il formolario». ♦ Le citaizioni non si stracciano: in Racine: «Mais diantre il ne faut
pas déchirer les exploits» (II.4.370).
[78]
raccorrò quei tricioli per vedì: vedi Racine
II.4. Tra L’Intimé et Chicanneau: Chicaneau: «Et puis si bon vous semble,
/ En voici les morceaux que
je vais mettre ensemble» (v. 376). In Racine, L’Intimé passa ad
altra cosa, parla della Comtesse e di un biglietto
che questa vuole ottenere da Chicanneau perché
riconosca che lei non è pazza ma savia. La lettura di L’Intimé
è quella della richiesta della Comtesse (vv. 397-407), firmata Le Bon. In Gigli, si tratta
dell’assegnazione del commissario dell’Annona, non chiara evidentemente per Noferì che legge le parole nel senso proprio.
[79]
le dirò il contenuto: in Racine, «J’en ai sur moi copie», v. 377
[80] difendere il tuo me’ di me:
in Racine, si trovano questi
versi: «Ah tu seras un jour l’honneur de ta famille/
Tu défendras ton bien» (II.4.367-368).
[81] II.7.14-15, 22,34 Annona: vedi sopra, II.4.10.
[82]
nibbio: uccello rapace predatore comune.
[83]
i’ non ci calo alla pania. Non mi lascio prendere;
espressione cacciatoria, che continua l’evocazione
precedente del nibbio, indirizzata al Notaro.
[84]
In Racine,
Chicanneau, che non vuole dar ragione alla Comtesse, dà uno schiaffo a L’Intimé
travestito da usciere (II.4.415-417), il quale subito registra lo schiaffo per
iscritto. In Gigli, gli schiaffi sono raddoppiati, come tanti altri elementi
comici, con un effetto di enfatizzazione dei procedimenti comici. Vedi sotto
II.8.5.
[85] In Racine, Isabelle non interviene in favore di
L’Intimé.
[86] Due schiaffi, scriviamo. (scrive) Il qual signor Noferì: questo traduce la battuta di L’Intimé quando si
trova schiaffeggiato da Chicanneau (II.4.419-420):
«Un soufflet! Écrivons: / Lequel Hiérôme après plusieurs rebellions, / Aurait atteint,
frappé, moi sergent, à la joue, / Et fait tomber du coup, mon chapeau dans la
boue».
[87]
per me son tanti
zecchini gigliati: In Racine, ivi, vv.
421-425, L’Intimé dice, scrivendo:
«Bon c’est de l’argent comptant / J’en avais besoin. Et de ce non content / Aurait avec le pied réitéré.
Le susdit serait venu de rage / Pour lacérer ledit
présent procès-verbal».
[88]
La scena corrisponde a Racine, Les Plaideurs, II.5, Leandre, Chicanneau, L’Intimé.
[89]
il becch all’oca: sintesi del proverbio: «insegnare i paperi a bere
all’oche», che si dice per gli imperiti che vogliono saperne più dei periti, cioè
quando un giovane vuol beffare un vecchio. Nella Dichiarazione de La serva
nobile, Giovanni Andrea Moniglia registra «fare il becco all’oca: dar compimento
all’opera» (Moniglia,
Poesie drammatiche, cit., p. 287).
[90] II.9.7-8
Racine, Les Plaideurs, II.5.449-450: «Léan.: Avez-vous des témoins? L’Int.: Monsieur, tâtez
plutôt / Le soufflet sur ma joue est encore tout chaud».
[91]
Annona: vedi sopra II.4.10.
[92] Racine, Les
Plaideurs, II.6, Léandre, Isabelle, Chicanneau,
L’Intimé.
[93] II.10.2-5 ibid.,
vv. 460-464: «léan.: Hé bien
mademoiselle / C’est donc vous qui tantôt braviez notre officier / Et qui si
hautement osez nous défier? / Votre nom? is.: Isabelle. léa.: (À L’Intimé): Ecrivez. Et votre âge? / is.: Dix-huit ans.»
[94]
La par una salamoncina: sembra una piccola replica del savio re Salomone.
[95] basso, a Isabella: nell’edizione: «con Isabella».
[96] cappita: vedi sopra II.1.5.
[97] A partire da questo punto Gigli prende le distanze con la commedia-fonte,
aggiungendo il personaggio dell’oste, mastro Lardello: in Racine,
II.7, si continua invece con Petit-Jean, Léandre, Chicanneau.
