Giuseppe Gorini Corio
Le cerimonie
Commedia
a cura di Pierantonio Frare
e Giovanna Zanlonghi
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2014
Giuseppe
Gorini Corio
Le cerimonie. Commedia
a cura di Pierantonio Frare e Giovanna Zanlonghi
© 2014 Pierantonio Frare
© 2014 Giovanna Zanlonghi
© 2014 lineadacqua
edizioni
Biblioteca Pregoldoniana,
nº 8
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-38-3
La presente edizione è risultato dalle
attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663)
finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad
spagnolo. Lettura,
stampa e citazione (indicando nome dei curatori, titolo e sito web) con
finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietato qualsiasi utilizzo
o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con qualsiasi altra finalità
differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale) senza l’esplicita
autorizzazione dei curatori.
Biblioteca
Pregoldoniana, nº 8
Nota al testo
Si ha notizia di due
edizioni della commedia Le Cerimonie,
entrambe vivente l’autore ed entrambe presumibilmente da lui sorvegliate: la
prima in edizione singola (Le Cerimonie,
in Milano, Nella Regia Ducal Corte, Per Giuseppe
Richino Malatesta, Stampatore Regio Camerale, 1730), la seconda nel secondo
tomo del Teatro tragico e comico del
marchese Giuseppe Gorini Corio, Venezia, presso Giambattista Albrizzi,
1732, pp. 227-296. Su quest’ultima, che del resto non differisce dalla
precedente se non in due luoghi, indicati nell’Apparato, si basa il testo qui
trascritto.
La trascrizione è stata condotta
secondo i criteri, sostanzialmente conservativi, dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Gozzi. Minimi dunque gli
interventi: ho uniformato le maiuscole (comprese quelle a inizio verso) secondo
l’uso moderno, come pure gli accenti, le apocopi e gli apostrofi. Per la
punteggiatura, mi sono limitato a eliminare le virgole davanti a che in quei casi che riflettono una pura
consuetudine settecentesca che, mantenuta, appesantirebbe inutilmente la
lettura. Ho ricondotto a i i pochi casi di j;
ho sciolto le abbreviazioni «sign.» e «sig.» in
«signor» e «signora»; ho corsivato le parole
straniere. Infine, ho segnalato tra parentesi quadre l’indicazione scenica
degli «a parte», che l’edizione settecentesca non indica mai. Altri interventi
sul testo, non numerosi, sono indicati in nota ad locum. Non sono interventuo sulle
parole in lingua francese.
Desidero ringraziare, per
il loro generoso e prezioso aiuto, Monica Bisi, Cristina Cappelletti, Simona Lomolino.
LE CERIMONIE
Commedia
È invero un’assai
miserabile condizione dell’Italia che in mezzo ad ogni sublime scienza, ed arte
nobilissima, che in lei fioriscono, particolarmente in Venezia, in Padoa, in
Bologna, in Fiorenza ed in Roma, i teatri però tuttavia siano indegnamente
occupati, non solamente, come già dissi,[1] nel serio[2] da’ drami
che servono al solo piacere della musica, che tutto ai sensi e nulla di piacere
all’intelletto influiscono, o da tragedie corrotte, e cattive, ma anche nel
ridicolo[3] da buffonate di maschere,
la cui bellezza in bessaggini,[4] e solo in iscipitezze s’ammira dal popolo ignorante, mentre non si
risvegliano gli eruditi, e nobili ingegni ad introdurvi la vera commedia, che
già Plauto, Terenzio, e Moliere hanno nelle loro nazioni, con tanta ammirazione
del mondo, portato al più alto segno della sublimità. Parigi che già da gran
tempo in questa parte al sommo fiorisce, come ogni forastiere
che colà giugne è obbligato a confessare, con sommo
piacere, e maraviglia, debbe
anche molto della moderazione de’ suoi costumi ad una così nobile scuola; e con
gran ragione è in Francia venerato il nome di Moliere come di un gran maestro
della vera morale, che ha saputo più che gli antichi filosofi gastigare ridendo i costumi,[5] ed instruire
il popolo nelle vere massime che dal vizio lo distolgono, poiché gliel dipingono quale in effetto egli è, non quale i sensi
corrotti, e le passioni agitate ce lo rappresentano.[6]
L’insegnamento che reca questa sorta
di poemi[7] all’animo di chi gli
intende è insensibile,[8] ma è tanto più efficace, e
rare volte invero alcuno dirà di aver preso da una tale rappresentazione
insegnamento, ma poi se n’accorge allorché in quel carattere che gli ha mosso
le risa, è sforzato per avventura a riconoscere sé medesimo, per qualche nuova
sua azzione, e per qualche impensato accidente;
quanto più poi se vede al vivo descritto qualche suo proprio difetto! Come in
uno specchio non può lasciar di comprendere quelle macchie che il suo volto
trasfigurano e delle quali non mai meglio ne comprenderà la bruttezza che[9] in un così vivo cristallo.
Imperocché nulla ha più di forza per convincere l’animo nostro che l’imitazione,
nulla più ci lascerà impresso nell’animo la massima che si muore che il veder
uno che muoia: nulla più scoprirà all’avaro l’esosità del suo vizio, al
principe le lusinghe degli adulatori, all’ambizioso la falsità delle sue
massime, al bugiardo lo scorno che gli recano le sue falsità, quanto il vedere
ciascuno il suo carattere al vivo immitato, ed in
altrui persona descritto, poiché allora la ragione è senza alcuna passione a
giudicare costretta.[10]
Ecco dunque cinque poemi, i quali
fuorché Il Guascone, che è pura
farsa, possono tutti rappresentarsi in qualità di commedia, poiché gli
interrompimenti di balli, e d’altre rappresentazioni possono a seconda del
bisogno o accrescersi, o diminuirsi. Le
Cerimonie formano veramente commedia intiera, né possono a farsa addattarsi: ma
le altre tre coll’aggiugnere poche scene da me
notate, il che da buoni attori facilmente si fa,
potranno occupare tutta la sera. Questo ho fatto per poter servire ed a chi
vuol rappresentare le farse dopo la tragedia, ed a chi vuole la sola commedia
recitare.[11]
La commedia delle Cerimonie è stata trattata da altra
penna sublime,[12]
ed è del tutto falso ciò che alcuni hanno detto, che io con questa volessi
dimostrare con quanto più di vaghezza e proprietà si potesse trattare questo
tema, ricavando questo da un’altra falsità, cioè che io volessi colle mie
tragedie far comprendere quanto sia diversa la via della perfezzione
tragica, da quella tenuta dagli altri autori dei nostri secoli, poiché io
venero chi mi ha preceduto, e più di tutti quegli stessi che io critico nel mio
Trattato, protestando pe’ suddetti
autori un’incomparabile stima.
INTERLOCUTORI
Il conte di Monte Fiascone[13]
Olindo amante di Isaura
Arsillo
Dulino servitore di Olindo
Battista servitore del Conte
Isaura
Nella casa di
Olindo
olindo Di quante sorte di molestie al mondo
siam
costretti a soffrire
in penitenza de’ peccati nostri!
Ma quelle che a me sembrano
maggiori,
5 più importune, e indiscrete
son quelle di certi uomini
che
vi uccidono nelle cerimonie.
È
possibil che ancora
di
questa sciocca antichità vi resti
10 qualche seme importuno?
E
non ne sarà mai spenta la razza?
Anzi certi uni i quali
intendon di far gli uomini di corte,
credono
colle loro affettazioni
15 farsi
stimare gente d’importanza,
e
ch’essi soli sappian la creanza:[15]
uno
me n’è arrivato ier mattina
di
cui l’eguale non ho visto mai
e
di cui fin ch’io vivo
20 impressa
resteramen la memoria.
arsillo Egli è purtroppo vero
che
se ne trova ancor di questa gente,
e
quei pochi che sonovi al presente
son
peggiori di quei del tempo antico,
25 e
son più cruciosi[16] e impertinenti,
qual
chi invecchiato è al male,
che
toglier se lo può difficilmente.
Or
dunque fammi il tuo racconto amico.
olindo Stavami ier mattina[17]
30 con un dolor
di capo crudelissimo,
aspettando
in mia casa un avvocato
per
consultar la mia famosa lite,
che
ormai mi costa un occhio,
e
poi doveva andare
35 a
ritrovar la mia diletta Isaura;
quand’ecco
un’ambasciata[18]
arrivami
di un certo conte di[19]
Monte
Fiascone; e a questo altisonante
nome
mi levo, e vado ad incontrarlo:
40 ei
di lontan comincia a riverenze,
a
baciamani, a inchini;
io
rendo a lui meglio che posso tutte
le
cortesie che a farmi egli travaglia;
ma
sazio, e stanco al fin giugniamo all’uscio,[20]
45 ed
io fo segno a lui ch’egli entri primo,
come
è ben di dover; egli risponde:
«No
certo entrar non voglio;
entri
vossignoria, ch’io poi la seguo»:
io, che non vo’ commettere increanza,
50 dico:
«Assolutamente entri ella primo»:
«Non
entro certo», ei replica più volte
e
si va indietro indietro ritirando
sino
che quasi giugne all’altra porta:
sì
che se ben non m’avvedea per sorte,
55 eramo per cadere
entrambi
a tombolon giù per la scala.
Infin
vi andò mezz’ora lunga, e larga,
prima
ch’entrasse: egli entrò primo al fine.
A
seder, qui ti voglio, a chi si debbe
60 primo
seder: oh, fra me stesso allora,
«Ben
cento volte maledetto», dissi,
«quando t’ho ricevuto»: alfin sedemmo.
Ma
questo del suo gran cerimoniale[21]
solo
il principio fu; cento proteste
65 d’amicizia,
che avea col fu mio padre,
e
d’obbligazioni anche a mia madre,
che
conosciuto aveva il signor nono
e
la signora nona;
e
sempre ai nomi di ciascun di loro
70 chinando
il capo, e alzandosi[22] il sedere,
era
già divenuta la mia testa
gonfia
com’una zucca;
ed
egli ancora non avea finito
del
suo cerimoniale un senso solo,
75 né
detto un verbo, né un accusativo.
Pensa
tu com’io stava.
arsillo Infin poi come andò?
olindo Questo si è nulla.
Tu
puoi pensare come fosse il resto
de
la conversazione,
80 di parole pesate, e
adulazioni,
ringraziamenti,
offerte, inchini, e lodi:
infin
quando Dio volle andossen via;
ma
a sortir fuora de la stanza un’ora
vi
tenne a passi di geometria.[23]
85 Fosse almen qui finita
tutta
la mia molestia; ed ecco ancora
la
sorte mia fa che leggiere,[24] e dolce
fosse
il passato al paragon del resto
de
la dolente istoria.[25]
90 arsillo Come ancor v’incappaste?
olindo A
rendergli la visita n’andai
questa
mattina appunto;
che
Dio volesse almeno
che
a ritrovarlo mai non fossi giunto;
95 ma
infine l’ho trovato, e vi trovai
ancora
la contessa di Culagna,
coppia
perfetta a fare
voltare
a un pover’uom tutto il cervello:
egli
co’ suoi racconti de la corte,
100 de’ suoi viaggi in Ispagna, e in Inghilterra,
e
de l’ultima guerra:
ella
colle sue smorfie,[26] e poesie,
e
storie, e canti, e altre affettazioni
m’avean seccato e fegato, e polmoni,
105 quand’ecco
io credo di partire; il conte
risponde:
«No, devi star meco a pranso,
che
a la contessa compagnia terrai».
Io non voglio, ei mi
sforza, alfin rimango.[27]
Il
ceremonial nel porsi a tavola,
110 ne
lo spiegar del tovagliol, nel bere,
tutto
fu nulla a paragon del resto.
Un
pezzo di salsiccia innanzi ponmi
di
un braccio, e mezzo almeno di lunghezza,
ed
io che non ne mangio
115 dico
al suo camerier che me lo levi:
«No,
tu il devi mangiar sicuramente»,
replica
il conte: «No, mangiar nol posso»,
rispondo;
ed ei «Mangia, fammi il piacere».
E
tanto mi seccò ch’io la dovetti
120 mio
malgrado mangiar. Arriva un lesso,
di
cui se ne[28]
sentia lontan la puzza,
ed
egli colla stessa cerimonia
a
prenderne mi sforza, ed a mangiarne:
al
boccon primo io fui per vomitare
125 e
fegato, e budella;[29]
e
pure collo stesso complimento
me
ne fece mangiar ben cinque quarte.[30]
Lascio
a te di pensar del pranzo il resto;[31]
amico
ti protesto
130 che
non fui mai cotanto imbarazzato:
giunge
poscia un ragou,[32] di cui mi sembra
di
potermen servire,[33] e me tiro
una
buona porzion sovra il mio tondo:[34]
ei
dice: «Questo non val niente affatto»;
135 onde
appena incomincio,
sicché
buon pro faceami,
ecco
che un servitore
vienmelo per levar; io vo’ tenerlo,
ei
lo vuol portar via; tal che alla fine
140 la
cerimonia andò a finir che il tondo
seco
portò, ed il ragou mi cadde
tutto
quanto su l’abito, e camiscia,
e
mi sporcò i calzoni,
e
mi scottò i galloni.[35]
145 «Oh,
maledette cerimonie», io dissi,
«e
maledetto quel che le ha inventate».
arsillo Del vostro caso mi rincresce assai;
e
pure il mondo è sì corrotto ancora
che
nutre e soffre pur di questi matti:
150 ed
infelice quello che v’incappa.
Ma
peggio è ancor di quelli
che
vengonvi a far cento complimenti;
che
allor che vi ritrovan per la strada
comincian di lontano i loro amplessi,
155 vi
danno cento lodi, e poi voltate
le
spalle, a quel che è seco in compagnia
dicon: «Colui è un matto glorioso».[36]
dulino Padrone,
è il conte del Fiascon qui fuora,[37]
e
seco è la contessa di Culagna,
160 che
chiedonvi parlare.
olindo Oh poveretto me!
Va’
tosto a dir ch’io son fuori di casa.
dulino Ho di già detto che voi siete in
casa.
olindo Va’ a dir che dormo ancora.
165 dulino Ho
di già detto che siete svegliato.
olindo Ma sei pure sciapito.
Io t’ho pur detto cento
volte e cento
di
rispondere sempre a ognun che viene:
«Non
so s’egli sia in casa,
170 perché
arrivo ora solo».
dulino Ma quando il
so, non posso dir «Nol so».
olindo Son cerimonie usate,[38]
ma
tu in cent’anni non le imparerai.
dulino [(a parte)] Ma se ho sentito dire
175 che son le
cerimonie omai bandite.
[(ad alta voce)] Eh padron, vengon suso per la scala.
olindo Oh poveretto
me, com’ho da fare?
dulino Non volete lasciarvi
ritrovare?
olindo No se il potessi; ma che fare io
posso?
180 dulino Essi
vengon di qua;
e
voi correte giù per la finestra.
olindo Eh, tu sei pazzo affatto.
olindo Voi mi
fate grazia.
olindo Son vostri
favori,
185 o
signora contessa.
il conte Signore
la signora a me l’onore
ha
dato di servirla, onde servendola
l’onore
mi replica maggiore;
poiché
servendo lei posso di nuovo
190 or
dichiararmi vostro servitore.[39]
olindo Sono le
grazie sue furori miei;[40]
e
non doveva tanto incomodarsi.
il conte Non
è incomodo questo; anzi l’ascrivo
a
mia gloria il potervi ancor di nuovo
195 dichiarare
la mia vera osservanza.
olindo [(a
parte)] Arsillo, costui gonfiami la panza.
[(ad alta voce)] Ella non faccia
cerimonie, o mio
signor
conte; ella sappi
ch’ella
è padron di questa casa.
il conte
Anzi io
200 sono
suo servitor vero, e fedele
ed
ella è mio signore.
olindo Anzi,
ella.
(Il conte nel far le riverenze, andando
indietro urta in un tavolino e cade col tavolino
ancora.)
il conte Cara
contessa,
perdonatemi
un po’ se son caduto:
so
ch’è mala creanza;
205 ma
il mio dover per sprofondarsi più
dinanzi al
vostro merito, o signora,
è
caduto per terra a voi dinanzi.
olindo Orsù, sediamci
intanto.
il conte Prendete
pur, signora, il vostro loco.
210
il conte Se
voi non anderete
sovra
quell’altra sedia, io non mi siedo.
olindo [(a
parte)] Costui per certo è matto a quel che vedo.
[(ad alta voce)] Eh sedete o signore;
215 lasciam le cerimonie da parte,[42]
che
la persona è quella che fa il loco.
il conte Altro
è il dovere, altro è la cerimonia;
non mi sedo[43] per certo.
il conte Per
ubbidir mi accosto;
220 ma
vorrei si scrivesse negli annali
che
ubbidienza ella è, non cerimonia.
il conte Scrivonmi da la corte
che
averemo la guerra.
