Giuseppe Gorini Corio

 

Le cerimonie

Commedia

 

a cura di Pierantonio Frare

e Giovanna Zanlonghi

 

Biblioteca Pregoldoniana

 

lineadacqua edizioni

 

2014

 

 

 

Giuseppe Gorini Corio

Le cerimonie. Commedia

a cura di Pierantonio Frare e Giovanna Zanlonghi

 

© 2014 Pierantonio Frare

© 2014 Giovanna Zanlonghi

© 2014 lineadacqua edizioni

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 8

Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou

www.usc.es/goldoni

javier.gutierrez.carou@usc.es

Venezia - Santiago de Compostela

 

lineadacqua edizioni

san marco 3717/d

30124 Venezia

www.lineadacqua.com

 

ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-38-3

 

 

La presente edizione è risultato dalle attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663) finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome dei curatori, titolo e sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietato qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita autorizzazione dei curatori.

 

 

 

Biblioteca Pregoldoniana, nº 8

 

 

 

Nota al testo

Si ha notizia di due edizioni della commedia Le Cerimonie, entrambe vivente l’autore ed entrambe presumibilmente da lui sorvegliate: la prima in edizione singola (Le Cerimonie, in Milano, Nella Regia Ducal Corte, Per Giuseppe Richino Malatesta, Stampatore Regio Camerale, 1730), la seconda nel secondo tomo del Teatro tragico e comico del marchese Giuseppe Gorini Corio, Venezia, presso Giambattista Albrizzi, 1732, pp. 227-296. Su quest’ultima, che del resto non differisce dalla precedente se non in due luoghi, indicati nell’Apparato, si basa il testo qui trascritto.

            La trascrizione è stata condotta secondo i criteri, sostanzialmente conservativi, dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Gozzi. Minimi dunque gli interventi: ho uniformato le maiuscole (comprese quelle a inizio verso) secondo l’uso moderno, come pure gli accenti, le apocopi e gli apostrofi. Per la punteggiatura, mi sono limitato a eliminare le virgole davanti a che in quei casi che riflettono una pura consuetudine settecentesca che, mantenuta, appesantirebbe inutilmente la lettura. Ho ricondotto a i i pochi casi di j; ho sciolto le abbreviazioni «sign.» e «sig.» in «signor» e «signora»; ho corsivato le parole straniere. Infine, ho segnalato tra parentesi quadre l’indicazione scenica degli «a parte», che l’edizione settecentesca non indica mai. Altri interventi sul testo, non numerosi, sono indicati in nota ad locum. Non sono interventuo sulle parole in lingua francese.

            Desidero ringraziare, per il loro generoso e prezioso aiuto, Monica Bisi, Cristina Cappelletti, Simona Lomolino.

 

 

LE CERIMONIE

Commedia

 

È invero un’assai miserabile condizione dell’Italia che in mezzo ad ogni sublime scienza, ed arte nobilissima, che in lei fioriscono, particolarmente in Venezia, in Padoa, in Bologna, in Fiorenza ed in Roma, i teatri però tuttavia siano indegnamente occupati, non solamente, come già dissi,[1] nel serio[2] da’ drami che servono al solo piacere della musica, che tutto ai sensi e nulla di piacere all’intelletto influiscono, o da tragedie corrotte, e cattive, ma anche nel ridicolo[3] da buffonate di maschere, la cui bellezza in bessaggini,[4] e solo in iscipitezze s’ammira dal popolo ignorante, mentre non si risvegliano gli eruditi, e nobili ingegni ad introdurvi la vera commedia, che già Plauto, Terenzio, e Moliere hanno nelle loro nazioni, con tanta ammirazione del mondo, portato al più alto segno della sublimità. Parigi che già da gran tempo in questa parte al sommo fiorisce, come ogni forastiere che colà giugne è obbligato a confessare, con sommo piacere, e maraviglia, debbe anche molto della moderazione de’ suoi costumi ad una così nobile scuola; e con gran ragione è in Francia venerato il nome di Moliere come di un gran maestro della vera morale, che ha saputo più che gli antichi filosofi gastigare ridendo i costumi,[5] ed instruire il popolo nelle vere massime che dal vizio lo distolgono, poiché gliel dipingono quale in effetto egli è, non quale i sensi corrotti, e le passioni agitate ce lo rappresentano.[6]

            L’insegnamento che reca questa sorta di poemi[7] all’animo di chi gli intende è insensibile,[8] ma è tanto più efficace, e rare volte invero alcuno dirà di aver preso da una tale rappresentazione insegnamento, ma poi se n’accorge allorché in quel carattere che gli ha mosso le risa, è sforzato per avventura a riconoscere sé medesimo, per qualche nuova sua azzione, e per qualche impensato accidente; quanto più poi se vede al vivo descritto qualche suo proprio difetto! Come in uno specchio non può lasciar di comprendere quelle macchie che il suo volto trasfigurano e delle quali non mai meglio ne comprenderà la bruttezza che[9] in un così vivo cristallo. Imperocché nulla ha più di forza per convincere l’animo nostro che l’imitazione, nulla più ci lascerà impresso nell’animo la massima che si muore che il veder uno che muoia: nulla più scoprirà all’avaro l’esosità del suo vizio, al principe le lusinghe degli adulatori, all’ambizioso la falsità delle sue massime, al bugiardo lo scorno che gli recano le sue falsità, quanto il vedere ciascuno il suo carattere al vivo immitato, ed in altrui persona descritto, poiché allora la ragione è senza alcuna passione a giudicare costretta.[10]

            Ecco dunque cinque poemi, i quali fuorché Il Guascone, che è pura farsa, possono tutti rappresentarsi in qualità di commedia, poiché gli interrompimenti di balli, e d’altre rappresentazioni possono a seconda del bisogno o accrescersi, o diminuirsi. Le Cerimonie formano veramente commedia intiera, possono a farsa addattarsi: ma le altre tre coll’aggiugnere poche scene da me notate, il che da buoni attori facilmente si fa, potranno occupare tutta la sera. Questo ho fatto per poter servire ed a chi vuol rappresentare le farse dopo la tragedia, ed a chi vuole la sola commedia recitare.[11]

            La commedia delle Cerimonie è stata trattata da altra penna sublime,[12] ed è del tutto falso ciò che alcuni hanno detto, che io con questa volessi dimostrare con quanto più di vaghezza e proprietà si potesse trattare questo tema, ricavando questo da un’altra falsità, cioè che io volessi colle mie tragedie far comprendere quanto sia diversa la via della perfezzione tragica, da quella tenuta dagli altri autori dei nostri secoli, poiché io venero chi mi ha preceduto, e più di tutti quegli stessi che io critico nel mio Trattato, protestando pe’ suddetti autori un’incomparabile stima.

 

 

 

INTERLOCUTORI

 

Il conte di Monte Fiascone[13]

La contessa di Culagna[14]

Olindo amante di Isaura

Arsillo

Dulino servitore di Olindo

Battista servitore del Conte

Isaura

 

 

 

                                   Nella casa di Olindo

 

 

            olindo           Di quante sorte di molestie al mondo

                                   siam costretti a soffrire

                                    in penitenza de’ peccati nostri!

                                    Ma quelle che a me sembrano maggiori,

5                                  più importune, e indiscrete

                                    son quelle di certi uomini

                                   che vi uccidono nelle cerimonie.

                                   È possibil che ancora

                                   di questa sciocca antichità vi resti

10                                qualche seme importuno?

                                   E non ne sarà mai spenta la razza?

                                    Anzi certi uni i quali

                                   intendon di far gli uomini di corte,

                                   credono colle loro affettazioni

15                                farsi stimare gente d’importanza,

                                   e ch’essi soli sappian la creanza:[15]

                                   uno me n’è arrivato ier mattina

                                   di cui l’eguale non ho visto mai

                                   e di cui fin ch’io vivo

20                                impressa resteramen la memoria.

 

            arsillo          Egli è purtroppo vero

                                   che se ne trova ancor di questa gente,

                                   e quei pochi che sonovi al presente

                                   son peggiori di quei del tempo antico,

25                                e son più cruciosi[16] e impertinenti,

                                   qual chi invecchiato è al male,

                                   che toglier se lo può difficilmente.

                                   Or dunque fammi il tuo racconto amico.

 

            olindo           Stavami ier mattina[17]

30                                con un dolor di capo crudelissimo,

                                   aspettando in mia casa un avvocato

                                   per consultar la mia famosa lite,

                                   che ormai mi costa un occhio,

                                   e poi doveva andare

35                                a ritrovar la mia diletta Isaura;

                                   quand’ecco un’ambasciata[18]

                                   arrivami di un certo conte di[19]

                                   Monte Fiascone; e a questo altisonante

                                   nome mi levo, e vado ad incontrarlo:

40                                ei di lontan comincia a riverenze,

                                   a baciamani, a inchini;

                                   io rendo a lui meglio che posso tutte

                                   le cortesie che a farmi egli travaglia;

                                   ma sazio, e stanco al fin giugniamo all’uscio,[20]

45                                ed io fo segno a lui ch’egli entri primo,

                                   come è ben di dover; egli risponde:

                                   «No certo entrar non voglio;

                                   entri vossignoria, ch’io poi la seguo»:

                                   io, che non vo’ commettere increanza,

50                                dico: «Assolutamente entri ella primo»:

                                   «Non entro certo», ei replica più volte

                                   e si va indietro indietro ritirando

                                   sino che quasi giugne all’altra porta:

                                   sì che se ben non m’avvedea per sorte,

55                                eramo per cadere

                                   entrambi a tombolon giù per la scala.

                                   Infin vi andò mezz’ora lunga, e larga,

                                   prima ch’entrasse: egli entrò primo al fine.

                                   A seder, qui ti voglio, a chi si debbe

60                                primo seder: oh, fra me stesso allora,

                                   «Ben cento volte maledetto», dissi,

                                    «quando t’ho ricevuto»: alfin sedemmo.

                                   Ma questo del suo gran cerimoniale[21]

                                   solo il principio fu; cento proteste

65                                d’amicizia, che avea col fu mio padre,

                                   e d’obbligazioni anche a mia madre,

                                   che conosciuto aveva il signor nono

                                   e la signora nona;

                                   e sempre ai nomi di ciascun di loro

70                                chinando il capo, e alzandosi[22] il sedere,

                                   era già divenuta la mia testa

                                   gonfia com’una zucca;

                                   ed egli ancora non avea finito

                                   del suo cerimoniale un senso solo,

75                                né detto un verbo, né un accusativo.

                                   Pensa tu com’io stava.

 

            arsillo          Infin poi come andò?

 

            olindo           Questo si è nulla.

                                   Tu puoi pensare come fosse il resto

                                   de la conversazione,

80                                di parole pesate, e adulazioni,

                                   ringraziamenti, offerte, inchini, e lodi:

                                   infin quando Dio volle andossen via;

                                   ma a sortir fuora de la stanza un’ora

                                   vi tenne a passi di geometria.[23]

85                                Fosse almen qui finita

                                   tutta la mia molestia; ed ecco ancora

                                   la sorte mia fa che leggiere,[24] e dolce

                                   fosse il passato al paragon del resto

                                   de la dolente istoria.[25]

 

90        arsillo          Come ancor v’incappaste?

 

            olindo           A rendergli la visita n’andai

                                   questa mattina appunto;

                                   che Dio volesse almeno

                                   che a ritrovarlo mai non fossi giunto;

95                                ma infine l’ho trovato, e vi trovai

                                   ancora la contessa di Culagna,

                                   coppia perfetta a fare

                                   voltare a un pover’uom tutto il cervello:

                                   egli co’ suoi racconti de la corte,

100                              de’ suoi viaggi in Ispagna, e in Inghilterra,

                                   e de l’ultima guerra:

                                   ella colle sue smorfie,[26] e poesie,

                                   e storie, e canti, e altre affettazioni

                                   m’avean seccato e fegato, e polmoni,

105                              quand’ecco io credo di partire; il conte

                                   risponde: «No, devi star meco a pranso,

                                   che a la contessa compagnia terrai».

                                    Io non voglio, ei mi sforza, alfin rimango.[27]

                                   Il ceremonial nel porsi a tavola,

110                              ne lo spiegar del tovagliol, nel bere,

                                   tutto fu nulla a paragon del resto.

                                   Un pezzo di salsiccia innanzi ponmi

                                   di un braccio, e mezzo almeno di lunghezza,

                                   ed io che non ne mangio

115                              dico al suo camerier che me lo levi:

                                   «No, tu il devi mangiar sicuramente»,

                                   replica il conte: «No, mangiar nol posso»,

                                   rispondo; ed ei «Mangia, fammi il piacere».

                                   E tanto mi seccò ch’io la dovetti

120                              mio malgrado mangiar. Arriva un lesso,

                                   di cui se ne[28] sentia lontan la puzza,

                                   ed egli colla stessa cerimonia

                                   a prenderne mi sforza, ed a mangiarne:

                                   al boccon primo io fui per vomitare

125                              e fegato, e budella;[29]

                                   e pure collo stesso complimento

                                   me ne fece mangiar ben cinque quarte.[30]

                                   Lascio a te di pensar del pranzo il resto;[31]

                                   amico ti protesto

130                              che non fui mai cotanto imbarazzato:

                                   giunge poscia un ragou,[32] di cui mi sembra

                                   di potermen servire,[33] e me tiro

                                   una buona porzion sovra il mio tondo:[34]

                                   ei dice: «Questo non val niente affatto»;

135                              onde appena incomincio,

                                   sicché buon pro faceami,

                                   ecco che un servitore

                                   vienmelo per levar; io vo’ tenerlo,

                                   ei lo vuol portar via; tal che alla fine

140                              la cerimonia andò a finir che il tondo

                                   seco portò, ed il ragou mi cadde

                                   tutto quanto su l’abito, e camiscia,

                                   e mi sporcò i calzoni,

                                   e mi scottò i galloni.[35]

145                              «Oh, maledette cerimonie», io dissi,

                                   «e maledetto quel che le ha inventate».

 

            arsillo          Del vostro caso mi rincresce assai;

                                   e pure il mondo è sì corrotto ancora

                                   che nutre e soffre pur di questi matti:

150                              ed infelice quello che v’incappa.

                                   Ma peggio è ancor di quelli

                                   che vengonvi a far cento complimenti;

                                   che allor che vi ritrovan per la strada

                                   comincian di lontano i loro amplessi,

155                              vi danno cento lodi, e poi voltate

                                   le spalle, a quel che è seco in compagnia

                                   dicon: «Colui è un matto glorioso».[36]

 

            dulino           Padrone, è il conte del Fiascon qui fuora,[37]

                                   e seco è la contessa di Culagna,

160                              che chiedonvi parlare.

 

            olindo           Oh poveretto me!

                                   Va’ tosto a dir ch’io son fuori di casa.

 

            dulino           Ho di già detto che voi siete in casa.

 

            olindo           Va’ a dir che dormo ancora.

 

165      dulino           Ho di già detto che siete svegliato.

 

            olindo           Ma sei pure sciapito.

                                    Io t’ho pur detto cento volte e cento

                                   di rispondere sempre a ognun che viene:

                                   «Non so s’egli sia in casa,

170                              perché arrivo ora solo».

 

            dulino           Ma quando il so, non posso dir «Nol so».

 

            olindo           Son cerimonie usate,[38]

                                   ma tu in cent’anni non le imparerai.

 

            dulino           [(a parte)] Ma se ho sentito dire

175                              che son le cerimonie omai bandite.

                                   [(ad alta voce)] Eh padron, vengon suso per la scala.

 

            olindo           Oh poveretto me, com’ho da fare?

 

            dulino           Non volete lasciarvi ritrovare?

            olindo           No se il potessi; ma che fare io posso?

 

180      dulino           Essi vengon di qua;

                                   e voi correte giù per la finestra.

 

            olindo           Eh, tu sei pazzo affatto.

 

            la contessa  Signor Olindo.

 

            olindo                                             Voi mi fate grazia.

 

            la contessa  Perdonatemi.

 

            olindo                                  Son vostri favori,

185                              o signora contessa.

 

            il conte         Signore la signora a me l’onore

                                   ha dato di servirla, onde servendola

                                   l’onore mi replica maggiore;

                                   poiché servendo lei posso di nuovo

190                              or dichiararmi vostro servitore.[39]

 

            olindo           Sono le grazie sue furori miei;[40]

                                   e non doveva tanto incomodarsi.

 

            il conte         Non è incomodo questo; anzi l’ascrivo

                                   a mia gloria il potervi ancor di nuovo

195                              dichiarare la mia vera osservanza.

 

            olindo           [(a parte)] Arsillo, costui gonfiami la panza.

                                   [(ad alta voce)] Ella non faccia cerimonie, o mio

                                   signor conte; ella sappi

                                   ch’ella è padron di questa casa.

 

            il conte                                                        Anzi io

200                              sono suo servitor vero, e fedele

                                   ed ella è mio signore.

 

            olindo                                              Anzi, ella.

 

                                   (Il conte nel far le riverenze, andando indietro urta in un tavolino e cade col                                    tavolino ancora.)

 

            la contessa  Conte, conte, che c’è?[41]

 

            il conte                                            Cara contessa,

                                   perdonatemi un po’ se son caduto:

                                   so ch’è mala creanza;

205                              ma il mio dover per sprofondarsi più

                                   dinanzi al vostro merito, o signora,

                                   è caduto per terra a voi dinanzi.

 

            olindo           Orsù, sediamci intanto.

 

            il conte         Prendete pur, signora, il vostro loco.

 

210      la contessa  Io già sono seduta.

 

            il conte         Se voi non anderete

                                   sovra quell’altra sedia, io non mi siedo.

 

            olindo           [(a parte)] Costui per certo è matto a quel che vedo.

                                   [(ad alta voce)] Eh sedete o signore;

215                              lasciam le cerimonie da parte,[42]

                                   che la persona è quella che fa il loco.

 

            il conte         Altro è il dovere, altro è la cerimonia;

                                    non mi sedo[43] per certo.

 

            la contessa                                      Conte vien qua.[44]

 

            il conte         Per ubbidir mi accosto;

220                              ma vorrei si scrivesse negli annali

                                   che ubbidienza ella è, non cerimonia.

 

            la contessa  Orsù, che abbiam di nuovo?

 

            il conte         Scrivonmi da la corte

                                   che averemo la guerra.

 

225      olindo           Io senza aver corrispondenze in corte

                                   m’immagino che avremla; a veder gente

                                   che viene a accrescer queste vecchie armate

                                   questi son tutti de la guerra segni.

