Giovanni
Andrea Moniglia
Il vecchio balordo
Dramma civile musicale
a cura di Françoise Decroisette
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2014
Giovanni Andrea Moniglia
Il vecchio balordo. Dramma civile
a cura di Françoise
Decroisette
© 2014 Françoise
Decroisette
© 2014 lineadacqua
edizioni
Biblioteca Pregoldoniana,
nº 7
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco
3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-35-2
La
presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito del progetto di
ricerca Archivo del teatro pregoldoniano
(FFI2011-23663) finanziato dal Ministerio de Ciencia
e Innovación
spagnolo. Lettura,
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Biblioteca
Pregoldoniana, nº 7
Nota al testo
Per la trascrizione de Il vecchio balordo, mi sono servita del manoscritto conservato alla
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Magliabecchi
VII, 252 (provenienza Marmi) (Magl. VII): Il
vecchio balordo del Moneglia, 45 cc. numerate da
Nel Magl. VII, alla fine di certi versi sono
cancellate parole o parti di parola riportate al verso seguente (III.2.42, dopo
«infelice»; III.2.46, dopo «per un cor»; III.6.9,
dopo «io ti voglia»). Qualche parola è del tutto illeggibile (III.16.18, dopo
«fai il cartoccio»), <Sandra metti>. restituita a partire dal manoscritto
della Biblioteca Laurenziana (Ant.
244, cfr. infra). Sono inserite in interlinea la battuta di Petronilla <[io
mi spedisco or ora]> (I.14.46); l’indicazione <[Leonora]> tra «bisogno» e «troppo» (II.1.2). Confrontando
con le lettere autografe del Moniglia conservate alla
Biblioteca Nazione di Firenze, ora in gran parte digitalizzate, non risulta
chiaro se la grafia è quella di Moniglia, ma è
sicuramente una grafia secentesca. C’è da rilevare che alla fine dell’atto
secondo, la stessa penna ha tracciato un profilo umano, con nasone e occhio,
che potrebbe caricaturare lo stesso Moniglia, conosciuto
come buon e grasso mangiatore. Tutto quanto ci porta a considerare che quel
manoscritto corrisponde alla versione originale dell’opera.
Nel Magl. VII, l’elenco dei personaggi appare a
carta 45r con in alto la menzione
«Personaggi», e in fine «Il vecchio balordo». Nella trascrizione è stato ricollocato
prima del Prologo seguendo l’uso delle prime edizioni dei libretti di Moniglia (cfr. Il
pazzo per forza, 1658), togliendo la notazione finale, ripetitiva, del
titolo.
Abbiamo confrontato questo manoscritto con quello
conservato alla Biblioteca Laurenziana, sotto la segnatura Antinori 244 (Ant. 244), che conta 44 cc., con
numerazione continua recto e verso, da
In
detta copia, la prima carta, non numerata, porta le seguenti menzioni:
Del Mar[che]se Scipione
Capponi in S. Frediano.
Il Vecchio Balordo / dramma civile / del Sig[no]r Dottore / Gio. Andrea Moniglia.
A carta 2, numerata
Il Vecchio Balordo / del Signor / Dottor Gio. Andrea Moniglia / che non fu stampata con le altre.
In
questa copia, la lista dei personaggi (Personaggi del dramma) viene inserita
dopo il prologo, a p. 6. L’atto primo, prima scena inizia a p. 7. Manca nella
lista Clarice, che nondimeno appare all’atto terzo, alle scene tredicesima e
quattordicesima, come nel Magl VII.
La menzione
esplicita del marchese Scipione Capponi consente di ipotizzare una datazione di
questo manoscritto della prima metà del XVIII secolo. Scipione era uno dei
figli di Alessandro Capponi, del quale ereditò nel 1740, con i fratelli, il
palazzo Capponi dell’Annunziata, oggi palazzo Gino Capponi. Tra i manoscritti
Capponi della Biblioteca Nazionale esiste per altro un’altra copia di una
commedia di Moniglia, Amare e Tacere, ridotta in prosa, del XVIII, serie Capponi, 22. L’aggiunta
di un personaggio di bambina, inesistente nel Magl. VII, può venire anche a conferma di questa datazione (cfr. Apparato, pp. 128-129).
L’Ant. 244 differisce in vari punti dal Magl. VII, con interventi a livello
microscopico e macroscopico. Per i primi, si rilevano interventi sulla grafia
come l’aggiunta di una i dopo il nesso gn —cogniata, signiore—; correzioni morfologiche, cambiamenti
di parole (I.7.25
chiudeteli>serrategli; II.1.5 per appormi, ed a torto ed a ragione> perch’io v’inciampi, e a torto, o ragione); scansione diversa nell’indicazione
dei personagi all’inizio delle scene, con parecchie
inversioni e l’uso sistematico di «x, x, x, e
detti», quando un nuovo personaggio si aggiunge agli altri già presenti in
scena. L’Ant 244 introduce un [ecc.] alla fine dell’ultimo verso ripetuto
nell’aria di Lucrezia, I.2.11, e una battuta di Betta [Betta: In camera], all’inizio
di I.12, in risposta alla domanda di Anselmo che chiude la scena precedente. Appaiono
inoltre modificate certe didascalie —entrano
in camera invece di partono (III.5.22),
entrano dentro invece di partono (III.8.35)—. Manca del tutto la
didascalia (Qui si levano da sedere,
e entrano in camera con Lucrezia), a III.14.106. Sono invece aggiunte varie didascalie: in
I.2, è inserita l’indicazione «sola» dopo Lucrezia. In I.4.2, appare una didascalia che esplicita le parole di
Leonora: (Lo rassetta), e in III.2.27,
è integrata la didascalia: (da sè). Per gli interventi macroscopici, cfr. apparato, pp.
127-130.
Diverse
è anche la disposizione grafica delle arie e duetti. La numerazione delle scene
usa i numeri romani mentre il Magl. VII usa
la numerazione ordinale, prima in lettere fino alla scena decima, poi i numeri
romani (XIa-XVIa). Da notare
che le edizoni Vangelisti
usano in extenso
la numerazione ordinale, in lettere (prima, seconda, decima, sedicesima,
trigesima prima ecc..), il che, oltre a quello già detto sopra, ci ha
confortato a scegliere per la trascrizione il Magl. VII, certamente più antico.
Non
abbiamo potuto consultare la copia conservata nella Bibilioteca
del Conservatorio di Firenze, che è invece l’unica segnalata da Sartori, Claudio, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo, Bertola e Locatelli, 1992, vol.
R-Z, n° 24360, p. 437.
Personaggi
Nel prologo:
La commedia.
Amore.
Anselmo.
Lucrezia, figlia d’Anselmo, fanciulla.
Gismondo, figliolo d’Anselmo.
Leonora, moglie di Gismondo.
Petronilla, moglie d’Anselmo.
Ascanio, giovane innamorato di Lucrezia.
Frasia, sorella d’Ascanio.
Fernando.
Lisaura, sorella di Fernando.
Odoardo, fratello di Petronilla.
Clarice, sorella d’Anselmo.
Piero, tartaglia,
servitore d’Anselmo.
Betta, serva
d’Anselmo.
Carali, moro, schiavetto di Clarice.
Prologo
Commedia, Amore.
commedia Così
dunque degg’io
dalle
fiorite sponde
partir
dall’Arno! Oh Dio,
come
non sospireranno aure gioconde
5 da
fortunati umori[1]
su
questo crine a fecondar gl’allori,
se
dal tuo grembo
di
grazie un nembo
non
piove a me
10 dove
rivolgo il piè?
Orrido
scoglio et ermo,
esule
cerco in solitario lido
se
ricetto negommi un tempo fido
spirto
gentil ch’in sua movenza è fermo.[2]
15 Infelice
commedia, e fu pur quello
l’albergo
fortunato[3]
ove
in giorno si grato
fermando
il passo incatenasti il core,
mentre
al vivo splendore
20 della
quercie reale[4]
di
Vittoria adornasti il gran natale,
e
nelle greche imprese
ad
onta dell’oblio
quindi
più chiaro il lume mio si rese
25 al
gemino fulgor d’aure facelle
del
sole ispano, e di medicee stelle.[5]
Partirmi
eppur conviene
dall’immobili
scene.
Addio, mie pompe, addio.
30 Amari
fiumi
dai
mesti lumi
fin
ch’a voi torno sgorgheranno si,
onde
placata un dì
l’ingiusta
crudeltà
35 ritrovi
in voi pietà dolor si rio.
Addio,
ecc.
Ma
sovra questo sasso
il
sonno affrena il passo.
amore Più non posso
40 mover passo,
duolmi ogn’osso.
Vo’
dir come coloro
ai
quali do martire, ahi lasso, ahi lasso.
Costei
forse sarà
45 nascosta
in qualche speco,
e
in van mie voci spargo
or
che bisogno avrei d’esser un Argo,[6]
conosco
d’esser cieco.
Mi
sembra di vedere
50 un
no so che a diacere,[7]
e
per quanto traspare
mi
pare, e non mi pare.
Oh,
che bel abitino !
È
certo la commedia, ch’in se stessa
55 dev’oggi
recitar da pellegrino.
Svegliati
mia diletta,
su,
su, su, t’affretta,
a
me t’accosta
che
per la posta fui spedito a te.
60 commedia Tu scherzi, et io
dolente
l’anima
verso in doloroso pianto.
Amore Manda i pensier da canto.
Gli
Zerbin fiorentini
mi
mandorno l’altro dì
65 un memoriale che dicea così.
Or
che l’ozio ci tedia
vorremmo
la commedia.
Ella
qui venne al solito, ma poi
partissi,
mentre noi
70 (il popolo dicea) stanchi di spendere
ci
volevam difendere con questo
che
fusse ritornata troppo presto.
Ma
giunto il carnevale
più
cocendo il tuo strale
75 per dar gusto alle dame, e far
bugiarda
la
voce ch’era corsa,
mostrar
vorremmo d’aver buona borsa.[8]
Quindi
supplici a te,
potentissimo
re
80 ricorriam
che la cerchi in ogni loco
con
parlarle così:
Costoro
in quattro dì
vorrebbono far bene, e spender poco.
commedia Cupido,
in su le scene
85 non monta il presto, e bene.
Il
mondo mal avvezzo
di
maraviglia invece, usa il disprezzo.
Verrò
un altr’anno.
amore Ingrata!
Né
i sospir, né i pianti
90 ti muovon
degl’amanti?
commedia Ma
dimmi, ai tuoi seguaci, o cieco Dio,
in
che giovar poss’io?
amore Allor che nella stanza
con
bizzarro pretesto
95 di porger bere o d’altro,
mentre
l’amante scaltro
tra
le dame s’inscrusca
un
riso, un guardo, una parola busca.
commedia Quando
vuoi far godere
100 non ti mancon
maniere
oltr’a quest’occasione.
Lasciami.
amore E
tant’ingiuria
mi
fai?
commedia Nel
recitar con tanta furia
sempre
mi metto di reputazione.
105 amore Vieni, et ivi
farai
il
meglio che potrai.
Deh
vieni, io te ne prego.
commedia Perdonami
se nego.
amore Per la memoria
almeno
110 di quel beato giorno
in
cui ponesti il piede
in
si nobile teatro,[9]
deh,
meco vieni.
commedia Il tuo parlar mi lega.
In
queste guise amore
115 si
soggetta il mio core, e non si prega.
commedia
e amore
a
due Se
di Vittoria il volto
ove
accolto
ogni
mio/tuo pregio sta,
per/in cui si mira/s’aggira
l’idea della beltà,
120 gradir
gli scherzi miei/tuoi lieta/lieto vedrà.
Voglio per mio/tuo tesoro
cingermi/cingerti
il crin di quercie e non d’alloro.
Atto
primo
Sala.
scena prima
Lucrezia, Leonora.
lucrezia Cognata, io ve ne prego,
di
quanto m’imponete
io pur nulla vi nego.
leonora A prova omai
sapete
5 se
questo vostro amore
m’è
stato sempre a cuore.
Certo,
che questa sera
avrem festino in casa.
lucrezia Di
mio padre
non
temo, ch’il buon vecchio
10 non
torce mai l’orecchio
da
chi parla di spassi, ma mia madre
è
tanto schizzinosa,[10]
e
in modo scrupolosa, che sicuro
il disegno ci guasta.
15 leonora O cognatina, basta
che le giovani voglino, le vecchie
s’aggirano
o s’accordano, in tal caso,
e noi fatte n’aviam
prove non poche.
I paperi conducono a ber
l’oche.[11]
20 lucrezia Pur ch’io parli al mio Ascanio,
seguane ciò che vuole.
leonora Un
grand’aggravio[12]
sentomi alla coscienza
a cagion
vostra e sua.
lucrezia Oh
quest’è buona!
Statemi adesso a far la
bacchettona[13]
25 che
non ci conosciamo.
leonora Mentre nel vostro error
resa prudente
prima ch’ei con voi fusse, ben voleste
delle
nozze d’Ascanio esser sicura,
e con salda scrittura
30 obligare il faceste,
e
più d’un testimonio v’intervenne.
Matrimonio
solenne
fu
tra voi stabilito,
a
i vostri genitori
35 per
le giuste cagioni ancor celato.
Insieme
(è quasi un anno), io vi trovai,
sdegnata
vi sgridai, ma poi veduto
ch’egli
v’era consorte infino adesso
v’ho
tenuto di mano; ma cognata,
40 egli
è pure scortese
a
non chiedervi in moglie; è il nono mese
che
già gravida siete,
e
né voi né lui, non ci pensate.
Ne vo scandolezzata.
lucrezia Come?
Quando?
45 Ascanio
mi dicea
che
le baie faceva,[14]
dunque
così s’ingravida scherzando?
Dite
chi ve l’insegna?
leonora Lucrezia siete pregna,
50 intendete
il linguaggio?
Farvi
purgare a maggio
nostro
padre voleva
ch’infesta
vi credeva, ma in verità
prima
d’aprile la rosa fiorirà.
55 lucrezia Uh, mi casca le braccia
in
dieci mesi soli, e sette dì
acconciarmi
così,
bella
discrizzionaccia![15]
Sapev’egli far altro?
leonora In
questa sera
60 ditegli quant’occorre.
lucrezia In quant’io sento
il corpo grosso, ma se fusse vento
gli
ho a dir la bugia?
leonora Sì,
vento, a punto,
ci giocherei a maschio.
lucrezia Ohimè,
in malora,
caso che questo fusse
65 mia
madre sol m’ammazzaria[16] di busse.
leonora Per questo abbiate ingegno, e presto fate
ciò
che vi dissi; non piangete.
lucrezia Oh
Dio!
leonora Ci son per l’ossa,
e per la pelle[17]
anch’io.
Scena seconda
Lucrezia.[18]
Amor
non più alla fè,
s’a
bene io n’esco
m’intresco con te.
Amor
non più alla fè.
5 Ma
se stai nel mezzo al seno
dimmi
dunque traditore
in
che modo il tuo veleno
gonfia
il corpo, e non il core.
Per
questa volta
10 tu
m’hai colta, rimedio non c’è.
Amor
non più[19] alla fè.
[ecc.]
Scena terza
Anselmo,
Piero.
anselmo Una fanciulla in casa è un gran pensiero,
ma
faccia Dio un giorno
si smaltirà anche questa;[20] Piero, Piero.
piero Signore? (Piero starnuta)
anselmo Il ciel ti salvi.
5 piero
È ta , ta, ta, ta,
anselmo Ma sono stracco.
piero ta, ta, egli è
tabacco.
anselmo Ti salvi ad ogni modo
piero E
anco, co, co,
anselmo e digli che Mengaccio...
piero co...
anselmo m’ha scritto...
piero co...
anselmo che
la fattoressa
10 si
morirà tra manco d’un’ ora.
piero co, co, e voi
ancora.
anselmo Maladetto linguaggio.
piero Corro,
e torno
in
un mo, mo, momento
più furioso del vento.
Scena quarta
Anselmo,
Leonora.
leonora Signor suocero. Appunto,
l’è
polveroso: mostri,[21]
ho
caro di vedervi
anselmo Fate i comodi vostri,
5 guardatemi
pur tutto.
leonora Si racconci il cappello.
Chi
fu una volta bello
non
può mai essere brutto.
anselmo Che nuora benedetta!
leonora Adesso
giusto
10 il
mio signor consorte
m’ha
imposto ch’io gli dica
ch’ha
impromesso un festino come s’usa
tra
parenti e amici a porta chiusa.
anselmo Se bene è mio figliolo,
15 questo
vostro marito è un gran fagiolo.
Un
festino a ogni poco !
leonora E quel ch’importa più, tutti di gioco.
[(a parte)] Voglio finger anch’io.
anselmo Vedo che gli
altri
con
un bel complimento
20 fan
conto, che chi prega cianci al vento.[22]
Alcuni
poi più scaltri
buscano
in far festini
torcie, acque, candelotti, e biscottini.
Ma
questo pisellone
25 alla
prima s’arrende,
e con farsi burlar sta
chiotto, e spende.[23]
leonora La
spesa è quasi nulla,
et
ha gusto la gente
di
ragionar con voi, che veramente
30 sete
un’arca di scienze.
anselmo Del
sapere
m’ho
per sette compagni; ed una volta
ch’io
fui già tratto potestà di fuora,[24]
se
ne favella ancora.
leonora Se
gli piace
mando
a invitar le dame.
anselmo Uh, ch’imbarazzo,
35 ci
vo di mal in gambe.[25]
leonora Mio
marito
si disgusta senz’altro, e se si svia,
creda
vosignoria,
vuol
attaccarsi al gioco.
anselmo Pur che si spenda poco,
40 me
ne contento.
leonora Oh,
bene,
quest’è
aggiustata; Betta?
Scena quinta
Leonora,
Betta.
leonora Ascolta.
betta Dite.
leonora Corri
dove tu sai, e
menalo qui a un tratto,
che non paia tuo
fatto.
Che fa la
vecchia?
betta La
si veste.
leonora Il
tempo
5 è approposito giusto.
Addio.
betta Che bel trambusto
vuol essere una
volta !
Se bene io fo la
stolta
so quasi quasi
dove il merlo cova,[26]
10 le si
fanno l’un l’altra a giova giova.[27]
D’amor nell’impresa
chi adopera
parenti
fuggendo cimenti
risparmia la
spesa.
15 A
chi può,
e che lo fa,
buon pro, buon
pro.
La birba che sa
all’altre
20 men
scaltre
l’insegni in
carità, che presto è intesa.
D’amor nell’impresa,
ecc.
Scena sesta
Petronilla,
Lucrezia.
petronilla Festino? E chi comanda?
lucrezia Il signor padre.
petronilla E poi
vuol pretendere
il lucco[28]
questo vecchio barbogio.[29] Il badalucco
5 mi
piace a casa d’altri.
lucrezia Siam pur di Carnovale?
petronilla Carnovale o Quaresima
ell’è quella medesima;
padrona
sono io.
lucrezia Se
gl’ha promesso
10 vorrà
osservar ancora;
e ch’è un bambino
il vecchio?
petronilla Ti sbarberò un orecchio.
lucrezia Adagio.
petronilla Ti
darò.
lucrezia Se
tanto il caso
voi sete a dare;
datemi un pò marito.
15 petronilla Tu sei pure sfacciata!
Non eri già, ma
questa tua cognata
finalmente t’ha
guasta.
lucrezia La vostra nuora è una giovane
di pasta,[30]
in bontà non ha
eguale,
20 ma voi
apporreste al sale.[31]
Vo a rassettarmi
i ricci.
petronilla Et
a che fine?
lucrezia Per questa sera.
petronilla Se
il cervello mi dura
perdi la lisciatura.
lucrezia S’ha da fare il festino,
25 sì, sì che
il signor padre ce l’ha detto.
petronilla Non la sgarerà certo.[32]
lucrezia Anco
a dispetto
di chi non vuole.
petronilla Oh,
frasca. (Le dà un ceffone)
lucrezia Ohi, ohi, ohi, ohi.
anselmo Ch’è
stato?
Scena settima
Anselmo,
Petronilla, Lucrezia.
lucrezia Ohi, ohi, ella m’ha dato.
anselmo Perché?
petronilla Perché
m’è parso.
anselmo Sentite che risposta.
Chi son io, Pippo,
o Brogio?[33]
5 lucrezia La vi ha detto barbogio. (parte)
petronilla L’ho detto e di bel nuovo
lo riconfermo.
anselmo A
me?
petronilla A
voi sì, sì,
fantoccio
rimbambito.
anselmo Oh
che bordello,
crescono
gli anni e vi scema il cervello.
Che sghiribizzo è
questo?[34]
petronilla Aver
in casa
10 nuora giovane...
anselmo Intendo.
petronilla La figliola fanciulla...
anselmo Non
accade
cinquettar più.
petronilla Uh,
capaccio?[35]
E pure
ci volete star
sodo?
Conoscete l’error?
anselmo Fatevi conto
15 Che io l’arciconosca.
Ma vo’ fare il
festino ad ogni modo
in quanto a casa
mia
s’ha far veglia,
giocare,
discorrere, e se
state a borbottare
20 c’attacherò l’insegna da osteria.
petronilla Sentite che parole?
Ma fino a che
terrò questi occhi aperti
le nuore e le
figliole
di viver più ch’oneste
sian sicure.
25 anselmo No, chiudeteli[36] pure
per la prima
occasione,
che senza
pregiudizio
della reputazione
io saprò
custodirla accorto, e lesto,
30 e mi fate del
resto un gran servizio.
petronilla Che discorsi di pazzo?
L’ho intesa,
mando or ora
pel mio fratel
dottore,
e intender li
farò che s’apparecchi
35 a sturarvi gli
orecchi.
anselmo Ch’è il signor Odoardo?
petronilla Quello
appunto.
anselmo Venga pur sua eccellenza.
