Giuseppe Gorini Corio
Il vero
cavaliere
Commedia
a cura di Monica Bisi
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua edizioni
2013
Giuseppe Gorini Corio
Il
vero cavaliere. Commedia
a cura di Monica Bisi
© 2013 Monica Bisi
© 2013 lineadacqua edizioni
Biblioteca Pregoldoniana (I
dintorni), nº 4
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
www.usc.es/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.es
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN dell’edizione completa: 978-88-95598-27-7
La presente edizione è risultato dalle
attività svolte nell’ambito del progetto di ricerca Archivo del teatro pregoldoniano (FFI2011-23663) finanziato dal Ministerio de Ciencia e
Innovación spagnolo. Lettura, stampa e citazione (indicando nome della curatrice, titolo e
sito web) con finalità scientifiche sono permesse gratuitamente. È vietato
qualsiasi utilizzo o riproduzione del testo a scopo commerciale (o con
qualsiasi altra finalità differente dalla ricerca e dalla diffusione culturale)
senza l’esplicita autorizzazione della curatrice.
Biblioteca Pregoldoniana, nº 4
Nota al testo
Per il testo de ll vero cavaliere di Giuseppe Gorini Corio mi sono rifatta all’edizione
princeps realizzata nel 1759 dalla
stamperia milanese di Federigo Agnelli, unica edizione della commedia.
IL VERO CAVALIERE
Commedia
Tra i greci si sarebbe chiamato Mercurio, fra i romani Genio;
fra di noi Spirito famigliare quello ch’io chiamo Genio: ciascuno se lo finga
quello che più gli piace.
Queste
azioni fuor dell’umano, quando sono state degnamente maneggiate, hanno sempre
dato lustro a’ poemi.[1] Nessun romano ha mai
creduto che Enea sia disceso vivo nell’Inferno, e pure il sesto libro di
Virgilio è la più bell’opra di alcun poeta latino. Ariosto, e Tasso non sono
ancora stati raggiunti. L’ingegno umano volentieri vola su l’Ippogriffo, e
passeggia ne’ giardini d’Armida, e d’Atlante e s’accomoda a certi supposti,
benché stravaganti, ma cerca poi la natura nel seguito.
Gli uditori
nell’amabilità di Cleante comprenderanno quanto più di forza abbia una commedia
ne’ suoi vivi caratteri, che non qualunque altra lezione, per imprimere i
giusti delineamenti delle virtù e de’ vizi. Non evvi maggior insinuante che l’imitazione.
La tragedia insegna a’ principi, ma questi rari sono ad ascoltarla: la commedia
all’incontro ne’ suoi atti famigliari insegna a tutti.[2] L’avaro, in quella sola,
riconosce se stesso, a non poter dubitarne; così il superbo, e qualunqu’altro
vizioso, quando sia naturalmente dipinto. La natura è bella, ma se si vuol
trasformare non giova più, né diletta.[3]
Nella
seconda scena del Genio, ciascun vi vede Sosìa di Plauto, e l’Anfitrione del
Francese: nella scena della statoa: le Festin
de piere:[4]
ma il carattere irragionevole di D. Gio[vanni] qui è reso ragionevole in
Cleante. Come sta col vero onore, e coraggio, il violar da per tutto i patti, e
la fede? e come mai un tal empio può stare con tal baldanza dinanzi a una
statoa parlante d un morto da lui offeso, e che prosiegue con parole ingiuriose
ad offenderlo nell’onor della figlia? La natura ripugna. Come mai il
Commendatore appena morto vi si è alzata una statoa equestre? Chi la muove? E
perché? Come mai il servo timido prende tanto coraggio da portargli macheroni?
Come segue su le nostre scene? Chi può dilettarsi, anzi chi non deve sdegnarsi,
nel vedere posto al vilipendio di un temerario, e di un goffo, un oggetto così
ammirabile? Non ostanti tutti questi disordini, il meraviglioso che vi si trova
ha sorpresa ogni nazione. In questa, all’incontro, il Genio è quello che forma
la statoa per provare il coraggio di Cleante: Cleante vi sta intrepido, perché
il virtuoso nulla teme: Gradelino sempre timido rallegra la scena: così di
tutto si dà ragione, e degne di sì maestoso accidente si dicono cose, e non
parole. Nella scena de’ due matti vi si scorge altresì lo spirito di Plauto.
Una satira
delicata che corregge e non offende: un riso tratto dall’intelletto,[5] non da insipide buffonate:
l’istruzione di un degno cavaliere in tutto ciò che gli appartiene, ecco lo
spirito di questa commedia.
I versi
italiani in corsivo si tralasciano nella recita, per abbreviarla.
INTERLOCUTORI
cleante, cavalier valoroso
gradelino, suo servo goffo
pandolfo, vecchio signore
milord antron, inglese
monsieur de chicanò, francese
don nugno, spagnolo
leandro, giovine giuocatore
bacocco, suo servo
arnaldo, signor critico
dottore
genio, che si fa vedere sotto
varie apparenze
La scena è in Bologna
ATTO
PRIMO
SCENA
PRIMA
Genio.
genio Io, che genio assistente
son
della casa di Pandolfo; or devo
vegliar
sui passi di Cleante. Ei viene
per
isposar Climene
5 io scuoterò la terra, e
i venti, e il mare
io
muterò sembiante
ora
servo, or Cleante
ora
a voi stesse addrizzerommi o stelle
renderovvi
men belle;
10 e ovunque l’ira, ed il furor mi
porti
là
spignerommi, ma con forza tale,
che
dimostri ch’io sono
alto
genio immortale,
che
so d’altri servirmi
15 spiriti a me soggetti
onde
spignere fiamme,
e
metter sangue, e in nero velo avvolto
tutto
ingombrar dell’universo il volto.
Ma
Cleante non fia,
20 che mai sposi Climene,
sinché
vinto io non sia.
SCENA
SECONDA
Gradelino solo.
gradelino Oh, al fin son giunto al termine
de’
gloriosi miei, lunghi travagli:
delle
guerriere mie fatiche, fatte
col
padroncino mio signor Cleante,
5 là
nei campi di Fiandra.[6]
Adesso,
che diranno i Bolognesi,
allor
che sentiranno Gridelino
parlare
di squadron
cannon,
e battaglion
10 a droit, a gauche, en front?
Quando
poi parlerò,
di
milord Albernò,
di
Lancastr e Licestr, e Verdenstein
Virbourch,
e Pirconstein:
15 marechial
Periglion, e Chatiglion;
e
duc Pederborouc Marlaborouc[7]
diran,
quest’è ben altro
che
Quaranta Polvara;[8]
e
il marchesin Tarara,
20 io
intanto passeggiando
in
piazza San Petronio[9]
trovando parrucchini e
collarini;[10]
e
birichini,[11]
dirò loro, herdò
prené garde. Zoroch:[12] si crederanno
25 che
sia giunto il malanno.
Ma
è tempo omai di riveder Bertuccia;
e
di dare a Climene
l’ambasciata,
che giunge il mio padrone
sano,
salvo, fedele e gran campione;
30 che
in tutta Fiandra si chiamava Marte,
e
il servo Gradelino
si
chiamava Martino.[13]
SCENA
TERZA
Gradelino e
Bacocco.
gradelino Ma chi è costui,
che pare, che la ronda
faccia intorno alla casa di
Pandolfo?
Mi pare un bulo.[14] Ma facciam coraggio:
infine
io faccio conto,
5 che anche il ritiro è pronto;
e le gran ritirate
son nel mestier di guerra assai
stimate.
Chi è là?
bacocco Che vuoi tu?
gradelino Vuo’ andare in quella casa
10 a dare un ambasciata.
bacocco Chi sei tu? Donde vieni? E chi t’invia?
gradelino Oimè: costui mi par che parli brusco:
bisogna preparar la ritirata
però: coraggio ancora.
15 Son Gradelin, che viene dall’Armata.
bacocco Gradelino tu sei? Ah camerata[!][15]
gradelino Tu Bacocco? [(a parte)] Ma vuo’ tenermi su. [(ad
alta voce)]
Che camerata? Honores mutant mores.[16]
bacocco Che honores,
che mores?
20 Non sei più quel bandito
dalla vallata tua per borsarolo?
Non sei più quel poltrone
dalle osterie cacciato col bastone?
gradelino Io sono Gradelino
25 famoso per campagne, e
per vittorie.
bacocco Sì; Vittoria Tartana
tua
madre era famosa
e più famoso sei per tua
sorella
Vittoria Tartanella[17]
30 morta
co’ dadi, e col boccale in mano.
Per le campagne poi sei famosissimo.
Le campagne bresciane
t’han visto far famose baronate:
e la campagna poi di messergrande
35 t’ha
visto far famose ritirate.
Son queste le vittorie, e le
campagne
che ti rendon famoso?
gradelino Io sono glorïoso
per campagne di guerra, dove ho
avuti
40 i
primi gradi militari.
bacocco Come?
Se sei stracciato ancor
come partisti.
gradelino Vedi quest’onorata mia ferita?
bacocco La
conosco; l’avesti da uno sbirro
nell’Osteria dell’Orso
45 quando
a gebè[18] truffare lo volesti.
gradelino »[(a
parte)] Che memoria ha costui. [(ad
alta voce)] Parliam da vero.
»Io dopo tre battaglie
»ho avuti tre gran posti.
Il mio padrone
»fu
fatto generale, ed io fui fatto
50 »generale
aiutante.
»Nella
seconda ei fu
»creato
general di fanteria;
»io general tenente
»della
cavalleria.
55 »Nella
terza io fui fatto maresciallo,
»e
il mio padron niente.
bacocco »Tu mi dici gran cose;
»ma ancor ti vedo a
piedi.
»Com’hai
fatto a coprire questi posti
60 »tu, che come partisti,
»ancor
mi pari un sciocco?
gradelino »Io ti dirò Bacocco.
»Nella prima battaglia
»v’erano
tanti morti in terra stesi,
65 »e
vennero carrette più di mille
»per
caricarli, e poi condurli via:
»quando
videro me bizzarro, e pronto
»mi fu data incombenza d’aiutare
»a
caricare i carri:
70 »ed io, salta di qua, salta di là,
»per
tutto in un istante
»coprii
a meraviglia il posto di
»generale
aiutante.
bacocco »Ora capisco; hai fatto il beccamorto.
75 gradelino »Nella seconda v’erano restati
»tanti cavalli vuoti
»d’ufficiali e soldati,
»che un signore mi disse
»tieni questi cavalli, e poi questi
altri;
80 »ed io pronto per tutto
»or tenevo un cavallo per la briglia
»perché
fosse montato
»or un altro, perché
fosse ferrato.
»Salta
qui, corri là: io da per tutto
85 »l’ufficio
esercitava di tenente
»general
di cavalleria.
bacocco Mozzo
»di
stalla.
gradelino »Ascolta
ancora.