[98]
i fosatiè: storpiatura di foastiè, per foestè, come più avanti (II.12. 21) quando
parla di «una tooa
de foestè» (tavola di forestieri) accompagnè
da o procaccio da Venezia». Lardello cita tutti i
‘forestieri’ (o passeggieri -passaggiè-) parlando del
«Bergamasco, un Calabrese, un Zenese e un Bolognese
che litigavan insieme».
[99] Balanzone alla finestra: nella stampa c’è ‘foresta’. Potrebbe essere
un equivalente di ‘foresteria’, ma più sicuramente messo per finestra, ‘foro’
essendo usato anche per il buco. Balanzone è stato rinserrato da Lardello
nell’osteria in una camera, come dice in II.12.21, forse alludendo alla
foresteria. Ma più avanti, una didascalia dice Balanzone parte dalla finestra (II.13.60). Quest’apparizione alla
finestra viene da Racine (II.8-9) dove Dandin si affacciava a un lucernaio del tetto di casa (v.
515) per ascoltare le richieste di Chicanneau e La Comtesse; all’atto II.11.559-561, appariva poi da un
finestrino di cantina (didascalia: Dandin paraît par le soupirail).
[100] II.13.53-57si sentono due far alla morra: nel testo stampato, la
didascalia è: si sendono due far
alla mor, forma
dialettale accorciata, chiarita poi dalla battuta di Zuccarino (49). ♦ A’ ’i a dig
che in manc nov: nell’edizione la battuta è staccata dalla precedente, ma attribuita a
Balanzone.
[101] orbacco: equivale all’alloro.
[102] per pillittaghe
una pollanchetta: per infilarvi una piccola tacchina giovane.
[103]
ea spà di D. Chisciotto,
con a què fè question con i barè de vin neigro: allusione a un episodio dell’epopea comica di Cervantès, El ingenioso hidalgo don Quijote de
la Mancha pubblicata a Madrid, in due parti, nel 1605 e nel 1615. L’episodio è situato nel primo tomo al capitolo
XXXV, intitolato «si tratta dell’orrenda battaglia combattua
da Don Chisciotte contro otre di vino rosso» che lui prende per giganti.
Gigli ha scritto altre opere ispirate al Don Chisciotte,
L’amore fra g’impossibili ovvero Don Chisciotte e
Coriandolo dramma per musica, Siena St. Del Pubblico, 1689 poi 1693) e Atalipa (1694-1698), nonché la commedia satirica d’ispirazione
spagnola e secentesca, Un pazzo
guarisce l’altro (vedi supra Introduzione, p. 17, n. 40, e infra II.16.14-45, nonché in
bibliografia) o Il
don Chisciotte (vedi infra, II.16.14-45, e Bibliografia Frenquellucci, 2000). Proprio quel ‘Don Chisciotte’ gli valse il
successo e un invito alla corte viennese per scrivere in onore dell’Imperatore.
[104]
pillotto: grande cucchiao
con manico lungo per versare il grasso sulle carni arroste
allo spiedo.
[105]
L’amigo ha al sùo
o gommio: Sûo o sùo
in genovese vuol dire sudore e gommio sta per gomito. Qui Lardello ironizza sull’attività
di scrittore, che fa sudare i gomiti. Soù, nel testo, sarà un refuso per sùo.
[106] II.15.15-20 Lardello qui ‘anticipa’ non Goldoni, ma l’Augellino
belverde del Gozzi dove i due gemelli Renzo e
Barbarino dichiarano di leggere di continuo libri di filosofia comprati a peso
per la bottega del padre adottivo, Truffaldino, salsicciaio (I.4). ♦ Son già dez anni che questo autò stampa commedie: qui Gigli introduce nuovi elementi di autobiografia che ci consente anche
di poter ipotizzare una data di scrittura per I litiganti. Vedi anche infra, II.16.14-43. ♦ a due da quattro a lia: pressapoco.
[107]
senza far lor il conto: Amaranto usa qui nel senso
proprio, l’espressione figurata ‘fare i conti senza l’oste’ che vale per ‘chi
calcola da solo calcola male e sbaglia’. L’espressione è trasformata, qui si
tratta proprio di non pagare il conto.
[108] in calcul ferendae sentenziae: la formula ferendae
sentenziae designa una forma di scomunica che non
viene applicata al colpevole fino alla dichiarazione ufficiale delle autorità ecclesiastiche.
Balanzone dichiara così essere già nella fase decisionale, non nella preparazione del processo.
[109] II.16.16-49 La Geneviefa: ‘operetta drammatica’, scritta da Gigli nel 1684, per il Collegio dei
Tolomei, pubblicata per la prima volta a Siena, stamperia del Pubblico, 1685.