Quando fu meco in
Colognole giudice
ne fece delle
sudice
40 in ogni sua
senza:[37]
si leggeva citato
in qua, e in là
il
cornucopia
dell’asinità.[38]
petronilla Che vi caschi la lingua!
Tacciar un uom sì
dotto!
45 S’io mi vi caccio
sotto,[39] giuro al cielo
di strapparvi la
barba a pelo, a pelo.
Un uom sì da
bene, e sì sincero?
anselmo Petronilla, gl’è vero
più onorato di
lui certo non fue,[40]
50 ma in dottrina gl’è
bue: sentite questa
se la fu sterminata.
Non seppe chi facea la serenata,[41]
m’ebbe a far
impazzar quell’anno.
petronilla Voi
sete un merlotto,
e con una parola
55 a creder vi si dà
l’asino vola.[42]
Ma questo poco
importa:
non
vo’ festino.
anselmo Adagio
col non voglio,
madonna.
Io comando le
feste, et a voi tocca
60 il fuso
maneggiar, l’aspo e la rocca.
petronilla E siete risoluto?
anselmo Oh,
bene.
petronilla Et
io
strapazzata rimango.
anselmo Drento[43] al cervello i miei pensier stan fissi,
Filandro m’insegnò,
quod dissi,
scrissi,
65 e malus est far le parole fango.[44]
petronilla Un consorte d’età
alla disperazione
conduce, e venir
fa
la tentazione.
70 Se si resista
quanto s’acquista?
Di
far manco peccar il mondo trovane
d’un
marito ch’è vecchio, un diavol giovane.
Scena ottava
Petronilla, Betta, Fernando.
betta Padrona, gl’è
arrivato
quello di che vi
scrisse
vostra sorella
appunto l’altra sera.
Gentiluomo cred’io, ma non ha cera.
5 petronilla Presto corrigli incontro,
servilo, e con
creanza
digli che qui l’aspetto.
Tengo ferma
speranza
col maritar
Lucrezia a quel ch’ho inteso
10 di scaricarmi alfin da tanto peso.
betta Passi a comodo
suo.
petronilla Venga.
fernando Mi
scusi
della mala
creanza.
petronilla Come, lei m’ha onorato.
fernando Mi coprirò perché sono infreddato.
15 betta Vo’ sentir quanto dice.
petronilla Che
m’impone?
fernando Sappia vosignoria
ch’ho mezza
fantasia in questo verno
di pigliar donna
per aver governo.
Che me ne dice
lei?
betta Uh,
barbagianni![45]
20 Tu non intendi il
giuoco:
per farti
governar sui sessant’anni,
in cambio della
moglie piglia un cuoco.
petronilla Se meco si consiglia
per esser ella
sol della famiglia,
25 e facultoso assai, a mio parere
dico che non
indugi.
Così vuol il
dovere,
Et umano, e
divino.
betta Fra tanto tira l’acqua
al suo mulino.
30 fernando Senta un pò il
mio pensiero.
Ho geneologia drento alla testa
di conoscer ben ben dal bianco il nero.
Per la vostra
figliola
un partito
suppongo.
35 petronilla Ella vuol dir propongo?[46]
fernando Come gli piace, non intendo certo
disputar
seco.
petronilla In
oggi per non dare
in rompicolli,
signor mio, si suda.
fernando Se la vostra fanciulla nuda e cruda
40 voi mi volete
dare, io ve la doto
di tre mila ducati.
petronilla E tal capriccio
anche a vostra
sorella
avete palesato?
fernando Sicuramente, et ella
45 ha molto giulebbato.
petronilla Giulebbato?
Che cos’è
giulebbato?[47]
fernando Vo’ dir io
che n’ha fatto
allegrezza.
petronilla Ah, giubilato,
voleva dire.
fernando Signora
sì, non bado,
pur ch’il senso
non guasti,
50 a due o tre
parole.
petronilla Si compiaccia
di tornar tra due
ore.
Parlerò a mio marito,
e
la ringrazio intanto del favore.
fernando Verrò del certo, la mi tenga a mente.
55 petronilla La spero consolata.
fernando Per aver
tre mila scudi
son buona derrata.
betta La s’avvia pur
male.
S’Anselmo sente
il suono
60 delle monete, affé
di quel che sono
e non ci mette su
olio, né sale
conclude il
matrimonio,
e di mie furfantate
il nodo viene al
pettine,[48]
65 e tocco più
mazzate
che numeri non
sono nelle librettine.
1
Padroncine
benedette
delle
vostre furberie
scoprirassi in questo die
70 com’andò
e come stette.
Ora
si che siamo acconcie.
Misericordia,
oh ciel, con le bigoncie.[49]
2
S’io
l’ho dire in confidenza
ho
nel capo un’oppinione
75 ch’abbia
a darci fra bastone
del
peccar la penitenza.
E
già sento
dover
l’unguento consumar ad oncie.[50]
Misericordia,
oh ciel, con le bigoncie.
scena nona
Piero.
Son le serve in
conclusione
una man di bu, bugiarde,
su, su, sudice,
infingarde,[51]
assassine del
padrone.
5 Ma questa Betta
diavola
di farmi burle è
in fregola,[52]
che in casa son
la favola
d’ogni pe, pe,
pettegola.
Se me ne fa, fai
più
10 non solamente
tu
ma anco, co,
ancor
che la terra m’inghiotti,
se io non vi do
qua qua
qua, quattro
calci sodi nella trippa.
15 Ha mescolato
insieme
il liquor del
boccale
con quello dell’orinale,
io l’ho beuto,
razzaccie sporche di be, be, be, be, be,
scena decima
Anselmo, Piero.
anselmo Piero? Piero?
piero be, be,
anselmo Che risposta mi dai?
piero be, be, be, be,
anselmo Egl’è tanto in valigia[53]
piero be, be be, be,
anselmo che
non m’ha conosciuto.
5 piero be, be,
anselmo E
chi son’io, di che t’ho cera?[54]
piero di be, becco
cornuto.
anselmo Che leggiadro saluto!
piero Signor esser non
voglio
delle serve
strapazzo,
10 o ch’io men anderò.
anselmo Pierino mio, no, no,
gl’è di casa il
sollazzo.
Che disse mia sorella?
piero Che, per la fattoressa
si dispera,
15 e che verrà a
vedervi in na, na, na, na,
anselmo Ecco l’intoppo.
piero na, na,
anselmo Ci vuol l’argano.
piero na, na,
anselmo Il più bel passatempo,
piero na, na,
anselmo s’ho visto in vita mia,
piero na, na, na,
na,
20 anselmo che mi venga la rabbia.
piero innanzi
sera.
anselmo No, no, non tanta fretta.
scena
undicesima
Anselmo,
Ascanio, Betta.
betta Venga pian, piano.
anselmo Betta?
Chi è codesto ch’hai
teco?
betta Oh, fortunaccia,
non lo vedete
voi?
anselmo Eh,
padron mio?
5 Andar per casa
altrui chi v’ha insegnato
col
posa
piano a piedi,[55]
zitto, ratto e
acquattato?[56]
betta È egli altro ch’un
uomo? Ei non ci viene
per male.
anselmo O male o bene
10 chi te ne cerca?
Lascia parlare
a lui.
betta Se
voi lo sbalordite,
venite via,
venite.
Padrona, ecco
qui.
anselmo Dove
sian noi?
scena
dodicesima[57]
Anselmo, Ascanio, Betta, Leonora.
leonora Fortuna ladra.
betta Adesso
sbrigatela da
voi.
anselmo Nuora, ch’intrigo è questo?
leonora Appunto
ieri
betta [(a parte)] Trovale bosco.[58]
leonora la nostra vicina
5 qui,
la signora Frasia,
anselmo La conosco.
ascanio [(a
parte)] Or si scuopre l’inganno.
leonora m’ha
pregato
che accomodi da
donna
il signore suo
fratello,
dovendo questa
sera
10 recitare in
commedia. Io le promessi
mentre però che
sia
con la licenza di
vosignoria.
anselmo Il far servizio,
ma senza
pregiudizio,
15 a tutti mette
conto,
ma noi ch’abbiamo
in casa
che stiamo a
tanti d’occhi: a più non posso
uso ‘l tagliare
altrui la legna addosso,[59]
20 però se voi
potete con bel modo
sbrigarvi dall’impaccio,
io ve ne lodo.
ascanio [(a
parte)]
Fin qui non c’è ruine.
leonora Devo dirvi
signore adesso
anselmo Faccia.[60]
leonora che questo giovanotto
25 della
Lucrezia
è cotto.[61]
anselmo Tanto peggio.
leonora La desidera in moglie.
anselmo Cerca
guai.
leonora Ve n’allontanereste?
anselmo In quanto a dote
come pretende assai?
leonora [(a
parte)] Ora si cala![62] [(ad alta voce)]Nulla,
30 la vostra buona
grazia, e la fanciulla.
anselmo Che bell’aspetto d’uomo? Nuora, udite
chi ve l’ha
detto?
leonora La sorella; e certo
non mancherà,
purché vi contentiate.
anselmo Io me n’arcicontento.[63]
35 Sparmiar la dote?
leonora [(a parte ad Ascanio)] Non lo disgustate.
tenete ben il lazzo.
ascanio Mio
signore,
scusimi dell’ardire,
non ci sarei
venuto
mentre avessi
creduto
40 di disgustarla.
anselmo E che se ne vuol
ire?
Ohibò, non parta
no. Io disgustato?
Che tanto
dilettato
mi son delle commedie
in vita mia?
Si vesta, spogli,
stia,
45 venga, vadia,[64] è padrone.
leonora Oh, che vecchio minchione?[65]
ascanio Il favore rifiuto
per non recargli
briga
anselmo Il negozio s’intriga
50 la figlia senza
dote, eh?
leonora Vel giuro,
tornate a
ripregarlo.
anselmo Del
sicuro
che m’avete per
semplice? Del certo
vo’ ricever l’onore
ch’ella si vesta
in
casa mia.
ascanio No,
no.
anselmo In
quella stanza
55 entri. Nuora,
acconciatelo all’usanza.
Com’è bello il suggetto?
Ci ha gran parte?
ascanio A bel modo.
anselmo È ridicola?
ascanio Poco.
anselmo Non darà gusto, e questo è quel ch’io
predico.
60 Vuol esser
allegria.
Giuro a vosignoria
ch’io gnene vo’ far
fare una al mio medico.[66]
Entri in camera.
ascanio Accetto
l’offerta.
anselmo Passi,
e voi
65 aggiustatelo
bene.
leonora Sola
non posso.
anselmo Manderò
leonora Non abbia dubbio.
anselmo Queste
son le nuore d’assai.
Marito la
fanciulla,
70 o, che fortuna è
questa,
et in baggiana,
la pecunia resta.[67]
Scena
tredicesima
Anselmo, Lucrezia.
anselmo Lucrezia, olà, Lucrezia.
lucrezia Il
tutto intesi
di sotto la
portiera.
anselmo Olà.
lucrezia Signore.
anselmo Come stai?
lucrezia Gran
dolore
che sento in
questa gota.
5 anselmo L’è poi to madre,[68] abbi pazienza. Passa
là
in camera.
lucrezia Chi
v’è?
anselmo La
tua cognata.
lucrezia Vo’ far la sempliciuccia.
Chi altri?
anselmo Un
che si veste
da donna.
lucrezia La
mi garba,
10 sarà donna da
vero.
anselmo No.
lucrezia Sicuro
che deve aver la
barba.
anselmo E non ha barba.
lucrezia Oh,
questa si ch’è bella!
Se non ha barba,
e porta la gonnella
certo che sarà
donna.
15 Io ho inteso dir
sempre alla gente
che tra l’uomo, e
la donna in coscienza
evvi di differenza
la barba, e la gonnella
solamente.
Che vi è qualch’altra cosa?
anselmo Doman l’altro
20 riparlerem a lungo. Entra
et assetta
quel
giovane.
lucrezia Ohibò,
e’ v’è un uomo, no,
no.
anselmo Che
purità
che solenne
onestà, via muovi il passo.
lucrezia Povera me.
anselmo Va
drento.
lucrezia Io
no.
anselmo I’
t’ho inteso
25 ti porterò di
peso.
lucrezia Ma se poi
me madre viene,
avete a sentir voi.
anselmo Io serrerò la porta,
non dubitar.
lucrezia Così
tengo discosto
dal mio cor la paura.
30 Godendo alla
sicura
gli vendo il sol
d’agosto.[69]
scena
quattordicesima
Anselmo, Petronilla.
petronilla Chi è entrato in quella camera?
anselmo Un
po’ manco
collera, signorina.
petronilla Mi è parso un uomo.
Anselmo Piano
non v’accostate.
petronilla Aprite
5 voglio disingannarmi.
anselmo Quivi
drento
v’è di Frasia il fratello,
quel giovanotto
bello,
con
petronilla Presto, che egl’esca fuora.
10 Olà, soccorso,
gente in cortesia,
che questo
vecchio matto
alla reputazion di casa mia
fa dar l’ultimo
tratto.
anselmo In quella sua linguaccia per dir male
15 vi covan le cicale.[70]
petronilla Aprite dico.
anselmo In
là, in là.
petronilla Il
demonio
m’accieca.
anselmo Sì
gracchiate,
non m’hanno a far
le vostre cicalate
guastare una
commedia e un matrimonio.
20 petronilla Che fan eglin là dentro?
anselmo E
che gli veggo?
petronilla Come v’è egli entrato?
anselmo Per l’uscio?
petronilla La
rovella mi rinforza.[71]
Chi gl’ha dato
licenza?
anselmo Ve l’ho fitto per forza.
25 petronilla Sempre di male in peggio.
Per via di
magistrato
vo’ levarvi il
maneggio,
sete pazzo
spolpato.[72]
anselmo Che flemma aver bisogna.
30 Ma se giordan si scioglie
l’aggiusto:[73] pria ch’aver tre mesi
moglie
vorrei portar un
secolo la rogna.
Non occorre accostarsi
che non ci avete
a entrare: so quel che fanno
35 quando sarà
finito, gl’apriranno.
petronilla L’inghiotto malamente, aprite.
anselmo Oh,
bene,
e la rappiccia il moccolo.[74]
petronilla Son’ io forse uno zoccolo?
anselmo O zoccolo o
pianella[75]
40 non gli avete a
dar noia. Oh quest’è bella,
andate via di là.
petronilla Sentite
almeno.
anselmo Dite l’ultima.
petronilla A
lei
convien andar
innanzi.
anselmo Con
costei
certo che la mi
scappa,
45 partitevi in mal
ora.
petronilla Io mi spedisco or ora,
porgetemi l’orecchio.
anselmo Non
vi vo’ porgere
neanche il naso.
petronilla Ci
faremo scorgere
anselmo O via su dite presto
petronilla C’è un
partito
50 per
d’un che la dota
di tre mila scudi.
anselmo E da noi quanto chiede?
petronilla La ragazza, e non altro.
anselmo Quant importa
aver un padre
cima d’uomo. Teco,
55 moglie mia, dir
la posso:
fa il mondo a
gara a imparentarsi meco.
Io non ci so veder spina, né osso.[76]
L’è sua. Ditemi
il nome.
petronilla Egl’è
il cognato
del signor
Filiberto.
60 anselmo Canchero, un uom
esperto, ricco, e solo.
Lucrezia, Leonora?
Mandate colui fuora.
Spalancate la porta.
lucrezia (di
dentro) Non s’è ancor finito.
65 leonora (di
dentro) Non è punto vestito.
anselmo O vestito o spogliato non importa.
petronilla Che zuppa è questa?
anselmo Presto
signor
Ascanio: scudi tremila?
ascanio Che
comanda?
scena
quindicesima
Anselmo, Leonora, Lucrezia, Ascanio, Petronilla.
anselmo Scusi s’io non gl’osservo
quanto gl’aveo promesso
non
m’essendo permesso
per giusti
impedimenti.
ascanio Io
gli son servo
5 nel medesimo
modo.
anselmo Vadia a vestirsi
altrove.
petronilla Ohimè,
quest’uomo
quanto in
dolcezza pecca?
lucrezia Uh, povero ragazzo,
e ch’occorreva
farli la cilecca?[77]
10 Vi fate stimar
pazzo.
ascanio Le reverisco mie
signore.
anselmo Piero
servi al signor
Ascanio.[78]
lucrezia Questa
sera
v’aspetto.
ascanio Sì,
verrò.
lucrezia Datemi il pegno.
ascanio Pigliate, addio.
petronilla Ch’è
quello?
15 Ch’ei t’ha dato?
Di’ su?
lucrezia Il
mio cappio bello[79]
ch’io gli voleva
mettere in testa.
petronilla Sì
è,
si vestiva da
donna.
leonora In
somma, sempre
la suocera s’incoccia[80]
di farmi rimanere
una fantoccia.[81]
20 petronilla Non so che vi diciate,
mi
maraviglio?
anselmo Zitte,
Lucrezia va di
là.
lucrezia Ecco, ma voglio
sentire ad ogni
modo tutto l’imbroglio.
anselmo Petronilla, lasciate
25 ch’io parli con
la nuora a solo a solo.
Lei non ha tutti
i torti.
petronilla Aprite
gli occhi
che la non v’infinocchi.
anselmo Ha da far meco.
È vero io vi
promessi
30 dare ad Ascanio
leonora E
bene?
anselmo Ma ora poiché viene
un’occasione
migliore
non devo
mantenervi.
leonora Oh,
mio signore
troppo la mi
strapazza.
35 anselmo Non vo’ pregiudicare alla ragazza.
leonora Giuro per vendicarmi
di far cose
diaboliche: ogni giorno
garbacci.[82] In questa casa ho messo
anch’io
la dote, e poi [(a parte)] può fare il mondo rio,[83]
40 [(ad alta voce)] ci sono lo strofinacciolo del forno;
ma mi vendicherò.
anselmo Ora
mi salta
il moscherino:[84] e come?
leonora Quando
d’altri
fuor
che d’Ascanio
vo’ farli un
giuoco bello.
anselmo Ma verbigrazia.
45 leonora A
forza di malia
partorirà prima
di aver l’anello.
anselmo Se s’è questo incantesimo trovato,
quante senza
peccato ammaliate
prima che sposa,
gravide son state.
fine del
primo atto
Atto secondo
scena prima
Gismondo, Leonora.
gismondo Finché quest’uomo campa
soffrir
bisogna.
leonora Troppo,
marito
mio, contrasta
vostra
madre con me; trova ogn’intoppo
5 per
appormi,[85]
ed a torto ed a ragione
lo
spirit’è della contraddizione.
gismondo Le
vecchie per usanza
son
tutte stravaganza,
nemiche
delle giovani.
leonora E
perché?
10 gismondo Vi
dirò com’ell’è.
La
donna benché invecchi mai non perde
quelli
stessi capricci
ch’ell’ebbe in gioventù di veste, e ricci
e
d’altre faccende,
15 quando
carica d’anni poi si rende,
soddisfarsi
non può, quindi arrabbiate
queste
donne attempate
alle
giovani danno ogni martoro
perché
le fan quel che vorrian far loro.
20 Ora
s’avvicina l’ora, ch’al festino
vi
prepariate; in tanto
s’accomodi
la stanza, e
si
lasci veder poco.
leonora Queste nozze
non
mi son punto grate.
gismondo Il colpo è buono.
25 leonora Per me troppo mortale.
S’avvien
che si discopra
ch’ebbi
parte in quest’opra
di
me che sarà?
A
donzella che non sa
30 per
l’empio mar d’amor volger le vele
chi
pietosa si fa, divien crudele.
Per
l’acque del gioir,
nel
porto del martir rapida corre,
sommergendo
con se chi la soccorre.
35 Incauta
tra quest’onde
per
Lucrezia spirai aure feconde
e
seco deggio intanto
misera
naufragar nel proprio pianto.[86]
Scena seconda
Lucrezia, Leonora.
lucrezia Leonora intendeste?
Io,
moglie di Fernando?
Io,
d’altri che d’Ascanio? Ho solo un cuore.
Gradirò
ben la morte,
5 ma
non altro consorte.
leonora Non ha luogo la speme
tra
le nostre sventure.
Non
più con varie usanze
di
busti e guardinfanti
10 posso
il parto occultarvi. Oh, cara, quanti
tormenti ci prevedo.
lucrezia Per
ancora
disperarmi
non voglio. In questa sera
vuol
fare Ascanio mio l’ultime prove
dell’amor
suo.
leonora Il
cuore
15 mi predice ruine.
lucrezia Se il vecchio me gli nega, io seco fuggo.
Così siam di concerto.
leonora Et
io mi struggo
che
omai ne giunga l’ora.
lucrezia Vien mio padre.
leonora Frattanto
20 cercate
di piegarlo.
lucrezia Con muine e col
pianto
vi prometto piegarlo.
scena
terza
Anselmo,
Lucrezia.
anselmo Lucrezia, tu sei qui.
lucrezia Al
suo comando.
anselmo Questa sera verrà il signor Fernando
a
toccarti la mano.
lucrezia Et
a che conto,
che pretende da me?
anselmo Io
te gl’ho dato
5 per legittima sposa.
lucrezia Uh,
gl’è attempato!
anselmo Che vuoi tu dir per questo?
lucrezia Vo’ dir che rimarrei vedova presto.
anselmo Prim’oggi che domani.
lucrezia Dio me ne guardi pur, sarei dei cani,
10 prima
che restar vedova vorrei
morirmi
allo spedale.
anselmo Perché?
lucrezia Perché
tutti ne dicon male:
uno le chiama
merle, un musi auzzi,
un cova caldanuzzi,[87]
15 e mill’altri
nomacci. Io vo’ uno sposo
che duri un pezzo.
anselmo Falla
un po’ finita
lucrezia Ascanio credo, ch’abbia lunga vita.