 

            il conte         Nonostante[45] le nuove de la corte

230                              sono le più sicure;

                                   io a la corte ho molti, e molti amici

                                    che mi scrivono in tutta confidenza,

                                   l’ordinario presente,

                                   ch’oltre la già venuta

235                              avremo nuova, e numerosa gente.

 

            olindo           Il mio fattor di Pontaguercia ancora

                                   bisogna ch’abbia tal corrispondenza,

                                   perché m’ha scritto ieri

                                   da non vendere fieno, né frumento.

 

240      la contessa  Siete stato a Vienna molto tempo

                                   o caro conte?

 

            il conte                                Sette mesi e mezzo.

 

            la contessa  Preteso forse avete qualche cosa?

 

            il conte         Volea Sua Maestà

                                   colla sua incomparabile bontà

245                              darmi dei primi posti de la corte,

                                   e infatti in poco tempo

                                   a la sua confidenza ammesso io fui;

                                   e già il mio nome se n’andava altero

                                   sovra il rango primiero,

250                              e ciascun con invidia mi guardava,

                                   ciascun mi corteggiava.

 

            olindo           Ma infine, che otteneste?

 

            il conte         Nulla; perché io sol mi pascea de l’aura,

                                   de la grazia di un principe sì grande,

255                              il cui nome da l’un polo a l’altro

                                   glorioso si spande.

 

            olindo           L’aura o signore è un fumo

                                   ed all’incontro un posto

                                   quel si dimanda arrosto.

 

260      la contessa  Vedrei pur volentieri anch’io la corte,

                                   ma più d’ogn’altra cosa

                                   mi piacerebbe di veder Parigi,

                                   di parlar coi dottor de la Sorbona

                                   di question scolastiche, e dogmatiche;[46]

265                              che mi dicon che sono

                                   in eccellenza virtuosi, e dotti.

                                   Per me più godo un’ora di discorso

                                   d’istoria, o pure di filosofia,

                                   e di rettorica, e di poesia

270                              che cento inette question donnesche.

 

            arsillo          Già la vostra virtude al mondo è nota.[47]

 

            olindo           [(a parte)] Soffrir non posso queste adulazioni.

 

            la contessa  Son vostre grazie Arsillo.

 

            il conte         Ei dice vero, ed io ne udii parlare

275                              infin ne l’anticamera di corte

                                   del vostro alto sapere.

 

            arsillo          Sono note a ciascun le glorie vostre.

 

            il conte         Voi a questo paese fate onore,

                                   ed al vostro bel sesso.

 

280      olindo           [(a parte)] Oh, che marcie bugie.

 

            la contessa  E l’uno, e l’altro, e tutta quella gente

                                   che parlano di me mi fanno onore.

 

            il conte         È dovere.

 

            arsillo                                  Egli è il merito, o signora,

                                   de la vostra virtù.

 

285      olindo           [(a parte)] Non posso più star saldo.

 

            la contessa  Che c’è, signor, che c’è?

 

            olindo           Io son nemico de le cerimonie,

                                   e sento a farne tante

                                   che mi rompon la testa.

 

290      il conte         Io dico il vero non per cerimonia.

 

            arsillo          Ed io pur dico quello che mi sento.

 

            la contessa  Quanto piacere avrei

                                   d’udire quelle dispute famose.

 

            olindo           Ma sappiate che parlano in latino.

 

295      la contessa  Parlin latino, parlin greco, o ebraico,

                                    sempre piacemi più

                                   quella ch’è in lingua più lontana, e morta.

 

            olindo           [(a parte)] Dio ci guardi da donne

                                   che parlano latino, ebraico, o greco.[48]

 

300      il conte         La virtù vostra è assai straordinaria.

 

            la contessa  Grazie. Ma in matematica vorrei

                                   parlare con Newton:[49] io pagherei

                                   cento doppie[50] ad entrare in questo arringo,

                                   perché io ho ritrovato

305                              la vera forma di quadrare il circolo.[51]

 

            olindo           Insin a questo lo so fare anch’io.

 

            la contessa  Come sapete voi quadrare il circolo?

            olindo           Basta fargli i cantoni.

 

            la contessa  Eh queste sono inezie.[52]

 

310      dulino           Signore è qui Battista

                                   che chiedevi parlare.

 

            il conte         Eh non sarà Battista;

                                   sarà il maitre d’hotel.[53]

 

            dulino           So che Battista è il di lui nome: io poi

315                              non so tanto d’hotel.

 

            il conte         Se permettete io lo farò venire.

 

            olindo           Servitevi, signore.

 

            il conte         Come non hanno viaggiato un poco[54]

                                   non san parlare questi servitori,

320                              vogliono sempre dimandar[55] per nome,

                                   il che, creder non puossi

                                   quanto offenda gli orecchi

                                   di chi è stato a la corte, ed ha viaggiato.

                                    Il nome di Matteo,

325                              e di Bartolommeo,

                                   di Tommaso, di Lucca,[56] e di Battista

                                   invece che si dica

                                   cameriere, laché, paggio e tant’altri,

                                   nomi nobili, e belli

330                              non gli posso soffrir sicuramente.

 

            olindo           [(a parte)] Oh questo è un gran sproposito.

 

            la contessa  È appunto come quegli

                                   che le tragedie dicono commedie,

                                   e che i verseggiator dicon poeti.

335                              Questo nome, che in greco

                                   creatore significa; e in latino

                                   significa profeta,

                                   ogni strambo, che fa sonetti a monache,

                                   ogn’un che unisce quattro versi in lode

340                              di chi glieli dimanda

                                   avvilisce il gran nome di poeta,[57]

                                   come il paggio che dicesi Matteo

                                   e il camerier Lucca, e Bartolommeo.

 

            olindo           [(a parte)] Oh che goffo sproposito è mai questo!

                                   (Qui arriva Battista e Olindo ridendo dice:)

345                              Che bel maitre d’hotel!

 

            battista        Signor, Giorgino si lamenta assai

                                   che poco gli pagate di salario.

 

            il conte         Si può sentir goffaggine maggiore!

                                   Orecchie mie siete ancor salde a loco?

350                              Ma sei pur sciocco, e sei vero Battista.

 

            battista        Perché, signor, cosa fec’io di male?

 

            il conte         Il cerimoniale, e la creanza

                                   son banditi da te come assassini

                                   famosi, e senza quella

355                              un uom non vale un iotta.[58]

 

            battista        Ma perché, ho detto male?

 

            il conte         E come male! Compatite un poco;

                                   ma questo è un animale animalaccio.

 

            olindo           Dite pure o signor quel che vi piace.

 

360      il conte         Entrando si dovea far riverenza

                                   ben profonda alle loro

                                   signorie illustrissime

                                   indi accostarti a me,

                                   e dirmi ad un orecchio

365                              il laché, non Giorgino,

                                   nome troppo ordinario.

 

            battista        Oh che ridere! dunque

                                   signor ciascun che di Giorgino il nome

                                   abbia, non più lo prenderemo in casa.

 

370      il conte         Non è questo ch’io dico,

                                   ma che non deesi dimandar per nome.

 

            olindo           [(a parte)] Costui nel suo cerimoniale è matto.

 

            battista        Dunque nominerollo pel cognome,

                                   il quale è Gambastorta.

 

375      il conte         Gambastorta, né Giorgino, io dico,

                                   ma col titolo dato dal padrone

                                   di laché, carrozziere,[59]

                                   paggio, cameriere.

 

            olindo           Questo è di corte il cerimoniale?

 

380      il conte         Certamente signore.

 

            la contessa  Dunque non voglio più che in casa mia

                                   si dica mastr’Ambrogio al cuciniere;

                                   né più messer Protaso al credenziere.[60]

 

            il conte         Ah per l’amor del cielo,

385                              il nome del messer è antico[61] affatto.

 

            la contessa  E pure nel Boccaccio,

                                   e Trissino, e Petrarca

                                    il nome di messer vedesi spesso.[62]

 

            il conte         Ma questa sarà gente del paese,

390                              che non avrà viaggiato;

                                   e per certo dovunque io sono stato

                                   non vidi mai questo signor Boccacio,[63]

                                   né questo signor Trissino, o Petrarca.

 

            olindo           Non gli vedrete mai sicuramente.

 

395      il conte         Ah capisco fors’è gente plebea,

                                   che non s’incontra mai

                                   colla gente di corte.

 

            battista                                            Ebben signore

                                   che risposta mi date,

                                   non più per Gambastorta, né Giorgino,

400                              ma pel laché, che non vuole stare in casa

                                   perché il salario è poco?

 

            olindo           [(a parte)] Eh questo è pur cerimonial di corte,

                                   ma Giorgin non lo sa.

 

            il conte         Questa pur non è cosa da dir forte,

405                              che tutto il mondo ascolti.

                                   Asino nato sei,

                                   ed asin sempre in vita tua sarai.

 

            battista        Grazie.

 

            olindo                      [(a parte)] Son complimenti alla gran moda.

 

            il conte         Va’, che io tosto porrò rimedio a tutto.

410                              Oh come impertinenti

                                    sono questi laché!

                                   Non sono mai contenti,

                                   ma scorticar vorrebbono i padroni.

 

            la contessa  Dimmi un po’ conte mio,

415                              sei in Milano per negozi, o pure

                                   per sol divertimento?

            il conte         Ho una lite di venti mille scudi

                                   contro casa Spinosa,

                                    la quale è già molto avanzata, e spero

420                              in questi pochi dì trarla a buon fine.

                                   È ben vero che a un certo dottoraccio

                                   sono stato a far visita, e a informarlo;

                                   ed ei non è venuto

                                   a rendermi la visita; e vi giuro

425                              ch’io più non vo da lui.

 

            la contessa  Ma ne avete bisogno di costui?

 

            il conte         Certo; ma la creanza

                                   gli dovrebbe insegnare a render visita.

 

            la contessa  Quando si ha di bisogno

430                              non è bene guardar sì per minuto.

 

            il conte         Già la mia causa è chiara,

                                   onde bastantemente

                                   la mia ragion m’assiste,

                                   senza andarmi ad esporre

435                              con gente che non sa il cerimoniale.

 

            la contessa  Coi dottori bisogna aver pazienza:

                                   non basta aver ragione;

                                   per vincere le liti;

                                    vi voglion cinque t

440                              testa, testoni[64] e tempo, e testi, e toghe;

                                   che sono gli avvocati, ed i procuratori.

 

            olindo           [(a parte)] Per un’ora costor non van più via.

                                   Una donna saputa,

                                   e un uom di cerimonie,

445                              chi v’incappa, per certo non vi torna,

                                   se non vi pone il diavolo le corna.

 

            il conte         Infine o mia signora

                                   io questa inciviltà soffrir non posso,

                                   che questi dottoroni

450                              mi faccian aspettare in anticamera

                                   due ore, o tre; d’indi non mi accompagnino

                                   che sovra il liminare del prim’uscio;

                                   questo cerimonial parmi assai rustico;

                                   né scompongono mai l’austera faccia,

455                              chinan mai la fronte,

                                   se non che all’apparire

                                   dell’effigie del principe in argento:

                                   io certo non andrò mai più da loro.

 

            olindo           [(a parte)] Si può sentir goffaggine maggiore!

460                              Di voler che il dottore lo accompagni

                                   sino a la porta! Ha ben altro da fare.

 

            la contessa  Voi avete ragione,

                                   ma la lite andrà mal.

 

            il conte         Non può andar male;

465                              perché è la mia ragion chiara chiarissima.

                                   Ma voi signor Olindo

                                   mi parete in sembiante malinconico,

                                   forse vi turba amore?

 

            olindo           Appunto amor.

 

            la contessa                          Ma sarà amor platonico,

470                              amore filosofico, di quello

                                   che non risguarda la corporea salma,

                                   ma a le doti dell’anima sol mira;

                                   ch’è amor puro, amor bello,

                                   come Pulcheria Marciano amava.[65]

 

475      olindo           E come Cleopatra Marcantonio,

                                   e come la giovenca ama il torrello.[66]

 

            la contessa  Oibò, non è di questo;

                                   di cui parlò Platone ai platonisti.[67]

                                   Adesso io ve lo spiego

480                              ne’ suoi termini giusti.

 

            olindo           No per l’amor del ciel cara contessa,

                                   lasciami amare come amò mio padre,

                                   e come amaron tutti gli avi miei,

                                   che non sapeano di filosofia,

485                              né chi fosse Platone;

                                   che se a la bella mia

                                   mancasse il naso, o il mento,

                                   o pure ambo le orecchie,

                                    Platone, e i platonisti

490                              non potrebbero mai far ch’io l’amassi;

                                   ma perché legiadretta, e vaga, e bella

                                   move i piè, move gli occhi

                                   l’amerebbe Platon se fosse vivo,

                                   che amava anch’esso come amiamo noi,

495                              e volle poscia a noi vender finocchi.[68]

 

            il conte         Dicea ben la signora,

                                   e dice ben benissimo il signore,

                                   ma meglio dice un reverendo padre

                                   del collarino bianco[69]

500                              dotto, saggio e prudente,

                                   che così lo descrive in un sonetto.

                                   «Madre, onde avvien», dicea Cupido a Venere,

                                   «che su l’alme gentili i’ più non domini?

                                   Sì delicate han le coscienze, e tenere,

505                              che non soffron né pur ch’amor si nomini».

                                   «Vuoi», rispose la dea, «che l’uman genere

                                   per quel che sei non ti discopra, e abbomini?

                                   Vesti d’uom grave, e il foco tuo di cenere

                                   cuopri, e poi fa’ d’ippocrita cogli uomini».

510                              Ei così fece allora, e a quel ch’io medito,

                                   questo è poi quel civile amor canonico.[70]

                                   cui tutto il mondo ai nostri tempi è dedito.

                                   Ma perché qualche umore malinconico

                                   scoperto il ladro non gli tolga il credito,

515                              soglion poi nominarlo amor platonico.[71]

 

            arsillo          In questi istessi termini ne udii

                                   anche cantare un improvvisatore.[72]

 

            la contessa  E che ne dici tu di quel poeta?

                                   Perché ne odo parlar diversamente.

 

520      arsillo          Parli pure ciascuno insin che vuole,

                                   che gli è certo che ognun, che non in versi

                                   ma in prosa si esponesse a dir cotanto,

                                   d’essere gran maestro

                                   potrebbe darsi il vanto.

 

525      la contessa  Ma pure il nostro tragico non dice

                                   già questa cosa.

 

            arsillo                                  A lui molti fan dire

                                   quel che non disse mai, o non l’intendono.

                                   Ei dice che il coturno

                                   sovra ogni cosa ha loco;

530                              e che un million di versi all’improvviso

                                   su questo, e su quel tema

                                   non faran mai d’una tragedia il prezzo,

                                    cui s’appartenga di tragedia il nome

                                   forte, sublime, maestosa, e grande;

535                              ma pazzo è quel che il paragon vuol farne.[73]

                                   Dicasi ch’egli è un uomo insigne, e grande,

                                   e degno, che il suo nome

                                   giunga, e traluca ovunque luce il sole.

                                   Non lascian d’esser grandi

540                              Ettore, ed Anniballe,

                                   benché fosser più forti Achille, e Scipio;

                                   e benché di Maron la penna sia

                                   più sublime, e più forte,

                                   non lascia Ovidio d’esser grande anch’esso

545                              nella profluità de’ versi suoi,

                                   e nell’improvvisar ch’egli facea.[74]

 

            la contessa  Lasciamo i versi ormai. Conte mio caro,

                                   certo che il tuo parlar piacemi assai;

                                   il tuo cerimonial, le tue maniere

550                              sono proprio un incanto.

 

            olindo           [(a parte)] E questo è amor platonico del vero.[75]

 

            il conte         Quello che sembra a voi, che sia mio merito

                                   è un don degli occhi vostri,

                                   che in qualunque da lor mirato viene

555                              infondono dolcezza, e cortesia.[76]

 

            la contessa  Ma che parlar galante,

                                   ma che bella espressione!        

 

            olindo           [(a parte)] Saldo in barca Platone.[77]

 

            il conte         Ah contessa tu sei

560                              Pallade nel sapere,

                                   e Venere in bellezza.

 

            la contessa  Conte conte tu sembri Apollo allora,

                                   che[78] tu ragioni, e Marte nel sembiante.

 

            olindo           [(a parte)] Venere, e Marte infine

565                              trarranno tutto a monte,

                                   e il platonismo, e la filosofia.

 

            dulino           Signori, viene suso per la scala

                                   una gentile, e bella mascherata.

 

            olindo           [(a parte)] Bisogna che si creda

570                              che la casa del pubblico sia questa.

                                   Quest’è ben altro che le cerimonie,

                                   entrar in casa mia senza licenza.

 

            la contessa  Ecco che arriva.[79]

 

                                   (Viene Isaura in maschera con altre maschere, e sonatori, la quale postasi in gelosia dal vedere la contessa in casa di Olindo, va a prendere il conte, e balla con esso, e tra di loro si fanno molti complimenti amorosi, e muti, del che pure ne prende gelosia la contessa. Terminato il ballo Isaura s’avanza sempre tenendo il conte per mano, e fa segno a le maschere che partano)[80]

 

            olindo           Mascheretta gentile almen chi siate[81]

575                              che la mia casa, e me tanto onorate

                                   scopritemi vi priego,

                                   acciò ch’io possa almen il mio dovere

                                   secondo il vostro merito compire.[82]

 

            isaura            Ecco quella[83] con cui compir tu devi,

                                   (leva la maschera)

580                              degna assai più di me

                                   de’ tuoi nobili affetti.

                                   E tu signor cortese

                                   soffri io ti prego un disprezzato amore.

 

            olindo           [(a parte)] Oh questo è troppo:

                                   che maledetto sia

585                              quando venne colei in casa mia.

                                   [(ad alta voce)] Ebbene dunque addio;

                                   è tempo omai da romper chiaramente

                                   queste catene: io vado,

                                   poiché sì facilmente v’offendete.

                                   (Entra, e poi ritorna)

590                              Né crediate più mai

                                   ch’io soffra i vostri lacci.

 

            isaura            Eh già lo veggo a pruova.

 

            olindo           Addio, addio, non mi cogliete più,

                                   (Entra, e poi torna)

                                   se avessi da morire;

595                              come così per poco, anzi per nulla,

                                   la bile vi molesta.

                                   State col signor conte allegramente;

                                   che insegneravvi a far le cerimonie.

                                   Addio. Arsillo andiam.

 

            isaura                                                State pur saldo.

 

600      la contessa  Conte vi lascio in buona compagnia.

 

            il conte         Ma signora contessa

                                   debbo servirla?

 

            la contessa                          No state pur saldo.