225 olindo Io
senza aver corrispondenze in corte
m’immagino
che avremla; a veder gente
che
viene a accrescer queste vecchie armate
questi
son tutti de la guerra segni.
il conte Nonostante[45] le nuove de la corte
230 sono
le più sicure;
io
a la corte ho molti, e molti amici
che mi scrivono in tutta confidenza,
l’ordinario
presente,
ch’oltre
la già venuta
235 avremo
nuova, e numerosa gente.
olindo Il mio
fattor di Pontaguercia ancora
bisogna
ch’abbia tal corrispondenza,
perché
m’ha scritto ieri
da
non vendere fieno, né frumento.
240
o
caro conte?
il
conte Sette
mesi e mezzo.
il
conte Volea
Sua Maestà
colla
sua incomparabile bontà
245 darmi
dei primi posti de la corte,
e
infatti in poco tempo
a
la sua confidenza ammesso io fui;
e
già il mio nome se n’andava altero
sovra
il rango primiero,
250 e ciascun con invidia mi
guardava,
ciascun
mi corteggiava.
olindo Ma
infine, che otteneste?
il
conte Nulla; perché io sol mi pascea de l’aura,
de
la grazia di un principe sì grande,
255 il
cui nome da l’un polo a l’altro
glorioso
si spande.
olindo L’aura o signore è un fumo
ed
all’incontro un posto
quel
si dimanda arrosto.
260
ma
più d’ogn’altra cosa
mi
piacerebbe di veder Parigi,
di
parlar coi dottor de
di
question scolastiche, e dogmatiche;[46]
265 che
mi dicon che sono
in
eccellenza virtuosi, e dotti.
Per
me più godo un’ora di discorso
d’istoria,
o pure di filosofia,
e
di rettorica, e di poesia
270 che
cento inette question donnesche.
arsillo Già la vostra
virtude al mondo è nota.[47]
olindo [(a parte)]
Soffrir non posso queste adulazioni.
il conte Ei
dice vero, ed io ne udii parlare
275 infin
ne l’anticamera di corte
del
vostro alto sapere.
arsillo Sono note a ciascun
le glorie vostre.
il
conte Voi a questo paese fate
onore,
ed
al vostro bel sesso.
280 olindo [(a parte)]
Oh, che marcie bugie.
che
parlano di me mi fanno onore.
il
conte È dovere.
arsillo Egli è il
merito, o signora,
de
la vostra virtù.
285 olindo [(a parte)]
Non posso più star saldo.
olindo Io son
nemico de le cerimonie,
e
sento a farne tante
che
mi rompon la testa.
290 il conte Io
dico il vero non per cerimonia.
arsillo Ed io pur
dico quello che mi sento.
d’udire
quelle dispute famose.
olindo Ma sappiate che parlano in latino.
295
sempre piacemi
più
quella
ch’è in lingua più lontana, e morta.
olindo [(a
parte)] Dio ci guardi da donne
che
parlano latino, ebraico, o greco.[48]
300 il conte La
virtù vostra è assai straordinaria.
parlare
con Newton:[49]
io pagherei
cento
doppie[50] ad entrare in questo
arringo,
perché
io ho ritrovato
305 la vera forma di quadrare il
circolo.[51]
olindo Insin a
questo lo so fare anch’io.
olindo Basta
fargli i cantoni.
310 dulino Signore è qui Battista
che
chiedevi parlare.
il
conte Eh non sarà Battista;
sarà
il maitre d’hotel.[53]
dulino So che Battista è il di lui nome: io
poi
315 non
so tanto d’hotel.
il conte Se
permettete io lo farò venire.
olindo Servitevi,
signore.
il conte Come non hanno viaggiato un poco[54]
non
san parlare questi servitori,
320 vogliono
sempre dimandar[55] per nome,
il
che, creder non puossi
quanto
offenda gli orecchi
di
chi è stato a la corte, ed ha viaggiato.
Il nome di Matteo,
325 e
di Bartolommeo,
di
Tommaso, di Lucca,[56] e di Battista
invece
che si dica
cameriere,
laché, paggio e tant’altri,
nomi
nobili, e belli
330 non
gli posso soffrir sicuramente.
olindo [(a parte)]
Oh questo è un gran sproposito.
che
le tragedie dicono commedie,
e
che i verseggiator dicon poeti.
335 Questo
nome, che in greco
creatore
significa; e in latino
significa
profeta,
ogni
strambo, che fa sonetti a monache,
ogn’un
che unisce quattro versi in lode
340 di
chi glieli dimanda
avvilisce
il gran nome di poeta,[57]
come
il paggio che dicesi Matteo
e
il camerier Lucca, e Bartolommeo.
olindo [(a parte)]
Oh che goffo sproposito è mai questo!
(Qui
arriva Battista e Olindo ridendo dice:)
345 Che
bel maitre d’hotel!
battista Signor, Giorgino si lamenta assai
che
poco gli pagate di salario.
il
conte Si può sentir goffaggine
maggiore!
Orecchie
mie siete ancor salde a loco?
350 Ma
sei pur sciocco, e sei vero Battista.
battista Perché, signor, cosa fec’io
di male?
il
conte Il cerimoniale, e la creanza
son
banditi da te come assassini
famosi,
e senza quella
355 un
uom non vale un iotta.[58]
battista Ma perché, ho detto male?
il
conte E come male! Compatite un
poco;
ma
questo è un animale animalaccio.
olindo Dite pure o signor quel che vi piace.
360 il conte Entrando
si dovea far riverenza
ben
profonda alle loro
signorie
illustrissime
indi
accostarti a me,
e
dirmi ad un orecchio
365 il
laché, non Giorgino,
nome
troppo ordinario.
battista Oh che ridere! dunque
signor
ciascun che di Giorgino il nome
abbia,
non più lo prenderemo in casa.
370 il conte Non
è questo ch’io dico,
ma
che non deesi dimandar per
nome.
olindo [(a parte)] Costui nel suo
cerimoniale è matto.
battista Dunque nominerollo
pel cognome,
il
quale è Gambastorta.
375 il conte Né
Gambastorta, né Giorgino, io dico,
ma
col titolo dato dal padrone
di
laché, carrozziere,[59]
paggio,
cameriere.
olindo Questo è di corte il cerimoniale?
380 il conte Certamente
signore.
si
dica mastr’Ambrogio al cuciniere;
né
più messer Protaso al credenziere.[60]
il conte Ah
per l’amor del cielo,
385 il
nome del messer è antico[61] affatto.
e
Trissino, e Petrarca
il nome di messer vedesi spesso.[62]
il conte Ma
questa sarà gente del paese,
390 che
non avrà viaggiato;
e
per certo dovunque io sono stato
non
vidi mai questo signor Boccacio,[63]
né
questo signor Trissino, o Petrarca.
olindo Non gli vedrete mai sicuramente.
395 il
conte Ah capisco fors’è gente plebea,
che non s’incontra
mai
colla
gente di corte.
battista
Ebben signore
che
risposta mi date,
non
più per Gambastorta, né Giorgino,
400 ma
pel laché, che non vuole stare in casa
perché
il salario è poco?
olindo [(a
parte)] Eh questo è pur cerimonial di corte,
ma
Giorgin non lo sa.
il conte Questa
pur non è cosa da dir forte,
405 che tutto il mondo
ascolti.
Asino
nato sei,
ed
asin sempre in vita tua sarai.
battista Grazie.
olindo [(a
parte)] Son complimenti alla
gran moda.
il conte Va’,
che io tosto porrò rimedio a tutto.
410 Oh
come impertinenti
sono questi laché!
Non
sono mai contenti,
ma
scorticar vorrebbono i padroni.
415 sei in Milano per
negozi, o pure
per
sol divertimento?
il
conte Ho una lite di venti mille
scudi
contro
casa Spinosa,
la quale è già molto avanzata, e
spero
420 in
questi pochi dì trarla a buon fine.
È
ben vero che a un certo dottoraccio
sono
stato a far visita, e a informarlo;
ed
ei non è venuto
a
rendermi la visita; e vi giuro
425 ch’io
più non vo da lui.
il
conte Certo; ma la creanza
gli
dovrebbe insegnare a render visita.
430 non
è bene guardar sì per minuto.
il conte Già la mia causa è chiara,
onde
bastantemente
la
mia ragion m’assiste,
senza
andarmi ad esporre
435 con gente che non sa il
cerimoniale.
non
basta aver ragione;
per
vincere le liti;
vi voglion
cinque t
440 testa,
testoni[64] e tempo, e testi, e toghe;
che
sono gli avvocati, ed i procuratori.
olindo [(a
parte)] Per un’ora costor non van più via.
Una
donna saputa,
e
un uom di cerimonie,
445 chi
v’incappa, per certo non vi torna,
se
non vi pone il diavolo le corna.
il
conte Infine o mia signora
io
questa inciviltà soffrir non posso,
che
questi dottoroni
450 mi
faccian aspettare in anticamera
due
ore, o tre; d’indi non mi accompagnino
che
sovra il liminare del prim’uscio;
questo
cerimonial parmi assai rustico;
né
scompongono mai l’austera faccia,
455 né
chinan mai la fronte,
se
non che all’apparire
dell’effigie
del principe in argento:
io
certo non andrò mai più da loro.
olindo [(a parte)]
Si può sentir goffaggine maggiore!
460 Di
voler che il dottore lo accompagni
sino
a la porta! Ha ben altro da fare.
ma
la lite andrà mal.
il conte Non
può andar male;
465 perché è la mia ragion chiara
chiarissima.
Ma
voi signor Olindo
mi
parete in sembiante malinconico,
forse
vi turba amore?
olindo Appunto amor.
470 amore
filosofico, di quello
che
non risguarda la corporea salma,
ma
a le doti dell’anima sol mira;
ch’è amor
puro, amor bello,
come
Pulcheria Marciano amava.[65]
475 olindo E come Cleopatra Marcantonio,
e
come la giovenca ama il torrello.[66]
di
cui parlò Platone ai platonisti.[67]
Adesso
io ve lo spiego
480 ne’
suoi termini giusti.
olindo No per l’amor
del ciel cara contessa,
lasciami
amare come amò mio padre,
e
come amaron tutti gli avi miei,
che
non sapeano di filosofia,
485 né
chi fosse Platone;
che
se a la bella mia
mancasse
il naso, o il mento,
o
pure ambo le orecchie,
Platone, e i platonisti
490 non
potrebbero mai far ch’io l’amassi;
ma
perché legiadretta, e vaga, e bella
move i piè, move gli occhi
l’amerebbe
Platon se fosse vivo,
che
amava anch’esso come amiamo noi,
495 e
volle poscia a noi vender finocchi.[68]
il
conte Dicea
ben la signora,
e
dice ben benissimo il signore,
ma
meglio dice un reverendo padre
del
collarino bianco[69]
500 dotto,
saggio e prudente,
che
così lo descrive in un sonetto.
«Madre,
onde avvien», dicea Cupido a Venere,
«che
su l’alme gentili i’ più non domini?
Sì
delicate han le coscienze, e tenere,
505 che
non soffron né pur ch’amor si nomini».
«Vuoi»,
rispose la dea, «che l’uman genere
per
quel che sei non ti discopra, e abbomini?
Vesti
d’uom grave, e il foco tuo di cenere
cuopri, e poi fa’ d’ippocrita
cogli uomini».
510 Ei
così fece allora, e a quel ch’io medito,
questo
è poi quel civile amor canonico.[70]
cui
tutto il mondo ai nostri tempi è dedito.
Ma
perché qualche umore malinconico
scoperto
il ladro non gli tolga il credito,
515 soglion poi nominarlo amor platonico.[71]
arsillo In questi
istessi termini ne udii
anche
cantare un improvvisatore.[72]
Perché
ne odo parlar diversamente.
520 arsillo Parli pure ciascuno insin che vuole,
che
gli è certo che ognun, che non in versi
ma
in prosa si esponesse a dir cotanto,
d’essere
gran maestro
potrebbe
darsi il vanto.
525
già
questa cosa.
arsillo A lui molti fan dire
quel
che non disse mai, o non l’intendono.
Ei
dice che il coturno
sovra
ogni cosa ha loco;
530 e
che un million di versi all’improvviso
su
questo, e su quel tema
non
faran mai d’una tragedia il prezzo,
cui s’appartenga di
tragedia il nome
forte,
sublime, maestosa, e grande;
535 ma
pazzo è quel che il paragon vuol farne.[73]
Dicasi
ch’egli è un uomo insigne, e grande,
e
degno, che il suo nome
giunga,
e traluca ovunque luce il sole.
Non
lascian d’esser grandi
540 Ettore,
ed Anniballe,
benché
fosser più forti Achille, e Scipio;
e
benché di Maron la penna sia
più
sublime, e più forte,
non
lascia Ovidio d’esser grande anch’esso
545 nella
profluità de’ versi suoi,
e
nell’improvvisar ch’egli facea.[74]
certo
che il tuo parlar piacemi assai;
il
tuo cerimonial, le tue maniere
550 sono proprio un incanto.
olindo [(a parte)] E questo è amor
platonico del vero.[75]
il conte Quello
che sembra a voi, che sia mio merito
è
un don degli occhi vostri,
che
in qualunque da lor mirato viene
555 infondono
dolcezza, e cortesia.[76]
ma
che bella espressione!
olindo [(a parte)]
Saldo in barca Platone.[77]
il
conte Ah contessa tu sei
560 Pallade
nel sapere,
e
Venere in bellezza.
che[78] tu ragioni, e Marte nel
sembiante.
olindo [(a parte)]
Venere, e Marte infine
565 trarranno
tutto a monte,
e
il platonismo, e la filosofia.
dulino Signori,
viene suso per la scala
una
gentile, e bella mascherata.
olindo [(a parte)]
Bisogna che si creda
570 che
la casa del pubblico sia questa.
Quest’è
ben altro che le cerimonie,
entrar
in casa mia senza licenza.
(Viene Isaura
in maschera con altre maschere, e sonatori, la quale postasi in gelosia dal
vedere la contessa in casa di Olindo, va a prendere il conte, e balla con esso,
e tra di loro si fanno molti complimenti amorosi, e muti, del che pure ne
prende gelosia la contessa. Terminato il ballo Isaura s’avanza sempre tenendo
il conte per mano, e fa segno a le maschere che partano)[80]
olindo Mascheretta
gentile almen chi siate[81]
575 che
la mia casa, e me tanto onorate
scopritemi
vi priego,
acciò
ch’io possa almen il mio dovere
secondo
il vostro merito compire.[82]
isaura Ecco
quella[83] con cui compir tu devi,
(leva la maschera)
580 degna
assai più di me
de’
tuoi nobili affetti.
E
tu signor cortese
soffri
io ti prego un disprezzato amore.
olindo [(a parte)]
Oh questo è troppo:
che
maledetto sia
585 quando
venne colei in casa mia.
[(ad
alta voce)] Ebbene dunque
addio;
è
tempo omai da romper chiaramente
queste
catene: io vado,
poiché
sì facilmente v’offendete.
(Entra, e poi ritorna)
590 Né
crediate più mai
ch’io
soffra i vostri lacci.
isaura Eh
già lo veggo a pruova.
olindo Addio,
addio, non mi cogliete più,
(Entra, e poi torna)
se avessi da
morire;
595 come
così per poco, anzi per nulla,
la
bile vi molesta.
State
col signor conte allegramente;
che
insegneravvi a far le cerimonie.
Addio.
Arsillo andiam.
isaura
State pur saldo.
600
il
conte Ma signora contessa
debbo
servirla?
il conte Signora,
a lasciar una, o lasciar l’altra
mi
condanna la sorte:
605 so
quello che dovrei; ma che[84] non posso
l’un’,
e l’altra servire;
l’una,
o l’altra lasciare oh cielo io debbo!
Così
tu vuoi che al mio cerimoniale
ora
manchi per forza:
610 felice
me che non v’è alcun di corte;
peraltro
io stimerei meglio il morire,
che
trovarmi in un simile imbarazzo
di
dover esser incivil per forza.[85]
615 che la filosofia di già m’insegna
che il cielo all’impossibile
non sforza.
Quia nemo impossibili tenetur.[86]
isaura [(a parte)]
Infin quella seccaggine[87] andò via,
che
annoia tutto il mondo
620 colle
sue storie, e sua filosofia.
il conte Signora
a dirvi il vero
il
vostro bel sembiante, e gli occhi vostri
non
v’è cor che a ferir non sien
possenti,
e
un vostro dolce sguardo
625 è
atto ad impiagare un seno umano
al
pari di una lancia, al par di un dardo.
La
vostra vaga stella
al
certo è quella che più in ciel traluce,
Diana
no, che al paragon di lei
630 voi
fate come il sol d’ogn’altro lume,[88]
se
Venere or dovesse
tener
parola[89] al pastorel
troiano
in
ricompensa del bramato pomo
non
averia condotto ai greci lidi
635 quella
nave[90] cagion
di tanti danni,
ma
voi scelta sareste al furto altero,
o
pure ingiusta Citerea sarebbe.