Datemi
lui, signor padrino.
anselmo Voglio
il
tuo bene sciocchina.
20 Tre
mila scudi è quel che fa la penna.[88]
Tu
sei una regina.
Ma
tua madre m’accenna,
addio.
lucrezia O
me infelice!
Ora
comprendo si, che il vero dice
25 Leonora,
e per dove il guardo giri
ravviso
i miei deliri.
Spiega
incauto amor il volo
del
diletto dalle sfere,
e
nel pianto a cader va.
30 Dalle
sponde del piacere
si
precipita nel duolo
senza
freno d’onestà.
Su,
mio core,
l’empio
Amore,
35 onde
teco venga meno,
con
le lacrime mie, fuggi dal seno.
scena quarta
Betta.
Chi
una volta inciampò nell’esercizio
d’esser
mezzana al traffico d’amor
ha
sempre il pizzicor
di
far servizio.
5 Donna
ch’ebbe quel male ne’ membri sui
no,
no, non può veder patir altrui.
Ascanio
poverello
una
carta mi diede
acciò
la porga
10 alla
Lucrezia, e pure a quel che sento
dev’esser
disperato il suo tormento.
Ma
quel tartaglia spia
scopre
ogni maccatella.[89]
Mi
venga la rovella
15 s’io
non lo fo di casa mandar via.
scena quinta
Betta,
Piero.
piero Be, Be, Be, Be,
betta Ti
dia nel collo.
piero Be, Be,
Betta, Be, Be,
Be, Betta?
betta Che vuoi?
piero La,
la, la la,
betta
e piero a due la
bella,
la
bella margherita.
piero E
no.
betta A darti
5 mente.
piero La,
la, la la,
betta E
che sarà?
piero la, la,
betta Tanto
poltrona.
piero la, la, la, la
padrona
comanda
che si spazzi,
si spolverin gli arazzi
10 s’accomodin le sedie, e ‘l tavolino.
betta Che vuol fare il
festino?
piero Ha invitato le
dame.
betta Diascolo, empile
mai.
piero Zitta,
ciarpiera,[90]
che,
che, che, che, che,
15 che,
che, ch’importa a te,
o
in un modo o in un altro hai da far sera.
betta Ch’hai tu in mano?
piero Una lettera.
betta Di
chi?
piero Della dama.
betta L’è
bene.
piero No, di me ma, me
ma,
betta Quella
che scrive,
20 una sciocca, una porca.
piero me ma, me ma, me
madre.[91]
betta Et io non mi
disdico.
piero E
va alla forca.[92]
betta L’hai letta?
piero No, no,
pe, pe, perché non so.
25 betta Mostra.
piero Guarda.
betta [(a parte)]
Or l’aggiusto
per
il dì delle feste. [(a Piero)] Piglia,
appunto
viene
il padron per di qua.
Lui
te la leggerà.
Addio,
Piero, vorrei
30 piero Che?
betta vederti
frustato innanzi sera.
Scena sesta
Piero,
Anselmo, Petronilla.
piero Ed io te, te, in ga, ga,
anselmo Ah,
furfante!
piero in ga, ga,
anselmo A
mano a mano è sera,
possa
vederti in gogna.[93]
piero io te in galera.
5 petronilla Cacciatelo in malora.
anselmo Per altro è buon servizio.
piero Eh,
padroncino
per
carità leggete
quanto
mia madre scri, scri, scri, scri, scrive.
petronilla Anco questo imbarazzo.
anselmo Senti.
piero Legga
10 vo,
vo, vosignoria.
anselmo (lettera)
Alma dell’alma mia,
petronilla Che
bel cecino.[94]
anselmo la
vostra gran bellezza,
piero Quest’è vera,
mi
so, so, so, so, son visto alla spera.[95]
anselmo la vostra
gentilezza,
15 piero Che garbata me
madre![96]
La
mi vuol così ben perché somiglio
nel
viso, e nel parlar, tutto me padre,
che
uomo di sapere!
anselmo Era dottore?
piero Più.
20 anselmo Che faceva?
piero Il
barbiere.
petronilla Sbrigatevi.
anselmo d’amore
m’hanno
legato il core.
Già
che gravida siete,
piero Che mi co, co
corbellate,
25 leggete
bene.
petronilla C’è
malizia.
anselmo E pure
dice
così.
piero Sicuro?
anselmo Lo
cred’anch’io.
Già
che gravida siete,
bisogna che
pensiate
a
fuggirvene meco come dissi,
30 cara Lucrezia
mia.
petronilla Che?
che? mi giunse
nell’anima
uno strale.
piero Voi leggete pur
male.
anselmo La
comincia
a
dar cattivo odore.
petronilla D’ogni
cosa vi
siate
la cagion voi.
anselmo Di
dove avesti
35 quella
lettera?
piero Dalla
scena settima
Anselmo,
Petronilla, Piero, Ascanio, Lucrezia.
.
piero po, po,
lucrezia Ci
siamo intesi.
piero po, po, po,
ascanio Ecco i vecchi.
piero po, po, po,
po,
petronilla Vuol
dire
dalla
posta.
piero Sì,
sì, sì,
ma se voi
lo
sapessi,[97]
perché
5 ne
domandate a me?
petronilla Ah, infame.
anselmo Zitta
pure. Vostro padre
se ad altri
pensa darvi
doverà farla meco, e vostra madre
è una gran
scimunita.
petronilla Ah,
furfantaccio.
10 ascanio Quella è lettera mia.
anselmo Che dici?
piero Adesso
capisco
se, se, se, se,
petronilla Che vorrai dire?
piero se,
se,
lucrezia E
sempre nasce
qualche
sventura.
piero se,
se,
ascanio Che bel ripiego mi sovviene.
lucrezia Dite
piano.
15 piero se, se, se,
sentite.
petronilla Trovala, sciagurato.
piero In
cortesia
no,
no, non ci addiriamo.
Quella
lettera è scritta
in
latino, e però non l’intendiamo.
20 anselmo Oh, questo può ben essere.
lucrezia Sì,
sì,
facciamo
pur così, signor mio caro,
se
in camera lasciato
una
lettera avrà
la se gli renderà.
ascanio Signor
Anselmo,
25 la
carta è d’importanza
e
dentro quella stanza
restò
sicuramente; io la rivoglio.
anselmo Eccoti un altro imbroglio.
petronilla Furbo,
furbo.
anselmo Oh, diavolo.
ascanio Mostrate.
30 Il
carattere è mio. Ecco la carta
ch’io
ci lasciai, e a questa creanzaccia
si
richiede il pugnale in su la faccia.
petronilla Adagio un pò,
smargiasso.[98]
anselmo Non l’inasprite. Piero,
35 donde
avesti la lettera?
ascanio S’altrove
ch’averla
ivi trovata ei dirà,
certo
ne mentirà.
E
ben che voi qui siate,
io
lo conficcherò di stillettate.[99]
40 Rispondi
presto.
anselmo Il
baco
lo
morde malamente.[100]
piero Io
vi giu, giuro
che cre, credo d’esser imbriaco[101]
e
non me ne ricordo del sicuro.
ascanio Il vino si castiga col bastone.
45 anselmo Oh, non vedete voi ch’egl’ha
ragione,
più
flemma, moglie mia. Su, porco indegno,
levamiti
d’innanzi.
piero Co, co, con
questa scusa
d’un
po’ di bravatella con l’ingiuria,[102]
50 delle
ferite ho scampato la furia.
petronilla Ne vo mal soddisfatta, ma quel nome
di Lucrezia?
ascanio Che
sola
è
la vostra figliola
a
chiamarsi Lucrezia?
anselmo Non
dia retta
55 a
quel che dice, quando
la
frenesia gli tocca,
gli
viene il mal de’ pondi nella bocca,[103]
la
non finisce mai.
M’abbia
per iscusato
60 un
equivoco è stato, e mi comandi.
ascanio M’è andata bene. Servo a vosignoria.
anselmo Ell’è sempre padron di
casa mia.
A
un po’ di cocconetto
questa
sera l’aspetto.[104]
65 ascanio Riceverò l’onore.
anselmo Cirimonie da banda,[105]
sono
a servirla.
ascanio Resti.
anselmo Non mi neghi il favore.
ascanio Come dunque comanda.
(Partono)
70 petronilla Non ne son ben capace.[106]
Qualcosa
ci è sicuro,
ma
questa chiucchiurlaia[107]
vo’
presto terminare.
E
questa sera la s’ha da impalmare.[108]
75 Fanciulle in casa, e chi
guardarle tanto può
che non sappino
un dì
qualche po’, po’.
Chi dice affé non sogna
80 che la donna in gioventù
qual puledro sempre fu
che se non rigna o salta è una
carogna.[109]
Chi giunto in vecchia età
non l’afferma verità,
85 abbia memoria de’ passati dì.
Fanciulle in casa, e chi ecc.
scena ottava
Petronilla,
Piero, Leonora.
leonora Col tartaglia ho aggiustato
il
fatto della lettera.
petronilla V’ha
dato
Piero
la risposta degl’inviti?
leonora No.
petronilla Adesso il chiamerò.
5 Piero,
Piero.
piero Signora.
leonora Desti gl’inviti?
piero A
tutte,
ta, ta, tanto alle belle ch’alle
brutte.
leonora Che risposero?
petronilla Adesso
sentiremo
le scuse.
leonora In
capo all’anno
10 ci
son per una anch’io.
piero La signora Porzia
verrebbe
a fagorirla,[110]
ma
la suocera è in villa.
leonora E poi si sa che questa
15 ha
tanto fumo in testa
che
non va, se non con conti o marchesi.
Ma
per esser parenti e qui vicini
doveva
ben venire.
petronilla Certo per l’avvenire
20 s’ha
fare un priorista di festini.[111]
piero La signora spo, sposa,
verrebbe,
ma non puole
pe,
pe, pe, per amor di quella cosa.
petronilla Di che cosa?
leonora Costei
25 se
ne strugge di voglia; ma il marito
s’è
troppo ingelosito,
ne
gira il poverello.
petronilla Dio gli renda il cervello
se
gl’ha tolto la vista.
leonora La
gli piace.
30 piero Que, que, que, que, que, quella
quella di quella volta,
leonora Chi?
piero que, quella
che
la sera è più bella
che
non è la mattina.
leonora T’intendo,
sì.
piero
leonora Lisaura?
35 piero Sì que, questa verrà.
leonora Ma
che pensate
ch’abbia
a voler giocare?
petronilla Come si dice,
orsù
alle belle tocca,
con
due storte di collo, e due di bocca,
subito
impanca.[112]
piero L’altre
40 ve, ve, vengono tutte.
petronilla Intanto
voi
fate quanto ho commesso,
mandatemi
leonora Adesso,
adesso.
petronilla Son pur male alla via,
io
paio una barona, in questa fretta
45 non
si può star rassetta,[113] faccia Dio,
son
stata bella la me parte anch’io.[114]
scena nona
Petronilla,
Betta.
betta Che volete
padrona?
petronilla Oh, bella infingardona![115]
E
con le mani in mano anco ti stai,
scimunita,
e non sai
5 che
s’ha fare il festino?
O
via, presto non vedi
che
la sala è un porcile,
la
camera un canile,
su
rassetta ogni cosa.
betta Ci
è un gran tratto
10 cara
signora mia, dal detto al fatto.
petronilla Un po’ manco parole,
per
chi servir non vuole
la
porta è aperta.
betta In
somma
chi
disse povertà disse stentare,
15 ma
chi disse servir, disse arrabbiar.
Più
durarla non si può
com’io
fo.
Sempre
con stento,
né
un momento, aver riposo
20 giorno
e notte strascinata,
mai
non poso
questa
vita tribolata.
Malamente pur la mastica,
dover far da cuciniera,[116]
25 da matrona e cameriera,
con cervel
tanto fantastico.
Malamente pur la mastica ecc.
scena decima
Piero, Betta.[117]
piero Non
ta, ta, tanta fretta.
Io
spazzerò, ma que, que,
quella Betta
di
farmi sghi, sghi, shi,
sghi, sghi, sghi,
sghiribizzi mai satolla[118]
5 con
la lettera certo
veder
m’ha fatto il diavolo nell’ampolla.[119]
Ha
fatto i ma, ma, ma
i
ma, ma, maccheron per desinare,
e
nella parte mia
10 ha messo, oh discrizione,[120]
in
cambio di cacio segatura,
e
in cambio di burro del sapone.
S’ha
un meschino
la
disgrazia addosso va,
15 come
il sei di sbaraglino[121]
se,
se, sempre ferma sta.
A
soffrir son malagevoli
delle
donne gli strapazzi,
a
voler che se gli spa, spa
20 spa,
spa, spa, spazzi
sale,
camere, e cantucci.
Ch’il
diavolo le sbucci[122]
queste
bestie irragionevoli.
Il
naso arricciano,
25 se
ben non si stro, stro
stro, stro, stropicciano[123]
tavole,
e letti,
casse,
e stipetti,
e
mena pure
30 e
per far la casa adorna
usan d’oro le co, co, co
le
co, co, co, cornici alle pitture.
E
mena pure
sempre
così
35 e
notte e dì
strafelarsi convien senz’un quattrino.
S’ha
un meschino ecc.
Che
fatica bestiale,
Betta,
be, Betta, si lascia dire
40 cattivo
sordo è chi non vuole sentire.
Oh,
Betta, Betta.
betta (affacciandosi alla portiera) Che vuoi?
piero Vieni, aiutami un po’.
betta Spazza
da te,
guidone
infingardaccio.[124]
piero Oh, pezzo
scena
undecima
Odoardo, Piero.
piero d’asi, si, si, si,
si, si,
odoardo Per qui venire
piero oh,
pe,
odoardo m’è
convenuto
piero pe, pe,
odoardo lasciar
piero pe,
pe,
odoardo di
studiare
piero oh, pe, pe, pe,
pe, pe,
odoardo il
farinaccio.[125]
5 Oh,
Piero mio.
piero oh,
pezzo d’asinaccio.
odoardo A me?
piero No,
no, alla Betta,
linguaccia
maledetta.
Ecco
il padrone.
odoardo Servo
scena dodicesima
Anselmo, Odoardo, Piero.
odoardo al mio signor cognato.
anselmo Or
son dal lei.
Piero
porta già i piatti.
piero Ecco il re, resto.
Vuol
cenar cosí presto?
5 anselmo Non ti dar tanti impacci?
Signor
eccellentissimo, che cosa
comanda
in su quest’ora?
Vuole
stare al festino?
odoardo Non posso, perché
10 devo
ritrovarmi alla curia.
anselmo Conducete ancole.[126]
odoardo Chi?
anselmo La
curia
odoardo Oh, ch’ignoranza! È di ballo o di gioco?
anselmo Di gioco.
odoardo Non
mi piace.
anselmo Non ci state a venire.
odoardo Ormai
cognato
15 dovreste ritirarvi.
anselmo Ch’io mi ritiri, o quest’è l’altra. Al
mondo
non
ho debito un soldo, e col bargello[127]
io
non ho che trattar punto né poco.
odoardo E sempre ingrossa più. Per dirla, il fare
20 tanti
ritrovatelli
ell’è una sciocca musica.
anselmo Ma dite,
a
proposito giusto
di
musica, s’avete anco imparato
dove
i musici stanno.[128]
25 Rispondete.
odoardo Oh,
garbato.
anselmo Dite, perché quell’anno
ch’in
Colognole meco vi menai
non
lo sapeste mai?
odoardo Mutiam ragionamento.
30 anselmo Ho maritato
odoardo A
chi?
anselmo Ad uno che la dota
di
tre mila ducati.
odoardo Et è persona nota?
anselmo Egl’è il re dei garbati.
35 odoardo Il suo nome?
anselmo Tremila
odoardo Il casato?
anselmo Tremila
odoardo È giovane?
anselmo Tremila
odoardo Non avete di lui altro ragguaglio?
anselmo Testa di paglia a maglio,[129]
40 meglio
che le persone
danno
i tremila scudi informazione.
odoardo È ben nato?
anselmo In
cercarlo
io
non mi ci confondo.
Sete
il bell’animale
45 mentre
nella grammatica del mondo
son
le monete il nerbo principale.
odoardo Oh, ch’avarizia! Almeno
nel
contratto avvertite,
in
simil caso io ho una lite mossa,
50 che
toccare non possa
questo
fondo dotale.
anselmo Oh
io vi giuro
ch’il
fondo della dote
non
toccherà sicuro,
l’avvertirò
ben io.
55 odoardo E voi quanto gli date?
anselmo Un’acca,
un zero.
odoardo Ma le gioie e le vesti
comprate
alla ragazza?
anselmo Non
è vero.
odoardo Non sarebbe gran spesa.
anselmo Ho de’ nipoti,
e
con tali gioielli
60 con
tanti drappi; in oggi queste spose
son
troppo lussuriose.
odoardo Che diavolo direte?
Ne
men parlar sapete.
Hanno
un senso medesimo e lusso, e pompa,
65 ma
lussurioso poi
l’istesso
che pomposo non rissuona.
anselmo Oh, balli se non suona.[130]
odoardo Mi farebbe impazzire.
anselmo Questa
sera
verrà
lo sposo in casa.
odoardo Tanto
presto?
70 anselmo Dottore, io sto a vedere,
n’avete
pur la poca discrizione.
Se
dà tre mila scudi, è pur dovere
ch’abbia
un tantino di soddisfazione.
odoardo Le fanciulle son gioie.
75 anselmo Come gioie appunto,
conforme
all’uso della piazza nostra,
chi
le vuole smaltir, le mette a mostra.[131]
odoardo Di contraria dottrina
un
paragrafo c’è.
80 anselmo Ditegli un pò
che venga a dirla a me,
gli
saprò ben rispondere.
odoardo Non mi ci vo’ confondere,
entro
da mia sorella.
anselmo Scimunito,
voler
disputar meco,
85 te
l’ho ben io chiarito.
scena
tredicesima
Piero.
Oh, gl’ è pur stravagante
questo vecchio fu fu, fu,
fu, fu, fu, fu furioso,
e tanto lu,
lu, lu,lu
5 tanto lu,
lunatico
che quanto più lo pratico
intendo
manco il suo cervel volante.
Oh, gl’è pur stravagante.
Ogni sera s’imbriaca,[132]
10 e la notte in letto ca,ca,
ca, ca,ca,
ca, ca, ca, cacca
strafizzecche
dalla testa,[133]
per darmi il giorno poi sempre martoro.
Medicargli il ro, ro,
15 il ro, ro, il rovello[134]
bisogna con pazienza.
Oh, che dura penitenza.
A tutti fa vedere
il suo bra, bra, bra, bra, bra, bra,
20 bra, bra, il suo bravare,
ché se, seco durare
non può servo, né fante.
Oh, gl’è pur stravagante, ecc.
scena
quattordicesima
Carali e Piero.
piero Schia, schia, schia, schia,
schiavetto Carali,[135]
mo, mo, morino vien qui.
carali Salamalecch’, dù star Badruna.[136]
piero Or
ora
ve,
ve, verrà.
carali Ber
ti
5 star sciamatù.[137] Dicir
pipa
tabaccu avir?
piero Vi,
vi, vi, vino
vuol
essere.
carali Biager vinù,
si donar libertà, e non bibir,
io
campar non putir.
piero Ti,
ti diletta
10 questo
paese?
carali Multo
golentieri
son
schiavù; ma sciamar
Anselma
signura.
piero Come
spesso
ti
da, danno? di?
carali Non bastuna ber mi.
15 Non
bastuna ber mi.
piero Ecco che viene
scena
quindicesima
Piero, Anselmo, Odoardo, Carali.
anselmo O via signor cognato,
date un pò di consiglio.
carali Dir
barula,
padruna.
anselmo E sempre intorno
mi
viene qualch’ arfasatto.[138]
5 Che
dice mia sorella?
Viene
al festino, o no?
carali Baura
tinir
di
muneta bagar.
anselmo Io
non l’intendo
e
né punto, e né poco. E voi dottore?
odoardo Et io ne meno.
anselmo Siam
qui tra noi
10 altrove
nol direi,
ma
s’io fussi ignorante come voi
per
la vergogna mi sdottorerei.
Che
dì tu?
carali Mi
badruna
per
ti dicir, che baura
15 di munita tinir
bagar.
anselmo E
adesso
l’avete
inteso?
carali Barlar bene.
odoardo Punto.
anselmo Né io. Piero, che fai?
piero Apparecchio.
anselmo Perché?
piero Se vo, vo, voi
fa, fa, fatto portar m’avete
i piatti?
20 anselmo Oh, che gabbia di matti!
Per giocar,
non per cena
t’ho
chiesto i piatti, stummia di canaglia.[139]
Leva
quella tovaglia.
carali Si far bona ber,
lei
25 venir.
anselmo Che
scimunito (gli dà uno schiaffo).
carali Triaca li darà.[140]
anselmo Io
finalmente
non
so raccapezzar[141] queste parole.
Adesso
manderò da mia sorella
Per
sentir quanto dice, e ciò che vuole.
30 E
voi l’avete inteso?
odoardo No.
anselmo E pure
so
che Bartolo e Baldo
vi
devono insegnare[142]
i
modi di parlare.
odoardo L’ignoranza
nel
vostro capo i suoi germogli pianta.
35 anselmo Gran dottor del sessanta.[143]
scena
sedicesima
Petronilla, Fernando.
petronilla In questo caro giorno, all’impazzata
io
mi sono un tantin raffazzonata.
Ma
in riveder le vesti
che
mi serviron già nel tempo quando
5 a
marito n’andai,
o
quanto lagrimai.
