Girolamo Gigli

 

I litiganti

ovvero il giudice impazzato

 

 

 

a cura di Françoise Decroisette

 

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

lineadacqua edizioni

 

2017

 

 

 

Girolamo Gigli

I litiganti ovvero il giudice impazzato

a cura di Françoise Decroisette

 

© 2017 Françoise Decroisette

© 2017 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 21

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

Supervisore dei dialetti: Piermario Vescovo

www.usc.es/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.es

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-72-7

 

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito dei progetti di ricerca Archivio del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663) e Archivio del teatro pregoldoniano II: banca dati e biblioteca pregoldoniana (FFI2014-53872-P) finanziati dal Ministerio de Ciencia e Innovación spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome della curatrice, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 21

 

 

 

Nota al testo

Questa trascrizione de I litiganti segue il testo contenuto nell’edizione veneziana delle opere di Girolamo Gigli, realizzata da Marino Rossetti nel 1704, sotto il titolo Opere / nuove / del signor / Girolamo Gigli / accademico Accesso, consacrata all’Altezza Serenissima del signor Francesco Maria Pico, duca della Mirandola, marchese della Concordia e signore di San Martino, ecc. Oltre a I litiganti, questa edizione comprende, Il Leone di Giuda in ombra, ovvero il Gioasso, dramma sacro (pp. 9-37); Amor dottorato, invenzione drammatica, dedicata da Gigli, accademico Intronato, alla signora Girolama Bandinelli (pp. 41-65); La via della gloria, cantata per musica (pp. 69-76); La viola di Pratolino, cantata, dedicata alla serenissima principessa Violante di Toscana (pp. 79-86); Canzoni e sonetti (Il canto di Clori, cantata, La colombaia, La madriperla, cantata per la passione, Davide, canzone fanatica sopra l’istesso metro, e numero della pagina 22 del Petrarca, Sonetti sacri e profani, tra cui uno intorno alla figura di Bertoldo, sonetto faceto, e Le sei visioni funeste nella piazza di Siena, canzone per la morte della granduchessa Vittoria della Rovere, morta nel marzo 1694 in Pisa, pp. 89- 140); Un pazzo guarisce l’altro, opera serioridicola (pp. 253-358). I litiganti ovvero il giudice impazzato, opera satiricocomica sta a pp. 141-250.[1] La dedica dell’intero volume è firmata Marino Rossetti. Come s’è detto nellintroduzione, l’opera non è integrata nell’edizione delle opere del 1700, e non ne esistono altre ulteriori. La commedia non è accompagnata di argomento, o di testo di presentazione che indichi se è stata rappresentata prima del 1704. Non risulta che sia mai stata recitata dopo l’edizione, né a Sienaaltrove, quindi non si può parlare di una sua fortuna scenica.

 

 

 

I litiganti ovvero il giudice impazzato[2]

 

Opera satiricomica

del signor Girolamo Gigli.

In Venezia, per Marino Rossetti, 1704.

 

 

 

Personaggi

 

dottor balanzone, giudice di Scarica-l’Asino.[3]

leandro, suo figlio.

roga-bugie, notaro di corte.[4]

zuccarino, suo paggio.[5]

noferì, fiorentino litigante.[6]

isabella, sua figlia.

urania mignatta, vedova litigante.[7]

bettina, sua serva.

lardello, oste genovese.

amaranto, poeta.

fioretto, ragazzo della Terra.

sempronio pela-borse, procuratore.

aiutante di studio.

 

 

 

 

                  ATTO PRIMO[8]

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Studio con libri.

 

                                   Leandro, Notaro, Zuccarino, Balanzone di dentro.

 

            notaro          Finalmente, signor Leandro mio, il signor dottor Balanzone vostro padre vuol dare la volta affatto al cervello.[9]

 

            zuccarino     Dite piano ch’egli dorme qui vicino, e appunto come ora, si suole svegliar l’altra mattina.

 

            leandro        Lo smoderato desiderio di farsi ricco cresciuto in lui con la vecchiaia che è negli uomini la balia dell’avarizia, insieme con l’incessante applicazione ai libri ed ai processi gli hanno offuscato ed indebolito a tal segno l’intelletto che lo fanno cadere in queste sue bassezze ogni giorno più che mai.

 

            zuccarino     Ringraziamo il cielo che egli è impazzito a casa sua, e nel territorio fertilissimo di Bologna, dove la canape fa delle cento per ogni staio.[10]

 

5          notaro          Conviene però ben custodirlo e farlo screditare meno che si può tanto che di Bologna venga l’altro giudice in suo luogo e lasciarli dare quattro sentenze di vantaggio per mettere queste poche di sportule nella casa.[11]

 

            leandro        Signor Notaro, al vostro affetto ed alla sollecitudine di Zuccarino raccomando questa custodia.

 

            zuccarino     Bisognarebbe che ognuno di noi guardasse la porta e l’altro la finestra.

 

            leandro        Come dire?

 

            zuccarino     L’altro giorno che gli pareva di dare poche sentenze mandò a chiamare il banditore, perché facesse intendere per tutta la Terra di Scarica-l’Asino che egli ne voleva vendere alcune col giorno in bianco, però chi se ne voleva provvedere per le liti future, venisse avanti Sua Signoria Eccellentissima ad offerire, e perché il banditore a mia istanza non venne, voleva bandirlo egli stesso dalla finestra se l’impedivo.

 

10        leandro        Già di questo son informato.

 

            balanzone    (di dentro) Zuccarino?

 

            zuccarino     Diavol becco, egli è desto. Eccellentissimo.

 

            balanzone    Mo chi è quel temerari, quel presentuós, quel turbator della me’ giurisdizion attiva e passiva, ch’ardiss int’al mi’ studi d’esser infurmà?

 

            zuccarino     Signore...

 

15        balanzone    L’esser infurmà l’è uffizi dal zudes; al zudes a’ son me; donc s’a te prem la me’ reputazion, tuli la stanga della porta, e fa’ un preçet a colù che l’è infurmà che se vada a far infurmar ottanta mìa luntan d’la giurisdizzion de Scarica-l’Asen e l’ suzità e provinzi suburdinà.

 

            leandro        Ancora delira!

 

            zuccarino     M’è sovvenuto il ripiego. Signor padrone, il signor Leandro vostro figliuolo, che per togliervi qualche fatiga s’è esercitato alla legge, va esercitandosi adesso nella professione del giudice, e si va provando nell’informazioni.

 

            balanzone    (esce fuori in camicia) Ah, fiol da ben, fiol onurà; v’rament adess a’ n’ stò più in dubbi c’mod una volta che t’ sia me’ fiol, perch’a’ t’ cognosco al grand intellet che t’ ha.

 

            notaro          Mi farebbe ridere.

 

20        balanzone    Mo l’è stà v’rament un grand sforz dal to inzegn l’aver fatt sta passà. Percha’ me record, come se fuss addess, ch’ arsira innanz ch’ andas a let, t’ eri un asen furmà e che n’ savivi gnanch tutt le lettre d’l’ alfabet; e adess t’ è dottor, t’ sta’ in cuntradittori con ‘i avucat; e finalment a’ si’ infurmà.

 

            leandro        Signor padre, ella dorma un poco più, che ancora non è giorno chiaro.

 

            balanzone    V’luntira. Ma se t’ vu’ ch’ a’ dorma, fat infurmar un poch più pian.

 

            leandro        Sì signore.

 

            balanzone    Perché la rason n’ stà int’al gridar, saviù?

 

25        leandro        È vero, orsù dorma.

 

            balanzone    Ma stà int’le duttrine, int’i process, int’al fatt, saviù?

 

            leandro        Così è. O via, si riposi.

 

            balanzone    Perché s’ la stess int’al gridar, al banditor vinz’rev tutt le caus, saviù?

 

            leandro        Dice bene. Orsù si quieti.

 

30        balanzone    E sa chi parla pian avess al tort, a’ inseguerev ca tutt i omine infr’ddà av’rev al tort, saviù? (rientra)

 

            leandro        Orsù, buona notte a Vostra Signoria.

 

            notaro          Già non parla più, seguiamo a discorrer così basso, e allontaniamoci un poco più dalla camera.

 

            zuccarino     Già comincia di nuovo a fornacchiare.[12]

 

            leandro        Ma i medici ieri nell’ultima visita, che risolvettero?

 

35        notaro          Niente.

 

            leandro        O perché?

 

            notaro          Dissero al solito che sta senza febbre affatto, e con un polso robusto, come di vinticinque anni. Ma nel buono del contradittorio che lor facevano per ritrovar la causa di questi deliri, egli s’alzò nel letto e disse che dava di nullità a quel contradittorio, perché essi non avevan depositato le sportule.

 

            leandro        L’intelletto è molto offeso, e questi segni mi fanno assai dubitare se veramente...

 

            balanzone    (di dentro) Zuccarin...

 

40        zuccarino     Si dice troppo forte; è svegliato di nuovo. Eccellentissimo...

 

            balanzone    Mo chi è qul furfanton, qu’llinsulenton, qu’llignuranton ch’ vin a dubitar int’la me udienza? Al dubitar e li dar i dubbi tocca all’Ezzellentissimo signur zud’s Balanzon da Balanzan, e a n’ so ch’ n’sun di qualsivvia sess o condizion poss’ dubitar senza mi’ lizenza, saviù?

 

            zuccarin       Non si ricorda Vostra Signoria che ho detto che il signor Leandro si va esercitando nella professione?

 

            balanzone    (esce) Zuccarin?

 

            zuccarino     Eccellentissimo.

 

45        balanzone    Ch’ora è adess?

 

            zuccarino     Mezz’ora avanti giorno.

 

            balanzone    E adess, adess quand a’ m’ son desdà un’ altr’ volta?

 

            zuccarino     Non è mezzo quarto che ella era destata la prima volta.

 

            balanzone    A n’è mezz’ quart? Ah, fiolon d’or, vel plam di ezzellentissima razza d’i Balanzon, a n’men de mezz quart dop l’infurmazion t’ ha studià la causa, e t’ da’ i dubut ala part? Ah, ah, quest’ l’è ’l ver mod di sp’dir i puver litigant, e d’ dar una duzzina de s’ntenz ogn’ dì. Sia pur benedet al dì ca t’ho fatt, fiolon da ben![13]

 

50        notaro          Se le cause si facessero così corte, mal per noialtri seri.

 

            leandro        Dorma dunque adesso di buon sonno.

 

            balanzone    (torna) T’ ha’ rason, a’ poss dormir p’ bon sonn’. Bona not.

 

            zuccarino     Ma non si potrebbe andare a cicalar altrove?

 

            leandro        Voi due non sapete ancora perché son venuto qui nella libraria.

 

55        zuccarino     Adesso, adesso intendo. Volete signor Leandro vender forse degli altri libri?

 

            leandro        Odi se si sente mio padre.

 

            zuccarino     Di nuovo dorme. Ma serriamo la porta per più sicurezza.

 

            leandro        Almeno almeno bisognerà ch’io ne venda almeno trecento libbre più al solito pizzicarolo per diverse mie spese.

 

            notaro          Ma piuttosto cerchiamo di scassar la cassetta al signor padre.

 

60        leandro        A’ giorni passati se n’avvide e ora l’ha nascosta non so dove. Il bisogno è urgente; non occorre altro. Consideriamo bene dove se ne può cavare, che mio padre non se n’accorga.

 

            zuccarino     Cavateli di dove volete, egli non studia altrove che nella stadera. Chi manda roba di più peso ha le dottrine più in punto dell’altro. L’altro dì, due litiganti gli mandarono a donare due porci, uno pesava ducento libbre, l’altro ducentovinti; egli diede la sentenza a quello delle ducentovinti, con reservo però a quello del porco delle ducento a provar le sue ragioni con le venti libbre di carne che mancavano.[14]

 

            leandro        Voglio prender di questi più grossi per far il peso più presto.

 

            notaro          Signor Leandro, lasciate stare questi buoni vecchi, originali antichi, e vendete questi modernacci che sono tutte copie.

 

            zuccarino     Crediamo che siano già trecento libbre? (gettano de’ libri in terra)

 

65        leandro        Giudico di sì.

 

            balanzone    (di dentro) Zuccarin?

 

            zuccarino     Ma se fate tanto rumore! Eccellentissimo.

 

            balanzone    O quest po, l’è un po’ tropp. A’ ’i ho sentì cun l’ miurecch d’la zent che zudica int’al mi’ tribunal. Mo cancaraza, no ’l poss supportar. Zuccarin?

 

            zuccarino     (vien alla gattaiola) Signor padrone, e tre. È il signor Leandro che si prova ora a dar le sentenze.

 

70        balanzone    Mo ch’ora è adess?

 

            zuccarino     Dico che è quasi mezz’ora avanti giorno.

 

            balanzone    Quant sarà che me son desdà la prim’ e la seconda volta?

 

            zuccarino     Non è un quarto che s’è svegliato due volte.

 

            balanzone    Donch int’un quart d’ora me fiol si fa infurmar dall’avucat, dà i dubbi alla part e stend anch la s’ntenza?

 

75        notaro          E guardi quanti libri ha rivoltato.

 

            balanzone    Poh! ch’ v’lozità d’intelet! V’rament, a’ p’tivi asp’tar a imparar a lezzer ancor d’ uttantann, ch’ ’n ogn’ mod t’avrest passà int’al saver Bartold e Bald.[15]

 

            leandro        Di grazia vada a dormire.

 

            balanzone    A’ n’ vu’ dormir più, perché a v’rament è tant al zel che t’ ha’ d’la bona ziustizia, e ca t’ premtant ca la fazza prest prest al su cors, ca s’ a durmis un alter tantin, ti av’rest da’ la s’ntenz d’appellazion, di revision, e finalmente per maggior sbrigazion d’l’ esecuzion ti farest al sbir con l’ tu man.

 

            leandro        Signor padre, ecco m’inginocchio. Di grazia vada.

 

80        balanzone    Tu t’inz’nucci, e a te do la mi’ benedizion e ’n forma d’ s’ntenza:

                                    Nos Balanzonus a Balanzan ecc, iuris utriusque doctores ecc, pro gattaiola iudicantes, et in casa benedictionis domini Leandri plusquam legitimi nostri filii et supernaturalis, definimus, pronuntiamus, sententiamus, declaramus omnes divitias, honores et felicitates pertinere ad D. Dominum meum filium in sola quarta parte unius horae informatum, dubitantem et indicantem et haec omnia ratione sportularum sibi debitarum, pro quibus condemnamus.

                                   Essend la questa una benedizion in forma d’ s’ntenza e’ and’ran le sportule, perch’ a dov ientra la giustizia, a’ n’ guard in fazza né a fiol, né a fiola.

 

            leandro        Signor padre, non ho denaro.

 

            balanzone    Mo, s’ t’ ha’ dà una s’ntenza poch fa, a’ n’ pol esser dimanch che n’ t’ abbi al manch l’ spòrtul in bisaccia.

 

            leandro        Giudicavo così per mio spasso, non per interesse.

 

            balanzone    O da burl o da ver, le sportule ’i van semper merlot. A’ n’ occorr alter. Quando ti v’ zudicar a uff in st’ mond, a’ t’ toio quel prinzipi d’ benedizion ca t’ho da’ e te dichiar ignorant, e a’ t’ suspend la duttrina, scanzelland tutt l’informazion d’la to memoria, tutt le s’ntenz del to intellett, e tutt la carità ca a’ t’ha vers i litigant int’al non pias quattrin d’la to v’luntà. E così essend’ ogni mi’ s’ntenz inappellabili, infallibil, immutabili, ed avend l’esecuzion parà, ti com’ ignorant a sii zia divintà un alfin, e l’è n’zessarii ca adess a’ t’ tiri una coppia d’i calz ipso iure, e però a’ m’ retir ipso facto. (parte)[16]

 

85        notaro          Ma non è da ridere?

 

            leandro        Ma non è da piangere?

 

            zuccarino     Orsù sbrighiamo questa faccenda avanti che il signor padrone ritorni, e prima che spunti l’alba, perché nessuno c’ osservi mentre portiamo questi libri.

 

            notaro          Avvertiamo però a una cosa, che nel cortile vi soglion dormire degli sbirri e delle spie. E così sarà forse meglio che Zuccarino e io usciamo fuora e teniamo dei sacchi sotto la finestra, e voi per la finestra li gettiate fuori.

 

            zuccarino     Poveri dottori, si romperanno il collo.

 

90        notaro          Le cause ed i litiganti rompono il collo. I dottori cascono sempre ritti.

 

            leandro        Sì, facciamo così.

 

            zuccarino     Andiamo.

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Appartamenti della vedova.

 

                                   Urania, Bettina di dentro.

 

            urania           Bettina?

 

            bettina          Signora.

 

            urania           Ormai è tempo di levarsi, ricordati che s’hanno da fare le facende di casa, e stamattina ho da andare dal procuratore.

 

            bettina          Ancor non si vede lume. Or ora l’accendo.

 

5          urania           Pah! Tu sei pure di poco risparmio! Piglia la gatta in collo che ti farà lume meglio di un candeliere.

 

            bettina          (vien con il lume) Eccomi, signora.

 

            urania           Oh via, metti in tanto la carne al fuoco.

 

            bettina          Signora sì.

 

            urania           (legge citazioni) Questa citazione è per stamattina in causa dei miei vedovili e antifatti.

 

10        bettina          (torna) Signora, non c’è legna.

 

            urania           Lava intanto la carne, e mettila nella paiola, e comincia ad accendere gli zolfinelli poiché m’ha detto il signor Dottore che la sentenza di quel bosco s’ha da dare avanti notte, e così la tagliaremo e averemo legna, quante bisognano.[17]

 

            bettina          Signora sì. (via)

 

            urania           Questa va pure a stamane ed è di quello speziale a conto de’ medicamenti serviti al mio primo marito. Non farò poco a pagargli la cera del funerale.

 

            bettina          (torna) Signora, non c’è manco carne.[18]

 

15        urania           Ch’importa. Metti intanto a ordine l’acqua e la paiola, perché mi ha detto il signor Dottore che quello che mi ha fatto quel danno nella vigna sarà condannato il più longo domane a darmi quella vitellina mongana, ed averemo da star bene per molti giorni.[19]

 

            bettina          Signora sì. (via)

 

            urania           Quest’altra citazione va a tutto dimani. È del cerusico che assisté al mio secondo marito. Oh, non feci poco a pagare il beccamorto subito subito.

 

            bettina          (torna) Signora, non c’è manco acqua.

 

            urania           Che importa! Metti intanto in ordine la paiola, perché mi ha detto il signor Dottore, che il nostro vicino sarà condannato a rifare il pozzo tutto di suo, ed averemo presto presto quant’acqua vorremo.

 

20        bettina          Signora sì. (via)

 

            urania           Questa va a posdimani. È dell’ebreo che vorrebbe lo pagassi de’ bruni di due mariti. Non farò poco se lo pagarò in buona moneta quando staccarò quelli del terzo.

 

            bettina          (torna) Signora, non c’è manco paiola.

 

            urania           Tu sei pure spericolata! Spazza intanto la cucina. M’ha detto il signor Dottore che quando passa di qui quel magnano lo vuol far citare a farmi la paiola e la padella che m’aveva promesso, e che bisognerà che dentro il termine di quindici giorni l’abbia finita.

 

            bettina          Signora, dunque per desinare s’ha da aspettar primieramente quattro sentenze, poi che si tagli il bosco, e che si vinca la vitella, che si rifacci il pozzo e che piova, e finalmente che i magnani facciano ancora il paiolo.

 

25        urania           Son cose che ci vanno.

 

            bettina          Ma il signor Dottore tra una disina e l’altra ci mette quattro sentenze, come i suoi clientoli?[20]

 

            urania           Il signor Dottore che studia bisogna che mangi un poco più spesso.

 

            bettina          Signora, e io che spazzo la casa e duro tanta fatica, non voglio aspettare a desinare quattro sentenze; di vero, veh.

 

            urania           Insomma, come siete incontentabili voialtre serve. E che ti manca in casa mia?

 

30        bettina          Mangiare, signora.

 

            urania           Ma quando una padrona tiene appaltato il procuratore, ancora per la servitù, e che tu puoi litigare sera e mattina senza pagar niente, hai da prentedere ancora di mangiare? Che incapacità! (via)

 

            bettina          Oh povera Bettina! A quel che son condotta. Avere a digiunare per ingrassare il procuratore alla padrona, ed avere a litigare per scontare il salario. Ma se posso trovar la borsa a questa vecchia avara.

 

 

                                   SCENA III[21]

 

                                   Strada e notte.

 

                                   Zuccarino e Notaro.

 

            notaro          Zuccarino, fa’ presto.

 

            zuccarino     Ho portato già due sacchi al pizzicaiolo. Quel maledetto Bartolo colle coperte di tavole mi ha avuto a sdirenare.[22]

 

            notaro          Presto, presto, che il signor Leandro starà alla finestra con gli altri libri, e tra poco farà giorno. Ma che sacchi son codesti?

 

            zuccarino     Di quelli del mugnaio.

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Balanzone alla finestra, e detti.

 

            balanzone    Mo che diavol dis Zuccarin che l’è visin a dì, e ’l gal al n’ ha gnanch cantà. Al pol esser che quel litigant che ha d’aver al tort in q’la s’ntenz abbia corrott al gal con d’i quattrin parch’ al m’ svei a studiar contra. Ma pur al me fiol che l’è d’sinteressà, e ca per l’ultima s’ntenza che a’ ’i ho dà el’ è divintà un asin. Com l’è v’sin a dì, d’vren rangiar. A’ m’ vegh un gran biù.[23]

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Leandro ad altra finestra vicina e detti.

 

            leandro        Zuccarin doverebbe esser già tornato.

 

            notaro          Sento gente. Zì, , .

 

            leandro        Zì, , . Caricate presto.

 

            balanzone    Cargà prest? Ah, ah, la s’ntenz l’ha avù esecuzion. Al me fiol l’è un asin, e s’ fa cargar. A’ m’ despias cha m’ mi son avvist di privarl ancor dl’a parola.

 

5          leandro        (getta libri) Il testo civile, libbre dodici.

 

            balanzone    Al test zivil, lir dodiz? Pah! A’ s’ ved ch’ancor int’la natur as’nina s’ mostra me fiol. al n’ vol purtar alter some che d’ liber.

 

            leandro        Il Baronio De citatione, lo Scaccia De sententia e De re iudicata, il Rugginello De appellatione, l’Asinio De executione, il Postio De subhastatione nel medesimo tempo, al medesimo posto. Presto, presto.[24]

 

            balanzone    Cancaraz, t’ha più fretta de zudicar adess che t’è un asin, che quand t’era un om. Int’el istess temp t’ la zitazion, la s’ntenz, la re iudicà, l’appellazion, l’esecuzione, e d’ po’ la subastazione?

 

            leandro        La bilancia mi par addormentata.

 

10        balanzone    Oh che sumar amig d’la zustizia! Al zita, al zudica, al dà l’appell, al grav, al vend a band in un temp, e dis ch’ la stadira d’la zustizia l’è addurmentà! Mo s’ la stàdir a’ s’ desta, al fa vender a band sicur, sicur, la rob cent anns prima cha la sia ubligà.

 

            leandro        Per fare il peso più presto vorrei autori più gravi.

 

            balanzone    Al dis ch’al vrev autor più grav? L’è po’ d’ ver ch’ me medesm ch’a’ sun autor gravissm unora la sum di me fiol, e che ‘l vaga a cargar anch me. A’ vui scender a bass. (si leva dalla finestra).

 

            leandro        Mi par di sentire mio padre alla finestra. Zì, , .

 

            notaro          Siamo qui.

 

15        zuccarino     Ha detto che andiamo più su.

 

            notaro          Andiamo. (si pongono sotto la finestra del Dottore) Non getta più libri.

 

            zuccarino     Neppure lo sento.

 

            leandro        Non sento più mio padre. Zì, , aprite il sacco.

 

            zuccarino     Pigliamone un altro, che uno è pieno

 

20        notaro          Apri bene.

 

            balanzone    (torna) La porta è srà.

 

            leandro        (getta libri) Vari autori, libbre vinti.

 

            balanzone    (si getta dalla finestra) Al duttor Balanson sol lir duzent cinquanta. (entra nel sacco)

 

            notaro          Zuccarino, è un corpo intiero.

 

25        balanzone    Ah, pvret mi! Ah, p’vret mi!

 

            zuccarino     Ah, ah, ah, ah, conosco adesso l’autore. È il signor dottor Balanzone sciolto.

 

            notaro          Oh, questa è bella! Ah, ah, abbiamo insaccato il padrone.

 

            balanzone    Ah, traditor in ste manira; insaccar un duttor ch’ha sost’nù a i so dì più di zent’ mila conclusion?

 

            leandro        (si leva dalla finestra) Mio padre nella strada! Lume, lume![25]

 

30        zuccarino     Non posso più dalle risa.

 

            balanzone    Insaccar un duttor senza pruvar nient! Insaccar un duttor senza far la proposizion! Insaccar un duttor senza parlar![26]

 

            notaro          La finestra è bassa, argomento che non si sia fatto male.

 

            balanzone    Mo sa me v’livi insaccar zuridicament, b’sugnava argumentar innanz.

 

            zuccarino     Bisognerà trovare un mezzo termine per circondarlo.

 

35        balanzone    Ah, canaia, q’sì donc a insaccar la zent, e a n’ avì gnanch truvà il mez termin?

 

            notaro          Ecco il lume, bisogna ch’io nasconda il sacco de’ libri.

 

            leandro        (vien col lume). Mi par sano e salvo. Che dolore ho provato!

 

            balanzone    A’ m’ maravì d’ to fatt, t’ n’ ha pruvà nient, a’ son stà insaccà senza ca n’sun abbi fatt gnanch un argument.

 

            leandro        Signor padre, ah, quanto mi pesa...

 

40        balanzone    Oh, t’ è un asin trop zentil, s’ a t’ pesa quand t’ n’ m’ ha gnanch cargà.

 

            zuccarino     Noi non lo possiam più.

 

            leandro        Via, cavatelo del sacco.

 

            balanzone    S’ a’ ‘i ho da uscir dal sacc, a’ pretend d’uscirn in forma.

 

            notaro          Come vuole.

 

45        balanzone    Ch’è l’ultim a dir a’ n’ è in sacc. Quest l’è la mazzor. (esce dal sacco a poco a poco, e resta infarinato) Al zud’s tra la zent che litiga, l’è l’ultim a dir. Questo è la minor. Ergo al zud’s n’ è mai in sacch, e eccm’ for del sacch in forma.

 

            notaro          È fuor di cervello per consequenza.

 

            zuccarino     Bel fuggir che farebbe adesso mio padrone.

 

            leandro        Signor padre, andiamo in casa.

 

            balanzone    A’ n’ vignirò mai fin a tant che a’ n’ ho recuperà la mi’ reputazion; int’al lug dov’a’ son stà insaccà, a’ vui insaccar i du argument cuntrari.

 

50        leandro        Custoditelo, che vado a chiamar della gente.

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Balanzone, Zuccarino, Notaro.

 

            notaro          Vada pure che lo guardaremo.

 

            balanzone    M’ttiù donc all’ordin per disp’tar. D’ ch’ materia avì studià, ch’ conclusion avì a ment, perché a’ ‘i ho lett, imparà, insegnà, d’fes, stampà in tutt le scienze. D’ s’a’ vulì disputar di filosofia, d’ m’dzina, o de lez. S’a’ vulì di filosofia, d’ s’a’ vulì ca ve prov cha vu in materia prima, o ca vu sii du atom; se a’ vulì de med’zina, d’ s’a’ vulì cha ve prov cha vu sii san o ammalad. Si vulì di lez, d’ s’a’ vulì cha ve prov’ cha vu sii degn de la galera o de la forca. Se vulì esser materia prim, d’ s’a’ vulì esser materia sod o t’nera. S’a’ vulì esser atom, d’ s’a’ vulì esser aguzz o spuntà, tond o long, stort o dritt. S’a’ vulì esser san, d’ s’a’ vulì esser san di ment o di corp. Se vulì esser malad d’ s’a’ vulì esser convalescent o sp’dì. S’a’ vulì andar in galera, d’ s’a’ vulì andar a beneplazit o a vita. Si vulì andar alla forca, d’ s’a’ vulì aspettar sabbat, o s’a’ vulì andar adess.

 

            zuccarino     Adesso sono un poco occupato, e sabato non posso.

 

            notaro          Signor giudice, andiamo a disputar in casa.

 

5          balanzone    Qui dov vualter avì commess al d’lit d’insaccarm, qui avì da esser insaccà.

 

            notaro          Ma poi tornerà subito?

 

            balanzone    Subbit, subbit.

 

            notaro          Signore, non ci dà l’animo d’arrivarla, non occorre disputare.

 

            zuccarino     Ne sappiamo meno di lei, e siamo già in sacco.

 

10        balanzone    A n’ me bast q’sì. A’ ch’ vu a n’ sappia men di me in forma, e ch’ s’ vu a n’ m’ savì arrivar, se vegga int’la esperienz.[27]

 

            zuccarino     Ci vogliamo insaccare per contentarlo?

 

            notaro          Sì, per finirla. Signor Dottore, noi entreremo in sacco volontariamente. Ecco.

 

            balanzone    In forma, in forma.

 

            notaro          Lei argumenti, che entriamo.

 

15        balanzone    La proposizione sarà, che vu donc a n’ m’ arrivà, e a’ ne so più de vu.

 

            zuccarino     Come vuole.