Eccovi
dunque adoratore[91]
umile
del
vostro bel sembiante
640 or
di Monte Fiascone il conte stassi
signora,
a voi dinante.
isaura Ben volontier ricevo,
o
conte mio, del tuo bel cor l’offerta.
Il
tuo cerimoniale è così bello,
645 che
chiaro vede ognun ch’è nato in corte.
il
conte La corte è una gran
scuola.
Ah
perdoni signora,
che
a la mano diritta io mi trovava,
e
non me n’avvedeva,
650 tanto
dal vostro bello era sorpreso.
isaura Non fate
cerimonie,
che
noi usiamo star dove troviamsi.
il conte Non però mai, che offender possa il
merito
di
chi con noi ragiona.
655 Infine
io v’offro questo cor sincero,
che
sarà vostro amante insin che spiri.
isaura Ma però la
contessa
l’ho
veduta con voi, e con Olindo
presi
entrambi per man dir parolette
660 all’orecchio.
il
conte Eh signora v’ingannate,
la sua filosofia secca[92] cotanto
tutto
il genere umano,
che
vi vuole non poca pazienza
a
doverla soffrire a chi v’incappa;
665 ed
a me toccò in oggi
una
tanto terribil penitenza.
battista Signore è qui di fuori…
il conte Chi è là?[93]
battista V’è
un uom che dicesi…
il conte Ma
chi? Parla; dì presto, e non mi stanca;
670 ch’ella
non è creanza.
battista Vado
dunque.
il conte Perché?
Partir
vuoi senza darmi l’ambasciata?
battista Non
lo dico per certo.
il conte Perché
non lo vuoi dire?
675 battista Perché
non so che il nome.
il conte Non
basta dire il nome?
battista Voi
non mi avete detto
che
alcun non debbo nominar per nome?
il conte Presto
non m’inquieta.
680 battista È
cosa di premura, premurissima.
il conte Non
mi tener sospeso.
battista Ma il nome offenderà
le
orecchie assuefate a la gran corte.
il conte Che
penitenza è questa!
685 Dillo,
che non importa.
battista È
peggio che Giorgino Gambastorta.
il conte Ma
non ho mai dovuto
tanto
soffrire, come soffro adesso.
battista Me
ne date il permesso?
690 il conte Te
lo do; tel comando.
battista Ei si dimanda…
Ma
padrone…
il conte Che il diavolo ti
porti:
o
dillo, o ch’io ti do.[94]
battista Com’è
così: Pinello Panzadura
per
servirvi signore.
695 il conte Che
vuol questo Pinello Panzadura?
battista È
per la vostra lite.
Egli
ha un papele[95] in mano,
ma
siccome è in latino,
e
questa è quella settimana appunto,
700 ne la quale il latino io non intendo,
non
so cosa si dica.
il conte Signora
con permesso
anderò a veder io che vuol costui.
isaura Andate
pur signore;
705 [(a parte)] ringraziato il cielo.
il conte Ma
vi ho da lasciar sola?
isaura Sì
lasciatemi sola;
ch’anzi
ho piacer da star soletta un poco.
il conte Ciò
non fia ch’io permetta.
710 isaura Fatemi
tal piacere.
il
conte Io non ho così poco
studiato
il
galateo signora;
che commetter
mi lasci
un’increanza
tale.
715 isaura Andate ve ne priego.
il conte Egli
è lo stesso.
Comandate
ch’io vada
a
combatter per voi
sino
all’ultimo sangue,
ch’io
vado; ma non mai
720 commetterò
signora, un’increanza.
battista Ma
padron, Panzadura
di
parlarvi ha bisogno, anzi premura.
isaura Io
partirò se non partite voi.
il conte Com’è
così, un vostro comando è legge.
725 Solo
da’ vostri cenni
questo
mio cor dipende,
e
sua felicitade
sol
da’ vostri occhi attende.
isaura Caro
conte mi fate troppo onore.
730 il conte Umilissimo
vostro servitore.
Signora
un passo sol non vi movete,
se
no, certo non parto.
isaura No
non mi muovo un passo sol dal loco.
il conte Addio
signora.
isaura
Addio.
735 battista [(a parte)] Mastro di cerimonie è
il padron mio.
isaura Oramai
più soffrire io non potea
così
gran complimenti, e cerimonie.
Per
castigare Olindo,
e
fargli nascer gelosia nel core
740 ho
finto quest’amore:
ei
troppo presto se l’ha presa a male:
io
non vo’ certo andarlo a ricercare.
Ei
quinci passerà,
ed
io di parlar seco
745 avrò
comodo campo.
Ma
che vuol quivi ancora
questa
nostra seccante dottoressa?[96]
(Viene la
contessa leggendo un libro)
fa
che sola io vi trovi
750 cara
signora Isaura, acciò vi possa
e
dal zelo portata, e da l’amore
far
comprendere chiaro il vostro bene;
poiché
troviamo spesso
gli
adulator, ma raro i buoni amici.
755 isaura Parlate
pur signora,
che
mi fien care le parole vostre
da
zelo uscite, e da un amor sincero.
isaura Non
lo conosco al certo.
760
e
questo si è il capitol de l’amore,
ma
siccome è in latino
or
io vi spiegherò quello ch’ei dice.
Amore
che è d’ogn’altra passione
765 la
passione più gentile, e bella
allor
ch’ella ha riguardo
de
l’uomo a la più bella, e nobil parte;
(Hic & haec
homo vuol dir uomo, e donna)
diventa
brutta, e vile
770 allor
ch’ella risguarda
a
la parte de l’uom brutta, e animale,
che
è al corpo.
isaura
Sì allor quando il corpo è brutto.
egli
è pur sempre agli animal simile;
775 non
lascia d’esser animal la cerva,
né
il superbo destrier benché sia bello;
né
lascia d’esser animal pur anco
il
colorito augello:
tutto
quello che ha parte
780 tutto
si scioglie, e passa, e qui non resta;
perché
dunque abbassare il nostro amore,
e riporlo dobbiamo in cosa frale?
Perché
formarci un idolo di cosa,
che
appena la vediam trapassa, e fugge,
785 qual
polve al vento, o rara[98] nebbia al sole?
isaura Dunque
dice Aristotile che noi
amare
non dobbiam uom ch’abbia parti?
il
corpo vil; che al certo è cosa indegna
790 del
nostro amor, che de lo spirto è parte;
ma
voi nulla curando i bei dettami,
che
Aristotile insegna
a
un vile amor sottoponete quella
parte
libera, e bella,
795 che
il ciel vi diè, perché tornasse a lui?[99]
Vedete
quante stelle
sonvi nel cielo; ora ogni fluido vostro
rivolgetelo
in quelle,
così
da’ loro influssi apprenderete
800 de
la natura la più nobil arte;
a
la filosofia datevi in preda,
e
di quella l’amor solo v’accenda.
isaura Io,
signora contessa,
non
so né pur che sia
805 questa
filosofia:
so
che a l’amore io debbo l’esser mio;
so
che nascon da amor tutte le cose,
e
l’amor che Aristotile ci insegna
nascere
non fa alcuno
810 detto
Aristotelino;
e
s’altro non dovessimo all’amore,
noi
gli dovremmo pure
l’essere
voi, cara contessa, al mondo;
che
s’ei non fosse stato
815 né
vosco io parlerei, né meco voi.
Dunque
seguiamo a amare,
che
la parte animal, la parte vile
è
quella che vediamo,
ed
è quella, per cui
820 a
rimirar la luce
arriva
pur tutta l’umana gente.[100]
aver
mai questo udito:
ah
che purtroppo è vero, e son costretta
825 a creder ciò, che creder
non vorrei;
e
perché quell’amor ch’io vi professo
a
scoprirvi m’astringe
ciò
di cui pur non ragionar m’aggrada,[101]
saper
dovete, ch’io mi ritrovai
830 sabato
in una casa
dove
un circol di gente virtuosa[102]
fece
cadere alfin sovra di voi
il
discorso; e del vostro portamento
se
ne[103] parlò assai male,
835 con
sommo mio spiacere.
Disse
ciascun di loro
che
voi fate la bella, e la galante,[104]
e
che vi piace l’amorosa vita,
che
state molto a consultar lo specchio
840 per
nascondere reti in mezzo al volto,
onde
cogliere il cor di questo, e quello,
che
vi piace assai l’aria[105] forastiere:
qualch’uno ancora interpretava in male
quell’aver
spesso il ballarino[106] a casa,
845 e
quel vedervi a la commedia, e al corso
sempre
con qualche giovinotto intorno.
Ebbi
buon dir che male
stato
non vi sarebbe nell’interno;[107]
ebbi
buon prender il vostro partito[108]
850 come
un’amica debbe far di un’altra,
e
come anche Anasagora c’insegna
nel
terzo libro de la sua morale;[109]
ebbi
buon ragionar[110]
per sostenere
il
decoro, e l’onor di chi tant’amo,
855 se
tutti m’eran contro,
chi
narrandomi un fatto,
chi
un altro, tutti in poco vostro credito;
e
quei merletti trasparenti, e fini
con
cui si copre, e non si copre il seno,
860 anzi
lo pongon in miglior prospetto[111]
davan molto a che dire
a
la conversazione;[112]
quel
rider sotto via,[113] quel girar d’occhi,
infin
la libertade in cui vivete
865 tutto
da lor fu male interpretato;
ed
oh qual pena in mezzo il cor mi prese,
perché
infatti credea che avesser
torto;
ma
poi l’avervi visto oggi a quel conte,
oibò
oibò non l’avess’io mai
visto,
870 far
cento cortesie, e ballar seco;
«oibò»
vi dico ancora.
isaura Rendo grazie infinite
de
la signora al grand’amore, e zelo,
ch’ella
ha per me, sicché il dover mi spigne
875 a
palesare a voi medesma ancora
quello
che udii con sommo mio spiacere
quella
mattina appunto
in
un circol di nobili matrone.
Contro
del vostro onore alto parlossi;
880 a cui siccome io prendo tanta parte,
credere
non potreste
in
quali pene, in quali angustie, in quali
tormenti[114] io mi trovai,
per
non potermi opporre
885 come
avrei voluto a’ loro detti;
e
siccome fra noi dobbiam scoprirsi[115]
tutto
quello che dicesi di noi,
siccome
porta un vero amore, e zelo,
io
dunque vi dirò, ch’una dicea:
890 «Quella
Culagna[116] è pur la pazza femmina,
mostra
disprezzo de l’umane cose,[117]
de
le ricchezze, e degli onor mondani
perché poco ha di
questi, e men di quelle;
vuol
criticare tutti i fatti altrui,
895 quando
averia buon criticar se stessa;
vuol
far la moralista,
correggere
i costumi,
ch’ella
in sé stessa non corresse mai».
Rispose
un’altra: «è vero»,
900 e
l’affermaron tutte:
ebbi
buon dire io sola,
che
siete d’onestade un raro esempio,
che
siete per scienza un libro aperto;
ebbi
buon dir che le parole vostre
905 sono
tante sentenze
cavate
d’Aristotile, e Platone;
ebbi
buon dir, non mi credette alcuna,
e
nel mio sentimento[118] restai sola;
perché
tosto rispose una matrona:
910 «Fa
bel volere che si fugga amore;
ed
insegnare a le altre,
che
l’amore del senso è indegno, e vile;
e
intanto al marchesin di Santilana
ella
facea d’intorno alte pazzie;
915 e
fu pur visto entrar per la finestra[119]
per
istudiar con lei filosofia».[120]
isaura Aspettate
che ancor non han finito:
«E
adesso che l’etade un po’ si avanza
920 mostra
di non volere,
ciò che non può ottenere;
ma
intanto a un certo conte forastiere,
che
fa gran cerimonie
ben
sette volte è andata
925 a
trovarlo in casa».
«Eh
questo non è già»; risposi allora
«per
l’amor animal, corporeo, e vile,
ma
per quel degno amore…» e in questo dire
non
mi lasciar finire,
930 che
dieder tutte insieme una risata:
pensate
voi com’io
restai
mortificata.[121]
non
saran state già matrone oneste,
935 ma
inique maldicenti,
lingue
perverse, e ree.
isaura Ma la morale insegna
a lasciarsi cotanto
trasportar
da la bile?
940 Ci
bisogna soffrir con pazienza
le
persone moleste,[122]
o
signora contessa.
Io
pur senza aver letta la morale
con
pazienza udii
945 ciò
che sabato dissero di me,
come
voi m’asseriste:
or
dunque perdonate
se
vi lascio qui sola.
Pensate
a’ casi vostri;
950 solo
considerate,
che
ciascun parla de’ diffetti nostri;
che
ognun vede gli altrui,
ma
raro vede, o mai non vede i sui.[123]
955 l’amore
che pel conte il cor mi prende
fa
ch’io veda il mio male, e pur lo incontri:[125]
la
gelosia, che va ad amore unita,
fa
ch’io tema ch’a Isaura egli si volga;
e
la speranza poi
960 ch’ei
vincendo la lite
ricco
diventi, e prendami per moglie,
fa
sì ch’io stia ad ogni suo passo attenta,
perché
alcuna da me costui non tolga:
ma
lo veggo venire.
965 il conte [(a parte)]
Cara signora Isaura io da voi lungi…
Perdonate
signora io m’ingannava.
che
tende solo ad ingannar[126] chi t’ama.
il conte Chi
mi ama? E che signora?
970 Ed
evvi cosa in me d’amarsi degna?
Voi
prendete signora un granciporro;[127]
conciosiacosaché non vi fu mai
alcuna
cosa degna
d’esser
amata in me.
975 È
ne’ vostri occhi, che risiede amore,
ed
ivi aspetta i cor leggiadri al varco,
ma
sdegna di ferir cori sì abbietti,
cori
comuni come il mio. Voi dunque
sarete
sola avvezza a ferir alme
980 socratiche,
platoniche,
e
ciceroniane; onde de l’altre[128]
avrete
a noia, e sdegnerete i vili
comunissimi affetti.[129]
apprendesti
tu forse a dar la baia
985 a
la corte eh?
il conte Signora
m’offendete.
Tale
stima ho di voi,
che
d’altra donna ugual non ebbi mai.
che
tu parli con tutte in tal favella.
990 il conte Questo
sol da la corte non restommi,
ch’è
di non adulare.[130]
vive d’adulazione una
gran parte;
ma
ti restò pur quella parte ancora,
995 che
finzion si chiama.
il conte Perdonate
signora: io mai non finsi
in
vita mia.
io
so che tu… divieni rosso, è vero?
il conte Non
arrossisco al certo
1000 che
si sappia ch’io l’amo.
il conte Amo
l’una, amo l’altra,
né
divido l’amor; poich’è[131] diverso
l’amor
con che amo voi, ed amo lei.
1005 Amo
in voi con amor perfetto, e puro
lo
spirito gentil[132] che in voi risiede:
e
in lei sol amo quell’ignobil parte,
che
agli sensi soggiace, e che si vede.
L’amor
che per voi m’arde è di voi degno;
1010 è
un platonico amor che ha sol per meta
la
virtù, l’onestà, le belle doti,
che
si scorgono in voi, e che risplendono,
ed
amo in lei la giovanile etade,
il
leggiadretto piè, le belle mani,
1015 il
volto, gli occhi, i capei biondi, e crespi.
Insomma
ho in voi tutto rivolto quello
ch’ha
di più puro, e di più fino amore,
in
lei ciò di cui voi nulla curate,
ch’è la parte
animal, corporea, e frale.[133]
1020
che
nel corporeo vel rinchiusa è l’alma
deve
ben spesso soggiacere al peso
dei
sensi la più bella, e nobil parte.[134]
Onde
siccome l’alma
1025 per
veder, per udire
è
costretta a servirsi ora dei sensi,
debbon esserle cari i sensi ancora,
non
perché sovra lei regnino mai,
ma
come ama un padrone
1030 un
fedel servitore:
sicché
se ami il mio spirto ama il mio corpo,
le
di cui azioni, e passioni
sono
talmente unite,
che
l’amar uno senz’amar pur l’altro
1035 sarebbe
un non amar né l’un, né l’altro.
Puossi toccare il corpo,
che
lo spirto non senta?
Puossi parlare all’alma,
che
non si serva del corporeo aiuto?
1040 Dunque
se è vero amore,
non
s’ama sol ciò che vicino giace
a
la persona amata;
ma
s’ama insin la via, che a lei vi guida;
s’ama
l’aura che spira;
1045 s’ama
la terra, che calcò co’ piedi:
e
tu non amerai
quello
per cui[135]
le parli,
quello
per cui la vedi?[136]
il conte Ah
voi siete, signora, un libro scritto,
1050 una
cattedra aperta, ed una scuola;
voi
siete una dottrina tutta quanta,
tutta
filosofia, tutta rettorica.[137]
(Arriva Isaura)
non
può la fiamma mia star più coperta;
(La contessa s’avanza, e il conte facendo
riverenze si ritira)
1055 io
t’amo: eh no, non voglio
così
gran cerimonie, e riverenze,
tutte
cose da amor bandite affatto.