Miserella
in questo stato,
col
guardar l’antiche borie,[144]
mi
sovvenner le memorie
10 di
quel ben ch’è già passato.
Ma
dei trascorsi giorni
ten andasti bel tempo, e più non torni.
fernando Signora, son venuto
Per
la risposta, e la vostra figliola
15 O
sì, o no ch’io me l’abbia d’avere
dica
liberamente il suo parere.
petronilla Parlai con mio marito,
gli
dissi la proferta
di
tremila ducati. Ei mi rispose:
20 è
persona che merta
e
la risoluzione in me ripose.
Lucrezia
è vostra, e gran piacer mi fate
mentre
che la vogliate
se
in tutt’oggi il partito si finisce.
25 fernando La mi confondisce
con
troppi comprimenti.[145]
Or
son contento a pieno
so
che merito poco, ma lei meno.
petronilla Signor Fernando mio, non fo per dire
30 che
la sia mia figliola,
ma
l’è una coppa d’oro.
La
fa con quelle mani
gl’occhi alle pulci,[146] e poi
l’ho
allevata a minuzzoli di pane.
35 Tenitemene conto
in
su questo principio.
fernando Son molto participio[147]
di
casa loro.
petronilla La
vuol dire parziale.
fernando Basta, come lei vuole.
40 N’un
mo’, o nell’altro,[148] tutte son parole.
petronilla Passiam dalla mia nuora.
fernando Sa ella il parentado?
petronilla Io glielo dissi dianzi.
Entri.
fernando Io no,
gli asini vanno innanzi.
45 Passi
vosignoria.
petronilla La servirò.
fernando Se
bene
ho
cinquantasette anni in su le rene
mangio
di buonavoglia, come il bue la frasca.[149]
Sano
più d’una lasca
50 dormo
con appettito,
et
all’odor di moglie
mi
son da capo ai piè ringarzullito.[150]
Per
aver quelli occhi belli
Presi
il sacco per pellicelli.[151]
55 Tremila
scudi e poi? E poi, suo danno
chi
gode un dì non stenta tutto l’anno.
Viva
gli sposi e viva !
Dove
la donna arriva
porta
seco la dovizia.
60 Viva
gli sposi, e muoia l’avarizia.
fine del secondo atto
Atto terzo
scena prima
Petronilla, Lucrezia.
petronilla Io ti ci ho pur condotta.
Lodato
il cielo, egl’arrivò quell’otta[152]
che
tu vadia a marito.
lucrezia Che tormentoso invito
5 è
questo, o cara madre.
Potrebbe
essermi padre.
petronilla Non deve in simil grado
replicar
la fanciulla.
lucrezia E s’ha da pigliar vecchio, e non dir
nulla.
10 petronilla Lucrezia, egl’è dovere
obbedire, e tacere.
lucrezia Voi mi fate pur ridere,
sent’io come mi sto.
Se
voi sapessi[153]
in corpo quel ch’io ho,
direste
certo: ti sta ben lo stridere.
15 petronilla T’intendo. In altro lato
hai
rivolto l’affetto.
Ma
dell’essere sposa il gran diletto
rende
ogni mal d’amor presto sanabile.
lucrezia Ma quando ha fatto capo egl’è incurabile.
20 Non
lo voglio.
petronilla Sgraziata,
fa
la testarda, e intronfia.[154]
lucrezia Uh, mi sento pur gonfia
per
queste nozze.
petronilla Egl’è alquanto attempato,
ma
però, figlia mia, ricco, e garbato,
25 et
in tutti gli sfoggi
ch’usano
al dì d’oggi
al
pari andar potrai d’ogn’altra sposa.
lucrezia Non son punto boriosa.
petronilla Ecco qua Piero. E bene
30 sei
stato dallo sposo?
scena seconda
Piero, Petronilla, Lucrezia.
piero Sì, sì, signora.
petronilla Che disse? Presto
rispondere
bisogna.
piero M’ha detto ch’ha
la ro, ro
5 ro,
ro,
lucrezia Ohibò.
piero ro,
ro, ro, la rosetta
di
diamanti[155]
per donarvi.
petronilla Senti,
quest’è
roba che frutta.
piero E che la sposa gli par bru, bru, bru,
lucrezia Lasciami stare.[156]
piero bru, bru, bru,
bruna,
10 ma
però vaga, e bella
e
che gli ma, ma, ma, ma,
petronilla Ogni parola spezza.
piero gli ma, ma, manda
una ca, ca, ca, ca,
lucrezia Tengasela per se.
piero una
canina
15 di
Bo, Bologna, che un tesoro la vale.
petronilla Che altro?
piero Un
ori, ori, ori, ri,
petronilla Un che?
piero un
oriolo
tutto
perle e rubini.
petronilla Costa di buon quattrini.
20 Piero
bada in cucina, che lo sposo
vien
questa sera a cena.
piero Vo’ ire a letto
con la pancia pie, pie,
petronilla Lucrezia, guarda in su.
piero pie, pie,
petronilla Tu
sospiri?
piero pie,
pie,
petronilla Che
hai?
25 piero la pancia piena.
petronilla Che
fu quello? Ah, Piero
ch’ha
finito l’intoppo.
lucrezia Sfortunata, purtroppo disse il vero;[157]
ne
vo pur malcontenta.
petronilla Ormai devi aver questo,
30 è
concluso il partito,
non
è giovane è vero,
ma
nel resto
ha quanto si richiede a un buon marito.
Credi
figliola a me,
35 tu
ti lamenti, ma non sai di che. (Si parte)
lucrezia Pensieri, e che
si fa
in tanto periglio,
aiuto, o consiglio
di voi chi mi dà?
40 Pensieri, che si fa?
Sento,
oh Dio, che saggi dite:
infelice,
non ti lice sperar più
come brami viver tu
45 s’uccidesti l’onestà.
Pensieri così va.
Per un cor
senz’onor,
non c’è pietà.
Pensieri così va.
Scena
terza
Leonora, Lucrezia, Betta.
leonora Cognata è quasi il tempo
che
del vostro delitto,
si discuopra il mio fallo.
lucrezia Oh,
quanto afflitto
mi
batte il cuor in seno.
5 leonora Giaché non posso a pieno
sottrarmi
dallo sdegno
di
mio marito, in parte il suo rigore
tenterò
di sfuggire.
lucrezia In che modo?
leonora Con
dire
10 che
[(a parte a Betta)] tu non c’esser[158] contraria,
[(a voce alta)] vi tenne mano.
betta Oh, bene, affè del zio
van
sempre i cenci all’aria![159]
lucrezia Che prudente consiglio!
15 Così
voi ch’innocente apparirete
più
giovar mi potrete.
betta Dico di noe.[160]
leonora Bettina
fammi
il piacere.
betta Oh,
ch’il diascol[161] mi frughi
chi
ha pisciato rasciughi.[162]
20 lucrezia E non state a pregarla. Al signor padre,
che
Ascanio le trovò per una mana,[163]
dirò
che lei fu del mio amor mezzana.
betta Non ci pensate,
ohibò.
lucrezia Tanto varrà il mio sì, quanto il tuo no.
25 leonora Et io per confermarlo, starò soda.
betta Guardate bel
capriccio!
Mangiato
hanno il pasticcio
e
versan ora addosso a me la broda.[164]
leonora Per forza, o per amore,
30 la
colpa ha da essere tua. Sentite, quando
viene
il signor Fernando,
fingete
di gradirlo, accioché meglio
possa
Ascanio osservar quanto mi disse.
lucrezia Farò com’imponete.
35 betta Oh, cappizzi,[165] sapete
voler
che senza colpa
schiatti
sotto un bastone.
Non
son creanze da signore buone.
leonora Io di salvarvi giuro.
scena quarta
Leonora, Lucrezia, Betta, Piero.
piero Appunto sono smo, smo, smontati di carrozza
la si, signora Frasia.
leonora Andiamo
insieme
ad
incontrarla
leonora,
lucrezia
(a
due) cortesi.
lucrezia Son con voi
leonora,
lucrezia
(a
due) mentre a sì bell’impresa
ardir ci guida
5 alle
colpe d’amor fortuna arrida.[166] (Partono)
piero Che cognatine!
Queste
son veramente pane, e cavolo.
Andrebbe
una per l’altra a casa il dia, dia,
betta In che pazzo
viluppo
10 m’hanno
fitto costoro
piero dia,
dia, dia, dia,
betta per scapolar d’Anselmo,[167] e della vecchia.
piero dia, dia, dia,
dia, dia, dia, dia,
betta La furia, contro
me, che s’apparecchia,
dove
m’ho da ficcare?
15 piero a
casa il diavolo.
betta Tu c’anderai furfante,
che
della roba altrui fai sempre a sassi.
piero Oh, che gusto averei, se tu crepassi. (parte)
betta Ell’è ben madornale![168]
20 Loro
hanno fatto il male (uh, che sverguenza)[169]
e
tocc’a me far la penitenza.
Per tutto così va.
I ricchi, dell’onor
reggon l’imperio,
e l’afflitta povertà
25 fan sorella carnal
del vituperio.
Gli errori più maiuscoli
delle padrone non si stiman gravi,
non vedon
le lor travi
e scopron
sempre in ogni serva il bruscolo.[170]
30 Con minaccie,
o con doni,
Dio
gli perdoni,[171]
fanno nei casi strani
i peccati giganti apparir nani,
e san gettar tal polvere negl’occhi
35 che le balene fan parer granocchi,
e più d’una lo sa.
Per tutto così va. ecc.
scena quinta
Leonora, Lucrezia, Frasia,
Ascanio.
leonora Anzi è debito mio.
servirla
sempre.
frasia Questa
gentilezza
troppo
m’obbliga. Il cielo
d’ogni
contentezza
5 alla
signora sposa
sia
con felicità.
lucrezia Io
così spero
per
questi auguri.
frasia I buoni eventi
lucrezia Di tanta umanità grazie vi rendo.
frasia Mi pare un po’ confusa
10 la
signora Lucrezia?
leonora Così
s’usa
nei
primi giorni delle spose.
frasia Allegra
allegra,
dico.
ascanio Drento è chi la pesta.[172]
lucrezia Per grazia nostra.
frasia La
mi creda pure
ch’aver
queste venture
15 non
è ogni giorno festa.
Ascanio
ancora voi fate due complimenti.
ascanio Gravida di contenti.
lucrezia Ogni
bel gioco
vorrebbe
durar poco.
ascanio V’assista amica stella.
20 leonora Passino in quella stanza
per
far l’ora di veglia. (Partono)
lucrezia Ascanio vi sovvenga
che
la riputazione
di
tutta casa nostra
25 oltre
alla vita mia
è
posta in mano vostra.
ascanio M’offendete
se
di mia fé temete; in breve, o cara,
avran termine i vostri, e miei sospiri.
lucrezia In sì duri martiri
30 languente,
questa sola
speranza
mi ravviva, e mi consola.
scena
sesta
Piero.
Betta
se tu mi burli
ch’ho
la li, li, li, lingua pagana[173]
io ti dirò,
pu, pu, pu, pu,
pu, punto men curo
5 che
per grazia d’amore
s’ho
legata la lingua, ho sciolto il core.
Ma
t’intendo alla fé
tu
sei innamorata di me.
Se
pensi ch’io ti voglia,
10 tu
pigli un granchio a secco.[174]
Chi
piglia donna, in capo all’anno è be, be,
be, bene indebitato,
O
ro rognoso, o nelle Stinche andato.[175]
Il
proverbio lo dice, et io lo so.
15 Ma
dianzi[176]
incancherita
mi
s’avventò alla vita,
e
un te, te, te, te, un tempion[177] m’ha dato
ch’ammi[178] una ma, mascella sga, sga, sga,
sga,
scena settima
Gismondo, Fernando, Piero.
fernando Gran fortuna è la mia
d’imparentarmi
con vosignoria.
piero sga, sga, sga,
gismondo Piero,
avvisa alle donne
piero sga, sga, sga,
gismondo ch’è
arrivato
5 lo
sposo.
piero sgangherato.
Corro.
gismondo Ricevo
dalla
sua gentilezza
segnalati
favori.
fernando La servirò quantunque mi comanda.
10 Son
un uomo all’antica,
caccio le cirimonie[179] da una banda,
leggere
il Galateo mi par fatica.[180]
gismondo Servitore, e parente
gli
sarò sempre; e da me tal desire
15 non
fia che s’allontani.
fernando Oh, vi bacio le mani,
il
simile io farei.
Comandi
a me, ch’io favorirò lei.
scena ottava
Lucrezia, Leonora, Petronilla.
Ascanio,
sotto la portiera.
petronilla Buondì, signor Fernando.
Lucrezia,
ecco il tuo sposo.
leonora Per dare al concertato più colore
fingetevi
in parlargli tutt’amore.
5 ascanio Qui vedrò quanto segue.
fernando Poche parole e buone.
Da poi ch’il cielo ha fatto
che
debbiate esser mia così a un tratto,
se
a voi pur tanto piace
10 vo’
che ce ne viviamo in santa pace.
ascanio Leggiadro complimento!
lucrezia Con estremo contento
giunsero
nel mio seno,
quasi
dardo amoroso,
15 le
vostre voci, o mio gradito sposo.
petronilla Guarda se l’escie a
tempo.
ascanio Ah,
disleale.
lucrezia Non chiude l’alma mia
spirto,
che vostro omai fatto non sia.
ascanio Che può dir di più?
lucrezia Con
la medesima sorte
20 mi
lega il voler mio
a
voi serva, e consorte.
ascanio Pur così mi tradisce.
fernando Di
quanto è in casa
e
per le ville fuora
di
tutto, mia signora,
25 padrona
vi dichiaro.
gismondo Son gran parole per un vecchio avaro.
petronilla Finché per trattenersi
arrivi
l’altra gente
entrin qua drento.
fernando Come
vuole, passi.
30 petronilla Anzi lei.
gismondo Tocca
a loro.
lucrezia Obbedisco.
ascanio E gli porge la mano?
gismondo È
garbat’uomo
più
di quel che pensavo in verità.
petronilla Egl’è una personcina
su la mia tacca[181]
e
ci riuscirà sicuramente
35 a
pan più ch’a farina.[182] (Partono)
ascanio Da lusinghe di
donna il ciel difendami,
se mentir questa vedo,
ad altre se più credo,
con i fulmini suoi sdegnato offendami.
40 Da lusinghe di donna ecc.
Se impegnata così donna è
incostante,
giurovi,[183] che non so
a qual di loro può creder l’amante,
ma crudele,
45 infedele,
se mi togli il tuo cor, il mio, deh, rendimi.
Da lusinghe... ecc.
scena
nona
Ascanio, Lucrezia.
lucrezia Oh quanto dalli accenti
che la lingua snodò fu il cor diverso!
ascanio Tra barbari tormenti
non
mi tener, o gelosia, sommerso.
5 Lascia
ch’io parli.
lucrezia Ascanio
mio.
ascanio Bugiarda.
lucrezia A me?
ascanio Tra
dolci vezzi
godete
pur godete
con
novello consorte, per sempre,
tradito,
m’allontano.
10 lucrezia Fermate il passo!
ascanio Che
bramate?
lucrezia Quanto
voi
mi dovete.
ascanio Allora
ch’infida
vi conobbi
dal
debito fui sciolto.
lucrezia A
chi v’adora
empio
così parlate?
15 ascanio Addio.
lucrezia No,
no, fermate.
ascanio Che
volete?
lucrezia Sincerarmi.
ascanio È
pazzia, non mi tenete.
lucrezia Almeno una parola.
ascanio No, no, la vostra crudeltà mi scaccia.
scena decima
Ascanio, Lucrezia, Anselmo.
anselmo E che fate alle braccia,
alla
lotta, o alle pugna?
Rispondete
brigata.
lucrezia Io son tanto affannata
5 che non posso parlar.
Aspetti un poco.
anselmo Sbalzatemi di casa, eh, padron mio
lucrezia L’invitate al suo gioco.
ascanio Ingrata,
addio.
lucrezia Non si partirà, certo.
ascanio Lasciatemi.
lucrezia Bisogna
10 gettarsi
all’invenzione.
anselmo Io piglierò un bastone,
lascialo
andare.
lucrezia Se
voi mi contradite
paleso
quanto avvenne. Signor padre,
a
conto della lettera, con voi
15 vuol
questo Rodomonte,[184]
dice,
fare un duello a fronte a fronte.
Per
questo tutto sdegno
di
casa nostra parte,
e
con buone parole
20 ritenerlo,
e furioso partir vuole
per
far contro di voi cruda vendetta.
anselmo Figliola benedetta,
compatisci
lo zelo
della
riputazione. Pò fare il cielo,[185]
25 signor
Ascanio; dianzi
da
me partiste tutto cortesia,
or
vuol vosignoria
rinfrancescar
l’imbroglio.[186]
Fu
egl’altro ch’un foglio
30 d’una
ragazza pregna. Io non so come
di
questi casi n’intravien le some.[187]
ascanio Sete pur di rigiro.
lucrezia Secondate l’inganno, oh, ch’io m’addiro.
ascanio Molte e varie persone
35 con più d’una ragione
sul
caso occorso han voluto quietarmi.
Io
poi ch’ho genio all’armi
voleva
domattina
in
una quistioncina[188]
40 insegnarvi
proceder; ma la sposa,
con
le sue paroline, e modo scaltro,
m’ha
quasi persuaso a non far altro;
non
son però sgarito.[189]
anselmo Costui m’ha sbarlordito.
45 Lucrezia,
io son di tempo,
e
non mi mette conto
ricever
un affronto.
Tu
mettitigli a canto
e
ripregarlo tanto
50 finché mi resti amico.
ascanio Addio, crudel.
lucrezia Non
vi partite dico.
anselmo No, no, per grazia.
ascanio Avete
a trattar meco.
anselmo Discorrete un po’ seco.
ascanio E tanto ardisce, che me lo comanda.
55 anselmo Umilmente la prego, io qui da banda
Lucrezia
sto aspettando,
che
tu l’aggiusti, mi ti raccomando.
Cava
dal petto le preghiere a squadre
e
ricordati al fin ch’io son tuo padre.
60 lucrezia Sarà cura mia. Ascanio mio, sentite.
ascanio Voglio partirmi.
lucrezia Ingrato.
ascanio Resta con voi l’amato,
il
gradito consorte.
lucrezia Il cordoglio, la morte,
ogni
pena più ria.
65 anselmo Senti con che energia
a
mio favor favella?
lucrezia Se poch’anzi
con
Fernando parlai
finsi,
mia vita.
ascanio Non
lo credo.
anselmo Certo
credalo in fede mia,
70 perché
questa ragazza
è
stata d’una razza
che
non ha detto mai una bugia,
non
ci abbi dubbio. Tira innanzi.
lucrezia E
come
posso
per altri avere affetti, oh Dio,
75 se
a voi con l’onor mio
diedi
l’anima ancora.
anselmo Oh, che bontà. Per tenerezza or ora
gli
cascano le lacrime. Figliola,
e
ben, che dice?
lucrezia Appieno
80 quasi
placato resta.
anselmo Per suo bene, dovria
ogni padre almeno
aver
una figliola, come questa.
lucrezia Che rispondete?
ascanio Quando
mio
ben ciò vero sia
85 parte
la gelosia,
e
più più cocenti al core
vibra
saette amore.
anselmo Oh
pur beato,
mi
par rasserenato,
non
ha l’occhio si bieco.
90 Che
nuova?
ascanio Parla
meco,
dica
quel che pretenda.
anselmo Niente, niente, signore, attenda, attenda.
lucrezia Non c’è più da temere, la pace è fatta.
scena
undicesima
Ascanio, Lucrezia, Anselmo, Petronilla.
petronilla Che si fa là in quel canto?
anselmo Questa
matta
guasterebbe
ogni cosa. Zitta.
petronilla E
dove
il
cervel v’esala?
Dove
siam noi?
anselmo In sala,
5 bestiaccia.
petronilla E
tu, Lucrezia,
passa
in camera.
anselmo Fate
conto, che parli al
vento.
Aggiustatevi
pure, non v’accostate.
petronilla Oh, che vecchio balordo!
lucrezia Signor
padre,
10 e
s’accorda, buondì, signora madre.
anselmo Non tante cirimonie,
non
perder tempo. Tira innanzi.
petronilla Sogno
o
pure son io desta?
anselmo Chetatevi, dich’io.
Non ho bisogno
15 che
mi rompa la testa.
petronilla È rimbambito affatto.
Olà,
signore sposo,
Gismondo,
Leonora.
anselmo Che dice Ascanio?
ascanio Dico
20 che
vi son buon’amico.
petronilla Ah, Lucrezia, Lucrezia, le son agre
da
mandar giù, queste tue scuse magre.
anselmo Scuse appunto alla fé.
Se
non era Lucrezia, guai a me.
Scena
dodicesima
Lucrezia,
Ascanio, Anselmo, Petronilla, Leonora, Gismondo, Fernando, Frasia,
Odoardo, Betta.
leonora Venghino appunto. È giunta
la
signora Lisaura, e seco ancora
la
signora Clarice.
gismondo Porta i lumi
che
già me ne par ora.
scena
tredicesima
I sopradetti, Clarice, Lisaura.
betta Adesso, adesso.
petronilla In
fatti
si fan pregare tutte le belle.
clarice Cara
nipote
mia, palesarti non posso
il
contento ch’ho addosso
5 per
queste nozze all’improvviso giunte.
lisaura Buon pro, signora, mi rallegro. Il cielo
vi
dia tante allegrezze
quante
per me vorrei.
Chi
l’avesse mai detto
10 che
dovessi esser mia cognata?[190]
lucrezia Voglio
esservi
più che serva.
lisaura No, no, padrona.
gismondo Non
mancherà tempo
di
ragionar. Il gioco
precede
ad ogn’altra cosa.