»Nella terza battaglia
»quando videro ch’io
avea imparato
90 »a ferrare i cavalli
»mi dier martello, e
chiodi
»e marescial fui fatto.
bacocco E
già t’intendo:
»marescalco.
gradelino Si
dice maresciallo.
»Tu niente intendi le lingue
straniere,
95 »e nulla sai del marzial
mestiere.
Ma mi scordavo intanto
dell’ambasciata. Or va’, Bacocco, io
devo
a
Climene parlare, ed a Bertuccia:
Bertuccia è ben fedele a
Gradelino?
100 bacocco Bertuccia,
che ha saputo
che tu eri un generale
divenuto
non
ha pensato più
d’esser degna di te.
gradelino Oimè, oimè.
Son ancor Gradelino
105 poveretto
meschino.
Ah che dici Bacocco? Oimè,
Bertuccia,
forse non pensa a me?
bacocco Tu
lo saprai.
gradelino Ah ferma: ancor m’ascolta.
Son partito suo sposo, e or più nol
sono?
110 Tu
porgimi consiglio.
bacocco La cosa, che in se stessa
non ha verun consiglio,
con consiglio guidar certo non puoi.
Chi è innamorato è matto:
115 e chi darà consiglio in
questo fatto?
gradelino Ah tu mi struggi: io moro.
Amo, ma non sono matto;
amo,
ma con ragione,[19]
amo la sposa mia.
120 Il
tuo parlar è un colpo di cannone.
bacocco Puoi dir quello che vuoi;
ma
ha tutti questi vizi amor con lui:
sospetti, ingiurie, inimicizie,
tregue,
guerre, e poi paci: ma se tali cose
125 incerte guidar vuoi
con un consiglio certo;
null’altro
sarà fatto,
che a forza di ragion diventar
matto.
gradelino No, dimmi sol se devo
130 tener
atto con lei; se mi ha tradito.
Gradelin saprà fare
a farsi alfin stimare.
bacocco Eh, che quello, che irato
addesso[20] entro di sé
135 va
dicendo in mia fé
farò, dirò, non più la
guarderò;
infin
con uno stropiacchiarsi d’occhi,
esce una lagrimetta,
che fa l’effetto appunto, che fa l’acqua.
140 L’ira
è un incendio ardente,
l’acqua lo ammorza, e spegne
facilmente:
amore è calce, che
fredda ti pare
ma se l’acqua vi arriva;
e bolle, e scotta, e vigor nuova
avviva.
145 Così
mentre a te par d’essere irato;
la
lacrimuccia l’ira ammorzerà;
e
l’amore più vivo tornerà.
O
a meglio dir, ciò che parea furore,
si scopre esser amore.
150 Addio.
gradelino Bacocco aspetta.
bacocco Altra cosa mi affretta.
Il
mio padrone giuoca allegramente,
e
da mangiar non mi lasciò niente.
gradelino Orsù, bisognerà far l’ambasciata.
SCENA
QUARTA[21]
Gradelino
batte, e il Genio in figura di Gradelino.
genio Ollà,
chi batte?
gradelino Amici.
genio Che
amici?
gradelino Gradelino.
genio E
chi sì ardito
assume
il nome mio?
Sei tu quello sfrontato? (il Genio esce)
5 gradelino Oh quest’è bella! Un altro Gradelino.
genio Parla;
chi sei, che vuoi, e donde vieni?
gradelino Io con buona licenza
son Gradelin, che vengo dalla
guerra.
genio Che
Gradelin, che guerra! Io non conosco
10 né soffro, ch’altri assuma il nome
mio.
(bastona Gradelino)
gradelino Aspetta un po’; con pace
certo non c’è mai stato
Gradelin di costui più petulante.
genio Che
parli, che borbotti?
gradelino In
buona grazia,
15 ma senza persuasive
sì brusche, e così vive:
come ho sempre creduto
d’esser io Gradelino, e l’ho creduto
in buona fede; per dissuadermi,
20 e pormi in mala fede;
dimmi chi fu tuo padre.
genio Fu
Gradelin da Tartana
della valle Branbana
morto in aria pendente
25 facendo colla testa riverenza[22]
a chi prima avea fatta
qualche mala accoglienza.
gradelino La madre?
genio Era Vittoria
figlia di ser Pasquale,
30 divota del boccale.
gradelino Costui comincia ad esser Gradelino.
Ma dimmi; qual è stato il tuo
mestiere
de’ primi anni.
genio Egli
è stato il borsarolo.
gradelino O costui nelle borse
35 era,
o nelle saccoccie, o è Gradelino
dimmi; non fosti mai colto in
fragranti?
genio Un
cavalier mi tenne per la mano
mentr’io l’avvicinava
al saccoccin pian piano:
40 e disse bruscamente: «v’hai
trovato
qualche cosa?» Risposi; «signor no.»
«Mettine», replicò: la gran sentenza
esequi all’istante
per evitar il maggior male: allora
45 ei
disse: «che c’hai posto?»
«Un zecchino», risposi, «ben pesato.»
«Va’»; soggiunse; «tu sei ladro
onorato.»[23]
gradelino Costui è certamente Gradelino.
Prima però, ch’io lasci d’esser io,
50 vuo’
ancor chiarirmi. E d’indi che facesti?
genio Son
passato al servizio di Cleante,
e seco andai in Fiandra; e nella
prima
battaglia mi nascosi
sotto un mucchio di foglie,
55 dove prima di me
vi si era coricato un uffiziale
che dicea d’aver male.
gradelino Certamente costui è Gradelino.
Ed io che cosa son? Ma però aspetta.
60 Questa
notte ove fosti?
Se tu mi dici questo;
tu Gradelino sei;
e
tu poi mi dirai, che cosa io resto.
genio Tra le quattro, e cinqu’ore
65 mi son cacciato dentro una cantina
con formaggio, e salame,
e passando dall’una all’altra botte,
e dormendo, e bevendo
ivi passai la notte.
70 gradelino Penso, ripenso, e il mio pensar non vale.
Costui o è Gradelino,
o pur era nel vino, o nel boccale.
Ma se sei Gradelino, ed io chi sono?
genio Presto presto saprai
75 chi tu fosti, chi sei, e chi sarai.
SCENA
QUINTA
Gradelino e
poi Cleante.
gradelino Dove sei Gradelino.
Entrasti
in casa o pur restasti fuora?
Sei al coperto, o sei alla serena?[24]
Ahimè, che forse in
questo punto istesso
5 quel
Gradelin tutte farà palese
di
Gradelin le imprese.
Io
nel viaggio studiato avea
il
bel modo di dirle fra di me;
ed
era ei stesso che le studiava,
10 e
le dicea fra sé.
Ma
il peggio è, ch’or io taccio ed ei le dice.
Che
devo; oh me infelice!
Che
devo in caso tal disiderare!
Che
lodato ei ne sia,
15 o
che sia col baston cacciato via?
Ma
s’egli n’è scacciato,
Gradelino
è sprezzato.
S’egli
aggredisce, e piace,
io
resto in guerra, e Gradelino in pace.
20 Deh
ascolta Pandolfo la mia brama:
discaccia
Gradelino e me sol chiama.
cleante Eccomi alla mia patria ritornato.
Ora alfine potrò degno
di lei
presentarmi
a Climene.
25 Ma Gradelino tarda a ritornare
dall’ambasciata. Ah il veggo:
egli passeggia, e si
contorce, e pensa,
e
parla fra di sé
e fa i suoi conti, e
nulla pensa a me.
30 Par che non mi conosca. Gradelino,
rispondi:
Gradelino.
gradelino Chiamate un po’ più forte,
che
vi risponderà.
cleante Non mi conosci?
gradelino Conosco voi, ma voi
35 non conoscete me.
cleante Sciocco: non sei tu Gradelino?
gradelino Io sono…
Non lo so ne pur io.
Ma Gradelin non sono.
cleante E chi dunque tu sei?
40 gradelino Presto, presto saprai
chi tu fosti, chi sei e chi sarai.[25]
cleante Io non vuo’ perder tempo
fra queste tue sciocchezze.
Hai bussato alla porta?
gradelino Signor sì.
45 cleante Hai
fatta l’ambasciata?
gradelino Signor no.
cleante Forse Climene mia non era in casa?
gradelino Signor sì.
cleante Dunque avrai
detto a lei il mio arrivo.
gradelino Signor no.
cleante Eh che tu sei un pazzo.
gradelino Signor sì.
50 cleante Tu
sei sempre quel pazzo Gradelino.
gradelino Quel pazzo sì, quel Gradelino no.
cleante Io perdo la pazienza
bussa alla porta.
gradelino Signor no.
cleante Perché?
gradelino Perché vi è dentro un Gradelin più bravo,
55 e che tutti bastona i Gradelin del
mondo.
Perché vuol esser Gradelino solo
per dritto, per traverso, in quadro,
e in tondo.
cleante Costui certo è svanito.
Bisogna aver pazienza.
(Cleante
bussa alla porta)
SCENA SESTA
Genio in
figura di Cleante, e detti.
genio Chi
è là?
cleante Cleante.
genio Che
Cleante?
cleante Forse
non son più conosciuto in questa
casa?
genio Cleante
è conosciuto,
ma Cleante è qui dentro.
gradelino Oh quest’è bella.
5 cleante E
non si può veder questo Cleante?
genio Eccolo:
e chi è che ardisce
d’assumere il mio nome?
cleante Che miro? Oh cielo! Un altro
Cleante a me tutto simile?
genio Come
10 ardisci d’esser tu Cleante? e cosa
cerchi?
cleante Cerco
Climene, e son Cleante.
gradelino Cerca certo il padrone
di provar ancor esso quel bastone.
genio Io
son Cleante: io stesso
15 per acquistar Climene
ho fatto tre campagne,
e a fronte de’ nemici
ho steso in terra il cavalier
Morgante.[26]
cleante Come tu!
genio Sì
son’io,
20 e sarà mia Climene
ch’è progenie de’ numi,
né la cedono i numi,
fuori che a chi gli uguagli
in valore, e in virtù.
25 cleante In
valore, e in virtù pronto son io
a dar tai prove, che mi rendan
degno,
e di loro, e di lei.[27]
Ma che tu assumer voglia il nome
mio;
che tu esser voglia quel che io son;
che voglia
30 aver tu fatto quel ch’io
ho fatto; questo
nol soffrirò giammai;
e tu prova frattanto…
gradelino Bravo, padron, sotto, coraggio.[28]
cleante
Oh cielo
si gela il sangue nelle vene. Parmi
35 di
non esser innanzi a un uom mortale.
genio Climene
allora avrai,
se a far quel che dicesti
giungere alfin potrai.