Conte
mio pur vorrei…
isaura Serva
contessa.
isaura Se
indiscreta io fossi mai
1060 vado;
seguite pure.
Ebbi
buon dir che male
stato
non vi sarebbe nell’interno.[138]
che
il vostro bel sembiante
1065 ha
fatto breccia in petto del signore.
isaura Eh
seguite pur voi, che è vostra preda:
che
si unisce assai bene il saper vostro
col
suo cerimonial così compito.[139]
Ebbi
buon prender il vostro partito,
1070 come
insegna Anasagora
nel
terzo libro de la sua morale![140]
Addio
cara contessa,
seguite
pur co’ vostri insegnamenti.
E
a voi Monte Fiascone
1075 faccia
buon pro sì bella lezione.
isaura No no restate voi.
il conte Oh
ciel, perché partite?
isaura Perdonate
se usai mala creanza;
1080 ma
avete tempo ancor da proseguire,
se
dettar vi volesse[141] la contessa
fisica,
e metafisica, e morale.
Ebbi
buon ragionar per sostenere
il
decoro, e l’onor di chi tant’amo![142]
1085 [(a
parte)] Bacco! Che posta
fresca.[143]
[(a voce alta)] Addio
contessa.
quai
sieno i vostri affetti.[144]
isaura No no contessa mia,
i
vostri sono fatti, e i miei son detti.
1090 Già l’amore animale in
voi non regna;
seguite pure
a fare
ciò
che Platon v’insegna.
[(a parte)] Qua
il diavol la condusse in mia malora.
1095 isaura No saldo
pure in barca:[145] io son discreta;
contessa
addio; conte
io
ve la raccomando:
le
cerimonie, e la filosofia
forman la bella coppia in fede mia.
1100 il conte Signora,
e voi partite così sola?
Non
fia vero giammai ch’io ciò permetta.
isaura No certo.
il conte È mio dover.
restate
voi, ch’io sola partirò.
il conte Voi
contessa partir?
isaura Contessa
addio,
1105 quando
torniate a la conversazione
de
la qual mi parlaste,
dite
pur che a le volte
il
ballarino, ed i merletti fini[146]
nascondon meno assai d’ipocrisia,
1110 che
i gran libroni, e la filosofia.
il conte Eh
signora, eh contessa, eh dove vado?
Chi
seguo? Oh fosse quivi
di
cerimonie un mastro (si smania)
1115 per
dimandar consiglio
a
qual di due m’obbliga la creanza.
Seguo
Isaura; ma no che la contessa
era
prima con me: vo a la contessa;
ma
Isaura offenderassi.
1120 battista Il
giudice, o signore, vi dimanda[147]
ch’andiate
a casa sua
senza
perdere tempo,
ch’ha
da parlarvi per la vostra causa.
il conte Eh
che il cerimonial vuol ch’io non lasci
1125 le signore. (Fa per partire)
battista Padrone dove
andate?
Ma voi la
causa perderete al certo,
quando quel
che si dee, far non vogliate.
il
conte Quel ch’io debbo è
pria
compir co’ le signore. Se sapessi
1130 da quante donne
assediato io sono.
battista [(a parte)] Povere donne, scelgon sempre il peggio.
[(a
voce alta)] È meglio pria
compir col senatore,
che
s’egli il voto contro vi darà,
onde
restiate in secco,[148]
1135 la
signora di voi si riderà.
il conte Sciocco,
insolente; è questa
da
parlare con me la forma, e il modo?
battista Voi
avete ragion, ma non vorrei
che
da questa sentenza dipendesse
1140 il darmi il mio salario.
Perché
l’assedio de le donne infine
vi
farà star senza munizione;[149]
e
il vostro servitore
non
ha un bezzo[150]
da far collazione.
1145 il conte Taci
sciocco, insolente;
va
pria dal signor giudice,
ed
ivi dal suo mastro
di
cerimonie intendi
dove
verrà a ricevermi; e sin dove
1150 poi
m’accompagnerà nell’andar via
questo
signor dottor, perché non voglio
azzardare[151] così la mia persona;
che
se poi lo sapessero a la corte
me
ne farian fischiate.[152]
Tu
ridi?[153]
1155 battista Perdonate.
il conte Da
rider cessa omai.
battista Ma se non
posso.
il conte De’
diavoli il re ti salta[154] addosso;
or
teco perdo il tempo, e le signore.
Fai
quello che ti ho detto,
1160 e
la risposta in questa casa aspetto.
battista [(a parte)]
È matto il mio padrone,
né
guarirà mai più.
[(a
voce alta)] Eh, padrone un
anello in terra io trovo.[155]
il
conte Questo d’Isaura l’ho veduto
in deto:
1165 a
me lo porgi: orsù
vado
da la contessa: ah no, da Isaura:
ah
no da la contessa.
battista Or già che il mio padron diventa matto,
vo’
diventarlo anch’io affatto affatto:
1170 le
maschere qui abbasso
ballano,
e fan fracasso:[156]
vo’
dimandarle sopra,
e
ballare con loro.
Già
credo che il padron sia fuor di casa.
1175 Onde
vo’ stare allegramente un poco
per
far passar la fame,
che
tiene l’allegria piazza di cuoco:
maschere
su a ballare.
(Arrivano maschere e donzelle che ballano, e
cantano tutti insieme).[157]
Viva sempre l’allegria;
1180 viva sempre il carnoval.[158]
le donzelle Amoretti
vezzosetti
a
noi volano d’intorno;
e
scherzando,
1185 e
saltando
ci
fan dolce, e vago il giorno.
tutti insieme Viva sempre l’allegria;
viva
sempre il carnoval.
le donzelle Come stella
1190 vaga,
e bella
fra
di noi risplende Isaura,
e
suo labro
di
cinabro
rende
vaga ogn’onda, ogn’aura.
1195 tutti insieme Viva sempre l’allegria;
viva
sempre il carnoval.[159]
olindo Oh questa sì che è bella![160]
E
chi ardisce venire in casa mia
a
far sì gran fracasso.
1200 Eh,
via canaglia, via andate in piazza.
Or
son sì rattristato,
(vanno via tutti)
e
tal rabbia mi prende,
che
ho bastonato quattro servitori,
ho
rotto due catini, e sei bicchieri.[161]
1205 Ma
si può dar! Immaginarsi ch’io
nutrissi
amor per quella sciocca donna
de
la contessa! Si può dar tal cosa!
Ed
attaccarsi a quel Fiascon[162] ridicolo,
E
fargli cortesia;
1210 e
poi permetter ch’io n’andassi via!
Ma
si può dare! Se due teste avessi
una
ne getterei giù per un pozzo.
Ma
la più bella è, che colui del conte
m’è
già venuto a dimandar due volte,
1215 dove
poteva ritrovare Isaura,
perché
doveale far suoi complimenti;
si
può trovar matto più goffo al mondo?
E
pur se vi sarà
quel
sol nella città
1220 per
mia pena maggior vienmi a trovare.
Non
so con quelle sue gran cerimonie,
che
seccherian un mare,
chi
me l’abbia inviato
per
purgar qualche mio grave peccato.
il conte Amico.
1225 olindo [(a parte)] Si può dare[163]
che
ovunque io vada abbia a trovar costui!
il conte[164] Amico io sono impaziente affatto
di ritrovare Isaura.
Io
sembro un incivil presso di lei;
1230 la
contessa m’ha fatto
commetter
sì terribile increanza,
ma
non potea servire e l’una, e l’altra.
Amico
dimmi un po’. L’hai tu veduta?
olindo Io credo che al passeggio ella sia
gita.
1235 il conte Fammi
un poco il piacer d’accompagnarmi,
dov’ella
suol andare;
ch’io
non vorrei parer con esso lei
uomo
senza creanza;
e
pel cammino io ti dirò poi anco,
1240 come
a vero mio amico,
alcune
cose, acciò tu ti compiaccia
de
le fortune mie.
olindo Per or mi spiace, che venir non posso,
ma
molto di saper io goderei
1245 le
tue fortune: certo la tua taglia;[165]
e il tuo cerimoniale, e il tuo
discorso
sono
capaci di ferir le fronti[166]
de’
poveri mariti, o degli amanti.
il conte Sappi
dunque che Isaura
1250 è fatta preda mia,
e
m’ama a la follia.
Ma
so che parlo ad un amico tale
che
saprà in questa cosa esser discreto.
olindo Non dubitar conserverò il segreto.
1255 Segui
pur conte; dunque t’ama Isaura?
il conte Certo;
ma mi fa d’uopo
un
vero amico qual tu pur mi sei,
per
darmi in questo amor segreto aiuto.
olindo [(a parte)]
Questa saria più bella.
1260 [(a
voce alta)] Ma tu hai fatto
ben presto
a
concluder sì nobile amoretto.
il conte M’ha
visto a pena, ch’io le ho preso il core.
olindo Il femminile amore
picciol[167] scintilla accende
1265 e picciol’aura
ammorza.
il conte Eh
questo è di quel nato
da
natural subita simpatia.[168]
A
pena tu partisti assai sdegnato
per
veder tanta gente in casa tua,
1270 senza
aver tua licenza,
partì
ancor la contessa;
onde
restammo soli Isaura, ed io.
Qui
fe’ suo sforzo amor, qui si compiacquero
gli
occhi miei ne’ suoi occhi;
1275 e
qui s’accese, amico,
ne’
nostri petti sì cocente fiamma.
olindo Or dunque quest’amore apena acceso
s’è
fatto molto forte.
il conte Spegnerlo[169] non lo può se non la
morte.
1280 olindo [(a parte)]
Oh poveretto me! [(a voce alta)] Segui pur, dimmi:
ella
cosa ti disse, e qual ti diede
pegno
dell’amor suo?
il conte Io
spero presto un vivo pegno avere,
poiché
se non m’inganno,
1285 (ma
amico segretezza)
sua
maniera gentil, suo vivo aspetto,
sue
dolci espressioni
mi
fan certo sperare ogni gran bene.
olindo [(a parte)]
Questa cosa non può certo andar meglio.
1290 il
conte Io so ben, che tu
parte prenderai
a
le mie contentezze; e d’ogni cosa
favorevole
in questi amor novelli
che
mi segua,[170]
darotti
istruzion[171] sincera.
1295 olindo [(a parte)]
Quest’è amicizia de la buona, e vera.
il conte Sappi
ch’ella ha giurato
che
non amò mai più di me persona;
né
l’amerà più mai.
olindo Oh se sapessi qual piacere io sento
1300 ne le tue contentezze!
il conte Io
ne son sicurissimo.
Orsù
dobbiamo andare a ritrovarla?
olindo Non posso, o conte caro,
per
ora abbandonare alcuni affari;
1305 t’auguro
felicissima fortuna
in
così degni amori;
e
udirò volontier ciò che ti segua
al
proseguir del tempo.
il conte Nulla
mi seguirà,
1310 che
fedelmente noto non ti sia.
Amico
schiavo, senza cerimonie,
non ti muover di qua.
olindo Almen vederti…
il conte No, sono nemico
giurato
de le cerimonie antiche.
1315 olindo Schiavo; già de la casa sei padrone.
il conte Schiavo:
lasciami andar senza guardarmi.
olindo Ma caro conte un po’ di civiltà
l’ho
ben appresa anch’io senza esser stato
a
la corte.
il conte Lo
so, ma non ti voglio
1320 veder
incomodar né pur d’un passo.
olindo Va’ dunque come vuoi.
il conte Tien
il cappello in testa.
olindo [(a parte)]
Chi vide mai persona più molesta?
[(a
voce alta)] Lo tengo. Schiavo.
1325 il conte Servitore,
amico. (entra)
olindo Ah ch’io sono oltraggiato, e son
tradito
da
costei certamente;
ma
pur chi sa che in tutto ciò non finga!
E
chi sa che costui
1330 un
fanfaron non sia?
il conte Appunto,
amico, io mi scordava; mira, (torna fuori)
conosci
quest’anello?
olindo Egli
è d’Isaura.
il conte Tanto
ti basti: schiavo.
olindo Aspetta
un poco.
Mi
faresti il piacere di lasciarmelo?
1335 Che in legge d’amicizia
oggi
tel renderò.
il conte Ad
un amico qual tu sei, non posso
negar
qualunque cosa:
prendilo,
tel consegno:
1340 oggi
mel renderai.
Non
mi può esser più caro un diamante
di
cento mille scudi.
olindo Oggi tel
renderò con fedeltà.
il conte Servitor;
vado al corso.
1345 olindo Il cielo t’accompagni.
[(a parte)] Or la di lei perfidia è
sicurissima.
Quest’anel ch’io le diedi,
darlo
a costui del proprio amore in segno?
Oh
questo è troppo. Ah chi m’avrebbe detto
1350 che
mi dovesse sì tradir costei!
Ah
ch’io mi sento inviperir per rabbia,
e
sentomi travolger il cervello;
ah
che quel core iniquo
lo
vorria stritolar, e fare in pezzi.
1355 Così
tradirmi, abbandonarmi! Oh amore
soffrirai
tal perfidia?[172]
arsillo Amico.[173]
olindo [(a parte)] Eh che veder non vo’ più il
lume.
Non
so dov’io mi volga.
arsillo Ma amico e che ragioni?
1360 olindo [(a
parte)] Questo si è troppo, e questo è senza esempio.
Un
tanto oltraggio a me?
arsillo Amico smani? Con chi parli?
olindo [(a parte)] Teco;
che
sei… [(a voce alta)] ma mi
perdona: io sono
così
fuor di me stesso,
1365 che poco sta che a smaniar non
giunga.
Maggior
perfidia si può dare al mondo?
arsillo Narra gli affanni tuoi, fammene a
parte,
che
col narrar l’affanno
rendesi
assai più lieve.
1370 olindo È impossibil
che lieve unqua[174] si renda
la
mia grave tristezza.
A
un matto cortigiano,
a
un uom che uccide colle cerimonie
qualunqu’uomo v’incappa,
1375 a
un fanfarone, a un goffo, ad un ridicolo
Isaura…
oh ciel! Isaura dassi in preda!
E
così mi tradisce, e m’abbandona
per
una tal persona.
arsillo Eh non crediate questo: egli è
impossibile.
1380 olindo Ah che del tradimento orrido iniquo
ne[175] ho in mano un evidente,
e chiaro pegno.
Va’
Arsillo, va’, dimandami un
notaro,
ch’io
vo’ far testamento;
e
poi vo’ ritirarmi in un convento.
1385 arsillo Ah non faceste mai questa pazzia
guidato
da l’amore.
olindo La voglio far sicuro sicurissimo:
non vo’ stare
più al mondo
a
soffrir tanto oltraggio.
1390 dulino Padrone ho visto la signor’Isaura,
che…
ma con grazia un sorso di respiro.[176]
olindo Cosa faceva la signora Isaura?
dulino L’ho vista nel boschetto.
olindo Sola?
dulino Oibò: in buona compagnia.
olindo Di molti?
1395 dulino Oibò: di un solo.
olindo Va’ Arsillo
a dimandar presto il notaro.
Da
costei son tradito.
Non
vo’ più stare al mondo.
arsillo Ma adaggio, intendiam pria:
1400 dimmi:
sai tu chi sia?
dulino Io so che è bello, giovinetto e bianco.
arsillo È di questo paese, o forastiere?
dulino È
forastier, e dicon di
Bologna.
olindo È colui francamente;
1405 certo
ch’io sto per perdere il cervello.
arsillo Hai forse udito dir qualche parola?
Hai
visto qualche gesto?
dulino Ah foss’io
stato in lui;
gli
faceva carezze, e lo baciava,
1410 ed
andava dicendo: «o caro, o bello»;
né
mai cessava di tenerlo stretto.
olindo Oh mondo maledetto!
Debbo
arrivare anche a veder tai cose!
Chi
detto avria, che in quelle ciglia amabili
1415 vi
fosse tanta iniquità nascosta?
E
chi avrebbe creduto
ch’ella
non fosse d’onestade esempio?
E ancor
dubiterai Arsillo caro
del
tradimento, e infedeltà di lei?
1420 arsillo Io resto stupefatto.
dulino Ma adesso vien il meglio.
Io
che vedo da lungi essa con esso
m’avanzo,
e me ne stava
mirando
tutte quelle cerimonie,
1425 che
facean fra di loro.
olindo Cerimonie! Tu vedi.
dulino Quand’ecco ei che mi vede
incomincia
a far beb.[177]
arsillo Che vuoi dire, a far beb?