 

            balanzone    S’ a’ v’ insacc, a’ in’ so più de vu; e vu a n’ m’arrivà. Quest’è la mazor. Che d’?

 

            notaro          Non rispondiamo niente.

 

            balanzone    Intra donca in sacch sin a mezza gamba.

 

20        zuccarino     Ecco.

 

            balanzone    Ma za a’ v’ insacc. Quest’è la minor. Rispondiù.

 

            notaro          Niente.

 

            balanzone    Intra in sacc sin alla zintura.

 

            zuccarino     Signor sì.

 

25        balanzone    Donc adess a’ in so più ‘e vualter. Intra in sacc fin al col. E perché l’argoment l’è in forma, adess l’è ver ch’ vu a n’ mi p’sì arrivar mai a vostri dì.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Zuccarino, Notaro, insaccati.

 

            zuccarino     Oh merlotti che siamo stati!

 

            notaro          Signor Dottore, distinguo, niego, contra.

 

            zuccarino     Non occorre altro, siamo in sacco in forma, non l’arriviamo di certo.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Leandro e detti.

 

            leandro        Non trovo alcuno, che fate qui?

 

            zuccarino     Il signor Dottor poco fa fece l’asino per via di sentenza, ed ora per via d’argomento ha fatto la soma.

 

            leandro        Furfanti, voi burlate quel povero vecchio, e disprezzate ancora me. Se mio padre ha fatto la soma, io la voglio arrandellare.[28] (li bastona)

 

            zuccarino     Ahi, ahi!

 

5          notaro          Ahi, ahi!

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Amaranto e Fioretto.[29]

 

            amaranto     Vi chiamate dunque Fioretto, e sete nato in questo luogo?

 

            fioretto       Per servirla.

 

            amaranto     Tanto che l’oste abbia preparato il pranzo, conducetemi un poco a passeggiare questa vostra terra, che io giro pel mondo per ritrovare ancora nei luoghi più ordinari qualche pascolo alla mia curiosità.

 

            fioretto       Prenderò volentieri l’occasione di lasciare la scuola perché non so troppo bene la lezione.

 

5          amaranto     Che dovevate imparare?

 

            fioretto       Nominativo, hic poeta.

 

            amaranto     Imparate, Fioretto, questo nome, ma non imparate la professione, perché l’esser oggi poeta è il medesimo che esser l’oggetto di tutte le sventure.

 

            fioretto       È forse poeta Vostra Signoria?

 

            amaranto     Per mia disgrazia.

 

10        fioretto       Come si chiama Vostra Signoria, poeta per sua disgrazia?

 

            amaranto     Amaranto.

 

            fioretto       E dove va adesso?

 

            amaranto     Verso Fiorenza, dove sento che si trova un ricovero alla virtù e particolarmente alla poesia, a cui è stata sempre questa città grand’amica e gran madre.

 

            fioretto       Guardi, ecco appunto un fiorentino ch’esce di quella casa.

 

15        amaranto     Come si dimanda?[30]

 

            fioretto       Noferì del Contrasto.

 

            amaranto     E abita in questo luogo?

 

            fioretto       Ci ha de’ beni e delle liti.

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Noferì e detti.

 

            noferì            Nemica, ’ntendi tue! Fruga nelle me braghe delle feste mobili, e to’ questa chiave della tasca a mano manca, e va’ aprì quel usciolino a piè di scala, e guarda nella dispensa sotto quella pentola a do maniche capovoilta che v’ha da esser tre chiav[i], una mascolina, una feminina e l’ailtra neutra. To’ la mascolina, ch’è la chiave del bugigatolo delle stovigghie, e cerca po nella pianella diritta della me’ suocera che v’è la chiavicina d’i me’ scannello, e guarda vicino alla scritta d’i parentado della me’ prima moglie, che v’è un rimasughiolo di provatura avanzata a’ topi, e mèttela presto presto n’i tegame su la brace. Po, quando tu vedi che la fa le fila, e tu la dipana, ch’i’ ne vo’ dar un gomitolo al me’ notaio. E to’ (moia l’avarizia), ne vo’ donar gugghiate anch’a Maco della Rimbecca che mi vien a far il failso testimonio tuttavolta ch’i’ mi ghi raccomando. Menich’, ha’ tu nteso? La non si finisce ma co’i procuratore, ogni die mi costa quailche cosellina. Ecch’ i’ ho saputo che gh’ho comprato la cavailcatura per andare alla so grillaia, i’ ghi vo far un presente della cavezza della me’ mula ch’ i’ scorticai. Pah! la messe da gh’occhi, ch’ i’ la tenevo per memoria di quella bestiola? Ch’avea proprio proprio anche lei un giudizio da dottore. Vo’ vede’ s’io ho preso qui’ fogghiolino ai quali ho da far la risposta all’offizio. Voglio recitar qualche sonetto a quel fiorentino. Chi sa ch’io non guadagni seco qualche buon regalo. Fioretto, questo ferraiolo mi pesa, tenetelo un poco per grazia.[31]

 

            fioretto       Volentieri. Veramente quando lei l’ha adosso credo sia ben aggravato.

 

            noferì           Gravato! Questo è un famiglio ch’ha fatto delle catture, ed ha fatto un gravamento n’i ferraiolo.

 

            amaranto     Non ci vuole meno a chi batte la campagna.[32]

 

5          noferì           A il sentire gli è di campagna. Ma quil bambolino mi par di castello. Pah, che peccato che quil bel ragazzo abbia a far i’ birro anche lui.

 

            amaranto     Voglio parlarli.

 

            fioretto       Appunto ci mira.

 

            noferì           Canchita, e’ m’ accennano.[33]

 

            fioretto       Oh via, all’esecuzione.

 

10        noferì           All’esecuzione! Oh vete quil porcheria se gli ha imparato come va. Ohimé, l’hanno meco.

 

            amaranto     (s’accosta) Servitor suo.

 

            noferì           Bondì, me’ padrone.

 

            amaranto     Ella è il signor Noferì?

 

            noferì           A so comandi.

 

15        amaranto     Ha una buona cera e mi par molto prospero.

 

            noferì            Oh che risuilt eghi a lui com’ i’ sto! Non è già lo sbirro che mi voil far un precetto da parte di medico perché i’ m’ammali. Messer sì, i’ son lesto come un pesciolino, e così vecchio come mi vedete, i’ rodo ogni cosa.

 

            amaranto     Suppongo ch’ella abbia letto...

 

            noferì           Oh che mi cucugliate! Volete vo’ ch’i’ dorma in terra? Ma nel leto no, non vi potrete far nulla, perché i’ l’ ho toilt a credenza, e v’ha le ragioni mastro Pialla legnaiolo finch’io non ghielo pago.[34]

 

            amaranto     No, no. Volevo dire che suppongo ch’ella abbia delle cose del Petrarca...

 

20        noferì           Nulla, nulla, canchita a i sentire, i’ Petrarca ghi è morto fallito e so’ creditori si risentono. Ma ghi è spiovuto che e’ son già delle centinaia d’anni, e a quest’ otta ghi è terra cavolina lui e le so’ rede.[35]

 

            amaranto     Ella s’inganna, il Petrarca è sempre vivo più che mai.

 

            noferì           Le so spie per questa volta le so’ male informate. E’ dice ch’ i’ Petrarca è vivo, eppure i’ nonno del me nonno dicea che non avea conosciuto nemanch’ i’ becchino che l’avea sotterrato.

 

            amaranto     Egli stesso dichiara di sopravivere dopo la morte, quando parlando della sua donna disse:

 

                                   «Spero per lei gran tempo

                                   viver, quand’altri mi terrà per morto.»[36]

 

            noferì           Guate ribaldone, disonorato! E’ s’è messo a far questo mestier anche doppo che ghi aveva studiato? Se vi desse i’ cuore di far ch’ i’ Petrarca fusse vivo, i’ vi vorrei far fare Bargello di Firenze.

 

25        amaranto     Io credo d’aver in tasca quella citazione sua così nominata avanti la Ragione. La cerco adesso e gliela dò.

 

            noferì           Una citazione d’ i’ Petrarca! Pofar i’ mondo, vi mancherebbe anche questa, ch’ i’ Petrarca fosse risuscitato per litigar meco.

 

            amaranto     (cavando carte) Sarà forse forse questa. No, è la cattura del Melosi.[37]

 

            noferì           Oh diavol becco, ghi è il birro de’ poeti costui?

 

            amaranto     Non la trovo, ma la dirò a memoria.

 

30        noferì           Noe, noe. In quanto a poi la citaizione i’ la vo’ in foglio. Oh non vi mancarebbailtro ch’ v’ avessi a citare a mente, noe, noe, in foglio!

 

            amaranto     Veramente le cose voglion esser sott’occhio.

 

                                   Segnus irritant animos demissa per aves.

                                   Quam quae sunt oculis subiecta fidelibus.[38]

 

            noferì           To’, to’, to’. Anche di latino e’ sapeva. Guate che peccato. Orsù finischiamla una voilta; ghi è omai l’ailba de tafani, e gl’offizi a mana a mana saranno aperti. Me padrone, i’ ho de’ negoizi, e i’ tempo mi fugge, con so bona graizia.[39]

 

            amaranto     Aspetti. Dice che il tempo li fugge. A proposito giusto, voglio legger a costui quel sonetto ch’io feci sopra l’oriolo a polvere, dove scherzo sopra il tempo che fugge.

 

            noferì           Sbrigazion, ch’ i’ me la coilgho.

 

35        amaranto     Aspetti dico.

 

            noferì           E suona la campanna.

 

            amaranto     Vostra Signoria erra.

 

            noferì           I’ ho negoizi.

 

            amaranto     (lo prende) Vostra Signoria erra se crede d’andarsene.

 

40        noferì           Ho i’ a ire alle buiose.[40]

 

            amaranto     (cava di tasca una carta). Questo è suo sospetto.

 

            noferì           I’ me sospetto! E’ m’hanno levato il sospetto di fuga, quando i’ ho da pagar tutti!

 

            amaranto     Voglio lasciar il titolo per veder se costui intende senz’altro ch’il sonetto è per l’oriolo a polvere. Senta.[41]

 

                                   (legge) «Per trattener la fuga»...

 

            noferì           I’ non me n’andavo mica, veh.

 

45        amaranto     «Per trattenere la fuga al vecchio errante»...

 

            noferì           A i’ vecchio errante! Anche di male parole?

 

            amaranto     Errante vuol dire...

 

            noferì           Perch’ i’ ho sbagliato che le mi parean quindici ore e che sonasse la campanna.

 

            amaranto     No, senta.

 

                                   «Per trattener la fuga al vecchio errante

                                   ch’ogni cosa quaggiù rose col dente»...

 

50        noferì           Perch’ i’ v’ho detto ch’io rodo ogni cosa, io ho da entrar nelle stinche? Non è egli meglio ch’io mangi ogni cosa perch’ i’ campi quel piùe e possa dar soddisfaizione a’ me’ creditori?[42]

 

            amaranto     Intende poco Vostra Signoria.

 

                                   «Racchiuso in picciol loco, e trasparente

                                   prigioniero starà»...

 

            noferì           L’è chiara, chiara e spiattellata. Io non son già tondo come l’O di Giotto. E’ dice ch’ i’ non intendo. Il luogo piccino e trasparente l’è la prigione, perché chi v’è dentro si vede dall’inferriata.[43]

 

            amaranto     E che non c’è ferrata?

 

            noferì           Oh misericordia! O questa è l’ailtra. Ho i’ a star donca ‘l buio? Ma ascoltamo un po’. A istanza di chi è.

 

55        amaranto     «Prigioniero starà ciascuno istante»...

 

            noferì            Ciascuno istante? I’ ho capito dunque male a istanza di tutti. Corbezzole.[44]

 

            Amaranto     Seguo. O che pazienza!

 

                                   «qui divorato dal suo sovrastante»...

 

            noferì            Divorato da il soprastante? Cànchita, e s’hanno a vendere i debitori per carne, come le pecore al beccaio? Oh, questa l’è da pigliar colle molle.

 

            amaranto     Curiosa ignoranza! Sentite.

 

                                   «qui divorato dal suo sovrastante

                                   nello stesso venire è ogni presente.»

 

60        noferì           Oh via, via. Non è tanto male. Ma non è manco poco ch’ i’ soprastante abbia a divorar la carità e presenti de’ poveri prigioni. Ma finalmente quanto c’ arò i’ a stare?[45]

 

            amaranto     «E qui misuri ancor l’età cadente.»

 

            noferì           C’ho i’ a ’ncanutire? Oh ch’ingiustizia marcia, quando noiailtri vecchi abbiamo i nostri privilegi beghi o buoni di non poter morir nelle stinche. Ma ascoltatemi in grazia. Non potrò i’ vender do zolle ch’i’ ho per pagare?

 

            amaranto     Ma il senso fenisce qui.

 

                                   «La terra imprigionata all’uomo avante

 

            noferì           La terra imprigionata innanzi? Capperi! E mi hanno donche catturato personailmente con un ailtro sospetto di fuga i’ me’ campicino, e hanno messo a bacio anche lui. Oh, che leggiaccia scommunicata![46]

 

65        amaranto     E sentite in buon’ora.

 

                                   «E qui misuri ancor l’età cadente

                                   la terra imprigionata all’uomo avante

 

            noferì           I’ sent’, i’ sento. Oh, ma più, e ai dì de’ nati! Ma quant’ha ella a durar questa vostra cantilena stucchevole? Vo’ mi fate venir l’uggia.

 

            amaranto     Già che mi so’ messo a leggere convien finire, Qui ì, cioè in questa prigione.

 

                                    «Qui sott’il filo all’uom tronchi la vita.»

 

            noferì           Il filo tronchi la vita! Anch’impiccato per debito?

 

            amaranto     Mi faresti disperar.

 

70        noferì           Oh se vo’ m’impiccasse per disperazione, i’ ne vo capace, ma i’ per debito![47]

 

            amaranto     Non vuol dir codesto.

 

            noferì           Orsù sentian i’ resto, via sentiamo.

 

            amaranto     «E quando il suo morir sarà ch’appresti.»...

 

            noferì           I so’ morir sarà capresti! E vuoi pur dir impiccato ‘n tanta malora. Io non so’ mica sbalordito, veh. Oh, guai a me, meschin a me, e non accade legger piùe ch’i’ son ascoilto.

 

75        amaranto     Qua giù sta il resto:

 

                                   «L’alma fuor di prigion avrà l’uscita.»

 

            noferì           Come, come! Un’altra voilta. Di graizia, la mi favorisca di rilegge qui’ versicino.

 

            amaranto     «L’alma fuor di prigion avrà l’uscita.»

 

            noferì           Oh veh, che ha quailche giurisdizione anche nell’ailtro mondo questo giudice.

 

            amaranto     Come dice?

 

80        noferì           Se l’anima ha d’aver l’uscita, e’ vuoil significare che pe il medesimo debito l’anima mia sarà condannata anco alla cacaiola. Ma non si sarebbe eghi modo d’aggiustarla con quailche cosellina?[48]

 

            amaranto     Badate che siamo al punto.

 

                                   «Tu col presente riparar potresti

                                   a morte ed alla tua giornal partita.»

 

            noferì           Beil bello. La si può dunque aggiustar con qualche cosellina!

 

            amaranto     Sì, voglio dire che con lo spender bene il presente...

 

            noferì           I’ ho intese, e non solo la morte. Ma i’ sbatterò anche la partita de’ me’ creditori. Non accadailtro, i’ ho capito.

 

85        amaranto     Mi manca l’ultimo verso, dove sta il pensiero.

 

            noferì           Sentiam un po’ il so pensiero, e quei che pretende di cortesia.

 

            amaranto     Dico.

 

                                   «Et alla tua giornal partita

                                   basta ch’avezza la memoria resti!»

 

            noferì           Vuò, vuò, com’ i’ la saildo con non nulla. «Cavezza la memoria presti.» E vien a dire: ch’ i’ ghi presti la cavezza ch’ i’ tengo per memoria della me mula.

 

            amaranto     Ha pur inteso Vostra Signoria?

 

90        noferì           Io ho inteso a un pontino, e i’ so’ prontissimo. La ringrazio del favore e gliela dò liberamente acciò se ne serva a so gusto che la può anco bisognare alla so professione. (gli dà la cavezza in volta) Me padrone, ho fretta. Oh, questa volta sì ch’ i ne so’ uscito pel bucco dell’acquaio![49]

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Fioretto, Amaranto.

 

            fioretto       A mezzo, a mezzo.

 

            amaranto     Ne farò parte ancor a te. Il pover uomo non ha inteso. Ma tanto s’è mostrato generoso. Fioretto, la virtù trova sempre la sua mercede.

 

            fioretto       Vediamo che cos’ha.

 

            amaranto     (a parte) (Per non crescer la voglia a Fioretto d’aver qualche parte di questo regalo, indugerò a spiegare l’involto finché io sia dentro all’al-bergo). Orsù Fioretto, seguiamo a camminar per la terra.

 

5          fioretto       Pur che non si cammini per aria, io son con voi.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Leandro, Notaro.

 

            notaro          Signor Leandro, io non la voglio guardar a’ miei giorni in due bastonate meno. E già che ho perdonato all’agozzin di galera che me n’ha date migliera a conto di quel rogito che avevo fatto sotto il 30 di febbraro, perdono questa dozzina ancora a voi.[50]

 

            leandro        Fu tratto più di confidenza che di disprezzo. Compatitemi, la collera mi prese. Ma ohimè! Ancor mio padre non si trova?

 

            notaro          Non stia più sopra pensiero. Il signor padre si troverà, e si troverà modo ancora che egli non possa più uscir di casa.

 

            leandro        Intanto egli si fa la favola del paese.

 

5          notaro          Che vuol fare! Dei matti e dell’impiccati ciascun ne ha alla sua porta. Piuttosto chi lo vedrà gli averà compassione e cercarà di ricondurlo a Vostra Signoria.

 

            leandro        Quest’accidente tronca il filo a tutti i miei disegni. Voi sapete, signor Notaro, ch’io pensavo già d’accasarmi con la signora Isabella figliuola del signore Noferì e che ancor ella applicava alle mie nozze.[51]

 

            notaro          Voi avete il padre impazzito per dar sentenze e avereste il suocero impazzito per litigar, del restante sarebbe una gran carità il maritar quella povera fanciulla prima che suo padre scialacquasse nelle liti quel patrimonio che doverebbe servir per la sua dote. Né il signor Noferì non può sfuggir il vostro partito.[52]

 

            leandro        Il signor Noferì la vuol maritar al suo procuratore per non spender in avvenire nelle sue liti, ed io son disperato perché il padre non mi dà orecchio.[53]

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Notaro, Leandro, Balanzone infarinato.

 

            balanzone    Ah, l’ho fatto un asin, e a’ n’ i ho dà gl’urecc? Quest’è ’l prim’ error ch’a’ ’i ho pres a me dì.

 

            notaro          Se la signora Isabella è d’accordo con voi, questo vi basti.

 

            balanzone    Basti! L’è il bastir cha tratta di pìar la mesura a me fiol.

 

            leandro        E per questo che Isabella vuol sposarsi con me. Io voglio difenderla della violenza di suo padre. E quando non vi sia altro rimedio, col Procuratore io la disputarò col ferro.

 

5          balanzone    Anch l’ha in la testa delle lit; e dis ch’al vol disputar cun al fer e tirar di calz al procurator.

 

            notaro          Lasciate fare a me, che con le buone ancora la vinceremo. Pensaremo a qualche strattagemma, e il procuratore se n’andarà con la testa rotta.[54]

 

            balanzone    Ma l’andrà con la test rott sicur; e s’al romp la testa del procurator, la zent non potrà litigar, e a’ n’ potrò dar più s’ntenz, qsì a revoc’adess la s’ntenz d’asnità che a’ ’i ho dà conter me fiol. Al restitiuisch alla pristin umanità, convertend al rai in risibiltà, al bast int’la toga, la paia int’ ’l pan, l’acqua dal pozz in vin de Montepulcian.[55]

 

            leandro        Ma ecco mio padre. Signor padre, dove va?

 

            balanzone    A’ zudicar, a dar s’ntenze, a tor via tutt le liti al mondo.

 

10        leandro        Ma a giudicar, così infarinato?

 

            balanzone    Infarinà. Me, infarinà? Me, cha son fundà, profundà, impastà, compst, identificà in tutt le facultà, t’ha detto infarinà?

 

            leandro        Infarinato nella toga.

 

            balanzone    Infarinà int’la toga? A’ ’i ho sostnù conclusion publich dl’una e dl’altra lezz’ in coppa me mader? A’ ’i ho fatt vinzer <int’un> subbit, subbit ch’a’ sun nat una causa alla me balia cha mi truvò una s’ntenz in favor denter al filel? Ch’al prim dì ch’a’ parlà a’ tant dezision, che con qle sportul di qui’ dì a’ marito la me balia ch’era putta, e a te par infarinà?

 

            leandro        Non s’affatichi; già ognun che ella è il giudice nominatissimo, e che in materia legale...

 

15        balanzone    A n’ sol int’la materia legal, ma a’ son zud’s competent in tutt l’ materi, in tutt le scienz. E al dis ch’a’ sun infarinà. A’ sun duttissim in la grammatica, e innanz d’ me verton l’ differenz cha rifferiss Luzian tra ’l sigma e tau. Innanz d’ me le differenz d’la rettorica tra Zizeron e Quintilian intorn al stil asiatich e al stil laconich. Innanz di me le differenz dell’istoria tra Livi e Salusti intorn al prinzipat dell’istoria rumana. Innanz di me tutt le differenzi d’la mitologia tra le besti d’Esop. Innanz di me tutt le differenzi d’la poesia per cont d’ furt fatt da Verzil a Umer. Int’l’eroica de Seneca e Sofocle int’la trazica; da Plaut a Aristofan int’la comica; da Urazi a Pindar int’la lirica. Da Sannazar a Teocrit int’la buccolica, e ti dis ch’a’ sun infarinà? A’ son ductissim int’la filosofia. A’ ’i ho da zudicar tra Platon e Aristotele se si dia l’idea o no; int’la logica tra Purfirii e Averruè; s’al zollessim abbia tre o quatte part; int’la fisica tra Democrit e i peripatetiz sa si dia la materia o i atom; int’la metafisica tra Zabarella e Nifo intorn’alla chimera; int’letica tra Seneca e Epicur s’ la felizità stà int’la virtù o int’al piaser. Int’lanimastica tra Pittagora e Anassagora, se l’anima passa da una bestia all’altra o se la vegn’ da una ment, e ti dis ca i’ son infarinà? A’ son versatissim int’la munastica e son zudise delegà tra Apollonio Tiane e Diozene Zinie per defnir s’al filosuf sulitar abbi da trattar semper cum se stess, o qualche volt cun de alter. A’ son zud’se delegà int’l’ economica tra Plutarco e La<erzio>(?) per def’nir s’a’ da più frut la mercatura o la coltivazion. A’ son zud’se delegà int’la politica tra Tazit e Zust Lipsi per def’nir s’al prenzip decì ubedir alla razon de Stat o alla zustizia. A’ son zud’se delegà int’l’ agricoltura tra Columel e Tremellio per def’nir s’ la terra invecchia e sterilìs c’mod fa fem’na. A’ son zud’se delegà int’la m’dsina tra Parazels e Galen per defnir s’al simil s’ cura cun al so simil, e al cuntrari cun al so cuntrari. A’ son zud’se delegà int’la farmazia tra i galenist e ermetizi par defnir sa le m’dzine sta tra minerai o tra i vezetabil. A’ son zud’se delegà int’lanocomica tra i moderni e i antichi per def’nir s’al sangu s’a’ faz int’al fegat o s’al circula, e ti dis ch’a sun infarinà? A’ sun versatissim int’l’ astronomia e mi ho fatt zitar a s’ntenz Tolomeo e Copernic par pronunziar s’al zenter del mond sii al sol o la terra; l’ho fatt zittar a s’ntenz int’l’ astrologia Zoroaster e Arat par pronunziar s’ ’l cumet sian segn liet o funest. A’ ’i ho fatt zittar a s’ntenz int’la fisonomia il Port e Niquet par pronunziar s’a’ si possa mei presazir ad futur dell’acqua o dal fugh. A’ ’i ho fatt zittar a s’ntenz int’la negromanzia Cornell Agripp e Parazels par prununziar s’al diavol ha più virtù int’la sconzurazion o ind’i zizilli. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenza int’la cabala Pico della Mirandola e Caramuel par prununziar s’i nom posson aver significat. A’ ’i ho fat zitar a s’ntenza int’la matematica Archimed e i moderni per prununziar s’al mond si possa metter a lieù. A’ ’i ho fat zittar int’la zeometria Euclide e Obles par pronunziar intorna la proposizion duplicà. A’ ’i ho fat zittar int’la statica Galileo e Guid Bald par pronunziar s’i element sian più grav int’el zenter. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenza int’la zeografia Tolomeo e Strabon par prununziar sopr’ l’opnion d’ Antipod. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenz int’la fortificazion conte Pagano e ’l cavalier Trisim par difinir s’a’ defenda mei la fortezza la fossa bagnà o fugà. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenza int’la bellica Vegezi e Fratin par pronunziar s’a’ sia più inzegnos ’l machin o i strattazem. A’ ’i ho fat zittar a s’ntenza int’la nautica Dedalo e Tisi par pronunziar sa ’i è più sicur int’al mar i rem o ’l vel, e ti dis cha son infarinà? Infarinà Balanzon, che è zud’s d’ultim appell tra i Cartes e Vitellion int’l’ ottica per dichirar se la vista se forma denter o for. Infarinà Balanzon, che è zuds d’ultim appell tra Sest Empirich e Massim Tiri int’la musica per dichiarar s’ la ordena i affetti o li disordina? Infarinà Balanzon, che è zud’s d’ultim appell tra Vetruvi e Michel Angel int’l’ architettura sopra le differenze d’ fabricar in terra o in aria? Infarinà Balanzon, che è zud’s d’ultim appell tra Diofante e il Viera int’l’ aritmetica per dichiarar sopra le differenzi d’la numeral e d’la speziosa? Infarinà Balanzon, che è zud’s d’ultim appell int’l’a lzebra tra Zucarin e ’l Nutar per mostrar quant grane li entran in du sacch, e ch’a’ vul mustrar tra lu e vu du quant para fan tre .[56]

 

            leandro        Già sapevamo.

 

            balanzone    A’ t’ ment per la gola, a n’ savì nient e a n’ potì saver nient perch’a fin ch’al duttor Balanzon al n’ ha definì in tutte ste materi, tutt ’l mondo l’è un grandissim as’ne.

 

            leandro        Volevo dire...

 

            balanzone    Asp’tta a dir, ch’a’ ’i abbia decis tutt la lit d’la rettorica per saver più particular in ch’ stil avì da parlar.

 

20        notaro          Oh, signor dottore, per dirle la verità...

 

            balanzone    Asp’tta ch’a’ ’i abbia definì int’la filosofia per saver la verità qual la sia.

 

            leandro        Ma vorremmo...

 

            balanzone    Asp’tta a vuler dopp ch’avrò decis int’la mural per saver il ben dal mal.

 

            notaro          Signor Leandro, non c’è rimedio.

 

25        balanzone    Asp’ttà ch’a’ ’i abbia sentenzià int’la m’dzina per truvar el remed second la duttrina.

 

            leandro        Cieli!

 

            balanzone    Asp’ttà l’astronomica decision per parlà d’ ziel con più rason.

 

            notaro          Indovinala tu...

 

            balanzone    Asp’ttà che su la fisonomia abbi sentenzià, sa v’lì indovinar quel che sarà.

 

30        leandro        Noi ce n’andiam...

 

            balanzone    Asp’ttà che d’la zeografia a’ decida se v’lì andar per al mondo senza guida.

 

            notaro          E piantamolo.

 

            balanzone    Asp’tta cha d’agricoltura dia la s’ntenz per saver al temp dal temp dal piantar e d’la smenza.

 

            leandro        Ma quanto vuol durare?

 

35        balanzone    Asp’tta ch’ definisca int’la mattematica e a sav’rè intant c’mod la duro la misura dal quant.

 

            notaro          Ma come diavolo...

 

            balanzone    Asp’tta ch’a’ pronunzia int’la negromanzia per saver s’al diavol è più brut o più bel di quel ch’al fan cun al p’nel.

 

            leandro        Venga a casa una volta.

 

            balanzone    Asp’tta ch’a’ dizida int’l’ architettura per parlar d’la volta cun la so misura.

 

40        notaro          A casa, ch’ormai è tempo.

 

            balanzone    Asp’ttà che d’zida int’la sol, fa, mi, re per saver giust al temp qual è.

 

            leandro        Noi siamo due ed egli è solo, prendiamolo.

 

            balanzone    Asp’ttà ch’ d’zida int’l’ aritmetica cun vostro malan (lo vogliono fermar) per saver du e un quant fan... In malora, fermev.[57]

 

            leandro        Si contenti di venir in casa.

 

45        balanzone    A’ b’sogna prima tornar ch’a’ dia s’ntenz in tutt le differenzi ch’avì sentì par ch’al mond ti pol più star in st’ dubbi.

 

            leandro        Ella sa che io ho incominciato a giudicare e però toglierò io stesso qualche fatica a Vostra Signoria con dare alcune di quelle sentenze. Ma venga intanto con noi.

 

            balanzone    A’ t’ bast l’an’m di sentenziar in st’ materie?

 

            leandro        Sicuramente.

 

            balanzone    S’a’ t’ bast l’an’m a’ m’ quit a fat, e a’ t’ dò parola di vegnir in ca’.