Ma
a giungere sin là
40 gran fatica si avrà.[29] (il Genio entra)
cleante Vedrem
chi avrà potere
di far contrasto al
giusto mio volere.
gradelino Ebbene, o padron mio,
né
voi siete Cleante,
45 né
Gradelin son’io.
cleante E
perché no?
gradelino Climene sta al coperto,[30]
e
voi a cielo aperto.
Bertuccia è dentro, ed
io sono qui fuora;
e
là dentro si trova un altro muso,
50 che
fa per voi, e non è voi; che fa
per Gradelino mio,
e pure non son io.
cleante Qui non bisogna perder tempo; andiamo.
SCENA
SETTIMA
Casa di Leandro.
Bacocco e poi
Leandro.
bacocco Il mio padrone è torbido
passano
nuvoloni
il giuoco certamente ha detto male.
leandro Bacocco, che ora è?
5 bacocco Guardate
l’orologio, e lo saprete
molto meglio di me.
leandro Non importa.
bacocco Ma certo
tempo è d’andare a
letto: almen due ore
sono di giorno. Datemi frattanto
10 scatola, anello, e borsa,
ch’io possa collocarle.
leandro Io non ho sonno.
Voglio
pensare a migliorar la vita.
Vuo’
darmi tutto alla filosofia.
bacocco Ad ogni disperato
15 viene questo pensiero
canta
dinanzi al ladro
il vuoto passaggiero.[31]
leandro Orsù prendi Aristotile, e mi leggi
il
secondo capitolo,[32]
20 che tratta dello sprezzo
che l’uomo deve far delle ricchezze.
bacocco Questo è il libro, che mentre voi
giocate
mi
conviene di leggere sovente,
per far passare il
sonno,
25 e alcune volte far passar la fame.
Qual
capitolo?
leandro Questo: (Bacocco legge)
»Diogene
comprese
»essere
le ricchezze
»dell’uom
la maggior tentazione;
30 »onde
gettò nel mare
»e
mobili, e denari, e diede ad altri
»ogni
possessione;
»tal
che disse a Alessandro,
»che
gl’impediva il Sol col stargli innanzi
35 »ritira
i passi tuoi,
»che
un ben mi togli, che tu dar non puoi.
Quando
fece Aristotile
un
capitol sì bello,
avea,
come padrone,
40 perduto
borsa ed orologio, e anello.
leandro Petulante,
in tal modo
insulti
il tuo padrone?
Io
voglio…
bacocco Deh aspettate,
e leggiamo il capitolo
dell’ira;[33]
45 e
vediam se Aristotile
contro il servo digiuno
in
guisa tal si adira.
leandro Hai ragione.
bacocco E
il salario?
leandro E non vedi che il sole
50 rischiara e te, e me,
e i creditori miei tutti
ugualmente;
né
abbiamo in basse cose a por la mente?
bacocco »Ma il sole non rischiara le budella:
»queste sono all’oscuro:
55 »contro la fame il calcitrare è
duro.
»Tutte
queste son fole:[34]
Diogene affamato
non sarà stato a
contemplare il sole:
e
se mai qualche volta
60 la fame lo avrà colto,
avrà i suoi occhi tolto
dalle stelle, e rivolti
alla pignatta.
Ma
io all’incontro per necessità,
quando mi parlan forte
le budelle
65 dalla pignatta vuota
rivolgo
gli occhi a contemplar le stelle.[35]
Padron; gente, che batte:
ho da dir che dormite?
leandro Se è un creditore, io dormo.
70 S’è un debitore, io veglio.
bacocco È un creditore.
leandro Come
lo
sai, se ancor non l’hai veduto?
bacocco Ei
batte
da creditore. E non
sentite come
ei batte forte? Il debitor pian
piano
75 viene,
e pian piano batte. E poi per dirvela,
deh
de’ vostri debitori
io non conosco alcuno.
Torna a picchiar. Chi è?
leandro A
buon conto, egli è meglio
80 ritirarmi,
e lasciar detto ch’io dormo.
Ascolta; se mai fosse un
mercadante
che
volesse aspettar in anticamera,
levaci il fuoco ed apri
le finestre.
bacocco Bella
lezione è questa in fede mia;
85 per far che il creditore vada via.
SCENA OTTAVA
Don Nugno e Bacocco.
d.
nugno E
dov’es tu patron?
bacocco Egli ha letto Aristotile fin’ora.
Egli
s’è tutto dato
alla
filosofia. Siete voi forse
5 venuto a conferire di morale?
Adesso
ei sarà certo in astrazione,
sul
pensar di Diogene.
d.
nugno Che
Diogene,[36]
e che filosofia? Io son venido
per
essere pagado.
10 bacocco E
che volete mai, ch’egli vi dia?
Egli non ha più in casa
che il letto dove dorme,
e questo libro di
filosofia.
Se voi andate in collera, leggete,
15 e convinto anche voi
del
vostro torto qui vi troverete.
d.
nugno Este sono sciocchezzas.[37]
bacocco Voi volete denari
e Aristotile sprezza le
ricchezze.
20 d. nugno O
sveglia il tuo padrone,
o pure con un palo
ti dirò mi razon.
bacocco Queste sono ragioni in fede mia
più forti assai che la
filosofia
25 adesso lo dimando. (entra)
d. nugno Botos a crispo, un picaron, cavron,
sin
onra, senza fe’, ni religion[38]
giocar con
cavaliero,
e non aver dinero.
30 bacocco Signor
ei più non c’è (ritorna)
per la scala segreta se n’andò.
d.
nugno Ess’è un mal cavaliero: è vero?
bacocco
Certo.
d.
nugno Ess
picaron cavron, è vero?
bacocco Certo.
d. nugno Ess’ un ciuccio, un forfante, è vero?
bacocco Certo.
35 d. nugno Tu
dai mano alle sue forfanterie.
bacocco No certo.
d.
nugno Io saprò farmi pagare.
bacocco No certo.
d.
nugno Como
no?
Pensi ch’io non saprò farmi pagare?
bacocco No:
sanguinem de muro
40 non potes cavare.[39]
d.
nugno Inseguirò costui: lo troverò:
e su la pelle sua mi pagherò.
bacocco Caro signor don Nugno,[40]
sentite un mio parere;
45 i
giuocator di Spagna
quando han persi i denari,
perdono mani e piedi?
d.
nugno E che vuoi dir con questo?
bacocco Ma
voi, alzando un piede,
50 credete
voi, ch’esso [non] ne abbia un altro?[41]
Che voi stendendo un pugno,
esso un altro non ne abbia per don
Nugno?
Son lettere di cambio,
che si pagano a vista.[42]
55 Credetemi, che in giuoco
è mala cosa l’esser debitore
ma è peggior cosa l’esser creditore.
Tempo, prudenza, e modo,
battere spesso il
chiodo,
60 al
debitor far grandi riverenze,
ma cogl’occhi parlanti
volti agli occhi tacenti;
io non ho mai trovato
altro modo per essere
pagato.
65 Se in Spagna altro ve n’è,
insegnatelo a me.
d.
nugno Questo dunque è rubare in buona fede.
bacocco No signore, già voi siete in malafede
allorché con un figlio
di famiglia[43]
70 a giuocare prendete.
Di già voi lo sapete,
che i perditor son molti,
e i pagator son pochi
quando voi vi mettete a
questi giuochi,
75 che
son l’estirpazione
di tutte le persone:
che fan di un uomo onesto un
animale,
e il guidan poco a poco ad esser
tale.
E voi stesso, o don
Nugno,
80 che
avete in voi tutto l’onor di Spagna,
se aveste vera passion pel giuoco
diverreste animale a poco a poco.
E vi pare che sia
cosa da vostro pari
85 il
far guadagno dell’altrui pazzia?
d.
nugno Or comprendo perché
ti chiamano il dottore.
E chi mai t’ha insegnato
un parlar sì sensato?
bacocco Mentre
giuoca
90 e
perde il mio padrone
leggo spesso Aristotile, e Platone,
per far passare l’ore. Questi sono
i soli libri a noi restati in casa,
perché non si son mai
trovati a vendere.[44]
95 d. nugno Ma
il giuoco, egli è commerzio
lecito, ed onorato
il qual conviene anche ad un uom di
stato.
bacocco Il lecito commerzio, ed onorato,
credo sia sempre quello
100 che
vuole l’altrui bene al par del mio:
la maestra di scuola
così insegna ai ragazzi;
ma quando si fan dotti,
allora si fan pazzi.[45]
105 »Questi
della natura
»semplici
sentimenti
»imparati che sono
»si
scancellan a furia di argomenti.
Io che vendo calzette, e vendo
braghe,
110 io
porgo a te quello che giova a te,
e tu mi dai quello che giova a me.
Questo è commerzio giusto.
Se giuoco un giuoco geniale e grato,
io cerco il tuo piacere e cerco il
mio:
115 un po’ di dolce, un po’ di brusco
poi,
fa giusta differenza fra di noi.
Ma un giuoco, dove io so
che il compagno in rovina porterò;
e faccio quel che posso
120 per giungere fino all’osso,
giusto commerzio il dite, ed onorato,
il qual convenga anche ad un uom di stato?
Io ‘l credo in fede mia
giuoco degno né pur di un’osteria.
125 In
quel libro ch’è là, capitol sesto
ho letto tutto questo.[46]
d.
nugno Tu m’hai data una buona lezion;
ma
conservane un’altra al tuo padron.
bacocco Ed
io vado a cercar il mio padron.
SCENA
NONA
Stanza di Cleante.
Cleante e Gradelino.
cleante Quanto più penso, io resto
ne’
miei pensier turbato.
Evvi un altro Cleante,
altro, che il nome mio
5 assume, e il mio sembiante?
gradelino Quanto più penso io trovo
più
d’esser strapazzato.
In casa di Pandolfo
evvi un altro Cleante,
10 e un altro Gradelin sì petulante?
cleante Finge costui d’esser la mia persona?
gradelino Finge costui d’essere Gradelino,
e
Gradelin bastona?
cleante Dammi lo specchio.
gradelino Eccolo.
Oimè, oimè.
(si guarda nello specchio)
15 cleante Che
cosa c’è? Tu tremi, tu barbelli?[47]
T’è venuta la febbre?
gradelino Quel Gradelin sfacciato
in
questo punto mi si è presentato.
Era qui; l’ho veduto co’ miei occhi.
20 cleante Tu
mi vendi finocchi.[48]
Qui non c’è alcun. Dammi
lo specchio, presto.
Non
c’è tempo da perdere.
(Gradelino guarda di qua, di là, poi
riprende lo specchio e vi guarda)
gradelino Oimè, oimè; lo vedo ancora: è quello.
No,
non sono Gradelin: t’ho già ceduto;
25 ma a quello, che mi pare
ei trema ed ha paura.
Coraggio. Oimè, già fa coraggio
anch’esso.
S’io
vado ei va; s’io vengo, ei vien d’appresso.
S’io alzo il dito, ei l’alza.