1430 dulino Incomincia a far
beb beb beb
beb beb;
ond’ella si rivolge e mi discopre;
mi
sgrida, e con malissime[178] parole
mi
fa lungi fuggire;
ma
ecco che viene, e il forestier con lei,
1435 giovine
bello, bianco, e di Bologna.
(Vien Isaura con un cagnolino di Bologna in
mano)[179]
olindo Eh tu sempre con tue burle seccanti
mi
frastorni il cervello.
Va’
a fare il fatto tuo: tu pure Arsillo
ritirati,
ti priego.
1440 [(a
parte)] Ah con qual fronte, o
cielo!
vienmi ‘nnanzi costei?
Furia
d’Averno sotto belle spoglie,
mostro
d’iniquità sotto un bel manto.
isaura Ebbene, Olindo, e la contessa ov’è?
1445 olindo Non è più tempo da scherzare omai.
È
tempo ch’io mi svegli, e riconosca
de
la perfidia in voi la vera immagine,
de
la menzogna la figura espressa,
d’empietà,
e tradimento un raro esempio.
1450 isaura Innanzi pur con questi complimenti.
olindo A che vale, o gran Giove,
che
ne le mani i fulmini de l’ira
stringa
sol per scagliarli in sen de’ monti,
e
intanto vive tradimento, e frode?
1455 E
perché scuoter l’una, e l’altra falda
de
l’universo,[180]
ma lasciare intanto,
che
regni il vizio di virtù coperto?
Sì
m’avete ingannato infino ad ora,
ma
rendo grazie al ciel, che m’ha scoperto
1460 a tempo i vostri
inganni.
isaura Hai tu finite ancor sì vaghe lodi?
olindo Fuggi pur fra le selve,
va’
pur fra le caverne aspre de’ monti,
va’
fra deserti inospiti, e selvaggi,[181]
1465 che
mai non troverai
belva
di te peggiore infra le belve.
Presso
l’onde di Stige, o presso al trono
del
tartareo tiranno[182]
l’empie
ministre de la sua vendetta[183]
1470 cedono
in empietade
a te che sei d’iniquitade un mostro.
isaura Grazie di tanti encomi,
di
sì bei panegirici; vorrei
solo
saper com’io
1475 ho
meritato tanto.
olindo Vorreste ancor farmi arrossir parlando?
La
stima ch’ebbi infin ad or per voi,
par
che il parlar mi vieti,
né
mi lascia pensare
1480 ciò
che a pensar io son pur troppo astretto.
Ah
ch’io già son sì de l’umane cose
disgustato,
ch’io voglio
il
tutto abbandonare.
Non
l’avria mai creduto, e pure è certo.
1485 isaura Io vorrei ben saper d’onde procede
la
cagione di tante, e tali smanie,
che
m’empion di spavento il core, e l’alma.
olindo Spavento eh? Vi dovrebbe far spavento
il
pensare all’iniquo tradimento
1490 ch’oggi
faceste a un vostro vero amante.
Dov’è
la fé giurata?
Dove
la fedeltà, dove l’onore?
In
darvi in preda a un forastier sciapito,
che
se ne vanta intorno.
1495 Non
avessi io mai visto
un
sì nefando giorno.
Vedere
appena un uom così ridicolo,
e
tosto amarlo, e tosto abbandonare
chi
fedelmente v’ama!
1500 Son
riserbato a veder questo ancora?
isaura Hai perduto il cervello, a quel ch’io
vedo;
né
posson provenir d’altra cagione
questi
tuoi detti, e questi tuoi trasporti.[184]
olindo Perdetti la ragion, perdetti il senno
1505 solo
allor ch’io vi scelsi per oggetto
del
mio più fino amore;
ma
non lo perdo io no nello scoprire
l’infedeltade, e i tradimenti vostri,
nel
levare il mio piè da le catene
1510 fra
cui sinora mi teneste avvinto.
isaura Ma se tu vuoi che la ragion sia
guida
di
questo tuo discorso,
parla più chiaramente.
Per
me ti dico che allor quando entrai
1515 oggi
in maschera in questa stanza, io vidi
te
per le mani la contessa avere:
questa
è forse mia colpa? Io già non dico
che
questa fosse grave colpa in te,
ed
essere potea sol civiltà:[185]
1520 lo
voglio creder, ma frattanto anch’io
o
per scherzo, o per giuoco, o per provarti
presi
il conte per mano, e ballai seco.
La
gelosia sol è prova d’amore,
né
udii mai dir che sia la gelosia
1525 tradimento,
empietà, mostro d’Averno.
olindo Oh come ben le donne
a
finger son perfette, e a tesser frodi.
Son
io quel ch’ha fallato,
il
traditor son io.
1530 Ma
quest’anello, e la giurata fede
al
forastier, ed il promesso amore
è
scherzo, è giuoco, e amabil gelosia?
O
pure è fellonia?
isaura Io amore, io fede, io quest’anello
ho dato
1535 a
quel conte ridicolo?[186]
olindo Ma la pruova
è pur chiara.
L’anello è pur lo stesso
ch’io
diedi a voi di vero amore in segno.
E
questo oggi ha servito
1540 per
tradir me, per amar lui di pegno.[187]
Questo
già non m’inganna: il fatto è chiaro.
isaura S’io diedi al conte quest’anello, o
ad altri
pera
per me la luce,
tosco
divenga l’aura ch’io respiro;
1545 m’odino
i numi, m’odi
tutta
l’umana gente,
ed
infin m’odi Olindo,
che
d’ogni mal sarebbe il mal più grave
ch’aver
io possa in terra.
1550 olindo E come dunque escito
è
da le vostre mani?
isaura Io l’ho, per dirvi il vero, oggi
perduto,
e
me n’accorgo adesso solamente.
Ma
t’assicuro ben che altrui nol diedi.
1555 olindo Eh che queste son fole,
né
son sì pazzo a creder facilmente
a
le vostre parole.
isaura Com’è dunque così, seguite pure
la
vostra fantasia,
1560 già
che siete capace
di
creder che in me regni
tradimento,
e bugia.
E
già che in mano quell’anello avete,
tenetel pur, che meco aver non bramo
1565 vostra
memoria alcuna.
Addio
signor Olindo.
olindo Aspettate signora, un motto solo.
isaura Eh siete troppo facile a sdegnarvi,
ed
a lasciarvi trasportar dall’ira.
1570 Auguro
a voi più fortunati amori,
e
amante più fedele, e più costante,
che
non doni gli anelli ad altro amante:
addio.
olindo Signora, non partir sì
tosto:
vediamo
pria dov’è l’inganno in fonte.
1575 isaura Eh no, ch’io son mostro d’Averno
orrendo,
sono
perfida, iniqua, e senza fede.
Cercate
altrove pur miglior fortuna,
degna
più de le vostre inclite idee,
e
de le doti eccelse
1580 onde
fornì natura il vostro core.
Ad
uom così ben fatto, ad uom di tanto
merto, per una che si perda, o fugga
se
n’appresentan mille.
olindo Ma mille, e mille donne
1585 Non
mi daran quella ch’io onoro, ed amo;
come
in ciel mille stelle
non
formeranno mai del sol la luce.
Deh
perdonate i miei trasporti, nati
da
gelosia, che dell’amore è figlia.
1590 isaura È troppo pronta questa gelosia
per oltraggiar chi già la fé vi diede.
E
qual ragione avrei di finger vosco
s’altro
amor m’accendesse?
Non
ho libero il cor, libera l’alma?
1595 Chi
v’è che mi costringa
a
tessere menzogne?
Sarei
fors’io la prima
che
lasciasse d’amare
dopo
di aver amato?
1600 Ma
non mai gelosia, né amor permise
che
s’oltraggiasse la persona amata.
Vidi
io pur la contessa appresso a voi;
Amor
con gelosia ponsemi il core,
ma
però d’oltraggiarvi io non ardii.
1605 olindo Oh
ciel! Voi gelosia
per
la contessa avere!
Io
ch’in terra non amo
che
il vostro bel sembiante, e la mia fede;
io
che solo per voi vivo, e respiro,
1610 potrei
mai da quell’orride, e sciapite
filosofiche
ciancie
de
la contessa a la sua rete cogliere
lasciar
il piede mio?[188]
Ah
che vorrei piuttosto
1615 ne la caverna entrar d’orrido monte,
o
in riposto deserto, o in valle oscura,
e
passar ivi i miei funesti giorni,
che
mai entrar ne’ lacci di una donna,
la qual parli latino.[189]
1620 [(a parte)] Oimè che ancora viene[190]
questo
conte seccante,
cerimonioso,
e matto.
il conte Signora
Isaura a le vostr’orme appresso
corsi
finor, né v’ho trovata mai:
1625 ma
infin la sorte mia,
e
il ciel propizio a’ caldi voti miei
fa
che vi trovi al fine,
e
che possa umiliare a’ vostri piedi
i
miei umili ossequi,
1630 tal
che ogni mio rispetto
si
dà il sublime onore
di
dichiararsi vostro servitore.
isaura Serv…
il conte E
dovunque rivolgete il passo,
benché
non siavi appresso
1635 però
dietro vi corre il mio rispetto.
isaura Sign…
il conte Io
v’accerto, o mia signora, intanto,
che
d’ora in avvenire
non
sarete mai sola,
ma
avrete sempre accanto
1640 il
rispetto, l’ossequio,
la
venerazione
del
vostro servitor Monte Fiascone.
isaura Sign…[191]
olindo Deh
lasciate: non ha ancor finito
il
suo cerimoniale,
1645 che
se non è un quinterno[192]
lo
casseran dai libri de la corte.
il conte Amico
perdonate,
ch’io
non v’avea veduto.
olindo Ah per l’amor del ciel non cominciate
1650 di
cerimonie un leggendario[193] nuovo.
il conte Ma
il mio dovere…
olindo Amico,
se
tu sapessi quale inimicizia
ho
contratto con quelle maledette
cerimonie,
da che m’hanno voluto
1655 far
da la scala a tombolon cadere,[194]
mi
faresti il piacere
di
conservar quelle che vuoi far meco
per
qualch’uno che cogli
dopo
di me a ragionar con teco.
1660 il conte Com’è
dunque così più non rispondo;
vorrei
ben che sapesse tutt’il mondo
che
il mio dovere di saper non lascio.
Ma
voi signora mia deh compiacetevi
Che
un vostro servitore…
isaura Adaggio conte.
1665 olindo [(a
parte)] Queste son cerimonie de la corte.
il conte Ah
lasciate che almeno un cor che v’ama,
un
core che vi onora
non
resti privo di quel bel sembiante
che
solo può piacere agli occhi miei.
1670 isaura Per
certo conte mio tu l’hai fallata.[195]
Ben altre
troverai cortesi, e belle
degne
assai più di me degli amor tuoi.
il conte Deh
non vogliate tormentar un core
per
voi ferito da l’arcier Cupido.
1675 Lascia
ch’io baci questa man d’avorio
o
mia diletta Isaura.
isaura No,
state al vostro loco.
il conte Ah
che dovea natura
farvi
meno gentile,[196]
1680 o
pur dovrebbe amore
farvi
meno crudele.
olindo Ma perché devi lamentarti, o conte,[197]
d’amore;
se la bella
che
tu dici d’amare
1685 te
l’ha già data[198]
in preda?
il conte A
me?
isaura Chi dice questo è un
mentitore,
è
un indegno, ed un vile.
olindo Conte, questa è per voi.
il conte Per me non certo.
olindo Ma quest’anello appunto
1690 conte
prendete; io ve lo rendo; ed auguro
esito
fortunato
a
così bel principio.
isaura Quest’anello! Egli è mio;
e
me l’avrà rubbato un qualche ladro;
1695 e
come mai ne le tue mani è giunto?
olindo Il conte me l’ha dato,
ed
è passato a lui da man gentile.[199]
isaura Sarà stata una man perfida, e rea;
la
man di un qualche furbo,
1700 che
a me l’abbia levato, e dato a lui.
il conte [(a parte)] Oh che imbarazzo è questo in cui
mi trovo!
isaura D’onde l’avesti tu? Chi fu l’infame
ladro
che a me lo tolse?
olindo Ma conte, non l’avesti
1705 di tue fortune, e tuoi
amori in pegno?
il conte Certamente:
[(a parte)] ma amico,
non
ragionar di questo.
isaura Conte, vorrei saper, chi ve lo
diede?
olindo Io già lo so, che me lo ha detto il
conte.
1710 il conte Ma
non lo dir: passiamo a parlar d’altro.
isaura Io voglio pria saper chi fu l’indegno,
che
ti diè quest’anello.
il conte Saria
troppo indiscretto;
permettete,
o signora,
1715 che
questo io taccia, ed in segreto il tenga.
olindo Ma signora a che far tai cerimonie?
Credete
ch’io non sappia,
che
voi… ma più non dico;
(il conte gli fa segno di tacere)
non
vuol ch’io parli il conte.
1720 isaura No, no parlisi
pur ch’io ‘l vo’ sapere.
E
dico intanto ch’è un indegno, un vile,
un
mentitor colui che mai dicesse[200]
che
da mia mano escito fosse in dono.
il conte Alcun
non dirà questo certamente.
olindo Ma conte…
1725 il conte [(a parte)] Amico non parlar ti priego.
isaura Infin, perché ciascun vegga[201] che questo
anello
è sol serbato a unirmi a Olindo;
ecco
la man ti dono, e insiem la fede.
il conte Oimè!
Come resisto?
1730 Dove
mi volgo? Oh fatal colpo! Olindo
scelto
da voi dinanzi a me! Che vedo!
Ed
io debbo soffrir? Ma che far posso?
Oh
me tradito! Dunque furon vane
quelle
parole ch’oggi mi diceste?
Vane
fur le speranze…
1735 isaura
Anzi vanissime.
il conte Contessa
arrivi a tempo;
eccoti
‘nnanzi un core,
abbialo a grado benché indegno sia
olindo [(a
parte)] de la seccante tua filosofia.
1740 il conte di
quelle doti che sì ben risplendono
ne
l’alma tua; in me più che un amante,
un
fedel servitore a fianco avrai.
Sarò
qual più vorrai scudiero, o scudo,
corrazza, pettabotta,[202] o a petto nudo.
1745 Sempre
m’avrai costante,
sempre
fedele a’ cenni tuoi, contessa,
mia
donna, mia sovrana, o sposa, o amante.[203]
E
ben vedrai… ma il servo tuo sen viene
1750 Molto
velocemente.
(Battista viene correndo, e cade nell’entrare)
battista Padrone,
ho fatto mostra di cadere.[204]
il conte Ebben cos’hai da dirmi?
battista Che
bisogna partir per
il conte Perché
debbo partir?
battista Perché quest’aria
è
cattiva per noi.
1755 il
conte Come è
cattiva?
Parlami
chiaro pur, cos’è seguito?
battista Male,
signor; quest’aria è cattivissima.
il conte Cosa
seguì di male?
battista Padron,
facciam bagaglio, e per le poste,[205]
1760 ma
di quelle che non si mutan mai,
torniam
nella Romagna.
il conte Tu
se’ uno scimunito.
battista Incominciate
a darmi il mio salario,
poi
vi darò la nuova,
1765 che
in ver Bologna dee farvi trottare.
il
conte Non mi tener sospeso
in tanto affanno.
È giunta
qualche nuova da mia casa
di
morte di parenti?
battista Peggio.
Partiam padron, fate a mio modo.
1770 il conte Presto
parlami chiaro.
battista È
venuto un brutt’uomo in vesta nera,
che
di Pluton parea l’ambasciadore,
e con voce d’orgoglio altitonante
dimanda «Olà di casa».
1775 Io
ch’avea poste a fuoco le polpette,
e
che dovea curarle
non
mi azzardava allora abbandonarle.
olindo [(a
parte)] Questo è laché, maitre d’hotel, e cuoco.
battista Quand’ecco
egli s’avanza, entra in cucina,
1780 e
mi presenta questo foglio scritto;
e dice «Il tuo padron persa ha la
lite»:
a
questo dire io mi sentii sconvolto
sì
da la rabbia, che per man l’ho preso
e
tra pezzate, e pugni
1785 dati
glien’ho quarantasette in ponto.
il conte Oh
poveretto me! Persa è la lite!
Ah
che ingiustizia indegna!
Oh
iniquità, malignità del mondo!
M’assistea chiaramente ogni ragione,
1790 e
pure l’ho perduta!
battista Non
vel diss’io padrone?
Che
la lite sarebbe andata male
col
vostro cortigian cerimoniale?
Voler
saper fin dove
1795 vi
voleva il dottor accompagnare!
Adesso v’accompagna
sin
di là di Bologna.
il conte Oh
povero di me.
battista Ma questo è
nulla.
Lascio
là le polpette;
1800 prendo
il cappello, e per trovarvi vengo;
quand’ecco
d’ogni parte
vedo
gente che viene a corteggiarmi;
il
mercadante col librone in mano,
il
barattier[206]
che un abito vi diede,
1805 il
falegname colla lista, il sarto
con
un papele[207] anch’esso; e ad ogni
passo
sempre
gente crescea nuova, e indiscreta,
chi
minacciando, chi pregando, chi
la
falda mi tirava, e chi la manica,
1810 ed
altri mi dicea: «Signor Battista
de
la partita[208]
mia ben si ricordi».