15 frasia Giocherò, ma di
poco.
lisaura Un mezzo cocconetto.[191]
gismondo Con
la sposa
segga
lo sposo, quest’è coppia fatta.
Signor
padre, volete
scapigliarvi?[192]
anselmo Sicuro.
20 Non
bisogna mostrar le pere all’orso,[193]
ché
vuol la gioventù far il suo corso.
Anco
l’eccellentissimo.
odoardo Se
devo
accomodar,
le servirò.
gismondo Con
voi
la
signora Lisaura,
25 e
la signora Frasia
giocherà
con mio padre,
e
Leonora con il signor Ascanio.
anselmo Presto
carte,
e
gente che tarocchi.[194]
30 odoardo Fo conto ch’a me tocchi.
lisaura Io mi confido in lei.
odoardo Io
le prometto
che
non so.
anselmo Se
gli dice a cocconetto
come
fa nelle liti,[195]
resterete
falliti.
35 frasia Che s’ha da metter su?
leonora Comandi
lei.
frasia Anzi, lei.
leonora No,
no.
lisaura Signora
sposa,
comandi.
lucrezia A
me non tocca.
odoardo Oh, via presto, chi mette?
lisaura Io no.
frasia Io,
no.
leonora Io,
no.
anselmo Che
bocche strette.
40 Metterò
io, ecco un testone.[196]
ascanio Presto.
A
chi si scuopre cuori
venga
la mano. Picche, quadri, fiori,
picche,
picche, quadri, cuori. A lei,
signora
sposa.
frasia Gl’è
dovere.
anselmo Patti,
45 signorine
garbate,
che
nessuna non facci marsellate.[197]
frasia Almanco questa sera
non
ci è tanto frastuono.
Insolenti
che sono
50 quelli
zerbini, senza discrizione,
stan sì[198] accosto a chi gioca
ch’io
che patisco di respirazione,
sento
proprio ch’il caldo mi suffoga.[199]
clarice Ohimè, che gente indomita,
55 ell’è pur anco vera
trapassan la spalliera con le gomita.
anselmo Pariglia.
ascanio Faccia
gioco.
anselmo Passo.
frasia Comincia
male.
anselmo Disgrazia
mia.
frasia E mia ancora.
odoardo Punto.
60 anselmo Che di filosofia?
odoardo Malan che Dio vi dia.
leonora Punto.
odoardo Al
punto, una lira.
leonora E io non tengo.
odoardo È vergogna fuggir.
leonora Non
mi ritrovo
in
mano tanto, che basti.
scena
quattordicesima
I suddetti, Piero.
piero Padrone, egl’è picchiato.
anselmo Guarda chi è.
piero Ho
guardato
su,
su, su, subito.
anselmo Chi
è?
piero So, so, so, so, son tre
5 che
vorrebbono[200] entrare.
anselmo Ecco
di posta
la
chiucchiurlaia. Chi son eglino?[201]
piero Uno
po, porta la parrucca
ha
sempre buona cera,
amico
sviscerato
10 del
medico di casa.
anselmo Oh,
garbato
È
egli seco quel biondo
col
suo servitorino?
piero Signor
sì.
anselmo E l’altro che si desta a mezzo dì?
piero Anco, co, ancora lui.
15 anselmo A
questa gente
non
s’apre mai.
fernando Perché?
anselmo Perché
costoro
non
vengono al festino
per
giocare, ma sol per bizzarria,
per
far gente d’andar all’osteria
20 e
frollarsi la notte ad un vegliettino.[202]
Son
musicai e sonator di tasti.[203]
Se
questi personaggi
van
mai di fuora insieme, lunghi pasti
han
da fare, ma cortissimi viaggi.
25 lucrezia Due
cuori.
leonora Tre
cuori.
frasia Quattro
cuori
e
cinque.
odoardo E
sei, e sette, e fante.
fernando Stoppa.
anselmo Che vi stoppa, dottore?
odoardo La dama.
anselmo L’ha
ragion, s’io fussi in lei,
io pur mi stopperei.
odoardo Due picche.
30 frasia Tre,
e quattro,
e
cinque, e sei.
anselmo Pagate
le
carte.
piero C’è,
c’è uno
che
vorrebbe entrare.
anselmo Chi
è egli?
piero Un
certo
me,
me, mezzo canuto, e porta bruno
35 smo, smorto magro co, come un graticcio
et
ha sul muso un naso assai massiccio.
anselmo È uomo di dottrina,
personaggio
di merito,
si rimpizza il preterito[204]
40 e abbruccia volentieri una fascina.
fernando Siamo tra noi, non ci vuol altri.
anselmo Digli
che
torni a casa, e innanzi cena pigli
lo
sciloppo de pomis.[205]
Che
stravaganza è questa?
45 Se
ben gl’ha sette berrettini in testa
non
suol essere si gonzo
d’andar
la notte con questa aria a zonzo.
lucrezia Signora madre,
sento
un
affanno di cuore
50 che più viver
non posso.
petronilla T’hai ben perso il colore.
Sfibbiati
a poco, a poco.
frasia Pariglia. Chi fa gioco?
lisaura Pariglia anch’io, e punto.
55 frasia Un testone a pariglia.
ascanio Al punto un giulio.[206]
lisaura E
l’una e l’altra tiri.
leonora Abbiam
tre fanti.
lucrezia Ohimè,
ohimè, cognata.
gismondo Come va?
leonora Da
fantocci,
guardi
vostra signoria, son visitata.
60 ascanio Due quadri, tre quadri.
lucrezia Stoppa.[207]
ascanio Cinque
e
sei di cuori.
fernando Sette
e fante.
lucrezia Stoppa.
lisaura Carta sola, signori,
date
basso.
lucrezia I
dolori,
signora
madre, van crescendo.
fernando Due,
65 e
tre, e quattro fiori,
paghin le carte.
petronilla Ad
un tratto
che
cosa è questa?
clarice Fumi
sicuramente.
anselmo Smoccola
quei lumi.
betta Padrone, all’uscio son due signori
70 che vorrebbono entrare.
anselmo Gli conosci?
betta Al
parlare
mi
paion belli, et hanno
le
cappelliere riccie,
ma
son posticcie.
75 Grandacci tutt’e due, ma però uno
è
bianco, e l’altro è bruno.
Uno
parla forestiero
e
l’altro quasi quasi fiorentino.
anselmo Certo, l’ozio gli tedia,
80 t’ho
inteso. Son costoro
due
amici sviscerati,
ma
nel teatro loro
quando
fassi commedia
stanno
sempre addirati.
85 Galanti
cavalieri
si piccon d’ingegneri,
caponi
al maggior segno,
al
prossimo giovevoli,
ma
serra pur le porte,
90 non ce li voglio
certo, perch’in corte
gl’affannan per i Piacevoli.
Io
son Piattello marcio.[208]
lucrezia Non posso più soffrire.
odoardo Pariglia.
frasia Punto.
odoardo Tiro
95 la pariglia.
anselmo Dottore
vive
con gran pensiero
chi
ha de poderi in piano.
odoardo Perché?
anselmo Intorno
a Ugnano[209]
veggo un gran tempo nero.
100 odoardo Non son punto attillato.
anselmo Ma il lavarsi le man non è peccato.
lucrezia È forza ch’io mi levi,
mi
scusino signori.
Che
sorte di dolori
105 son questi mai,
cognata?
leonora L’ora è certo arrivata.
(Qui si levano da sedere, e entrano
in camera con Lucrezia).[210]
lucrezia,
leonora,
frasia,
lisaura
(a
quattro) Con licenza.
petronilla Tra poco
ritorneranno al
gioco.
anselmo Che domine sarà?
piero Ha
pi, picchiato
110 Quel
signor vostro amico
che bu, bu,
bu, burla volentieri,
ch’ha
il pi, pi, pizzo, e bassettini neri,
con
quella faccia piena.
anselmo Digli che qui si gioca e non si cena.
115 piero E c’è, c’è, c’è, c’è, c’è,
c’è,
anselmo Chi?
piero quel
che parla un poco come me
che
per gu, gusto gran carote ficca,[211]
fa il passo
della picca,
e
l’appalto pigliò degli stranuti.[212]
120 anselmo Vadia, che Dio l’aiuti,
ci
stordirebbe tutti; oh, bel bordello!
Va
e metti il chiavistello,
e
lascia sfondar l’uscio.
gismondo Olà,
Morino
tra
tanto che[213]
le donne
125 tornano,
canta un poco,
caro
morino mio.
morino Si
ber mi donar
manscia, cantar calsona.
gismondo Ben volentieri
morino E
iù
cantar
usanza del bais miù,
130 quando
turnar galera
vitturiusa d’armata
con sclava
liberata.
ascanio Signor Gismondo, molto
e
per grand’importanza
135 ho da parlar con
voi.
gismondo Sono a servirvi.
ascanio Discorriam tra noi.
morino 1
Uh ligrizza Ihallà.
Gran
Maoma
favorita,
140 di
Biserta capitana,
mille
turca
da
cristiana
ottenuta
libertà.
Uh
ligrizza Ihallà.
2
145 In
moschea
star
devota,
gran
giannizzera, spai,
arca
a bura,
cilibì,
150 gran
visir e gran bassà.
Uh
ligrizza Ihallà.
anselmo Piero che c’è?
piero Ca,
ca, cattive nuove,[214]
la
spo, sposa sta male.
anselmo Va pel medico.
piero Ohibò.
anselmo Ma
dove corri?
155 piero Non si di, di, di, dice.
anselmo Lo vo’ saper.
piero Vo
per la levatrice.
fernando Chi n’ha bisogno?
piero La
vostra consorte.
fernando Moglie di questa sorte,
non
sono il caso mio.
160 Signor
Anselmo, addio.
anselmo Fermatevi, sentite.
Lucrezia
è ammaliata,
per
questo è ingravidata. Ah, nuora, nuora,
gle l’ha fatta veder, la traditora.
165 fernando Questi son spropositi?
ascanio Già
siamo
in
questo caso.
lisaura Fratel
mio, andiamo
le
nozze son svanite.
anselmo Non so quel che vi dite.
O sia gravida, o no
170 l’avete
da pigliar ad ogni mo’.[215]
Qui
non c’è furberia,
l’è
stata una malia, e quella strega
lisaura Di chi?
anselmo della
mia nuora,
sbalzi
di casa or, ora.
lisaura Oh
poverello,
175 voi sognate.
frasia S’è
stato mio fratello
ne
pagherà la pena.
petronilla Oh,
bella cosa.
frasia Di già l’era sua sposa.
petronilla Avete voi sentito,
vecchiaccio
rimbambito? Adesso, o fate
180 vestir per le
commedie
et
aggiustar la lite.
anselmo Che donne scimunite!
L’è
stata una disgrazia. Leonora,
con
quel vostro incantesimo
185 fatele
impregnar tutte e me medesimo
se
possibile fia.
gismondo Rimedio
dunque,
e
non un mal maggiore. Signor padre,
mia
sorella è d’Ascanio.
anselmo Se
Fernando
di
tre mila ducati
la
dota?
190 ascanio Et io di quattro.
anselmo L’è
vostra,
è
giovane ch’intende
delle
malie la forza,
e
senza tanti scrupoli la piglia.
Godetevela
pure
195 ch’io
ve la do di lena,
e
questa sera, state meco a cena.
leonora Il signor Gismondo pregavi Lucrezia,
a
legger questo foglio.
ascanio In
quello è chiaro
com’io
già la sposai
200 saldissimo
contratto
d’una
sincera fede.
petronilla Manco male; si vede
ch’ebbe
buona intenzione.
odoardo Perché non la chiedeste?
205 ascanio Un
mio stretto parente
che
mi facea d’ogni suo aver erede
ond’io mettessi in casa una gran dote,
di
già son cose note,[216]
ch’io
sposassi volea nobil
donzella
210 ricca,
ma non già bella.
Per
veder se fortuna
porger
volesse ai miei desir soccorso
sempre
con tal rimorso
andai
temporeggiando.
215 Inaspettata,
quando
manco
certo il pensai,
la
morte impietosita
tolse
colei di vita, e me di guai.
petronilla Vo’ andar dalla Lucrezia
220 che
v’è Clarice sola. O male o bene
ch’aviate[217] fatto, il caso è qui, l’è
vostra. (Parte)
odoardo Amore così sue stravaganze mostra. (Parte)
gismondo Ne alcun mai se n’accorse? Il caso è
strano,
chi
vi tenne di mano?
225 leonora [(Piano ad Ascanio)]
Dite
che fu
ascanio La nostra serva.
betta Oh,
che razza maledetta!
Gl’è
indettato[218]
anche lui.
Padrone
vi domando
Perdono
in carità.
230 frasia Per questo
teneva
il guardinfante.[219]
gismondo Va
in cucina
furfantellaccia.
betta Per
un mese intronfio.[220]
frasia Ora mi son accorta
che
guard’infante porta
235 solamente chi ha
il corpo, o il capo gonfio.
gismondo E mia sorella sempre.
Anco
a voi Leonora
l’ha
tenuto celato?
fernando Ell’è l’usanza
di
quelle che son gravide
240 che fino al nono mese
non
lo fanno palese.
Il
perché non saprei già trovarlo,
si
vergognano a dirlo, e non a farlo.
fernando,
ascanio,
leonora,
frasia,
gismondo,
lisaura (a sei) Per
noi
da
voi
245 non c’è scampo,
no, no.
Chi
ne difenderà?
fernando,
ascanio,
gismondo
(a tre) La donna
troppo fa.
lisaura,
leonora,
frasia
(a
tre) Un uomo troppo può.
tutti a sei Non
c’è scampo, no, no.
scena
quindicesima
Cucina.
Piero.
Gran disgrazia è
questa, ohimè.
Ho la fatica,
tanto nemica
che non vuo,
vuole star punto con me.
5 Gran disgrazia è questa, ohimè.
Per non incomodarmi infino al pozzo
il vin senz’acqua ingozzo,
che di stomaco in ca, ca, ca, ca,
ca, ca, cambio al capo va.
10 Quante vo, vo, volte
per non disagiarmi a portar su
ma, ma mangio quaggiù,
ch’ei non lo sa.
Guardate, che dispetti ella mi fa.
15 Per non recarmi briga
a pe, pe, pe, pelare
vuol farmi addormentare.
Io per non inasprirla
voglio obbedirla affé.
20 Gran disgrazia è questa, ohimè.
scena
sedicesima
Piero, Betta, Carali,
cuochi e cuoche.
betta Oh, l’è pur bella
chi la sapesse tutta,
l’usanzina
garbata
che gira intorno
5 di far le nozze e far la scapponata.[221]
Pigliar da se marito
com’una bagatella,
a monte si butta[222]
chi la sapesse tutta, oh, l’è pur
bella.
10 Compagni,
qui bisogna
lessi,
arrosti, guazzetti,
stufati,
pasticcietti,
metter
all’ordin presto. Oh, sciagurato,
in
cambio di pelare s’è addormentato
15 Io
vo’ cavar il sonno,
facciamogli
il fumacchio.[223]
Oh via, presti,
va
pian, che non si desti.
Pippa,
tu fai il cartoccio; Sandra metti[224]
li drento la bambagia, eccoti il
zolfo,
20 diamoli
fuoco. Oh bene!
S’ha
da sentire pur stridere.
Zitti,
zitti, oh che ridere!
Ecco
aggiustato, lascia
25 vo’ soffiar io,
si storce,
guarda,
oh che belli scorci.
piero Ohi!
betta Peggio.
piero Che
puzzo, ohi, ohi!
betta Ch’è stato?
piero Io so, so, son cascato.
Uh, gran dolore
che
ca, cattivo odore.
30 betta Tu sei briaco,[225] e sogni.
Un
po’ manco parole.
piero Quando si so, so, so,
sogna non duole.
Betta
gl’è zo, zo, zolfo.
betta S’accese il fuoco dianzi,[226] babbuino.
35 piero Ma il na,
na, naso mio non è il cam<m>ino.
carali Nuva buna, nuva buna.
Maschiu bambina fattu la badruna.
Nuva buna ecc.
betta Che gusto il core
40 piero Che puzzo il na, na,
betta prova,
piero sente
betta mi caschi pure
piero il na,
na, naso,
45 betta ogni dolor dal petto.
piero na, na, na, na,
naso.
betta,
piero (a due) Compagni,
canaglia,
rompete,
betta per diletto,
50 piero il co, co, co,
betta saltando,
piero co, co, co
betta ballando,
piero co, co, co
55 betta piatti e scodelle
piero co, co,
betta rompete.
piero il
co, co, co, il collo.
Ballo di cuochi e cuoche.
fine
Apparato
Si riportano le varianti più sostanziali del Ant. 244 della biblioteca Laurenziana di
Firenze. Per le varianti microscopiche di detto manoscritto, vedi
I.15.
p. 29: è soppresso interamente lo scambio di battute tra Ascanio e Lucrezia che si
danno segretamente un appuntamento, con Petronilla che s’introduce, presente
nel Magl.
VII, I.15.12-17.
Nell’atto
primo, nella scena XV, dopo: «Non vo’ pregiudicare alla ragazza», vengono
cambiati il dialogo tra Leonora e Anselmo e la battuta in cui Leonora giura di
vendicarsi; viene così cambiata tutta la fine della scena (Magl. VII, I.15.35-48), ed è inoltre aggiunta una scena,
numerata XVI, con un’aria di Leonora, che deplora la disgrazia di essere donna:
Ant 244, I.15, p. 29-30:
leonora Sete
in errore.
anselmo Non
son rimbambito.
leonora Io
me la lego al dito.
Non
ci voglio star sotto.
A
me ogni giorno
garbacci. In questa casa ho messo anch’io
la
dote, e pur, corpo di mondo rio,
ci sono lo strofinacciolo
del forno.
Ma
saprò vendicarmi.
anselmo Ora mi salta
il
moscherino. Andate
padron
son io, guastarmi
non
avete col farmi brusca cera
l’uova nel panieruzzolo ciarpiera.
SCENA
XVI
Leonora
Nascer
donna è gran disgrazia!
Un
corto gioire
e
breve passaggio
a
lungo martire.
Con
troppo svantaggio
l’amore
c’accarezza,
fortuna
ci strazia.
Nascer
donna è gran disgrazia!
Nel
finale dell’atto secondo, all’inizio della scena sedicesima (Ant. 244, p. 52), sparisce interamente la
prima battuta di Petronilla (Magl. VII, II.16.1-12). Gli ultimi scambi
tra Petronilla e Fernando, ai versi 41-60, sono riversati alla fine di una
scena aggiunta, scena XVII (Ant. 244, pp. 52-55), dove appare il personaggio di
Bettina, figlia di Leonora e di Gismondo, come viene precisato nella lista dei
personaggi. L’aggiunta potrebbe essere stata ispirata da una scena di Le Malade imaginaire di Molière (1673), che mette in scena la
piccola Louison interrogata dal padre sulle relazioni
sentimentali della sorella maggiore (II.8). Il parlare franco della piccola
Bettina accresce i ridicoli fisici e linguistici del personaggio di Fernando, e
la libertà che essa dimostra nella battuta finale rispondendo alla madre sul
modo dell’ironia dà ragione alla disubbidienza di Lucrezia che lei condivide
anticipatamente, anche se, per altri versi, vari cambiamenti cercano di ridurre
la rappresentazione dell’amore illecito dei due giovani innamorati (cfr. supra la soppressione in I.15.10-16,
e infra nell’elenco dei personaggi,
la modifica su Lucrezia, detta «sposa d’Ascanio»).
Questo
cambiamento verrebbe a conferma di una datazione dell’Ant. 244 ai primi del XVIII secolo, considerando che le
prime traduzioni integrali di Molière apparsero solo
nel 1696-1698 (Niccolo’ di Castelli, Leipzig).[227]
SCENA XVII
Bettina, e
detti.
bettina Nonna, nonna.
petronilla Bettina,
vien
qua la mi bambina.
ferdinando Gran bella criatura.
petronilla Presto, al signore sposo
bacia
la mano.
bettina Dov’è
egli in somma
che non lo veggo?
petronilla Pazzerella,
questo
è
lo sposo.
bettina E
non pare,
siete
vo, voi?
fernando Sì
bene.
petronilla E si vuol far delle sue nozze.
fernando Poche
perché
le cose dolce
fanno
il corpo lugubre.
petronilla Lubrio, e non lugubre, padron mio.
fernando Così voglio
dir io.
Ma
non ho tante frase
e
non la guardo in un filar di case.
petronilla O via, bacia la mano.
bettina E rassomiglia l’orco! (Bacia la mano)
fernando Oh, troppa cilimonia.
bettina Uhibò, che porco!
È
puzza che gl’appesta
di
baccalà.
petronilla Oh,
furbettuzzia.
fernando State,
e’ può anch’essere vero,
ieri
fu giorno nero
ne
desinai, e mi sarò un po’ unto,
a
queste cose io non ci bado punto.
Domani
non è altro.
bettina Allegri
zia,
la
vostra pulizia
so
ch’è bene impiegata!
petronilla Ragazza sciagurata
ti
voi chetar? Signore,
scusi
la fanciullezza.
fernando Ell’è un vestigio
dell’età
sua.
petronilla Prodigio
volse
dire il buon uomo.
bettina Uh,
che nasone,
che
boccaccia di forno!