 

50        leandro        Veda in che materia vuol ch’io giudichi. (al Notaro). Notaro, avvertite che non fugga.

 

            notaro          Lo tengo per un manicone della toga.

 

            leandro        Ed io per l’altro.

 

            balanzone    A’ vui dar una materiola fazilina, fazilina da zud’s prinzipiant.

 

            leandro        Quale vuole.

 

55        balanzone    A’ ch’ t’ d’zida qui presto e po andarem a ca’. Quant para fan tre ?

 

            notaro          Oh via, signor Leandro, la materia è facile assai.

 

            leandro        Signor sì.

 

            balanzone    Ma perché al zud’s anch int’le cos de nient n’ decì aver passioninteress, a’ b’sogna serar gl’ucci in faz ale raccomandazion, ai regal, e quest a’ desì far al nutar par scriver al ziust, al ret. E per quest tutt i m’nister della zustizia han d’aver i ucci s’ c’mod l’ tra lie.

 

            leandro        Abbreviamola, che s’ha da fare?

 

60        balanzone    Serra i ucci ti e al nutar.

 

            leandro        Per tutto il solo tempo della sentenza?

 

            balanzone    Basta.

 

            leandro        Poi, verrà in casa?

 

            balanzone    Vegn’rò subbit.

 

65        leandro        Signor notaro, diamo dunque questa sentenza con gl’occhi chiusi.

 

            notaro          Ma con le mani intente alla toga.

 

            leandro        Così farò. (si bendano gl’occhi tenendolo per la toga).

 

            balanzone    Bon. I donc adess fo istanza da part d’ tutt l’aritmetiz per la s’ntenz perentoria sovra lit ca vert quante para fan tri .

 

            leandro        Notaro scrivete. Tre buoi sono un paro e mezzo.

 

70        notaro          Non mi son rogato a miei dì di cosa più vera.

 

            balanzone    E mi a’ n’ho sentì s’ntenz più spropusità.

 

            leandro        Come! Eh, signor padre!

 

            balanzone    Ferm; ferm. Sentì adess a si vui far veder in fat l’error ca t’ha pres. D’ per esempi q’sì: al zud’s l’è un .

 

            notaro          Bene.

 

75        balanzone    Un Leander, un al nutar, adess guarda ben, ch’ sti tri resta un par. (si sfibia la toga, e gli lascia con la toga in mano).

 

            leandro        Veramente n’abbiamo saputo pur poca. (si sbendano).

 

            notaro          Se siamo buoi, non siam tenuti a saperne più.

 

                                   Fine del primo atto

 

 

 

                                   ATTO SECONDO

 

 

                                   scena prima

 

                                   Amaranto, Fioretto.

 

            fioretto       Ecco girata tutta la terra. Dica un po’ signor Amaranto, ella che ha veduto tanto paese, chi è più bella, Scarica-l’Asino o Roma?

 

            amaranto     A te parebbe più bello Scarica-l’Asino, poiché la propria patria a tutti par più bella di Roma. E forse gudicaresti ancor bene che se quella gran città ha più diletto per l’occhio, questo picciol luogo ha più diletto per il cuore.

 

            fioretto       A Roma ci sono delle castagne?

 

            amaranto     Purtroppo quivi ogni cibo è di quella sorte, perché ogni boccone per saporito che sia va ingoiato con molte punture.

 

5          fioretto       Dunque si mangiano le castagne coi ricci, eh? Cappita! Bisogna che abbiano le budelle foderate![58]

 

            amaranto     Dove è corte, bisogna aver foderato anche il cuore. Ma chi è questa donna?

 

            fioretto       Si chiama la signora Urania Mignatta, che anderà forse adesso al procuratore.

 

            amaranto     È ricca?

 

            fioretto       Di molto.

 

10        amaranto     (a parte) (Potessi cavar di mano qualche cosa ancora a costei). (a Fioretto) Ritiriamoci.

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Bettina, Urania, e detti da parte.

 

            bettina          Uh, signora, lei la mattina si leva avanti giorno, e non finisce manco di vestire. Guardi questa camicia nel collo come si vede.

 

            urania           Ti dirò. Io consumo adesso le camicie de’ miei mariti, e però m’arrivano al collo come tu vedi. Non importa.

 

            amaranto     Tu mi dighi dunque che ha aùto due mariti?[59]

 

            fioretto       Due, signor sì.

 

5          bettina          Ma che ha bisogno di risparmiare Vostra Signoria se è tanto ricca?

 

            urania           Ricca di vero, poverina! Con tante liti addosso.

 

            bettina          Ma quante sono queste sue litaccie?

 

            urania           Quanto c’è di buono son ridotte a poche, perché io ora non ho altre cause vive che una co’ miei fratelli, una co’ miei figlioli, una con mio padre, e una con mia madre.[60]

 

            bettina          Ma non è peccato litigar con questa gente?

 

10        urania           Peccato è il suo, traditori, che mi fanno tribolare.

 

            amaranto     Dunque è ricca assai?

 

            fioretto       Assai, ma è avara come il diavolo.

 

            amaranto     Voglio comporre alcune ottave all’improvviso in sua lode. La donna è di natura tanto ambiziosa quanto avara. La sollecitterò con un poco di gloria per moverla a qualche mercede.

 

            bettina          Ma che pretendono in tutto in tutto?

 

15        urania           Ti dirò, Bettina mia: loro veramente vorrebbero assegnarmi la casa co’ mobili come tu sai, e quattro poderi nel Piano. Loro vorrebero pagare i salari, mantenere due mule con la lettiga, pagarmi tutti i medicamenti e danni 25 scudi il mese.

 

            bettina          Oh che vorrebbe, Signora, se sta come una prencipessa?

 

            urania           Hanno messo nell’accordo una condizion troppo grave. Essi mi danno tutte le cose che t’ho detto, benché io non possa pretender tanto. Ma vorrebbero che io li lasciassi stare in pace e che non potessi più litigare con loro. Ti par poco, eh, Bettina, ch’io non abbia a poter più litigare?[61]

 

            bettina          Ma questo è l’accordo.

 

            urania           Bell’accordo, obligar una povera donna a non poter più litigare.[62]

 

20        bettina          Ma che pretende Vostra Signoria?

 

            urania           Litigare, Bettina.

 

            bettina          Quant’è che lei litiga?[63]

 

            urania           Cominciai da nove anni a litigar con la maestra, perché voleva che noialtre ragazze non litigassimo insieme. Poi...

 

            bettina          Signora, chi sono quei due?

 

25        urania           Quando si discute di liti non si bada altrove, monninella; quell’è gente che sta pe’ suoi fatti. Orsù è già tardi io m’avvierò al giudice, e tu vai dal signor Dottore, e portali questa scrittura della mia dote. Digli che io ho falsificato quel numero come restaremo per far la dote trecento scudi più, e portali cotesta cosa ch’io t’ho detto.

 

            bettina          Signora, quello scrive e ci mira.

 

            urania           Bada a quel che ti dico del procuratore. Digli così nel cercare le bazzecole dell’ultimo marito che era cacciatore v’ho trovato della munizione avvanzata, e che sapendo che alle volte lui va ai balzelli, gliene fo un presente.[64]

 

            bettina          Eh, signora, a quel che piglia la mira i procuratori non so se questa poca di munizione gli servirà.

 

            amaranto     Due mariti, è vero?

 

30        fioretto       Due.

 

            urania           Ti dirò. Sai che c’è la proibizione di tenerla, e che della polvere c’è l’appalto. Però questa è forestiera, me la voglio levar di casa.

 

            amaranto     Dammi della polvere.

 

            bettina          Signora, quello che scriveva dice non so che di polvere.

 

            urania           Sarà qualche spia. Meschina a me!

 

35        amaranto     Polvere, ogni poca basta.

 

            bettina          Dice che ogni poca basta.

 

            urania           Sicuro ch’ogni poca basterebe per farmi pagar la pena.

 

            amaranto     Non occorre altro, ti ringrazio.

 

            bettina          Dice che non occorre altro, e lo ringrazia. Quel ragazzettaccio ha fatto la spia.

 

40        fioretto       Il guadagno a mezzo.

 

            urania           Il guadagno a mezzo? Sicuro ch’è una spia, andiamo, andiamo.

 

            amaranto     Signora, la riverisco.

 

            urania           Serva. (a Bettina) Bettina, mettila sotto bene.

 

            amaranto     Quanto la compatisco!

 

45        urania           Che spia misericordiosa!

 

            amaranto     Io ero servitore dei suoi signori mariti.

 

            urania           Questi servitoracci stanno per le case, e poi fanno la spia ai padroni. Sicuro costui c’ha servito e sapeva il negozio della polvere forestiera. Ma non mi parè che siate stato mai in casa nostra?

 

            amaranto     Conviene che finga d’esser stato amico del primo marito per introdurmi. Signora, lunghi viaggi e li stenti mi fecero alterare quei caratteri che ella ricerca.

 

            urania           Io non ricerco caratteri alterati, né m’importa se l’aviate fatto per bisogno o per viaggiare. E che necessità avete di viaggiare?

 

50        amaranto     Ricercare in qua, là...

 

            urania           Ricercare in qua e là? A casa sua forse il guadagno delle spie dev’esser poco.

 

            amaranto     Degli amici tra i quali erano i miei più cari il suo ultimo consorte. (a parte) (Mi voglio disintrigare.) Signora, mi vien da piangere quando ci penso. Che tratto cortese, che fedeltà, che amorevolezza! Il pianto non mi lascia dir più.

 

            urania           Si mette la mano agli occhi lo sciagurato per osservarmi meglio.

 

            amaranto     Sono inconsolabile.

 

55        urania           Ma se me ne sono data pace io, che era la sua moglie ve ne potreste dar pace ancora voi.

 

            amaranto     Tutti non posson aver la sua virtù.

 

            urania           O virtuosa o no, non so quel che fate voi.

 

            amaranto     Signora, non mi so contenere. Giovanetta, contentatevi ch’io m’asciughi al vostro fazzoletto, ch’il mio l’ho lasciato in casa.

 

            urania           No, no, Bettina. Sentite sciagurato con che scusa voleva far cavar fuori il fazzoletto per trovar la polvere. Ma ora ce lo voglio prendere. Dite un poco, che scrivevi or’ ora quando ci miravi?

 

60        amaranto     Voglio palesare...

 

            urania           Oh sfacciato, non si vergogna di dirlo. Ma..., e perché fate queste cose?

 

            amaranto      Il desiderio di viver lungamente m’ha fatto applicare a dare in luce tutto quello ch’io so di lei in un libro intiero, di cui questo sarà il principio.

 

            urania           Un libro intiero! Sicuro che potrà viver lungamente a mie spese. O meschina a me! E che v’ho fatto?

 

            amaranto     Altr’ obbligo non mi muove a ciò, che della giustizia.

 

65        urania           Ma per fare un libro intiero non potete dir alla giustizia se non delle bugie.

 

            amaranto     Tutta verità. Senta.

 

                                   «Io vo’ cantare, e molte cose io voglio

                                   render d’oscura donna al mondo note.»

 

            urania           Dice che vuol cantare e far la spia a un’oscura donna cioè a una povera vedova. Ma sin’ora della polvere non c’è niente. E che non lo può sapere.

 

            amaranto     «Ciò che ridir si può, quivi raccoglio,

                                   e perciò guadagnare assai si puote

 

            urania           Io l’ho che, per ridir le cose, questa volta voglia guadagnar poco.

 

70        amaranto     «Chiaro al mondo farò quant’è sua dote.»

 

            urania           Oh meschina a me! Sa il negozio della scrittura falsa della dote. Oh, ora sì che son rovinata.

 

            amaranto     «E quanto ha di viril nel suo cordoglio.»

 

            urania           Oh, che gl’importa poi se io porto le camicie de’ miei uomini col cordoglio. Non so che ci sia bandi che lo proibiscono. Di questo me ne rido. Basta che non ci metta della polvere.

 

            amaranto     «E come Libitina...»

 

75        urania           Chi dice di Bettina? Ora m’aspetto della polvere.

 

            amaranto     « In grembo involve

                                   gl’avanzi dei mariti in tanta polve.»

 

            urania           O poverina a me, che so’ a accattare, se si sa il negozio della polvere e della scrittura falsa! O poverina a me, che so’ a accattare! Ma che pretenderesti per non dir altro?[65]

 

            amaranto     Non si cura dunque ch’io dica più?

 

            urania           Non me ne curo davvero. Dite, che pretendete?

 

80        amaranto     Che avarizia con la virtù e coll’istessa fama di se medesima. Signora, io son contento che ella mi dia per mercede quel medesimo ch’ella aveva destinato pel procuratore, in questo giorno. Meno d’una piastra non può essere e una piastra per un ottavo mi può bastare.

 

            urania           Ma stracciate codesta cosa e non dite niente di me.

 

            amaranto     La straccierò. (a parte) (Le donne insomma non intendono), e non parlerò niente di Vostra Signoria. (li dà un’involta)

 

            urania           Pigliate. Questo portavo al procuratore. Ma di grazia non parlate.

 

            amaranto     Così prometto.

 

85        urania           Addio. V’ho dato una cosa secondo il merito della vostra professione onorata. Bettina, andiamo.

 

            bettina          Andiamo.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Amaranto e Fioretto.

 

            fioretto       A mezzo, a mezzo.

 

            amaranto     Ne sarai a parte. Che mai può essere second’il merito della mia professione?[66]

 

            fioretto       Mi pare una cosa dura.

 

            amaranto     Sarà qualche zampogna pastorale. (cava un corno da polvere)

 

5          fioretto       È un corno, e un corno civile ancora.

 

            amaranto     Oh donna indegna! Sesso dispreggiatore della virtù; questa mercede a chi ti loda!

 

            fioretto       Qui non solo non ci voglio entrar a mezzo, ma neanche nella quarta parte. Vediamo quest’altro, disse il Fiorentino, che era cosa che poteva servire ancora alla professione di Vostra Signoria. Mi pare una cosa come corda.

 

            amaranto     Forse, o da cetere o da lire!

 

            fioretto       Signor no, da asini. È una cavezza, questa ancora ve la lascio tutta.

 

10        amaranto     Tali ingiurie alla poesia! Non son Amaranto s’io non mi vendico. La penna è la spada dei poeti, che sa fare eterne ferite. E l’inchiostro loro adirato è un balsamo velenoso che sa dar vita ai suoi nemici per farli sempre morire.

 

 

                                   SCENA IV[67]

 

                                   Leandro in abito di Dottor, Notaro in abito di messo.

 

            notaro          Crediatemi signor Leandro, che con cotest’abito e con coteste bafete voi parete un dottor naturale.

 

            leandro        Mi dispiace di non ricordarmi di quattro parole latine.

 

            notaro          Quanto meno sapete di latino tanto più siete simili a’ nostri dottori moderni. Via, fatevi animo e non pensate più adesso al signor padre, che già vien ritenuto dal nostro pizzicaiolo in una camera, e questa sera lo condurremo a casa.

 

            leandro        Mi dispiace che il pizzicaiolo fa la bottega ancora dell’osteria, e che perciò mio padre sarà sentito da molta gente. Pure l’esser egli già stato fermato mi toglie l’apprensione del suo pericolo e mi lascia in qualche libertà di servire in questa maniera a’ tuoi capricci.

 

5          notaro          Anzi di servire ai vostri fini. Ditemi, ho io faccia di sbirro?

 

            leandro        Più che di notaio assai assai. Ma intanto cosa dobbiam fare?

 

            notaro          Fidatevi di me. Fate voi per la parte vostra quanto vi ho detto, e non dubitate. Datemi quella carta che voi mandate alla vostra sposa, e non pensate ad altro.

 

            leandro        Et a voi da l’animo di dargliela in propria mano? Non vi riescirà. Il padre la tien troppo guardata.

 

            notaro          Noferì ha delle liti, fingerò di portare una citazione adesso che non è in casa. E così Isabella averà la lettera senza dare osservazione ad alcuno.

 

10        leandro        Sapete che il pensiero non mi dispiace. Ma a qual fine volete ch’io mi finga commissario dell’Annona di Bologna?[68]

 

            notaro          Perché Noferì ha già cognizione di tutti gli ufficiali del paese, e così perch’ei non ci riconosca, in caso che in questo tempo ritornasse, convien che vi fingiate officiale straordinario, come pure mi fingerò io messo forastiero. Adesso a punto che si teme di carestia, e che quel magistrato vuol riconoscere il numero delle bocche e lo stato delle raccolte, la finzione porta seco del verisimile.[69]

 

            leandro        E credete che con tal pretesto entreremo in casa del signor Noferì?

 

            notaro          Non ne dubito. Siate attento a tutti i cenni che vi farò e adoprate la solita accortezza.

 

            leandro        Studiatevi di mutar ben la favella.

 

15        notaro          Terrò sotto la lingua questa piccola noce d’India per alterare il suono alla mia voce.

 

            leandro        Questa è la lettera.

 

                                   Isabella gentile

                                   Lettera

                                   Assicurato dalla vostra corrispondenza vi assicuro d’esser vostro. Ma pure anderanno in lungo le nostre nozze, se non gettate dalle finestre quel vecchio scemo che è contrario al mio partito. Per concludere il tutto, bisogna che trattiamo a bocca.

                                   Vostro servitore obbligato e amico,

                                   Leandro

 

            notaro          Quel dar del matto a suo padre e volerlo gettare dalle finestre mi par troppa confidenza.

 

            leandro        È uno scherzo. Orsù, mi nascondo qui vicino.

 

 

                                   SCENA V[70]

 

                                   Notaro, Isabella dalla finestra.

 

            notaro          Batterò.

 

            isabella         Chi batte?

 

            notaro          Amici. Questa è la voce d’Isabella.

 

            isabella         Di chi dimandate?

 

5          notaro          Signorina c’è una certa citazione, se Vostra Signoria volesse far grazia...

 

            isabella         Oh scusatemi, non m’intendo di queste cose. Aspettate il signor padre, la potreste dare a lui.

 

            notaro          La citazione viene a Vostra Signoria.[71]

 

            isabella         A me? Voi avete sbagliato l’uscio. Se tutti litigassero come fo io, sareste meno grassi voialtri, canaglia. Andate, andate.[72]

 

            notaro          Sentite.

 

10        isabella         Non vo’ sentire, dico.

 

            notaro          Non è quello che credete.

 

            isabella         Dico di no; andate pe’ vostri fatti.

 

            notaro          È una lettera.

 

            isabella         Niente, niente.

 

15        notaro          Ma leggete!

 

            isabella         Dico che ve n’andiate, che vi tirarò il mortaio in capo.

 

            notaro          È una lettera del signor...

 

            isabella         Non so di signori, né di signore. Menica, dammi il mortaio.

 

            notaro          Del signor Leandro.

 

20        isabella         Di che signore? Dite piano.

 

            notaro          Del signor Leandro. Ma già che non la vuole la riportarò.

 

            isabella         Sentite, sentite.

 

            notaro          Non voglio mortari in capo.

 

            isabella         Eh, pensate. Non l’ho manco in casa, mio padre è tanto misero che fa il savore nella tabacchiera. Adesso scendo, non ve n’andate, veh.

 

25        notaro          Questa giovine è più lieta di suo padre, e starà ben accopiata col signor Leandro.

 

            isabella         Non ve n’andate. Eccomi. (esce)

 

            notaro          La riverisco. Lei non mi conosce.

 

            isabella         Uh, signor notaro, a dir che siete voi? E chi vi riconoscerebbe?[73]

 

            notaro          Ecco la lettera.

 

 

                                   SCENA VI[74]

 

                                    Noferì, e detti.

 

            noferì           I’ so’ stato dai procuratore per fa’ liberar dalle stinche quella mia Podepina che m’ha detto qui’ birro, che l’era imprigionata all’uomo avante. Ma l’è stata bianca perch’ i’ non gh’ho portato l’imbeccata e m’ha fatto di’ che gh’ha le gotte. E fanno sempre così quand’ e’ clientoli non muovon le mane, gh’hanno la gotta a’ piedi. Insomma costoro e non ghi riempirebb’ Arno colla piena. Ma i’ so com’ i’ ho a fare. I’ ghi vo’ da’ la me Isabella, e mettemel’ in casa per aver i procuratore a me’ comodità e sen’ interesse. La ragazza i’ so che la bindola con Leandro, ma qui’ pollastrone, in quant a mene, e’ non m’andrebbe ma’ a fagiuolo. Primieramente e’ ne fa buccia buccia. Po vi è quailche sentore che so padre sarà trucchiato dall’offizio, perché e’ vuoil dar la voilta alle carrucole. Ma....Vedo l’Isabella nella via...[75]

 

            isabella         Meschina a me, è mio padre!

 

            notaro          Siamo colti.

 

            isabella         Il signor padre si saprà difendere, e finora chi ha litigato con lui ci ha avvanzato poco. Signor padre, siamo perseguitati al solito, e ci vorrebbero togliere il nostro. Ma so che c’è buona giustizia, e lei sa dire il fatto suo. (straccia la lettera). Guardate che conto fo delle vostre cedole, ve le straccio nel viso, nel viso, sì bene.[76]

 

5          notaro          Il tempo è dritto.

 

            noferì           Come, come! L’era una citaizione. Oh veh, che ragazza scailtrita. Oh, tu vo’ sapè difendere il tuo me’ di me.

 

            isabella         Guardate un poco se non c’hanno da lassare aver bene manch un’ora. Sì bene, nel viso ve l’ho stracciata.

 

            noferì            I’ ti vo’ comprare Il dottor voilgare, e i’ formolario, perché tu ti faccia una dottoressa. Ma per un’ailtra voilta le citaizioni non si stracciano, sai tue![77]

 

            notaro          Quel peggio sarà per voi, perché v’entra il disprezzo della giustizia.

 

10        isabella         Sì bene, nel viso, nel viso. (rientra)

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Noferì, e Notaro.

 

            noferì           Bisogna po po considerare che l’è una ragazza e non la pigghiate per la punta. La non ha pensato più làe.

 

            notaro          Io ho da fare l’offizio mio, e referirò quant’occorre, perché la giovine sa conoscere il ben dal male.

 

            noferì           Noe, noe ch’i’ accetto la citaizione e adesso io raccorrò quei tricioli per vedì quil che la dicea.[78]

 

            notaro          Non s’incomodi che io le dirò il contenuto.[79]

 

5          noferì           I’ ghi mett’insieme senz’ailtro. Pah, che ragazzettaccia maledetta.

 

            notaro          Dicea che glielo dirò. Senta. È venuto il signor commissario dell’annona in questa terra per provedere ai bisogni del grano in quest’anno così penurioso, però secondo le denunzie e il bisogno va destribuendo tanto grano per ogni casa a titolo di prestanze, e in questo foglio veniva notificato a Vostra Signoria l’assegnamento fatto alla sua casa con gl’ordini opportuni sopra ciò, veniva citato insieme a dire quanto gli occorreva avanti il signor commissario che qui adesso si trattiene.[80]

 

            noferì           Vi ringrazio. Ma tant’è se ne può leggicchià quailche cosellina. Vète voi?

 

            notaro          (vuol partire) Non occorre altro, la riverisco.

 

            noferì           Eh, ascoiltate, ascoiltate me. Che dic’ egli? Assicurato della vostra corrispondenza. Questa parola corrispondenza in quarantacinqu’ anni ch’i’ litico i’ non l’ho vista ma’ piùe pelle citazioni, ma’ più a’ mie dì.

 

10        notaro          (tra sé) Ohimè! Diceva che il magistrato assicurato della corrispondenza, cioè della restituzione alla nuova raccolta farà la prestanza del grano.

 

            noferì           Oh buono, buono. Si l’ho dir giusta i facev’ un giudiziaccio. Sì, sì, la mi c’entr’ ora.

 

            notaro          (vuol partire) Servo suo.

 

            noferì           Quae quae quest’ailtro pezzolino, che dic’ egli? Bisogna che trattiamo a bocca. Eh, mi’ padrone, dit’ i’ vero, i’ fogliolino va a Isabella o a me?

 

            notaro          A voi senz’altro da parte dell’annona.

 

15        noferì           Ma i’ non so d’aver confidenza nessuna con questa signora Annona che la voil parlar a bocca con me. Eh, me padrone, i’ so’ diritto, vète. Vo’ non m’infinocchiate di certo.[81]

 

            notaro          Diceva nella citazione che per la penuria dei viveri bisogna trattar a bocca per bocca.

 

            noferì           Uh, la può anch’esser, veh. Oh via, i’ non dico nulla. I’ cominciano a sospettà dell’Isabella. Sapete, perché l’ha tant allocchi d’intorno!

 

            notaro          Isabella non c’entra niente. Con sua licenza. (vuol partire)

 

            noferì           Come, come? Ora sì ch’i’ l’<ho> arrivata: Isabella gentile. Ah, furfante, disonorato, una citaizione, eh, l’è una citaizione? Come ha’ tu tanta faccia di dillo? Diceo ben io che v’era maccatella.

 

20        notaro          Come siete sospettoso!

 

            noferì           Sospettoso m’ in là. Sapete vo’ legger punto punto?

 

            notaro          Il magistrato dell’annona è così caritativo...

 

            noferì           Oh, andate un po’ ’n tanta malora a portà la carità d’i’ magistrato in casa d’un ailtro.

 

            notaro          Sentite. Considerando il magistrato che le giovanette sono di complessione più tenera degl’uomini, per loro assegna tanto grano gentile, e però dicea Isabella gentile. Cioè grano gentile, stara 12. Cercate l’altro pezzuolo che ci trovarete il resto.

 

25        noferì           Ah, ù ate ragione. La mi quadra anche questa. Pah, i’ son pur ombroso alle voilte!

 

            notaro          Io ho da portar altre citazioni, però si contenti ch’io la lassi.

 

            noferì           Eh, eh questa, questa. Come la sailderete voi! Andranno in lungo le nozze. Com’ èntregghi l’annona con le nozze d’Isabella? Non occore ailtro, i’ ho capito, e’ so quante paia fan tre buoi.

 

            notaro          Dico che cerchi i versi corrispondenti della carta stracciata e troverà che l’annona consiglia a mandar in lungo le nozze in quei tempi che non c’è pane per i pasti necessari. Non posso più aspettare, addio.

 

            noferì           Beil bello, me’ padrone. Ascoiltate quest’ailtra sola sola, e po’ fatevi la coperta, se potete. Gettate quel vegghio scemo dalla finestra. Ah, bricconcellaccia. Tu ti se’ accordata anche tue a dir che l’era una citaizione, e perché mi volevi dar la bailta dalle finestre. Noe, noe, per questa voilta tu non l’arai graziata, ch’i’ le farò turà quante e’ ve n’è, ch’a’ qui mo tu non farà tutti dì la civettina.

 

30        notaro          Questo è il più bell’ordine che vegli.

 

            noferì           Eh, vo’ mi farest i gran servizio a farl’ un po’ addormentare e a levarmivi d’intorno, che la non si facci criminale.

 

            notaro          Appagatevi...

 

            noferì           Anche.

 

            notaro          Intende del gran vecchio; e essendo quello vuoto e scemo per esser riscaldato, il magistrato dell’annona per timor che non si semini, e che non vada peggio la futura raccolta, vuole che si getti dalle finestre.

 

35        noferì           Venga la rabbia alle me’ ombre. I’ l’avò presa pure a traverso.

 

            notaro          Cercate gl’altri pezzuoli e troverete che dirà così.

 

            noferì           Ma i’ cerco cerco, e i’ non trovo mai né grano, né annona, né staia. Ailmen i’ trovass i’ nome d’i cancelliere; come si chiama egghi, dite?

 

            notaro          Il signor Petronio. Orsù, non posso più badare.

 

            noferì           Eh, eh, fate moitto. Vostro servitore e amico Leandro. E’ dice Leandro e non Petronio. I’ ho ‘nteso. Questo gh’è un buco da non trovarvi cavicchio. Eh, i’ son il beil balordo. I’ v’ aéo conosciuto alla prima, che vo’ siat’ un portalettere, e che questa non era una citaizione. Isabella, oh, i’ te le vo’ far rosse le gote, veh, i’ non vo’ che tu t’avvezzi da qui ’n poi.

 

40        notaro          No, no, questa è una soddisfazione che vuole il magistrato.

 

            noferì           Questa soddisfazione il magistrato non la vuol aver di certo perché Isabella è già maritata a un ailtro. Ate vo’ inteso, i’ me Nibbio?[82]

 

            notaro          Dico che nella prestanza vuol due promesse, e perciò dice che vuol obbligato il vostro servitore, e il vostro amico Leandro.

 

            noferì           Eh, vo’ sete un furfante e v’aete più ritorte che fastella, i’ non ci calo alla pania.[83]

 

            notaro          Ma pagate di questa moneta!

 

45        noferì            Se questa non vi piace, togliete quest’ailtra ‘n tanta malora.[84] (gli dà uno schiaffo)

 

 

                                   SCENA VIII[85]

 

                                   Isabella alla finestra, e detti.

 

            notaro          Dichiaratevi, se date a me.

 

            noferì           A vo’, messer sì. E se vo’ siate sordo da questa gota, eccovene una più forte da quest’ailtra.

 

            isabella         Signor padre, non faccia, che benché siano sbirri, son di carne come noi. Poverini!

 

            noferì           L’ha a essere una carne, ch’ha costar salata anch’a te, mozzina.

 

5          notaro          Due schiaffi, scriviamo. (scrive) Il qual signor Noferì doppo aver trattato mal di parole me, caporale infrascritto, mi percosse con due mostaccioni, prima dalla mancina, poi dalla ritta, e mi fece cadere in terra il cappello.[86]

 

            noferì           (le dà uno scapellotto) Fa’ a me, mo’. Séguaci anche questa per coilmo della misura.