Io
andava dando lor buone parole
per
inviarli a casa,[209]
ma
alcuno non mi ha mai abbandonato;
1815 sicché
con tanta gente
chi
mi credeva un uom che va in prigione,
chi
mi credeva un alto signorone.[210]
il conte E
dov’è questa gente?
battista È
lì dabbasso, e il numero è sì grande,
1820 che
sembra che abbian posto
l’assedio
a una fortezza.
Padron
fate a mio modo,
incominciate
a darmi il mio salario;
e
poi…
(Gli parla all’orecchio)
il conte Tu
sempre scherzi.
1825 Orsù cara contessa
adesso è il tempo
che
il nostro amor si unisca in stabil nodo,
e questo cangerà le mie tristezze
in
vere contentezze:
indi
troverò il modo
1830 da
por rimedio, e dar buon fine a tutto.
Deh
ricevete di un fedele amante
Eterna
fedeltade, e eterno amore.
di
non poter servirvi.
1835 So
che il merito vostro è incomparabile,
so
che siete l’idea[211] de’ cavalieri,
ma[212] quando avessi a sottopor
me stessa,
e
la mia libertade ad uomo alcuno,
ad
altri sottopor non la vorrei,
1840 che
al vostro nobil giogo.
Ma
mi insegna Platone,
che
sia del mondo la più bella cosa
la
nostra libertade.[213]
il conte Questa
sì che è più bella!
1845 Di
due amanti ch’io avea, non ne ho pur una;
ho
perduta la lite,
e
non mi trovo un soldo;
i
creditori che mi aspettan fuori,
ed
io che non so più dove voltarmi.
1850 Oh
poveretto me! Che debbo fare?
Che
maledetto sia
un
sì funesto giorno.
olindo Signore
adesso è il tempo
da star con la contessa
1855 ad
imparare la filosofia;
che
allor che senza bezzi
restano le scarselle[214]
proprio
è d’andare a contemplar le stelle.[215]
battista Non
vel diss’io padrone,
1860 che
il cerimonial v’avria
costretto
a
trovarvi a malissimo partito;
perché
in questi paesi i creditori
non
fanno cerimonie, né i dottori;
ed
appresso a le donne
1865 i bezzi sono quei che
fan figura,
e
non le cerimonie.
Basta,
caro padrone,
per
me prendo licenza,
perché
se non m’inganno
1870 voi
volete in prigione
andar
per più d’un anno.
il conte Ah
scellerato, ancor tu mi abbandoni?
battista Non
vo’ servir padroni
che
faccian cerimonie,
1875 ma
che paghino pronto il mio salario.
il conte Oh
povero di me son disperato.
Allor
che l’uom felice
in
su la ruota[216]
siede,
turba
d’amici numerosa intorno
1880 giorno,
e notte si vede;
ma
se il tempo poi giugne,
che
l’instabile Dea volga sue tempre,[217]
volge
la turba adulatrice il piede,
e
lo schernisce insin chi già lo amava,[218]
1885 né
lo conosce più chi l’adorava.
battista Ed
io che già mangiai capponi arrosto,
ora anderò
a mangiar polenta, e fava.[219]
(Mentre parte il conte, e Battista, arriva Dulino con nuova mascherata di ninfe, e pastori a
festeggiare le nozze di Olindo con Isaura)
dulino E viva, e
viva, a festeggiar le nozze[220]
vengano
tutti, e dican tutti «e viva».
1890 tutti insieme E viva, e viva, e ciascun dica «e viva».
dulino In suon di tromba, e di tamburro, e piva.[221]
(Tutti cantano)
Viva
Amore, ed Imeneo,
che
ad Olindo unisce Isaura.
Viva
il gran padre Lieo[222]
1895 che lo stomaco ristaura.[223]
E
bandita
per
la vita
resti
ognor la cerimonia.
Viva
Amore, ed Imeneo,
ed
il gran padre Lieo.[224]
(Reciprocamente cantando, e ballando).
IL
FINE
Apparato
Introduzione
dell’autore
la falsità delle sue massime: emendo in «delle» il «del» a testo.
Commedia
232 Sostituisco con
la virgola i due punti del testo.
356 Ma perché, ho detto male?: inserisco una
virgola dopo perché.
476 Emendo in punto il punto e virgola finale del verso.
913-915 e intanto … per la finestra: nella stampa del 1730 al posto di «al marchesin di Santilana» si legge «ad
un signor di Danimarca».
915-916 per la finestra… filosofia: nell’edizione
1730 il testo recita: «per vie segrete / per leggere con lei / di Marone le
dolci poesie».
1045 calcò: correggo in calcò il calco della
stampa.
1282 pegno
dell’amor suo?: per evidenti ragioni di senso, emendo in suo il tuo della stampa.
1538
di vero amore in segno.: correggo in punto fermo il punto di domanda
della stampa.
Bibliografia
Opere di Giuseppe
Gorini Corio
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——————————, Il Baron polacco interrotto
ne’ suoi amori. Commedia
del Marchese Gioseffo Gorini Corio, Milano, Giuseppe Pandolfo Malatesta,
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——————————, Il Frippon
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——————————, Il geloso vinto dall’avarizia. Commedia del Marchese Gioseffo
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——————————, L’uomo. Trattato fisico-morale diviso
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——————————, Il vero cavaliere, a cura di Monica
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Altre opere citate o usate
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Zorzi, Ludovico, Persistenza dei modi dell’Arte nel testo
goldoniano, ora in Id., L’attore,
[1] come già dissi: si veda almeno, nello stesso Teatro tragico e comico che ospita Le cerimonie, L’esamina dell’Ecuba
(la prima tragedia ivi raccolta), I vol., p. 62.
[2] nel serio: nel genere serio, cioè appunto nelle tragedie e nei
drammi per musica.
[3] nel ridicolo: nel genere comico (commedie, farse, intermezzi).
[4] bessaggini: «Astratto di Besso, e vale Sciocchezza,
Scipitezza, Scimunitaggine, Scempiaggine, Balordaggine» (Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze, Domenico Maria
Manni, 1729-1738; d’ora in poi Crusca 1729-1738).
[5] gastigare […] costumi: traduzione letterale di un motto latino (castigat ridendo mores),
non oraziano, come si crede comunemente, ma coniato da Jean de Santeuil (1630-1697) per la maschera di Arlecchino (un cui
busto doveva ornare l’atrio della Comédie Française) e poi ripreso come emblema da vari teatri
(cfr. Tosi, Renzo, Dizionario delle sentenze latine e greche,
Milano, Rizzoli, 1991, p. 141)
[6] Parigi […] rappresentano: si notino la rivendicazione del valore educativo del teatro, anche
comico, a dignificare un’arte che molti volevano sbandita perché moralmente
dannosa; e il gran pregio dato a Molière, che arriverà fino al Manzoni della
nota lettera a Fauriel del 1806, con la medesima
comparazione tra Italia e Francia e i costumi dei rispettivi popoli.
[7] poemi: nel senso generico
di testi in versi. Sono la farsa Il
guascone (I, pp. 141-176) e le commedie Il
geloso vinto dall’avarizia (I, pp. 351-401), Il baron polacco interrotto ne’ suoi amori
(II, pp. 97-144), appunto Le cerimonie
(II, pp. 227-296), infine Il frippon francese colla dama alla moda (II, pp.
371-417).
[8] insensibile: impercettibile.
[9] non mai meglio ne comprenderà la bruttezza che: costruzione
sintattica ricalcata sul francese. Il ne
è pleonastico.
[10] L’insegnamento […] costretta: concetti ripresi dal Trattato della perfetta tragedia, uscito nel
[11] questo ho fatto […] recitare: si noti la duttilità dell’autore, che si piega alle
mutevoli esigenze della rappresentazione; e che però sancisce anche la
peculiarità delle Cerimonie rispetto
agli altri testi comici (cfr. Presentazione).
[12] altra penna sublime: quella del ben più noto Scipione Maffei (e non di
Molière, come ritiene Toldo, Pietro,
L’oeuvre de Molière et sa fortune en
Italie, Turin, Loescher, 1910, p. 349), la cui commedia Le cerimonie era uscita anonima nel 1727
(Venezia, Viezzieri) ed era stata ristampata nel 1729
(Bologna, Della Volpe) e 1730 (Verona, Tumermani);
ora la si legge in Maffei, Scipione, Opere drammatiche e poesie varie, a cura
di Antonio Avena, Bari, Laterza, 1928. I
rapporti tra i due testi sono per la verità labili: dalla commedia di Maffei,
senz’altro più pregevole stilisticamente e meglio curata metricamente, Gorini
Corio pare aver preso solo l’attacco contro gli eccessi di cerimoniosità (ma
senza la polemica antifrancese) e forse un paio di spunti, che verranno
segnalati ad locum. Il Misanthrope (1666)
dell’ammirato Molière è poi una commedia dalla quale Gorini Corio attinge
«molti particolari», che indicheremo, anche con l’aiuto del citato Toldo (cui
si deve la più attenta analisi dei rapporti tra le commedie dei due), ma «non lo
spirito» (Natali, Giulio, Il Settecento, in Storia
letteraria d’Italia, Milano, Vallardi, 1955 [19291], p. 861).
[13] Il conte di Monte Fiascone: nel testo il conte è detto provenire da Bologna. Se il
riferimento è a una località reale, si tratterà della celebre e antichissima cittadina
di Montefiascone, vicina a Viterbo, negli Stati della Chiesa, e per molto tempo
frequente soggiorno di papi. Dopo un lungo declino, era appena tornata agli
onori delle cronache mondane perché nel 1719 vi si erano celebrate le nozze tra
la principessa polacca Maria Clementina Sobieski e il
pretendente al trono inglese Giacomo Stuart.
[14] La contessa di Culagna: pendant femminile, almeno dal punto di
vista onomastico, del conte di Culagna de La secchia rapita di Tassoni.
[15] creanza: buona educazione (spagnolo crianza, entrato in italiano nel Cinquecento).
[16] cruciosi: ‘fastidiosi’, accezione non attestata nella Crusca 1729-1738.
[17] stavami ier mattina: è posto il nodo
dell’azione (fino al v. 98). Sono presentate la prima coppia protagonista e
Olindo, l’ospite che, si intuisce, incontrerà presto la sua innamorata.
[18] quand’ecco un’ambasciata: inizia la descrizione del conte, identificato fin da subito per la
gestualità enfatica e convenzionale. La parola, nella modalità del racconto in flashback, propone una partitura
gestuale assai precisa e minuziosa, fin quasi a trasformarsi in didascalia
implicita.
[19] arrivami di un certo conte
di: la promozione della preposizione di (e di altre particelle atone) a tonica in decima sede, per
quanto inusuale, trovava frequente autorizzazione anche nelle Cerimonie di Maffei.
[20] giugniamo: concordanza a senso.
[21] cerimoniale: nel Seicento, «secolo in cui si dà tanta importanza alle formalità
esteriori, si trasporta il cerimoniale,
dal precedente significato di “libro che elenca le cerimonie prescritte”, a
“insieme di cerimonie” e “sovrabbondanza di cerimonie”» (Migliorini, Bruno, Storia della lingua italiana, introduzione di Ghino Ghinassi,
Milano, Bompiani, 1994 [I ed. Sansoni 1988], p. 429).
[22] alzandosi: il riflessivo è pleonastico.
[23] di geometria: cioè, calcolati minuziosamente.
[24] leggiere: allotropo (poi divenuto arcaico) di ‘leggero’; forse per attrazione del
successivo dolce.
[25] dolente istoria: riduzione comica di un sintagma tassiano, famoso perché
posto in bocca ad Erminia tra i pastori (Gerusalemme
liberata, VII 20).
[26] smorfie: smancerie.
[27] io non voglio, ei mi sforza,
alfin rimango: il
verso è un esempio di climax che pone
in una sequenza di intensità crescente il ritmo psicologico dell’azione.
[28] ne:
pleonastico.
[29] Puzza […]
e fegato, e budella: il registro
linguistico si abbassa in direzione carnevalesca.
[30] cinque quarte: quarta è la quarta parte del
cerchio; cinque quarte è quindi
iperbole per ‘gran quantità’, addirittura superiore all’intero.
[31] del pranzo il resto: anastrofe, figura piuttosto rara in un testo dalla forte impronta
prosastica. Del resto, secondo Gorini Corio «lo stile […] della commedia» deve
essere «naturale, e basso» (Trattato
della perfetta tragedia, 32).
[32] ragou: il francese ragoüt,
entrato in Italia a partire dal Seicento, in forme che variano tra la
riproduzione esatta e l’adattamento italiano, fu poi consacrato dalla commedia Il Raguet di
Scipione Maffei (1747; in Idem, Opere drammatiche e poesie varie, cit.,
pp. 165-224). Il verso avvia, secondo la modalità del racconto in flashback, una dettagliata descrizione
gestuale che scandisce ritmicamente l’azione.
[33] di cui mi sembra di potermen servire: il consueto ne
pleonastico.
[34] tondo: aggettivo sostantivato per ‘piatto tondo’.
[35] 112-
[36] 1-157 Anche il Misanthrope (Molière, Il Misantropo, introduzione, traduzione e note di Luigi Lunari,
Milano, Rizzoli, 1982, con testo francese a fronte) inizia con un colloquio tra
due amici, con Alceste che confida a Filinte sia il
suo disgusto per le cerimonie, più specificamente per l’ipocrisia, sia la sua fiducia
nella nuda verità, che lo condurrà a non difendersi nella causa che ha in
corso, fidando esclusivamente nella bontà delle sue ragioni. Se Olindo
accoglie, ma parzialmente, il primo di questi due aspetti di Alceste, il
secondo verrà ripreso da Gorini Corio nel tratteggiare il carattere del conte. ●
151-157 Arsillo sposta l’attenzione dall’eccesso di
cerimonie ai ben più gravi vizi dell’ipocrisia e della maldicenza, gli stessi
contro cui si scaglia Molière nel Misanthrope. ● colui
è un matto glorioso: Tassoni,
Alessandro, La secchia rapita,
IV, 14: «questi è un matto glorioso» (in Idem,
La secchia rapita e altri scritti poetici,
a cura di Pietro Puliatti, Modena, Panini, 1987): così
il Potta definisce il conte di Culagna.
[37] il conte del Fiascon: l’ellissi operata dal servo accentua la comicità del titolo del conte,
comicità tanto più azzeccata se si pensa che Montefiascone è patria del
celebrato vino Est est
est.
[38] son cerimonie usate: come si vede, il nemico delle cerimonie non disdegna di ricorrere ad
esse, suscitando l’ironico commento (tra sé, s’intende) del servo Dulino.
[39] 186-190 Il saluto del
conte è, come richiede il personaggio, una tipica arguzia concettosa barocca,
ricca di omoteleuti, di polittoti, di ripetizioni tal
quale, imperniata attorno ai lessemi chiave onore
e servire.
[40] Sono le grazie sue furori
miei: probabilmente la battuta è pronunciata tra sé da Olindo, come parrebbe
indicare il sostantivo furori (a meno che non sia un lapsus del
protagonista, che dice la verità dei suoi furori, anziché la cerimonia
dei finti favori, parola che il contesto imporrebbe e che è stata usata
al v. 184); in tal caso, il verso successivo potrebbe essere letto così: Eh, non doveva tanto incomodarsi.
[41] Conte, conte, che c’è?: il dialogo assume ora (fino al v. 309) la forma di una conversazione di
maniera che mette a confronto la vacua cerimoniosità del conte, la boria della
contessa, il buon senso naturale di Olindo.
[42] lasciam le cerimonie da parte: cerimonïe
pentasillabo.
[43] sedo: monottongazione decisamente
inconsueta (ipercorrettismo esemplato sul toscano?).
[44] La contessa si
rivolge al conte con il tu, ma al v. 240 passerà al voi, per poi tornare al tu
al v. 414; oscillazione che riapparirà in altri punti del testo, anche in bocca
ad altri personaggi.
[45] Nonostante: ciò nonostante, nondimeno.
[46] di question
scolastiche, e dogmatiche: endecasillabo (sdrucciolo)
grazie a dieresi in questïon.
[47] Ora tocca ad Arsillo praticare le ‘cerimonie’, e proprio nella forma
dell’ipocrisia, da lui tanto vituperata in precedenza.
[48] 295-299 La battuta, più che contro le donne
istruite, che proprio nel Settecento cominciavano a diventare numerose e socialmente accettate, è contro l’ipocrisia di chi
vanta un sapere che non ha.
[49] Newton: ossitono, alla francese.