 

            il conte         Signora, a lasciar una, o lasciar l’altra

                                   mi condanna la sorte:

605                              so quello che dovrei; ma che[84] non posso

                                   l’un’, e l’altra servire;

                                   l’una, o l’altra lasciare oh cielo io debbo!

                                   Così tu vuoi che al mio cerimoniale

                                   ora manchi per forza:

610                              felice me che non v’è alcun di corte;

                                   peraltro io stimerei meglio il morire,

                                   che trovarmi in un simile imbarazzo

                                   di dover esser incivil per forza.[85]

 

            la contessa  Non vi prendiate già cura di questo,

615                              che la filosofia di già m’insegna

                                    che il cielo all’impossibile non sforza.

                                   Quia nemo impossibili tenetur.[86]    

 

            isaura            [(a parte)] Infin quella seccaggine[87] andò via,

                                   che annoia tutto il mondo

620                              colle sue storie, e sua filosofia.

 

            il conte         Signora a dirvi il vero

                                   il vostro bel sembiante, e gli occhi vostri

                                   non v’è cor che a ferir non sien possenti,

                                   e un vostro dolce sguardo

625                              è atto ad impiagare un seno umano

                                   al pari di una lancia, al par di un dardo.

                                   La vostra vaga stella

                                   al certo è quella che più in ciel traluce,

                                   Diana no, che al paragon di lei

630                              voi fate come il sol d’ogn’altro lume,[88]

                                   se Venere or dovesse

                                   tener parola[89] al pastorel troiano

                                   in ricompensa del bramato pomo

                                   non averia condotto ai greci lidi

635                              quella nave[90] cagion di tanti danni,

                                   ma voi scelta sareste al furto altero,

                                   o pure ingiusta Citerea sarebbe.

                                   Eccovi dunque adoratore[91] umile

                                   del vostro bel sembiante

640                              or di Monte Fiascone il conte stassi

                                   signora, a voi dinante.

 

            isaura            Ben volontier ricevo,

                                   o conte mio, del tuo bel cor l’offerta.

                                   Il tuo cerimoniale è così bello,

645                              che chiaro vede ognun ch’è nato in corte.

 

            il conte         La corte è una gran scuola.

                                   Ah perdoni signora,

                                   che a la mano diritta io mi trovava,

                                   e non me n’avvedeva,

650                              tanto dal vostro bello era sorpreso.

 

            isaura            Non fate cerimonie,

                                   che noi usiamo star dove troviamsi.

 

            il conte         Non però mai, che offender possa il merito

                                   di chi con noi ragiona.

655                              Infine io v’offro questo cor sincero,

                                   che sarà vostro amante insin che spiri.

 

            isaura            Ma però la contessa

                                   l’ho veduta con voi, e con Olindo

                                   presi entrambi per man dir parolette

660                              all’orecchio.

 

            il conte                                 Eh signora v’ingannate,

                                    la sua filosofia secca[92] cotanto

                                   tutto il genere umano,

                                   che vi vuole non poca pazienza

                                   a doverla soffrire a chi v’incappa;

665                              ed a me toccò in oggi

                                   una tanto terribil penitenza.

 

            battista        Signore è qui di fuori…

 

            il conte                                            Chi è là?[93]

 

            battista        V’è un uom che dicesi…

 

            il conte         Ma chi? Parla; dì presto, e non mi stanca;

670                              ch’ella non è creanza.

 

            battista        Vado dunque.

 

            il conte                                Perché?

                                   Partir vuoi senza darmi l’ambasciata?

 

            battista        Non lo dico per certo.

 

            il conte         Perché non lo vuoi dire?

 

675      battista        Perché non so che il nome.

 

            il conte         Non basta dire il nome?

 

            battista        Voi non mi avete detto

                                   che alcun non debbo nominar per nome?

 

            il conte         Presto non m’inquieta.

 

680      battista        È cosa di premura, premurissima.

 

            il conte         Non mi tener sospeso.

 

            battista        Ma il nome offenderà

                                   le orecchie assuefate a la gran corte.

 

            il conte         Che penitenza è questa!

685                              Dillo, che non importa.

 

            battista        È peggio che Giorgino Gambastorta.

 

            il conte         Ma non ho mai dovuto

                                   tanto soffrire, come soffro adesso.

 

            battista        Me ne date il permesso?

 

690      il conte         Te lo do; tel comando.

 

            battista                                            Ei si dimanda

                                   Ma padrone…

 

            il conte                                 Che il diavolo ti porti:

                                   o dillo, o ch’io ti do.[94]

 

            battista        Com’è così: Pinello Panzadura

                                   per servirvi signore.

 

695      il conte         Che vuol questo Pinello Panzadura?

 

            battista        È per la vostra lite.

                                   Egli ha un papele[95] in mano,

                                   ma siccome è in latino,

                                   e questa è quella settimana appunto,

700                              ne la quale il latino io non intendo,

                                   non so cosa si dica.

 

            il conte         Signora con permesso

                                   anderò a veder io che vuol costui.

 

            isaura            Andate pur signore;

705                              [(a parte)] ringraziato il cielo.

 

            il conte         Ma vi ho da lasciar sola?

 

            isaura            Sì lasciatemi sola;

                                   ch’anzi ho piacer da star soletta un poco.

 

            il conte         Ciò non fia ch’io permetta.

 

710      isaura            Fatemi tal piacere.

 

            il conte         Io non ho così poco studiato

                                   il galateo signora;

                                   che commetter mi lasci

                                   un’increanza tale.

 

715      isaura             Andate ve ne priego.

 

            il conte                                            Egli è lo stesso.

                                   Comandate ch’io vada

                                   a combatter per voi

                                   sino all’ultimo sangue,

                                   ch’io vado; ma non mai

720                              commetterò signora, un’increanza.

 

            battista        Ma padron, Panzadura

                                   di parlarvi ha bisogno, anzi premura.

 

            isaura            Io partirò se non partite voi.

 

            il conte         Com’è così, un vostro comando è legge.

725                              Solo da’ vostri cenni

                                   questo mio cor dipende,

                                   e sua felicitade

                                   sol da’ vostri occhi attende.

 

            isaura            Caro conte mi fate troppo onore.

 

730      il conte         Umilissimo vostro servitore.

                                   Signora un passo sol non vi movete,

                                   se no, certo non parto.

 

            isaura            No non mi muovo un passo sol dal loco.

 

            il conte         Addio signora.

 

            isaura                                    Addio.

 

735      battista        [(a parte)] Mastro di cerimonie è il padron mio.

 

            isaura            Oramai più soffrire io non potea

                                   così gran complimenti, e cerimonie.

                                   Per castigare Olindo,

                                   e fargli nascer gelosia nel core

740                              ho finto quest’amore:

                                   ei troppo presto se l’ha presa a male:

                                   io non vo’ certo andarlo a ricercare.

                                   Ei quinci passerà,

                                   ed io di parlar seco

745                              avrò comodo campo.

                                   Ma che vuol quivi ancora

                                   questa nostra seccante dottoressa?[96]

 

                                   (Viene la contessa leggendo un libro)

 

            la contessa  Il cielo finalmente a voi propizio

                                   fa che sola io vi trovi

750                              cara signora Isaura, acciò vi possa

                                   e dal zelo portata, e da l’amore

                                   far comprendere chiaro il vostro bene;

                                   poiché troviamo spesso

                                   gli adulator, ma raro i buoni amici.

 

755      isaura            Parlate pur signora,

                                   che mi fien care le parole vostre

                                   da zelo uscite, e da un amor sincero.

 

            la contessa  Conoscete voi bene questo libro?

 

            isaura            Non lo conosco al certo.

 

760      la contessa  D’Aristotile questa è la morale;[97]

                                   e questo si è il capitol de l’amore,

                                   ma siccome è in latino

                                   or io vi spiegherò quello ch’ei dice.

                                   Amore che è d’ogn’altra passione

765                              la passione più gentile, e bella

                                   allor ch’ella ha riguardo

                                   de l’uomo a la più bella, e nobil parte;

                                   (Hic & haec homo vuol dir uomo, e donna)

                                   diventa brutta, e vile

770                              allor ch’ella risguarda

                                   a la parte de l’uom brutta, e animale,

                                   che è al corpo.

 

            isaura                                    Sì allor quando il corpo è brutto.

 

            la contessa  O sia bello, o sia brutto

                                   egli è pur sempre agli animal simile;

775                              non lascia d’esser animal la cerva,

                                   né il superbo destrier benché sia bello;

                                   né lascia d’esser animal pur anco

                                   il colorito augello:

                                   tutto quello che ha parte

780                              tutto si scioglie, e passa, e qui non resta;

                                   perché dunque abbassare il nostro amore,

                                    e riporlo dobbiamo in cosa frale?

                                   Perché formarci un idolo di cosa,

                                   che appena la vediam trapassa, e fugge,

785                              qual polve al vento, o rara[98] nebbia al sole?

 

            isaura            Dunque dice Aristotile che noi

                                   amare non dobbiam uom ch’abbia parti?

 

            la contessa  Dico la parte fral, la parte ignobile,

                                   il corpo vil; che al certo è cosa indegna

790                              del nostro amor, che de lo spirto è parte;

                                   ma voi nulla curando i bei dettami,

                                   che Aristotile insegna

                                   a un vile amor sottoponete quella

                                   parte libera, e bella,

795                              che il ciel vi diè, perché tornasse a lui?[99]

                                   Vedete quante stelle

                                   sonvi nel cielo; ora ogni fluido vostro

                                   rivolgetelo in quelle,

                                   così da’ loro influssi apprenderete

800                              de la natura la più nobil arte;

                                   a la filosofia datevi in preda,

                                   e di quella l’amor solo v’accenda.

 

            isaura            Io, signora contessa,

                                   non so né pur che sia

805                              questa filosofia:

                                   so che a l’amore io debbo l’esser mio;

                                   so che nascon da amor tutte le cose,

                                   e l’amor che Aristotile ci insegna

                                   nascere non fa alcuno

810                              detto Aristotelino;

                                   e s’altro non dovessimo all’amore,

                                   noi gli dovremmo pure

                                   l’essere voi, cara contessa, al mondo;

                                   che s’ei non fosse stato

815                              né vosco io parlerei, né meco voi.

                                   Dunque seguiamo a amare,

                                   che la parte animal, la parte vile

                                   è quella che vediamo,

                                   ed è quella, per cui

820                              a rimirar la luce

                                   arriva pur tutta l’umana gente.[100]

 

            la contessa  Oibò oibò non averei voluto

                                   aver mai questo udito:

                                   ah che purtroppo è vero, e son costretta

825                              a creder ciò, che creder non vorrei;

                                   e perché quell’amor ch’io vi professo

                                   a scoprirvi m’astringe

                                   ciò di cui pur non ragionar m’aggrada,[101]

                                   saper dovete, ch’io mi ritrovai

830                              sabato in una casa

                                   dove un circol di gente virtuosa[102]

                                   fece cadere alfin sovra di voi

                                   il discorso; e del vostro portamento

                                   se ne[103] parlò assai male,

835                              con sommo mio spiacere.

                                   Disse ciascun di loro

                                   che voi fate la bella, e la galante,[104]

                                   e che vi piace l’amorosa vita,

                                   che state molto a consultar lo specchio

840                              per nascondere reti in mezzo al volto,

                                   onde cogliere il cor di questo, e quello,

                                   che vi piace assai l’aria[105] forastiere:

                                   qualch’uno ancora interpretava in male

                                   quell’aver spesso il ballarino[106] a casa,

845                              e quel vedervi a la commedia, e al corso

                                   sempre con qualche giovinotto intorno.

                                   Ebbi buon dir che male

                                   stato non vi sarebbe nell’interno;[107]

                                   ebbi buon prender il vostro partito[108]

850                              come un’amica debbe far di un’altra,

                                   e come anche Anasagora c’insegna

                                   nel terzo libro de la sua morale;[109]

                                   ebbi buon ragionar[110] per sostenere

                                   il decoro, e l’onor di chi tant’amo,

855                              se tutti m’eran contro,

                                   chi narrandomi un fatto,

                                   chi un altro, tutti in poco vostro credito;

                                   e quei merletti trasparenti, e fini

                                   con cui si copre, e non si copre il seno,

860                              anzi lo pongon in miglior prospetto[111]

                                   davan molto a che dire

                                   a la conversazione;[112]

                                   quel rider sotto via,[113] quel girar d’occhi,

                                   infin la libertade in cui vivete

865                              tutto da lor fu male interpretato;

                                   ed oh qual pena in mezzo il cor mi prese,

                                   perché infatti credea che avesser torto;

                                   ma poi l’avervi visto oggi a quel conte,

                                   oibò oibò non l’avess’io mai visto,

870                              far cento cortesie, e ballar seco;

                                   «oibò» vi dico ancora.

 

            isaura            Rendo grazie infinite

                                   de la signora al grand’amore, e zelo,

                                   ch’ella ha per me, sicché il dover mi spigne

875                              a palesare a voi medesma ancora

                                   quello che udii con sommo mio spiacere

                                   quella mattina appunto

                                   in un circol di nobili matrone.

                                   Contro del vostro onore alto parlossi;

880                              a cui siccome io prendo tanta parte,

                                   credere non potreste

                                   in quali pene, in quali angustie, in quali

                                   tormenti[114] io mi trovai,

                                   per non potermi opporre

885                              come avrei voluto a’ loro detti;

                                   e siccome fra noi dobbiam scoprirsi[115]

                                   tutto quello che dicesi di noi,

                                   siccome porta un vero amore, e zelo,

                                   io dunque vi dirò, ch’una dicea:

890                              «Quella Culagna[116] è pur la pazza femmina,

                                   mostra disprezzo de l’umane cose,[117]

                                   de le ricchezze, e degli onor mondani

                                    perché poco ha di questi, e men di quelle;

                                   vuol criticare tutti i fatti altrui,

895                              quando averia buon criticar se stessa;

                                   vuol far la moralista,

                                   correggere i costumi,

                                   ch’ella in sé stessa non corresse mai».

                                   Rispose un’altra: «è vero»,

900                              e l’affermaron tutte:

                                   ebbi buon dire io sola,

                                   che siete d’onestade un raro esempio,

                                   che siete per scienza un libro aperto;

                                   ebbi buon dir che le parole vostre

905                              sono tante sentenze

                                   cavate d’Aristotile, e Platone;

                                   ebbi buon dir, non mi credette alcuna,

                                   e nel mio sentimento[118] restai sola;

                                   perché tosto rispose una matrona:

910                              «Fa bel volere che si fugga amore;

                                   ed insegnare a le altre,

                                   che l’amore del senso è indegno, e vile;

                                   e intanto al marchesin di Santilana

                                   ella facea d’intorno alte pazzie;

915                              e fu pur visto entrar per la finestra[119]

                                   per istudiar con lei filosofia».[120]

 

            la contessa  Oh maldicenza indegna!

 

            isaura            Aspettate che ancor non han finito:

                                   «E adesso che l’etade un po’ si avanza

920                              mostra di non volere,

                                    ciò che non può ottenere;

                                   ma intanto a un certo conte forastiere,

                                   che fa gran cerimonie

                                   ben sette volte è andata

925                              a trovarlo in casa».

                                   «Eh questo non è già»; risposi allora

                                   «per l’amor animal, corporeo, e vile,

                                   ma per quel degno amore…» e in questo dire

                                   non mi lasciar finire,

930                              che dieder tutte insieme una risata:

                                   pensate voi com’io

                                   restai mortificata.[121]

 

            la contessa  Vedo ben io che queste

                                   non saran state già matrone oneste,

935                              ma inique maldicenti,

                                   lingue perverse, e ree.

 

            isaura            Ma la morale insegna

                                    a lasciarsi cotanto

                                   trasportar da la bile?

940                              Ci bisogna soffrir con pazienza

                                   le persone moleste,[122]

                                   o signora contessa.

                                   Io pur senza aver letta la morale

                                   con pazienza udii

945                              ciò che sabato dissero di me,

                                   come voi m’asseriste:

                                   or dunque perdonate

                                   se vi lascio qui sola.

                                   Pensate a’ casi vostri;

950                              solo considerate,

                                   che ciascun parla de’ diffetti nostri;

                                   che ognun vede gli altrui,

                                   ma raro vede, o mai non vede i sui.[123]

 

            la contessa  Purtroppo è vero che chi cerca trova;[124]

955                              l’amore che pel conte il cor mi prende

                                   fa ch’io veda il mio male, e pur lo incontri:[125]

                                   la gelosia, che va ad amore unita,

                                   fa ch’io tema ch’a Isaura egli si volga;

                                   e la speranza poi

960                              ch’ei vincendo la lite

                                   ricco diventi, e prendami per moglie,

                                   fa sì ch’io stia ad ogni suo passo attenta,

                                   perché alcuna da me costui non tolga:

                                   ma lo veggo venire.

 

965      il conte         [(a parte)] Cara signora Isaura io da voi lungi…

                                   Perdonate signora io m’ingannava.

 

            la contessa  Io ben veggo il tuo inganno,

                                   che tende solo ad ingannar[126] chi t’ama.

 

            il conte         Chi mi ama? E che signora?

970                              Ed evvi cosa in me d’amarsi degna?

                                   Voi prendete signora un granciporro;[127]

                                   conciosiacosaché non vi fu mai

                                   alcuna cosa degna

                                   d’esser amata in me.

975                              È ne’ vostri occhi, che risiede amore,

                                   ed ivi aspetta i cor leggiadri al varco,

                                   ma sdegna di ferir cori sì abbietti,

                                   cori comuni come il mio. Voi dunque

                                   sarete sola avvezza a ferir alme

980                              socratiche, platoniche,

                                   e ciceroniane; onde de l’altre[128]

                                   avrete a noia, e sdegnerete i vili

                                    comunissimi affetti.[129]

 

            la contessa  Ah conte, conte,

                                   apprendesti tu forse a dar la baia

985                              a la corte eh?

 

            il conte                                Signora m’offendete.

                                   Tale stima ho di voi,

                                   che d’altra donna ugual non ebbi mai.

 

            la contessa  Io ben mi son avvista

                                   che tu parli con tutte in tal favella.

 

990      il conte         Questo sol da la corte non restommi,

                                   ch’è di non adulare.[130]

 

            la contessa  Già lo so ben, che in corte

                                    vive d’adulazione una gran parte;

                                   ma ti restò pur quella parte ancora,

995                              che finzion si chiama.

 

            il conte         Perdonate signora: io mai non finsi

                                   in vita mia.

 

            la contessa                          Ma pure per Isaura

                                   io so che tu… divieni rosso, è vero?