♦ La forza del sangue e della pietà: dramma per
musica, sacro, pubblicato nel 1686. ♦ Il Lodovico Pio: è il suo terzo dramma per musica, rappresentato nel 1684, pubblicato a
Siena, Stamperia del Pubblico, 1687, dove Amaranto è già inserito nei
personaggi. ♦ La fede nei tradimenti o l’Anagilda (Siena, Stamperia del Pubblico,
1689), dramma per musica di grande successo, fu portato in scena di continuo
per oltre sessant’anni in tutta Italia, esiste anche una versione inglese sotto
il titolo di Ferdinando (Londra, 1738). ♦
Un pazzo
guarisce l’altro o Il don Chisciotte (rappresentato forse nel 1687), satira dell’amore platonico (vedi sopra II.15.12). Questa
commedia detta ‘opera serioridicola’
è inserita nell’edizione veneziana
del 1704, dopo I litiganti. Su
quest’opera vedi la succitata edizione a cura di Elena E. Marcello. ♦ Atalipa indiano, dramma per musica (rappresenato
nel 1689), anch’esso d’ispirazione chisciottesca. Su
questo, vedi Franco Vazzoler, Don Chisciotte e le genti americane.
Comicità ed esotismo nell’Atalipa, dramma per musica di
Gerolamo Gigli, in Albert N. Mancini - Dino S. Cervigni
(dir.), Images
of America and Colombus in Italian
Literature = «Annali
d’ltalianistica», 10, 1992, pp. 190-210. ♦ Amor dottorato: il
titolo intero è Amor dottorato con le conclusioni da lui difese nel tempio
della virtù,
invenzione drammatica con la commedia Amor virtuoso del collegio Tolomei,
carnevale 1691 (pubblicato nel 1703). ♦ Amor fra gl’impossibili:
vedi sopra II.15.12, creato nel 1689, pubblicato lo stesso anno a Siena,
stamperia del pubblico (vedi Frenquellucci,
Dalla Mancha a Siena, cit., p. 77 e sgg), poi rappresentato ancora a Roma nel 1693. Riedizione
del 1700 e 1708, a Venezia, in Poesie drammatiche del. Sign. G. Gigli, poi a Padova, V. Corona,
1707 et 1708 (con la musica di Carlo Campelli), rappresentato al teatro della
Fenice d’Ancona nel 1727, con musica di G. B. Mastino, pubblicato postumo.
Anche in questo dramma, Gigli appare sotto le veci di Amaranto, poeta melancolico
e cupe. Gigli scrisse altri oratori sacri: La Giuditta
(col nome di Amaranto Sciaditico Siena, Stamperia del Pubblico, 1693); Il martirio di sant’ Adriano (rappr.
1690), Siena, s. d., poi 1696; La madre dei
Maccabei, oratorio scritto nel 1688 (T. Favilli indica: Siena, Bonetti,
1698).
[110]
i persut: i prosciutti. ♦ Opre de Bartol: vedi sopra I.1.75. Ma si
tratterà qui forse di Bertoldo, prototipo dell’ingenuo imbecille. Si ricorda
che Gigli ha scritto un sonetto faceto intorno alla figura dell’ingenuo
Bertoldo, inserito nell’edizione delle Opere nuove del 1704 (vedi nota al testo, p. 124). In questo sonetto dichiara di
rispondere «con occasione di nozze ad un
quesito: perché gli antichi ponessero un crivello nel letto degli sposi».
[111]
al codiz e a dizest: sono i libri di giuriprudenza che raccolgono le
leggi e le sentenze. Baldus de Ubaldis
è proprio l’autore di un Super Digesto nuovo pubblicato da Johannes de Gradibus,
Lione, Jacobum Sachon,
1518.
[112]
sett’ autor rispondan in punt
a le voster sette commedie: vedi sopra II.16.14-45.
[113]
lasciamo
seminato il campo: il procuratore si presenta qui
come un garante della tradizione giuridica, che Gigli guarda poi in modo
critico insistendo, nelle battute seguenti, sulla falsità della rettorica gudiziaria.
[114]
scivelle: scriverle. ♦ vent’aolo: forma
storpiata di ventavolo, vento di tramontana, aquilone.
[115] famigghio: per famiglio, cioè servo, evocato dopo in III.1.10, e anche più sotto
quanto risponde il procuratore in III.1.17: «battere i fameggi.... » ♦ quù: quello.
[116] auzzo: acuto. ♦ Sibillesca: una sibilla.
[117]
stovigghie: stoviglie. ♦ bazzecole: vedi sopra II.2.27. ♦ arvioni della giustizia: arpioni, le dita rapaci della giustizia. ♦ craizie: crazie, moneta antica. Le
crazie, stampate a Piombino ma anche nello Stato fiorentino, valevano 5
quattrini.