Non
vo’ più starli intorno,
mi
fa paura, e pare il bau. Nonnina,
quando
ho da tor marito,
non
mi trovate un bertuccion così,
perch’in capo a tre dì
ne
piglierò un da me, bello e pulito.
petronilla [segue come nel Magl. VII, II.16.41-60]
Qualche
intervento meno sostanziale si trova anche in due arie dell’atto terzo: nell’aria di
Lucrezia (III.2.36-49), ridotta a questi soli versi: «Pensieri, che si fa! /
Infelice / non ti lice sperar più. / Come brami viver tu / se tradisti l’onestà»;
e alla fine dell’aria di Piero (Magl. VII, III.15.22), chiusa con aggiunta di due versi
che sottolineano la sua pigrizia: «Dica pur chi vuol dire / il rimedio del
sonno è il do, dormire».
Oltre
l’aggiunta di Bettina, la lista dei personaggi, inserita dopo il prologo (Ant. 244, p. 6) viene modificata. Non è più precisata la parentela di
Frasia con Ascanio, né quella di Lisaura
con Fernando. Nel Magl.
VII, il matrimonio segreto di Ascanio e Lucrezia non è dichiarato. Come
precisato da Leonora in I.1,
Ascanio non ha ancora ufficialmente richiesto la ragazza ai genitori (I.1.26-41),
sicché nella lista degli interlocutori Lucrezia è detta semplicemente «fanciulla». In Ant. 244, invece,
il matrimonio è legittimato sin dalla lista dei personaggi, con il
qualificativo «sposa di Ascanio». Il moro, qui Corali, non è più schiavetto di
Clarice.
Personaggi
del dramma
Ascanio,
sposo di Lucrezia
Anselmo,
padre di Gismondo e di Lucrezia
Odoardo,
cognato d’Anselmo
Fernando
Lucrezia,
figlia d’Anselmo, sposa di Ascanio
Leonora,
moglie di Gismondo
Petronilla,
moglie d’Anselmo, madre di Lucrezia e di Gismondo
Bettina,
figlia di Gismondo e di Leonora
Piero
tartaglia, servitor d’Anselmo
Betta,
serva d’Anselmo
Gismondo,
figlio d’Anselmo
Frasia
Lisaura
Corali,
moro
Commento
Per la delucidazione delle espressioni idomatiche e lessico, si fa riferimento ai seguenti volumi:
Moniglia, Giovanni Andrea, Dichiarazioni dei proverbi e vocaboli aggiunte
ai libretti in Delle poesie dramatiche, Firenze, Vangelisti,
1698 (d’ora in poi: Dichiarazione + titolo, P. D., numero della pagina)
Vocabolario
della Crusca in questa terza impressione nuovamente corretto e copiosamente
accresciuto, al Serenissimo Cosimo terzo di Toscana, lor Signore,
Firenze, Stamperia dell’accademia della Crusca, 1691 (d’ora in poi: V. C., n°
della pagina).
Dizionario
della lingua italiana, Tommaseo e Bellini, Torino, Unione
tipografico editrice, 1865 (d’ora in poi: Tommaseo).
Dei
proverbi toscani, lezione di Luigi Fiacchi, detta nell’accademia della Crusca,
il 30 novembre 1830, con la dichiarazione dei proverbi di Gio. Maria Cecchi,
testo di lingua citato dagli accademici della Crusca,
Firenze, Piatti, 1820 (d’ora in poi: Fiacchi, 1820).
Novellette
tratte dai proverbi fiorentini di Francesco Serdonati,
Padova, Luigi Penada, 1873 (d’ora in poi: Serdonati, 1873).
Per
tutte le annotazioni storiche e letterarie, si veda la bibliogafia
generale.
Bibliografia
Opere di Giovanni Andrea Moniglia
Manoscritti
Moniglia,
Giovanni Andrea, Il vecchio balordo, Bibiloteca Nazionale
Centrale di Firenze (BNCF), Magliabecchi, VII, 252, e
Biblioteca Laurenziana, Antinori, 244.
————————————, Commedia intitolata Amare e Tacere,
ridotta in prosa, sec. XVIII, BNCF, Capponi, 22.
————————————, Il potestà di Colognole, portato in
prosa da Simon Grassi, Firenze, Biblioteca Riccardiana (B. R. F.), 3165.
————————————, Il Ritorno di Ulisse, BNCF, Magliabecchi, VII, 72.
————————————, Viaggio del Gran Principe da Firenze a Olmütz, 1667, Manoscritto, BNCF, Firenze, Palatini 804.
Stampati (ordine
cronologico)
Moniglia,
Giovanni Andrea,
Il pazzo per forza, Firenze, Bonardi,
1658.
————————————, Risposte del dottor G. A. M. alle repliche voarcadumiche del sig. dottor Valentini, Firenze, alle
scale di Badia, 1663.
————————————, De viribus arcani
aurei antipodagrici Epistola, Firenze, Vangelisti, 1666.
————————————, All’amico non si fida ne
la donna, ne la spada, opera del sig. dottor Moniglia [...], Roma, Blupardi,
1668.
————————————, Il podestà (sic) di Colognole, dramma
rustico civile da recitare in musica, Bologna, Erede di V. Benacci, 1673.
————————————, De aque usu in febribus. Ad Serenissimum Etruriae Principem, Firenze, Vangelisti,
1684.
————————————, Adelaide, commedia, rappresentata dagli
accademici Infuocati, Firenze, Vangelisti, 1689.
————————————, Delle poesie dramatiche,
dedicate al Serenissimo principe di Toscana, 3 tomi, 1°: Vangelisti,
1689; 2°: Cesare Bindi, 1690; 3°: Stamperia di S. A. S. alla condotta, 1689,
con illustrazioni nel tomo primo. Seconda edizione, tre tomi, Firenze, Vangelisti, 1698, senza le illustrazioni.
————————————, Raccolta di prose fiorentine, parte
terza, volume 1° contenente cose giocose, Firenze, Stamperia di S. A. R Per i Tartini e Franchi, 1722.
Scritti su Giovanni Andrea Moniglia, sui libretti e su Il vecchio balordo (ordine alfabetico)
Manoscritti
Ambasciatori del
Czar di Moscovia diretti a Venezia (Archivio di Stato di Firenze —A.S.F.—,
Miscellanea Medicea 102, inserto 12).
Bonazzini
Francesco, Il Bidosso,
ovvero Diario, dei suoi tempi, tomo 1°, 20 sett. 1640 - 31 ott. 1692, BNCF,
Cl. XXV-42.
Diario di
etichetta della corte medicea, 1650-1659 (A.S.F., Miscellanea Medicea 442);
1659-1662, (ivi, Miscellanea Medicea 444).
Fagiuoli,
Giovan Battista, Memorie e ricordi di
quello accadrà alla giornata, 1672-1704 e 1704-1742, B.R.F., cod. Ricc. 2695-2697 (prima serie) e 3457, 1-27 (seconda serie).
Nota degli abiti
che bisognano per il prologo e fine per i Moscoviti, Archivio dell’Accademia
degli Immobili, teatro della Pergola, I serie, filza 1, A9, f. 32)
Redi, Francesco, Feste fatte dal principe di Toscana, Ferdinando
dei Medici, in Pisa, si tratta del balletto ideato da Gio. Andrea Moniglia, musicato da Jacopo Melani, Firenze,
Biblioteca Marucelliana (B.M.F.), Redi 35.132,
———————, Discorso sul balletto il maritaggio di Enea con
Lavinia, figlia del Rè Latino, ivi, Redi 36,
83; nonché una copia manoscritta della partitura del Melani (B.N.C.F.,
II-I-290)
Salvini, Salvino, Vita di Giovanni Andrea Moniglia
scritta dal medesimo, B.M.F., A
Stampati del ‘600 e ‘700
(ordine alfabetico)
Bartolomei, Girolamo, Didascalia cioè dottrina comica, prima edizione
Firenze, Stamperia nuova all’insegna della Stella 1658; seconda edizione
aumentata, Firenze, Stamperia di S.A.S. alla condotta, 1661.
Buonarroti, Michelangelo (il Giovane),
Lippi,
Lorenzo, Il Malmantile
racquistato,
a cura di Puccio
Lamoni et alii, Firenze, Moück,
1750.
Menzini,
Benedetto, Satire di Benedetto Menzini, con annotazioni di Gaetano Poggiali, Pompeo Lapi ,
Carlo Lapi, Carlo Maratti, Londra, s.e., 1788, si vende in Livorno presso
T. Masi e Comp.
Ottonelli, Giovanni
Domenico, Della christiana
moderatione del theatro,
libro primo, detto della qualità delle comedie [...]. Edizione
seconda, Fiorenza, Gio. Antonio Bonardi, 1655.
Segni, Alessandro, Relazione dei viaggi e feste per le reali nozze de’ Serenissimi sposi
Violante Beatrice di Baviera e di Ferdinando principe di Toscana, Firenze,
Eredi d’I. Della Nave, 1688.
Sforza Pallavicino,
Pietro,
Considerazioni sopra l’arte dello stile e
del dialogo, Roma Corbelletti, 1646.
Varchi, Benedetto, La suocera, Firenze, B. Sermartelli, 1569.
Secoli XX e XXI (ordine alfabetico)
Alberti, Maria -
Bartoloni, Antonella - Marcelli, Ilaria (a cura di), L’Accademia degli Immobili, proprietari del Teatro della Pergola in
Firenze, Inventario, Roma,
Ministero per i beni culturali, 2010.
Benvenuti, Edoardo, Agostino
Coltellini e l’accademia degli Apatisti a Firenze nel XVII, Pistoia, Tipografia
cooperativa, 1910.
Benvenuti, Edoardo, Insieme col Moniglia,
estratto della Rivista delle Biblioteche,
Firenze, s. s., 1912, pp. 1-18.
Brunet,
Jacqueline, Le paysan et son
langage dans l’œuvre théâtrale de Giovan Maria Cecchi,
in Ville et campagne dans la littérature
italienne de la Renaissance. I. Le paysan travesti, diretto da André Rochon, Abbeville, Paillart, 1976.
Carnevale,
Franco, Una ‘terribile
controversia’ medica: Bernardino Ramazzini vs Giovanni Andrea Moneglia, «E&P di Mezzo» (dic. 2011), Rubrica/libri
e storie.
Catucci, Marco, Giovanni Andrea Moniglia,
in Dizionario biografico degli italiani,
vol. 75, 2011 (http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-andrea-moniglia_%28Dizionario-Biografico%29/).
Decroisette, Françoise,
I virtuosi del Cardinale, da Firenze all’Europa,
ne Lo spettacolo
meraviglioso. Il Teatro della Pergola, l’opera a Firenze, a cura di
Marcello de Angelis, Elvira Garbero Zorzi, Loredana Maccabruni, Piero Marchi, Luigi Zangheri, Firenze, Pagliai Polistampa, 2000.
——————————, Hercules sur scène entre
Florence et Paris, in Du
genre narratif à l’opéra, éd. de Raymond Abbrugiati,
Toulouse, Presses Universitaires du Mirail, 2000 (Collections de l’ECRIT, 4).
——————————,
Les stratégies
éditoriales d’un librettiste florentin: les Poesie drammatiche de Giovanni Andrea Moniglia,
entre obéissance et auctorialité, in Le livret d’opéra, œuvre littéraire?, a
cura di Françoise Decroisette, Saint-Denis, P.U.V.,
2010.
——————————, Dramaturgie et
scénographie de l’abbatimento dans les drames en musique de Giovanni
Andrea Moniglia, in La guerre mise en scène. Théâtre et conflits dans l’Italie du XVIIe
siècle, a cura di Jean-François Lattarico, Paris,
Chemins de tr@verse, 2012.
——————————, Delle poesie dram[m]atiche, dedica
e prefazione; Il potestà di Colognole, prefazione; Il tiranno di Colco, lettera
apologetica, a cura di Françoise Decroisette,
in Idées du théâtre (http://www.idt.paris-sorbonne.fr/), 2013.
Garbero
Zorzi, Elvira - Zangheri, Luigi, Il teatro
della Pergola, Corte e accademia nella cultura fiorentina, in Lo spettacolo meraviglioso. Il Teatro della
Pergola, l’opera a Firenze, Firenze, Pagliai Polistampa,
2000.
Melani,
Jacopo, Il potestà di Colognole, a cura di James Leve,
Middleton, Yale University - A. R. Editions Inc.,
2005 (Collegium Musicum,
vol. 14).
Mamome,
Sara, Serenissimi
fratelli, principi impresari. Notizie
di spettacoli nei carteggi medicei, Firenze, Le Lettere, 2003
——————, Mattias de’ Medici, serenissimo mecenate
dei virtuosi. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei (1629-1667), Firenze, Le Lettere, 2013.
Pirrotta, Nino, Li due Orfei, Torino, Einaudi, 1975.
[1] Questo
verso non esiste nell’ Ant. 244.
[2] Ch’in sua movenza è fermo: è il motto dell’Accademia degli Immobili, proprietari del teatro della Pergola, protetta dal cardinale Giovan
Carlo di Toscana, fratello del granduca Ferdiando
II. Questo motto stava sopra l’emblema dell’accademia che figurava un mulino a vento.
[3] Albergo fortunato: si tratta del teatro della Pergola, eretto a
partire dal 1652 dall’ingeniere-architetto Ferdinando
Tacca, il quale aveva sostituito nella carica Alfonso Parigi, figlio di Giulio
Parigi, dopo che, nel 1651, fu fatto un bilancio negativo dello stato dei
teatri disponibili per la corte (cfr.
Preparativi per i festeggiamenti da fare
in occasione della venuta del duca di Modena a Firenze, novembre
[4] quercia reale: la quercia è l’emblema della casa della Rovere a cui appartiene la granduchessa Vittoria, citata al
verso seguente, che aveva sposato il granduca Ferdinando II nel 1637,
e gli aveva dato un figlio maschio, Cosimo, erede del trono granducale.
[5] del sole ispano e di medicee stelle: allusione alla festa teatrale L’Hipermestra,
libretto di Moniglia e musica
del celebre compositore veneto Francesco
Cavalli. La festa era stata
prevista sin dal 1653, per l’inaugurazione
del teatro, con un prologo encomiastico in onore della famiglia
medicea. Per motivi di
peste, si preferì inaugurare
il teatro nel carnovale 1657 con il dramma
civile rusticale del Moniglia, Il potestà di Colognole. L’Hispermestra
fu poi proposta, nel giugno del
1658, per festeggiare la nascita
di un principino spagnolo,
Filippo Prospero, figlio di
Filippo IV e Marianna d’Austria. Il prologo e l’epilogo furono quindi riscritti.
[6] un Argo: figura della
mitologia provvista di cento occhi, mentre
Amore è bendato quindi cieco.
[7] a diacere: a diacere, a ghiacere, cioè a giacere.
[8] Gli Zerbin fiorentini [...] buona borsa:
nella Dichiarazione di Tacere ed Amare (P. D. 507), Moniglia registra: «zerbini, o innamorati, che tali si
dicono da Zerbino, nome proprio di guerriero innamorato celebre negli antichi
romanzi e nell’Orlando furioso dell’Ariosto». Qui allude agli accademici
Immobili, tutti nobili gentiluomini che si erano raggruppati intorno al
cardinale Giovan Carlo di Toscana, e gestivano il teatro della Pergola. Oltre
averlo largamente finanziato, gli accademici partecipavano agli spettacoli,
specie nei balli e negli abbattimenti, mettendo a profitto la loro formazione
cavalleresca. Tutto il passo allude al fatto che avevano dovuto spendere molto
per l’allestimento dell’Hipermestra,
le cui sfarzose macchine servirono per aggiungere qualche effetto scenico a Il vecchio balordo. Dopo la morte del
cardinale Giovan Carlo, nel 1664, gli Accademici presentarono un bilancio delle
spese, Informazioni sulle ragioni che
hanno gli accademici Immobili sopra il teatro di via della Pergola
(Archivio dell’Accademia degli Immobili, serie I,
[9] sì nobile teatro: si tratta del teatro della Pergola (cfr. supra, Prologo
15).
[10] schizzinosa: ritrosa, salvatica. Usato dal Varchi ne La suocera, e
da Machiavelli (V. C., 1465). Schizzare
si dice anche della serpe che lancia il suo
veleno.
[11] I paperi conducono
a ber l’oche: per ragioni di metrica Moniglia trasforma il proverbio: «insegnare o simili i paperi a bere all’oche, vale: gli imperiti
che vogliono saperne più dei periti» (V. C.,
1103), cioè quando un giovane vuol beffare
un vecchio. Moniglia
registra un altro proverbio
con le oche, nella Dichiarazione de La serva nobile (P. D., 287), «fare il becco all’oca: dar compimento all’opera».
[12] grand’aggravio: ingiuria, gravezza, imposizione (V. C., 49).
[13] far la bacchettona: bacchettone,
«colui che arrende alla vita spirituale», sono i devoti che girano per le Chiese (V. C., 188). Lucrezia rinfaccia a Leonora il suo subitaneo rimorso morale.
[14] le baie faceva: mi burlava.
Moniglia nella Dichiarazione de Il potestà di Colognole, (P. D., 91), registra:
«dar la baia:
uccellare, motteggiare».
[15] bella discrizionaccia!: la discrizione è la capacità di discernere e giudicare
rettamente: secondo la giustizia, è la facoltà di ben maneggiare un ufficio.
Qui coll’antitesi tra l’aggettivo e il suffisso spregiativo, questa facoltà è
invece evocata in modo ironico. Moniglia usa spesso l’esclamazione,
oh discrizione!, con un senso di ironia (cfr. infra, II.10.10).
[16] m’amazzaria:
m’ammazzerebbe.
[17] Ci son per l’ossa e per la pelle:
«egli è l’ossa e la pelle, diciamo d’uno che
sia magrissimo Plauto: ossa et pellem esse; [...] quando i tisici sono arrivati all’ultima estenuazione, e non sono altro che pelle e ossa» (V. C., 1134).
L’espressione è qui trasformata per dire: prendo rischi
che possono lasciarmi senza niente.
[18] L’ Ant. 244 indica: Lucrezia sola.
[19] L’ Ant. 244 indica: Amor non più...
ecc.
[20] si smaltirà anche questa:
smaltire è concuocere il cibo nello stomaco.
Vale a dire: anche questa sarà digerita
(cfr.
II.12.77).
[21] l’è polveroso: mostri:
nel Magl VII, il verso è inquadrato da due sbarre, come a indicare un gesto particolare di Leonora mentre guarda Anselmo e gira intorno con
premura per apprezzare la
sua figura e lusingarlo, come viene
detto dopo. A conferma, da notare che l’Ant. 244 aggiunge una didascalia: «(Lo rassetta)» cioè lo riordina, lo
accomoda, il che spiega le parole precedenti, indicando un gesto (cfr. II.8.45).
[22] chi prega, cianci al vento: perdere le parole, non
aver nessuna influenza neanche colle preghiere. Moniglia registra nella Dichiarazione a La vedova (P.
D., 305): «Ciance: burle, scherzi, bagatelle,
cose di poco valore».
[23] sta chiotto e spende: chiotto per cheto (V. C., 330), quieto, silenzioso.
[24] quando io fui tratto potestà di fuora: Anselmo allude alla sua situazione
nel primo dramma civile, Il potestà di Colognole, dove il cittadino fiorentino Anselmo era stato chiamato
potestà a Colognole.
[25] ci vo di mal in gamba: le cose stanno sempre peggiorando.
[26] so quasi quasi dove il merlo cova: il merlo (merlotto) (V. C. 1028) «aggiunto
a huomo significa balordo grossolano», o per antifrasi, significa una persona furba che si finge ingenua.
Oggi si direbbe dove la gatta cova,
cioè:
dove c’è un inganno. Moniglia
nella Dichiarazione de Il conte di Cutro,
(P. D., 1698, 606), registra: «Merlotto: balordo,
grossolano, facile ad essere
ingannato».
[27] Le si fanno l’un l’altra a giova giova: «fare
a giova giova, aiutarsi l’un l’altro» (V. C., 770).
[28] vuol pretendere il lucco: «il lucco è una veste di cittadin fiorentino, oggi usata solo nei magistrati» (V. C., 969). Significa
che ha delle ambizioni di carriera.
[29] questo vecchio barbogio: è quello che per soverchia età non ha più intero il discorso (V. C., 199). ¨ Il badalucco: il badaluccare, leggiere scaramuccie per trattenere le brigate (cfr: Machiaveli, Mandragola, «un dottor poco astuto, un parasita
di malizia il cucco, e fien questo giorno il vostro badalucco», (V. C., 189), vale a dire divertimento. Moniglia lo registra nella Dichiarazione de La serva nobile, (P. D. 1698, 284) «badalucco:
trastullo, intertenimento, trattenimento piacevole, passatempo».
[30] è una giovane di
pasta: di buona pasta, di buona
natura.
[31] ma voi apporreste al
sale: apporre
al sale, cioè
biasimar qualunque cosa per ottima che ella sia.
[32] non la sgarerà certo: sgarare significa gareggiare, fare a gara.
[33] Chi son io, Pippo o Brogio: Pippo allude forse al Pippo del
Castiglione, servo della casa di Vieri da Castiglione, membro anche lui degli
Immobili, evocato da Lorenzo Lippi nel Malmantile
racquistato, cant.
III, st. 64, «il più giudizioso e faceto umore che sia mai stato in Firenze»
(Lippi, 1750, nota, p. 300). Faceva burle ai signori. Le facezie di Pippo erano
ben conosciute a Firenze. Serdonati rammenta anche
certi proverbi come «E sarà un aver ritto l’uovo di Pippo in su un piano», che
alludono a Filippo Brunelleschi che vinse una gara con un architetto per la
costruzione del duomo di Santa Reparata, colla prova di far rizzare un uovo su
un piano, e vinse facilmente la prova: «si usa quando si vuol mostrare che si
fa un’opera che apparisce difficile da prima, e fatta che l’è paia facile e
riuscibile ad ognuno» (Serdonati, 15-16). Brogio è un
diminutivo di Ambrogio, passato a significare sciocco, babbeo.