 

            isabella         Finalmente fanno l’offizio loro, signor padre.

 

            noferì           Sta’ cheta, che e’ vuol essere un offizio che ti vuoil fa sentì sonar a doppio anche a te, la me’ ragazza.

 

            notaro          Durate, durate, che per me son tanti zecchini gigliati. Appunto ho da far le spese a quattro figliolini. Di grazia, datemi ancora bastonata, o almeno qualche calcio.[87]

 

10        noferì           Vo’ dàte fortuna che a’ piedi i’ ho le gotte e i bastone i’ l’ho lasciat’ a casa che d’i resto. Razza voistra per questa voilta, i’ non saprè che mi ci dire. Ma pur accettate di buon animo. Tenete. (un altro scapellotto)

 

            isabella         Signor padre, que’ quattro figliuolini, carità, carità.

 

            noferì           Oh la carità ci vuol esser anche per te d’ sicuro, ma a man chiusa.

 

            notaro          Ohimè, ohimè, che ho sputato! Ohimè!

 

            noferì           Che ha eghi sputato! La mi par una noce.

 

15        isabella         Che non gl’abbia fatto venir su la noce del piede! Uh, meschin a lei.

 

            notaro          Ohimè, che son stroppiato! Ohimè, ch’è m’è uscita la noce del piede!

 

            noferì           Con quei scapellotti i’ gh’ho chiarito la voce. Pah, i’ sarè pur i’ caso a dar lezzione a’ musici. Ma a escì d’le burle, ghi zoppica davvero, lui.

 

            notaro          Ohimè, la mia noce del piede!

 

 

                                   SCENA IX[88]

 

                                   Leandro e detti.

 

            leandro        Che insulto v’è stato fatto, caporale?

 

            noferì           Oh meschin a me, che gh’ier’ un birro da vero, e quest’è i’ commissario. Ora si ch’i’ so’ per la mala via. Noferì, ch’ha’ tu ma’ fatto?

 

            notaro          Signor commissario, hanno perduto il rispetto alla giustizia.

 

            noferì           Ah, che l’er’ una citaizion sen’ ailtro. Venga la rabbia alle me ombre, e a quand e’ ma’ i’ ebbi sospetto.

 

5          notaro          Sono stato percosso e stroppiato dal signor Noferì, per aver portata l’intimazione consaputa d’ordin di Vostra Signoria Eccellentissima.

 

            noferì           Ora sì, ch’i’ ho fatto il becch all’oca.[89]

 

            leandro        Avete preso i testimoni?

 

            notaro          Non occorre testimoni, le mie gote sono ancora calde calde. Vostra Signoria Eccellentissima senta e veda la noce del piede che m’ha fatto sputare a forza di scapellotti.[90]

 

            leandro        Il delitto è provato a bastanza

 

10        noferì           E chi l’arebbe ma’ creduto che la noce d’i piede fosse tanto vicino alla collottola.

 

            leandro        Dov’è l’intimazione?

 

            notaro          Sua figliola l’ha strappata in cento pezzi.

 

            leandro        Bisogna processar la figliuola ancora. Olà, fate che scenda vostra figliuola.

 

            noferì           L’ha da compatire signore, l’ha da sapere...

 

15        leandro        Che venga, dico.

 

            noferì           Ah, ch’i’ son fritto. Isabella vien giue.

 

            leandro        Battere i ministri della giustizia e strappar gl’ordini dell’annona?[91]

 

 

                                   SCENA X[92]

 

                                   Isabella e detti.

 

            noferì           E te ne voil sapere anch’a te di stritolar le citaizioni.

 

            leandro        E bene signora, voi strapazzate i nostri officiali e lacerate i nostri decreti. Come vi chiamate?

 

            isabella         Isabella.

 

            leandro        Scrivete, offiziale. E la sua età?

 

5          isabella         Sedici anni.[93]

 

            leandro        Ella ha marito?

 

            isabella         No, signore.

 

            leandro        Scrivete che ha detto di no, e che ha riso.

 

            noferì           Oh, to’, anche che l’ha riso? L’è un po’ troppo sottigliezza. E tu non rider, m’ha’ tu ’nteso, sfacciatella!

 

10        leandro        Scrivete che elli l’ha interrotta, e che le ha proibito che rida meco.

 

            noferì           Oh i’ non dico più nulla, i’ non alito piùe, non dubitate.

 

            leandro        Ha Vostra Signoria ricevuto da questo famiglio una carta scritta?

 

            isabella         Sì, signore.

 

            leandro        L’ha ella letta?

 

15        isabella         Due volte.

 

            noferì           E chi ghi domandava sa la l’aveva lett una voilta o dua.

 

            leandro        Che n’ha ella fatto?

 

            Isabella         L’ho stracciata.

 

            Leandro        Per disprezzo della giustizia.

 

20        isabella         Io stimo assai la giustizia, e rispetto sommamente Vostra Signoria.

 

            noferì           Eh, che le son cirimonie buttate via, le non vi vanno.

 

            leandro        Scrivete che il signor Noferì non vorrebbe che la figliola trattasse con cortesia.

 

            noferì           E dev’esser commissario anche d’i Galateo costui, a sentire.

 

            leandro        Perché l’ha stracciata Vostra Signoria?

 

25        isabella         Per paura che il signor padre non si disturbasse a leggerla.

 

            noferì           Pah! La l’ha rivoltata bene per eccellenza.

 

            leandro        Scrivete. Del resto avrebbe ella per la sua parte repugnanza ad eseguir ciò che si conteneva in quel foglio?

 

            isabella         Io sarei prontissima, s’io fossi la padrona.

 

            noferì           La par’ imboscata dai procuratore.

 

30        leandro        Gettarebbe ancora quel vecchio dalle finestre, se ella potesse, cioè quel grano vecchio?

 

            isabella         Mi pare che quel vecchio si può serbare per carità; del resto me ne rimetto a Vostra Signoria.

 

            noferì           Che accade trattar d’la carità, quando non t’è domandata, saccentina?

 

            leandro        Scrivete che il signor Noferì non vuol che la figlia sia caritativa.

 

            noferì           To’, ghi è anche procurator de’ poveri.

 

35        leandro        Del resto Vostra Signoria è pronta a mantener sempre quello che ha detto una volta?

 

            isabella         Sempre sarò costante.

 

            noferì           La par’ una salamoncina.[94]

 

            leandro        Ratificate, signora Isabella, ciò che desponeste con la vostra sottoscrizione.

 

            isabella         Signor padre, non so fare ancor bene bene la pancia al B, si soscriva per me.

 

40        noferì            Signor commissario, se la non risuiltasse, i’ la sottocrivere’ io per Isabella.

 

            leandro        Mi contento.

 

            noferì           Teh, i’ la vo’ anche sottoscrivere alla cieca, perché l’ha risposto tanto bene che e’ parea che la sputasse pepe. E i’ so che la non v’arà lasciat’ arpioni per la giustizia. (soscrive)

 

            leandro        (basso, a Isabella). Quello è il contratto delle nostre nozze, et ora vien soscritto da vostro padre medesimo.[95]

 

            isabella         Ringraziato il cielo! Mi compatisca di quella lettera.

 

45        noferì           La fa la scusa della lettera, cioè d’i B che la non sa fare. O via, per questa voilta i’ signò commissario te la passa; va’ a cas e ‘mparala.

 

            isabella         Serva del signor commissario.

 

            leandro        Obbligato alla sua gentilezza. Signor Noferì, resta ora da aggiustare lo strapazzo dello sbirro stroppiato da voi.

 

            notaro          Questa è la noce del piede, la giustizia farà il suo corso.

 

            noferì           S’i’ cavo la noce da ghi stanchi anch a gh’ailtri birri, ho paura che la giustizia correrà poco. Ma, cappita, i’ non me ne vo’ far beffe. I’ vo’ un po’ tornà dai procuratore per vede’ come la si può aggiustà senza tanti chiaiti e con manco frastorno.[96]

 

 

                                   SCENA XI[97]

 

                                   Zuccarino.

 

                                   Insomma il bastone è autor più grave assai di Bartolo, lo sento io alle spalle. È stato peggio però il povero sacco che è stato primo ad esser colto. Pah, il signor Leandro ha mandato male quelle quattro bastonate senza profitto. Se le dava fra il capo e ’l collo a suo padre con due giorni poi di biscotto e d’acqua chiara, gli rimettevano il cervello senz’altro. Venga la rabbia a’ matti. Dice che il Dottore è capitato in bottega di mastro Lardello e il signor Leandro vuol ch’io vada a guardare fino che si faccia notte per ricondurlo poi a casa. Intanto mi farò pagare da mastro Lardello il denaro che importano quelle trecento libbre di libri che gli abbiam venduti. O di casa.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Lardello, Zuccarino.

 

            lardello       Chi g’hè?

 

            zuccarino     Amici.

 

            lardello       L’oste non dee avè i amizi perché i amizi non t’ vuean pagà, e l’oste non puoe dà da mangià senza dinè.

 

            Zuccarino    Nimici dunque.

 

5          Lardello      I me’ nemizi non me parlan, e mi non son obligào a rispondergh.

 

            zuccarino     Aprite via.

 

            lardello       ’A strada è averta, e voi e’ puei andà pe’ o vostro camin.

 

            zuccarino     Io non voglio andar altrove, voglio star qui.

 

            lardello       Se vuoie stà costì, n’importa dunque che ve vegna arvì.

 

10        zuccarino     Presto che ho bisogno di voi.

 

            lardello       Se vuoie ei bisogno, tocca a voi a incomodâve, non a mi.

 

            zuccarino     Ma se è serrato.

 

            lardello       Aspettè a avéi b’sogno de mi, quando ’a porta è averta.

 

            zuccarino     Orsù andrò a un’altra osteria.

 

15        lardello       Son chì, son chì, buon ghiorno, Zuccarin. (esce)

 

            zuccarino     Bel modo di fare l’oste, trattener tanto i forestieri!

 

            lardello       Te diò, ho finìo o’ povêe e espesie in buttegha, e non ho atro muêo de fa’ beive i fosatiè un poco chiù, che fâi ciarlàna mezz’ora.[98]

 

            zuccarino     Li osti ancora son come i dottori di legge che fanno il guadagno nelle ciarle.

 

            lardello       Dimmi se sei vegnùo pei dinè di quei livri o per vér ’o zudize to patron?

 

20        zuccarino     Per l’uno e per l’altro. Ma in che maniera il signor giudice è capitato qui da voi?

 

            lardello       Ghe avevo una tôoa de foestè accompagnè da ìo procaccio da Venezia tra i què ghe êa un bergamasco, un calabrese, un zenese e un bolognese che litigavan insieme a chi parlava megghio italian. Allora o’ sior ghiudize entrò dentro nella butega per vôei dà la sentenza, mi che cognosceivo che allora pativa de mêi de testa, lo serrai in una camêa, dove ancûa gh’è.

 

            zuccarino     Faceste un’opera di carità.

 

            lardello       Andemo in ca’ perché besogna che mi metta a tôa certi passaggiè, e ho du rosto au feugo che comincia a bruciasse.

 

            zuccarino     (fanno i complimenti nella porta dell’osteria). Andiamo, che ancor io farò colazione con voi. Or via passate.

 

25        lardello       Passee vuoi, Zuccarin. Non vuoei voi che faccia ninte di creanza?

 

            zuccarino     Tocca a voi.

 

            lardello       Mi dico che tocca a vuoei. Presto che o’ rosto è cotto.

 

            zuccarino     Va’ così.

 

            lardello       Non è ragion.

 

 

                                   SCENA XIII[99]

 

                                   Balanzone alla finestra con un mattone in mano, e detti.

 

            balanzone    Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. Doctores utriusque Iuris in causa cer’moniarum inter Zuccarinum nostrum et magistrum Lardellum Cauponem.

 

            zuccarino     Il padrone ci vuol dar la sentenza.

 

            balanzone    Definimus, pronuntiamus, sententiamus et declaramus.

 

            lardello       Non posso aspettà tante sentenze, perché o’ rosto se brugia, andeò intanto mi.

 

5          balanzone    Asp’tè la s’ntenza, ch’altriment a’ v’ tir st’ sass int’la testa.

 

            zuccarino     Sarà meglio mandar male l’arrosto che il capo.

 

            balanzone    Avì interrott la s’ntenz, a’ dirò da cap. Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. utriusque Iuris ecc. in causa cermoniarum.

 

            lardello       Siiò giudice, di grazia...

 

            balanzone    La grazia l’ha da far al prinçip. Al zud’s ha far la zustizia. Un’altra volta da cap. Sta’ attent, e n’ d’ parola.

 

10        lardello       Non parlo chiù.

 

            balanzone    Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. Zuccarin ha sputà, donc cominzerò un’altra volt da cap.

 

            zuccarino     O via, non sputerò più.

 

            balanzone    Nos Balanzonus ecc. Master Lardel s’è suffià al nas, donc un’altra volt da cap.

 

            lardello       Ne manc mi susciâò u’ naso. Segua.

 

15        balanzone    Nos Balanzonus ecc. Master, le vultà in là. Donc un’altra volt da cap.

 

            lardello       Eccomi vortoo a voee.

 

            zuccarino     Presto, che non posso più dall’appetito.

 

            Balanzone   Nos Balanzonus ecc. Zuccarin ha suspirà, donc un’altra volt da cap.

 

            Lardello      Femo conto d’essêe statue.

 

20        balanzone    Nos Balanzonus a Balanzano iuris utriusque doctores ecc, in causa ceremoniarum inter Zuccarinum nostrum et magistrum Lardellum Caupone in porta Cauponae occurrentium, dicimus, pronuntiamus, sententiamus et declaramus in volgar: che se Zuccarin vuol pagar l’ost, a’ ’l ven a magnar dal so, al ven in casa so, e così ha da dar la prezedenz all’ost; se Zuccarin non vuol pagar l’ost, l’è padron de dar da magnar o no, e c’sì essend padron l’ost, ha da aver la prezedenza Zuccarino.

 

            lardello       ’A sentenza è finìa, andemo .

 

            balanzone    A’ b’sogna prim ch’ Zuccarin se dichiari.

 

            zuccarino     Io mi dichiaro.

 

            balanzone    T’a’ si’ ancor in stà d’ minorità e a n’ p’sì dichiarar.

 

25        lardello       O’ rosto va in malora.

 

            balanzone    D’ al can ch’ zira l’arrost, ca ’l se trattegn a zirar finché Zuccarin che adess ha dod’s ann sia arrivà a ventun per p’ter dichiarars validament.

 

            lardello       Ma se o’ rosto è lardellao e sâao, voel che ’o tegne noeu anni chiù a feugo?

 

            balanzone    A’ t’ lassarò al matton int’la testa se ti pass’ innanz che Zuccarin s’ dichiar.

 

            zuccarino     Ma s’io non mangio non posso arrivar mai a ventun anno.

 

30        lardello       Che remedio ghe sarebbe?

 

            balanzone    Al remedi che dà la lez sarebbe ch’ Zuccarin piasse al tutor.

 

            lardello       Demmoghe dunque il tutor.

 

            balanzone    A’ b’sogna esaminar testimoni sopra l’idoneità del tutor. A’ b’sogna infurmar al mazistrat d’ pupilli per dar il tutor a Zuccarin con tutt l’qualità.

 

            lardello       O’ rosto ghià cominza a cantà. E’ pignatte spàndon o’ brodo, mi mando in malora tutto!

 

35        balanzone    S’a’ ti mand a mal ogn’ cosa, a ch’ sarà po un’altra difficultà, perché a’ b’sognerà dar al curator anch’a te perch’a t’ possa stipular validament.

 

            zuccarino     Oh che quell’arrosto si sente ancor di qua. Vorrebbe esser cavato adesso.

 

            lardello       Ho pensoo un modo per lever via tutte le differenze, e ghià che ’a porta dell’oste a è tanto larga, andâemo tutti due insieme.

 

            balanzone    A’ me content. Quest’è ’l mezz termin unurà, prudent e inzegnós. Mettiv donc tutt a du a piè par c’minzà a caminar int’listess temp, e guardè ben d’entrar tutt du insiem per tor via tutt le differenz di chi entra prima e di chi entra dopo.

 

                                   (camminano a piedi pari verso la porta).

 

            lardello       Benêeto sia ’o ziel!

 

40        zuccarino     Andiamo ben del pari?

 

            balanzone    Zuccarin, guarda ben ch’ l’udor dell’arrost non t’ fazz far i pass più lungh di m’ster Lardel.

 

            lardello       Manco mal che tutte e’ cose son aggiustà.

 

            balanzone    Aspetè un poch... Mo cancheraza! La differenz d’la man dritta e d’la man manca, e’ b’sogna veder s’ l’è da più l’osto o al servidor del zud’s.

            lardello       Ghe dâò ’a banda dritta, che non m’importa ninte.

 

45        balanzone    Senz’ il consens di tutt i ost dal mond vu a n’ pussi zéder dal voster drit e la man dritt sarev nulla. 

 

            zuccarino     Se s’ha d’aspettare il consenso di tutti gl’osti del mondo, la colazione vuol andare un pezzo là.

 

            lardello       Femo così. Mi prenderò in spalla Zuccarin, così entrâemo tutti duei in un’otta e non ghe sarà defêenza de man.

 

            balanzone    «Al ripiegh l’ì bon e bell,

                                   grand’astuzia e gran zervel

                                   cha t’ha mester Lardel

                                   A’ me cuntent q’sì, intra pur che la cos l’è aggiustà.

 

            lardello       Oh ’a è finìa, vegnì Zuccarin.

 

50        balanzone    A’ n’occorr alter; a’ n’ più intrar gnanch qsì, perché master Lardel intrarev a piè e Zuccarin in sul asin.

 

            lardello       Dunque non posso intrà in casa me’?

 

            balanzone    La difficoltà sta ch’ bisogna che Zuccarin se dichiari quand avrà vintun an s’al vol pagar o s’al vol mangnar a uff, per saver se vu sii al paron, o s’al sarà Zuccarin pagand ‘i su’ quattrin.

 

            lardello       Che pecoo è di quello rosto, Zuccarin, a un boccon da predicatôei.

 

                                   (si sentono due far alla morra, e dicon «sette sette»)

 

            balanzone    Second la disposizion d’la lez a’ b’sogna aspettar a magnar l’arost nov’anni più.

 

55        lardello       A’ ’i ha dig che in manc nov.

 

            zuccarino     È zent che fa alla morra.[100]

 

                                   (gridano di nuovo «sette sette

 

            balanzone    E mi a’ torn a dir ch’in manch nov. Cr’dforz ch’i duttor di lex sian sumar?

 

                                   (gridano, «tutti tutti»)

 

            balanzone    A’ ’in mintì per la gola, canaia. (parte dalla finestra)

 

            lardello       E andemo, andemo Zuccarin , che o’ matto se n’è andao.

 

60        zuccarino     Andiamo avanti che torni.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Stanza d’osteria con vari prosciutti attaccati ed incartati.

 

                                   Amaranto, Fioretto a tavola.

 

            amaranto     Fioretto, mangiate.

 

            fioretto       Ma pure, Amaranto mio, al conto ce n’avvedremo; se l’oste non piglia un sonetto, io non posso pagarlo in altra moneta. Ma ella mangia molto poco?

 

            amaranto     Mastico ancor male quel corno e non posso mandar giù quella cavezza.

 

            fioretto       Eh, non roda quel corno, che si romperà tutti i denti; e quella cavezza, o la sputi o la mandi giù, perché per la gola gli potrebbe far qualche nodo.

 

5          amaranto     Per dirtela ne son rimasto un poco disgustato.

 

            fioretto        Se ella è disgustata, una dozzina di fegatelli gli farebbe tornare l’appetito?

 

            amaranto     Se ti piacciono, falli portare.

 

            fioretto       Padron Lardello, fegatelli.

 

            amaranto     Una cavezza e un corno a un uom di tanta fama?

 

10        fioretto       Dico che sputi codeste porcherie e se ha fame mangi di quest’altra roba buona.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Lardello, con fegatelli e con uno spiedo con pillotto, e detti.

 

            lardello       Sanitè e buon pro a questa camêata. Ecco i fegaetti.

 

            amaranto     Hanno aùto fuoco più del dovere e son quasi abbrucciati.

 

            lardello       Può esse che sien abbrugià. Ma che aggian avuo feugo chiù de dovvêi, non poe esse; perché ’o sciò ghiudize ’i ha fatte cuoze sin a questo segno co una sentenza.

 

            fioretto       Nondimeno, così arrostiti son più teneri di quel corno, signor Amaranto.

 

5          amaranto     Che foglie son quelle?

 

            lardello       D’orbaco o allôo, come vuoei.[101]

 

            amaranto     Temerario dunque tra le piante d’Apollo...

 

            fioretto       Non son piedi di pollo, no. È fegato di maiale.

 

            amaranto     Dov’è lo spiedo sacrilego che non perdona a quella foglia onorata, a cui perdona l’istesso fulmine di Giove?

 

10        lardello       Lo spiedo è chì, e apponto gh’avêo accomodòo un zerto lardo per pillittaghe una pollanchetta.[102]

 

            amaranto     (Prende lo spiedo)

                                   «O maledetto abominoso ordigno,

                                   che fabbricato nel tartareo fondo

                                   fosti per man di Belzebù maligno

                                   per girar fegatelli in questo mondo,

                                   perché sfrondi gl’allori al casto cigno

                                   per formar corona al porco immondo (lo rompe)

                                   ti rompo e intanto il mio furor s’appaga.»

 

            lardello       «E per chiusa può dir chi rompe paga.»

                                   Che ve vegna la rabbia, sciò foastè, me ho i’ rotto un spedo che êa ’a spà di Don Chisciotto, con a que fequestion con i barè de vin neigro. E chiù segnaò ottanta sôdi pe ’a spà rotta di Don Chisciotto e dezi sôdi do’ lardo mandào .[103]

 

            amaranto     Ma con che fogli involtate il lardo?

 

            lardello       De zerte commedie che ho compròu i giorni passè.

 

15        amaranto     E coi sudori de’ poveri poeti fabbricate i condimenti a’ vostri arrosti?

 

            fioretto        Il signor Amaranto ha finito di rodere e mandar giù quel corno, e mi par che quella polvere che vi era dentro gl’abbia preso fuoco nello stomaco. Voglio scansar le brighe, e me ne voglio tornar a casa. (parte).

 

            amaranto     Che leggo? Opere comiche d’Amaranto Sciatidico pastore arcade. Colle mie commedie voi date il pillotto? Oh sventurate mie vigilie, a quel che siete condotte![104]

 

            lardello       Parla do’ pilotto nelle vigilie. L’amigo ha al sûo o’ gommio.[105]

 

            amaranto     E quant’è che voi involtate i pillotti con queste commedie e che cuocete l’alloro co’ fegatelli?

 

20        lardello       Son già dez anni che questo autò stampa commedie e compro ogn’ anno a due da quattro a lîîa. L’allaûo poi l’ho ghia coi fegâetti da fin che son nasciùo, e così faceva me paûe e me’ nonno. Vostra Signoria me paghi, che mi ho da fa’ d’atre cose in buttega.[106]

 

            amaranto     Pur troppo ho da pretender io da voi. Che se una corona di lauro è più preziosa d’una corona d’oro, fate conto di quante siete debitore a tutti i poeti per il lauro che avete consumato coi fegatelli in tre generazioni. E poi considerate quanto avete tolto di fama a me medesimo con aver consumate tutte l’opere mie nei vostri pillotti. Però non avendo voi moneta che vaglia la corona di tanti poeti, e la gloria mia, resterete perpetuo debitore a me e a loro, e vi farò condannare a pasteggiare tutti i poeti passaggieri in perpetuo senza far lor il conto.[107]

 

            lardello       Sciò pueta, questa non è robba da métte in musica. Paghè, paghè!

 

            amaranto     Non pagarò.

 

            lardello       Vuoei pagâei.

 

25        amaranto     Io non pagarò.

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Balanzone e detti.

 

            balanzone    Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. iuris utriusque Doctores inter magistrum Lardellum vu parì et Dominum poetam, e mi a’ n’ pagarò.

 

            lardello       Sciò giudize, senta.

 

            balanzone    Definimus, declaramus.

 

            amaranto     Aspetti d’esser informato.

 

5          balanzone    Voster dan, a m’ d’vivi infurmar inanz, perch’adess a’ sun in calcul ferendae sentenziae, a’ gn’ è più temp d’infurmazion.[108]

 

            lardello       Ma nuei ghiusto litigavamo, aôa, aôa.

 

            balanzone    A’ doviv c’minzar a litigar un ann fa se v’livi aver temp a pruvar, a defenderv, a infurmarm.

 

            lardello       Ma ’a caousa è incomincià per quei fegaetti.

 

            balanzone    Mo s’ i feg’tel entran in causa, l’è vuer ch’a’ sent ancha lor, e intanta p’sì finir le voster prov. (si mette a tavola).

 

10        amaranto     Il giudice è bizzarro. Chi sa che non sia la mia fortuna.

 

            lardello       Sciò ghiudize, io Lardello fo istanza d’esse pagaûo da questo foastè di’ me conto.

 

            amaranto     E io Amaranto Sciatidico per via di riconvenzione fo istanza prima in nome di tutti i poeti perché paghi il danno portato agl’allori che si son consumati in tre generazioni con i fegatelli dentro quest’osteria. Poi in mio nome, perché mi rimetta tutta la gloria che m’ha fatto scapitare appresso il mondo, bruciando le mie commedie. Qual gloria fo istanza liquidarsi da Vostra Signoria Eccellentissima secondo la stima che farà dei miei versi.

 

            balanzone    A’ b’sogna donc che l’un’ e l’altra fazza le so pruduzzion d’ rason, e primieramente ch’al sior Amarant mostr d’esser pueta per p’ter com-parir, almeno actione utili a nom d’l’ univessità d’i Puet.

 

            amaranto     Coll’istesse mie composizioni proverò di poter comparire come poeta in causa dell’alloro e provarò Vostra Signoria Eccellentissima ordini farsi compensazione col credito preteso, e per l’avanzo condanni l’oste a pasteggiar in perpetuo tutti i poeti.

 

15        balanzone    A’ ’l n’occor alter; vegnì alla produzion.

 

            amaranto     E prima produco La Geneviefa opera mia.

 

            balanzone    Ch’ d’ mèster Lardel?

 

            lardello       E mi produco me conto e prima contro questa Geneviefa sei sôdi di pan e dodes de vin.

 

            balanzone    Ch’ d’, al signor Amarant, a sei sold d’ pan e dodes de vin?

 

20        amaranto     Produco un’altra commedia La forza del sangue e della pietà.

 

            balanzone    Ch’ d’, mèster Lardel della Forza del sangu?

 

            lardello       Contro a Forz de sangue, diziotto sôdi de burist!

 

            balanzone    Ch’ d’zì, signor Amarant a disdot sold d’ burist?

 

            amaranto     Il Lodovico Pio commedia da un’istoria francese.

 

25        balanzone    Ch’ d’, mester Lardel, all’istoria franzès?

 

            lardello       Chin’se sôdi per un galletto stofou?

 

            balanzone    Ch’ d’, signor Amarant, al negozi del gallet?

 

            amaranto     La fede nei tradimenti, drama sopra un’istoria spagnuola.

 

            balanzone    Ch’ d’, mèster Lardel, sopra l’istoria spagnuola?

 

30        lardello       Cinque sôdi pe l’insalata e per un ravanetto.

 

            balanzone    Ch’ d’, signor Amarant, sopra al ravanel?

 

            amaranto     Un pazzo guarisce l’altro.

 

            balanzone    Ch’ d’, master Lardel, sopra sti do pazzi?

 

            lardello       Sei sôdi de sal.

 

35        balanzone    Ch’ d’, signor Amaranto, a’sold d’ sal.

 

            amaranto     Atalipa indiano.

 

            balanzone    Ch’ d’zì, master Lardel, d’ stindian?

 

            lardello       Quâanta sôdi d’una pollanca.

 

            balanzone    Ch’ d’, signor Amarant, d’la pollanca?

 

40        amaranto     Amor dottorato.

 

            balanzone    Ch’ d’, master Lardel, all’amor duttorà?

 

            lardello       Vinti sôdi de per far porpette.

 

            balanzone    Ch’ d’, al signor Amarant, a’ vent sold di ?

 

            amaranto     Amor fra gl’impossibili.

 

45        balanzone    Ch’ d’, master Lardel, all’impossibil?

 

            lardello       Trenta sodi per granelli di castrato, un spedo rotto e ho finìo.

 

            amaranto     Io non ho che mostrar di vantaggio, mi par che tanta autorità possa bastare.

 

            lardello       Voggio purtà un auto ancora che parli per mi, e sâà uno de questi presciutti che ho incartauo questa mattin. (stacca uno presciutto).

 

            balanzone    Nos Balanzonus ecc, visis omnibus actis et consideratis la Geneviefa, e sì soldi d’ pan, e dod’s de vin; la forza d’i sang, e d’sdott sold d’ burist; l’istoria franzes e l’ gallett stufà; l’istoria spaguola e l’ ravanel; Un pazzo guarisce l’alter e sì sold d’ sal; Atalipa indian e quarant sold d’ una pollanca, Amor dutturà e vint sold d’ ; Amor fra gl’impossibili, i grani di castrà...[109]

 

50        lardello       Aspettè, sciò zudize, guardè un poch questo auto, se dize niente per me. (li dà un presciutto)

 

            balanzone    Master Lardel ha invultà i persut coll’opre de Bartol. Pah, v’rament vu m’avì adess appagà d’una difficultà che aveva cont de vu. Ma perché quest’autor ne zita d’i alter più antich, lassem andar a trovar le duttrine in font.[110] (vuol prendere gli altri presciutti)

 

            lardello       Ecco quest’altro dell’anno passò.