 

            il conte         Non arrossisco al certo

1000                            che si sappia ch’io l’amo.

 

            la contessa  Un cor diviso non è vero amante.

 

            il conte         Amo l’una, amo l’altra,

                                   né divido l’amor; poich’è[131] diverso

                                   l’amor con che amo voi, ed amo lei.

1005                            Amo in voi con amor perfetto, e puro

                                   lo spirito gentil[132] che in voi risiede:

                                   e in lei sol amo quell’ignobil parte,

                                   che agli sensi soggiace, e che si vede.

                                   L’amor che per voi m’arde è di voi degno;

1010                            è un platonico amor che ha sol per meta

                                   la virtù, l’onestà, le belle doti,

                                   che si scorgono in voi, e che risplendono,

                                   ed amo in lei la giovanile etade,

                                   il leggiadretto piè, le belle mani,

1015                            il volto, gli occhi, i capei biondi, e crespi.

                                   Insomma ho in voi tutto rivolto quello

                                   ch’ha di più puro, e di più fino amore,

                                   in lei ciò di cui voi nulla curate,

                                   ch’è la parte animal, corporea, e frale.[133]         

 

1020     la contessa  Ah conte, che fintanto

                                   che nel corporeo vel rinchiusa è l’alma

                                   deve ben spesso soggiacere al peso

                                   dei sensi la più bella, e nobil parte.[134]

                                   Onde siccome l’alma

1025                            per veder, per udire

                                   è costretta a servirsi ora dei sensi,

                                   debbon esserle cari i sensi ancora,

                                   non perché sovra lei regnino mai,

                                   ma come ama un padrone

1030                            un fedel servitore:

                                   sicché se ami il mio spirto ama il mio corpo,

                                   le di cui azioni, e passioni

                                   sono talmente unite,

                                   che l’amar uno senz’amar pur l’altro

1035                            sarebbe un non amar né l’un, né l’altro.

                                   Puossi toccare il corpo,

                                   che lo spirto non senta?

                                   Puossi parlare all’alma,

                                   che non si serva del corporeo aiuto?

1040                            Dunque se è vero amore,

                                   non s’ama sol ciò che vicino giace

                                   a la persona amata;

                                   ma s’ama insin la via, che a lei vi guida;

                                   s’ama l’aura che spira;

1045                            s’ama la terra, che calcò co’ piedi:

                                   e tu non amerai

                                   quello per cui[135] le parli,

                                   quello per cui la vedi?[136]

 

            il conte         Ah voi siete, signora, un libro scritto,

1050                            una cattedra aperta, ed una scuola;

                                   voi siete una dottrina tutta quanta,

                                   tutta filosofia, tutta rettorica.[137]

 

            la contessa  Non mi far complimenti o conte caro:

                                   (Arriva Isaura)

                                   non può la fiamma mia star più coperta;

                                   (La contessa s’avanza, e il conte facendo riverenze si ritira)

1055                            io t’amo: eh no, non voglio

                                   così gran cerimonie, e riverenze,

                                   tutte cose da amor bandite affatto.

                                   Conte mio pur vorrei…

 

            isaura                                                Serva contessa.

 

            la contessa  Oh cielo!

 

            isaura                                    Se indiscreta io fossi mai

1060                            vado; seguite pure.

                                   Ebbi buon dir che male

                                   stato non vi sarebbe nell’interno.[138]

 

            la contessa  Restate pur signora,

                                   che il vostro bel sembiante

1065                            ha fatto breccia in petto del signore.

 

            isaura            Eh seguite pur voi, che è vostra preda:

                                   che si unisce assai bene il saper vostro

                                   col suo cerimonial così compito.[139]

                                   Ebbi buon prender il vostro partito,

1070                            come insegna Anasagora

                                   nel terzo libro de la sua morale![140]

                                   Addio cara contessa,

                                   seguite pur co’ vostri insegnamenti.

                                   E a voi Monte Fiascone

1075                            faccia buon pro sì bella lezione.

 

            la contessa  Restate pur, ch’io partirò signora.

 

            isaura             No no restate voi.       

 

            il conte         Oh ciel, perché partite?

 

            isaura            Perdonate se usai mala creanza;

1080                            ma avete tempo ancor da proseguire,

                                   se dettar vi volesse[141] la contessa

                                   fisica, e metafisica, e morale.

                                   Ebbi buon ragionar per sostenere

                                   il decoro, e l’onor di chi tant’amo![142]

1085                            [(a parte)] Bacco! Che posta fresca.[143] [(a voce alta)] Addio contessa.

 

            la contessa  Eh no, che di già so

                                   quai sieno i vostri affetti.[144]

 

            isaura             No no contessa mia,

                                   i vostri sono fatti, e i miei son detti.

1090                             Già l’amore animale in voi non regna;

                                   seguite pure a fare

                                   ciò che Platon v’insegna.

 

            la contessa  Mi burlate o signora.

                                   [(a parte)] Qua il diavol la condusse in mia malora.

 

1095     isaura            No saldo pure in barca:[145] io son discreta;

                                   contessa addio; conte

                                   io ve la raccomando:

                                   le cerimonie, e la filosofia

                                   forman la bella coppia in fede mia.

 

1100     il conte         Signora, e voi partite così sola?

                                   Non fia vero giammai ch’io ciò permetta.

 

            isaura             No certo.

 

            il conte                                È mio dover.

 

            la contessa                                                 Fate così,

                                   restate voi, ch’io sola partirò.

 

            il conte         Voi contessa partir?

 

            isaura                                                Contessa addio,

1105                            quando torniate a la conversazione

                                   de la qual mi parlaste,

                                   dite pur che a le volte

                                   il ballarino, ed i merletti fini[146]

                                   nascondon meno assai d’ipocrisia,

1110                            che i gran libroni, e la filosofia.

 

            la contessa  Addio, vedrem chi vinceralla in fine.

 

            il conte         Eh signora, eh contessa, eh dove vado?

                                   Chi seguo? Oh fosse quivi

                                   di cerimonie un mastro (si smania)

1115                            per dimandar consiglio

                                   a qual di due m’obbliga la creanza.

                                   Seguo Isaura; ma no che la contessa

                                   era prima con me: vo a la contessa;

                                   ma Isaura offenderassi.

 

1120     battista        Il giudice, o signore, vi dimanda[147]

                                   ch’andiate a casa sua

                                   senza perdere tempo,

                                   ch’ha da parlarvi per la vostra causa.

 

            il conte         Eh che il cerimonial vuol ch’io non lasci

1125                            le signore. (Fa per partire)

 

            battista                                Padrone dove andate?

                                   Ma voi la causa perderete al certo,

                                   quando quel che si dee, far non vogliate.

            il conte         Quel ch’io debbo è pria

                                   compir co’ le signore. Se sapessi

1130                             da quante donne assediato io sono.

 

            battista        [(a parte)] Povere donne, scelgon sempre il peggio.

                                   [(a voce alta)] È meglio pria compir col senatore,

                                   che s’egli il voto contro vi darà,

                                   onde restiate in secco,[148]

1135                            la signora di voi si riderà.

 

            il conte         Sciocco, insolente; è questa

                                   da parlare con me la forma, e il modo?

 

            battista        Voi avete ragion, ma non vorrei

                                   che da questa sentenza dipendesse

1140                             il darmi il mio salario.

                                   Perché l’assedio de le donne infine

                                   vi farà star senza munizione;[149]

                                   e il vostro servitore

                                   non ha un bezzo[150] da far collazione.

 

1145     il conte         Taci sciocco, insolente;

                                   va pria dal signor giudice,

                                   ed ivi dal suo mastro

                                   di cerimonie intendi

                                   dove verrà a ricevermi; e sin dove

1150                            poi m’accompagnerà nell’andar via

                                   questo signor dottor, perché non voglio

                                   azzardare[151] così la mia persona;

                                   che se poi lo sapessero a la corte

                                   me ne farian fischiate.[152]

                                   Tu ridi?[153]

 

1155     battista                    Perdonate.

 

            il conte         Da rider cessa omai.

 

            battista                                            Ma se non posso.

 

            il conte         De’ diavoli il re ti salta[154] addosso;

                                   or teco perdo il tempo, e le signore.

                                   Fai quello che ti ho detto,

1160                            e la risposta in questa casa aspetto.

 

            battista        [(a parte)] È matto il mio padrone,

                                   né guarirà mai più.

                                   [(a voce alta)] Eh, padrone un anello in terra io trovo.[155]

 

            il conte         Questo d’Isaura l’ho veduto in deto:

1165                            a me lo porgi: orsù

                                   vado da la contessa: ah no, da Isaura:

                                   ah no da la contessa.

 

            battista        Or già che il mio padron diventa matto,

                                   vo’ diventarlo anch’io affatto affatto:

1170                            le maschere qui abbasso

                                   ballano, e fan fracasso:[156]

                                   vo’ dimandarle sopra,

                                   e ballare con loro.

                                   Già credo che il padron sia fuor di casa.

1175                            Onde vo’ stare allegramente un poco

                                   per far passar la fame,

                                   che tiene l’allegria piazza di cuoco:

                                   maschere su a ballare.

 

                                   (Arrivano maschere e donzelle che ballano, e cantano tutti insieme).[157]

 

                                               Viva sempre l’allegria;            

1180                                        viva sempre il carnoval.[158]

 

            le donzelle             Amoretti

                                               vezzosetti

                                               a noi volano d’intorno;

                                               e scherzando,

1185                                        e saltando

                                               ci fan dolce, e vago il giorno.

 

            tutti insieme             Viva sempre l’allegria;

                                               viva sempre il carnoval.

 

            le donzelle             Come stella

1190                                        vaga, e bella

                                               fra di noi risplende Isaura,

                                               e suo labro

                                               di cinabro

                                               rende vaga ogn’onda, ogn’aura.

 

1195     tutti insieme            Viva sempre l’allegria;

                                               viva sempre il carnoval.[159]

 

            olindo           Oh questa sì che è bella![160]

                                   E chi ardisce venire in casa mia

                                   a far sì gran fracasso.

1200                            Eh, via canaglia, via andate in piazza.

                                   Or son sì rattristato,

(vanno via tutti)

                                   e tal rabbia mi prende,

                                   che ho bastonato quattro servitori,

                                   ho rotto due catini, e sei bicchieri.[161]

1205                            Ma si può dar! Immaginarsi ch’io

                                   nutrissi amor per quella sciocca donna

                                   de la contessa! Si può dar tal cosa!

                                   Ed attaccarsi a quel Fiascon[162] ridicolo,

                                   E fargli cortesia;

1210                            e poi permetter ch’io n’andassi via!

                                   Ma si può dare! Se due teste avessi

                                   una ne getterei giù per un pozzo.

                                   Ma la più bella è, che colui del conte

                                   m’è già venuto a dimandar due volte,

1215                            dove poteva ritrovare Isaura,

                                   perché doveale far suoi complimenti;

                                   si può trovar matto più goffo al mondo?

                                   E pur se vi sarà

                                   quel sol nella città

1220                            per mia pena maggior vienmi a trovare.

                                   Non so con quelle sue gran cerimonie,

                                   che seccherian un mare,

                                   chi me l’abbia inviato

                                   per purgar qualche mio grave peccato.

 

            il conte         Amico.

 

1225     olindo                      [(a parte)] Si può dare[163]

                                   che ovunque io vada abbia a trovar costui!

 

            il conte[164]     Amico io sono impaziente affatto

                                    di ritrovare Isaura.

                                   Io sembro un incivil presso di lei;

1230                            la contessa m’ha fatto

                                   commetter sì terribile increanza,

                                   ma non potea servire e l’una, e l’altra.

                                   Amico dimmi un po’. L’hai tu veduta?

 

            olindo           Io credo che al passeggio ella sia gita.

 

1235     il conte         Fammi un poco il piacer d’accompagnarmi,

                                   dov’ella suol andare;

                                   ch’io non vorrei parer con esso lei

                                   uomo senza creanza;

                                   e pel cammino io ti dirò poi anco,

1240                            come a vero mio amico,

                                   alcune cose, acciò tu ti compiaccia

                                   de le fortune mie.

 

            olindo           Per or mi spiace, che venir non posso,

                                   ma molto di saper io goderei

1245                             le tue fortune: certo la tua taglia;[165]

                                    e il tuo cerimoniale, e il tuo discorso

                                   sono capaci di ferir le fronti[166]

                                   de’ poveri mariti, o degli amanti.

 

            il conte         Sappi dunque che Isaura

1250                             è fatta preda mia,

                                   e m’ama a la follia.

                                   Ma so che parlo ad un amico tale

                                   che saprà in questa cosa esser discreto.

 

            olindo           Non dubitar conserverò il segreto.

1255                            Segui pur conte; dunque t’ama Isaura?

 

            il conte         Certo; ma mi fa d’uopo

                                   un vero amico qual tu pur mi sei,

                                   per darmi in questo amor segreto aiuto.

 

            olindo           [(a parte)] Questa saria più bella.

1260                            [(a voce alta)] Ma tu hai fatto ben presto

                                   a concluder sì nobile amoretto.

 

            il conte         M’ha visto a pena, ch’io le ho preso il core.

 

            olindo           Il femminile amore

                                   picciol[167] scintilla accende

1265                             e picciol’aura ammorza.

 

            il conte         Eh questo è di quel nato

                                   da natural subita simpatia.[168]

                                   A pena tu partisti assai sdegnato

                                   per veder tanta gente in casa tua,

1270                            senza aver tua licenza,

                                   partì ancor la contessa;

                                   onde restammo soli Isaura, ed io.

                                   Qui fe’ suo sforzo amor, qui si compiacquero

                                   gli occhi miei ne’ suoi occhi;

1275                            e qui s’accese, amico,

                                   ne’ nostri petti sì cocente fiamma.

 

            olindo           Or dunque quest’amore apena acceso

                                   s’è fatto molto forte.

 

            il conte         Spegnerlo[169] non lo può se non la morte.

 

1280     olindo           [(a parte)] Oh poveretto me! [(a voce alta)] Segui pur, dimmi:

                                   ella cosa ti disse, e qual ti diede

                                   pegno dell’amor suo?

 

            il conte         Io spero presto un vivo pegno avere,

                                   poiché se non m’inganno,

1285                            (ma amico segretezza)

                                   sua maniera gentil, suo vivo aspetto,

                                   sue dolci espressioni

                                   mi fan certo sperare ogni gran bene.

            olindo           [(a parte)] Questa cosa non può certo andar meglio.

 

1290     il conte         Io so ben, che tu parte prenderai

                                   a le mie contentezze; e d’ogni cosa

                                   favorevole in questi amor novelli

                                   che mi segua,[170] darotti

                                   istruzion[171] sincera.

 

1295     olindo           [(a parte)] Quest’è amicizia de la buona, e vera.

 

            il conte         Sappi ch’ella ha giurato

                                   che non amò mai più di me persona;

                                   né l’amerà più mai.

 

            olindo           Oh se sapessi qual piacere io sento

1300                            ne le tue contentezze!

 

            il conte         Io ne son sicurissimo.

                                   Orsù dobbiamo andare a ritrovarla?

 

            olindo           Non posso, o conte caro,

                                   per ora abbandonare alcuni affari;

1305                            t’auguro felicissima fortuna

                                   in così degni amori;

                                   e udirò volontier ciò che ti segua

                                   al proseguir del tempo.

 

            il conte         Nulla mi seguirà,

1310                            che fedelmente noto non ti sia.

                                   Amico schiavo, senza cerimonie,

                                    non ti muover di qua.

 

            olindo           Almen vederti…

 

            il conte                                            No, sono nemico

                                   giurato de le cerimonie antiche.

 

1315     olindo           Schiavo; già de la casa sei padrone.

 

            il conte         Schiavo: lasciami andar senza guardarmi.

 

            olindo           Ma caro conte un po’ di civiltà

                                   l’ho ben appresa anch’io senza esser stato

                                   a la corte.

 

            il conte                                Lo so, ma non ti voglio

1320                            veder incomodar né pur d’un passo.

 

            olindo           Va’ dunque come vuoi.

 

            il conte         Tien il cappello in testa.

 

            olindo           [(a parte)] Chi vide mai persona più molesta?

                                   [(a voce alta)] Lo tengo. Schiavo.

 

1325     il conte         Servitore, amico. (entra)

 

            olindo           Ah ch’io sono oltraggiato, e son tradito

                                   da costei certamente;

                                   ma pur chi sa che in tutto ciò non finga!

                                   E chi sa che costui

1330                            un fanfaron non sia?

 

            il conte         Appunto, amico, io mi scordava; mira, (torna fuori)

                                   conosci quest’anello?

 

            olindo                                              Egli è d’Isaura.

 

            il conte         Tanto ti basti: schiavo.

 

            olindo                                              Aspetta un poco.

                                   Mi faresti il piacere di lasciarmelo?

1335                             Che in legge d’amicizia

                                   oggi tel renderò.

 

            il conte         Ad un amico qual tu sei, non posso

                                   negar qualunque cosa:

                                   prendilo, tel consegno:

1340                            oggi mel renderai.

                                   Non mi può esser più caro un diamante

                                   di cento mille scudi.

 

            olindo           Oggi tel renderò con fedeltà.

 

            il conte         Servitor; vado al corso.

 

1345     olindo           Il cielo t’accompagni.

                                   [(a parte)] Or la di lei perfidia è sicurissima.

                                   Quest’anel ch’io le diedi,

                                   darlo a costui del proprio amore in segno?

                                   Oh questo è troppo. Ah chi m’avrebbe detto

1350                            che mi dovesse sì tradir costei!

                                   Ah ch’io mi sento inviperir per rabbia,

                                   e sentomi travolger il cervello;

                                   ah che quel core iniquo

                                   lo vorria stritolar, e fare in pezzi.

1355                            Così tradirmi, abbandonarmi! Oh amore

                                   soffrirai tal perfidia?[172]

 

            arsillo          Amico.[173]

 

            olindo                       [(a parte)] Eh che veder non vo’ più il lume.

                                   Non so dov’io mi volga.

 

            arsillo          Ma amico e che ragioni?

 

1360     olindo           [(a parte)] Questo si è troppo, e questo è senza esempio.

                                   Un tanto oltraggio a me?

 

            arsillo          Amico smani? Con chi parli?

 

            olindo                                                          [(a parte)] Teco;

                                   che sei… [(a voce alta)] ma mi perdona: io sono

                                   così fuor di me stesso,

1365                            che poco sta che a smaniar non giunga.

                                   Maggior perfidia si può dare al mondo?

 

            arsillo          Narra gli affanni tuoi, fammene a parte,

                                   che col narrar l’affanno

                                   rendesi assai più lieve.