30 S’io mi abbasso, ei s’abbassa.
Quanto più osservo io
vedo
che
nessun può negar che tu non sia
al volto, al gesto la
persona mia.
cleante Dammi lo specchio, presto.
(Cleante toglie lo specchio a Gradelino)
35 gradelino Partito è Gradelino in questo punto.
cleante Ma tu non vedi, sciocco,
che
miravi te stesso nello specchio?
gradelino E su la porta di Pandolfo; quello
era
specchio, o bastone?[49]
40 cleante Non
lo so ne pur io.
La parrucca va bene.
Andiamo
tosto a ritrovar Climene.
Dammi spada, e capello.
(gli dà un campanello)
Che
vuoi, ch’io vada intorno
45 sonando un campanello?
Dico il capello.
gradelino Io mi credea, voleste
andar cercando intorno
chi ha trovato Cleante e Gradelino.
Perché io e voi non
siamo
50 più
quelli ch’eravamo.
Gente arriva, padron.
cleante È un
grand’impiccio.
Ma
pur che s’ha da far? La civiltà.[50]
(Gradelino va e torna)
gradelino Egli è il signor Lissandro Brusatorta.
cleante Leandro Buttintorte.
Venga.
SCENA
DECIMA
Leandro e detti.
leandro Signor
Cleante
pria
del vostro arrivar avea la fama
preceduta la vostra alta persona.
cleante Troppo onore mi fa
5 nel ragionar di me questa città.
leandro Non so in quai sensi ragionar con voi
dopo
che tanti gradi…
cleante Eh
no, Leandro,
i
gradi mutan titoli
ma non mutano sensi,[51]
10 l’amico,
che per gradi
cessa d’essere amico
di tutto l’uman genere è
nemico.
gradelino Altra gente che arriva.
cleante Guarda.
gradelino Egli
è don Grugno Boccastorta.
15 cleante Ah
ah, egli è don Nugno
di Bocca d’Orta. Venga.
leandro Oimè,
Cleante
questo
Spagnolo cerca me, e non voi.
Vorrei partir.
cleante Perché
partir? Non deve
un
uomo come voi
20 nascondersi,
o fuggir da uomo alcuno.
leandro Gli devo cento doppie,
e
mi cerca, e m’impulsa, e non mi lascia.
cleante Vostro
fratel ne diede
tante al fratello mio,
25 che gli furo negate da mio padre
per
esser morto figlio di famiglia.[52]
Io non so tanto di leggi del foro,
ma assai conosco quelle
della riconoscenza e del
decoro.
SCENA UNDECIMA
Don Nugno e
detti.
d.
nugno Vi saluto, Cleante,
e a voi signor Leandro
faccio gran riverenza.
cleante Son vostro servitor signor don Nugno.
5 È gran fortuna di questa città
che
un signor come voi
siasi in essa quasi stabilito.
d.
nugno L’ambassador
mi patre
stato governador del Paraguai,
10 in Inghilterra plenipotenziario,
ond’ebbero la pace
i principi d’Italia e d’Oltremonte,
dicea
che libertà
vera ritrovasi en esta cividad.
15 cleante Mi
sovvien che dicevami mio padre
che don Qoan Bocca d’Orta…
È
questo il signor padre?
d.
nugno È
questo.
cleante Che era
ambasciatore, o sia console in
Lucca,
che avea plenipotenza al
mercimonio,
20 accomodò
gli affari
tra San Marino e Ponte Vecchio:[53] certo
era uom compito affatto.
leandro Partoriscono
i monti e nasce un ratto.[54]
cleante Forse l’aria vi aggrada di Bologna?
25 d.
nugno Vagliadolid è un’aria assai migliore,
ma quel governatore
avea
gran pena a darmi l’Eccellenzia,
ond’io ne son partito.
cleante E qui l’avete ritrovata?
d.
nugno Eh
qui
30 vivo incognito.
cleante Ebbene
avete
nuove dalla Spagna?
d.
nugno Scrive
a me il ministro come
è morto l’ammiraglio,
e ch’io son sul tapeto
35 con don Cosef de Mara, i don Beltrante
de
Monte Ziteron.
cleante Voi dunque siete uffizial di mare?
d. nugno Son
stato nella guerra
di Carpentero.[55]
cleante Questa fu di terra.
40 d.
nugno Ma il mio squadrone era vicino al mare.
cleante Vuol dire ch’eravate
cento
miglia lontan dalla battaglia.
leandro (a parte) La bugia ha corti piedi
se la memoria non l’assiste bene.
45 d.
nugno Mi
lettras parlan chiaro
el rey parla di me e mocias
vezes
ho parlato col rey. (tira fuori delle
lettere)
cleante V’era
un fachin Francese, il qual dicea
«le
roy m’a vu, le roy m’a parlé»:
50 «que t’a il dit? Ote toi de la coquine!»[56]
Non dico già con questo,
che
il vostro re parli così di voi.
Vediamo queste lettere, che forse
ci
daran delle nuove.
55 d.
nugno Ah mi sono scordato
le lettere in casa, e ho
solo i soprascritti.
(dà
i soprascritti a Cleante)
cleante Che volete ch’io faccia
di questi soprascritti? Ah sì
capisco.
A sua eccellenza il
signor don Nugno
60 Bocca
d’Orta, i Mendoza
i Montematignon. (legge i
soprascritti)
Cellenza. Eccellentissimo signore.
Ma al sigillo, alla carta, ed all’odore,
pare che siano scritte
65 da un coco, o da un fattore.
d.
nugno Ma a che cercar le nuove della Spagna
se
ne abbiam di più fresche qui in Bologna?
Questa notte un signore,
che è anche mio debitore
70 fu
spogliato al caffè
d’orologio, di scattola
e di borsa;
e
a me non dà niente,
e forse è qui presente.
leandro Signor…
cleante Caro don Nugno
75 perché insultar chi tace
e sta modesto?
Un
eccellenza, un figlio
d’ambasciador, uno ch’è
sul tapeto
per esser ammiraglio
cerca per vie sì
abbiette
80 cento doppie di giuoco,
e corre appresso
al
debitore, e in casa d’un mio pari
vien con insulto a ricercar denari!
Ecco le cento doppie. Addio don
Nugno.
Egli nulla a voi deve, e
nulla a me.[57]
85 Addio.
leandro Caro Cleante…
cleante Nulla mi dire. Io feci quel che chiede
l’onor
di un cavaliere.[58]
d. nugno Io
resto pieno di confusion
non foss’io mai venuto
in esta cassa.
90 Mi
pessan queste doppie,
un operar sì degno
tutto abbatte il mio
orgoglio.[59]
(getta il denaro e parte)
cleante Gradelin,
le raccogli e a lui le porta.
gradelino Nessun le vuole resteranno a me.
95 Lo
spagnolo è piccato,
e non più si ricorda
ch’è affamato e
stracciato.
cleante Portale
presto a quel signor di Spagna.
leandro Caro Cleante io resto fuor di me;
100 sì
confuso son io.
cleante Io feci il mio dover, Leandro addio. (Leandro parte)
Or qui bisogna andare a ritrovar
Climene.
Ebbene hai consegnate le doppie allo
spagnolo?
gradelino Egli le ha prese, ma con tale rabbia,
105 ch’io
m’aspettava quasi
me le gettasse al muso.
cleante Costui è pien d’ambizion, di boria;
e non ha un soldo, e non vorria che
fosse
creduto,
o si sapesse.
110 E a sconvolgere tutte le sue brame
fanno contrasto
ambizione e fame.[60]
gradelino Ho veduto padrone a questa parte
venire gran carrozza e gran laché.
Battono.
cleante Guarda
chi è; ma non gli dire
115 ch’io son in casa. Andar
vuo’ da Climene
né
posso fare un passo.
gradelino Egli è smirold Poltron.
cleante Ah
sì, milord Antron
plenipotenziario d’Inghilterra.
120 Venga
e prepara presto
la cioccolata. Egli è un signore di senno.
SCENA
DUODECIMA
Milord e Cleante.
cleante Quale onore Milord
è quello che fate alla
mia casa
nel
venirvi in persona? A un vostro cenno
saria
stato alla vostra
5 anticamera tosto.
milord A
un vostro pari,[61]
a un cavalier di tanto
nome e tanto
valore,
rende omaggio
e l’Inghilterra ed io.
cleante Nulla,
o signor, fec’io,
10 che
sia degno di voi, se non l’avere
fatto in pro del mio re
il mio dovere.[62]
milord La battaglia di Lilla
dove
le truppe vostre
già in fuga volte raccoglieste, e a
un tratto
15 ritornaro al cimento,
onde dal vostro canto
si piegò la vittoria,
quando
uccideste il cavaliere Morgante,
ha dato al nome vostro un ornamento,
20 onde non fia che mai
sia di voi detto assai.
cleante Troppo di onor rendete ad un nemico,
che
tale è perché tale è il suo sovrano;
ma che stima ed ammira la grandezza
25 della
potenza inglese.
milord È certo che l’impero
che
noi abbiam del mare
ci fa potenti in terra.
cleante Però io vi dirò, se il permettete,
30 che
mai battaglia in mare
da
quella d’Actium fino ai nostri giorni
decise dell’impero della terra.
milord Ciò che voi dite è vero:
ma l’anima ed il fondo della guerra
35 trovasi
in Inghilterra
a
lei date dal mar. Questo sostiene
le armate, e forma le alleanze, ed
entra
ne’ gabinetti e gli
sconvolge e guasta:
questo è un mezzo sì pronto
40 che
ogni impero a noi chiama al fin del conto:
son
tre secoli, e più
che alla nemica Francia
sempre noi diam la
legge:
non Poitier, non Chersì, non san
Quintino[63]
45 l’hanno piegata innanzi a’ suoi
nemici.
Ma
l’oro d’Inghilterra,
che
in ogni tempo le ha reso nemico
quel che contava amico.
cleante Però
non credo io mai
50 che
il possesso dell’oro
venga dall’oro,
ma
bensì dal ferro.
i persi, i siri pieni d’oro
infine cedettero ai romani,
ch’eran cinti di ferro e non già d’oro.[64]
55 E
quando furo questi
ripieni d’oro hanno
ceduto ai goti,
ch’oro
non conoscean, ma il solo acciaro.
Ed il ferro francese
potria
un giorno domar quest’oro inglese.
60 milord Se
voi foste ugualmente
ministro, che soldato,
non
direste così. Romani e goti,
sino che non conobbero la forza
di
quel metallo, furono invincibili,
65 ma
quando la conobbero,
furono vinti anch’essi,
da chi meno di lor la
conoscea.
Addesso è conosciuta
dal
mondo tutto, ond’è vincibil tutto.
70 Non credo io poi che debba in ogni regno
lasciare
di preggiarsi
quello che noi teniamo
sovra l’altrui virtù giusto
contegno.