 

            balanzone    Bon; quest po parla chiarament a f’vor voster. Ma perché quest’autor zita la lez, portame qui’ zinque liber affumegà, che faran al codiz e a dizest, s’ a’ vulì la s’ntenz in favor.[111]

 

            amaranto     Che sento!

 

55        lardello       Caspita, sette presciutti per avochè sarebbe una lite troppo cara.

 

            balanzone    Mo, lassem purtar st’ autor a ca’, che farò reflession al’ voster rason.

 

            lardello       Voggio star a buttega, perch non esce u’ pueta senza pagâme, e non se ne vada o’ giudize con chesti presciutti. (parte)

 

 

                                   SCENA XVII

 

                                   Amaranto, Balanzone.

 

            balanzone    Mo sior avvocat d’ll’allor abbrustl’ì, a’ ’i ho paura ch’ st’ sett autor rispondan in punt ale voster sette commedie.[112]

 

            amaranto     Dunque sette presciutti averan più stima appresso di lei che sette commedie ch’io detti alle stampe. (getta i fegatelli coll’alloro) Signor giudice, getto a vostri piedi quegli allori che voi tanto avvilite. Calpestateli. Ma prego il cielo che faccia in questo punto le mie vendette.

 

                                   (il cane e il gatto litigano sotto la tavola).

 

            balanzone    Al ra’ns d’as’n n’ entra in ziel... Mo al can e ’l gat litigan insiem sott la taula. (entra sotto la tavola e lo sgraffiano) Nos Balanzonus a Balanzano, ecc. in causa differentiarum inter Don Gnau e Don Bau. Ah, puveret me, ah puveret me, purta rispett al zuds, purta rispett al zuds!

 

                                   Fine del secondo atto

 

 

 

                                   ATTO TERZO

 

 

                                   SCENA PRIMA

 

                                   Studio con camino.

 

                                   Procuratore che siede al tavolino ed al fuoco, Aiutante, poi Noferì di dentro.

 

            aiutante       Signor procuratore dica un poco. Come le pare sia sia approffittato nella pratica in questo tempo che io ho servito d’aiutante di studio? Cotesta è quella scrittura d’accordo, e quell’altro è quel testamento che io ho disteso di suo ordine.

 

            procuratore Il primo giorno che voi entraste per aiutante nel mio studio vi dissi che il nostro offizio vuol esser esercitato con somma carità, e che bisogna far all’altri quello che si vorrebbe per se medesimo. Or siccome i procuratori nostri antenati pensando ai procuratori che dovean venire hanno sempre lasciato nelle scritture molte cavillazioni e molti termini equivoci, che sono la sementa delle nostre raccolte, così è pur dovere che noi lasciamo seminato il campo, come ci è stato consegnato, acciò i procuratori che verranno abbiano da raccogliere qualche cosa. Mettete questo mio ricordo al repertorio acciò non v’esca di mente.[113]

 

            aiutante       In che le pare che io abbia errato?

 

            procuratore Quest’accordo è troppo chiaro e non v’è alcuna cosa da disputare. In questo testamento dove restano così ricchi gli eredi e che posson litigare senza rovinarsi, apponeteci qualche condizione, determinate qualche tempo, e finalmente lasciateci dei punti e delle virgole che molte volte importano assai.

 

5          aiutante       M’approfittarò dei suoi avvertimenti. Ma sento molta gente nella stanza di là; suppongo che lo studio sia già pieno di clientoli.

 

            procuratore Vedete chi è. Se fosse quel mio compare che non paga mai, cercate di prender discorso seco e ditegli così: il signor Dottore vostro compare che non vuole scrupoli nell’anima vi consiglia di dar accordo, perché avete il torto. Se fosse misser Salamone che ha perduta la lite, e che portava di buone pezze, primieramente abbracciatelo, poi ditegli: Salamone la vostra ragione non è stata intesa. I libri per voi parlano chiaro, ma il giudice intende poco. Appelliamoci e non dubitate che il signor Dottore la vuol vedere.

 

            aiutante       Mi pare che vogliano entrare.

 

            noferì           (di dentro) Signò sere, si contenterebb’ ella per graizia ch’i’ sigillassi di solamente do lettere?

 

            aiutante       Mi pare il signor Noferì.

 

10        noferì           Ma perch’io non l’ho né manco scritte, mi fagorirebb’ ella di do fogli soli soli di carta?

 

            procuratore È esso

 

            noferì           Ma perché le vanno a d’i gentilomini, me ne fagorirebb’ ella di do ailtri per farci le sopracoperte

 

            aiutante        Sempre vien a scrivere allo studio le sue lettere per risparmiarsi la carta.

 

            noferì           Ma perch’i’ le ricopio tutte per ogni casaccio che possa ’ntravenire e i’ le ricopio anche colla sopracoperta, mi fagorirebb’ ella di darmene fin a otto?

 

15        aiutante       Dal sigillar due lettere solamente è venuto già a otto fogli.

 

            noferì           Ma perché delle volte le mi vengan scorbiate, me ne fagorirebb’ ella per più sicurtà fin a dodici?

 

            procuratore E noi con un foglio gliel faremo pagar tutti.

 

            noferì           E finalmente perché ho bisogno di sc<r>ivelle a casa, e nella me’ camera vi tira ventaolo, me fagorirebb’ ella fin a un quaderno, perch’ i’ rifaceri le ’mpanate alla me’ fenestia?[114]

 

            aiutante       Ancor per le finestre?

 

20        procuratore Fatelo passare, ch’egli non rifacesse a mie spese li sportelli ancora a tutte le porte della sua casa.

 

            aiutante       Vada.

 

            procuratore Questo Noferì non mi paga con altra moneta che con la speranza di darmi Isabella per mia consorte; e dubito che non l’abbia promessa anch’al medico per litigar e star sano a spese della figliuola. Ma voglio costringerlo alla stipulazione delli sponsali.

 

 

                                   SCENA II

 

                                   Noferì, Procuratore, Aiutante.

 

            noferì           (parlando con quelli di dentro) E bast un quaderno, o dua quanto la vuole. Oh, servo di Vostra Signoria.

 

            procuratore Che dice il signor Noferì?

 

            aiutante       (all’orecchio del procuratore) Il giovane di studio ha osservato che il signor Noferì ha denari in tasca. (via)

 

            procuratore Ho inteso. Segga, signor Noferì. Sente freddo? Tirate la portiera. Copra, signor Noferì. Vuol quella seggiola più comoda? Dica, signor Noferì.

 

5          noferì            Come sta ella?

 

            procuratore La podagra m’ha sequestrato in questa seggiola.

 

            noferì           I’ ho dato do legnate a un famigghio. Ailmen i’ avessi sciorinat’ i’ groppone a qui’ che porta i sequestri della podagra.[115]

 

            procuratore Che gli occorre?

 

            noferì           E’ m’è stato portato non so che citazione da parte dell’annona e i’ cred’ anche d’avene do tricioli in tasca.

 

10        procuratore E come! È lacerata!

 

            noferì           L’è stata quella besticciolla d’Isabella senza giudizio, e di piùe la l’ha stritolata ‘n faccia a i’ famigghio.

 

            procuratore Male. Bisogna rispettare gl’ordini della giustizia.

 

            noferì           I’ non so, se me la troverò. (cavando roba di tasca gli cade una moneta)

 

            procuratore Aspetti che coglierò io quella moneta. (si rizza e corre)

 

15        noferì           (raccoglie la moneta) Noe, noe, la s’arricordi che l’è ancora ’n sequestro da parte della gotta, e bisogna rispettar gh’ordini della giustizia.

 

            procuratore Ohi, ohi, ohi! Che ho messo il piede in fallo.

 

            noferì           (a parte) (I’ malan che ti coilga. E i’ ho messo la man ’n guadagnata). Basta, la sustanza è che no’ sian venuti a tu per tue co’ i birri e i’ g’ho scosso ’l pelliccione.

 

            procuratore Che avete fatto, signor Noferì! Pover a voi. Ritiratevi e levate ancor la robba di casa, perché vi faranno l’inventario. Battere i famegli e di più l’esecutor dell’annona?

 

            noferì           Ma ditem un po’. Come si potrebb’ ella saldare?

 

20        procuratore Salvar, dico, e la persona e la robba.

 

            noferì           Ma pella Isabella a fa’ come vo’ dite vi sarà eghi pregiudizio?

 

            procuratore Questi criminali s’attaccan dove possono.

 

            noferì           Basta, la s’è disaminata per eccellenza, e con que’ so bocchinauzzo da scior aghetti l’ha sputato corte risposte che la parea una sibillesca. In quanto a lei, signò dottore, i’ v’ho già detto più voilte che l’ha da esse vostra. Vo’ ve la pigghiarete, e la difenderete po voi.[116]

 

            procuratore Io ho sempre sospirato quest’accasamento e vorrei che ultimassimo al fine questo matrimonio.

 

25        noferì           La distenda pur la scrittura a so’ soddisfazione.

 

            procuratore Questa sera ce n’andaremo a Palazzo, e stipularemo il tutto. Ma adesso bisogna provedere al pericolo di Vostra Signoria; per tutt’oggi non può arrivare la nuova a Bologna, né sdedirsi dal magistrato dell’annona le commissioni contro di lei; onde per questo tempo pare che ella si possa assicurare. Intanto nasconda il meglioramento delle sue cose, e pensi ad uscir di questo Stato dentro dimani.

 

            noferì           Teh, venga la rabbia alle me’ ombre. Ora no’ faren donche la scritta e i’ vi lascerò l’Isabella con quelle quattro stovigghie e quell’ailtre bazzecole che i’ ho ’n casa. E perch’i’ mi ritrovo una collana con quattro craizie, i’ ve le vuò dare un po’ in serbo, perché le non entrassero tra gh’arvioni della giustizia.[117] (li dà una borsa).

 

            procuratore La ringrazio.

 

            noferì           Oh noe, noe; in serbo, in serbo.

 

30        procuratore Dico che la ringrazio della confidenza che usa meco. Riporrò nella mia cassa questa borsa, e vi scriverò questo segno: collana del signor Noferì.

 

            noferì           In serbo, s’intende.

 

            procuratore Sì signore, e perché non si può sapere il vivere e morire, dirò ancora al mio giovane di studio che questa borsa mi è stata data da lei.

 

            noferì           In serbo.

 

            procuratore In serbo.

 

35        noferì           Ma e’ sarà megghio che la me faccia do righe in un foghiolino.

 

            procuratore O perché no. (scrive). Io Sempronio Pela-borse... come vuol ch’io dica?

 

            noferì           Per la verità confesso che i’ ho ricevuto...

 

            procuratore (scrivendo) Pela-borse... questa penna non dice. Olà dentro, datemi una penna.

 

            aiutante       (torna) Eccone due.

 

40        noferì           Non dice questa, né quest’altra.

 

            aiutante       Eppure a me dicon benissimo.

 

            noferì           Ah, i’ non saprei; e può esse che le penne non sien temperate a queste parole.

 

            procuratore Può esser sicuro. E che parole s’ha da scrivere?

 

            noferì           Per la verità. Che fate i’ nescio, eh![118]

 

45        procuratore Diciamo in qualche altro modo.

 

            noferì           Io Sempronio Pela-borse restituirò ...

 

            procuratore Restituirò non è vero. (si mette a scrivere)

 

            noferì           Muilt Eccellente signor sì.

 

            procuratore Ohi, ohi, la mia solita chiragra. Ho voluto scrivere quel termine di restituire che è una cosa per noi un poco straordinaria e mi son venuti i miei mali.[119]

 

50        noferì           Oh, noi siamo freschi! Se gli vien la chiragra quand’egl’è ai termini di dà di’ suo, e’ ghi cascherà la gòcciola.

 

            procuratore Avanti notte ci rivedremo, e aggiustaremo il tutto. Ella non si fida di me?

 

            noferì           Sie, via, sie, che alla fin della fine v’ate po a esce me zenero. Orsù, fra tanto i’ anderò a cercar i me’ stivali.[120]

 

            procuratore Ella non perda tempo.

 

 

                                   SCENA III

 

                                   Aiutante, Procuratore, poi Urania e poi Noferì, tornando ad ogni poco.

 

            aiutante       La signora Urania.

 

            procuratore Che passi.

 

            urania           Signor dottore, serva sua.

 

            procuratore Che porta la signora Urania?

 

5          urania           Che vuol che porti, se son tanto povarina.

 

            procuratore Dico, che porta di nuovo?

 

            urania           Io vado a pregar per lei, acciò che il cielo li conceda sanità. Come se la passa?

 

            procuratore Coi soliti dolori delle mie mani.

 

            urania           Gran dolori, eh?

 

10        procuratore Non posso muover queste due ditta, e’ son mali così grandi che Dio ne liberi tutti i miei clientoli.

 

            urania           Come piglia?

 

            procuratore Pigliarei assai e a tutte l’ore.

 

            urania           Bisogna pigliar poco perché ella non può far esercizio.

 

            procuratore Anzi per farmi muovere bisogna farmi pigliare assai.

 

15        noferì           (torna) I’ ho trovat uno stivale e son tornat po’ prima di cercà di quel ailtro a cercà di lei, per sapiè come la se la passa di q’la so’ chiragra che gh’è venuta a conto della restituzione.

 

            procuratore Al solito, di grazia si fidi di me.

 

            noferì           Eh, non trattiamo; i’ mi fido. Ma e’ bisogna po’ pensare che i’ vi tengo ora per me’ figghiolo e vi porto affeizione. A rivederci stasera. (parte)

 

            procuratore La riverisco. In che ha da servire la signora Urania?

 

            urania           Ho lasciato a’ giovani di studio alcune citazioni che Vostra Signoria vedrà, e avevo preso una certa polvere forestiera che teneva mio marito benemerito, per farne un presente a Vostra Signoria, ma mi sono incontrato in una spia che sapeva il tutto ed è bisognato che gliela dessi.[121]

 

20        procuratore Ha data Vostra Signoria l’istessa polvere forastiera ad una spia, e crede che non dirà niente?

 

            urania           Così m’ha promesso; anzi sapeva ancora che io avevo falsificato quella scrittura in quella parte che ella mi disse, e voleva palesare alla giustizia quanto aveva di dote.

 

            procuratore Com’è semplice Vostra Signoria! Per aver praticato sempre coi procuratori, sa pure che ci sono pene così rigorose; e lasciare l’istesso corpo del delitto in mano della spia!

 

            urania           Meschina a me, che ho fatto!

 

            procuratore Non bastarà tutto ’l suo pel negozio della polvere.

 

25        urania           Oh meschina a me!

 

            procuratore E la pena del falsificare le scritture si estende fin’ al taglio della mano.

 

            urania           Della mano, non sarebbe niente. Ma se mi sgombrasser la casa, come farei?

 

            noferì            (torna) I’ ho trovato anch i’ secondo stivale. Ma perch’ i’ penso più alla so’ mano ch’a me’ piedi, i’ so’ tornato un po a sapè se la muove punto quelle do dita?

 

            procuratore Niente ancora. Ora sì, conosco ch’ella non si fida.

 

30        noferì           La mi fa torto. I’ mi fido benissimo, io. Ma facevo per portà le nuove a quella ragazza che la vuoil saper a ogni otta come la sta. Orsù stassera no’ ci riparleremo. (parte)

 

            procuratore Ci rivederemo, Vostra Signoria. Signora Urania primieramente riponga le sue gioie e gl’altri mobili migliori che quanto alli stabili troverem modo.

 

            urania           Di gioie mi son restate quell’accoppiatura da testa di diamanti, quali, a cagione della servitù poco fidata che si trova ogni giorno, io porto sempre con esso me. Queste le lasciarò un poco a Vostra Signoria che le me’ chiuda nella sua cassa.

 

            procuratore (a parte) (A tempo le gioie, mentre io sono sposo). (ad Urania) Le dia pure a me e non ci pensi più.

 

            urania           (li dà una cassetta di gioie). Prenda e prenda ancor la scrittura falsificata, acciò non mi sia trovata in casa dalla giustizia. Oltre che a rubbar trecento scudi, ch’avevo un poco di scrupolo ancora.

 

35        noferì           (torna) Signò procuratore, i’ mi fido, vegga; ma i’ so’ tornato a vedè come la tratta quella so chitarra nelle dita, perché l’Isabella si dà alle bertuccie, la si tapina, e testè la m’ha detto: me , finch’il signore sposo non e scrive corrente tutte le parole, non lo lasciate mai.[122]

 

            procuratore Si trattenga un poco, ch’or ora sarò con lei. (ad Urania) Del resto signora Urania, quant’a celar questa scritta a conto della giustizia ella fa molto bene. Ma quanto allo scrupolo, io me ne rido. La prima parola ch’io dica a’ miei clienti è sempre questa: chi ha paur’ del diavolo, non fa mai robba. (a Noferì) Che ne dice signor Noferì?

 

            noferì           Di diavolo i’ me ne so’ sempre riso, e ci vorrei spartir i pian di Migello con esso lui.[123]

 

            urania           E io dunque ci vorrei far a’ capelli adesso, adesso.[124]

 

 

                                   SCENA IV

 

                                   Amaranto che scende dal camino tutto tinto ed affumicato, e detti.

 

            procuratore Ohimè, ’l diavolo. Lascia il procuratore, che i clientoli non importa. (via)

 

            noferì           Oh meschina a noi! I’ mi disdico, lascia la collana, ch’i’ genero i’ te lo dono. (via)

 

            urania           Ohimè! Lascia le gioie, e pigliala... se la vuoi. (via)

 

 

                                   SCENA V

 

                                   Amaranto solo.

 

                                   Mi hanno preso per il diavolo. Povero Amaranto! Per fuggir dalle mani dell’oste impertinente e del giudice ignorante son salito sopra i tetti dell’osteria e sono sceso poi per questo camino in questo luogo dove in cambio d’esser accolto e compatito, son fuggito da tutti. Ma mi maraviglio. La fuligine che m’ha così tinto e trasformato, il luogo per dove io son venuto, e i peccati che averanno nell’anima costoro che quì si trattenevano ha fatto credere... Ma questa è una borsa, e quest’altra è una casettina di gioie. La donna che fuggì e che temeva meno dell’anima che delle gioie mi parve alla favella ed al portamento quella del corno. Opportuna è la vendetta. Che cosa è scritto in questa borsa? Collana del signor Noferì. Questa vada per la cavezza. Fortuna, non son già questi i favori che facevan le fate ai cavallieri erranti del Boiardo e del Furioso. Certo che questo per quanto mi pare è uno studio di procuratore, e il procuratore era quel medesimo che si fuggì con loro. Ma non è tempo di trattenersi. Se posso arrivar facilmente la corda che m’ha sostenuto nello scender, voglio ritornare nell’osteria, già che Lardello non può essersi accorto della mia fuga, ed ho qualche cosa nella valigia che mi preme di ricuperare. La fune s’arriva, non occorre altro, io torno in su.[125]

 

 

                                   SCENA VI

 

                                   Strada.

 

                                   Bettina, poi Isabella.

 

            bettina          Micio, micio, micio. Meschina, se ’l gatto s’è perduto. Che sarà di me? Micio, micio. Uh, che la padrona li voleva tanto bene, perché litigava con tutti i gatti del vicinato. Micio, micio, Lecca-lucerne, Lecca-lucerne! Uh, poverina a noi, come faremo! Che quando non avevamo olio in casa lo mandavamo pel vicinato a leccar le lucerne, e condivamo l’insalata coll’olio che li colava dalle bafette! Micio, micio.

 

            isabella         Bracca-minestre, tè . Piccina a tè, tè. Uh, non vorrei già che quella cagna fosse andata male. Che il signor padre li voleva tanto bene, perché andava a mangiar sempre fuor di casa. Bracca-minestre, tè, tè. Che era una canina tanto amorosa, che quand’avea leccate le minestre in casa d’altri tornava subito a casa senza nettarsi la bocca perché il signor padre c’ intignesse il pane. Tè, tè, piccinina, tè, tè.

 

            bettina          Micio, micio, to’.

 

            isabella         Bettina, averesti veduta la mia cagna?

 

5          bettina          Signora, no. E Vostra Signoria averebbe veduto passare la mia gatta?

 

            isabella         No, Bettina.

 

            bettina          Bisogna ch’io vada a veder se fosse capitata nell’osteria.

 

            isabella         Mi farai servizio d’accompagnarvi ancora me perché madonna Codenna, moglie di missier Lardello, fa festa alla mia cagna, e può esser che sia in casa sua.

 

            bettina          Andiamo. Micio, micio, .

 

10        isabella         Bracca-minestre, tè, tè.

 

 

                                   SCENA VII

 

                                   Leandro, Notaro.

 

            notaro          Zuccarino ha mandato a dire che il signor giudice è così mal ridotto per le sportule che ha avuto del cane e del gatto.

 

            leandro        Andiamo a ricondurlo in casa, e dopo che l’averemo fatto giudicare sopra la consaputa scrittura chiuderemo l’udienza e diremo che sta infermo.

 

            notaro          Così facciamo. Ma voliamo andarvi così travestiti? Io per me non voglio andare a caccia d’altre legnate con questi contrasegni di sbirro. Comincierò a sciogliermi i capelli ed a nasconder questi arnesi.

 

            leandro        Non so se Zuccarino sarà tornato a prender i miei abiti, e gli averà portati nell’osteria. Pure questa toga potrà dar ad intendere a mio padre ch’io m’esercito nella professione. Non perdiam tempo.

 

5          notaro          Andiamo.

 

 

                                   SCENA VIII

 

                                   Osteria interiore.

 

                                   Balanzone sgraffiato e fasciato il naso, e Lardello.

 

            balanzone    V’rament al s’ memorabil a tutt la posterità l’enorm delitt, l’esecrand misfat de m’ser Lecca-luzern e d’ m’ser Bracca-minestr, che con bocca sacrilega e con fame arrabià i han staccà un pez d’orecchi e la punt del nas all’Ezellentissimo sior duttor Balanzon de Balanzano.

                                   Auris sacra fames et nasi dira cupido.[126]

 

            lardello       Mi ho ditto a Vostra Signoria Ezzellentissima che n’ è ’a gatta, né u’ can d’ buttega nostra. Ma ’a gatta è della signora Mignatta, e o’ can è d’o foentin che per maggiò economia ’o governan a me’ speise.

 

            balanzone    A’ me maravei che m’ser Zioù a’ n’ l’abbia fulminà; e non esser altriment che avesser zià magnà un pez d’allor per un, e che Ziov aspettà a fulminar Lecca-luzern e Bracca-minestr, quand’ i avran d’zrì l’allore e ch’ s’ran andà dal corp.[127]

 

 

                                   SCENA IX

 

                                   Zuccarino col cane e gatto legati, e detti.

 

            zuccarino     Eccellentissimo, ecco i malfattori nelle mani della giustizia.

 

            balanzone    Onorà Zuccarin, a’ mi ti dichiar birro colonnel di tutt <i> urecch morsicaà e barsel marescial di tutt i nas spuntà de st’ mund. Pah, al s’ ved che tant Lecca-luzern quant Bracca-minestr han fisonomia d’impiccà!

 

            lardello       S’hanno da essee impicchè se recordi che non hanno avùo altro che un buccon de oêgia e un buccon de naso, però besogna che ghe dia qualche atra cosa de so’ per finì a cena.

 

            balanzone    Non occorr’alter, a’ son stà pià in fragranti crimine, perch’i dilinquent s’ leccan ancor la bocca e a’ se ved ch’ vurebber un po’ d’ finoc fra i dent.

 

5          zuccarino     Maestro Lardello, sarebbe bene che voi teneste uno di questi diliquenti, perché non è dovere che essendo nelle mani della giustizia abbian commercio insieme.

 

            lardello       (piglia il gatto) Volontè. Adesso è quando immatisco ancôa mi.[128]

 

 

                                   SCENA X

 

                                   Leandro, Notaro, e detti.

 

            leandro        Signor padre, che gl’è intervenuto?

 

            balanzone    T’ha da saver, fiol mi’, ch’ la zent ch’ litiga porta a noster temp l’ungia q’sì lunga, ch’abbisognerà ch’al zud’s in avvesnir port la musarola al tribunal. E za che te vegh in toga ancha te, a’ te pregh a prevalert d’ quest avvertiment per quant amor t’ porta a la punta del to nas.

 

            notaro          Adesso Vostra Signoria Eccellentissima averà più credito, e passerà per autore antico, perché gli vedranno armato il frontispicio.[129]

 

            balanzone    ch’ donch a al nudar, a’ p’trò d’stender la s’ntenza conter i malfattor. Nos Balanzonus a Balanzano ecc.

 

 

                                   SCENA XI

 

                                   Isabella, Bettina, e detti.

 

            bettina          La mia gatta perché la strapazzate così, che ha da fare i gattini?

 

            isabella         La mia cagna, Zuccarino, perché l’hai legata pel collo? Sai pure che non abbaia mai né a te né alla gente di casa del signor Leandro?

 

            zuccarino     Il signor Dottore vuole che sieno impiccati tutte due.

 

            bettina          Signor Dottore, di grazia, non c’ amazzi questa gatta, perché abbiamo certi topi in casa tanto ghiotti che ci verrebbero a rodere il naso.

 

5          balanzone    A’ ’i ho considerà che l’è mei che te restin a magnar ’l nas i top ch’al gat; perch’i topi fann i b’ccon p’zinin p’zinin, e Lecca-luzern s’ magn un nas per volta.

 

            isabella         Signor Leandro, se il vostro signor padre m’impicca il mio cane, io non vi voglio più per marito.

 

            leandro        Trovaremo qualche mezzo termine.

 

            isabella         Di grazia.

 

            leandro        Signor padre, il delitto è grande, ma finalmente tutti i rei voglion la sua difesa.

 

10        balanzone    L’è d’ rason; e percha’ son zud’se o part, mi delegarò sto zudizi in un alter zudiz.

 

            notaro          Il signor Leandro sarà il caso.

 

            leandro        Opportuna occasione per trattenermi con Isabella.

 

            balanzone    V’rament s’a’ fuss zert che me fiol non se lassas traspurtar dall’affet vers so pader, e ch’a me mustaz sgraffgnà n’al facess prevaricar, al sarebb’ un zud’s a proposit.

 

            leandro        Signor padre, lei mi farà prevaricare meno di quel che crede. Le prometto di non guardar in faccia Vostra Signoria, ma più tosto altrove per non ingannare i miei affetti.[130]

 

15        balanzone    S’ t’ prumet di star semper vultat in là, mi te fo zud’s in questa causa tra Lecca-luzern e Bracca-minestr delinquent da una, e l’urecc morsa e ‘l nas spuntà dl’Ezzellentissimo signor duttor Balanzon dall’altra, il nas spuntà in particolare a’ t’ raccomando dentr’ i termini d’la bona zustizia.

 

            notaro          (Leandro si pone a sedere) Faccia dunque il naso di Vostra Signoria Eccellentissima le sue parti col signor giudice voltato in là.

 

            leandro        Dica Vostra Signoria, e s’assicuri che non guardo lei.

 

            balanzone    Io Balanzon de Balanzano a nom dell’ezzellentissimo nas, e d’l’ ez-zellentissima oreccia mia a’ dmand la restituzion in integram, e a’ fo istanza condennars, int’le pep d’la lez, Bracca-minestr e Lecca-luzern.

 

            notaro          Risponda Bracca-minestre e Lecca-lucerne, la parte, e chi fa per loro.

 

20        isabella         Signor notaro, faccia il procurator lei a queste povere bestie.

 

            bettina          Sì, signor notaro. Finalmente benché siano animali, sono ancor ladri, come Vostra Signoria.

 

            notaro          Povere bestie! Voglio difenderle per carità. Io Roga-bugie, notaro di corte, procuratore della gatta e del cane, pretesi malfattori, primieramente dò di nullità alla comparsa del signor Balanzone...

 

            bettina          Bravo, signor procuratore, se difendete la mia gatta, vi voglio dar un testone di zecca, che io ebbi per la mancia.

 

            isabella         E io se liberate la mia cagna voglio darvi una pollastra fiorentina nuova, che tolsi di tasca a mio padre.

 

25        balanzone    Un teston d’ zecca, una piaster nova al procurator del gat e del can? S’a’ ’i defend dal forche! Mo cancaraz. L’è mei ch’al nutar che vuol far il procurator per carità vegna a difender al me nas ch’ l’è ruvinà, e mi vaga a d’fender i delinquent che pagan. Signor procurator d’i malfattor che sgnàula e d’i malfattor che ros’ga, fem una cosa. Vu sii ancor procurator prinzipiant, al s’ mei che v’gna vu a far il procurator del me nas, che l’è nas d’un duttor; e mi farò al procurator de Bracca-minestr e d’Lecca.luzern, perché per salvar dale forche a’ ’i vuol d’la duttrin e dei valentomen.

 

            notaro          Come vuole. Ha sentito che Isabella e Bettina voglion pagare, e per guadagnar questi pochi vuol far il procurator fin contro sé stesso. (va dall’altra parte)

 

            balanzone    Per difesa donc de delinquent contro l’ezzellentissimo nas, e l’ezzel-lentissima ureccia dal duttor Balanzon, e lassand andar le nullità che son ezzession da procurator ignorant, a’ dighi ch’essend solit master Lardel t’gnir c’vert il persut denter Bartol e Bald, divers autori prinzipal d’i lez, ed essend al duttor Balanzon un autor prinzipalissim, e l’han pres per la c’verta d’un persut, e a q’usì l’han mors’gà senza malizia, e al più al più i pos n’esser condannà alla pena de boccon de persut.