 

1370     olindo           È impossibil che lieve unqua[174] si renda

                                   la mia grave tristezza.

                                   A un matto cortigiano,

                                   a un uom che uccide colle cerimonie

                                   qualunqu’uomo v’incappa,

1375                            a un fanfarone, a un goffo, ad un ridicolo

                                   Isaura… oh ciel! Isaura dassi in preda!

                                   E così mi tradisce, e m’abbandona

                                   per una tal persona.

 

            arsillo          Eh non crediate questo: egli è impossibile.

 

1380     olindo           Ah che del tradimento orrido iniquo

                                   ne[175] ho in mano un evidente, e chiaro pegno.

                                   Va’ Arsillo, va’, dimandami un notaro,

                                   ch’io vo’ far testamento;

                                   e poi vo’ ritirarmi in un convento.

 

1385     arsillo          Ah non faceste mai questa pazzia

                                   guidato da l’amore.

 

            olindo           La voglio far sicuro sicurissimo:

                                   non vo’ stare più al mondo

                                   a soffrir tanto oltraggio.

 

1390     dulino           Padrone ho visto la signor’Isaura,

                                   che… ma con grazia un sorso di respiro.[176]

 

            olindo           Cosa faceva la signora Isaura?

 

            dulino           L’ho vista nel boschetto.

 

            olindo           Sola?

 

            dulino                       Oibò: in buona compagnia.

 

            olindo           Di molti?

 

1395     dulino                                   Oibò: di un solo.

 

            olindo           Va’ Arsillo a dimandar presto il notaro.

                                   Da costei son tradito.

                                   Non vo’ più stare al mondo.

 

            arsillo          Ma adaggio, intendiam pria:

1400                            dimmi: sai tu chi sia?

 

            dulino           Io so che è bello, giovinetto e bianco.

 

            arsillo          È di questo paese, o forastiere?

 

            dulino           È forastier, e dicon di Bologna.

 

            olindo           È colui francamente;

1405                            certo ch’io sto per perdere il cervello.

 

            arsillo          Hai forse udito dir qualche parola?

                                   Hai visto qualche gesto?

 

            dulino           Ah foss’io stato in lui;

                                   gli faceva carezze, e lo baciava,

1410                            ed andava dicendo: «o caro, o bello»;

                                   né mai cessava di tenerlo stretto.

 

            olindo           Oh mondo maledetto!

                                   Debbo arrivare anche a veder tai cose!

                                   Chi detto avria, che in quelle ciglia amabili

1415                            vi fosse tanta iniquità nascosta?

                                   E chi avrebbe creduto

                                   ch’ella non fosse d’onestade esempio?

                                   E ancor dubiterai Arsillo caro

                                   del tradimento, e infedeltà di lei?

 

1420     arsillo          Io resto stupefatto.

 

            dulino           Ma adesso vien il meglio.

                                   Io che vedo da lungi essa con esso

                                   m’avanzo, e me ne stava

                                   mirando tutte quelle cerimonie,

1425                             che facean fra di loro.

            olindo           Cerimonie! Tu vedi.

 

            dulino           Quand’ecco ei che mi vede

                                   incomincia a far beb.[177]

 

            arsillo          Che vuoi dire, a far beb?

 

1430     dulino           Incomincia a far beb beb beb beb beb;

                                   ond’ella si rivolge e mi discopre;

                                   mi sgrida, e con malissime[178] parole

                                   mi fa lungi fuggire;

                                   ma ecco che viene, e il forestier con lei,

1435                            giovine bello, bianco, e di Bologna.

 

                                   (Vien Isaura con un cagnolino di Bologna in mano)[179]

 

            olindo           Eh tu sempre con tue burle seccanti

                                   mi frastorni il cervello.

                                   Va’ a fare il fatto tuo: tu pure Arsillo

                                   ritirati, ti priego.

1440                            [(a parte)] Ah con qual fronte, o cielo!

                                   vienminnanzi costei?

                                   Furia d’Averno sotto belle spoglie,

                                   mostro d’iniquità sotto un bel manto.

 

            isaura            Ebbene, Olindo, e la contessa ov’è?

 

1445     olindo           Non è più tempo da scherzare omai.

                                   È tempo ch’io mi svegli, e riconosca

                                   de la perfidia in voi la vera immagine,

                                   de la menzogna la figura espressa,

                                   d’empietà, e tradimento un raro esempio.

 

1450     isaura            Innanzi pur con questi complimenti.

 

            olindo           A che vale, o gran Giove,

                                   che ne le mani i fulmini de l’ira

                                   stringa sol per scagliarli in sen de’ monti,

                                   e intanto vive tradimento, e frode?

1455                            E perché scuoter l’una, e l’altra falda

                                   de l’universo,[180] ma lasciare intanto,

                                   che regni il vizio di virtù coperto?

                                   Sì m’avete ingannato infino ad ora,

                                   ma rendo grazie al ciel, che m’ha scoperto

1460                             a tempo i vostri inganni.

 

            isaura            Hai tu finite ancor sì vaghe lodi?

 

            olindo           Fuggi pur fra le selve,

                                   va’ pur fra le caverne aspre de’ monti,

                                   va’ fra deserti inospiti, e selvaggi,[181]

1465                            che mai non troverai

                                   belva di te peggiore infra le belve.

                                   Presso l’onde di Stige, o presso al trono

                                   del tartareo tiranno[182]

                                   l’empie ministre de la sua vendetta[183]

1470                            cedono in empietade

                                    a te che sei d’iniquitade un mostro.

 

            isaura            Grazie di tanti encomi,

                                   di sì bei panegirici; vorrei

                                   solo saper com’io

1475                            ho meritato tanto.

 

            olindo           Vorreste ancor farmi arrossir parlando?

                                   La stima ch’ebbi infin ad or per voi,

                                   par che il parlar mi vieti,

                                   né mi lascia pensare

1480                            ciò che a pensar io son pur troppo astretto.

                                   Ah ch’io già son sì de l’umane cose

                                   disgustato, ch’io voglio

                                   il tutto abbandonare.

                                   Non l’avria mai creduto, e pure è certo.

 

1485     isaura            Io vorrei ben saper d’onde procede

                                   la cagione di tante, e tali smanie,

                                   che m’empion di spavento il core, e l’alma.

 

            olindo           Spavento eh? Vi dovrebbe far spavento

                                   il pensare all’iniquo tradimento

1490                            ch’oggi faceste a un vostro vero amante.

                                   Dov’è la giurata?

                                   Dove la fedeltà, dove l’onore?

                                   In darvi in preda a un forastier sciapito,

                                   che se ne vanta intorno.

1495                            Non avessi io mai visto

                                   un sì nefando giorno.

                                   Vedere appena un uom così ridicolo,

                                   e tosto amarlo, e tosto abbandonare

                                   chi fedelmente v’ama!

1500                            Son riserbato a veder questo ancora?

 

            isaura            Hai perduto il cervello, a quel ch’io vedo;

                                   posson provenir d’altra cagione

                                   questi tuoi detti, e questi tuoi trasporti.[184]

 

            olindo           Perdetti la ragion, perdetti il senno

1505                            solo allor ch’io vi scelsi per oggetto

                                   del mio più fino amore;

                                   ma non lo perdo io no nello scoprire

                                   l’infedeltade, e i tradimenti vostri,

                                   nel levare il mio piè da le catene

1510                            fra cui sinora mi teneste avvinto.

 

            isaura            Ma se tu vuoi che la ragion sia guida

                                   di questo tuo discorso,

                                    parla più chiaramente.

                                   Per me ti dico che allor quando entrai

1515                            oggi in maschera in questa stanza, io vidi

                                   te per le mani la contessa avere:

                                   questa è forse mia colpa? Io già non dico

                                   che questa fosse grave colpa in te,

                                   ed essere potea sol civiltà:[185]

1520                            lo voglio creder, ma frattanto anch’io

                                   o per scherzo, o per giuoco, o per provarti

                                   presi il conte per mano, e ballai seco.

                                   La gelosia sol è prova d’amore,

                                   né udii mai dir che sia la gelosia

1525                            tradimento, empietà, mostro d’Averno.

 

            olindo           Oh come ben le donne

                                   a finger son perfette, e a tesser frodi.

                                   Son io quel ch’ha fallato,

                                   il traditor son io.

1530                            Ma quest’anello, e la giurata fede

                                   al forastier, ed il promesso amore

                                   è scherzo, è giuoco, e amabil gelosia?

                                   O pure è fellonia?

 

            isaura            Io amore, io fede, io quest’anello ho dato

1535                            a quel conte ridicolo?[186]

 

            olindo           Ma la pruova è pur chiara.

                                    L’anello è pur lo stesso

                                   ch’io diedi a voi di vero amore in segno.

                                   E questo oggi ha servito

1540                            per tradir me, per amar lui di pegno.[187]

                                   Questo già non m’inganna: il fatto è chiaro.

 

            isaura            S’io diedi al conte quest’anello, o ad altri

                                   pera per me la luce,

                                   tosco divenga l’aura ch’io respiro;

1545                            m’odino i numi, m’odi

                                   tutta l’umana gente,

                                   ed infin m’odi Olindo,

                                   che d’ogni mal sarebbe il mal più grave

                                   ch’aver io possa in terra.

 

1550     olindo           E come dunque escito

                                   è da le vostre mani?

            isaura            Io l’ho, per dirvi il vero, oggi perduto,

                                   e me n’accorgo adesso solamente.

                                   Ma t’assicuro ben che altrui nol diedi.

 

1555     olindo           Eh che queste son fole,

                                   né son sì pazzo a creder facilmente

                                   a le vostre parole.

 

            isaura            Com’è dunque così, seguite pure

                                   la vostra fantasia,

1560                            già che siete capace

                                   di creder che in me regni

                                   tradimento, e bugia.

                                   E già che in mano quell’anello avete,

                                   tenetel pur, che meco aver non bramo

1565                            vostra memoria alcuna.

                                   Addio signor Olindo.

 

            olindo           Aspettate signora, un motto solo.

 

            isaura            Eh siete troppo facile a sdegnarvi,

                                   ed a lasciarvi trasportar dall’ira.

1570                            Auguro a voi più fortunati amori,

                                   e amante più fedele, e più costante,

                                   che non doni gli anelli ad altro amante:

                                   addio.

 

            olindo                      Signora, non partir sì tosto:

                                   vediamo pria dov’è l’inganno in fonte.

 

1575     isaura             Eh no, ch’io son mostro d’Averno orrendo,

                                   sono perfida, iniqua, e senza fede.

                                   Cercate altrove pur miglior fortuna,

                                   degna più de le vostre inclite idee,

                                   e de le doti eccelse

1580                            onde fornì natura il vostro core.

                                   Ad uom così ben fatto, ad uom di tanto

                                   merto, per una che si perda, o fugga

                                   se n’appresentan mille.

 

            olindo           Ma mille, e mille donne

1585                            Non mi daran quella ch’io onoro, ed amo;

                                   come in ciel mille stelle

                                   non formeranno mai del sol la luce.

                                   Deh perdonate i miei trasporti, nati

                                   da gelosia, che dell’amore è figlia.

 

1590     isaura             È troppo pronta questa gelosia

                                    per oltraggiar chi già la vi diede.

                                   E qual ragione avrei di finger vosco

                                   s’altro amor m’accendesse?

                                   Non ho libero il cor, libera l’alma?

1595                            Chi v’è che mi costringa

                                   a tessere menzogne?

                                   Sarei fors’io la prima

                                   che lasciasse d’amare

                                   dopo di aver amato?

1600                            Ma non mai gelosia, né amor permise

                                   che s’oltraggiasse la persona amata.

                                   Vidi io pur la contessa appresso a voi;

                                   Amor con gelosia ponsemi il core,

                                   ma però d’oltraggiarvi io non ardii.

 

1605     olindo           Oh ciel! Voi gelosia

                                   per la contessa avere!

                                   Io ch’in terra non amo

                                   che il vostro bel sembiante, e la mia fede;

                                   io che solo per voi vivo, e respiro,

1610                            potrei mai da quell’orride, e sciapite

                                   filosofiche ciancie

                                   de la contessa a la sua rete cogliere

                                   lasciar il piede mio?[188]

                                   Ah che vorrei piuttosto

1615                            ne la caverna entrar d’orrido monte,

                                   o in riposto deserto, o in valle oscura,

                                   e passar ivi i miei funesti giorni,

                                   che mai entrar ne’ lacci di una donna,

                                   la qual parli latino.[189]

1620                            [(a parte)] Oimè che ancora viene[190]

                                   questo conte seccante,

                                   cerimonioso, e matto.

 

            il conte         Signora Isaura a le vostr’orme appresso

                                   corsi finor, né v’ho trovata mai:

1625                            ma infin la sorte mia,

                                   e il ciel propizio a’ caldi voti miei

                                   fa che vi trovi al fine,

                                   e che possa umiliare a’ vostri piedi

                                   i miei umili ossequi,

1630                            tal che ogni mio rispetto

                                   si dà il sublime onore

                                   di dichiararsi vostro servitore.

 

            isaura             Serv

 

            il conte                    E dovunque rivolgete il passo,

                                   benché non siavi appresso

1635                            però dietro vi corre il mio rispetto.

 

            isaura             Sign

 

            il conte                    Io v’accerto, o mia signora, intanto,

                                   che d’ora in avvenire

                                   non sarete mai sola,

                                   ma avrete sempre accanto

1640                            il rispetto, l’ossequio,

                                   la venerazione

                                   del vostro servitor Monte Fiascone.

 

            isaura            Sign[191]

 

            olindo                       Deh lasciate: non ha ancor finito

                                   il suo cerimoniale,

1645                            che se non è un quinterno[192]

                                   lo casseran dai libri de la corte.

 

            il conte         Amico perdonate,

                                   ch’io non v’avea veduto.

 

            olindo           Ah per l’amor del ciel non cominciate

1650                            di cerimonie un leggendario[193] nuovo.

 

            il conte         Ma il mio dovere…

 

            olindo                                              Amico,

                                   se tu sapessi quale inimicizia

                                   ho contratto con quelle maledette

                                   cerimonie, da che m’hanno voluto

1655                            far da la scala a tombolon cadere,[194]

                                   mi faresti il piacere

                                   di conservar quelle che vuoi far meco

                                   per qualch’uno che cogli

                                   dopo di me a ragionar con teco.

 

1660     il conte         Com’è dunque così più non rispondo;

                                   vorrei ben che sapesse tutt’il mondo

                                   che il mio dovere di saper non lascio.

                                   Ma voi signora mia deh compiacetevi

                                   Che un vostro servitore…

 

            isaura                                                            Adaggio conte.

 

1665     olindo           [(a parte)] Queste son cerimonie de la corte.

 

            il conte         Ah lasciate che almeno un cor che v’ama,

                                   un core che vi onora

                                   non resti privo di quel bel sembiante

                                   che solo può piacere agli occhi miei.

 

1670     isaura             Per certo conte mio tu l’hai fallata.[195]

                                   Ben altre troverai cortesi, e belle

                                   degne assai più di me degli amor tuoi.

 

            il conte         Deh non vogliate tormentar un core

                                   per voi ferito da l’arcier Cupido.

1675                            Lascia ch’io baci questa man d’avorio

                                   o mia diletta Isaura.

 

            isaura            No, state al vostro loco.

 

            il conte         Ah che dovea natura

                                   farvi meno gentile,[196]

1680                            o pur dovrebbe amore

                                   farvi meno crudele.

 

            olindo           Ma perché devi lamentarti, o conte,[197]

                                   d’amore; se la bella

                                   che tu dici d’amare

1685                            te l’ha già data[198] in preda?

 

            il conte         A me?

 

            isaura                        Chi dice questo è un mentitore,

                                   è un indegno, ed un vile.

 

            olindo           Conte, questa è per voi.

 

            il conte                                                        Per me non certo.

 

            olindo           Ma quest’anello appunto

1690                            conte prendete; io ve lo rendo; ed auguro

                                   esito fortunato

                                   a così bel principio.

 

            isaura            Quest’anello! Egli è mio;

                                   e me l’avrà rubbato un qualche ladro;

1695                            e come mai ne le tue mani è giunto?

 

            olindo           Il conte me l’ha dato,

                                   ed è passato a lui da man gentile.[199]

 

            isaura            Sarà stata una man perfida, e rea;

                                   la man di un qualche furbo,

1700                            che a me l’abbia levato, e dato a lui.

 

            il conte         [(a parte)] Oh che imbarazzo è questo in cui mi trovo!

 

            isaura            D’onde l’avesti tu? Chi fu l’infame

                                   ladro che a me lo tolse?

            olindo           Ma conte, non l’avesti

1705                             di tue fortune, e tuoi amori in pegno?

 

            il conte         Certamente: [(a parte)] ma amico,

                                   non ragionar di questo.

 

            isaura            Conte, vorrei saper, chi ve lo diede?

 

            olindo           Io già lo so, che me lo ha detto il conte.

 

1710     il conte         Ma non lo dir: passiamo a parlar d’altro.

 

            isaura            Io voglio pria saper chi fu l’indegno,

                                   che ti diè quest’anello.

 

            il conte         Saria troppo indiscretto;

                                   permettete, o signora,

1715                            che questo io taccia, ed in segreto il tenga.

 

            olindo           Ma signora a che far tai cerimonie?

                                   Credete ch’io non sappia,

                                   che voi… ma più non dico;

                                   (il conte gli fa segno di tacere)

                                   non vuol ch’io parli il conte.

 

1720     isaura             No, no parlisi pur ch’io ‘l vo’ sapere.

                                   E dico intanto ch’è un indegno, un vile,

                                   un mentitor colui che mai dicesse[200]

                                   che da mia mano escito fosse in dono.

 

            il conte         Alcun non dirà questo certamente.

 

            olindo           Ma conte…

 

1725     il conte                                [(a parte)] Amico non parlar ti priego.

 

            isaura             Infin, perché ciascun vegga[201] che questo

                                   anello è sol serbato a unirmi a Olindo;

                                   ecco la man ti dono, e insiem la fede.

 

            il conte         Oimè! Come resisto?

1730                            Dove mi volgo? Oh fatal colpo! Olindo

                                   scelto da voi dinanzi a me! Che vedo!

                                   Ed io debbo soffrir? Ma che far posso?

                                   Oh me tradito! Dunque furon vane

                                   quelle parole ch’oggi mi diceste?

                                   Vane fur le speranze…

 

1735     isaura                                                Anzi vanissime.

 

            il conte         Contessa arrivi a tempo;

                                   eccoti ‘nnanzi un core,

                                   abbialo a grado benché indegno sia

 

            olindo           [(a parte)] de la seccante tua filosofia.