Ogni
scienza, ogni arte
75 noi
cerchiamo, e ammiriamo, anzi premiamo
sin nei nemici nostri in
ogni parte.
In
Jorc la statua equestre
alzata al conte di Monfort, e quella
che
in Lancastro si vede di Rolando
80 mostrano
quanto l’Inghilterra apprezzi
il valor anco de’ nemici suoi.
E perché voi vediate
questo mio ragionar quanto sia vero,
sappiate
ch’io dal mio monarca tengo
85 ordine
di cercarvi:
e
poiché sa che figlio di famiglia
voi siete ancora, ma vicino a nozze
vuol ch’io v’offra due mila
lire
sterline e un diamante.
cleante Un
tale
90 onore
avvanza i desideri miei
ed ogni mia speranza.
Nulla ho fatto pel regno d’Inghilterra,
e
nulla egli mi deve, e nulla io voglio.
Contento
del mio stato
95 servo
il mio re, ed il mio re mi è grato.
E perché nulla ho fatto, nulla
voglio.[65]
milord Ebben
potete fare
cosa grata al mio re.
Parlo in segreto
a un uom d’onor.
cleante Tutto segreto sia.
100 milord Onde
sarà compenso e non più dono
quello ch’io v’offro.
cleante Intanto
(Gradelino porta il cioccolato)
prendete
il cioccolate: ed io con voi.
milord Prendiamolo.
cleante Ritirati
frattanto.
(Gradelino si ritira)
cleante Ditemi
in che poss’io
105 far
cosa grata a così gran monarca.
milord Signor
voi siete stato
governatore di Tornè.
cleante È
vero.
milord Voi avete in disegno, o pur in mente
di
quelle nuove fortificazioni
110 la
pianta.
cleante Io l’ho in disegno.
milord Voi
datemi il disegno, ed ecco il dono.
cleante Signor non basta per tentar la fede
di
Cleante, né quanto il re mi dona,
né
quanto il re possiede. Gradelino[66]
115 prendi
e parti.
(Gradelino viene)
milord Del vostro alto valore…
cleante Non parliam di valore.
gradelino Padrone il valor vero
si
trova in quella borsa.[67] Ogn’altro è fumo.
E
fumo tale che non vale un piatto
120 di
macaron ben fatto.
cleante Taci, e parti. Milord per farmi degno
di
voi, del re, e della stima inglese
null’altro io saprò fare,
che
dare segni d’onorate imprese,
125 augurarvi
in mio cor trionfi e glorie,
ma impedir quanto posso
sinché
nemici siamo,
e le vostre conquiste, e le
vittorie.[68]
milord A
dirvi il ver Cleante,
130 questa
è austera virtù. Dono minore
credetemi, che spesso
non
un disegno solo,
ma delle piazze ce ne dà il
possesso.
Una tal cosa non saprebbe alcuno.
135 cleante Ma
però sempre lo sapria Cleante.[69]
milord Ebben, signor, prendete;
diate
il disegno, o no; tutto è lo stesso.
A noi basta aver dato
a
voi di nostra vera stima un segno.
140 Lo
avete da un amico.[70]
cleante Milord è amico, ma nemico è il dono,[71]
io
Milord, nulla apprezzo
fuoriché la virtù. La virtù vera
io credo che consista
145 nel far semplicemente il suo dovere.
Superbia è il far di
più;
il
far meno è viltà.[72]
Conosco ben che questa
trammanda picciol lume, e picciol
resta
150 agli occhi altrui. Straordinarie
imprese,
acquistate
ricchezze.
Dissipate in grandezze;
render muta la terra, e
sbigottita,[73]
nel proprio seno, o in sen de’
figli, tutta
155 insanguinar la mano,
queste
virtù rendon famosi i Bruti,
i Luculli, i Catoni e gli
Alessandri;
mentre il proprio dover
vi lascia oscuro
o vi dà un lume agli occhi bassi
ignoto,
160 ma è lume vero e così chiaro in sé,
che lume più sincero
non trovasi né v’è.[74]
milord Però signor Cleante,
questa
virtù sì limitata e stretta
165 non
v’apre alcun cammino
alla
gloria, all’onor. Oggi io confesso
grande virtù conobbi in voi: ma
questa
stessa virtù v’obbliga a
un tal segreto,
che invece di lasciar che sparga
raggi,
170 li soffoca e nasconde entro di voi.
cleante E non basta esser noto a voi, e a me?
Il
segreto è un deposito che chiede
più che ogni altro tesoro
un’incorrotta fede:
175 un tesoro rimettere si può,
ma
lo segreto no.
Siate certo Milord…
milord Son
più che certo[75]
di
voi: ma voi frattanto
dopo aver di valore, e di consiglio
180 date
tai prove in Fiandra
siete tornato ancora
povero brigadiere;
e
all’incontro monsieur de Chetarbé
col favor della corte,
185 e
col denaro delle concussioni,
e de’ quieti viveri,
ha tratta a sé la gloria
della
vostra vittoria;
è fatto cordon bleu
190 e
marescial di Francia,
e di voi non parlò, né voi poteste
parlare, perché i mezzi
onde
farvi sentire non aveste.
E intanto il maresciallo
195 d’alto
vi guarda pettoruto e gonfio.
cleante Io vi dirò che un titolo e un cordone
che
da intrinseco merito non viene
egli è com’acqua straniera in corpo
umano,
che lo gonfia, e lo uccide.
200 Sosia
quando insultò
Demostene, dicendo:
«la
tua statua non v’è;»
«meglio» rispose, «egli è, che detto
sia:
perché
v’è la tua statua e non la mia?»[76]
205 Ma
quanto al maresciallo e a’ suoi profitti,
vi dirò ch’io son tal
che fammi orrore
il
solo nome di quieto vivere.
E non ci obbliga a vivere quieti
la
natura ed il re? Per qual cagione
210 obbligheremo
i popoli a pagarci
per vivere quieti?
Sarebbe come un dire
pagato esser vogl’io per non
mentire.[77]
milord Pur
vi dirò che la ragion di guerra…
215 cleante Che
ragion dà la guerra
contro popoli inermi ed
innocenti?
Quelli
che ieri erano in cura altrui,
oggi vengono in cura del mio re,
onde il salvarli oggi si
spetta a me.
220 Da
giustizia, la guerra[78]
deve esser preceduta
da fede accompagnata,
e da pace seguita.
Io
non conosco altra ragion che questa.[79]
225 gradelino Padron, su per le scale. Vien un monsieur.
cleante Monsieur
de Chicanò. Questo
è un infado.[80]
Non
andrò mai a ritrovar Climene?
SCENA
DECIMATERZA
Mr. de Chicanò
e detti.
chicanò Monsieur Cleant.
cleante Monsieur
de Chicanò,
perdonate Milord.
chicanò Questo è un milord di Spagna?
cleante Che dite? Egli è un milord dell’Inghilterra.
5 chicanò Ebbien Milord bon jour.
milord Cleante addio.
cleante Aspettate
Milord
non
lasciatemi solo in quest’intrico.
chicanò Ebbien
Monsieur Cleant, da che si siamo
veduto in Fiandra, io son venuto a
fare
10 un
giro nell’Italia.
Mais vous semblez un françois.
cleante A me basta il parere italiano.
chicanò Eh non non ici bas
qu’on
est lourd, et pesant.
15 En France ont est brilliant.
Chel ne dite Milord?
milord Ogni paese ha il suo buono e il suo
male.
chicanò Ma in Francia un duca pari
un maresciallo, un principe v’abbraccia
20 vi parla sans façon.
Grado,
ricchezza, e sangue in un si nasce.[81]
L’honête homme s’y distingue
le beau mot s’applaudisce, et l’homme d’esprit
ma in Bologna un Quaranta
25 pare Saturno, un senator pare Giove
che
oro però non piove;
ma geloso del grado
etudie sa presense, e guarda, e parla,
e promenne en cadense.
30 cleante Quello
per Francia è buon, questo per noi;
Spagna ha i suoi modi e
l’Inghilterra i suoi.[82]
chicanò Toujours est sur l’anglois
l’avantage
au françois.
milord Dagli avi de’ vostri avi, e gli avi
ancora
35 infine
a Fontenoi
non contan sovra noi
questi francesi
un avvantaggio mai.
chicanò Eh messieurs que dittsvons?
oui
c’est le françois seul qui passe sans faccon
40 de la poudre de cypre a la poudre a canon
des
flateries de cour, des plaisirs de Baccus
aux travaux de Bellone au beau champ
de vertus.
milord Di qual virtù parlate?
Voi chiamate virtù
45 il
brio, il bello spirito, il valore;[83]
noi
vediamo sovvente
a tai segni marcate
anche le grandi iniquità
del mondo.
Forse sarà che il giovine francese,
50 che
empì di sue follie
la
corte e la città, prudenza acquisti
mentre il campo sen va?
Quella prudenza ch’è vera virtù,
anima del governo,
55 del
foro e del privato?
Se
vi fosse in Parigi un mercadante
che
vendesse prudenza
fallirebbe
all’istante
crede ciascun averne da dar via
60 perché
chiama prudenza la pazzia.[84]
chicanò Voi ci fate gran torto.
milord Io vi dirò ciò ch’ho veduto io stesso
l’anno
scorso in Parigi.
E Cleante lo sa.
65 cleante So
cosa dir volete
io ben me ne ricordo.
Raccontatelo.
milord Un vecchio magistrato
giunto all’opera tardi
accostossi a un bancone
70 pieno
di gioventù che vi sedeva
dove
ciascun rideva
nel
vederlo tremar su stanchi piedi.
Egli accostossi ad un bancone
inglese.
Que’ milordi, que’ signori
75 si
levarono tutti e gli dier loco.
Ciascun de’ circostanti
applauso fece:
e
il vecchio disse: il bene
i francesi lo sanno
ma l’inglesi lo fanno.
80 cleante Ma
voi dunque in Italia non trovate
cosa degna di voi.
chicanò Nulla fuor che la musica, ed in questa
trovo
altresì una cosa stravagante
se un musico si forma
85 un gran trinceramento
dietro un a, dietro un o, o dietro
un u;
il n’en demorde plus.[85]
cleante Ma i palazzi, i giardin, le nostre
tavole?
chicanò Que ditês vous? De vos tables?
90 Un
cucinier[86]
francese vale tutti
i vostri facitori di polpette,
di busecca e zampette
fritti
luganeghin, torte e stuffati;
vouillon
gras, chapon noir, questa si chiama
95 la
cucina alla moda italiana.
Io mi sono trovato un giorno a un
pranzo,
che pure è cosa rara.
Si
cominciò con gran cerimoniale
per entrar per i posti;
100 tovaglia
e tovaglioli
ma
per bevere noi e mutar tondi
vi volea un memoriale.
Caldo era il vino, e la
minestra fredda.