[118]
fate i
nescio: fare il nescio, espressione che si dice a
qualcuno che ostenta di non sapere.
[119]
chiragra: gotta delle mani.
[120] zenero: nel testo
originale si legge severo, probabile refuso per zenero (‘genero’).
[121] che gliela dessi: non c’è questa precisazione alla fine della battuta di Urania. Viene
ripetuta una parte della frase precedente «a Vostra Signoria, ma mi sono incontrato in una spia», sicchè la frase, dopo «ed è bisognato», non viene conclusa. Considerando la battuta seguente del procuratore, si suppone che deve
concludere con: è bisognato «che gliela dessi».
[122] L’Isabella si dà alle bertuccie: s’inquieta, si dispera. ♦
La si tapina: tribola, vive in miseria; è ridondante.
[123]
spartir i pian di Migello: il pian di Mugello, zona ricca
della Toscana, ricercata da vari forestieri, tra cui i Bolognesi, già nel
Trecento. Cioè : farebbe affari anche col diavolo.
[124]
far’ a’ capelli adesso: vorrebbe fargli fare quello che vuole lei
(equivale a condurre qualcuno a far checchessia).
[125]
cavallieri erranti del Boiardo e del Furioso: evocazione dei poemi
cavallereschi di Boardo, Orlando innamorato, e dell’Ariosto, Orlando furioso, che segnano l’erudizione e gli
interessi letterari di Gigli. Utile ricordare che nei drammi di Gigli, il
personaggio di Don Chisciotte è qualificato ‘cavalier errante’.
[126]
Auris sacra fames
et nasi dira cupido: citazione in parte ripresa a Virgilio, Eneide, III.56-57: «Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames?», cambiando auri (l’oro) in auris (orecchio), e completando con il naso.
[127]
Zioù: Giove. ♦ i avran dzrì l’allore: avranno digerito l’alloro.
[128] immatisco: impazzisco.
[129] armato il frontispicio: armato il frontespizio, cioè il viso, la fronte.
[130] III.11.14-15 Gigli inventa qui un contrasto drammatico nuovo, mettendo in
scena un processo nel quale il figlio, apprendista giudice, deve pronunciare
una sentenza sul’aggressione subita dal padre, e
quindi è suscettibile di prevaricazione e di parzialità. Per quanto pazzo e
alquanto stupido, Balanzone cerca di raccomandare al figlio la prudenza per
dare le sentenze in modo imparziale.
[131] III.11.16-34: persut:
vedi supra II.16.51. ♦ ossolut: assolti.
[132]
le pillole d’i Gelli: il Gelli era un medico fiorentino del secolo XVII, erudito di
lingua greca e araba. L’espressione significa mandar giù la roba senza
masticare, come si fa delle pillole. Si trova nelle satire di Benedetto Menzini, (Napoli, Gennaro Rota, 1763, satira VI, p. 205), e
anche nella bocca di Anselmo Taccagni nella commedia di Giovan Battista Fagiuoli, Le
differenze aggisutate ovvero il Podestà spilorcio, I.6:
Anselmo sta parlando di un notaio, parasito, «che ingoja le
pagnotte come le pillole del Gelli» (Commedie
di Gio:
Battista Fagiuoli, fiorentino, Lucca, Marescandoli, 1737, t. III, p. 211)
[133]
squarquoio: vecchio, decrepito.
[134] perdinci: perdiana, esclamazione di meraviglia.
[135] cappita: vedi sopra II.1.5 e II.10.49.
[136]
Qull’incantator ch’ha fatt in
st’ mond l’asn d’or: allusione a Lucio Apuleio (125-170 d. C), autore di un
romanzo intitolato Le metamorfosi, in
undici libri, detto anche L’Asino d’oro,
di cui numerosi autori italiani si sono ispirati, tra l’altri
Boccaccio, Boiardo, Machiavelli e Firenzuola al quale si deve un adattamento
libero.
[137]
mi darè alle bertuccie: paragone a svantaggio di
Urania, assimilata da Noferì una scimmia.
[138]
via d’i Cocomeri: in via del Cocomero, a Firenze,
nel centro, vicino alla Santissima Annunziata, dove, dalla metà del Seicento,
era attivo il Teatro degli accademici Infuocati.
[139]
dà l’erba trastulla: dar da credere fandonie e menzogne. ♦ M’infinocchi: mi
inganni.
[140]
a fe de gobbi: in
fede mia.
[141]
abbia l’alfabeto in pelle in pelle: sappia l’alfabeto solo in
superficie, con studio non ancora del tutto approfondito.