 

1740     il conte         di quelle doti che sì ben risplendono

                                   ne l’alma tua; in me più che un amante,

                                   un fedel servitore a fianco avrai.

                                   Sarò qual più vorrai scudiero, o scudo,

                                   corrazza, pettabotta,[202] o a petto nudo.

1745                            Sempre m’avrai costante,

                                   sempre fedele a’ cenni tuoi, contessa,

                                   mia donna, mia sovrana, o sposa, o amante.[203]

 

            la contessa  Mio conte emmi assai caro il tuo bel core;

                                   E ben vedrai… ma il servo tuo sen viene

1750                            Molto velocemente.

                                   (Battista viene correndo, e cade nell’entrare)

 

            battista        Padrone, ho fatto mostra di cadere.[204]

 

            il conte         Ebben cos’hai da dirmi?

 

            battista        Che bisogna partir per la Romagna.

 

            il conte         Perché debbo partir?

 

            battista                                            Perché quest’aria

                                   è cattiva per noi.

 

1755     il conte                                             Come è cattiva?

                                   Parlami chiaro pur, cos’è seguito?

 

            battista        Male, signor; quest’aria è cattivissima.

 

            il conte         Cosa seguì di male?

 

            battista        Padron, facciam bagaglio, e per le poste,[205]

1760                            ma di quelle che non si mutan mai,

                                    torniam nella Romagna.

 

            il conte         Tu se’ uno scimunito.

 

            battista        Incominciate a darmi il mio salario,

                                   poi vi darò la nuova,

1765                            che in ver Bologna dee farvi trottare.

 

            il conte         Non mi tener sospeso in tanto affanno.

                                   È giunta qualche nuova da mia casa

                                   di morte di parenti?

 

            battista        Peggio. Partiam padron, fate a mio modo.

 

1770     il conte         Presto parlami chiaro.

 

            battista        È venuto un brutt’uomo in vesta nera,

                                   che di Pluton parea l’ambasciadore,

                                    e con voce d’orgoglio altitonante

                                   dimanda «Olà di casa».

1775                            Io ch’avea poste a fuoco le polpette,

                                   e che dovea curarle

                                   non mi azzardava allora abbandonarle.

 

            olindo           [(a parte)] Questo è laché, maitre d’hotel, e cuoco.

 

            battista        Quand’ecco egli s’avanza, entra in cucina,

1780                            e mi presenta questo foglio scritto;

                                    e dice «Il tuo padron persa ha la lite»:

                                   a questo dire io mi sentii sconvolto

                                   da la rabbia, che per man l’ho preso

                                   e tra pezzate, e pugni

1785                            dati glien’ho quarantasette in ponto.

 

            il conte         Oh poveretto me! Persa è la lite!

                                   Ah che ingiustizia indegna!

                                   Oh iniquità, malignità del mondo!

                                   M’assistea chiaramente ogni ragione,

1790                            e pure l’ho perduta!

 

            battista        Non vel diss’io padrone?

                                   Che la lite sarebbe andata male

                                   col vostro cortigian cerimoniale?

                                   Voler saper fin dove

1795                            vi voleva il dottor accompagnare!

                                   Adesso v’accompagna

                                   sin di là di Bologna.

 

            il conte         Oh povero di me.

 

            battista                                            Ma questo è nulla.

                                   Lascio là le polpette;

1800                            prendo il cappello, e per trovarvi vengo;

                                   quand’ecco d’ogni parte

                                   vedo gente che viene a corteggiarmi;

                                   il mercadante col librone in mano,

                                   il barattier[206] che un abito vi diede,

1805                            il falegname colla lista, il sarto

                                   con un papele[207] anch’esso; e ad ogni passo

                                   sempre gente crescea nuova, e indiscreta,

                                   chi minacciando, chi pregando, chi

                                   la falda mi tirava, e chi la manica,

1810                            ed altri mi dicea: «Signor Battista

                                   de la partita[208] mia ben si ricordi».

                                   Io andava dando lor buone parole

                                   per inviarli a casa,[209]

                                   ma alcuno non mi ha mai abbandonato;

1815                            sicché con tanta gente

                                   chi mi credeva un uom che va in prigione,

                                   chi mi credeva un alto signorone.[210]

 

            il conte         E dov’è questa gente?

 

            battista        È lì dabbasso, e il numero è sì grande,

1820                            che sembra che abbian posto

                                   l’assedio a una fortezza.

                                   Padron fate a mio modo,

                                   incominciate a darmi il mio salario;

                                   e poi…

                                   (Gli parla all’orecchio)

 

            il conte                    Tu sempre scherzi.

1825                             Orsù cara contessa adesso è il tempo

                                   che il nostro amor si unisca in stabil nodo,

                                    e questo cangerà le mie tristezze

                                   in vere contentezze:

                                   indi troverò il modo

1830                            da por rimedio, e dar buon fine a tutto.

                                   Deh ricevete di un fedele amante

                                   Eterna fedeltade, e eterno amore.

 

            la contessa  Mi rincresce, o signore,

                                   di non poter servirvi.

1835                            So che il merito vostro è incomparabile,

                                   so che siete l’idea[211] de’ cavalieri,

                                   ma[212] quando avessi a sottopor me stessa,

                                   e la mia libertade ad uomo alcuno,

                                   ad altri sottopor non la vorrei,

1840                            che al vostro nobil giogo.

                                   Ma mi insegna Platone,

                                   che sia del mondo la più bella cosa

                                   la nostra libertade.[213]

 

            il conte         Questa sì che è più bella!

1845                            Di due amanti ch’io avea, non ne ho pur una;

                                   ho perduta la lite,

                                   e non mi trovo un soldo;

                                   i creditori che mi aspettan fuori,

                                   ed io che non so più dove voltarmi.

1850                            Oh poveretto me! Che debbo fare?

                                   Che maledetto sia

                                   un sì funesto giorno.

 

            olindo           Signore adesso è il tempo

                                    da star con la contessa

1855                            ad imparare la filosofia;

                                   che allor che senza bezzi

                                    restano le scarselle[214]

                                   proprio è d’andare a contemplar le stelle.[215]

 

            battista        Non vel diss’io padrone,

1860                            che il cerimonial v’avria costretto

                                   a trovarvi a malissimo partito;

                                   perché in questi paesi i creditori

                                   non fanno cerimonie, né i dottori;

                                   ed appresso a le donne

1865                             i bezzi sono quei che fan figura,

                                   e non le cerimonie.

                                   Basta, caro padrone,

                                   per me prendo licenza,

                                   perché se non m’inganno

1870                            voi volete in prigione

                                   andar per più d’un anno.

 

            il conte         Ah scellerato, ancor tu mi abbandoni?

 

            battista        Non vo’ servir padroni

                                   che faccian cerimonie,

1875                            ma che paghino pronto il mio salario.

 

            il conte         Oh povero di me son disperato.

                                   Allor che l’uom felice

                                   in su la ruota[216] siede,

                                   turba d’amici numerosa intorno

1880                            giorno, e notte si vede;

                                   ma se il tempo poi giugne,

                                   che l’instabile Dea volga sue tempre,[217]

                                   volge la turba adulatrice il piede,

                                   e lo schernisce insin chi già lo amava,[218]

1885                            né lo conosce più chi l’adorava.

 

            battista        Ed io che già mangiai capponi arrosto,

                                    ora anderò a mangiar polenta, e fava.[219]

 

                                   (Mentre parte il conte, e Battista, arriva Dulino con nuova mascherata di ninfe, e pastori a festeggiare le nozze di Olindo con Isaura)

 

            dulino           E viva, e viva, a festeggiar le nozze[220]

                                   vengano tutti, e dican tutti «e viva».

 

1890     tutti insieme E viva, e viva, e ciascun dica «e viva».

 

            dulino           In suon di tromba, e di tamburro, e piva.[221]

 

                                   (Tutti cantano)

 

                                               Viva Amore, ed Imeneo,

                                               che ad Olindo unisce Isaura.

                                               Viva il gran padre Lieo[222]

1895                                        che lo stomaco ristaura.[223]

                                               E bandita

                                               per la vita

                                               resti ognor la cerimonia.

                                               Viva Amore, ed Imeneo,

                                               ed il gran padre Lieo.[224]

 

                                   (Reciprocamente cantando, e ballando).

 

                                   IL FINE

 

 

 

Apparato

 

Introduzione dell’autore

 

la falsità delle sue massime: emendo in «delle» il «del» a testo.

 

 

Commedia

 

232 Sostituisco con la virgola i due punti del testo.

 

356 Ma perché, ho detto male?: inserisco una virgola dopo perché.

 

476 Emendo in punto il punto e virgola finale del verso.

 

913-915 e intanto … per la finestra: nella stampa del 1730 al posto di «al marchesin di Santilana» si legge «ad un signor di Danimarca».

 

915-916 per la finestra… filosofia: nell’edizione 1730 il testo recita: «per vie segrete / per leggere con lei / di Marone le dolci poesie».

 

1045 calcò: correggo in calcò il calco della stampa.

 

1282 pegno dell’amor suo?: per evidenti ragioni di senso, emendo in suo il tuo della stampa.

 

1538 di vero amore in segno.: correggo in punto fermo il punto di domanda della stampa.

 

 

 

Bibliografia

 

Opere di Giuseppe Gorini Corio

 

Gorini Corio, Giuseppe, Le leggi di Dio, e quelle del mondo unite nel vero cavaliere. Discorsi morali, Milano, Giuseppe Malatesta, 1724.

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——————————, Il Baron polacco interrotto ne’ suoi amori. Commedia del Marchese Gioseffo Gorini Corio, Milano, Giuseppe Pandolfo Malatesta, 1730.

——————————, Il Frippon Francese colla dama alla moda. Commedia del Marchese Gioseffo Gorini Corio, Milano, Giuseppe Pandolfo Malatesta, 1730.

——————————, Il geloso vinto dall’avarizia. Commedia del Marchese Gioseffo Gorini Corio, Milano, Giuseppe Pandolfo Malatesta, 1730.

——————————, Il Guascone. Farsa, Milano, Richini, 1730.

——————————, Il teatro tragico e comico del Marchese Giuseppe Gorini Corio, Venezia, Albrizzi, 1732, 2 voll.

——————————, Teatro tragico del Marchese Giuseppe Gorini Corio, Milano, Francesco Agnelli, 1744-1745, 6 voll.

——————————, L’uomo. Trattato fisico-morale diviso in tre libri, Lucca, s. s., 1756.

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Altre opere citate o usate per il commento

 

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Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze, Domenico Maria Manni, 1729-1738 (disponibile anche in rete, all’indirizzo www.lessicografia.it).

Zanlonghi, Giovanna, «Far all’uomo conoscere l’uomo». La tragedia nella riflessione teorica e nella drammaturgia di Giuseppe Gorini Corio, «Annali di storia moderna e contemporanea», 10 (2004), pp. 9-47.

Zanlonghi, Giovanna, Teatro al femminile. Profili nella Milano del Settecento in Clelia Grillo Borromeo Arese. Un salotto letterario settecentesco tra arte, scienza e politica, a cura di Andrea Spiriti, Firenze, Olschki, 2011, pp. 203-225.

Zorzi, Ludovico, Persistenza dei modi dell’Arte nel testo goldoniano, ora in Id., L’attore, la Commedia, il drammaturgo, Torino, Einaudi, 1990, pp. 225-241.

 

 

 



[1] come già dissi: si veda almeno, nello stesso Teatro tragico e comico che ospita Le cerimonie, L’esamina dell’Ecuba (la prima tragedia ivi raccolta), I vol., p. 62.

[2] nel serio: nel genere serio, cioè appunto nelle tragedie e nei drammi per musica.

[3] nel ridicolo: nel genere comico (commedie, farse, intermezzi).

[4] bessaggini: «Astratto di Besso, e vale Sciocchezza, Scipitezza, Scimunitaggine, Scempiaggine, Balordaggine» (Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze, Domenico Maria Manni, 1729-1738; d’ora in poi Crusca 1729-1738).

[5] gastigare […] costumi: traduzione letterale di un motto latino (castigat ridendo mores), non oraziano, come si crede comunemente, ma coniato da Jean de Santeuil (1630-1697) per la maschera di Arlecchino (un cui busto doveva ornare l’atrio della Comédie Française) e poi ripreso come emblema da vari teatri (cfr. Tosi, Renzo, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano, Rizzoli, 1991, p. 141)

[6] Parigi […] rappresentano: si notino la rivendicazione del valore educativo del teatro, anche comico, a dignificare un’arte che molti volevano sbandita perché moralmente dannosa; e il gran pregio dato a Molière, che arriverà fino al Manzoni della nota lettera a Fauriel del 1806, con la medesima comparazione tra Italia e Francia e i costumi dei rispettivi popoli.

[7] poemi: nel senso generico di testi in versi. Sono la farsa Il guascone (I, pp. 141-176) e le commedie Il geloso vinto dall’avarizia (I, pp. 351-401), Il baron polacco interrotto ne’ suoi amori (II, pp. 97-144), appunto Le cerimonie (II, pp. 227-296), infine Il frippon francese colla dama alla moda (II, pp. 371-417).

[8] insensibile: impercettibile.

[9] non mai meglio ne comprenderà la bruttezza che: costruzione sintattica ricalcata sul francese. Il ne è pleonastico.

[10] L’insegnamento […] costretta: concetti ripresi dal Trattato della perfetta tragedia, uscito nel 1729 a premessa della Rosimonda vendicata (e ripubblicato in apertura del Teatro tragico e comico di Giuseppe Gorini Corio (Venezia, Giambattista Albrizzi, vol. I, pp. 7-58), dove sono più ampiamente sviluppati. ● la ragione è senza alcuna passione a giudicare costretta: la superiorità della ragione sulle passioni è uno dei fondamenti della filosofia di Gorini Corio, in cui si accordano insegnamento cristiano e incipiente secolo dei lumi.

[11] questo ho fatto […] recitare: si noti la duttilità dell’autore, che si piega alle mutevoli esigenze della rappresentazione; e che però sancisce anche la peculiarità delle Cerimonie rispetto agli altri testi comici (cfr. Presentazione).

[12] altra penna sublime: quella del ben più noto Scipione Maffei (e non di Molière, come ritiene Toldo, Pietro, L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Turin, Loescher, 1910, p. 349), la cui commedia Le cerimonie era uscita anonima nel 1727 (Venezia, Viezzieri) ed era stata ristampata nel 1729 (Bologna, Della Volpe) e 1730 (Verona, Tumermani); ora la si legge in Maffei, Scipione, Opere drammatiche e poesie varie, a cura di Antonio Avena, Bari, Laterza, 1928. I rapporti tra i due testi sono per la verità labili: dalla commedia di Maffei, senz’altro più pregevole stilisticamente e meglio curata metricamente, Gorini Corio pare aver preso solo l’attacco contro gli eccessi di cerimoniosità (ma senza la polemica antifrancese) e forse un paio di spunti, che verranno segnalati ad locum. Il Misanthrope (1666) dell’ammirato Molière è poi una commedia dalla quale Gorini Corio attinge «molti particolari», che indicheremo, anche con l’aiuto del citato Toldo (cui si deve la più attenta analisi dei rapporti tra le commedie dei due), ma «non lo spirito» (Natali, Giulio, Il Settecento, in Storia letteraria d’Italia, Milano, Vallardi, 1955 [19291], p. 861).

[13] Il conte di Monte Fiascone: nel testo il conte è detto provenire da Bologna. Se il riferimento è a una località reale, si tratterà della celebre e antichissima cittadina di Montefiascone, vicina a Viterbo, negli Stati della Chiesa, e per molto tempo frequente soggiorno di papi. Dopo un lungo declino, era appena tornata agli onori delle cronache mondane perché nel 1719 vi si erano celebrate le nozze tra la principessa polacca Maria Clementina Sobieski e il pretendente al trono inglese Giacomo Stuart.

[14] La contessa di Culagna: pendant femminile, almeno dal punto di vista onomastico, del conte di Culagna de La secchia rapita di Tassoni.

[15] creanza: buona educazione (spagnolo crianza, entrato in italiano nel Cinquecento).

[16] cruciosi: ‘fastidiosi’, accezione non attestata nella Crusca 1729-1738.

[17] stavami ier mattina: è posto il nodo dell’azione (fino al v. 98). Sono presentate la prima coppia protagonista e Olindo, l’ospite che, si intuisce, incontrerà presto la sua innamorata.

[18] quand’ecco un’ambasciata: inizia la descrizione del conte, identificato fin da subito per la gestualità enfatica e convenzionale. La parola, nella modalità del racconto in flashback, propone una partitura gestuale assai precisa e minuziosa, fin quasi a trasformarsi in didascalia implicita.

[19] arrivami di un certo conte di: la promozione della preposizione di (e di altre particelle atone) a tonica in decima sede, per quanto inusuale, trovava frequente autorizzazione anche nelle Cerimonie di Maffei.

[20] giugniamo: concordanza a senso.

[21] cerimoniale: nel Seicento, «secolo in cui si dà tanta importanza alle formalità esteriori, si trasporta il cerimoniale, dal precedente significato di “libro che elenca le cerimonie prescritte”, a “insieme di cerimonie” e “sovrabbondanza di cerimonie”» (Migliorini, Bruno, Storia della lingua italiana, introduzione di Ghino Ghinassi, Milano, Bompiani, 1994 [I ed. Sansoni 1988], p. 429).

[22] alzandosi: il riflessivo è pleonastico.

[23] di geometria: cioè, calcolati minuziosamente.

[24] leggiere: allotropo (poi divenuto arcaico) di ‘leggero’; forse per attrazione del successivo dolce.

[25] dolente istoria: riduzione comica di un sintagma tassiano, famoso perché posto in bocca ad Erminia tra i pastori (Gerusalemme liberata, VII 20).

[26] smorfie: smancerie.

[27] io non voglio, ei mi sforza, alfin rimango: il verso è un esempio di climax che pone in una sequenza di intensità crescente il ritmo psicologico dell’azione.

[28] ne: pleonastico.

[29] Puzza […] e fegato, e budella: il registro linguistico si abbassa in direzione carnevalesca.

[30] cinque quarte: quarta è la quarta parte del cerchio; cinque quarte è quindi iperbole per ‘gran quantità’, addirittura superiore all’intero.

[31] del pranzo il resto: anastrofe, figura piuttosto rara in un testo dalla forte impronta prosastica. Del resto, secondo Gorini Corio «lo stile […] della commedia» deve essere «naturale, e basso» (Trattato della perfetta tragedia, 32).