Grands diseurs de riens, i
comensali
105 tutti
i piatti avean titolo francese
ragour, et fricandaux,
sausse à la reine,
sausse
au blanc, sausse au brun
ma il capone era un gallo
eran les innocénts madri
picioni:
110 la
mascarpa diceasi mascarponi.
Il
vino di Bologna
si
chiamava Borgogna.[87]
Applaudivano tutti
al coco ed al buon gusto
del padrone.
115 Un dindon magro, che facea scutelle,
né
poteva dall’ossa
distaccarsi
la pelle,
venne per rosto e avea l’offella[88] in bocca.
Monsieur comment diable
120 parlés vous de vos tables?
cleante Siete mal capitato
ma in Bologna vi sono
tavole
uguali alle francesi ancora.
È molto tempo che siete in Italia?
125 chicanò Sei
mesi.
cleante E come mai
un
par vostro sta tanto in un paese
dove
niente trovate di voi degno?
milord Signor Cleante addio. Io più non
posso
soffrire
un petimetre[89] sì stordito.
130 cleante Perdonate
monsieur, servir io devo
Milord.
milord Nol soffrirò. State Cleante.
cleante Ubbidisco.
chicanò Milord è ben austero.
cleante Ognun segue il carattere
della
sua nazione:
135 ma
la natura è bella in ogni loco.
Un spagnolo galante,
un francese pesante
sono
fuor di lor nicchio, e più non piacciono.
Come un turco vestito all’italiana,
140 e
un italian vestito alla persiana.
«Il
gobo piace gobo,[90]
ma è ridicolo
s’egli vuol far da
dritto».[91]
Mio
caro Chicanò ho gran premura…
chicanò No; ritorniamo dove siam restati.
145 cleante Pazienza
per un poco. Io vi dicea
donde
vien, che in Italia
dove niente vi piace
sì
gran tempo restate?
chicanò C’è qualche cosa che mi piace in altro
150 genere.
cleante Forse ingegni
trovate
di voi degni?
chicanò De quel genie me parlez vous?
cleante Qualcosa
dunque
vi piace?
chicanò Io voglio prender moglie.
cleante Ebben prendete moglie e andate in
Francia,
155 e lasciate ch’io vada ove mi preme.
chicanò Il
trattato è avvanzato, ed è già mia.
Me ne sono proposte più
di cento,
ma
una sola mi aggrada
che dans les Tuillieries farà figura:
160 ma voi non mi chiamate chi ella sia?
cleante Perché
volete ch’io
vi
debba dimandar i vostri affari?
chicanò Tutto debbo scoprire a un vostro pari.
cleante Fate pur con fortuna i fatti vostri;
165 io ho troppo da pensare a’ fatti
miei.
chicanò L’amico
saper deve
gl’affari dell’amico.
La
moglie mia; che posso dirla tale
abita in Strada Nuova.
170 cleante È
forse Beatrice?
chicanò Eh
sì.
cleante Forse Clarice di Brancardo?
chicanò Fidonc.[92] Cento di queste
non
valgon la mia moglie.
Conoscete Pandolfo?
175 cleante Lo
conosco.
chicanò E
sua figlia?
cleante La conosco.
chicanò Vi par che au Luxembourg
et dans ‘l
jardin de monsieur ‘l duc…
cleante Ma
come,
questa
è già vostra moglie? Già contate
di condurla a Parigi? V’acconsente
180 Pandolfo?
chicanò Que m’importe ton
Pandolphage?
cleante Ella vi die’ parola?
chicanò Ne son certo.
cleante Quai principi...
chicanò Voilà comme on tient[93]
le
chapeau à la cour.
cleante Eh ditemi monsieur; state in proposito.
185 chicanò Un jeune gentilhomme
tient toujours
son miroir en poche. (tira uno specchietto)[94]
Avez-vous du
rapé?[95]
cleante Che confusione di parlare è questa?
chicanò Adieu Monsieur Cleant.
190 cleante Aspettate:
mi preme di sapere…
chicanò E
a me preme d’andare: on m’attent.
Au
caffè.
gradelino Vien
Pandolfo.
cleante Venga.
chicanò Vado.
cleante Fermatevi un momento.
chicanò Adieu, je ne m’arreste pas un moment.
195 cleante Che
intrico è questo. Non è vostro suocero?
chicanò Sur mon affaire, je vous (Chicanò parte e
torna)
recommande
le secret.
cleante Per cose giuste e vere
io son com’una botte:
200 su cose false e prive di cervello
io son come un crivello.[96]
chicanò Del pranso: citto.
cleante Starà
nella botte.[97]
chicanò E
delle nozze mie.
cleante Queste van nel crivello.
SCENA
DECIMAQUARTA
Cleante e Pandolfo.
pandolfo Che gran piacere è il mio
nel
vedervi tornato pien d’allori
caro Cleante.
cleante Assai più grande
è il mio
nel
vedervi o Pandolfo.
pandolfo Assai
m’increbbe,
5 quando siete venuto a ritrovare
mia
figlia, ch’io non mi trovassi in casa.
cleante A trovar vostra figlia?
Né
venni, né verrò fin ch’io non sappia
se è sposa di monsieur de Chicanò.
10 pandolfo Che
dite? Di quel giovane francese
che con due passi ha
fatte in questo punto
le
vostre scale, e non mi salutò.
cleante Di quello.
pandolfo È uno stordito.
In casa mia ei mai non
pose il piede.
15 cleante Men
accorsi; ma pur volea chiarirmi.
Ma Pandolfo, che cosa è che mi dite,
che io sia venuto a parlare a
Climene?
Io non ebbi l’onore di vederla,
né di parlar con lei.
20 pandolfo Eh
no caro Cleante,
credete ch’io voglia
impedirvi a mia
figlia
l’accesso ch’è già vostra sposa?
cleante Io vi dico signore che non la vidi,
né
le parlai dopo la mia venuta.
25 pandolfo Ecché?
Forse sdegnate
d’avere me per socero?
cleante Mi
guardi
il ciel.
pandolfo Per qual cagion dunque volete
negarmi
d’aver fatto
con lei ragionamento,
30 non son due ore? E non narraste a
lei
tutti i vostri travagli
della guerra?
cleante Vi giuro che di guerra
né di pace parlai oggi
con lei.
pandolfo Dunque o mentite voi,
35 o ne mentì mia figlia.
cleante Né io son capace, né la figlia vostra
di
mentir.
pandolfo Io già vedo
tutto il vostro parlar
pieno di bile.
Voi
avete mutata intenzione?
40 V’appigliaste a pretesti assai
lontani
dalla retta ragione.[98]
Io non vi ho fatta cosa
che
sia degna di questo trattamento.
Il vostro, e il trattar mio
45 presto si chiarirà. Cleante addio.[99]
cleante Ascoltate Pandolfo. Ei parte in
collera.
Pandolfo.
Egli non bada.
Gradelin, presto
andiamo, io vuo’ seguirlo.
Non
mai disturbi tali
50 si son veduti come in oggi io vedo:
e ciò che vedo e tocco ancor non
credo.
SCENA
DECIMAQUINTA
Arnaldo e
detti.
arnaldo Cleante un sol momento.
cleante Non è possibil che un momento solo
io più aspetti.
arnaldo Io vi dico
una
sola parola
5 per vostro bene. Io so
quale siete partito
e
qual siete tornato.
Voi sapete qual debito mi corre
per util vostro. Voi
siete partito
10 sposo promesso di Climene, ed ora
venite
per compire il matrimonio.
Or io vi debbo dire
come Pandolfo è divenuto
matto;
tutta
la casa è scatenata, come
15 quella del gran Demonio.
La zia, la madre è fuori
di cervello.
Io
non vi do parere,
né vi voglio più tempo trattenere.[100] (parte)
cleante Oimè,
quai cose ascolto
20 mentre ascoltar non voglio?
Io sento cose, io vedo
cose tali
che
farian impazzire
chi avesse men coraggio
o avesse men di ardire.
25 Al parlar di Pandolfo
in
verità sembra che pazzo ei sia.
E se tale è la madre,
e se tale è la zia,
che
cosa è divenuta quella casa?
30 Oimè. Sentite Arnaldo:
Arnaldo se n’andò.
Che cosa far, che cosa
dir non so.
Chi
mi sturba in venire
chi mi sturba in andare.
35 Gradelin presto andiamo.
Io non so ciò che cerco,
io
non so ciò che fuggo e ciò ch’io bramo.
gradelino Una sì buona casa
dove
ho sempre mangiato a creppapanza,[101]
40 dove son sempre stato così bene,
ed a merende, e a cene,
s’anche Bertuccia è
divenuta matta
m’attaccherò
alla gatta.[102]
Fine dell’atto
primo
ATTO
SECONDO
SCENA
PRIMA
Il caffè.
Genio solo.
Se
a perdere Cleante
non
basta il mover gli astri , e il mare, e il suolo,
moverò
Flegetonte;[103]
di
là trarrò le angui chiomate figlie,[104]
5 e colle loro faci,
e
co’ lor velenosi aspidi atroci
accenderò
tai fiamme
in
cor d’Arnaldo, e spargerò i suoi detti
di
tosco sì mortifero, che infine
10 strugga l’amore, accenda l’ira in
petto
di
chi lo ascolti, e di menzogne asperga
il
vero, e muova aspre discordie, ond’abbia
a
perire Cleante, o a venir meno.
Io
qui gli aspetto; io qui fra gli ozi e i giuochi,
15 e il riso incolto, e le novelle
incerte
moverò
frecce ardenti, ed aprirò
piaghe
profonde e renderò Leandro
ingrato,
iniquo Chicanò, Pandolfo
sciocco,
empio Arnaldo, e spero
20 di render vil Cleante.
Questo
del mio gran strale
sarà
il colpo immortale.[105]
SCENA
SECONDA
Bacocco solo, e poi Chicanò.
bacocco Appena il mio padron toccò denari
che
ha bandito Aristotile di casa.
»Granché! Quel
che ha giocato, giocherà.
»Ei
va dicendo: undici volte il tre?
5 »Sedici volte il re?
»E
torce la parrucca, e morde il dito.
»Quest’è
ben altro che imitar Diogene
»nel
parlare degli astri:
»egli
batte la luna,
10 »e gli giunge importuna
»ogni
ambasciata, se ha le carte in mano;
»foss’anche
della sposa.
»Non
è suo amico, che quello che giuoca,
»sia
di grande estrazione, o sia di poca.
15 »Tutto uguaglian le carte:
»alle
carte dinanzi
»la
superbia si umilia,
»e
l’avarizia istessa
»perde
il suo filo, e male si consiglia.
20 »Una lite, un contratto si abbandona
»ed
un guadagno certo
»per
un guadagno immaginario, e incerto.