[34] Che sghiribizzo è questo: sghiribizzo per ghiribizzo: capriccio,
idea bizzarra.
[35] Cinquettare più / Oh che capaccio: cinguettare, il parlar dei fanciulli, quando cominciano a favellare, balbutire. Moniglia, nella Dichiarazione de La vedova (P.
D., 395), lo registra e spiega: «che cinguettar? Cinguettare
è il parlare dei fanciulli quando cominciano a parlare».
Capaccio è un peggiorativo
di capo, «ostinato, di dura apprensiva,
rozzo» (V. C., 277).
[36] chiudeteli: nell’Ant. 244, è scritto «serrategli», invece di «chiudeteli».
[37] Quando fu meco in Colognole giudice [...] sua senza: nuova
allusione al primo dramma civile rusticale, Il potestà di Colognole, nel quale Anselmo, podestà a Colognole, era
affiancato da Odoardo, giudice. Odoardo si rivelava alla fine essere il padre
della giovane Leonora, creduta sorella di Tancia e
figlia di Gora, vecchia, sotto nome di Lisa.
[38] Il cornucopia dell’asinità: il massimo dell’asinità, il cornucopia è l corno dell’abbondanza.
[39] se io mi vi caccio sotto: se mi prende voglia di intervenire.
[40] non fue: non fu.
[41] non sapeva chei faceva la serenata: ne Il potestà di Colognole (I.26-28) Leandro, innamorato di Isabella, figlia d’Anselmo,
ma povero, è venuto alla
sera con un gruppo di musici
a cantare una serenata [«Sotto un noturno cielo / di una fede tradita...»] sotto le finestre di Isabella. Si
sveglia Anselmo, che chiama i suoi familiari
e sbirri, per mettere i cantanti in prigione. All’inizio dell’atto II, chiede a Odoardo giudice di punire i musici, ma Odoardo ricusa, non sapendo qual’è il nome dei musici, né dove stanno. Vedi anche supra, I.7.39-41, e infra, II.12.20-27).
[42] a creder vi si dà l’asino vola...: vi fanno credere anche le cose più incredibili, come è credere che un asino voli.
[43] drento: storpiatura per dentro, che Moniglia
elenca nei suoi glossari, come «comune nel parlare
dei villaggi intorno a
Firenze».
[44] Filandro m’insegnò, [...] parole fango: Moniglia, nella Dichiarazione de La vedova (P.
D., 400), registra: «non uso far di mie parole fango, cioè voglio
mantener la parola, osservar ciò che
prometto». Filandro allude a un personaggio del precedente dramma civile Il pazzo per forza, del 1658, dove Anselmo ha un ‘maestro
di casa’, di nome Filandro, che
usa un linguaggio pedantesco
farcito di latinismi e di citazioni, e cerca di appropriarsi dell’eredità di
Anselmo, suggerendo al figlio
del padrone, Flavio, innamorato sfortunato, di fingere la pazzia, per farlo rinchiudere nell’ospedale dei Pazzi.
[45] Uh, barbagianni: il barbagianni è un uccello notturno rapace. «Dalla similitudine, perché è ridicolo, si dice ‘barbagianni’ ad uomo sciocco e balordo» (V. C., 198). Moniglia nella Dichiarazione di Tacere ed Amare (P. D., 489) lo
registra con: «sciocco balordo, dall’uccello di questo nome».
[46] [...] suppongo. / petronilla Ella
vuol dir propongo?: la stupidaggine
del personaggio passa attraverso il suo uso sbagliato, erroneo e ridicolo di certe parole, diverso dalle storpiature di parole usate da
Anselmo ad esempio, o del balbettamento di Piero.
[47] giulebbato: per giubilato, «far festa, giubilo, allegrezza» (V. C.,
773). Ancora una volta Fernando si dismotra stupido e
poco attento alla precissione delle parole.
[48] di mie furfantate / il nodo
viene al pettine: furfantate, cioè furfanterie, da forfare, «far quello che non conviene, errare peccare» (V. C.,
708). Il nodo entra in molti
proverbi, ad esempio: «il sarto che
non fa il nodo il punto
perde», cioè: bisogna far
le cose coi debiti termini se non non si può arrivare a buon fine. Qui Betta teme che i suoi
mancamenti non le portino
gravi guai se Anselmo decide di maritare
Lucrezia seguendo la volontà della moglie.
[49] Misericordia oh ciel, con le bigoncie: bigoncia, «vaso di legno senza coperchio di tenuta, intorno a tre mine, composte di doghe: s’usa
principalmente per sommeggiare
l’uva premuta al tempo della vendemmia.[...] Usiamo bigoncia in significato di cattedra, onde montare in bigoncia tanto è a
dire quanto montare in cattedra
per parlamentare» (V. C., 223). Betta
sembra temere i sermoni che dovrà
sopportare dai padroni, se le cose peggiorano.
[50] dover l’unguento consumar ad oncie: oncia per dire che dovrà passarsi molto unguente sulla pelle per curare i
colpi di bastoni ricevuti.
[51] infingarde: infingardo: «prigro
lento». infingardia: «Lentezza nell’operare,
infingendosi di non potere,
pigrizia» (V. C., 877).
[52] di farmi burle è in fregola:
Moniglia, nella Dichiarazione de Il pazzo per forza (P. D., 183), registra: «In fregola: voglia
grande, onde vuol dire: entrato
in fregola si fatta e essendogli venuta si gran voglia. E’ traslato da i pesci che si dice andare
in fregolo quando si adunano molti insieme
per la generazione [...]»; e
nella Dichiarazione de La vedova, (ibid. 394-395): «vanno in fregola: fregola
è l’atto che fanno i pesci nel
gettar l’uova, fregandosi su pei sassi. Virgilio nella Georgica disse degli animali che
vanno come si dice in fregola: in furias, ignemque
ruunt. Vuol dire desidera ardentemente, non regge più di farmi delle burle».
[53] egl’è tanto in valigia:
«entrare in valigia, proverbialmente vale per adirarsi, inritrosire. [...]
Onde, egli è in valigia: egli è in collera, adirato» (V. C., 1745).
[54] di che t’ho cera:
la cera usata per il viso. Significa: cosa ti pare di me, chi sono io, mi riconosci per chi?
[55] col posa piano a piedi: senza far rumore camminando con cautela, con la pianella. Nella Dichiarazione de La vedova (P. D., 385), Moniglia
registra: «pianelle: calzamento de’ piedi che non ha calcagno».
[56] acquattato: acquattare: «chinarsi
a terra il più basso che l’uomo può per non esser visto, senza però porsi a giacere»
(V. C., 26).
[57] Nell’Ant. 244 è esplicitato: scena
XII. Leonora, e detti. Betta in camera.
[58] trovale bosco: «diciamo
essere da bosco o da riviera, cioè
atto a qualunque cosa, scaltrito, esperto, da tutta botta» (V. C., 234). Betta
commenta la destrezza con cui
Leonora arriva a far sì che Anselmo accetti Ascanio.
[59] usa tagliare la legna addosso: dire male di qualcuno.
[60] Qui nel
Magl. VII è indicato: «ascanio: Faccia», mentre in realtà parla Anselmo che ascolta la nuora.
[61] della Lucrezia è cotto: nella Dichiarazione de Il
potestà di Colognole
(P. D., 102), Moniglia registra «cotto: ubriaco,
avvinazzato il vino è chiamato fuoco, onde meritevolmente diamo nome di cotto a’ briachi [...]». Si noti l’uso realistico/popolare della lingua anche da parte
di Leonora, ma con senso figurato.
Nel primo dramma, è Tancia contadina che usa quel aggettivo, parlando
di Desso Tartaglia che la corteggia, e si è ubriacato.
[62] ora si cala: l’espressione calarsi a una cosa significa
«volgervi l’animo, indursi a farla, accommodarvisi, risolversi» (V.
C., 258).
[63] me n’arcicontento: mi contento
anche troppo. Moniglia usa arcicredo ne Il pazzo per forza, I.11, e registra nella
Dichiarazione: «credo pur troppo, te lo credo più di quello che lo dovrei
credere» (P. D., 174).
[64] vadia: per vada.
[65] vecchio minchione: «vedi bescio: invece di Besso, che vale
sciocco, voce sanese e altresì balordo» (V. C., 119). Nella Dichiarazione de Il pazzo per forza (P. D., 181),
Moniglia registra: «minchionati: scherniti».
[66] gnene [...] al mio medico: facendo dire al suo protagonista ridicolo, Anselmo, che vuol far fare
una commedia al suo medico, Moniglia si prende gioco di se stesso mostrando anche di non curarsi degli attacchi
di chi gli rimprovera di dedicarsi all’arte comica e di medicare male i suoi pazienti (cfr. Introduzione,
pp. 12-13).
[67] et in baggiana la pecunia resta: le baggiane sono «le buone parole
dette per tirare altrui nella sua volontà [...] ficcar carotte»
(V. C., 190). La baggiana è anche una moneta della zecca di Mirandola, di
valore 4 soldi, e somiglia a una grossa fava.
[68] l’è poi to madre...: tua madre.
[69] gli vendo il sol d’agosto: gli faccio credere quello che voglio
io. Lucrezia è riuscita a far entrare Ascanio in
camera con la benedizione del
padre, fingendo ingenuità. Anselmo ha perfino serrato la porta affinché la madre non li disturbi, facendo il ruffiano alla propria figlia, ciò che
Petronilla gli rimprovera nella scena seguente.
[70] vi covan le cicale: vi cova qualche maldicenza. Il cicalare è «parlar
troppo»(V. C., 333), e male, come
le cicale fanno col loro fastidioso e continuo canto.
[71] la rovella mi rinforza:
Petronilla si sta sempre
più infuriando contro la boalordaggine del marito.
[72] sete pazzo spolpato: spolpare è levare la polpa fino alle ossa.
Vuol dire: siete completamente pazzo.
[73] ma se giordan si scioglie
/ l’aggiusto:
espressione poco chiara, non resgistrata
dal Vocabolario della Crusca o
dalle Dichiarazioni,
ma «il giordan si scioglie»,
sarà un’allusione al fiume Giordano, che allagava spesso in inverno e in primavera, per dire che Anselmo sta per perdere la pazienza con la moglie.
[74] e la rappiccia il moccolo:
il moccolo
è il resto di una candela sottile
della quale se ne sia alquanto arsa. Rapiccare, di nuovo appiccare, cioè: lei rincomincia ad opporsi a quello che dico.
[75] o zoccolo o pianella:
il primo è scarpa di legno,
la pianella è una pantofola che non fa rumore (cfr. I.11.5).
[76] Io non ci so vedere
spina, né osso:
si dice proverbialmente per
parlare di cosa che non presenta nessuna difficoltà.
[77] occorreva farle la cilecca: la cilecca è «una beffa che
si fa altrui, mostrando di dargli checchesia, e non gliele dare» (V. C., 335).
[78] anselmo: Piero / servi: qui Anselmo propone Piero per servire
Ascanio, mentre nell’Ant. 244 Anselmo dice: «Betta / servi il signor Ascanio».
[79] il mio cappio bello: nella Dichiarazione de Il conte di Cutro
( P. D., 613) si trova: «cappio: annodamento,
del quale tirato l’un dei capi, si scioglie», che riprende essattamente
la definizione del Vocabolario della Crusca.
Qui si allude a un nastro femminile, per ornare i capelli.
[80] la suocera s’incoccia: si ostina, continua a farle dispetto.
[81] una fantoccia: nella Dichiarazione de La vedova (P. D., 390), Moniglia
registra: «fantoccia:
bamboccia, sciocca».
[82] garbacci: o sgarbi, il contrario di garbo, avvenutezza, gentilezza.
[83] Qui Leonora è vicina
alla Doralice della commedia goldoniana, La
famiglia dell’antiquario, dove la figlia di Pantalone ha anche lei portato
una dote cospicua in casa dei suoceri, nobili ma senza soldi, di cui la suocera
le vieta ogni uso, anche per farsi fare un nuovo vestito da donna sposata.
[84] mi salta il moscherino:
«montare il moscherino, proverbio, e vale subitamente adirarsi» (V. C., 1062).
[85] per appormi: per oppormi,
apporre è obiettare, trovare da ridire, e anche incolpare a torto (V. C., 123). Nell’Ant. 244, il verso 5 è cambiato: «perch’io v’inciampi, e a torto o ragione».
[86] II.1.32-38 Questi versi
finali sono soppressi nell’Ant. 244.
[87] merle, musi auzzi, un cova caldanuzzi: merle pare una riduzione del
proverbio: la merla ha passato il Pò, che significa che
il bel fior dell’esser suo manca, sopra tutto per la donna (V. C., 1028). I musi
aguzzi, o acuti, sono musi o faccie che
denunciano l’uso di stratagemmi o astuzie. Nella Dichiarazione de Il
conte di cutro (P. D., 614), Moniglia
registra un proverbio: «aguzzi i miei ferruzzi: proverbio che vale assottigli
lo ingegno, m’industri, adopri tutti gli stattagemmi, tutte le finezze, tutte l’astuzie». Caldanuzzi è un diminutivo di caldano, cioè «la stanza che è sopra le volte dei forni»
(V. C., 260), alludendo forse
alla vecchiezza che costringe a starsene vicino —o sopra— al forno a riscaldarsi.
[88] e quel che fa la penna:
allude al supplemento di guadagno
che la penna poteva offrire a chi lavorava negli uffizi (V. C., 1180).
[89] tartaglia spia / scopre ogni maccatella:
Tartaglia è il nome del servo balbettante e gobbo. Maccatelle: «sono certe cose di
legno che si conservano dentro i sigilli di cera dei privilegi. Ma si piglia
anco questa voce per ribalderie, e trafurellerie, e opere fatte con fraude» (Fiacchi, 25).
[90] Diascolo: per diavolo. ¨ Ivi, ciarpiera: Nella Dichiarazione de La serva nobile
(P. D., 280), Moniglia registra: «ciarpiera: Donna
di costumi biasimevoli. Impacciosa, ciarliera».
[91] me madre: mia madre.
[92] va alla forca: ingiuria,
che allude al patibolo. Si dice: È forca, per dire degno di forca. Va alle forche, modo biasimevole di maledire.
[93] possa vederti in gogna: la gogna è il «luogo dove si legano in
pubblico i malfattori, con le mani di dietro, e col ferro al collo, e il ferro
stesso, vituperoso indizio dei loro misfatti», (V. C., 783). Betta continua a
maledire Piero.
[94] che bel cecino: cece, specie di legume o civaia, «per vezzi diciamo
al membro virile del bambino» (V. C., 309). «Dicesi anche a persona trista e
maliziosa, bel cecino cioè bel cosino, in modo ironico, a un impertinente che
vuol parer bello» (Tommaseo).
[95] mi son visto alla spera:
la spera è la stella della sera, cioè: mi sono visto alla luce di una stella, il che spiega che
lui trovi giusto che la madre parli
della sua bellezza nella lettera.
[96] che garbata me madre: cfr. supra II.5.21. Idem «me padre» per mio padre.
[97] lo sapessi: lo sapeste.
[98] smargiasso: allude a un personaggio di capitano fanfarone, spaccone, che si vanta di fare imprese eccezionali. Nella Dichiarazione de Il pazzo per forza (P. D., 180),
Moniglia registra «smargiassi: bravi sgherri,
tagliacantoni».
[99] io lo conficcherò di stillettate: gli
darò tanti e tanti colpi di stilo, di pugnale.
[100] il baco/ lo morde:
«avere il baco con uno vale averlo
a noia» (V.C., 189), dai vermi di cui patiscono
spesso i bambini. Qui
Ascanio è annoiatissimo contro
Piero.
[101] imbriaco: ubriaco.
[102] d’un pò di bravatella
con l’ingiuria: da bravare, fare finta di essere bravo lanciando delle ingiurie, ostentare esageratamente la propria forza.
[103] gli viene il mal de pondi nella bocca: non finisce più col sentenziare e parlare ponderosamente.
[104] A un po’ di cocconetto [...] l’aspetto:
cocconetto è una sorta di giuoco che si fa con le carte di tresette.
Giocare a bazzica o a cocconetto (Tommaseo). Tommaseo cita i versi: «La potrai tu giocare a tuo diletto
/ A bazzica con esse e a cocconetto»
(Corsin. Torrach. 4, 39). Tressette
è un gioco di carta che si
fa da due a otto giocatori, e si gioca con un mazzo di quaranta carte. Tre è la carta più alta, e sette la carta più bassa. Il punteggio
è 3, 2, 1, 10, 9, 8, 7, per un totale di 12.
[105] cirimonie da banda: mettere le cerimonie da parte.
[106] non ne son ben capace:
non ho capito tutto.
[107] ma questa chiucchiurlaia: da
chiurlo, chiurla, forma di uccellagione che si fa nei boschi colla civetta e
col fischio, impaniando alberi per far cascar gli uccelli. Cioè allude al
battibecco strambo e incomprensibile tra gli Anselmo, Ascanio e Piero. Moniglia,
nella Dichiarazione a Tacere ed amare (P. D., 493), registra un senso figurato: «chiurlo, cuculio: voci che significano sciocco e balordo, come di sopra,
barbagianni».
[108] s’ha da impalmare: deve stringersi in matrimonio con Fernando.
[109] puledro / [...] è una carogna: rigna per ringhia, cioè digrignando
i denti e brontolando, come
i cani che vogliono mordere. Vale a
dire se il puledro (o la
donna giovane) non si ribellano,
non esistono, sono morti.
[110] fagorirla: storpiatura per favorirla.
[111] s’ha fare un priorista
di festini:
un priorista è il libro dove
sono scritti i priori, quelli
che hanno il potere. Mangiare come un priore vale per mangiar bene.
[112] subito impanca: impancare
è «porsi a sedere e particolarmente a tavola». Anche
in senso equivoco, «porsi a giacer
su panca» (V. C., 836). La mala lingua di Petronilla ferisce le donne giovani e belle che non si fanno pregare per ‘giocare’, e fare i vezzi in pubblico, come i saltimbanchi.
[113] non si può star rassetta:
nella Dichiarazione de La vedova, Moniglia registra (P.
D., 399): «rassetta:
accomoda, riordina».
[114] la me parte anch’io: la mia
parte.
[115] oh bella infingardona:
cfr. supra I.9.3.
[116] dover far da cuciniera: da cuoca.
[117] Siccome
Betta si affaccia alla fine
della scena, aggiungo il nome di Betta, che invece
manca nel Magl VII.
[118] di farmi sghiribizzi mai
satolla: mai sazia di ghiribizzi contro di me (cfr. supra
I.7.10).
[119] veder [...] il diavolo nell’ampolla: Moniglia
registra l’espressione anche nella Dichiarazione di Tacere ed amare (P.
D., 498): «mi fareste
vedere il diavolo nell’ampolla: gli dareste ad intendere una cosa per un’altra,
si dice ancora far vedere la luna nel pozzo e lucciole
per lanterne».
[120] oh discrizione: cfr. I.I.58. Qui è usato
ironicamente per denunciare
la burla poco gentile che
le serve gli hanno fatto subire.
[121] come il sei di sbaraglino: lo sbaraglino è un «giuoco di tavola, che si fa con due dadi». Si trova in Berni: «Se io perdessi a primiera
il sangue, e gli occhi, non me ne curo, dove a sbaraglino rinnego il Cielo, s’io perdo tre
baiocchi» (Ber. Rim.) (V. C., 1443).
[122] Ch’il diavolo le sbucci: Piero, sempre in furia contro le serve che lo matrattano, le maledice invocando il diavolo che levi
loro la pelle.
[123] il naso arricciano / [...]
stropicciano: fanno le smorfie, se i mobili non sono ben
ripuliti, e strofinati.
[124] spazza da te / guidone infingardaccio: guidone
è detto per furfante, uomo d’infima plebe,
da guitto, furfante e birbone. Infigardo vale a
dire neghittoso, pigro. La pigrizia è la caratteristica essenziale di Piero, che se ne
vanta nella sua aria finale «Gran
disgrazia è quella, ohimè» (cfr. III.15.1-20).
[125] il farinaccio: il farinaccio
è legno ridotto come in
farina, per rosura di tarli.
Si dice anche per il riso franto e mescolato con la sua scorza, ed è quello
della crusca che si ottiene nel bianchire
il riso. Utile per ingrassare
polli e maiali (Tommaseo). Sarà un’allusione, un pò ironica, al lavoro dei Cruscanti, Odoardo motteggiando poi nelle scene successive la stupidaggine di Anselmo, e il cattivo
uso che questi
fa delle parole.
[126] conducete ancole: conducetela ancora lei.
[127] e col bargello: è il capitan dei birri, col quale Anselmo non ha niente
da temere. «Crearono
un nuovo ufficio in Firenze
ci furono sette capitani di guardia della città, e furono chiamati bargelli [...] Diciamo proverbialmente: dar nel bargello, cioè in cattivo incontro» (V. C., 200).
[128] quell’anno ch’in Colognole [...] i musici stanno: nuova allusione al’intreccio del Potestà di Colognole
(vedi supra,
I.7.39-41).
[129] testa di paglia a maglio:
il proverbio «Far
col maglio è fare interamente il peggio che si può, tolta
la metafora dal dare in su
la testa a i buoi, o torri,
col maglio» (V. C., 984). Ad Anselmo, che considera solo il denaro apportato da Fernando, Odoardo, benché più umano per la ragazza e cauto, pare un bue.
[130] balli se non suona: non importa se non suona.
[131] chi le vuole smaltir [...]
mostra: cfr. supra I.3.3. Smaltire uno, o che che si sia,
è levarselo per affatto dinanzi. Anselmo per avarizia riduce la figlia a mercanzia da mettere in mostra per sbarazzarsene.