[32] ragou: il francese ragoüt, entrato in Italia a partire dal Seicento, in forme che variano tra la riproduzione esatta e l’adattamento italiano, fu poi consacrato dalla commedia Il Raguet di Scipione Maffei (1747; in Idem, Opere drammatiche e poesie varie, cit., pp. 165-224). Il verso avvia, secondo la modalità del racconto in flashback, una dettagliata descrizione gestuale che scandisce ritmicamente l’azione.

[33] di cui mi sembra di potermen servire: il consueto ne pleonastico.

[34] tondo: aggettivo sostantivato per ‘piatto tondo’.

[35] 112-144 In questi versi Gorini Corio amplia uno spunto che trovava in Maffei, Le cerimonie, V.4. ● galloni: cosce (settentrionalismo). Si notino l’anafora, il parallelismo, la rima baciata: concentrazione inusuale di figure metriche e retoriche, funzionale all’accentuazione della pointe comica.

[36] 1-157 Anche il Misanthrope (Molière, Il Misantropo, introduzione, traduzione e note di Luigi Lunari, Milano, Rizzoli, 1982, con testo francese a fronte) inizia con un colloquio tra due amici, con Alceste che confida a Filinte sia il suo disgusto per le cerimonie, più specificamente per l’ipocrisia, sia la sua fiducia nella nuda verità, che lo condurrà a non difendersi nella causa che ha in corso, fidando esclusivamente nella bontà delle sue ragioni. Se Olindo accoglie, ma parzialmente, il primo di questi due aspetti di Alceste, il secondo verrà ripreso da Gorini Corio nel tratteggiare il carattere del conte. ● 151-157 Arsillo sposta l’attenzione dall’eccesso di cerimonie ai ben più gravi vizi dell’ipocrisia e della maldicenza, gli stessi contro cui si scaglia Molière nel Misanthrope. ● colui è un matto glorioso: Tassoni, Alessandro, La secchia rapita, IV, 14: «questi è un matto glorioso» (in Idem, La secchia rapita e altri scritti poetici, a cura di Pietro Puliatti, Modena, Panini, 1987): così il Potta definisce il conte di Culagna.

[37] il conte del Fiascon: l’ellissi operata dal servo accentua la comicità del titolo del conte, comicità tanto più azzeccata se si pensa che Montefiascone è patria del celebrato vino Est est est.

[38] son cerimonie usate: come si vede, il nemico delle cerimonie non disdegna di ricorrere ad esse, suscitando l’ironico commento (tra sé, s’intende) del servo Dulino.

[39] 186-190 Il saluto del conte è, come richiede il personaggio, una tipica arguzia concettosa barocca, ricca di omoteleuti, di polittoti, di ripetizioni tal quale, imperniata attorno ai lessemi chiave onore e servire.

[40] Sono le grazie sue furori miei: probabilmente la battuta è pronunciata tra sé da Olindo, come parrebbe indicare il sostantivo furori (a meno che non sia un lapsus del protagonista, che dice la verità dei suoi furori, anziché la cerimonia dei finti favori, parola che il contesto imporrebbe e che è stata usata al v. 184); in tal caso, il verso successivo potrebbe essere letto così: Eh, non doveva tanto incomodarsi.

[41] Conte, conte, che c’è?: il dialogo assume ora (fino al v. 309) la forma di una conversazione di maniera che mette a confronto la vacua cerimoniosità del conte, la boria della contessa, il buon senso naturale di Olindo.

[42] lasciam le cerimonie da parte: cerimonïe pentasillabo.

[43] sedo: monottongazione decisamente inconsueta (ipercorrettismo esemplato sul toscano?).

[44] La contessa si rivolge al conte con il tu, ma al v. 240 passerà al voi, per poi tornare al tu al v. 414; oscillazione che riapparirà in altri punti del testo, anche in bocca ad altri personaggi.

[45] Nonostante: ciò nonostante, nondimeno.

[46] di question scolastiche, e dogmatiche: endecasillabo (sdrucciolo) grazie a dieresi in questïon.

[47] Ora tocca ad Arsillo praticare le ‘cerimonie’, e proprio nella forma dell’ipocrisia, da lui tanto vituperata in precedenza.

[48] 295-299 La battuta, più che contro le donne istruite, che proprio nel Settecento cominciavano a diventare numerose e socialmente accettate, è contro l’ipocrisia di chi vanta un sapere che non ha.

[49] Newton: ossitono, alla francese.

[50] doppie: «Sorta di moneta d’oro, lo stesso che Dobla» (Crusca 1729-1738; ha il valore di due scudi e fu coniata in Italia a partire dal sedicesimo secolo.

[51] 301-305 La contessa intende mostrarsi all’avanguardia anche nel sapere scientifico e cita quindi le scoperte di Newton, che si stavano diffondendo in tutta Europa (si ricordi che il Newtonianesimo per le dame di Algarotti uscirà nel 1737), ma subito dopo rivela la superficialità e arretratezza delle sue competenze, dichiarando di aver risolto il problema della quadratura del circolo.

[52] inezie: «Sciocchería, Sproposito» (Crusca 1729-1738).

[53] maitre d’hotel: maestro di casa, maggiordomo. Il verso è senario tronco, a meno di supporre una non impossibile ma certo infrequente dialefe tra sarà e il, o una pronuncia bisillaba (italianizzata, quindi), di maitre.

[54] Come non hanno viaggiato un poco: poiché non hanno viaggiato neanche un po’.

[55] dimandar: chiamare.

[56] Lucca: Luca.

[57] 335-341 Al di là dell’etimologia, una fin troppo nota, l’altra vacillante, conta la rivendicazione della dignità della poesia, già sostenuta con forza nel Trattato della perfetta tragedia (pp. 52-56). Certo, in bocca della contessa l’argomento è degradato a termine di paragone di una questione ben più frivola…

[58] non vale un iotta: non vale nulla. Iota è la nona lettera dell’alfabeto greco, che si rappresenta con il segno più semplice; da qui la locuzione.

[59] carrozziere: la Crusca del 1729-1738 offre significativamente due accezioni del termine: «che guida la carrozza, lo stesso che Cocchiere»; «Oggi Carrozziere dicesi per lavoratore di carrozze».

[60] credenziere: «oggi più comunemente si dice Colui, che ha la cura della credenza» (Crusca 1729-1738).

[61] antico: antiquato, disusato.

[62] 386-388 La contessa dimostra di essere una lettrice, anche se il suo canone è ristretto e poco ‘moderno’.

[63] Boccacio: se non è errore di stampa, la storpiatura enfatizza la presuntuosa ignoranza del conte.

[64] testoni: il testone è una «Spezie di moneta d’argento di valuta di tre giulj» (Crusca 1729-1738); qui, genericamente per ‘denaro’.

[65] come Pulcheria Marciano amava: Pulcheria, nata nel 399, una volta succeduta al fratello Teodosio come imperatrice d’oriente (450), concesse la sua mano a Marciano per averne un aiuto nel disbrigo degli affari del regno, ma a condizione di vivere in castità. Morì nel 453 e venne proclamata santa col titolo di vergine (cfr. Moroni, Gaetano, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da s. Pietro sino ai nostri giorni specialmente intorno ai principali santi ..., Venezia, Tipografia Emiliana, 1840-1861, vol. LVI, 1852, ad vocem Pulcheria). L’endecasillabo può tornare solo a prezzo di una dieresi (non impossibile, ma certo ardita) su Marcïano o su Pulcherïa.

[66] e come […] torrello: il primo verso di Olindo è sul registro stilistico impostato dalla contessa, il secondo fa registrare un brusco abbassamento di tono, a mostrare l’universalità della legge d’amore e a riportarla al livello della corporeità, con l’intenzione di ridicolizzare la teoria filosofica e di ironizzare sia sulla cultura di cui si vanta la contessa sia, forse, sulla contraddizione fra le enunciazioni teoriche di lei e i suoi comportamenti pratici.

[67] platonisti: mentre il platonico del v. 469 è termine d’uso, benché non registrato nella quarta edizione del Vocabolario della Crusca, platonista (sostantivo o aggettivo), è molto raro: non è improbabile una sfumatura comica, ad accentuare la saccenteria e l’ignoranza della contessa, ma non si dimentichi che il suffisso -ista è molto produttivo nel Settecento (Migliorini, Storia della lingua, cit., p. 517).

[68] ma sarà amor platonico? [...] vender finocchi: l’inserzione di sapore filosofico che qui si apre interrompe l’azione e introduce un ‘dialogo a tema’ che si configura come una pausa tra il riflessivo e il faceto. ● 481-495 La tirata di Olindo desinit in piscem, come si conviene al registro comico e al personaggio, che vuole evitare il rischio della seriosità, in un discorso che tuttavia richiama con vigore l’importanza della bellezza fisica e le ragioni del buon senso; tanto da dar vita a due versi (491-492) di cantabile musicalità, che spiccano nel registro sostanzialmente prosastico dell’opera. ● vender finocchi: infinocchiare. Cfr., in questa stessa collana, Gorini Corio, Giuseppe, Il vero cavaliere, a cura di Monica Bisi, Venezia-Santiago de Compostela, lineadacqua, 2013, I, 9.20 e nota.

[69] padre / del collarino bianco: formula troppo generica per stabilire se si tratti di un riferimento a un preciso ordine religioso o di una metonimia generica per ‘uomo di Chiesa’.

[70] quel civile amor canonico: cioè, l’amore normale in società.

[71] 502-515 Sonetto su rime sdrucciole a schema ABAB ABAB CDC DCD. La polemica contro l’amor platonico (all’incirca visto come lussuria travestita) è molto diffusa, al tempo: ad es. la fa propria il carmelitano calzato Teobaldo Ceva (1697-1746) nelle sue fortunatissime antologie (Scelta di sonetti con varie critiche osservazioni ed una dissertazione intorno al sonetto, Torino, Gio. Francesco Mairesse all’insegne di S. Teresa di Gesù, 1735 e Scelta di canzoni de’ più eccellenti poeti antichi, e moderni compilata e corredata di critiche osservazioni per uso della studiosa gioventù, Venezia, Bassanese, 1756, postuma), prendendola a sua volta dalla Perfetta poesia italiana (Modena, Bartolomeo Soliani, 1706) di Muratori.

[72] Impossibile identificarlo nell’infinita progenie degli improvvisatori settecenteschi; non mi sento di escludere che sia lo stesso Gorini Corio, che nella lettera a Muratori citata nella Nota metrica vanta le proprie qualità di poeta all’improvviso e che anche subito dopo pare citare sé stesso.

[73] 525-535 Nel Trattato della perfetta tragedia Gorini Corio insiste in più punti sulla necessità che la tragedia abbia caratteri di maestosità e di grandezza, in qualche caso proprio abbinando i due aggettivi; meno frequente la richiesta di sublimità, mentre non trovo riferimenti alla fortezza. Ma credo che tanto basti, in assenza di altri dati, a ritenere plausibile l’identificazione del «nostro tragico» (v. 525) con lo stesso Gorini Corio, anche se in tal caso l’elogio dei vv. 536-538 non potrebbe definirsi un esercizio di modestia.

[74] 516-546 Si apre una discussione filosofico-letteraria sulla tragedia che rallenta di nuovo l’azione.

[75] del vero: in verità, davvero. Olindo prosegue il suo controcanto smitizzante, ad uso del pubblico.

[76] Quelle […] cortesia: il conte riprende lessico e concetti già stilnovistici.

[77] saldo in barca: espressione diffusa tra Seicento e Settecento, che vale ‘stai attento’, ‘stai saldo’.

[78] allora / che: allorché, quando.

[79] 1-573 Si apre la macro-scena il cui protagonista è il conte, al quale è assegnato il ruolo di polo attanziale fino al v. 573. All’interno di questa unità scenica è possibile individuare tre micro-scene: la cerimonia della sedia, il dialogo con Battista e la discussione sul nome. ● Ecco che arriva: quinario (unico nella commedia). L’arrivo della mascherata interrompe quella che potrebbe definirsi la prima mascro-scena della commedia, imperniata sul personaggio di Olindo, attorno al quale qui ruotano tutti gli altri; e introduce la seconda, il cui cardine è costituito dalla figura di Isaura.

[80] La scena è ora occupata da maschere e da musicisti. La didascalia fa pensare a un vero e proprio intermedio, che interrompe l’azione verbale con un’azione cantata e danzata. L’intermezzo introduce un incremento della peripezia (con l’arrivo di Isaura) e un primo equivoco («i complimenti amorosi, e muti» fra Isaura e il conte).

[81] siate: congiuntivo per ipercorrettismo cerimonioso, vien da dire; congruente, del resto, all’inusuale ricorso di Olindo ad anastrofi e sintassi complessa, con la quale egli dà il via al proprio corteggiamento (subito troncato da Isaura che si smaschera).

[82] compire: complimentare (ispanismo, da complir/cumplir, entrato nel Cinquecento assieme a complimento/cumplimiento).

[83] Ecco quella: si deve immaginare che la battuta sia pronunciata indicando la contessa.

[84] che: poiché.

[85] Il conte dà vita ad una sorta di parafrasi comica della celeberrima arietta di Enea nella Didone abbandonata (1724), con le regole del cerimoniale che prendono il posto del dilemma tra amore e dovere (in Metastasio, Pietro, Didone abbandonata, in Idem, Opere, a cura di Mario Fubini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968, I, xviii).

[86] quia nemo impossibili tenetur: la contessa, amante del latino, del greco, dell’ebraico (v. 295), storpia il noto precetto giuridico ad impossibilia nemo tenetur.

[87] seccaggine: qui nel senso di ‘persona seccante, fastidiosa’, accezione non registrata dalla Crusca 1729-1738.

[88] voi fate […] lume: cioè, la rendete invisibile con la vostra luce. Il senso richiederebbe una pausa più forte al termine del verso.

[89] tener parola: mantenere la promessa (di dargli in sposa la donna più bella).

[90] quella nave: sulla quale Paride condusse Elena a Troia.

[91] adoratore: parola già italiana, ma che svela l’influenza francese nel significato iperbolico in cui è usata (Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 520).

[92] secca: dopo la dichiarazione d’amore in piena regola, con tanto di elogio iperbolico, dei vv. 621-641, il conte riprende anche il lessico di Isaura, che aveva definito la contessa una seccaggine (v. 618).

[93] 600-667 Altro esempio di una conversazione di maniera (di ‘cerimonia’) fra il conte e la contessa.

[94] 668-692 Concitata sequenza dialogica, in cui i due attori recitano in parte in sticomitia, in parte in disticomitia. Il ritmo incalzante e veloce della conversazione contribuisce all’efficacia della rappresentazione e richiede per contro una certa bravura recitativa.

[95] papele: spagnolo ‘papel: carta, documento.

[96] 702-747 Ancora una declinazione del dialogo nella forma della conversazione salottiera e mondana.

[97] d’Aristotele […] morale: come di consueto, l’autore ironizza sull’ignoranza di coloro che millantano di conoscere a fondo la filosofia e di prenderla a modello dei comportamenti sociali. Rappresentante della categoria è in questo caso la contessa, che attribuisce ad Aristotele una dottrina non sua, derivante da un’interpretazione semplicistica, ma molto diffusa, delle posizioni platoniche. Aristotele, infatti, né si occupa esplicitamente di amore (parla di amicizia nell’Etica Nicomachea), sostiene che si debba disprezzare il corpo dell’uomo. È Platone che, giusta l’insegnamento socratico, invita a trascendere la dimensione della materia e a curare l’anima piuttosto che il corpo, anche se questo non significa che la corporeità sia da disprezzare: nella celebre scala d’amore proposta da Diotima nel Convivio, è proprio l’amore dei corpi belli il primo dei ‘gradini’ da salire per giungere all’amore del Bello in sé. La contessa dunque commette diversi errori: non solo sovrappone maldestramente Aristotele e Platone, ma equivoca anche la posizione platonica e, come se non bastasse, confonde la funzione sensitiva dell’anima, che secondo lo Stagirita l’uomo ha in comune con gli animali, con la componente fisica dell’uomo stesso, facendo così coincidere dimensione materiale e dimensione spirituale.

[98] rara: rada, leggera. I versi 784-785 sono una collezione di luoghi e lessemi topici per indicare la fugacità dell’esistenza.

[99] 778-795 La contessa approfondisce la questione del disprezzo della materia e del corpo esponendone delle ragioni che trovano la loro origine nella filosofia presocratica: l’osservazione fenomenica attesta già dai tempi di Parmenide che tutto ciò che è divisibile in parti (cioè la materia) è sottoposto a divenire, cambia nel tempo ed è destinato a perire. Di qui la ricerca di un principio che permanga, che resti saldo a dispetto del cambiamento, ricerca che muove la riflessione filosofica in particolare di Parmenide, di Eraclito e degli Atomisti prima delle più complesse intuizioni di Platone. In questo caso il personaggio espone, in generale, una tesi storicamente sostenuta, ma ancora una volta non la attribuisce al filosofo giusto; anzi, a colui che ha meditato a lungo per scardinarla.

[100] Io, signora […] gente: la battuta di Isaura rispecchia, per stile e concetti, la dichiarazione di Olindo ai vv. 481-495. Davvero i due sono fatti l’uno per l’altra.

[101] a scoprirvi […] m’aggrada: ordina così: m’astringe a scoprirvi pur ciò di cui non m’aggrada ragionar.

[102] sabato […] gente virtuosa: i due fuori scena, temporale e spaziale, aprono la commedia oltre le pareti della casa di Olindo e la breve durata temporale dell’azione.

[103] ne: pleonastico, come altrove.

[104] galante: l’aggettivo (qui sostantivato) «è entrato in italiano nel ‘400, dal francese, ma non senza concomitanti influenze spagnole» (Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., pp. 395-396), e dal francese prendendo in seguito anche il senso di ‘innamorato’; era usato inizialmente per gli uomini.

[105] aria: espressione, atteggiamento, modo di fare.

[106] ballarino: maestro di ballo. Si ricordi che «il dolce / mastro che i piedi tuoi come a lui pare / guida, e corregge» è ospite sempre gradito al giovin signore: Giuseppe Parini, Il Mattino (1763), vv. 169-177.

[107] nell’interno: nel cuore, nell’animo.

[108] il vostro partito: le vostre parti.

[109] e come […] morale: altra auctoritas invocata a sproposito, non essendoci rimasta di Anassagora alcuna opera; e trattandosi, del resto, di ovvietà.

[110] ragionar: argomentare.

[111] e quei merletti […] prospetto: il racconto in flashback offre un ritratto indiretto dell’audace abbigliamento tradizionale della dama settecentesca. ● prospetto: veduta, vista.