»Il
solo giocatore come amico
»si
abbraccia, e d’indi a un poco
25 »ei diventa nemico;
»si
vorria svaligiare, e farlo in brani:
»d’indi
amico ritorna
»perché
torni a giuocar: e questo giro
»ricomincia
dimani, infin che in fine
30 »credito, borsa e onor perduto sia,
»che
allora si ritorna
»alla
filosofia.[106]
Egli
è qui sopra in una sessione
ma
vien grato; io frattanto
35 servirò mio fratello alla bottega.
chicanò Bottega.
bacocco Chi dimanda?
chicanò Non son venuti
ancora i letterati?
bacocco Verran. La libreria
è
tutta preparata. Ecco i volumi.
40 chicanò Ah, ah: la Biblioteque
de cartes et de bouteilles.
bacocco Vi son[107] già de’ filosofi qui
sopra
che
disputano come in seminario.
chicanò Quel bruit fait-on là haut?[108]
45 On y parle de rois.
bacocco È il mio padron che ha perso
sedici
volte il re:
e giura, e maledice tutti i re.
chicanò Ah, ce sont des chapitres de bassette[109]
50 donne du caffé.
bacocco Eh,
guardate[110]
che
perdere volete il fazzoletto.
chicanò Pour un jeune cavalier
le
mochoir pendant
est la mode de Versailles :
55 le
jeune Coligni
l’aporta
a Paris.
bacocco Ma presto i
birichini
vi
ruberan la moda.
chicanò En
attendant donne moi la gazetta.
(Bacocco porta tre gazette)
60 Luganò: que veux-tu
que je lise Luganò.
bacocco Sciafusa
chicanò Sì, Schafouse.
(guarda e
riguarda coll’occhialetto)
Bacocò, que veux-tu
que
je lise du Grec.
65 bacocco Ecco Berna.
chicanò Fort bien.
Rome,
que faire de Rome.
Vienne,
eh non Magdebourg.[111]
Bacocò, tu che sei mezzo dottore
sempre in mezzo alle nuove
70 è
maresciallo, Magdebourg?
bacocco Io
so
che
il caffè è pronto, e non so altro;
chicanò Porta. Est il café turc [?]
bacocco È
caffè turco.[112]
chicanò Bacocò, ton caffé
est
un caffé chrestien
75 il ne vaut pas le diable:
di’: Cleante vien mai
alla bottega.
bacocco Io non l’ho visto ancora.
chicanò Conosci tu la signora Climene?
bacocco E
come!
chicanò Ebben ti
pare che Cleante
80 sarà
muso per lei?
bacocco È brigadier francese.
chicanò Un françois de Boulogne,
chasse loin d’une dame un françois
de Paris;
le
crois-tu Bacocò.
bacocco E
pur io credo[113]
85 che
Cleante, e non voi sarà suo sposo.
chicanò Tu te trompes que dis-tu de ma frisure?[114]
E
que te semble de ma figure?
(Si volge ora allo specchio, ora a Bacocco)
bacocco Ecco comincian a venir i letterati.
(a parte) Buffoni, maldicenti, e scioperati.[115]
SCENA
TERZA[116]
Arnaldo e detti.
chicanò Bon
jour Arnaud.
arnaldo Che dite Chicanò
della conversazion d’ieri sera?
chicanò Un[e]
comtesse qui put:
una vecchia Quaranta
5 qu’on
pouroit dire Settanta:
un abbé petit maître, decidant
de tout, ne schachant rien, firent
ma partie.
arnaldo Là, si potrìa ben dire:
era la notte,[117] e non ci si vedea.
10 Che diavolo! non bastano
e le risse, e le carte
per farvi accender un po’ più di
lumi?
Il Quaranta Cornara
urtò nel tavolino
15 e fece il capitombolo.
chicanò Mais pourtant la marquise de Petasse
parlant de grends ragoûrs
mais toujours sentant l’ail
et faisant des grimasses
20 n[’]y manque jamais.[118]
arnaldo A lei basta di avere
quel cantoncino a dritta,
sia chiaro, o oscuro a lei niente
importa:
ma là, vi dico bene,
25 che si cuce, e riccuce, e poi si
scuce,
e chi viene, e chi parte
tutti in quel cantoncino
v’hanno la loro parte.
Quell’è un osservatorio
30 dove Marte e Saturno
e la stella di Giove
e
i loro moti, e i lor congiungimenti
son
tutti calcolati,
e
poi è un parlatorio, ove sovente
35 anche Diana è Venere chiamata;
e
la gran dea Giunone
dimandasi
Didone;
ma
il Quaranta, che gonfio
vien
dopo le due ore
40 perché ognuno si volga verso lui
al
suo strisciar de’ piedi,
fu assai bello il vedere
urtar
nel tavolino, e giù cadere.
chicanò Arrivò il caso istesso
45 aù
duc de Matignon
chez madame de Mombason.
arnaldo Quello striscio di piedi
che sembra riverenza,
dell’arrivar de’ grandi è un’avvertenza.
50 Che dite poi di quella
aria di protezion che di Culagna
il gran conte accompagna?
E pure tutti sanno
che vendeva formaggio
55 il padre, e l’avo la mascarpa.
Almeno
facesse
buona tavola
che troveria poeti
che gli darian i semidei per avoli:
come Orazio vedendo
60 non poter dalle illustri
famiglie de’ Romani
far Mecenate uscire
ei dagli Attavi re lo fe’ venire.[119]
Va’ a veder s’egli è vero
65 se nasce da scritture, o dal
bicchiero.
Ma il conte, il quale ha un coco
che gli sbirri han voluto
legar come ozioso, e vagabondo
avrà sempre per avo
70 il
formaggiaro, e il mascarpier per padre.
E lavandara la signora madre.
chicanò Oui, mais l’argent fait tout.
arnaldo Che importa a noi[120]
s’ei tien per sé tutti i tesori
suoi?
È una pessima botte
75 quella
che succhia tutto il proprio vino.
Il bene è bene se si spande:[121] io voglio
nella
casa del grande
trovar
buon cioccolate, e buona cena,
ed all’occasione
80 subita
protezione
senza
fasto, e iattanza.
Ma
s’egli non è tal; s’ei tutto è a sé,
ed
è niente a me,
egli gratti la sua, io la mia panza.
85 Il
Palazzo Ranuzzi ed il Caprara
fanno
bella Bologna,
ma
i padroni cortesi
fan
belli i Bolognesi.
chicanò Che
dite di don Nugno?
arnaldo Ha sempre in bocca
90 il
ministro ed il re;
los
castiglios, los feudos
che tiene in Spagna: ma perché non dicasi
d’ond’è ch’egli è pezzente?
Ei previene col dir: «mi dan niente,
95 perché
tutto consumano gli agenti.»
Un giorno io gli mostrai
fuor di Bologna quella gran
campagna,
e gli dissi: «osservate
quanto è grande, e i suoi prati,
100 e
niente mi dà.»
«Botos
a crispo»;[122] disse,
«nada
vi dà sì vasta
campagna, e prateria.»
«No,» replicai, «perch’ella non è
mia.»
105 chicanò Voilà mon espagnol,
confus deconcerté.
arnaldo Ecco
che arriva.[123]
chicanò La gravidat
hannoncée.[124]
SCENA QUARTA
Don Nugno e
detti.
arnaldo In questo punto parlavam di voi
con quella lode che voi meritate[125]
caro signor don Nugno.
chicanò Adieu signor don
Nugno.
5 d. nugno Sto
bene in vostre mani.
arnaldo Vi ha pagato quel
matto di Leandro?
Egli è qui sopra in una sessione
con un certo contin ch’ha un po’ del
baro.
E non era così.
10 chicanò È
quel che noi diciam dans une chanson
«on commence par estre dupe
on finît
par estre frippon».[126]
d.
nugno E pure egli mi pare un onest’uomo.
chicanò Rien ne ressamble plus
15 l’honneste homme que le coquin.[127]
d.
nugno Leandro mi ha pagato.
Quanto al contin, bench’egli vinca
assai
pria di dire ch’è un baro
bisogneria vi fosse
20 forte, e convincentissima ragione,
diversamente è un fare
un grand’aggravio a un uomo.[128]
chicanò Dans un caffé on ne fait pas
le procé dans les formes.[129]
25 d. nugno Eh
vedo ben che parlasi extra formam.
arnaldo Noi parliamo
secondo le apparenze.
Gli elogi, i panegirici
forman conversazione malinconica.
Un po’ di satiretta
30 sempre piace, ed alletta.
ma noi non diciam male di nissuno:
e quando ci fuggisse
una qualche espressione
a
danni d’altri o degli affar suoi
35 ella è restituzione
di ciò che fassi tante volte a noi.[130]
d.
nugno
Chi perde è un matto, chi guadagna è
un baro;
chi molto spende è un
prodigo,
chi poco spende è avaro.
40 Chi può l’ugne, ed il dente
fuggire della gente?
Non
es mecor parlar de’ fatti nostri[131]
che non de’ fatti altrui?
arnaldo Credetemi don Nugno
45 tutti parlan degli altri,
quando dicon che parlan di nessuno.
d.
nugno E pure in Spagna non si fa così.
Parliam
de’ fatti nostri
e
lasciam stare i vostri.
50 arnaldo Ma
bisogna esser fatto
a quelle cannonate:
uno la sbarra e l’altro
la sostiene,
perché ne ha preparata
una simile anch’esso, e
già ne viene.
55 Un
vanta un re d’Asturias
per suo progenitor,
l’altro ha già preparato
di venir da don Branda d’Almansor.
Un vanta un contestabil
di Castiglia,
60 e
l’altro un presidente di Siviglia.
Sia
creduto, o non sia
gli
basta d’aver dato
fuoco
all’artiglieria.
Noi
ridiamo di voi
65 Voi
ridete di noi.
Io
dico gatto il gatto;
io
parlo male ed indovino bene.
Questo
è parlar laconico
e pura verità:
70 voi
dite ben, poi v’aggiungete un ‘ma’,
tutto
è vera bugia
con veste di divota
ipocrisia.[132]
chicanò Fort bien, très bien, cela est admirable.
d.
nugno Addios.
Si van costoro
75 vantando
fra di loro.
Io non posso che perder gravidad.
arnaldo Abbiam cacciato via quel seccatore,
che
vuol tenere un’alta gravità,
e da mangiar non ha.
80 Egli mi disse un dì, ch’avea
mangiata
una
pernice; io vidi là una coda
di ramolazzo:[133] «ecco la coda», io
dissi.
Un altro giorno eravam
molti uniti,
e
parlavam di fare un pranzo insieme.
85 Disse di sì: quando
sentì la spesa
rispose:
«io non ho fame;
questo sarebbe al stomaco magagna;
tanto ho mangiato in
Spagna.»
chicanò Ebbien. Veniamo a noi Arnaldo mio.
90 Voi
già sapete che il signor Pandolfo
non vuole ch’io m’accosti alla sua
casa…
arnaldo Già so; già ho fatto un passo in favor
vostro.