[132] s’imbriaca:
si ubriaca.
[133] cacca strafizzecche
dalla testa: la strafizzeca è «herba pedicularis.
[...] È seme d’un’erba così appellata, la quale è di
grande efficacia, ed è detto capopurgi, perocché purga il capo della flemma» (V. C., 1631).
[134] medicargli il rovello: il rovello è una rabbiosa stizza, onde arrevellarsi vuol dire stizzirsi rabbiosamente.
[135] schiavetto Carali: questa figura di moro
è abituale nei drammi di Moniglia, che gli dà un
linguaggio esotico maccaronico, dominato dalla ù
finale, dalla sostituzione di -p- in -b-, dall’uso degli infinitivi verbali, e
dalla soppressione degli articoli. Era cantato da un certo Giovanni Buonaccorsi, moro, menzionato tra i salariati del cardinale
Giovan Carlo nel 1656. Si trova così un moro monello ne
Il potestà di Colognole, e una
Moretta zingara ne Il pazzo per forza,
del 57-58; non è integrato ne La serva
nobile, ma appare ancora in Amore
vuole ingegno / La vedova, previsto per il carnevale 1663, dove parla però
un volgare non alterato. È anche Iolao nell’Ercole in Tebe rappresentato nel 1661
per il matrimonio del principe Cosimo III con Marguerite Louise d’Orléans.
[136] II.14.3 e ss. Le lingue
forestiere e straniere storpiate sono frequenti nei drammi civili. Nel Pazzo per forza (1658), oltre Filandro
che usa un latino macheronico, l’innamorato Leandro dice
di voler farsi passare per francese, e di elaborare un «idioma terzo, tra franzese e toscano, che ben intenderassi»
(a Ligurino, I.7). Nello stesso dramma c’è inoltre un
ebreo, e una ‘senese’ Beltramina, che usa il dialetto
locale, ma sparisce nella riscrittura del 1689 per Pratolino). In Amore vuole ingegno ci sono quattro
personaggi di birbanti, un moro, un tedesco, uno spagnuolo,
un francese. A queste ultime due ‘nazioni’ allude anche La serva nobile, nel ballo finale nel cortile dell’università della
Sapienza di Pisa, con allusione chiara alla recente Pace stabilita tra la
Francia e la Spagna (1659). A questo ballo partecipano anche degli Armeni, che
«[...] sebben forestieri / Ballar sanno all’usanza italiana» (III.36). Ne Il conte di Cutro è la parlata grottesca
di Cutrone, messa in bocca di Fiammetta, sorella del servo Bruscolo, che appare
in veste machile sotto nome di Lesbino, ma che poi si
traveste da donna Cutronese per sedurre il Tartaglia
(Davo) cosentino (III.20), affin di costringerlo a
rinunciare al matrimonio con una delle figlie del conte di Cutro, e all’eredità
della contea.
[137] sciamatù: chiamato.
[138] arfasatto: da Arfasad, re dei medi, parola rara
usata per sciocco, volgare e arruffone. Si dice di uomo vile e di poco pregio (V. C., 133). Moniglia
registra, come nel V. C, nella
Dichiarazione de La
vedova (P.
D., 1698, 392), «arfasatto: uomo vile e di
poco pregio».
[139] stummia di canaglia: stumia vale per schiuma. Stumiare sarebbe anchetogliere «quel forzore che la vinaccia piglia di sopra» (V. C.,
1642). Il vocabolario
della lingua italiana (Padova, Minerva, 1829) registra l’espressione stummia di ribaldi, di furfanti:
«andate, dice, o stummia di furfanti». L’espressione
si trova anche nelle Rime burlesche del signor Gius.
Valeriano, cav. Vannetti, roveretano, col volgarizzamentoin versi sciolti di un poemetto intorno all’origine del lampo e del
fulmine, scritto in lingua tedesca
da Daniel Triller, dell’università di medicina di Würtemberg (1756): «tra certa stummia
vera di birbanti». Per insistere sulla ribalderia.
[140] Triaca li darà: la triaca è una
medicina usata contro i veleni, qui usata semplicemente per medicina o rimedio.
[141] raccapezzar: rinvenire, ritrovare,
ricordare, mettere nel cervello.
[142] so che Bartolo e Baldo / vi devono insegnare: Baldo degli Ubaldi era
un giurista italiano del
Trecento, allievo di Bartolo da Sassoferrato,
ambedue egregi esponenti della Scuola italiana del commento che
proponeva una nuova metodologia di interpretazione delle fonti
romane, contro il metodo della glossa.
[143] gran dottore del sessanta: nella Dichiarazione de Il conte di
Cutro (P. D., 613), si trova l’espressione «pagherò un sessanta», con la
seguente spiegazione: «Questo proverbio deriva dal gioco delle Minchiate,
ovvero de’ granelli, ne’ quali giuochi colui che non risponde a quel seme che
si giuoca, come a spade, o a denari, coppe, o bastoni, paga per pena un resto
che in lingua fiorentina si dice un sessanta, il perché quando segnando, cioè
contando, chi arriva a sessanta segni allora vince quel tanto che sono restati
d’accordo, che vaglia il sessanat. Onde viene quel
detto, chi non risponde, paga il sessanta». Il giuoco delle Minchiate si giocava
col mazzo di 97 carte, di cui 41 erano tarocchi, cioè briscole, e 56 erano di
seme ordinario. I quattro semi ordinari erano di quattordici carte ciascuno,
capeggiati dal Re. Le icone dei tarocchi erano numerate progressivamente salvo
le cinque più alte dette le Arie e la carta del Matto, di cui
tutti conoscevano la posizione gerarchica. Le carte qui dette nobili o di
conto, che davano punteggio, erano i quattro Re, diciannove tarocchi e il
Matto. I tarocchi di conto o nobili erano i cinque più bassi (dall’1 al 5), i
dieci più alti (dal 30 al 40), quattro intermedi (10, 13, 20,28) e il Matto
(qui detto 41). Quattro di queste carte nobili (2-3-4-5), valevano 3 punti, le
cinque Arie (36-37-38-39-40) 10 punti, tutte le altre 5 punti.
[144] antiche borie: le vanità
della gioventù, la sua bellezza passata e rincresciuta.
[145] mi confondisce / con troppi
comprimenti: accumulo
comico di storpiature e di confusione
sintattica, per: mi confonde con troppi
complimenti.
[146] fa gli occhi alle pulci: espressione popolare che qui vuole sottolineare in maniera esagerata la destrezza della ragazza.
[147] son molto participio: partecipe,
parziale come precisa poi Petronilla.
[148] n’un mo’ o nell’altro:
in un modo o in un altro.
[149] mangio di buonavoglia,
come il bue la frasca: la frasca
è un ramoscello fronzuto di
alberi boscherecci, quindi appetitoso. Moniglia registra nella Dichiarazione di Tacere ed amare (P. D., 493): «frasca: vano e leggieri, simile ad una frasca,
che è il ramo d’albero secco colle foglie. La frasca è l’insegna dell’Osterie e dei luoghi dove si vende il vino, onde il proverbio:
il buon vino non vuol frasca».
[150] ringarzullito: ringiovanito. Formato forse su una contaminazione tra ringagliuzzare, cioè mostrare una certa
allegrezza con atti e con movimenti, a guisa che talora fa il gallo, e garzuolo, cioè le foglie di dentro, le più tenere, congiunte insieme, del cesto dell’erbe,
come di lattuga, cavolo e
si fatte.
[151] presi il sacco per pellicelli: «pigliare il sacco pel pellicino
è scior la bocca al sacco»,
(V. C., 1423), cioè votare,
scuotere il sacco perché il
pellicino è la stremità dei
canti delle balle e dei sacchi
da potersi agevolente pigliare. È il dire ad altrui,
senza ritegno, tutto quanto
era ritenuto.
[152] quell’otta: quell’ora.
[153] se voi sapessi:
se voi sapeste.
[154] intronfia: imbroncia, fa il muso.
[155] la rosetta di diamanti: il donativo per le future nozze.
[156] lasciami stare: nell’originale manoscritto «lascimi stare».
[157] L’Ant. 244 aggiunge
una didascalia: (da sè).
[158] tu non c’esser: non esserci.
[159] del zio van sempre i cenci all’aria: l’espressione
deriva da «i cenci o gli stracci vanno
all’aria», che vuole dire che le pene ed i castighi
della giustizia ed altri danni
cadono sempre addosso ai
più deboli.
[160] dico di noe: dico di no.
[161] diascol: cfr. supra
II.5.13.
[162] chi ha pisciato rasciughi:
chi ha fatto il male ne deve
sentire il danno, e deve rimediare.
[163] una mana: una mano, forma antica.
[164] mangiato hanno il pasticcio [...] la broda: la broda è il superfluo
della minestra. Da brava cuoca, Betta sviluppa l’espressione: rovesciare la
broda addosso, cioè incolpare qualcuno di quello che forse altri ha compiuto, accioché ne porti la pena.
[165] capizzi: interiezione che
esprime ammirazione e sorpresa. Nella Dichiarazione del Potestà di Colognole
(P. D., 90), Moniglia lo registra: «capizzi: voce ammirativa, come capperi, cappita, canchita, canchero, cappuccio, tutte particelle che significano maraviglia e asserverazione». E anche nella Dichiarazione di Tacere ed amare (ivi, 506), «Capizzi, o vè che gente!: voce di meraviglia,
come di sopra s’è detto».
[166] alle colpe d’amor fortuna arride: la fortuna sorride.
[167] per scapolar d’Anselmo: sfuggire, scappare,
evitare una situazione difficile.
[168] madornale: spropositato. Moniglia, nella Dichiarazione de Il potestà di Colognole (P. D., 90), registra: «madornale: Grande, si dice per aggiunta
di rami o frutti principali degli
alberi e delle piante»; e
anche in Tacere
ed amare (ibidem, 484): «cioè
grande, si dice propriamente
dei rami maggiori delle piante
e delle linee principali negli alberi delle discendenze ed in questa significazione si trova nei buoni
scrittori toscani chiamano ancora madornali le piante maggiori tra quelle della medesima specie, e s’attribuisce per ischerzo a tutte
le cose grandi».
[169] che sverguenza: che vergogna. Potrebbe
essere ispanismo. Infatti in spagnolo ‘sfacciataggine’ si dice desvergüenza (il
prefisso «des-» spagnolo è privativo come l’«s-»
italiano).
[170] il bruscolo: particella
di materia, polvere, il
piccolo difetto che si vede negli altri
mentre non si vede il
proprio enorme errore. Bruscolo è il nome del servo di Anselmo nel Potestà di Colognole.
Segue poi alla fine della scena un altro modo di evocare la stessa idea: gettar tal polvere negli occhi,
che le balene fan parer granocchi (III.4.35).
[171] Dio gli perdoni: nel Magl. VII il
verso è scritto fra due barre oblique («/ ... /»).
[172] Drento è chi la pesta:
È un proverbio che «si usa quando noi crediamo
che l’interno di chi all’esterno mostra sanità non corrisponde. Qua dentro è chi la pesta: qua sono i miei dolori» (V. C. 1200).
[173] ho la lingua pagana: la lingua che non segue la retta via per emettere le parole
(vedi sotto: s’ho legata la
lingua), allusione alla causa del
suo balbettamento.
[174] tu pigli un granchio a secco: «Pigliare o farsi un granchio a
secco, vuol dire stringersi un dito, le mani tra due cose come in una morsa»
(Tommaseo), cioè: pigliare errore, ingannarsi.
[175] nelle Stinche andato: il carcere delle Stinche era l’antico
carcere di Firenze, elevato
dopo il
[176] dianzi: poco tempo fa, poco prima.
[177] un tempion: un colpo
sulla testa, accrescitivo
di tempia.
[178] ch’ammi: che mi ha.
[179] cirimonie: cerimonie.
[180] leggere il Galateo mi par
fatica: allusione al Galateo ovvero dei costumi, di Monsignore Giovanni della
Casa, scritto tra il 1551 e il 1555, pubblicato postumo nel 1558, che raccoglie
delle norme di comportamento per l’uomo di corte, altrettanto celebre in tutta
Europa quanto il precedente Libro del Cortigiano
di Baldassar Castiglione.
[181] sulla mia tacca: si dice per parlare della «statura si d’uomo si d’altro
animale. Bella tacca d’uomo, bella tacca di cavallo» (V. C., 1661). Petronilla vanta la fisionomia della figlia che le
somiglierebbe.
[182] ci riuscirà a pan più che
a farina: «riuscir meglio
a pan che a farina vale per
riuscir meglio coll’opera che non era l’aspettazione (usato da Buonarotti nella Fiera, III.1.19)»
(Tommaseo).
[183] giurovi: vi giuro.
[184] su questo Rodomonte: Rodomonte è personaggio ariostesco, che dà il suo nome poi a dei capitani di commedia
dell’arte, e a qualsiasi personaggio vanitoso, borioso e velleitario.
[185] pò far il cielo:
lasci pur fare al cielo.
[186] rinfrancescar l’imbroglio: infrancescare
vale per ripetere, ritornare su una medesima cosa, qui sull’imbroglio della lettera.
[187] n’intravvien le some: intravvenire, toscano antico e popolare: accadere, capitare. Le some sarebbero i carichi posti sulla
schiena dei cavalli, cioè cose pesanti.
Vale a dire: non capisco
come un tal caso abbia potuto accadere.
[188] quistioncina: questioncina, piccola questione.
[189] non son però sgarito:
sgararsi, cioè soddisfare alla sua voglia, quasi
vincere la gara o la contesa.
Moniglia, nella Dichiarazione di Tacere ed amare (P. D., 492), registra come nel
Vocabolario: «sgarirsi:
soddisfare alla sua voglia,
quasi vincere la gara o la contesa».
[190] che dovessi esser: che doveste esser.
[191] un mezzo cocconetto: cfr. supra II.7.67-68, e
infra III.13.31.
[192] scapigliarvi: scompigliare i cappelli, togliervi il cappello, forse per accomodarsi, come dice poi Odoardo.
[193] Non bisogna mostrar
le pere all’orso: dall’espressione: «lieva le pere, ecco l’orso. E dicesi per avvertimento di aver cura alla cosa che tu hai in mano,
quando vien da canto alcun’altro, che ne sia ghiotto, o per tortela»
(V. C., 1184).
[194] gente che tarocchi: taroccare vale per arrabbiarsi, borbottare. Moniglia lo registra in questo senso nella
Dichiarazione de
La vedova (P. D., 385):
«in verità tarocco: in verità m’adiro, sono in collera». Nel testo, dato che
la scena è centrata su una partita a carte con tutti i personaggi,
sembra più probabile che si alluda realmente al giocare con carte. Goldoni usa diversamente
il verbo taroccare, con c scemia
o doppia, e anche il nome ‘taroccamento’, in varie commedie,
sempre nello stesso senso di adirarsi, o borbottare.
[195] se gli dice a cocconetto [...] nelle liti: nuova allusione di Anselmo alla presunta
stupidità di Odoardo, che risale alle
loro avventure comuni ne Il potestà di Colognole. Per cocconetto, vedi supra II.7.67-68.
[196] un testone: moneta
d’argento italiana, coniata a Milano nel secolo XV. Poi dapertutto in Italia, con l’effigie dei sovrani.
[197] che nessuna non facci marsellate: parola forse derivata
da marsella, o marsiglia. Forse allusione al tarocco di Marsiglia, cioè l’uso di carte esoteriche nella cartomanzia che permetteva delle previsioni o delle congietture. A
Firenze esistono le Minchiate
con allusione al membro
virile, e per segnalare che
le carte non dovevano essere
prese sul serio (cfr. supra II.15.35).
[198] stansi: si stanno.
[199] mi suffoga: mi soffoca.
[200] vorrebbono: vorrebbero.
[201] ecco di posta la chiucchiurlaia:
ecco di nuovo quelli che fanno
rumore come gli uccelli (cfr. supra II.7.76). ¨ Eglino: loro, quelli.
[202] per far gente [...] / e frollarsi [...] un vegliettino: «frollare vuol dire far divenire frollo, ammollire il tiglio, per derivazione stancarsi, indebolirsi» (Tommaseo). Vegliettino allude alle veglie, riunioni
serali dove si mangiava, ballava e cantava. Qui vengono stigmatizzati quelli che solo fingono di essere gente che va all’osteria e si diverte.
[203] musicai e sonator di tasti: cattivi musici e suonatori di strumenti
a tastiera.
[204] si rimpizza il preterito:
il preterito «in modo basso,
è la parte deretana del corpo
umano, il culo» (V. C.,
1255). Rimpizzare è riempire
con abbondanza ristringendo
fortissimamente la materia nel contenente. Espressione per dire: fa finta di essere una persona importante.
[205] lo sciloppo di pomis:
lo sciroppo di pomi.
[206] un giulio: moneta
pontificia da due grossi, coniata
dal papa Gulio II della
Rovere che l’aveva aumentata di peso nel 1504.
[207] III.14.26-61 la
ripetizione di «stoppa, stoppa», come pure l’allusione a «pariglia» (usato nel
gioco dei dadi quando ci sono due medesimi numeri), e a «punto», lascia
supporre che il gioco rappresentato sia quello che poi si chiamerà stoppa, simile al poker.
[208] Piacevoli e Piatelli: arrivano due
personaggi che Anselmo non vuole lasciar entrare. Sono strambi, sono cavalieri,
uno parla forestiero, l’altro toscano, uno è bruno (scuro), l’altro è bianco, e
si allude ad un’attività teatrale. Da quanto dice Anselmo nominando chiaramente
i Piatelli e i Piacevoli (vv.
88-89), è una allusione alle Compagnie fiorentine dei Cacciatori, detti dei
Piacevoli e dei Piatelli, di cui si ha una Disfida di caccia tra i Piacevoli e i Piatelli, descritta da Giulio Dati, e una Storia dei cacciatori di Firenze,
scritta nel 1593. Cfr. anche Baldinucci, Filippo, Cominciamento e progresso dell’arte dell’intagliare in rame, colle
vite dei più importanti maestri della professione, ristampa a cura di Domenico
Maria Manni, accademico della Crusca, Milano, Società tipografica dei Classici
italiani, 1808. Filippo Baldinucci cita l’incisione eseguita nel 1627 da
Stefano della Bella, dedicata al cardinale Giovan Carlo di Toscana, che
rappresentava la celebre cena tra i Piacevoli e Piatelli.
Giulio Dati dà come anno di cominciamento delle Compagnie il 1592, una di
queste si riuniva in Parione, l’altra in Mercato
nuovo. Ne parla anche Lorenzo Lippi ne Il Malmantile
racquistato: «sono a Firenze due conversazioni di cacciatori le quali
andando a caccia gareggiano tra di loro a chi farà la maggior preda [...]
Giulio Dati ne scrisse la storia», cit., p. 194. Stefano della Bella lavorò per
gli Accademici Immobili e il teatro della Pergola negli anni 1656-1661. È
conservata al British Museum di Londra una serie importante di eleganti disegni
a colori di costumi eseguiti dall’artista per quattro spettacoli dati alla
Pergola tra il 1657 e il 1661 (Il potestà di
Colognole, Il pazzo per forza, Hipermestra, Ercole in
Tebe).
[209] Intorno a Ugnano: Ugnano è un villaggio
della periferia sud-ovest di Firenze, frazione del comune.
[210] Questa didascalia è
soppressa nell’Ant. 244.
[211] gran carote ficca: inventa bugie madornali.
[212] l’appalto pigliò degli stranuti: degli starnuti, storpiatura. È un
ritratto poco ameno di un personaggio che cammina storto, balbetta e mente. Si
può supporre che era facilmente riconoscibile dagli spettatori, il che forse
non piacque a tutti.
[213] tra tanto che: mentre.
[214] III.14.126-152 Per la
lingua del morino, cfr. supra
II.14.1-2.
[215] ad ogni mo’: ad ogni modo.
[216] di certo è cosa nota:
nel Magl. VII
è scritto fra due barre oblique («/
... /»).
[217] ch’aviate: che abbiate.
[218] gl’è indettato: è istruito anche lui della cosa.
[219] guardinfante: cerchio di ferro o vimine che s’usava
per tener larga la gonna, legato alla gravidanza. Nella Dichiarazione de La Vedova (P.
D., 385) Moniglia registra:
«guardinfante: arnese da
donna, col quale sotto si cinghiano
i fianchi, tenendo così distante dal corpo la gonella,
detto dal guardare l’infante,
cioè custodire e difendere il parto che è in corpo alle medesime».
[220] intronfio: cfr. supra III.1.21.
[221] far la scapponata: la scapponata
è una mangiata di capponi. Si allude al pranzo di nozze.
[222] a monte si butta: far
monte è un termine di gioco (V. C., 1055): «non hai più gioco e lo fareste monte; onde andare a monte e simili». Forse qui è usato per significare l’idea di azzardo, che pressiede
al matrimonio festeggiato.
[223] facciamogli il fumacchio:
ultima burla fatta da Betta a Piero per svegliarlo, nella cucina, dove
lui manca di essere arso.
[224] Sandra metti: dopo cartoccio, ci sono parole illegibili che appaiono chiare invece nel Ant. 244.
[225] briaco: imbriaco, ubriaco.
[226] dianzi: per dianzi, cfr. III.6.15. Equivale a poco
tempo fa. ¨ babbuino:
Moniglia registra ‘babbuino’
nella Dichiarazione de Il pazzo per forza, (P. D. 184):
«babbuino: sciocco, scimunito, semplice».
[227] Santangelo, Giovanni Saverio - Vinti, Claudio,
Le traduzioni italiane del teatro comico
francese dei secoli XVII e XVIII, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
1981.