[50] doppie: «Sorta
di moneta d’oro, lo stesso che Dobla» (Crusca 1729-1738; ha il valore di due scudi e fu coniata in Italia
a partire dal sedicesimo secolo.
[51] 301-305 La contessa
intende mostrarsi all’avanguardia anche nel sapere scientifico e cita quindi le
scoperte di Newton, che si stavano diffondendo in tutta Europa (si ricordi che
il Newtonianesimo per le dame di Algarotti uscirà nel
1737), ma subito dopo rivela la superficialità e arretratezza delle sue
competenze, dichiarando di aver risolto il problema della quadratura del
circolo.
[52] inezie: «Sciocchería, Sproposito» (Crusca
1729-1738).
[53] maitre d’hotel: maestro di casa, maggiordomo. Il verso è senario tronco, a meno di
supporre una non impossibile ma certo infrequente dialefe tra sarà e il, o una pronuncia bisillaba (italianizzata, quindi), di maitre.
[54] Come non hanno viaggiato un poco: poiché non hanno viaggiato neanche un
po’.
[55] dimandar: chiamare.
[56] Lucca: Luca.
[57] 335-341 Al di là dell’etimologia, una fin troppo nota, l’altra vacillante,
conta la rivendicazione della dignità della poesia, già sostenuta con forza nel Trattato della perfetta tragedia (pp.
52-56). Certo, in bocca della contessa l’argomento è degradato a termine di
paragone di una questione ben più frivola…
[58] non vale un iotta: non vale nulla. Iota è la nona lettera dell’alfabeto
greco, che si rappresenta con il segno più semplice; da qui la locuzione.
[59] carrozziere: la Crusca del 1729-1738 offre
significativamente due accezioni del termine: «che guida la carrozza, lo stesso
che Cocchiere»; «Oggi Carrozziere dicesi per lavoratore di carrozze».
[60] credenziere: «oggi più comunemente si dice
Colui, che ha la cura della credenza» (Crusca
1729-1738).
[61] antico: antiquato, disusato.
[62] 386-388 La contessa dimostra di essere una lettrice, anche se il suo canone
è ristretto e poco ‘moderno’.
[63] Boccacio: se non è errore di stampa, la storpiatura enfatizza la presuntuosa
ignoranza del conte.
[64] testoni: il testone è una «Spezie di moneta d’argento di
valuta di tre giulj» (Crusca 1729-1738); qui, genericamente per ‘denaro’.
[65] come
Pulcheria Marciano amava:
Pulcheria, nata nel 399, una volta succeduta al fratello Teodosio come
imperatrice d’oriente (450), concesse la sua mano a Marciano per averne un
aiuto nel disbrigo degli affari del regno, ma a condizione di vivere in castità.
Morì nel 453 e venne proclamata santa col titolo di vergine (cfr. Moroni, Gaetano, Dizionario di erudizione
storico-ecclesiastica da s. Pietro sino ai nostri giorni specialmente intorno
ai principali santi ..., Venezia, Tipografia Emiliana, 1840-1861, vol. LVI, 1852, ad vocem Pulcheria). L’endecasillabo può tornare solo a prezzo di una dieresi
(non impossibile, ma certo ardita) su Marcïano o su Pulcherïa.
[66] e come […] torrello: il primo verso di Olindo è sul registro stilistico impostato dalla
contessa, il secondo fa registrare un brusco abbassamento di tono, a mostrare l’universalità
della legge d’amore e a riportarla al livello della corporeità, con l’intenzione
di ridicolizzare la teoria filosofica e di ironizzare sia sulla cultura di cui
si vanta la contessa sia, forse, sulla contraddizione fra le enunciazioni
teoriche di lei e i suoi comportamenti pratici.
[67] platonisti: mentre il platonico
del v. 469 è termine d’uso, benché non registrato nella quarta edizione del Vocabolario della Crusca, platonista
(sostantivo o aggettivo), è molto raro: non è improbabile una sfumatura comica,
ad accentuare la saccenteria e l’ignoranza della contessa, ma non si dimentichi
che il suffisso -ista è molto produttivo nel Settecento (Migliorini, Storia della lingua, cit., p. 517).
[68] ma sarà amor platonico? [...] vender finocchi: l’inserzione
di sapore filosofico che qui si apre interrompe l’azione e introduce un ‘dialogo
a tema’ che si configura come una pausa tra il riflessivo e il faceto. ● 481-495
La tirata di Olindo desinit in piscem,
come si conviene al registro comico e al personaggio, che vuole evitare il rischio
della seriosità, in un discorso che tuttavia richiama con vigore l’importanza
della bellezza fisica e le ragioni del buon senso; tanto da dar vita a due
versi (491-492) di cantabile musicalità, che spiccano nel registro
sostanzialmente prosastico dell’opera. ● vender finocchi: infinocchiare. Cfr., in questa stessa collana, Gorini Corio, Giuseppe, Il vero cavaliere, a cura di Monica
Bisi, Venezia-Santiago de Compostela, lineadacqua,
2013, I, 9.20 e nota.
[69] padre / del collarino bianco: formula troppo generica per stabilire
se si tratti di un riferimento a un preciso ordine religioso o di una metonimia
generica per ‘uomo di Chiesa’.
[70] quel civile amor canonico: cioè, l’amore normale in società.
[71] 502-515 Sonetto su
rime sdrucciole a schema ABAB ABAB CDC DCD. La
polemica contro l’amor platonico (all’incirca visto come lussuria travestita) è
molto diffusa, al tempo: ad es. la fa propria il carmelitano calzato Teobaldo
Ceva (1697-1746) nelle sue fortunatissime antologie (Scelta di
sonetti con varie critiche osservazioni ed una dissertazione intorno al sonetto, Torino, Gio. Francesco Mairesse all’insegne
di S. Teresa di Gesù, 1735 e Scelta di
canzoni de’ più eccellenti poeti antichi, e moderni compilata e corredata di
critiche osservazioni per uso della studiosa gioventù, Venezia, Bassanese,
1756, postuma), prendendola a sua volta dalla Perfetta poesia italiana (Modena, Bartolomeo Soliani, 1706) di
Muratori.
[72] Impossibile
identificarlo nell’infinita progenie degli improvvisatori settecenteschi; non
mi sento di escludere che sia lo stesso Gorini Corio, che nella lettera a
Muratori citata nella Nota metrica
vanta le proprie qualità di poeta all’improvviso e che anche subito dopo pare
citare sé stesso.
[73] 525-535 Nel Trattato della perfetta tragedia Gorini
Corio insiste in più punti sulla necessità che la tragedia abbia caratteri di
maestosità e di grandezza, in qualche caso proprio abbinando i due aggettivi;
meno frequente la richiesta di sublimità, mentre non trovo riferimenti alla fortezza. Ma credo che tanto basti, in assenza di
altri dati, a ritenere plausibile l’identificazione del «nostro tragico»
(v. 525) con lo stesso Gorini Corio, anche se in tal caso l’elogio dei vv. 536-538 non potrebbe definirsi un esercizio di
modestia.
[74] 516-546 Si
apre una discussione filosofico-letteraria sulla tragedia che rallenta di
nuovo l’azione.
[75] del vero: in verità, davvero. Olindo prosegue il suo controcanto smitizzante, ad
uso del pubblico.
[76] Quelle […] cortesia: il
conte riprende lessico e concetti già stilnovistici.
[77] saldo in barca: espressione diffusa tra Seicento e Settecento, che vale ‘stai attento’, ‘stai saldo’.
[78] allora / che: allorché, quando.
[79] 1-573 Si apre la
macro-scena il cui protagonista è il conte, al quale è assegnato il ruolo di
polo attanziale fino al v. 573. All’interno di questa unità scenica è possibile
individuare tre micro-scene: la cerimonia della sedia, il dialogo con Battista
e la discussione sul nome. ● Ecco
che arriva: quinario (unico nella commedia). L’arrivo della mascherata
interrompe quella che potrebbe definirsi la prima mascro-scena
della commedia, imperniata sul personaggio di Olindo, attorno al quale qui
ruotano tutti gli altri; e introduce la seconda, il cui cardine è costituito
dalla figura di Isaura.
[80] La scena è ora
occupata da maschere e da musicisti. La didascalia fa pensare a un vero e
proprio intermedio, che interrompe l’azione verbale con un’azione cantata e
danzata. L’intermezzo introduce un incremento della peripezia (con l’arrivo di
Isaura) e un primo equivoco («i complimenti amorosi, e muti» fra Isaura e il conte).
[81] siate: congiuntivo per ipercorrettismo cerimonioso, vien da dire; congruente,
del resto, all’inusuale ricorso di Olindo ad anastrofi e sintassi complessa,
con la quale egli dà il via al proprio corteggiamento (subito troncato da
Isaura che si smaschera).
[82] compire: complimentare (ispanismo, da complir/cumplir, entrato nel Cinquecento assieme a complimento/cumplimiento).
[83] Ecco quella: si deve immaginare che la battuta sia pronunciata
indicando la contessa.
[84] che:
poiché.
[85] Il conte dà vita ad una sorta di parafrasi comica della celeberrima arietta
di Enea nella Didone abbandonata
(1724), con le regole del cerimoniale che prendono il posto del dilemma tra
amore e dovere (in Metastasio, Pietro, Didone abbandonata, in Idem, Opere, a cura di Mario Fubini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968, I, xviii).
[86] quia nemo impossibili tenetur: la
contessa, amante del latino, del greco, dell’ebraico (v. 295), storpia il noto
precetto giuridico ad impossibilia
nemo tenetur.
[87] seccaggine: qui nel senso di ‘persona seccante, fastidiosa’, accezione non registrata
dalla Crusca 1729-1738.
[88] voi fate […] lume:
cioè, la rendete invisibile con la vostra luce. Il senso richiederebbe una
pausa più forte al termine del verso.
[89] tener parola: mantenere la promessa (di dargli in sposa la donna più bella).
[90] quella nave: sulla quale Paride condusse Elena a Troia.
[91] adoratore: parola già italiana, ma che svela l’influenza francese nel significato
iperbolico in cui è usata (Migliorini,
Storia della lingua italiana, cit.,
p. 520).
[92] secca: dopo la dichiarazione d’amore in piena regola, con
tanto di elogio iperbolico, dei vv. 621-641, il conte
riprende anche il lessico di Isaura, che aveva definito la contessa una seccaggine (v. 618).
[93] 600-667 Altro esempio
di una conversazione di maniera (di ‘cerimonia’) fra il conte e la contessa.
[94] 668-692
Concitata sequenza dialogica, in cui i due attori recitano in parte in
sticomitia, in parte in disticomitia. Il ritmo
incalzante e veloce della conversazione contribuisce all’efficacia della
rappresentazione e richiede per contro una certa bravura recitativa.
[95] papele: spagnolo ‘papel’: carta, documento.
[96] 702-747 Ancora una
declinazione del dialogo nella forma della conversazione salottiera e mondana.
[97] d’Aristotele […] morale: come di consueto, l’autore ironizza sull’ignoranza di coloro che
millantano di conoscere a fondo la filosofia e di prenderla a modello dei
comportamenti sociali. Rappresentante della categoria è in questo caso
la contessa, che attribuisce ad Aristotele una dottrina non sua, derivante da
un’interpretazione semplicistica, ma molto diffusa, delle posizioni platoniche.
Aristotele, infatti, né si occupa esplicitamente di amore (parla di amicizia
nell’Etica Nicomachea),
né sostiene che si debba disprezzare il corpo dell’uomo.
È Platone che, giusta l’insegnamento socratico, invita a trascendere la
dimensione della materia e a curare l’anima piuttosto che il corpo, anche se
questo non significa che la corporeità sia da disprezzare: nella celebre scala
d’amore proposta da Diotima nel Convivio, è proprio l’amore dei corpi belli il primo dei ‘gradini’
da salire per giungere all’amore del Bello in sé. La contessa dunque commette
diversi errori: non solo sovrappone maldestramente Aristotele e Platone, ma
equivoca anche la posizione platonica e, come se non bastasse, confonde la
funzione sensitiva dell’anima, che secondo lo Stagirita l’uomo ha in comune con
gli animali, con la componente fisica dell’uomo stesso, facendo così coincidere
dimensione materiale e dimensione spirituale.
[98] rara: rada, leggera. I versi 784-785 sono una collezione di luoghi e lessemi
topici per indicare la fugacità dell’esistenza.
[99] 778-795 La contessa
approfondisce la questione del disprezzo della materia e del corpo esponendone
delle ragioni che trovano la loro origine nella filosofia presocratica: l’osservazione
fenomenica attesta già dai tempi di Parmenide che tutto ciò che è divisibile in
parti (cioè la materia) è sottoposto a divenire, cambia nel tempo ed è
destinato a perire. Di qui la ricerca di un principio che permanga, che resti
saldo a dispetto del cambiamento, ricerca che muove la riflessione filosofica
in particolare di Parmenide, di Eraclito e degli Atomisti prima delle più
complesse intuizioni di Platone. In questo caso il personaggio espone, in
generale, una tesi storicamente sostenuta, ma ancora una volta non la
attribuisce al filosofo giusto; anzi, a colui che ha meditato a lungo per
scardinarla.
[100] Io, signora […] gente: la
battuta di Isaura rispecchia, per stile e concetti, la dichiarazione di Olindo
ai vv. 481-495. Davvero i due sono fatti l’uno per l’altra.
[101] a scoprirvi […] m’aggrada:
ordina così: m’astringe a scoprirvi pur ciò di cui non m’aggrada ragionar.
[102] sabato […] gente virtuosa: i due fuori
scena, temporale e spaziale, aprono la commedia oltre le pareti della casa di
Olindo e la breve durata temporale dell’azione.
[103] ne:
pleonastico, come altrove.
[104] galante: l’aggettivo (qui sostantivato) «è entrato in italiano nel ‘400, dal
francese, ma non senza concomitanti influenze spagnole» (Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., pp. 395-396), e dal francese
prendendo in seguito anche il senso di ‘innamorato’; era usato inizialmente per
gli uomini.
[105] aria: espressione, atteggiamento, modo di fare.
[106] ballarino: maestro di ballo.
Si ricordi che «il dolce / mastro che i piedi tuoi come a lui pare / guida, e
corregge» è ospite sempre gradito al giovin signore: Giuseppe Parini, Il Mattino (1763), vv.
169-177.
[107] nell’interno: nel cuore, nell’animo.
[108] il vostro partito: le vostre parti.
[109] e come […] morale:
altra auctoritas
invocata a sproposito, non essendoci rimasta di Anassagora alcuna opera; e
trattandosi, del resto, di ovvietà.
[110] ragionar: argomentare.
[111] e quei merletti […] prospetto: il racconto
in flashback offre un ritratto
indiretto dell’audace abbigliamento tradizionale della dama settecentesca. ●
prospetto: veduta, vista.
[112] conversazione: qui, l’insieme delle persone che conversano insieme.
[113] sotto via: di nascosto.
[114] in quali […] tormenti: si
noti l’arguta climax (pene, angustie, tormenti).
[115] scoprirsi: scoprirci (-si per -ci
probabilmente per influsso dialettale).
[116] Quella Culagna: si
noti anche qui, come già per Monte Fiascone al v. 158, l’abbassamento di tono, insito nel nome ma valorizzato dall’ellissi del titolo nobiliare.
[117] l’umane cose: sintagma già petrarchesco e poi frequentemente ripreso.
[118] sentimento: nel significato più ristretto di ‘modo di sentire’, ‘opinione’,
non in quello più ampio, che diverrà prevalente di lì a qualche decennio, di
facoltà opposta alla ragione.
[119] e intanto […] per la finestra: un fugace ma malizioso fuori scena spaziale che appanna l’immagine
rigorista che la contessa vuole dare di sé. Nella stampa del 1730 il «al marchesin
di Santilana» era un più esotico (di quell’esotismo
nordico allora à la page) «ad un signor di Danimarca», poi sostituito, forse
anche per un tocco di realismo, visto che il marchesato di Santillana
esisteva effettivamente in Spagna. E col nome di marchese di Santillana era noto in Italia lo scrittore spagnolo Íñigo López de Mendoza (1398-1458).
[120] per la finestra […] filosofia:
nell’edizione 1730 il testo era diverso (cfr. l’Apparato). La lezione definitiva
acquista decisamente in malizia.
[121] 822-932 Questa parte
del duetto tra la contessa e Isaura è esemplata sull’inizio della quarta scena
(non quinta, come indica Toldo, L’oeuvre de Molière, cit., p. 351) del
terzo atto del Misanthrope.
[122] Ci bisogna […] moleste: è
la sesta delle sette opere di misericordia spirituali: sopportare pazientemente
le persone moleste. Ai precetti di Aristotele e Platone della ‘sapiente’
contessa, Isaura oppone i più noti e più pratici precetti della Chiesa.
[123] altrui […] sui: diffusa
regolarizzazione di una originaria (e consentita) rima siciliana.