 

            notaro          Non ho veramente che replicare per il naso di Vostra Signoria Eccellentissima, mio principale.

 

            zuccarino     Se io fussi procurator del naso direi che la carne del signor Dottore si conosce da lontano che non è salata.

 

30        balanzone    Al b’sogna po’ dir una parola anche per el me nas, e s’ t’ s’ un ignorant, a’ sarò procurator d’l’ uno e d’l’ alter. (va dall’altra parte) E al q’sì al ripiegh d’la cverta dal persut mi respond ch’i persut n’ disì una parola quand al gat le magnà, e mi ho gridà alla prima zampà. E Lecca-luzern m’ha spuntà al nas mentr a’ gridava.

 

            isabella         Ora chi difenderà que’ poverini per guadagnar quella piastra d’argento?

 

            bettina          E quel testone?

 

            notaro          Io.

 

            balanzone    E m’ t’ dicch ch’ ti <è> un ignorant, e ch’ farò a<l> procurator per i delinquent, e p’r al menà. (va dall’altra parte) E però rispondend a procurator di’ nas, che dis che Balanzon ha parlà, e che però ‘i doiv’n c’gnosser cha n’ era un persut e m’ die ch’il prol dal zud’s han da esser salà. E a q’sì essend salat i p’siun creder che gl’eran prol d’un persut. (va dall’altra parte) E m’ com procurator d’l nas a’ r’spond al procurator dal can e dal gat cha l’equivoz d’aver pres’ al duttor per un persut n’ se ammetter p’r esser tropp differenz tra un porch e un virtuos. (va dall’altra parte) E m’ com’ procurator dal can e dal gat rispond al procurator dal nas ch’al virtuos e al porch sien similiss’m perchtant al porc quant al virtuos n’ sun stimà, se ’o quand i’ èn mort. E per mazzor rason dal me prinzipal che sgraff’gna e dal me prinzipal ch’ n’ mors’ga a’ digh di più, che essend Balanzon infarinà, li han p’sut creder ch’al fui frittura bianca. (va dall’altra parte) Pian pian, signor procurator dal prinzipal che sgnàula e dal prinzipal che mors’ga, non m’affolà con l’ prol. Al zud’s allor dava la s’ntenz. La s’ntenz va al fin, la frittura bianca dà prinzipi; donc al zud’s non esser stimà frittura bianca c’mod avì dett. (va dall’altra parte) A quest po v’ replich ca sott la taula a’i era bui, e che Lecca-luzern e Bracca-minestr n’ p’tiun distingerer ben se l’era al zud’s. (va dall’altra parte) A quest po a’ m’in rid perch Lecca-luzern porta il lantern int’i ucci, e a n’ va mai al bui. E se n’ avì altr rason, andav a far squartar. (va dall’altra parte) Signor procurator, contrari n’ tratte mal d’ prol, perché a v’ darò un pugn nel mustaz, e a’ ti digh ch’al can e al gat deun esser ossolut almanc per ste do rason. Primierament in quant al can a’ v’ digh ch’al zud’s den’ dar urecc a tutt; e parziò s’ Bracca-minestr n’ha staccà un poch, l’ha staccà quel che l’ dà le lez. Secondariament, la gatta è gravida, al esser ch’abbia aùto voia di’ nas dal zud’s! E alle don gravid al ne negar nient. (va dall’altra parte) Ah, ah, ah. Oh che procurator d’ mei stival a sii vu, guard ben c’mod parl. (va dall’altra parte) A’ parl ben, e a’ so ca dic a n’ al savì vu ch’a’ sii un sumar. (va dall’altra parte) A’ v’ mentì per la gola. (e va dando dei pugni di qua e di là)[131]

 

35        notaro          Piano, signori procuratori, portino rispetto al tribunale.

 

            leandro        Questo è troppo ardire, ed io Leandro, come giudice delegato...

 

            balanzone    Al me fiol n’ ha nianch imparà ch’a zud’s è persona plural.

 

            leandro        Considerate le ragioni delle due bestie pretese delinquenti e le pretensioni del naso del signor padre. Assolvo le medesime bestie da ogni pena.

 

            isabella         Bracca-minestre è liberato.

 

40        bettina          Lecca-lucerne è dichiarato innocente.

 

            balanzone    A’ do, al me dspiaz al mi’ urecc e al me nas spuntà. E a’ do. al me rallegr alla me borza ch’arà guadagnà la piastr fiorentina e al teston d’ zecca.

 

            leandro        E con la medesima autorità condanno il procurator delle bestie predette ed il procurator del naso pel poco rispetto portato alla giustizia ad aver questo luogo per carcere a sin a nuovo ordine. Con questo modo lo fermarò forse qui dentro sino alla sera.

 

            balanzone    Com procurator dal can e dal gat a’ n’ m’ mov. Ma com procurator dal nas a’ n’ intendend d’ob’dir al perpet e a’ dò d’incompetenza a tutt i far’ d’l mond. (via)

 

            leandro        Seguitelo.

 

45        lardello       Andem, Zucain.

 

            zuccarino     Sciogliamo i clientoli e andiamo a legare il padrone.

 

            leandro        Signora Isabella, mio padre è così bizzaro. Compatitelo, eccovi liberato il vostro cane.

 

            isabella         Vi ringrazio, signor Leandro. Ma se voi sarete mio sposo, averete Bracca-minestre per dote, e quand eghi ha la bocc’ unta c’integnerete il pane ancora voi.

 

            leandro        Sono a servire a casa.

 

50        bettina          E io la ringrazio per la mia gatta. Ma voglio che ella sia a far le sue parti a bocca con Vostra Signoria.

 

 

                                   SCENA XII

 

                                   Strada.

 

                                   Procuratore.

 

                                   Per esser procuratore ho avuto paura del diavolo un po’ troppo presto. Quello per quanto io ho fatto poi riconoscere era un mascalzone calato nel mio camino che... Ma ecco Noferì e Urania spauriti. Gli mantenerò nella loro opinione, e l’indurrò a litigare col demonio medesimo, facendo in tanto da buon dottore legale per metter le cause nell’eternità.

 

 

                                   SCENA XIII

 

                                   Noferì, Urania, Procuratore.

 

            noferì           Oh che tremiti, oh che ribrezzi! I’ mi so’ tutto rimescolato. Quil diavolo gh’ha medicato tutti, perché gh’ha guarito la [...] dalle gotte, e ha purgato me e la signora Urania da cert ostruizioni che n’aveamo ‘n corpo megghio che le pillole d’i Gelli. Però l’è stat’ una medicina di poco risparmio, perche’ mi ha sgraffignato la collana, e questa presa di diavolo la mi cost un po’ troppo.[132]

 

            urania           Eppure non è mi tornata bene bene la parola!

 

            procuratore È stato un gran caso! Ma ringraziamo il cielo che ha portato via le gioie e la collana, ed ha lasciato noi; del resto vi sono i suoi rimedi belli e buoni. E ancora il demonio è tenuto alla restituzione, come vogliono molti dottori.

 

            urania           Che mi dice, signor Dottore? M’ha rimesso gli spiriti in corpo con dirmi che si può litigare con il demonio, perché io la voglio vedere.

 

5          noferì           Tant’è. L’è però detta fallita perché ei non ha nulla a i’ mondo. E po i’ m’arricordo d’avello sentito mentonà da me pâe e da i’ me’ nonno quand’e’ tirava le cailze, che vuoil di’ ch’anche lui sarà più che squarquoio e però non si potrà mica mette nelle stinche, veh.[133]

 

            procuratore La causa è criminale ed io m’esibisco di servir lor signori, con tutto che pochi procuratori si trovino che voglino dar contro il diavolo.

 

 

                                   SCENA XIV

 

                                   Balanzone e detti.

 

            procuratore Servo di Vostra Signoria Eccellentissima, che ha fatto al naso?

 

            balanzone    L’è stà una voia d’una gatta gravida.

 

            noferì           Se di queste vogghie ghie ne vengano spesso, i’ non ho che di nulla.

 

            procuratore Vorrei far un’istanza a Vostra Signoria Eccellentissima per questi miei clientoli.

 

5          balanzone    Fala pure adess liberament. Ma a’ v’rrè saper, tant da i vostr clientol quant d’la part avers, c’mod i han l’ungh longh?

 

            procuratore I miei clientoli non credo l’abbian longhe gran cosa; l’averà ben lunghe la parte avversa, ch’è il diavolo.

 

            balanzone    Al diav’l vrament a’ gl’arà un po’ trop lungh, lu.

 

 

                                   SCENA XV

 

                                   Amaranto alla finestra, e detti.

 

            amaranto     Il cane e il gatto hanno fatto le mie vendette. Insomma il cielo difende le ragioni della poesia. Ma eccolo nella strada col fiorentino, e colla vedova. Tutti e tre impararanno a strapazzare i poeti.

 

            balanzone    A’ faren aq’sì, a’ zitaren al diavol a risponder un po’ da luntan.

 

            noferì           Oh sie, sie, perché dai canto i’ non mi curo che comparisca.

 

            urania           Basta che egli renda quella che in coscienza non può tenere.

 

5          amaranto     Voglion citare il diavolo! Intendono di me. Voglio prendermi spasso di questi matti. (si leva dalla finestra).

 

            procuratore Io dimando dunque al diavolo la restituzione d’una collana tolta al signor Noferì ed una appuntatura da testa rubbata alla signora Urania.

 

            balanzone    E me a’ commett la citazion contr’ al diav’l, perch’a venga senza però comparir e a render quel che l’ha rubbà ai voster prinzipal.

 

            amaranto     (getta la borsa e la cassetta nella strada) Pigliate.

 

            balanzone    Al diavol n’ vol sbir intorno a casa. L’ha oppost senza esser zità e senza comparir. Ma, grand’autorità che ha al duttur Balanzon!

 

10        noferì           Oh veh, to’ to’. L’è la borsa d’lla collana, perdinci.[134]

 

            urania           E la mia cassetta. Uh, gran bella cosa è il litigare.

 

            procuratore Che vedo!

 

            noferì           Uh, collana, collana! Tu sei pur ritornata una voilta.

 

            urania           Uh, la mia appuntatura, l’ho pur riavuta.

 

15        noferì           I’ me la vo’ metter a i collo ‘n questo punto perché, cappita, i’ non vo’ che la mi vadia ’n visibilio un’ altra voilta, e che la sbagghi la via. Oh, i’ sarè aggiustato p’i dì delle feste se la non tornasse piùe.[135]

 

            urania           Me la voglio metter in capo adessa perché la non mi sia più rubbata.

 

            noferì           (scuopre e trova la cavezza) Ma modo! Che robb’ è ella?

 

            balanzone    Qu’ll’incantator ch’ha fatt in st’ mond l’as’n d’or, l’ fiarà p’ssù, a contrari, far anch le cullan d’ cavez.[136]

 

            procuratore Che curioso accidente.

 

20        urania           Il diavol v’ha fatto la burla, signor Noferì. Eh, non l’averà già fatta a me. (cava dalla cassetta il corno) Ma che cosa è questa?

 

            balanzone    Il diavol ha rimandà l’acconzitura con d’ su’ cavù.

 

            noferì           Ma qui è dov’ i’ mi conturbo. La borsa della collana colla cavezza ch’i’ ho imprestat a i’ birro. Le sono cose ch’i’ mi darè alle bertuccie![137]

 

            urania           Quella non capisco. La cassetta delle gioie o ‘l corno che ho dato alla spia.

 

 

                                   SCENA XVI

 

                                   Amaranto in strada e detti.

 

            amaranto     Gente semplice, ma però maliziosa, a me deste la cavezza ed il corno; ed io vi tolsi la borsa e la cassetta. Non sono però né sbirro, né spia, come mi credeste, né sono il diavolo quale v’immaginaste. Sono un poeta, pover uomo sì, ma onorato. E benché la fortuna mi presenti quest’occasione di farmi ricco e di vendicarmi delle ingiurie che m’avete fatto, nondimeno sappiate che i poeti pensan più ai benefizi che all’ingiurie, e più alla gloria che alle ricchezze. (le rende la collana e le gioie) Signor Noferì, signora Urania, prendete le vostre cose, e imparate a conoscere che se i procuratori ed i giudici fosser così generosi e così sinceri come i poeti, voi ancor sareste più ricchi e più contenti, e varrebbero qualche cosa più le commedie dei consulti.

 

            balanzone    Al poeta rend la bors? Mo l’è un gran merlott. E me maravii do quel gat ca è tant ghiot d’la frittura che n’abbia magnà più prest cha ’l mi nas.

 

            urania           Signor poeta, la ringrazio e mi scusi, e l’assicuro che son tanto soddisfatta della sua gentilezza che se io dovessi scorticare un altro marito, io non cambiarei Vostra Signoria.

 

            noferì           E i’ ghi bacio le mani tanto tanto. E se la passa ma’ per Firenze io vo’ che la venga ’n via d’i Cocomeri a casa mia, che vi si vend un vino bianc e rosso d’i tibi soli; e si può arrivà fin lie, la sentirà.[138]

 

5          procuratore. Vorrei che ella fosse più amico dei procuratori. Finalmente tanto la profession sua che la nostra è fondata nelle finzioni e nelle bugie.

 

            balanzone    S’ la finz ben, a v’rrè ch’ la m’ des un po’ de nas.

 

            noferì           Ma moilto! L’Isabella co’ i’ commissario.

 

 

                                   SCENA ULTIMA

 

                                   Tutti.

 

            procuratore Commissario appunto! Quello è il signor Leandro.

 

            noferì           Leandro! Passa quae. Dove se’ tu stata? Ch’ tu ti disaminar un poco troppo spesso.

 

            leandro        Questa dev’esser la mia sposa.

 

            noferì           Ascoiltate questa! Vo’ venite dall’osteria. Ma v’aete fatte’ conti senza l’oste.

 

5          balanzone    Me fiol ha bon gust int’la materia d’Isabella, quant Lecca-luzern int’la materia di nas.

 

            procuratore. Isabella è promessa a me, e questa sera faremo la scritta.

 

            noferì           La sta così per l’appunto.

 

            isabella         Signor padre, lei ha pur poca memoria. Non si ricorda che oggi ha sottoscritto la scrittura col signor Leandro?

            procuratore Come!

 

10        noferì           Noe, noe. Tu mi vorresti dà l’erba trastulla, eh? Ma vieni, vieni, ti non m’infinocchi.[139]

 

            leandro        Signor giudice, questa è la scrittura sottoscritta dall’istesso signor Noferì e questa è la vostra nuora.

 

            isabella         E la sua serva, signor Balanzone.

 

            balanzone    Oh, t’ v’rrest esser me nora per aver Leander, e d’ me serva per aver al salari. (Balanzone legge la scritta) Mo l’è un po’ trop.

 

            procuratore Certo che Noferì m’ha burlato, ed io l’ho indovinata a credere che con la speranza di queste nozze voleva venire allo studio senza spendere.

 

15        noferì           Pofar i’ mondo. S’i’ avessi do cappi coll’accappiatura della signora Urania che l’è un po’ dura, i’ ne vorrè batter uno pelle muragghie, a fe’ de gobbi.[140]

 

            isabella         Signor padre, ha poca memoria.

 

            noferì           Oh sie, i’ ho poca memoria. Ma tu ha’ n’ po’ troppa volontà, sa tue!

 

            procuratore La litigaremo.

 

            amaranto     Signor procuratore, le nozze voglion esser libere. Lasci in sua libertà quella fanciulla, e s’accompagni con quella vedova a cui ella ha già consumata la dote con farla tanto litigare.

 

20        urania           Signor poeta, son troppo obligata al signor procuratore, ed io che desidero che viva un pezzo, non voglio sposarmi seco essendo io solita di far crepar tutti i miei mariti.

 

            procuratore E io non voglio sposarla, perché avendo la signora Urania litigato coi suoi mariti medesimi, di suo procuratore diventarei sua parte contraria. Voglio la signora Isabella.

 

            notaro          È una voglia che ve la volete cavar più difficilmente che non se la cava Lecca-lucerne, quand’ha voglia de’ nasi de’ giudici.

 

            balanzone    Mo la scrittura è chiara chiara, l’è.

 

            noferì           E che me l’hanno fatta scrive con invenzione e con cento mila riboboli.

 

25        procuratore Bisogna riconoscere in che modo è soscritta e con che pretesto.

 

            leandro        Sottoscritta dal signore Noferì con consenso particolar di sua figlia.

 

            isabella         Certo.

 

            procuratore Lo vedremo.

 

            leandro        Come volete.

 

30        balanzone    La scrittura n’ è soscritta lezitimament, al b’sogna donca ben considerar la rason d’una part e d’ll’ altra. Isabella per adesso n’ sarà d’ n’sun. E perché me fiol è d’ventà zud’s per torm qualch fatiga int’la vecciaia, a’ daremntan’ Isabella in deposit al zud’s per dars a che la va de iure.

 

            leandro        Benissimo.

 

            procuratore N’han saputa più di me.

 

            isabella         Signor suocero, intanto starò in casa sua e gli medicarò il suo naso.

 

            noferì           Ma ch’accade più litigare, faccianla finita na voilta, che po poi i’ mi c’ arrecorderò. E benché Leandro abbia l’alfabeto ’n pelle ’n pelle, in ogni môe se gh’è giudice e’ me darà tutte le sentenze ’n fagore.[141]

 

35        amaranto     Di questi accidenti ne comporrei una commedia, se venissero nel giudice risanato dalla sua pazzia e ridotto in più felice stato, acciò ogni cosa terminasse in lieto fine come vogliono le buone regole.

 

            leandro        E come vorrebbe Leandro per compimento d’ogni suo contento.

 

            balanzone    Nos Balanzonus a Balanzano,

                                   bon boccon p’ul gatto e p’ul can.

                                   In materia d’la pazzia

                                   quando un pazzo non getta via

                                   ma ch’ porta sempr’ a ca’,

                                   pronunziam che mel sia

                                   ca resta mat e ca s’ n’ guarissa ma’, ecc...

 

                                   Fine dell’atto terzo

 

 

 

Bibliografia essenziale

 

Girolamo Gigli (1660-1722)

Vita di Girolamo Gigli, sanese, detto fra gli Arcadi Amaranto Sciaditico scritta da Oresbio Agieo, (Francesco Corsetti.) Con aggiunta delle littere delle principali accademie dell’ Italia, scritte al medesimo, in approvazione delle opere di S. Caterina da Siena, Firenze, stamperia all’ insegna di Apollo, 1746.

 

Opere complete

Una raccolta integrale delle sue opere fu avviata alla fine del XVIII secolo, ma degli otto volumi previsti ne furono stampati soltanto tre:

Collezione completa delle opere edite ed inedite, Aia, si vendono in Siena presso Vincenzo Pazzini Carli,1798, 3 voll. (I. Vita dell’ autore, da F. M. Soldini e Collegio Petroniano delle balie latine; II-III. Vocabolario Cateriniano).

Numerose furono le ristampe, complete o parziali, ottocentesche, tra le quali gli:

Scritti satirici in prosa e in verso, a cura di Luciano Bianchi, Siena, 1865 e il Vocabolario cateriniano, a cura di Pietro Fanfani, Firenze, 1866.

 

Componimenti poetici e alcune lettere del Gigli sono custoditi, manoscritti, presso la Biblioteca comunale di Siena, la Biblioteca Nazionale e la Biblioteca Riccardiana di Firenze.

 

Opere sulla lingua

Le regole della toscana favella, Roma, Antonio de’ Rossi,1721.

Lezioni di lingua toscana dettate dal Sig. Girolamo Gigli, pubblico lettore nell’università di Siena, coll’aggiunta di tre discorsi accademici e di varie prose sacre e profane del medesimo, non più stampate, raccolte dall’abate Giovambattista Catena sanese, prima edizione Venezia, Giavarina, 1729; 2ª ed. Venezia, Pasquali, 1736; 3ª ed. Venezia, Pasquali, 1744; 4ª ed., corretta e migliorata, Venezia, Pasquali, 1751.

 

Teatro

Raccolte drammatiche

Poesie dram[m]atiche del signor Girolamo Gigli consacrate all’Illustrissimo Ferdinando Torriano, barone de Tassis, Venezia, Antonio Bortoli, 1700 (comprende: La Geneviefa; Lodovico Pio; La forza del sangue e della pietà; La fede nei tradimenti; Amore fra gl’impossibili; La Guiditta, oratorio per musica; Il martirio di S. Adriano, oratorio; La madre de Maccabei, oratorio; Il sogno di Venere, cantata).

Opere nuove del signor Girolamo Gigli, accademico acceso, edizione consacrata all’Altezza Serenissima del Signor Francesco Maria Pico, duca della Mirandola, marchese della Concordia e Signore di San Martino, Venezia, Rossetti, 1704 (comprende Il Leone di Giuda in ombra ovvero il Gioasso, dramma sacro; Amor dottorato, invenzione drammatica; La via della Gloria, cantata per musica; La Viola in Pratolino, id.; Cantate varie per musica, canzoni e sonetti; I Litiganti, overo il Giudice impazzato, operetta satiricomica, in prosa; Un pazzo guarisse l’altro, opera serio ridicola, in prosa.

 

Edizioni di singole opere

La fede ne’ tradimenti, Siena, Stamperia del pubblico, 1689; Mantova, stamperia ducale G. B. Grana, 1699; Bologna, Pisari, 1732.

Un pazzo guarisce l’altro, opera serioridicola dell’accademico Intronato, Siena, 1698; Vienna, P. Van Ghelen, 1723; edizione critica: Un pazzo guarisce l’altro, a cura di Elena E. Marcello, Venezia - Santiago de Compostela, lineadacqua, 2016 (Biblioteca pregoldoniana, nº 17; www.usc.es/goldoni).

L’amore fra gl’impossibili, dramma per musica di Amaranto Sciaditico, pastore Arcade, dedicato alla duchessa di Zagarolo, da lei fatto rappresentare nel suo teatro in Roma, Siena, Stamperia del Pubblico, 1693; Amor fra gl’impossibili, Roma, Komarek, 1693; Perugia, Costantini, 1726.

L’amor della patria sopra tutti gli amori, ossia L’Orazio, Siena, Stamperia del Pubblico, 1701.

La gara delle virtù tra i discepoli di Roma è di Cartagine o vero il Nicomede opera tirata dal francese per le scene d’Italia, dedicata all cav. Aurelio Sozzifanti, auditore generale della città e Stato di Siena, Siena, s. e., s. d. (la dedica di Girolamo Gigli è datata del 22 febbraio 1701).

Il Gorgoleo ovvero il governatore delle Isole natanti (1705), Siena, Quinza e Bindi, 1753.

Giuseppe, tragedia sacra rappresentata dagli accademici Rozzi, Siena, Stamperia del Pubblico, 1710.

L’Anagilda, dramma per musica da rappresentarsi nel teatro domestico dell’illustrissimo principe di Cerveteri pel carnevale del 1711, Roma, Antonio de’ Rossi, 1711.

L’Attilio Regolo, tragedia dal franzese, rappresentata in Roma nel Teatro domestico dell’illustrissimo ed eccellentissimo signor Principe di Cerveteri, nel Carnevale 1711, da una Nobil conversazione, Siena, Quinza, s. d. (la dedica al nipote del principe, scritta da «gli autori della tragedia» è in data del 9 gennaio 1711).

Don Pilone, ovvero il bacchettone falso, Lucca, Marescandoli, 1711. Edizione moderna a cura di Roberta Turchi, in Teatro italiano IV. La commedia del Settecento, Torino, Einaudi, 1987, t. 1.

Ester, tragedia cavata dalla sacra scrittura per Monsù Racine e volgarizzata, Roma, Salvioni, 1720.

L’avarizia più onorata nella serva che nella padrona, ovvero La sorellina di Don Pilone, Venezia, Panvino, 1721; La Sorellina di Don Pilone, ovvero L’Avarizia più onorata nella serva che nella padrona, commedia, con alcune composizioni cavate dal manoscritto originale dell’autore poste in fine, s. l., s. e., 1768.

Fernando, melodramma di Girolamo Gigli e Paolo Rolli, Londra, S. Aris, 1734.

I vizi correnti all’ultima moda (da Palaprat, Les Moeurs du temps), Milano, Francesco Agnelli, 1742; Firenze, s. e., 1745.

La moglie guidice e parte ovvero il ser Lapo commedia di Girolamo Gigli, Bassano, s.e., 1748. (Il marito più onorato del suo bisogno).

Le furberie di Scappino, commedia di Girolamo Gigli patrizio sanese, prefazione di Vincenzo Pazzini Carli, Siena, Bonetti nella Stamperia del Pubblico, 1752; Bologna, Girolamo Corciolani e eredi, 1753.

La scuola delle fanciulle, ovvero il Pasquale (da L’Ecole des filles di Montfleury), commedia inedita, Testo, commento, introduzione a cura di Antonio di Petra, Firenze, Lemonnier 1973.

 

Riedizioni

Poesie dram[m]atiche del signor Girolamo Gigli... Seconda impressione. Tomo primo, Venezia, M. Rossetti, 1708.

Componimenti teatrali del signor Girolamo Gigli, pubblicati da Vincenzo Pazzini Carli, Siena, Bonetti, 1759, con le farse in musica.

Raccolta di componimenti da teatro del signore Girolamo Gigli pubblicati da Vincenzo Pazzini Carli, Londra, s. e., 1764 (L’Ospedale de’ Pazzi, La Madriperla, Scipione, Intermezzo de’ Galoppini).

Raccolta di Commedie scritte nel secolo XVIII, Milano, Società tipog. de’classici italiani, 1827 (2 tomi in 1 vol.). Raccoglie commedie di Girolamo Gigli, Francesco Albergati Capacelli, Alessandro Pepoli, Camillo Federici, Antonio Sografi.

 

Studi critici su Gigli

Quadrio, Francesco Saverio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. 3, parte seconda, Milano, Agnelli, 1744.

Napoli Signorelli, Pietro, Storia critica de’ teatri antichi e moderni, in tre volumi, Napoli, Stamperia Simoniana, 1777.

Ginguené, Pierre Louis, Biographie universelle ancienne et moderne, tome XVII, Paris, G. Michaud, 1816.

De Angelis, Luigi, Biografia degli scrittori sanesi composta ed ordinata dall’ab. Luigi De Angelis, vol. I, Siena, Rossi, 1824.

Scènes originales du Tartuffe de Gigli, traduites et publiées avec une notice, par Léon-G Pélissier, ancien membre de l’Ecole française de Rome. Documents annotés VI, Paris, Imprimerie de la société de Typographie, 1889.

Favilli, Temistocle, Girolamo Gigli, senese nella vita e nelle opere studio biografico-critico. Indagini di storia letteraria e artistica, Rocca S. Casciano, L. Cappelli, 1907.

Toldo, Pietro, L’Oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino, E. Loescher, 1910.

Falorni, Marco, Senesi da ricordare: brevi cenni sulla biografia e le opere dei principali personaggi storici senesi dalle origini ai giorni nostri, Siena, Edizioni Periccioli, 1982.

Mangini, Nicolò, Il teatro italiano tra Seicento e Settecento: primi tentativi di riforma, in Id., Alle origini del teatro moderno e altri saggi, Modena, Mucchi, 1989.

Turchi, Roberta, La commedia italiana del Settecento, Firenze, Sansoni, 1986.

Vazzoler, Franco, Don Chisciotte e le genti americane. Comicità ed esotismo nell’Atalipa, dramma per musica di Gerolamo Gigli», in Albert N. Mancini - Dino S. Cervigni (dir.), Images of America and Colombus in Italian Literature = «Annali d’ltalianistica», 10, 1992, pp. 190-210.

Spera, Lucinda, Gigli, Girolamo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Enciclopedia Treccani, Volume 54 (2000).

Frenquellucci, Chiara, Dalla Mancha a Siena il nuovo mondo. Don Chisciotte nel teatro di Girolamo Gigli, Firenze, Olschki, 2010.

 

 

Su Racine

Racine, Louis, Mémoires sur la vie de Jean Racine, Lausanne-Genève, Bousquet, 1747.

De Carli, Alberto, L’influence du théâtre français à Bologne de la fin du XVIIe siècle à la grande révolution, Torino, Chiantore, 1925.

Viala, Alain, Jean Racine. La stratégie du caméleon, Paris, Seghers, 1990.

Jean Dubu, Racine aux miroirs, Paris, S. E. D. E. S, 1992.

Surber, Christian, Parole, personnage et référence dans le théâtre de Jean Racine, Genève-Paris, Droz, 1992.

Racine, Jean, Œuvres complètes, a cura di Georges Forestier, Paris, Gallimard, 1999, vol. I, Les Plaideurs sta a pp. 301-367, note e varianti a pp. 1386-1397.

 

Le traduzioni di Racine in Italia

De Angelis, Vincenzo, Per la fortuna del teatro di Racine in Italia, «Studi di filologia moderna», VI, 1913, pp. 33 e segg.; Id., Critiche, traduzioni ed imitazioni italiane del teatro di Jean Racine durante il sec. XVIII, Arpino, G. Fraioli, 1914.

Ferrari, Luigi (a cura di), Le traduzioni italiane del teatro tragico francese nei secoli XVII et XVIII. Saggio bibliografico, Paris, Edouard Champion, 1925.