[112] conversazione: qui, l’insieme delle persone che conversano insieme.

[113] sotto via: di nascosto.

[114] in quali […] tormenti: si noti l’arguta climax (pene, angustie, tormenti).

[115] scoprirsi: scoprirci (-si per -ci probabilmente per influsso dialettale).

[116] Quella Culagna: si noti anche qui, come già per Monte Fiascone al v. 158, l’abbassamento di tono, insito nel nome ma valorizzato dall’ellissi del titolo nobiliare.

[117] l’umane cose: sintagma già petrarchesco e poi frequentemente ripreso.

[118] sentimento: nel significato più ristretto di ‘modo di sentire’, ‘opinione’, non in quello più ampio, che diverrà prevalente di lì a qualche decennio, di facoltà opposta alla ragione.

[119] e intanto […] per la finestra: un fugace ma malizioso fuori scena spaziale che appanna l’immagine rigorista che la contessa vuole dare di sé. Nella stampa del 1730 il «al marchesin di Santilana» era un più esotico (di quell’esotismo nordico allora à la page) «ad un signor di Danimarca», poi sostituito, forse anche per un tocco di realismo, visto che il marchesato di Santillana esisteva effettivamente in Spagna. E col nome di marchese di Santillana era noto in Italia lo scrittore spagnolo Íñigo López de Mendoza (1398-1458).

[120] per la finestra […] filosofia: nell’edizione 1730 il testo era diverso (cfr. l’Apparato). La lezione definitiva acquista decisamente in malizia.

[121] 822-932 Questa parte del duetto tra la contessa e Isaura è esemplata sull’inizio della quarta scena (non quinta, come indica Toldo, L’oeuvre de Molière, cit., p. 351) del terzo atto del Misanthrope.

[122] Ci bisogna […] moleste: è la sesta delle sette opere di misericordia spirituali: sopportare pazientemente le persone moleste. Ai precetti di Aristotele e Platone della ‘sapiente’ contessa, Isaura oppone i più noti e più pratici precetti della Chiesa.

[123] altrui […]  sui: diffusa regolarizzazione di una originaria (e consentita) rima siciliana.

[124] Con questo verso inizia la seconda macro-scena, quella imperniata sulla contessa. La prima ‘scena’ la mostra impegnata con il conte, la seconda (dal v. 1119) con Isaura. La sincera confessione del suo interesse venale funge da cerniera con la macro-scena precedente.

[125] lo incontri: gli vada incontro. Ennesima variante sul topos dell’uomo che vede il male che lo sovrasta e, non che evitarlo, lo affretta.

[126] il tuo inganno […] ingannar: raffinata antanaclasi della contessa, che riprende il m’ingannava del conte, usato nel senso di ‘sbagliavo’ e lo volge al significato di imbroglio.

[127] granciporro: strafalcione (granciporro è il nome di alcune specie di granchi). Il termine era stato portato agli onori letterari da Francesco Berni nel Capitolo del prete da Povigliano (in Idem, Rime, Milano, Mursia, 1985, 131-138).

[128] e ciceroniane; onde de l’altre: dieresi su ciceronïane.

[129] Chi mi ama […] affetti: dopo che la contessa ha rivelato agli spettatori che punta al patrimonio del conte, il conte dichiara la propria indegnità, piegando la cerimoniosità al servizio di un preciso obiettivo, quello di scoraggiare la contessa per potersi dedicare ad Isaura.

[130] questo sol […] non adulare: doppia negazione, che afferma il contrario di quel che il conte vuole dire. E infatti subito dopo la contessa smaschera il suo comportamento: non di adulazione si tratta, ma di finzione.

[131] poich’è: sciolgo in questo modo il poiché della stampa.

[132] spirito gentil: fortunatissimo sintagma petrarchesco e poi generalmente lirico.

[133] 1002-1019 Il conte dimostra di aver ben appreso la lezione della contessa sull’amor platonico e le offre il proprio, riservando quello «canonico» ad Isaura, che ne è una sostenitrice e che gli piace molto di più, come si capisce dalla descrizione, per quanto topica, dei vv. 1013-1015.

[134] la più bella, e nobil parte: appunto «l’alma».

[135] per cui: attraverso cui, per mezzo di cui.

[136] 1020-1048 Vedendosi respinta in nome dei suoi stessi principi amorosi e temendo quindi di perdere il conte (e il di lui patrimonio), la contessa imposta una palinodia, o almeno una forte correzione, del proprio (distorto) platonismo dei versi precedenti, per approdare ad un platonismo più vicino all’ortodossia, cioè a quanto dice in proposito Diotima nel Convivio, come già dicevamo sopra, e a quanto sostiene anche Aristotele nel De Anima. Insomma, la contessa aderisce ad una più spicciola filosofia che mette insieme la necessità di passare per la bellezza del corpo per giungere ad amare l’anima sostenuta da Platone, le posizioni aristoteliche e le teorie empiristico-sensiste sviluppatesi a partire dalla fine del XVII secolo. Avvalendosi poi del sensismo, nel successivo L’uomo (L’uomo. Trattato fisico-morale del marchese Giuseppe Gorini Corio diviso in tre libri, Lucca, s. s., 1756) Gorini Corio avvierà «il proprio percorso dall’analisi dei rapporti fra anima e corpo riconosciuti come due realtà di diverso statuto ontologico ma intrinsecamente connesse nelle operazioni» (Zanlonghi, Giovanna, «Far all’uomo conoscere l’uomo». La tragedia nella riflessione teorica e nella drammaturgia di Giuseppe Gorini Corio, «Annali di Storia moderna e contemporanea», 10 (2004), pp. 9-49: 14-15). Il ragionamento si colora, nel finale, di una appassionata eloquenza, che si traduce in una serie di anafore, anche in antitesi (Non s’ama, ma s’ama, s’ama, s’ama), e parallelismi (la via che […] guida, l’aura che spira, la terra che calcò) che sostengono l’argomentazione fino alla conclusione sillogistica, in interrogativa retorica (e tu non amerai / quello per cui le parli, / per cui la vedi?).

[137] 1049-1052 Le cerimonie, ancora una volta costituiscono il rifugio del conte, che attraverso di esse evita di prendere posizione, come capisce bene anche la contessa (cfr. v. 1053).

[138] Ebbi buon dir […] nell’interno!: Isaura riprende ironicamente le parole a lei rivolte dalla contessa ai vv. 847-848.

[139] Eh seguite pur voi […] così compito: Isaura, con tono ironicamente confidenziale, concede la preda alla rivale, dimostrandole di non essere innamorata del conte e disinnescando la sua gelosia. È il momento della prima agnizione.

[140] Ebbi buon prender […] sua morale: altra ripresa ironica, stavolta dei vv. 849-852.

[141] se dettar vi volesse: nel caso vi volesse insegnare.

[142] ebbi […] tant’amo!: terza citazione ironica della parole della contessa (vv. 853-854).

[143] che posta fresca: che novità, che sorpresa (la posta fresca è la corrispondenza non ancora aperta).

[144] affetti: sentimenti.

[145] saldo pure in barca: state ferma.

[146] il ballarino, ed i merletti fini: altra citazione del discorso della contessa (cfr. vv. 844 e 858).

[147] Al servo Battista è ora concesso un gustoso duetto con il conte che si prolunga fino al v. 1168.

[148] onde restiate in secco: motivo per cui resterete senza soldi.

[149] munizione: «Munizione, si dice anche alle Provvisioni per vivere de’ soldati» (Crusca 1729-1738) e, per metonimia, i quattrini per acquistarle.

[150] bezzi: «Voce Veneziana, ma usata anche talora presso di noi in significato di danaro in generale» (Crusca 1729-1738). A fine verso sostituisco un punto al punto e virgola della stampa.

[151] azzardare: mettere a rischio (di disonorare).

[152] fischiate: fischiata è, «per Ischerno, Derisione fatta con istrepito, grida, o simili» (Crusca 1729-1738).

[153] tu ridi?: la didascalia implicita prescrive un atteggiamento del volto.

[154] ti salta: congiuntivo ottativo.

[155] Eh, padrone un anello in terra io trovo: un piccolo coup de théâtre introduce un nuovo equivoco: Olindo crede che l’anello, da lui donato a Isaura, sia stato dato da lei stessa al conte.

[156] ballano, e fan fracasso: la didascalia implicita indica suoni e rumori di scena.

[157] Analogamente alla prima, la seconda mascherata si configura come una sorta di intermezzo che chiude quello che si potrebbe considerare il secondo ‘atto’ e apre il terzo con la ‘commedia di Olindo’, che torna in scena da protagonista (cfr. Presentazione, 3.3).

[158] viva sempre il carnoval: chiara indicazione che la commedia è stata composta per la stagione teatrale del carnevale, probabilmente per il Teatro Ducale (cfr. Presentazione).

[159] 1179-1196 Sorta di ballata (ma sarà meglio parlare di canzonetta, o di arietta, nonostante la presenza di una specie di ripresa, però non legata alla stanza da alcuna rima), con due strofette di quaternari e ottonari aabccb con ritornello in ottonari xy.

[160] Oh, questa sì che è bella: inizia la ‘commedia di Olindo’ (che si può considerare chiusa al v. 1620)

[161] E tal rabbia […] sei bicchieri: Gorini Corio coglie con finezza la reazione di rabbia distruttiva che si impadronisce di Olindo di fronte ad una situazione di cui è in gran parte colpevole; ma sembra agire pure un ammiccamento all’ariostesca pazzia di Orlando, anch’egli furioso per delusione d’amore.

[162] quel Fiascon: cfr. nota al v. 158. ¨ ridicolo: in uso a partire dal primo Cinquecento, l’aggettivo (anche sostantivato) assume maggiore intensità e specializzazione di significato in seguito alla fortuna toccata alla commedia di Molière Les préciueuses ridicules (1659).

[163] si può dare: può essere, è mai possibile.

[164] Tra il conte e Olindo inizia una lunga conversazione, che si conclude al v. 1345, durante la quale il giovane innamorato, dissimulando il proprio amore per Isaura e la propria disistima per il conte, cerca di carpire informazioni sul rapporto che lega i due. Il conte, naturalmente, vagheggia relazioni amorose del tutto prive di fondamento. Siamo nella peripezia innescata dal secondo equivoco.

[165] taglia: statura, grandezza (fisica e sociale).

[166] ferir le fronti: colpire. Nel verso successivo, la metafora di decezione chiarirà che non si tratta di far colpo sulle donne, ma di ferirne gli amanti e mariti appiccando le corna sulla loro fronte.

[167] picciol: poco usuale troncamento dell’aggettivo femminile in -a.

[168] da natural subita simpatia: endecasillabo con accento di 5ª (sùbita), da attenuare enfatizzando il precedente accento di quarta sulla seconda a di natural.

[169] Spegnerlo: lo pleonastico.

[170] segua: succeda, capiti.

[171] istruzion: avviso, informazione.

[172] 1346-1356 Il monologo di Olindo ci colloca nel cuore dell’equivoco causato dall’anello. Il distacco ironico che ha caratterizzato il personaggio cede ora allo sdegno e all’ira.

[173] Amico: il verso apre una parentesi confidenziale fra i due amici, dove al gioco delle parti sostenuto finora da Olindo, subentra l’abbandono e la delusione, persino il fantasma del suicidio per amore (vv. 1382-1399). Il disegno del carattere di Olindo si sfuma, sebbene domini il topos dell’amante deluso.

[174] unqua: mai (lat. numquam).

[175] ne: pleonastico.

[176] un sorso di respiro: una boccata d’aria.

[177] beb: onomatopea, equivalente dell’attuale bau.

[178] malissime: raro superlativo dell’aggettivo malo, -a.

[179] cagnolino di Bologna: razza canina detta ora bolognese, molto antica e molto amata dalla nobiltà, di piccola taglia, dal pelo bianco candido, dagli occhi scuri.

[180] falda / de l’universo: strato geologico.

[181] inospiti e selvaggi: Petrarca, Francesco, Canzoniere, edizione commentata a cura di Marco Santagata, Milano, Arnoldo Mondadori, 1996, CLXXVI, 1: «Per mezz’i boschi inospiti e selvaggi», verso che ha generato una numerosa discendenza.

[182] tartareo tiranno: Plutone.

[183] l’empie ministre de la sua vendetta: le tre Furie.

[184] trasporti: nella Crusca (1729-1738) trasporto è «Agitazione, o Commozione d’animo».

[185] civiltà: «Costume, e Maniera di viver civile» (Crusca 1729-1738).

[186] conte ridicolo: Isaura dichiara il proprio accordo con Olindo anche usando l’aggettivo che egli ha appiccicato al conte già due volte.

[187] per amar lui di pegno: ordina così: per pegno di amar lui.

[188] a la sua rete cogliere / lasciar il piede mio?: ordina così: lasciar cogliere il piede mio a la sua rete?

[189] 1440-1619 Il dialogo assume ora la modalità dello scontro e del conflitto verbale fra i personaggi. Olindo accusa ingiustamente Isaura e fra i due si intesse un lungo diverbio (fino a v. 1619) che porta all’acme l’equivoco, chiude la macro-scena centrata su Olindo e prepara il successivo scioglimento. Lo spettatore, più informato dei protagonisti, è collocato in uno stato di divertita suspence. Il duetto tra Olindo e Isaura trae più di uno spunto narrativo e concettuale dalla terza scena del quarto atto del Misanthrope (Toldo, L’oeuvre de Molière, cit., pp. 351-352). ● che mai […]  latino: Olindo replica quel che ha già detto ai vv. 298-299.

[190] La commedia si avvia ora verso la seconda agnizione e procede per accumulo: al triangolo Isaura-Olindo-conte si aggiungeranno via via la contessa, Battista e, infine, anche Dulino (v. 1888).

[191] Con Isaura determinata a portare alla luce la verità, inizia qui la seconda agnizione (fino al v. 1725).

[192] se non è un quinterno: cioè, se non è lungo un quinterno. Quinterno è «Quadernetto propriamente di cinque fogli, e prendesi talora anche semplicemente per Quaderno» (Crusca 1729-1738), corrispondente a venti pagine.

[193] leggendario: libro contenente leggende agiografiche, cioè racconti della vita e della morte dei santi.

[194] far da la scala a tombolon cadere: cfr. vv. 55-56.

[195] tu l’hai fallata: l’hai sbagliata (la donna da corteggiare).

[196] gentile: nel senso della prima definizione che ne dà la Crusca (1729-1738): «Nobile [d’animo, s’intende], Grazioso, Cortese»; e si ricordi che «Amore e ‘l cor gentil sono una cosa».

[197] Inizia l’interrogatorio con il quale Olindo e Isaura accerchiano il conte e lo smascherano definitivamente.

[198] te l’ha già data: soggetto è amore del v. 1683.

[199] man gentile: Olindo lascia intendere che sia stata quella della gentile Isaura.

[200] un mentitor colui che mai dicesse: l’agnizione raggiunge l’acme.

[201] Infin, perché ciascun vegga: la commedia è giunta allo scioglimento finale (fino al v. 1887).

[202] pettabotta: «Armadura di ferro, per difesa del petto» (Crusca, 1729-1738).

[203] 1741-1747 Parodia della celeberrima allocuzione di Armida a Rinaldo (Tasso, Torquato, Gerusalemme liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, Bur-Adi, 2009, XVI, 49-50), con ripresa letterale di 50, 1: «Sarò qual più vorrai scudiero o scudo».

[204] ho fatto mostra di cadere: Battista scimmiotta l’analoga scusa del suo padrone in una situazione simile (cfr. vv. 202-207). Per questa situazione si veda l’inizio della quarta scena del quarto atto del Misanthrope.

[205] per le poste: cioè, il più velocemente possibile, come ribadito anche nel verso successivo.

[206] barattier: persona che vende o scambia merce di poco valore.

[207] papele: cfr. nota a v. 697.

[208] partita: «Partita, si dice anche a quella Nota, o Memoria, che si fa di debito, o credito in su i libri de’ conti» (Crusca 1729-1738).

[209] 1801-1814 Dal punto di vista drammaturgico, la tecnica ecfrastica attribuisce grande efficacia al fuori scena che consegna un racconto gestuale. La scena sembra memore del celebre attacco di Purg. VI, in particolare dei versi 4-9.

[210] chi mi […] signorone: il parallelismo e la rima stabiliscono una maliziosa identità tra l’uom che va in prigione e l’alto signorone.

[211] l’idea: il modello, l’esemplare. La contessa ricorre al lessico platonico.

[212] ma: l’avversativa è in contraddizione con quanto segue. Forse si tratta di un refuso indotto dal Ma che tre versi dopo apre il periodo.

[213] Ma mi insegna […]  libertade: anche in questo frangente la contessa piega la filosofia al proprio interesse, riducendo il grande tema della libertà al piano dell’ossequio che si dovrebbe all’amante e che qui assume i contorni di una specie di servitù. Il riferimento all’insegnamento platonico rimanda forse al mito della caverna narrato in Repubblica VIII, o, in generale, ai dialoghi che vedono protagonista Socrate nella veste di colui che ricerca e dice con libertà la verità anche a costo della vita, come il Fedone, l’Apologia e il Critone.

[214] scarselle: scarsella è una «Spezie di taschetta, o borsa di cuoio, cucita a una imboccatura di ferro, o d’altro metallo, per portarvi dentro danari» (Crusca 1729-1738).

[215] proprio […] stelle: è il momento giusto di andare a contemplare le stelle, come, secondo l’opinione vulgata, fanno i filosofi; non si può escludere un’allusione al fatto di rimanere senza un tetto.

[216] ruota: della Fortuna.

[217] volga sue tempre: muti i suoi umori, le sue disposizioni.

[218] lo: si riferisce all’uom felice del v. 1877.

[219] fava: erba annuale delle leguminose, i cui semi si mangiano sia freschi sia secchi.

[220] E viva, e viva, a festeggiar le nozze: si canta il lieto fine. Con l’ingresso anche di Dulino, tutti gli attori sono in scena, pronti per ricevere l’applauso finale.

[221] piva: cornamusa.

[222] Lieo: liberatore. È uno degli attributi di Dioniso, che con il vino libera i mortali dai loro affanni.

[223] ristaura: risana, perché al vino erano attribuite anche virtù medicamentose.

[224] Canzonetta di ottonari sdruccioli e quaternari piani dallo schema metrico irregolare: a8”b8”a8”b8”c4c4d8”a8”a8”. L’unico verso irrelato termina con la parola chiave del testo, cerimonia, quasi ad indicare anche metricamente l’avvenuta esclusione di essa dal consorzio sociale.