[124] Con questo verso
inizia la seconda macro-scena, quella imperniata sulla contessa. La prima ‘scena’
la mostra impegnata con il conte, la seconda (dal v. 1119) con Isaura. La sincera
confessione del suo interesse venale funge da cerniera con la macro-scena
precedente.
[125] lo incontri: gli vada incontro. Ennesima variante sul topos dell’uomo che vede il male che lo sovrasta e, non che
evitarlo, lo affretta.
[126] il tuo inganno […] ingannar: raffinata
antanaclasi della contessa, che riprende il m’ingannava
del conte, usato nel senso di ‘sbagliavo’ e lo volge al significato di
imbroglio.
[127] granciporro: strafalcione (granciporro è il nome di alcune specie di granchi). Il
termine era stato portato agli onori letterari da Francesco Berni nel Capitolo del prete da Povigliano
(in Idem, Rime, Milano, Mursia, 1985, 131-138).
[128] e ciceroniane; onde de l’altre: dieresi su ciceronïane.
[129] Chi mi ama […] affetti:
dopo che la contessa ha rivelato agli spettatori che punta al patrimonio del
conte, il conte dichiara la propria indegnità, piegando la cerimoniosità al
servizio di un preciso obiettivo, quello di scoraggiare la contessa per potersi
dedicare ad Isaura.
[130] questo sol […] non adulare:
doppia negazione, che afferma il contrario di quel che il conte vuole dire. E
infatti subito dopo la contessa smaschera il suo comportamento: non di
adulazione si tratta, ma di finzione.
[131] poich’è: sciolgo in questo modo il poiché della stampa.
[132] spirito gentil: fortunatissimo sintagma petrarchesco e poi generalmente
lirico.
[133] 1002-1019 Il conte dimostra di aver ben appreso la lezione della contessa
sull’amor platonico e le offre il proprio, riservando quello «canonico» ad
Isaura, che ne è una sostenitrice e che gli piace molto di più, come si capisce dalla
descrizione, per quanto topica, dei vv. 1013-1015.
[134] la più bella, e nobil parte: appunto «l’alma».
[135] per cui: attraverso cui, per mezzo di cui.
[136] 1020-1048 Vedendosi
respinta in nome dei suoi stessi principi amorosi e temendo quindi di perdere
il conte (e il di lui patrimonio), la contessa imposta una palinodia, o almeno
una forte correzione, del proprio (distorto) platonismo dei versi precedenti,
per approdare ad un platonismo più vicino all’ortodossia, cioè a quanto dice in
proposito Diotima nel Convivio, come già dicevamo sopra, e a quanto sostiene anche
Aristotele nel De Anima. Insomma, la
contessa aderisce ad una più spicciola filosofia che mette insieme la necessità
di passare per la bellezza del corpo per giungere ad amare l’anima sostenuta da
Platone, le posizioni aristoteliche e le teorie empiristico-sensiste
sviluppatesi a partire dalla fine del XVII secolo. Avvalendosi poi del
sensismo, nel successivo L’uomo (L’uomo. Trattato fisico-morale del marchese
Giuseppe Gorini Corio diviso in tre libri, Lucca, s. s., 1756) Gorini Corio
avvierà «il proprio percorso dall’analisi dei rapporti fra anima e corpo
riconosciuti come due realtà di diverso statuto ontologico ma intrinsecamente
connesse nelle operazioni» (Zanlonghi,
Giovanna, «Far all’uomo conoscere l’uomo». La tragedia nella riflessione teorica
e nella drammaturgia di Giuseppe Gorini Corio, «Annali di Storia moderna e
contemporanea», 10 (2004), pp. 9-49: 14-15). Il ragionamento si colora, nel
finale, di una appassionata eloquenza, che si traduce in una serie di anafore,
anche in antitesi (Non s’ama, ma s’ama, s’ama, s’ama), e
parallelismi (la via che […] guida, l’aura che spira, la terra che calcò) che sostengono l’argomentazione fino alla
conclusione sillogistica, in interrogativa retorica (e tu non amerai / quello per cui le parli, / per cui la vedi?).
[137] 1049-1052 Le
cerimonie, ancora una volta costituiscono il rifugio del conte, che attraverso
di esse evita di prendere posizione, come capisce bene anche la contessa (cfr.
v. 1053).
[138] Ebbi buon dir […] nell’interno!:
Isaura riprende ironicamente le parole a lei rivolte dalla contessa ai vv. 847-848.
[139] Eh seguite pur voi […] così
compito: Isaura, con tono ironicamente confidenziale, concede la
preda alla rivale, dimostrandole di non essere innamorata del conte e
disinnescando la sua gelosia. È il momento della prima agnizione.
[140] Ebbi buon prender […] sua morale: altra
ripresa ironica, stavolta dei vv. 849-852.
[141] se dettar vi volesse: nel caso vi volesse insegnare.
[142] ebbi […] tant’amo!: terza citazione ironica della parole della contessa (vv.
853-854).
[143] che posta fresca: che novità, che sorpresa (la posta
fresca è la corrispondenza non ancora aperta).
[144] affetti: sentimenti.
[145] saldo pure in barca: state ferma.
[146] il ballarino,
ed i merletti fini: altra citazione del discorso della
contessa (cfr. vv. 844 e 858).
[147] Al servo Battista è ora concesso un gustoso duetto con il conte che si
prolunga fino al v. 1168.
[148] onde restiate in secco: motivo per cui resterete senza soldi.
[149] munizione: «Munizione, si dice anche alle
Provvisioni per vivere de’ soldati» (Crusca
1729-1738) e, per metonimia, i quattrini per acquistarle.
[150] bezzi: «Voce Veneziana, ma usata anche talora presso di
noi in significato di danaro in generale» (Crusca
1729-1738). A fine verso sostituisco un punto al punto e virgola della stampa.
[151] azzardare: mettere a
rischio (di disonorare).
[152] fischiate: fischiata è, «per Ischerno,
Derisione fatta con istrepito, grida, o simili» (Crusca 1729-1738).
[153] tu ridi?: la didascalia implicita
prescrive un atteggiamento del volto.
[154] ti
salta: congiuntivo ottativo.
[155] Eh,
padrone un anello in terra io trovo: un piccolo coup de théâtre introduce un nuovo equivoco: Olindo crede che l’anello,
da lui donato a Isaura, sia stato dato da lei stessa al conte.
[156] ballano,
e fan fracasso: la
didascalia implicita indica suoni e rumori di scena.
[157] Analogamente alla prima, la seconda mascherata si configura come una sorta
di intermezzo che chiude quello che si potrebbe considerare il secondo ‘atto’ e
apre il terzo con la ‘commedia di Olindo’, che torna in scena da protagonista
(cfr. Presentazione, 3.3).
[158] viva sempre il carnoval: chiara indicazione che la
commedia è stata composta per la stagione teatrale del carnevale, probabilmente
per il Teatro Ducale (cfr. Presentazione).
[159] 1179-1196 Sorta di ballata (ma sarà meglio parlare di canzonetta, o
di arietta, nonostante la presenza di una specie di ripresa, però non legata
alla stanza da alcuna rima), con due strofette di quaternari e ottonari aabccb con ritornello in ottonari xy’.
[160] Oh, questa sì che è bella: inizia la ‘commedia di Olindo’ (che si può considerare chiusa al v. 1620)
[161] E
tal rabbia […] sei bicchieri: Gorini Corio coglie con finezza la reazione di rabbia
distruttiva che si impadronisce di Olindo di fronte ad una situazione di cui è
in gran parte colpevole; ma sembra agire pure un ammiccamento all’ariostesca
pazzia di Orlando, anch’egli furioso per delusione d’amore.
[162] quel
Fiascon: cfr. nota al v. 158. ¨ ridicolo: in uso a partire dal primo Cinquecento, l’aggettivo
(anche sostantivato) assume maggiore intensità e specializzazione di
significato in seguito alla fortuna toccata alla commedia di Molière Les préciueuses ridicules (1659).
[163] si
può dare: può essere, è mai possibile.
[164] Tra il conte e Olindo inizia una lunga conversazione, che si conclude al v.
1345, durante la quale il giovane innamorato, dissimulando il proprio amore per
Isaura e la propria disistima per il conte, cerca di carpire informazioni sul
rapporto che lega i due. Il conte, naturalmente, vagheggia relazioni amorose
del tutto prive di fondamento. Siamo nella peripezia innescata dal secondo
equivoco.
[165] taglia: statura, grandezza (fisica e sociale).
[166] ferir
le fronti: colpire. Nel verso
successivo, la metafora di decezione chiarirà che non
si tratta di far colpo sulle donne, ma di ferirne gli amanti e mariti
appiccando le corna sulla loro fronte.
[167] picciol: poco usuale troncamento dell’aggettivo femminile in -a.
[168] da natural subita simpatia: endecasillabo con accento di 5ª (sùbita), da attenuare enfatizzando il precedente
accento di quarta sulla seconda a di natural.
[169] Spegnerlo: lo pleonastico.
[170] segua: succeda, capiti.
[171] istruzion: avviso, informazione.
[172] 1346-1356 Il monologo
di Olindo ci colloca nel cuore dell’equivoco causato dall’anello. Il distacco
ironico che ha caratterizzato il personaggio cede ora allo sdegno e all’ira.
[173] Amico: il verso apre una parentesi confidenziale fra i due amici, dove al gioco
delle parti sostenuto finora da Olindo, subentra l’abbandono e la delusione,
persino il fantasma del suicidio per amore (vv.
1382-1399). Il disegno del carattere di Olindo si sfuma, sebbene domini il topos dell’amante deluso.
[174] unqua: mai (lat. numquam).
[175] ne: pleonastico.
[176] un sorso di respiro: una boccata d’aria.
[177] beb: onomatopea, equivalente dell’attuale bau.
[178] malissime: raro superlativo dell’aggettivo malo, -a.
[179] cagnolino di Bologna: razza canina detta ora bolognese, molto antica e molto amata dalla
nobiltà, di piccola taglia, dal pelo bianco candido, dagli occhi scuri.
[180] falda / de l’universo: strato
geologico.
[181] inospiti e selvaggi: Petrarca, Francesco, Canzoniere, edizione commentata a cura di Marco Santagata, Milano,
Arnoldo Mondadori, 1996, CLXXVI, 1: «Per mezz’i boschi inospiti e selvaggi»,
verso che ha generato una numerosa discendenza.
[182] tartareo tiranno: Plutone.
[183] l’empie ministre de la sua
vendetta: le tre Furie.
[184] trasporti: nella Crusca (1729-1738)
trasporto è «Agitazione, o Commozione d’animo».
[185] civiltà: «Costume, e Maniera di viver civile» (Crusca 1729-1738).
[186] conte
ridicolo: Isaura dichiara il proprio
accordo con Olindo anche usando l’aggettivo che egli ha appiccicato al conte
già due volte.
[187] per amar lui di pegno: ordina così: per pegno di amar lui.
[188] a la sua rete cogliere / lasciar il piede mio?: ordina così: lasciar cogliere il piede mio a la sua rete?
[189] 1440-1619 Il dialogo assume ora la modalità dello scontro e del conflitto
verbale fra i personaggi. Olindo accusa ingiustamente Isaura e fra i due si
intesse un lungo diverbio (fino a v. 1619) che porta all’acme l’equivoco,
chiude la macro-scena centrata su Olindo e prepara il successivo scioglimento.
Lo spettatore, più informato dei protagonisti, è collocato in uno stato di
divertita suspence. Il duetto tra Olindo
e Isaura trae più di uno spunto narrativo e concettuale dalla terza scena del
quarto atto del Misanthrope
(Toldo, L’oeuvre de Molière, cit., pp. 351-352). ● che mai […] latino: Olindo replica quel
che ha già detto ai vv. 298-299.
[190] La commedia si avvia
ora verso la seconda agnizione e procede per accumulo: al triangolo
Isaura-Olindo-conte si aggiungeranno via via la contessa, Battista e, infine,
anche Dulino (v. 1888).
[191] Con Isaura determinata a portare alla luce la verità, inizia qui la seconda
agnizione (fino al v. 1725).
[192] se non è un quinterno: cioè, se non è lungo un quinterno. Quinterno è «Quadernetto propriamente di cinque fogli, e prendesi talora anche semplicemente per Quaderno» (Crusca 1729-1738), corrispondente a
venti pagine.
[193] leggendario: libro contenente leggende agiografiche, cioè
racconti della vita e della morte dei santi.
[194] far da la scala a tombolon cadere: cfr. vv. 55-56.
[195] tu l’hai fallata: l’hai sbagliata (la donna da corteggiare).
[196] gentile: nel senso della prima definizione che ne dà la Crusca (1729-1738): «Nobile
[d’animo, s’intende], Grazioso, Cortese»; e si ricordi che «Amore e ‘l cor gentil sono una cosa».
[197] Inizia l’interrogatorio con il quale Olindo e
Isaura accerchiano il conte e lo smascherano definitivamente.
[198] te l’ha già data: soggetto è amore del v. 1683.
[199] man gentile: Olindo lascia intendere che sia stata quella della gentile Isaura.
[200] un mentitor colui che mai dicesse: l’agnizione raggiunge l’acme.
[201] Infin, perché ciascun vegga: la commedia
è giunta allo scioglimento finale (fino al v. 1887).
[202] pettabotta: «Armadura di ferro, per difesa del petto» (Crusca, 1729-1738).
[203] 1741-1747 Parodia
della celeberrima allocuzione di Armida a Rinaldo (Tasso, Torquato, Gerusalemme
liberata, a cura di Franco
Tomasi, Milano, Bur-Adi, 2009, XVI, 49-50), con
ripresa letterale di 50, 1: «Sarò qual più vorrai scudiero o scudo».
[204] ho fatto mostra di cadere: Battista scimmiotta l’analoga scusa del suo padrone in una situazione
simile (cfr. vv. 202-207). Per questa situazione si
veda l’inizio della quarta scena del quarto atto del Misanthrope.
[205] per le poste: cioè, il più velocemente possibile, come ribadito anche
nel verso successivo.
[206] barattier: persona che vende o scambia merce di poco valore.
[207] papele: cfr. nota a v. 697.
[208] partita: «Partita, si dice anche a quella Nota, o
Memoria, che si fa di debito, o credito in su i libri
de’ conti» (Crusca 1729-1738).
[209] 1801-1814 Dal punto
di vista drammaturgico, la tecnica ecfrastica attribuisce grande efficacia al fuori
scena che consegna un racconto gestuale. La scena sembra memore del celebre
attacco di Purg.
VI, in particolare dei versi 4-9.
[210] chi mi […] signorone: il
parallelismo e la rima stabiliscono una maliziosa identità tra l’uom che va in prigione e l’alto signorone.
[211] l’idea: il modello, l’esemplare. La contessa ricorre al lessico
platonico.
[212] ma: l’avversativa
è in contraddizione con quanto segue. Forse si tratta di un refuso indotto dal Ma che tre versi dopo apre il periodo.
[213] Ma mi insegna […] libertade: anche in questo frangente la contessa piega la filosofia al proprio
interesse, riducendo il grande tema della libertà al piano dell’ossequio che si dovrebbe all’amante e che qui assume i
contorni di una specie di servitù. Il riferimento all’insegnamento platonico
rimanda forse al mito della caverna narrato in Repubblica VIII, o, in generale, ai dialoghi che vedono
protagonista Socrate nella veste di colui che ricerca e dice con libertà la
verità anche a costo della vita, come il Fedone,
l’Apologia e il Critone.
[214] scarselle: scarsella è una «Spezie di taschetta, o borsa di cuoio, cucita a una imboccatura di
ferro, o d’altro metallo, per portarvi dentro danari» (Crusca 1729-1738).
[215] proprio […] stelle: è il momento giusto di andare a contemplare le
stelle, come, secondo l’opinione vulgata, fanno i filosofi; non si può
escludere un’allusione al fatto di rimanere senza un tetto.
[216] ruota: della Fortuna.
[217] volga sue tempre: muti i suoi umori, le sue disposizioni.
[218] lo: si
riferisce all’uom felice del v. 1877.
[219] fava: erba annuale delle leguminose, i cui semi si mangiano sia freschi sia
secchi.
[220] E viva, e
viva, a festeggiar le nozze: si canta il lieto fine. Con l’ingresso anche di Dulino, tutti gli attori sono in scena, pronti per ricevere
l’applauso finale.
[221] piva: cornamusa.
[222] Lieo: liberatore. È uno degli attributi di Dioniso, che con il vino libera i
mortali dai loro affanni.
[223] ristaura: risana, perché al vino erano attribuite anche virtù medicamentose.
[224] Canzonetta di ottonari sdruccioli e quaternari piani dallo schema metrico
irregolare: a8”b8”a8”b8”c4c4d8”a8”a8”. L’unico verso
irrelato termina con la parola chiave del testo, cerimonia, quasi ad indicare anche metricamente l’avvenuta
esclusione di essa dal consorzio sociale.