Carloni Valentini, Renata, Le traduzioni italiane di Racine, «Contributo dell’istituto di filologia moderna», serie francese, 5, 1968, pp. 204-448 (Pubblicazione del Sacro Cuore, Vita e pensiero, Milano).

Vinti, Claudio - Santangelo G. Saverio (a cura di), Traduzioni italiane del teatro comico francese, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1981 (Quaderni di cultura francese, n° 19).

De Nardis, Luigi, Il comico dei Plaideurs, tra Aristofane e Scaramuccia, in Scritti in onore di Giovanni Macchia , Milano, Mondadori, 1983, vol. II: Le dimensioni dello spettacolo.

Gambelli, Delia, Biancolelli, Arlecchino a Parigi. «Il regalo delle Dame» Roma, Bulzoni, 1997.

 

Traduzioni di Les Plaideurs

I litiganti, traduzione di Luisa Bergalli, in Opere di M. Racine, tradotte, Venezia, Domenico Lovisa, 1736, vol. I (con La Thébaide, Alexandre le grand, Andromaque, Britannicus, e Athalie).

I litiganti, commedia di Giovanni Racine, traduzione dell’abate Placido Bordoni, Venezia, A. F. Stella, 1793.

I querellanti, traduzione di Luciano Budigna, Milano, Poligono, 1947 (con Fedra e Berenice).

Gli attacabrighe, traduzione e commento di Guido Davico Bonino, Macerata, Liberilibri, 2007.

 

 

 



[1] Il titolo a pagina 140 è esattamente: I litiganti overo in giueice (sic) impazzato, opera satiricomica del sign. Girolamo Gigli.

[2] Nell’edizione del 1704, il titolo registrato sul frontespizio del volume, nella lista delle opere pubblicate, è I litiganti, overo il Giudice impazzato, operetta satiricomica, in prosa, mentre quello che precede il testo, a pagina 141, è I litiganti, overo il giuiece impazzato, opera satiricomica, del sig. Girolamo Gigli.

[3] Dottor Balanzone: È il Dottore di Bologna, secondo vecchio degli scenari della commedia dell’arte cbe parla bolognese misto di latino maccaronico. Nella commedia di Racine, corrisponde al personaggio di Georges Dandin, giudice. Il nome di Dandin deriva da «Perrin Dandin, homme honorable, bon laboureur, bien chantant au lutrin [...] qui appointait plus de procès qu’il n’en était vidé dans tout le Palais de Poitiers», la cui storia è raccontata al capitolo XLI del Tiers livre di Rabelais. ♦ Scarica-l’Asino: nell’edizione, accanto a Balanzone, è scritto «giudice discarica l’asino». Per il riferimento ai viaggi teatrali, vedi Domenico Bruni, Fatiche comiche di D. Bruni, detto Fulvio, Comico di Madama Serenissima Principessa di Piemonte, 1623, in Ferruccio Marotti - Giovanna Romei, La Commedia dell’Arte e la società barrocca. La professione del teatro, Roma, Bulzoni, 1991, p. 346. E Jean-Joseph Expilly, Le Géographe manuel, Paris, Bauche, 1761, p. 301, con la forma Scarica-l’Asino.

[4] Roga-bugie, Notaro: personaggio che corrisponde a L’Intimé, secretario, in Racine. In francese, ‘intimé’ è un termine della lingua giuridica del Parlamento per designare l’avvocato difensore che ha vinto un processo in prima istanza, ed è chiamato in appello (letteralmente ‘intimato’) dall’avversario detto in francese l’appelant (‘il richiedente’). Era già stata usata per un personaggio del Hopital des fous de Beys (1637).

[5] Zuccarino: forma usuale di ‘zuccherino’, per designare una pasta azzima intrisa con uova e zucchero, tirata a guisa di vermicelli e ingraticolata insieme per formare una ciambella. Corrisponde in Racine a Petit-Jean, il quale apre la commedia presentandosi umoristicamente con un gioco di parole, «venuto da Amiens per essere svizzero». La provenienza geografica lo riallaccerebbe a un certo Maître Petit-Jean, consigliere e segretario del re Luigi XIV, suocero di un un avvocato del Parlamento di Parigi, François Langrené, originario di Amiens. Vedi G. Forestier, in Racine, œuvres complètes. Théâtre, cit., nota pp. 1387-1388. Nel testo di Gigli appare molto giovane.

[6] Noferì: corrisponde a Chicaneau in Racine. Il nome Chicaneau deriva da Chiquanous che, nel Quart livre di Rabelais, (ch XII-XVI), designa gli uscieri di giustizia. Secondo Il Dizionario universale della lingua italiana, Noferì è una contrazione di Onofrio, e si usa per una persona stupida, che dice di no ad ogni domanda. ‘Fare noferi’ o ‘fare il noferi’, vale ‘fingersi ignorante, mal accorto’; si dice anche ‘fare il nescio’ e più popolarmente ‘far lo gnorri’. Cosimo Noferì era un professore e scrittore del 600, allievo di Galileo. Noferì è più scempio e balordo di Chicaneau, nella linea anche del vecchio Anselmo dei drammi civili di Giovanni Andrea Moniglia, che storpia le parole e non capisce il senso esatto dei detti altrui; allo stesso modo Noferì non capisce le parole di Amaranto (I.10.15 e sgg.) (vedi Moniglia, Il vecchio balordo, cit.).

[7] Urania Mignatta: corrisponde alla Comtesse de Pimbêche di Racine. Racine avrebbe creato questo personaggio a partire da un racconto di Boileau intorno a un contrasto intervenuto nell’ufficio del fratello maggiore di Boileau, scrivano presso un giudice, tra la contessa di Crissé, litigante di professione, e Hugues de Lyonne, ministro di Louis XIV e segretario agli affari esteri che aveva negoziato diversi trattati di pace negli anni precedenti. Vedi Claude Brossette, Œuvres de Monsieur Boileau Despréaux, Genève, Fabbin et Barillot, 1716, nota alla Satira III, p. 34. Boileau nota che alla creazione della commedia, l’attrice che interpretava la Comtesse vestiva un abito color di rosa appassita, con una maschera che copriva un orecchio, copia del vestito con il quale la comtesse di Crissé appariva ordinariamente in tribunale. In italiano, ‘mignatta’ è l’altro nome della sanguisuga comune, e al figurato designa un usuraio, uno strozzino, e più generalmente chi specula sulle necessità altrui quasi succhiandone il sangue. Più comunemente, si dice per ‘seccatore importuno’. Gigli usa lo stesso cognome nel Gorgoleo, tratto da Monsieur de Pourceaugnac, per Nérine, femme d’intrigue, tradotto con «Mignatta, donna di rigiro».

[8] I. È soppresso il lungo monologo di Petit-Jean (I.1.1-49), che propone vari elementi di presentazione della pazzia di Dandin. Questi elementi e le scene 2, 3 e 4 dell’atto I (L’Intimé che risveglia Petit-Jean; Dandin che balza dalla finestra ed è arrestato da L’Intimé; l’arrivo di Léandre con una fiaccola, che ascolta i rimproveri del padre e ordina a Petit-Jean di rinchiuderlo) sono ridistribuiti e cambiati nella lunghissima scena d’esposizione.

[9] vuol dar la volta affatto al cervello: capovolgere il cervello; ti si è capovolto il cervello: sei diventato matto.

[10] la canape fa delle cento per ogni staio: i pazzi si molteplicano a Bologna dove i campi sono fertilissimi e uno staio piantato a canapa produce centinaia di grani.

[11] le sportule: nell’antichità le sportule erano i doni in natura che i patrizi facevano distribuire ai loro clienti. Uso letterairio. Elemosima in natura. La sportula è il cestino dove si mettevano i doni.

[12] fornacchiare: russare.

[13] vel plam: testo corrotto. Il passo sembra voler dire: «Non è nemmeno un quarto d’ora? Ah, caro figliolo, ... della eccellentissima razza dei Balanzoni...», cioè, vel plam verrebbe a essere qualcosa come «vero rampollo» o simile (forse vel sta per ver  e plam per palm, dunque: «vero palmo»?

[14] la stadera: la bilancia.

[15] int’al saver Bartol e Bald: Baldo degli Ubaldi era un giurista italiano del Trecento, allievo di Bartolo da Sassoferrato, ambedue egregi esponenti della Scuola italiana del commento che proponeva una nuova metodologia di interpretazione delle fonti romane, contro il metodo della glossa (vedi Moniglia, Il vecchio balordo, cit., Commento, II.15.31).

[16] i van semper merlot: sono sempre ingannati. Il merlo (merlotto) è una persona sciocca, o il marito beffato, o per antifrasi una persona furba che si finge ingenua. Moniglia nella Dichiarazione de Il conte di Cutro, (Poesie Drammatiche, Firenze, Vangelisti, 1698, p. 606), registra: «Merlotto: balordo, grossolano, facile ad essere ingannato».

[17] zolfinelli: parola toscana per solfanelli. Matassino di zolfini.

[18] manco: nemmeno.

[19] vitellina mongana: vitella da latte, giovanissima.

[20] tra una disina e l’altra: desina viene da desinare, tra un pasto e l’altro. ♦ i suoi clientoli: secondo la Crusca, 3° ed., 1691, il procuratore chiama clientolo quello per il quale egli procura. Dal latino Cliens.

[21] Nei Plaideurs, il luogo dell’azione è la strada con le case di Dandin e di Chicanneau (vedi, introduzione, n. 87). Dandin appare alla finestra di casa (I.3.v. 61) balza dalla finestra (v. 65) carico di sacchi (vv. 72-74), è subito afferrato da L’Intimé et Petit-Jean, e poi da Léandre (I.4.vv. 110-113), che lo costringe a andare di nuovo a letto.

[22] sdirenare: mi ha fatto far male ai reni, mi ha rotto i reni.

[23] duren rangiar: dovrebbero ranghiare (riferito agli asini). A m’ vegh un gran biù: mi vedo un grande buio, giacché siamo al levar del giorno.

[24] Il Baronio de Citatione: Cesare Baronio (Sora, 30 ottobre 1538 - Roma, 30 giugno 1607) storico, religioso e cardinale italiano. Padre della storia ecclesiastica. Membro degli Oratoriani di San Filippo Neri, nel 1596, fu innalzato da papa Clemente VIII alla dignità cardinalizia: il suo nome è legato alla redazione dei primi volumi degli Annales ecclesiastici (12 voll.), cioè la storia del cristianesimo dalle origini al 1198, prima intitolata Historia ecclesiastica controversa, e alla revisione del Martirologio Romano (Martyrologium Romanum, cum Notationibus Caesaris Baronii (1586 - 1589), nonché di una Paraenesis ad Rempublicam venetam (1606). Lo Scaccia de Sententia ecc: Lo Scaccia è un insegnante di giurisprudenza attivo all’inizio del 600 autore di Le impugnazioni delle sentenze e delle lodi. Il Rugginello de Appellatione: Julius Caesar Ruginellus (? - 1628), giurista milanese, autore di Commentariis ad Caesareas constitutionnes in titulum de Appellationibus (1653). Asinio: si riferisce forse a Asinius Pollion, autore e storico romano (76 a.C - 4 d.C) che criticò i Commentari di Cesare, o a suo figlio Gaio Asinio Gallo, senatore romano, malvisto da Tiberio, che lo fece imprigionare e morire di fame. Il Postio de Subastatione: allusione al De subhastatione tractatus singularis junctis ad materiam variis Rotae Romanae decisionibus (Genevae, De Tournes, 1671, 16441) di Ludovicus Postius, o Lodovico Postio, recensito nel Catalogus librorum qui reperiri possunt liburni, in bibliotheca donatiana, pro anno 1707. La subastazione di beni, sono gli atti relativi all’imposizione ed esazione dell’imposta reale. Con questi libri, Gigli riassume l’intero percorso al quale devono sottomettersi quelli che fanno appello alla giustizia: la citazione è la chiamata in giudizio, l’atto introduttivo del processo; l’appellazione è il ricorso in appello, l’esecuzione è l’insieme delle operazioni con cui un provvedimento è reso effettivo.

[25] Mio padre nella strada: battuta che corrisponde a Racine, I.4.68: «Vite un flambeau, j’entends mon père dans la rue».

[26] Insaccar un duttor senza pruvar niente: in tutta questa scena intorno all’insaccamento del giudice, viene usato un lessico tecnico intorno alla retorica giuridica (far la proposizione, argomentare, mezzo termine, uscire in forma, la maggiore / la minore, il giudice è l’ultimo a dir...). Questa evocazione caricaturale della retorica giuridica continua poi nelle scene seguenti, e più avanti nelle arringhe contradittorie di Balanzone.

[27] s’ vu’ a n’ m’ savì arrivar: se voi non sapete arrivare più avanti di me, cioè essere più sapienti di me, si vegga nella esperienza. Più avanti, I.6.15: che vu’ donc a n’ m’arrivà: equivale a: voi dunque non arrivate fino a me, non mi superate nella sapienza.

[28] arrandellare: il randello è un grosso bastone. In basso toscano, vuol dire vendere a basso prezzo.

[29] Amaranto: Amaranto Sciaditico è lo pseudonimo di Girolamo Gigli all’interno dell’Accademia dell’Arcadia, fondata nel 1690 a Roma.

[30] Come si dimanda: come si chiama.

[31] Nemica: Noferì esce parlando a una sua serva che sta nelle quinte, come faceva Chicanneau (I.6.164-176), parlando verso le quinte a un suo servo, La Brie, per dargli diversi ordini (su questa citazione deviata, vedi Introduzione, p. 30). Nemica è una forma storpiata di Menica, che Noferì usa poi, nella stessa battuta, sotto la forma abbreviata ‘Menich’. pianella = sciabatta, fiorentino. scannello: leggio da mettere sulla scrivania = cassetta. rimasughiolo: rimasuglio. gugghiate: cucchiate. Non si finisce mai co’ i procuratore: riprende l’idea espressa da Chicanneau, Les Plaideurs, (I.6.168). fogghiolino: fogliolino. ferraiolo: ampio mantello.

[32] a chi batte la campagna: scorrere la campagna per provarne la sicurezza, esplorare (vedi sotto: fare il birro, camminare in su e in giù come uno sbirro).

[33] Canchita: canchero.

[34] O che mi cucugliate: cucugliare è fare il verso del cuculo, beffare, canzonare.

[35] ghi è terra cavolina: è morto e sotterrato, e ridiventato terra per far crescere i cavoli.

[36] Spero per lei gran tempo / Viver, quand’altri mi terrà per morto: Petrarca, Rime, canzone 12, vedi Le Rime del Petrarca brevemente esposte dal Castelvetro, Parte prima, Venezia, Zatta, 1756, p. 254.

[37] del Melosi: Francesco Melosio (1609 -1670). Perugino, di famiglia nobile del secolo XVI. Autore di libretti di drammi per musica, di sonetti lodativi indirizzati alla cantante Anna Renzi, e a Claudio Monteverdi. Ebbe controversie con il musicista veneziano Francesco Cavalli per un mancato pagamento. I suoi libretti furono musicati anche dal celebre castrato Atto Melani, e da Luigi Rossi, tutti e due attivi alla corte di Francia. Autore satirico, fu implicato in varie affaires. Alla corte di Torino, nel 1648, scrisse i suoi sonetti più famosi e controversi in occasione di una ‘congiura’ contro il giovane duca Carlo Emanuele e sua madre, la reggente Cristina di Francia, per la quale i presunti responsabili furono condannati a morte.

[38] Segnus irritant animos demissa per aves./ Quam quae sunt oculis subiecta fidelibus: versi ripresi, modificati, da Orazio, De Ars poetica, parte II, vv. 180-181 parlando del potere della visione che non più forte dell’orecchio sullo spirito dello spettatore. Questi due versi sono citati da Voltaire in una lettera indirizzata a Francesco Albergati Capacelli nel 1758, dove si parla della Sémiramis e dell’effetto prodotto sull’animo del pubblico dalla visione di una scena ben realizzata: «Quand j’ai fait jouer Sémiramis, j’ai fait placer l’ombre dans un coin, au fond du théâtre; elle montait par une estrade, sans qu’on la vît monter; elle était entourée d’une gaze noire; tout dépend de la manière dont sont placées les lumières. Cela fait un terrible effet, quand tout est bien disposé; car: Segnus inritant animos demissa per aurem, / Quam quæ sunt oculis subjecta fidelibus».

[39] l’ailba de tafani: l’alba dei tafani, cioè «il mezzo dì, detto per ischerzo, perchè allora cominciano a ronzare i tafani» (Crusca, 1691). Si trova Perchè il nimico all’alba de’ tafani / Vuol trucidare in singolar battaglia, Lippi, Malmantile, 10.8.

[40] Ho i’ a ire alle buiose: ‘buiosa’ si usa nel gergo letterario per parlare delle prigioni.

[41] ch’il sonetto è per l’oriuolo a polvere. Allusione a sonetti sulla rappresentazione del Tempo, dello stesso Girolamo Gigli, contenuti nelle sue Poesie sacre, profane e facete, in Lezioni di lingua toscana, p. 226: «nell’anno 1700, calendo il secolo fu suggerito agli accademici Rozzi quest’invenzione e rappresentata con questa pompa...».

[42] ho da entrar nelle stinche: allungare gli stinchi significa morire. Più avanti si parla di «morir nelle stinche».

[43] L’è chiara chiara e spiattellata: mostrata chiaramente, messa sotto gli occhi. Io non son già tondo come l’O di Giotto: non sono tonto, cioè tardo di mente, stupido.

[44] Corbezzole: esclamazione che esprime maraviglia, stupore.

[45] Ma finalmente quanto ch’arò i’ a stare?: nell’edizione questa parte di battuta è attribuita a Noferì con il verso seguente, invece il verso deve essere attribuito ad Amaranto.

[46] messo a bacio: il bacio è un vento, simile alla tramontana; si allude a un luogo esposto a tramontana, cioè luogo ombroso, oscuro, ostile.

[47] vo’ m’impiccasse: forma dialettale per ‘m’impiccaste’.

[48] Cacaiola: grossolano per dissenteria. ‘Aver la cacaiola’ significa aver una gran paura.

[49] ch’i ne so’ uscito pel bucco dell’acquaio: Andarsene per il buco dell’acquaio, vale per smagrire, struggersi insensibilmente. Lat. tabescere, macescere (Crusca 1691: § II). Qui significa: mi sono salvato con grande difficoltà.

[50] all’agozzin di galera: aguzzino, guardia dei galeriani, dei prigioni. di quel rogito: rogito, termine legale, atto e solennità del rogare cioè firmare (subscriptio in latino).

[51] Comincia solo qui l’accenno agli amori di Leandro ed Isabella, mentre in Racine Léandre si intratteneva di Isabelle con L’Intimé sin dalla sc. 5.

[52] Voi avete il padre impazzito: la battuta di Notaro, e la seguente di Leandro, echeggiano versi di Racine (I.5.129-146) «l’int.: L’un veut plaider toujours, l’autre toujours juger». Scialacquasse nelle liti: Racine, ibid., vv. 129-130: «Mais vous devez songer que monsieur Chicanneau / De son bien en procès consume le plus beau».

[53] Il signor Noferì la vuol maritare al suo procuratore: corrisponde a un’allusione di L’Intimé (Racine, Les Plaideurs, I.5.142), che cita le categorie di mestieri che hanno diritti a frequentare Isabelle: «à moins que d’être huissier, sergent ou procureur». Isabelle è sequestrata dal padre, ed è anche espressa l’idea che Chicanneau sta per rovinarla per soddisfare la sua passione giuridica (ibid., v. 147).

[54] Pensaremo a qualche stratagemma: riassume Racine (I.5.160-163), dove L’Intimé suggerisce di stabilire un contratto falso. In Racine, Dandin non è presente in scena.

[55] Il giudice interpreta male le parole del Notaro contro il Procuratore, e torna sulla diplomazione del figlio, che lo ha fatto diventar un asino senza gli orecchi (I.13.1), per farlo ridiventare uomo. Con una metafora cristica, pensa di convertire il raglio in riso, il basto in toga, la paglia in pane, e l’acqua del pozzo in vino di Montepulciano.

[56] Luzian tra ‘l sigma: Allude a Luciano di Samosata, rettore greco e satirista nato a Samosata, in Anatolia (Siria) (c. 120 d. C. - Egitto c. 180 d. C.) che scriveva in greco in stile neo-attico. Scrisse vari elogi satirici come L’elogio della mosca. Il giudizio delle vocali è una arringa parodica pronunziata da una lettera greca, il sigma, contro un’altra, il tau, accusata di troppo espansionismo. Zizeron: Cicerone Quintilian: Tullio Quintiliano Marco Fabio (Nassica 35-40 d. C. / Roma c. 96 d. C.), oratore e maestro di retorica. Il manoscritto del suo trattato Istitutio oratoria fu scoperto e edito da Poggio Bracciolini. Al stil asiatich e al stil laconich: allusione confusa e parodica alla distinzione tra i vari stili elencati da Quintiliano (Istitutio L. 12 c. 10), stile asianico, attico, rodio e laconico, presente in diversi trattati di rettorica dell’inizio del 600 (Strada, Tesauro, e in trattati di musicisti come Doni e Burmeister). L’attico è laconico, l’asianico è più entusiasta. Livi e Salusti: Tito Livio (Patavium 59 a. C.- 17 d. C.), storico di Roma, autore di Ab urbe condita, e Sallusto (Caius Sallustus Crispus (86 Amiternum -35/34 Roma), uomo politico e storico autore di una storia romana sul periodo tra la morte di Sylla e la vittoria di Pompeo. Ha influenzato Tacito. Le Besti d’Esop: cioè le favole di Esopo, scrittore greco (620 a. C./ Delfi 564 a. C.), che ci ha lasciato 358 favole (Fabulae), conosciute in tutta Europa anche nel Medioevo, in francese circolava sotto il nome di Isopet. Versil a Umer ecc.: allusioni a Virgilio e Omero, e ai poeti e drammaturghi più celebri dell’antichità, Seneca e Sofocle per la tragedia, Plauto e Aristofane per la commedia, Orazio e Pindaro per la poesia lirica, Sannazaro e Teocrito per la bucolica. Purfirii e Averrue: Porfirio, filosofo greco autore del trattato Isagoge ossia Introduzione alle categorie aristoteliche (c. 268-270 d. C.), tradotto in siriaco, in latino, e ritradotto e commentato poi da Boezio; Averroe (Cordoba 1126-Marrakech 1198, metafisico, teologo, giurista e medico, è uno dei maggiori filosofi della civiltà islamica, la cui filosofia a influenzato il pensiero rinascimentale italiano. Zabarella e Nifo: Zabarella, autore della seconda metà del 500, che scrisse vari trattati di logica, sulla natura dell’intelletto umano e i suoi rapporti con l’anima e il corpo. Agostino Nifo nato a Sessa nel 1473, insegnò a Napoli poi a Padova, scrisse tra l’altro un trattato sull’immortalità dell’anima, contro Pomponazzi, dopo aver aderito in gioventù all’aver-roismo, lo combattè, come pur dell’alessandrinismo. Seneca e Epicur: Epicuro filosofo greco (Samo, 10 febbraio 342 a. C. - Atene, 270 a. C.) e Seneca, filosofo e drammaturgo romano (Cordoba, 4?/1? a. C- 65 d. C.). Pittagora e Anassagora: due filosofi greci, il primo matematico e astronomo (Samo, 570 a. C. circa - Metaponto, 495 a. C. circa), il secondo, presocratico (Clazomene, 496 a. C. - Lampsaco, 428 a. C. circa). Apollonio Tiane e Diozene Zinie: Apollonio di Tiana, filosofo greco, morto a Pozzuoli nel 98 d. C); Diogene di Sinope, detto Diogene il Cinico o Diogene il pazzo (Sinope, 412 a. C. circa - Corinto, 10 giugno 323 a. C.). Plutarco: Plutarco (Cheronea, 46 d. C./48 d. C. - Delfi, 125 d. C./127 d. C.), filosofo greco, moralista e biografo, autore delle Vite parallele, in cui personaggi greci sono accostati a personaggi latini. Tazit e Zust Lipsi: Publio Cornelio Tacito (Gallia Narbonense, 55-58 - Roma, 117-120), storico, oratore e senatore romano; Giusto Lipsio (Overijse, 18 ottobre 1547 - Lovanio, 23 marzo 1606), filosofo, giurista umanista e filologo fiammingo, seguace dello stoicismo romano senechiano. Columel e Tremellio: Lucio Giulio Moderato Columella (Gades 4 - 70), scrittore romano di agricoltura che lasciò un De re rustica, in 12 volumi, scoperti da Poggio Bracciolini; Gneo Tremellio Scrofa (Tremellius Scrofa), scrittore latino del 1° secolo a. C., ricordato da Varrone come un’autorità nel campo dell’agricoltura. La sua opera, che non ci è giunta, fu una delle fonti della Naturalis Historia di Plinio. Parazels e Galen: Paracelso e Galeno. Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus o Paracelso (Einsiedeln, 14 novembre 1493 - Salisburgo, 24 settembre 1541), medico, alchimista e astrologo svizzero, noto per aver battezzato lo zinco, chiamandolo zincum; è considerato come il primo botanico ‘sistematico’; Claudio Galeno: medico imperiale a Roma e filosofo (Pergamo, c. 130 - ivi?, c. 200) fondò una teoria della medicina che riformulò i principi ippocratici ancora vigenti nell’epoca medievale. Prima chirurgo, fu medico di Marco Aurelio, scoprì la differenza tra nervi motori e sensitivi, distinse le lesioni degli emisferi cerebrali da quelle del cervelletto, valutò la funzione escretrice dei reni, riflettè sul sangue, sul cuore e sugli scambi sanguigni che vi si producono, sulla circolazione fetale e particolarmente sugli organi di senso. Tolomeo e Copernic: Claudio Tolomeo (Pelusio, 100 c. - Alessandria d’Egitto, 175 c.) astrologo, astronomo e geografo greco antico che visse e lavorò ad Alessandria d’Egitto, considerato uno dei padri della geografia, autore del trattato astronomico noto come Almagesto; Mikołaj Kopernik (Toruń, 19 febbraio 1473 - Frombork, 24 maggio 1543), ecclesiastico, astronomo giurista, astrologo, medico polacco famoso per aver portato all’affermazione della teoria eliocentrica. Zoroaster e Arat: Zoroastro e Arat, cioè Zarathuštra, anche Zarathuštra Spitāma, profeta e mistico iranico, fondatore dello Zoroastrismo, ritenuto fondatore dell’astronomia, e autore degli Oracoli caldaici. Cumet: cometa: corpo celeste di grandezza e luminosità variabile. Dopo il XIV, le comete erano considerate oracoli annunciatori di sfortune. Port e Niquet: Giambattista della Porta, napoletano, scienziato e letterato, autore della celebre Physiognomonia (1586) e di opere drammatiche, commedie e tragedie; Honorat Niquet è un padre gesuita autore di un tattato intitolato De Phisiognomonia humana, del 1619. Cornell Agripp e Parazels: Enrico Cornelio Agrippa de Nettesheim, alchimista e astrologo esoterico tedesco (Cologna, 1486- Lione, 1535), difensore dell’occultismo; Paracelso (Einsiedeln, 14 novembre 1493 - Salisburgo, 24 settembre 1541), medico, filosofo e teologo laico nato in Svizzera (1493) morto a Salisburgo nel 1541, noto per il suo trattato di medicina, ma anche per aver battezzato lo zinco e aver controbbattuto la dottrina aristotelica dei quattro elementi definendo i nuovi principi della materia (sale, zolfo, mercurio). Pico della Mirandola e Caramuel: il conte Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), filosofo e teologo umanista fiorentino, allievo di Ficino e amico di Poliziano, protetto da Lorenzo il Magnifico, fece tradurre in latino i testi della cabala; Caramuel: Juan Caramuel y Lobkowitz, ecclesiastico cistersiano spagnolo (Madrid, 1606-1682), autore di una grammatica cabalistica nel 1642 che critica la cabala, esponente dell’ateismo rabbinico. Archimed: Archimede (Siracusa, 287 a. C. ivi 212 a. C.), fisico matematico e ingeniere greco. Euclide e Obles: Euclide (c. 300 a. C), scienzato e matematico, autore degli Elementi, testo fondatore della matematica; Dom. Obles, filosofo inglese, autore del Trattato del cittadino, e di opere filosofiche e politiche. Galileo e Guid Bald: Galileo Galilei (1564-1642), astronomo, fisico toscano. Guidobaldo Del Monte o marchese Guidubaldo Bourbon Del Monte (Pesaro, 11 gennaio 1545 - Mombaroccio, 6 gennaio 1607), filosofo, astronomo e italiano, amico fidato di Galileo, autore del Mechanicorum liber (1577). Tolomeo e Strabon: Tolomeo, vedi supra. Strabon, noto geografo greco, nato in Amasya (Turchia) (c. 64 a. C.-21/ 25 d. C.). Nel Quattrocento, Guarino Veronese tradusse la totalità delle opere di Strabon, e lo fece conoscere largamente. Conte Pagano e ’l cavalier Trisim: Il conte Pagano, potrebbe alludere al vicario imperiale dell’Imperatore Federico I, membro della famiglia degli Ezzelini, di cui Giambatista Verci scrisse la storia nel Settecento; il ‘cavalier Trissim allude a Gian Giorgio Trissino (1478-1550), poeta e tragediografo, autore della prima tragedia italiana, la Sofonisba. (1515) e dell’epopea L’Italia liberata dai Goti (1527, pubb. 1547). Vegezì e Fratin: Publio Flavio Vegezio Renato, scrittore romano, autore del trattato Epitoma rei militaris o L’Arte della guerra, trattato della prima metà del V secolo, largamente diffuso e tradotto nel Medioevo e ancora nel XV, pubblicato in Italia a Roma e a Pisa; Giacomo e Giorgio Paleari, detti ‘fratini’, erano membri di una famiglia di ingegneri architetti militari ticinesi della fine del secolo XVI, che avevano conquistato la fiducia del di Spagna Filippo II. Un ‘fratino’ è persino citato nel Don Chisciotte di Cervantès, che Gigli conosceva (vedi infra, II.15.12). Dedalo e Tisi: Dedalo è il personaggio della mitologia greca, scultore e architetto, padre di Icaro, costruttore del laberinto cretese; Tisi evoca Teseo che riuscì a vincere il Minotauro nel laberinto, grazie al filo d’Arianna. Cartes e Vitellion: René Descartes, filosofo e matematico francese (1596-1650), fondatore della matematica moderna, autore della teoria della Diottrica (1637), dove studia l’ottica, la rifrazione e la difrazione. Nel 1604, Kepler aveva anche pubblicato l’opera Ad Vitellionem paralipomena, dove esponeva i principi teorici dell’ottica, senza arrivare a determinare le leggi della rifrazione. Vitellion alluderebbe quindi a Képler. Vetrvi e Michel Angel: Marco Vitruvio Pollione (80 a. C.- 15 a. C.), architetto e scrittore romano il cui trattato De Architettura fu riscorperto nel Quattrocento, tradotto e commentato da Lorenzo Ghiberti e da Leon Battista Alberti; Michelangelo Buonarroti, architetto, scultore e pittore (1475-1564). ♦ Diofante e il Viera: Diofanto d’Alessandria (III sec. d. C. ?) d’origine siriana, padre dell’algebra, autore del trattato Arithmetica, composto di tredici libri di cui solo sei ci sono pervenuti, pubblicato a Tolosa nel 1620. ♦ Viera: matematico del XVI secolo che pubblicò nel 1590 un libro di Aritmetica speciosa nel quale denota le quantità ignote e note con simboli o lettere. Introdusse un metodo per estrarre le radici dell’equazioni per mezzo delle approssimazioni. ♦ Mostrar quanta para faran tre bue: espressione popolare, molto usuale a quel tempo, che si indirizza a qualcuno che chiede risposte su cose impossibili. È anche segno di pretenziosa stupidaggine. L’espressione torna poi alla fine della scena (55-77), dove Balanzone la usa per porre un problema di aritmetica al figlio e al Notaro, costringendoli a bendarsi gli occhi, e riesce così a scappare dalle loro mani.

[57] I.13.20-43: qui, al contrario di quanto accade ne Les Plaideurs, il Notaro non riesce a fermare Dandin nella sua logorea verbale. In Racine, era L’Intimé, nel processo finale (III.3.739-788), che si dilungava nella sur plaidoirie comica, citando autori antichi (Aristotele, Catone, Posania, Armeno Pul, il Digesto di Giustiniano...) con grande pathos ridicolo, rissalendo fino alla nascita del mondo e al diluvio, per convincere l’uditorio dell’innocenza del cane accusato, poi inteneriva la giuria presentando i cagnolini che rischiavano di morire di fame se il genitore veniva condannato.

[58] Cappita!: Caspita!

[59] dighi: dici.

[60] Son ridotte a poche: la fine della battuta di Urania corrisponde a quella della Comtesse de Pimbêche nei Plaideurs di Racine, I.6.237-240: «Monsieur tous mes procès allaient être finis / Il ne l’en restait plus que quatre ou cinq petits, / L’un contre mon mari, l’autre contre mon père, / Et contre mes enfants. Ah, monsieur, la misère!...».

[61] Hanno messo d’accordo una condizion: la battuta di Urania corrisponde a Racine, I.6.242-244: «Mais on leur a donné / Un arrêt par lequel, moi, vêtue et nourrie / On me défend, monsieur, de plaider de ma vie».

[62] obligar una povera donna a non poter più litigare: in Racine, la Comtesse diceva a Chicanneau: «Mais vivre sans plaider est-ce contentement?» (ibid., v. 250).

[63] Quant’è che litiga?: Bettina riprende qui la parte di Chicanneau che diceva alla Comtesse: «Mais s’il vous plaît, madame / Depuis quand plaidez-vous?». La Comtesse era meno evasiva sulla sua età: «Il ne m’en souvient pas / Depuis trente ans ou plus. Chic.: Ce n’est pas trop. Comt: Hélas! / Chic.: Et quel âge avez-vous? Vous avez bon visage /. Comt. , quelque soixante ans.», I.7.252-256.

[64] bazzecole: cose da poco, quisquiglie, inezie. ♦ balzelli: tassa gravosa e arbitraria, qui Uranaia ha paura di essere tassata su ‘munizioni’, cioè polvere per la caccia, che tiene illegalmene a casa. Tutto il dialogo è costruito su un fraintendimento, da sua parte e da Bettina, dello scambio di battute tra Amaranto e Fioretto. Urania manda la serva davanti al procuratore, mentre Chicaneau consigliava alla Comtesse di andare a trovare il suo giudice (Les Plaideurs, I.7.261), e di buttarsi ai suoi piedi.

[65] II.2.66-77 Qui Gigli sfrutta il frainendimento di parole, che esisteva anche in Racine tra la Comtesse e Chicanneau, alla fine della scena I.7. di Les Plaideurs. L’effetto comico verbale veniva dal fatto che la Comtesse interrompeva di continuo Chicanneau («Si vous parlez toujours il faut que je me taise» (I.7.267), e capiva poi tutto a rovescio, come Urania fa con Amaranto. Racine giocava però più brevemente sui fraintendimenti: lo faceva in particolare sulla parola giuridica «lier», fraintesa dalla Comtesse perché non lascia che Chicanneau finisca la frase: «chic.: Et lui dirais, monsieur... comt.: Oui, monsieur. chic.: Liez-moi.... / comt.: Je ne veux point être liée», (ibid., vv. 269-271). Libitina: dea romana dei funerali che ne sorvegliava il corretto svolgimento. A volte confusa con Venere o Proserina. che so’ a accattare: sono ridotta a mendicare. Urania ripete due volte la stessa formula di lamentazione. Nell’edizione c’è prima che so’ accattare, poi che so’ a accattare, si è ristabilita la preposizione in ambedue i casi.

[66] II.3.1-2 Nell’edizione, le prime due battute sono attribuite in ordine inverso, Amaranto poi Fioretto.

[67] II.4. La scena è ripresa in parte a Les Plaideurs di Racine; scena tra Léandre e L’Intimé, il primo travestito da commissario, l’altro da usciere. «l’intimé: Monsieur, encore un coup, je ne puis pas tout faire / Puisque je fais l’huissier, faites le commissaire [...] Changez en cheveux noirs votre perruque blonde» (II.1.299-300). Gigli cambia il travestimento di Leandro nella logica della diplomazione farsesca ricevuta dal padre all’atto primo, raggiunge poi Racine coll’evocazione del ‘commissario’ dell’Annona di Bologna.

[68] commissario dell’Annona di Bologna: termine di economia o finanza. Si occupava dei regolamenti dello stato o di altri enti pubblici di un paese per regolare il commercio e i mercati, sorvegliare le proprie scorte di derrate alimentari e la distribuzione, i prezzi, di modo a mantenere la pace pubblica. Si ritrovano allusioni all’Annona e al magistrato dell’Annona a II.7.5, 14-15, 22 e 34; III.2.18 e 26; III.9.17.

[69] si teme di carestia: questo allude forse a una carestia reale, accaduta negli anni precedenti la scrittura della commedia. C’è un’altra allusione del Notaro a un anno «penurioso» in II.7.5. Più avanti, nella stessa scena (27-28), lo stesso Notaro evoca anche le disposizioni dell’Annona per rimandare le celebrazioni di nozze a causa della mancanza di pane per i pasti. Nell’ultimo decennio del 600, le raccolte di grano furono spesso scarse, e il pane mancava. Sul tema, vedi Lucia e Luciana Bigliazzi, Fra carestie e alimentazione. Saverio Manetti, «Delle specie diverse di frumento e di pane e della panizzazione», 1765. Note di storia e di filologia testuale, Firenze, Accademia dei Georgofili, 2011 (http://www.georgofili.it/download/1075.pdf). Nel 1694, per esempio, furono banditi dall’amministrazione granducale diversi decreti per «venir a cognizione di come era provvisto lo Stato serenissimo», ivi, p. 63. Questo potrebbe permettere di precisare la data di scrittura de I litiganti.

[70] L’intera scena è ripresa ai Plaideurs II.2.327-332, tra L’Intimé, Isabelle, ed è quasi una traduzione in prosa, non un adattamento: «is.: qui frappe? l’int.: Ami. C’est la voix d’Isabelle. / is.: Demandez-vous quelqu’un, Monsieur? l’int.: Mademoiselle / C’est un petit exploit que j’ose vous prier/ De m’accorder l’honneur de vous signifier. / is.: Monsieur excusez-moi, je n’y puis rien comprendre. / Mon père va venir qui pourrait vous entendre...».

[71] La citazione viene...: vedi Racine, II.2.334: «l’intimé: L’exploit, mademoiselle, est mis sous votre nom».

[72] A me?...: qui Gigli utilizza un effetto comico presente nel dialogo di Racine, che però insiste di più sulla resistenza di Isabelle e lascia a lungo in sospeso la rivelazione del nome di Léandre: «is.: Monsieur vous me prenez pour une autre sans doute; / Sans avoir de procès, je sais ce qu’il en coûte; / Et si l’on n’aimait pas à plaider plus que moi, / Vos pareils pourraient bien chercher un autre emploi. / Adieu. l’int.: Mais permettez… is.: Je ne veux rien permettre. / l’int.: C’est une lettre. / is.: Encor moins. int.: Mais lisez… is.: Vous ne m’y tenez pas. / l’int.: C’est de monsieur... is.: Adieu. l’int.: Léandre. is.: Parlez bas / C’est de monsieur? l’int.: Que diable on a bien de la peine / A se faire écouter: je suis tout hors d’haleine». (II.2.335-344).

[73] E chi vi riconoscerebbe: vedi Racine, II.2.347: «isabelle: Et qui t’aurait connu déguisé de la sorte?»

[74] La scena segue anche Les Plaideurs, ma legando due scene successive II.3 e II.4.352-370.

[75] liberar dalle stinche quella mia Podepina: allusione agli Inferni e a Proserpina. Per stinche (I.10.50) ♦ non ghi riempirebb’Arno colla piena: si dice a uno che non si trova mai sazio. ♦ la bindola equivale a: lei traffica, imbroglia. ♦ qui’ pollastrone [...] non m’andrebbe ma’ a fagiuolo: quel pollastrone non m’andrebbe a genio. Uso di fagiolo come cosa che piacerebbe molto ai fiorentini: «potrebbe anche essere stato preso dai fagiuoli, che pur si sono usati come le fave bianche e nere, per dare il voto negli squittini [scrutini], e nelle pubbliche adunanze» (Tommaseo). ♦ e’ ne fa buccia buccia: tutti d’una bucia equivale a tutti d’un sapore, d’una stessa qualità (Crusca); esser tutti d’una bucia: vale per ‘lo stesso’.vuoil dar la voilta alle carrucole: ‘ugner le carrucole’ dicesi di corrompere altrui con i donativi per arrivare ai suoi fini (Crusca). ♦ vedo l’Isabella nella via: l’entrata di Noferì è più estesa di quella di Chicanneau, il quale vede subito che Isabelle legge qualche cosa e sospetta che sia da un amante (v. 358).

[76] Guardate che conto fo delle vostre cedole: Racine, II.4.365: «Tenez voilà le cas qu’on fait de votre exploit».

[77] Il dottor voilgare, e i formolario: allusione a Il dottor volgare o compendio di tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale, trattato di Giovan Battista de Luca, Roma, Corvo, 1673. In Racine, c’era una parodia di Corneille quando Chicanneau si mostrava orgoglioso della difesa lanciata da Isabelle in suo favore («Viens mon sang, viens ma fille», v. 368, ripreso a Le Cid, «Viens mon fils, viens mon sang», v. 266), e si alludeva al Praticien français, opera di un avvocato del Parlamento, Lepain, che Gigli trasforma in «il dottor voilgare e il formolario». ♦ Le citaizioni non si stracciano: in Racine: «Mais diantre il ne faut pas déchirer les exploits» (II.4.370).

[78] raccorrò quei tricioli per vedì: vedi Racine II.4. Tra L’Intimé et Chicanneau: Chicaneau: «Et puis si bon vous semble, / En voici les morceaux que je vais mettre ensemble» (v. 376). In Racine, L’Intimé passa ad altra cosa, parla della Comtesse e di un biglietto che questa vuole ottenere da Chicanneau perché riconosca che lei non è pazza ma savia. La lettura di L’Intimé è quella della richiesta della Comtesse (vv. 397-407), firmata Le Bon. In Gigli, si tratta dell’assegnazione del commissario dell’Annona, non chiara evidentemente per Noferì che legge le parole nel senso proprio.

[79] le dirò il contenuto: in Racine, «J’en ai sur moi copie», v. 377

[80] difendere il tuo me’ di me: in Racine, si trovano questi versi: «Ah tu seras un jour l’honneur de ta famille/ Tu défendras ton bien» (II.4.367-368).

[81] II.7.14-15, 22,34 Annona: vedi sopra, II.4.10.

[82] nibbio: uccello rapace predatore comune.

[83] i’ non ci calo alla pania. Non mi lascio prendere; espressione cacciatoria, che continua l’evocazione precedente del nibbio, indirizzata al Notaro.

[84] In Racine, Chicanneau, che non vuole dar ragione alla Comtesse, dà uno schiaffo a L’Intimé travestito da usciere (II.4.415-417), il quale subito registra lo schiaffo per iscritto. In Gigli, gli schiaffi sono raddoppiati, come tanti altri elementi comici, con un effetto di enfatizzazione dei procedimenti comici. Vedi sotto II.8.5.

[85] In Racine, Isabelle non interviene in favore di L’Intimé.

[86] Due schiaffi, scriviamo. (scrive) Il qual signor Noferì: questo traduce la battuta di L’Intimé quando si trova schiaffeggiato da Chicanneau (II.4.419-420): «Un soufflet! Écrivons: / Lequel Hiérôme après plusieurs rebellions, / Aurait atteint, frappé, moi sergent, à la joue, / Et fait tomber du coup, mon chapeau dans la boue».

[87] per me son tanti zecchini gigliati: In Racine, ivi, vv. 421-425, L’Intimé dice, scrivendo: «Bon c’est de l’argent comptant / J’en avais besoin. Et de ce non content / Aurait avec le pied réitéré. Le susdit serait venu de rage / Pour lacérer ledit présent procès-verbal».

[88] La scena corrisponde a Racine, Les Plaideurs, II.5, Leandre, Chicanneau, L’Intimé.

[89] il becch all’oca: sintesi del proverbio: «insegnare i paperi a bere all’oche», che si dice per gli imperiti che vogliono saperne più dei periti, cioè quando un giovane vuol beffare un vecchio. Nella Dichiarazione de La serva nobile, Giovanni Andrea Moniglia registra «fare il becco all’oca: dar compimento all’opera» (Moniglia, Poesie drammatiche, cit., p. 287).

[90] II.9.7-8 Racine, Les Plaideurs, II.5.449-450: «Léan.: Avez-vous des témoins? L’Int.: Monsieur, tâtez plutôt / Le soufflet sur ma joue est encore tout chaud».

[91] Annona: vedi sopra II.4.10.

[92] Racine, Les Plaideurs, II.6, Léandre, Isabelle, Chicanneau, L’Intimé.

[93] II.10.2-5 ibid., vv. 460-464: «léan.: Hé bien mademoiselle / C’est donc vous qui tantôt braviez notre officier / Et qui si hautement osez nous défier? / Votre nom? is.: Isabelle. léa.: (À L’Intimé): Ecrivez. Et votre âge? / is.: Dix-huit ans.»

[94] La par una salamoncina: sembra una piccola replica del savio re Salomone.

[95] basso, a Isabella: nell’edizione: «con Isabella».

[96] cappita: vedi sopra II.1.5.

[97] A partire da questo punto Gigli prende le distanze con la commedia-fonte, aggiungendo il personaggio dell’oste, mastro Lardello: in Racine, II.7, si continua invece con Petit-Jean, Léandre, Chicanneau.

[98] i fosatiè: storpiatura di foastiè, per foestè, come più avanti (II.12. 21) quando parla di «una tooa de foestè» (tavola di forestieri) accompagnè da o procaccio da Venezia». Lardello cita tutti i ‘forestieri’ (o passeggieri -passaggiè-) parlando del «Bergamasco, un Calabrese, un Zenese e un Bolognese che litigavan insieme».

[99] Balanzone alla finestra: nella stampa c’è ‘foresta’. Potrebbe essere un equivalente di ‘foresteria’, ma più sicuramente messo per finestra, ‘foro’ essendo usato anche per il buco. Balanzone è stato rinserrato da Lardello nell’osteria in una camera, come dice in II.12.21, forse alludendo alla foresteria. Ma più avanti, una didascalia dice Balanzone parte dalla finestra (II.13.60). Quest’apparizione alla finestra viene da Racine (II.8-9) dove Dandin si affacciava a un lucernaio del tetto di casa (v. 515) per ascoltare le richieste di Chicanneau e La Comtesse; all’atto II.11.559-561, appariva poi da un finestrino di cantina (didascalia: Dandin paraît par le soupirail).

[100] II.13.53-57si sentono due far alla morra: nel testo stampato, la didascalia è: si sendono due far alla mor, forma dialettale accorciata, chiarita poi dalla battuta di Zuccarino (49). ♦ A’ ’i a dig che in manc nov: nell’edizione la battuta è staccata dalla precedente, ma attribuita a Balanzone.

[101] orbacco: equivale all’alloro.

[102] per pillittaghe una pollanchetta: per infilarvi una piccola tacchina giovane.

[103] ea spà di D. Chisciotto, con a què question con i barè de vin neigro: allusione a un episodio dell’epopea comica di Cervantès, El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha pubblicata a Madrid, in due parti, nel 1605 e nel 1615. L’episodio è situato nel primo tomo al capitolo XXXV, intitolato «si tratta dell’orrenda battaglia combattua da Don Chisciotte contro otre di vino rosso» che lui prende per giganti. Gigli ha scritto altre opere ispirate al Don Chisciotte, L’amore fra g’impossibili ovvero Don Chisciotte e Coriandolo dramma per musica, Siena St. Del Pubblico, 1689 poi 1693) e Atalipa (1694-1698), nonché la commedia satirica d’ispirazione spagnola e secentesca, Un pazzo guarisce l’altro (vedi supra Introduzione, p. 17, n. 40, e infra II.16.14-45, nonché in bibliografia) o Il don Chisciotte (vedi infra, II.16.14-45, e Bibliografia Frenquellucci, 2000). Proprio quel ‘Don Chisciotte’ gli valse il successo e un invito alla corte viennese per scrivere in onore dell’Imperatore.

[104] pillotto: grande cucchiao con manico lungo per versare il grasso sulle carni arroste allo spiedo.

[105] L’amigo ha al sùo o gommio: Sûo o sùo in genovese vuol dire sudore e gommio sta per gomito. Qui Lardello ironizza sull’attività di scrittore, che fa sudare i gomiti. Soù, nel testo, sarà un refuso per sùo.

[106] II.15.15-20 Lardello qui ‘anticipa’ non Goldoni, ma l’Augellino belverde del Gozzi dove i due gemelli Renzo e Barbarino dichiarano di leggere di continuo libri di filosofia comprati a peso per la bottega del padre adottivo, Truffaldino, salsicciaio (I.4). ♦ Son già dez anni che questo autò stampa commedie: qui Gigli introduce nuovi elementi di autobiografia che ci consente anche di poter ipotizzare una data di scrittura per I litiganti. Vedi anche infra, II.16.14-43. ♦ a due da quattro a lia: pressapoco.

[107] senza far lor il conto: Amaranto usa qui nel senso proprio, l’espressione figurata ‘fare i conti senza l’oste’ che vale per ‘chi calcola da solo calcola male e sbaglia’. L’espressione è trasformata, qui si tratta proprio di non pagare il conto.

[108] in calcul ferendae sentenziae: la formula ferendae sentenziae designa una forma di scomunica che non viene applicata al colpevole fino alla dichiarazione ufficiale delle autorità ecclesiastiche. Balanzone dichiara così essere già nella fase decisionale, non nella preparazione del processo.

[109] II.16.16-49 La Geneviefa: ‘operetta drammatica’, scritta da Gigli nel 1684, per il Collegio dei Tolomei, pubblicata per la prima volta a Siena, stamperia del Pubblico, 1685. La forza del sangue e della pietà: dramma per musica, sacro, pubblicato nel 1686. Il Lodovico Pio: è il suo terzo dramma per musica, rappresentato nel 1684, pubblicato a Siena, Stamperia del Pubblico, 1687, dove Amaranto è già inserito nei personaggi. La fede nei tradimenti o l’Anagilda (Siena, Stamperia del Pubblico, 1689), dramma per musica di grande successo, fu portato in scena di continuo per oltre sessant’anni in tutta Italia, esiste anche una versione inglese sotto il titolo di Ferdinando (Londra, 1738). Un pazzo guarisce l’altro o Il don Chisciotte (rappresentato forse nel 1687), satira dell’amore platonico (vedi sopra II.15.12). Questa commedia detta ‘opera serioridicolaè inserita nell’edizione veneziana del 1704, dopo I litiganti. Su quest’opera vedi la succitata edizione a cura di Elena E. Marcello. ♦ Atalipa indiano, dramma per musica (rappresenato nel 1689), anch’esso d’ispirazione chisciottesca. Su questo, vedi Franco Vazzoler, Don Chisciotte e le genti americane. Comicità ed esotismo nell’Atalipa, dramma per musica di Gerolamo Gigli, in Albert N. Mancini - Dino S. Cervigni (dir.), Images of America and Colombus in Italian Literature = «Annali d’ltalianistica», 10, 1992, pp. 190-210.Amor dottorato: il titolo intero è Amor dottorato con le conclusioni da lui difese nel tempio della virtù, invenzione drammatica con la commedia Amor virtuoso del collegio Tolomei, carnevale 1691 (pubblicato nel 1703). ♦ Amor fra gl’impossibili: vedi sopra II.15.12, creato nel 1689, pubblicato lo stesso anno a Siena, stamperia del pubblico (vedi Frenquellucci, Dalla Mancha a Siena, cit., p. 77 e sgg), poi rappresentato ancora a Roma nel 1693. Riedizione del 1700 e 1708, a Venezia, in Poesie drammatiche del. Sign. G. Gigli, poi a Padova, V. Corona, 1707 et 1708 (con la musica di Carlo Campelli), rappresentato al teatro della Fenice d’Ancona nel 1727, con musica di G. B. Mastino, pubblicato postumo. Anche in questo dramma, Gigli appare sotto le veci di Amaranto, poeta melancolico e cupe. Gigli scrisse altri oratori sacri: La Giuditta (col nome di Amaranto Sciaditico Siena, Stamperia del Pubblico, 1693); Il martirio di sant’ Adriano (rappr. 1690), Siena, s. d., poi 1696; La madre dei Maccabei, oratorio scritto nel 1688 (T. Favilli indica: Siena, Bonetti, 1698).

[110] i persut: i prosciutti. ♦ Opre de Bartol: vedi sopra I.1.75. Ma si tratterà qui forse di Bertoldo, prototipo dell’ingenuo imbecille. Si ricorda che Gigli ha scritto un sonetto faceto intorno alla figura dell’ingenuo Bertoldo, inserito nell’edizione delle Opere nuove del 1704 (vedi nota al testo, p. 124). In questo sonetto dichiara di rispondere «con occasione di nozze ad un quesito: perché gli antichi ponessero un crivello nel letto degli sposi».

[111] al codiz e a dizest: sono i libri di giuriprudenza che raccolgono le leggi e le sentenze. Baldus de Ubaldis è proprio l’autore di un Super Digesto nuovo pubblicato da Johannes de Gradibus, Lione, Jacobum Sachon, 1518.

[112] sett’ autor rispondan in punt a le voster sette commedie: vedi sopra II.16.14-45.

[113] lasciamo seminato il campo: il procuratore si presenta qui come un garante della tradizione giuridica, che Gigli guarda poi in modo critico insistendo, nelle battute seguenti, sulla falsità della rettorica gudiziaria.

[114] scivelle: scriverle. ♦ vent’aolo: forma storpiata di ventavolo, vento di tramontana, aquilone.

[115] famigghio: per famiglio, cioè servo, evocato dopo in III.1.10, e anche più sotto quanto risponde il procuratore in III.1.17: «battere i fameggi.... » quù: quello.

[116] auzzo: acuto. ♦ Sibillesca: una sibilla.

[117] stovigghie: stoviglie. ♦ bazzecole: vedi sopra II.2.27. ♦ arvioni della giustizia: arpioni, le dita rapaci della giustizia. ♦ craizie: crazie, moneta antica. Le crazie, stampate a Piombino ma anche nello Stato fiorentino, valevano 5 quattrini.

[118] fate i nescio: fare il nescio, espressione che si dice a qualcuno che ostenta di non sapere.

[119] chiragra: gotta delle mani.

[120] zenero: nel testo originale si legge severo, probabile refuso per zenero (‘genero’).

[121] che gliela dessi: non c’è questa precisazione alla fine della battuta di Urania. Viene ripetuta una parte della frase precedente «a Vostra Signoria, ma mi sono incontrato in una spia», sicchè la frase, dopo «ed è bisognato», non viene conclusa. Considerando la battuta seguente del procuratore, si suppone che deve concludere con: è bisognato «che gliela dessi».

[122] L’Isabella si dà alle bertuccie: s’inquieta, si dispera. ♦ La si tapina: tribola, vive in miseria; è ridondante.

[123] spartir i pian di Migello: il pian di Mugello, zona ricca della Toscana, ricercata da vari forestieri, tra cui i Bolognesi, già nel Trecento. Cioè : farebbe affari anche col diavolo.

[124] far’ a’ capelli adesso: vorrebbe fargli fare quello che vuole lei (equivale a condurre qualcuno a far checchessia).

[125] cavallieri erranti del Boiardo e del Furioso: evocazione dei poemi cavallereschi di Boardo, Orlando innamorato, e dell’Ariosto, Orlando furioso, che segnano l’erudizione e gli interessi letterari di Gigli. Utile ricordare che nei drammi di Gigli, il personaggio di Don Chisciotte è qualificato ‘cavalier errante’.

[126] Auris sacra fames et nasi dira cupido: citazione in parte ripresa a Virgilio, Eneide, III.56-57: «Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames?», cambiando auri (l’oro) in auris (orecchio), e completando con il naso.

[127] Zioù: Giove. ♦ i avran dzrì l’allore: avranno digerito l’alloro.

[128] immatisco: impazzisco.

[129] armato il frontispicio: armato il frontespizio, cioè il viso, la fronte.

[130] III.11.14-15 Gigli inventa qui un contrasto drammatico nuovo, mettendo in scena un processo nel quale il figlio, apprendista giudice, deve pronunciare una sentenza sul’aggressione subita dal padre, e quindi è suscettibile di prevaricazione e di parzialità. Per quanto pazzo e alquanto stupido, Balanzone cerca di raccomandare al figlio la prudenza per dare le sentenze in modo imparziale.

[131] III.11.16-34: persut: vedi supra II.16.51. ♦ ossolut: assolti.

[132] le pillole d’i Gelli: il Gelli era un medico fiorentino del secolo XVII, erudito di lingua greca e araba. L’espressione significa mandar giù la roba senza masticare, come si fa delle pillole. Si trova nelle satire di Benedetto Menzini, (Napoli, Gennaro Rota, 1763, satira VI, p. 205), e anche nella bocca di Anselmo Taccagni nella commedia di Giovan Battista Fagiuoli, Le differenze aggisutate ovvero il Podestà spilorcio, I.6: Anselmo sta parlando di un notaio, parasito, «che ingoja le pagnotte come le pillole del Gelli» (Commedie di Gio: Battista Fagiuoli, fiorentino, Lucca, Marescandoli, 1737, t. III, p. 211)

[133] squarquoio: vecchio, decrepito.

[134] perdinci: perdiana, esclamazione di meraviglia.

[135] cappita: vedi sopra II.1.5 e II.10.49.

[136] Qull’incantator ch’ha fatt in st’ mond l’asn d’or: allusione a Lucio Apuleio (125-170 d. C), autore di un romanzo intitolato Le metamorfosi, in undici libri, detto anche L’Asino d’oro, di cui numerosi autori italiani si sono ispirati, tra l’altri Boccaccio, Boiardo, Machiavelli e Firenzuola al quale si deve un adattamento libero.

[137] mi darè alle bertuccie: paragone a svantaggio di Urania, assimilata da Noferì una scimmia.

[138] via d’i Cocomeri: in via del Cocomero, a Firenze, nel centro, vicino alla Santissima Annunziata, dove, dalla metà del Seicento, era attivo il Teatro degli accademici Infuocati.

[139] dà l’erba trastulla: dar da credere fandonie e menzogne. M’infinocchi: mi inganni.

[140] a fe de gobbi: in fede mia.

[141] abbia l’alfabeto in pelle in pelle: sappia l’alfabeto solo in superficie, con studio non ancora del tutto approfondito.