Fra Cleante e Pandolfo
bisogna
metter gran disunione.[134]
95 Per questo far io sono fatto
apposta.
Voi però siate pronto ad
ogni evento:
far
liti, assalir case;
metter in confusione la città.
Fuggir, tornar.
chicanò Io sono pronto a tutto.
100 arnaldo Già
con Climene vi sarete inteso.
chicanò Je suis sur de mon fait.
Parigi, Trianon, Fontainebleau,
Non
volete ch’ella arda a nomi tali
giusto come un flambeau?
105 Che
volete che gli offra
questo
signor Cleante?
Condurla
a una cassina
quattro
miglia distante dal Panaro?[135]
O
volete che le offra
110 di star qui tra i
Quaranta
a
grattarsi la pancia
piuttosto
che alla Cour
fra
i duca pari e i maresciai di Francia?
arnaldo Ebbene questo sarà vostro affare:
115 io
assumo quel di tutto superare.
veggo venir Pandolfo: ritiratevi.
chicanò Adieu
mon cher Arnò.
SCENA QUINTA
Arnaldo e Pandolfo.
arnaldo Servo signor Pandolfo.
pandolfo Che facevate qui di Chicanò,
francese
petulante,
e svanito, e stordito?
5 Quando mi ha visto egli se n’è
partito,
e ha fatto ben; per
altro
io
gli voleva dire
com’egli ha tanto ardire
di
dichiararsi sposo di mia figlia?
10 arnaldo Per
quel ch’io so; egli non dice questo.
Gli ho sentito di voi
parlar
con riverenza,
e così della figlia,
come
di tutta la vostra famiglia.
15 pandolfo Ei
non dee parlar né in ben, né in male.
Io non voglio che
ardisca
né
pur di metter piede
vicino
alla mia casa.
arnaldo In verità, Pandolfo,
20 ei né pur mette piede in Strada
Nuova.
Chi
mai vi disse questo?
pandolfo Non è un’ora ch’io stesso
ho
parlato a Cleante.
Egli stesso mi ha detto
25 tutto qual ch’io vi dico: ei mi
parlò
de’ sposalizi fatti
con
questo Chicanò.
arnaldo Sarà sua invenzione
sarà ciò stato per
provarvi, o forse
30 avrà
altra cosa in testa.
pandolfo No, no, Chicanò stesso
gli avea parlato allora.
Io l’ho trovato
che,
come un disperato
correa giù per le scale in quel
momento,
35 e le fece in due salti,
e non so come
non
si rompesse il collo.
arnaldo Se sapeste Pandolfo la disgrazia
che c’è, ma non vogl’io
darven la nuova,
voglio
che vediate da voi stesso;
40 men parlerete appresso.
pandolfo Che c’è? Ditemi Arnaldo,
Che nuova c’è?
arnaldo Pandolfo
dispensatemi:
già lo saprete presto.
pandolfo No, Arnaldo mio, non mi tener sospeso!
45 arnaldo Ma
voi non v’accorgeste
come
Cleante è divenuto matto?
pandolfo Oimè, che dite.
arnaldo Per l’amor del cielo
io non voglio aver detta
questa cosa.
Quando
vedeste Chicanò fuggire,
50 è ch’egli tutt’a un tratto
se ne fuggia dal matto.
pandolfo Ah poveretto! Addesso
che me ne fate per
riflessione
trovo
ch’è ver ciò che voi dite. Ei stesso
55 io so come ha parlato con Climene
appena giunto, e so come
ha narrati
a
lei i fasti delle sue battaglie.
Poiché la figlia mia tutto narrommi.
Io corsi tosto a lui
60 per
consolarmi della sua venuta.
Ei mi risponde secco;
ei dice che Climene
non
ha né pur veduta;
lo protesta, lo giura:
65 mi
parla d’inventati sposalizi
con questo Chicanò,
tutto pieno di bile
tal
ch’io stesso partii di bile pieno.
Ma addesso vengo al fatto:
70 il poveretto è matto;
oh
che peccato! Quando la mia figlia
lo saprà, che dirà? Ma dite Arnaldo
sapete voi se sia
passaggiera
pazzia
75 riscaldamento di cervello nato
forse dal gran viaggio e
dalle pene
sofferte,
o pur se è fissa:
se ha voltato il cervello.
S’ella è pazzia
rabbiosa, o malinconica?
80 arnaldo Io
non so certo di qual tempra sia
so ben che di tai fatti
n’è
piena su ‘l viaggio ogn’osteria.
pandolfo Oh povero Cleante:
un cavalier sì degno,
85 sì
valoroso, un così raro ingegno,
era la virtù stessa. Io però voglio
veder se con rimedi
si
potrà ritornare al primo stato.
Caffè va’ in quella casa
90 a dimandare quel signor
Dottore.
Il
mio povero genero, di cui
avea tante speranze. Ora conosco
quei secchi complimenti
ch’egli
mi fece, affatto
95 contrari a quel suo nobile trattare.
Il poveretto è matto.
SCENA
SESTA
Dottore e
detti.
dottore Che volete da me signor Pandolfo?
pandolfo Siete voi bravo per tornar in senno
chi
ha perduto il cervello?
dottore S’egli è perduto non s’acquista più.
5 Ma s’è riscaldamento,
che
sia formato nella pineale[136]
potrà questo fomento
o dal fisico nascere
o pure dal morale.
10 Potrà nascer pazzia
dalla malinconia
che
soffra un uomo avaro
dall’aver perso, o non
aver denaro.
Potrà
nascere nell’ambizioso
15 dal vedersi mancato
qualche
posto bramato.
Ma
se nel mezzo a questo scaldamento
egli
crede un momento
di
aver tutto acquistato
20 quella malinconia
volgesi
in allegria;
né
per questo guarisce,
né
la pazzia finisce,
perch’è
per falsa causa ancora impressa
25 nella pazzia istessa.
Ma
pur se il matto è tale egli è guaribile.
Così
quando è da amore, o da irascibile.
Ma
bisogna che sian pronti i rimedi,
ed
adattati al mal co’ suoi contrari.
30 Onde per quello, benché picciol
lume,
e
adito che vi resta
penetrin
nella testa, e rarefatte
le
oscure nebbie, e nere,
che
l’avean ingombrata
35 la mettano in riposo,
e
sedin la passione
a
forza di ragione.
Se
poi lo scaldamento
viene
dal sangue.
pandolfo Eh si viene dal sangue.[137]
40 Non può nel nostro infermo questo
male
venire dal morale.
Voi
che ne dite Arnaldo?
arnaldo Eh si viene dal sangue.
dottore Bisognerà mutar il sangue, e andarlo
45 cavando a poco a poco.
Brodi,
acque e bagni, e polveri alchimiste,
e infine tutto quel che detterà
la nostra facoltà in
esecuzione[138]
metteremo
per voi signor Pandolfo
50 che siete mio padrone.
pandolfo No, grazie al cielo, il matto non son’io.
dottore Dico per quel che voi comandarete.
pandolfo Orsù dunque prendete
il
chirurgo con voi,
55 e andiam tosto alla casa di Cleante.
dottore Io però non vorrei che mi seguisse
ciò
che seguimmi con un altro matto,
il quale si credea d’esser un dio.
Io lo guarii, ma in vece
di pagarmi,
60 o
almen di ringraziarmi,
incominciò a tentare
contro di me processo
di danno a lui recato,
per averlo umanato.
65 arnaldo A voi accadon cose assai bizzarre.
Mi sovvien quando il vostro marescalco
vi chiamò innanzi al giudice e gli
disse:
questo signor Dottore
pretende esser pagato, ed io
pretendo
70 ch’ei debba pagar me.
La sua zoppa cavalla
io guarii in tre dì:
per tre mesi costui
tormentò la mia donna e poi morì.
75 Giudicate signore a chi va il resto.
Rise il giudice e voi niente aveste.
dottore E perciò non vorrei
mi seguisser di queste.
pandolfo Non temete, ch’io tutto pagherò.
80 Addio signor Arnaldo;
e grazie dell’avviso.
arnaldo Ho fatto il mio dovere.
Questo sarà un bel fatto,
che l’uno crederà l’altro esser matto.
85 E verranno alle brusche,
e anderà in fumo alfin lo
sposalizio.
SCENA
SETTIMA
Leandro, Arnaldo e Bacocco.
arnaldo E che avete Leandro?
vi vedo contraffatto.
bacocco Questo è il viso ordinario
di un giocator perduto
5 non
mangiar, non dormir, perdere tutto,
rendon il viso profilato e brutto.[139]
leandro È troppo straordinario questo fatto.
Non ne è seguito un
simile
dacché
vi sono carte,
10 e dacché si è introdotto
il Quindici. Ho il Quattordici
e la mano,
fatto
da un Otto e un Sei;
egli ha un Quattro e va il resto.
Tira un Dieci, e vi sta.
15 Io
credo d’aver vinto; ecco si trova
che il Dieci era attaccato
a un’altra carta, e
questa carta è un Asso.
Un
caso come questo
non si è veduto mai, e io perdo il
resto.[140]
20 arnaldo Eran
contanti?
leandro No; ma questo è il peggio,
ch’io non ho un soldo da
pagare il conte.
arnaldo Questo deve spiacer al creditore,
e
non al debitore.
Un rimedio volete?
25 leandro Deh
datemi soccorso.
bacocco Il rimedio sarà certo peggiore
che il mal. Pure
ascoltiamo.
arnaldo Avete voi coraggio?
leandro Questo non manca.
30 arnaldo Ebbene,
di duello
portarete un cartello
a
un cavalier, in nome
d’un altro cavaliere;
ed io m’assumo il carico
35 d’ogni
vostro dovere.
leandro E il bando che da questo seguirà?
arnaldo Chi il primo passo fa,
deve fare il secondo:
del
galantuomo è patria tutt’il mondo.
40 leandro Io
sono pronto al tutto,
perché son disperato.
arnaldo Andiamo in altro luogo
dove dirovvi il resto.
bacocco Costui, a quel ch’io sento,
45 vuol chiudere la pillola
in argento.
E
il povero padrone
ch’è disperato, inghiottirà il
boccone.
SCENA OTTAVA
Stanza di Cleante.
Cleante e Gradelino.
cleante Ebben, né tu né io
abbiam potuto ritrovar
Pandolfo.
Qui
non c’è mezzo alcuno
che di andar a sua casa.
gradelino Ecco
Pandolfo,[141]
5 ed ha seco un dottore e
un testimonio.
Vuol
forse la scrittura
stender del matrimonio.
SCENA
NONA[142]
Cleante, Pandolfo, Dottore, Gradelino e un
chirurgo.
cleante Bisognerà a buon conto stare in guardia
per quel ch’ha detto
Arnaldo.
Però mancar non voglio al mio
dovere.
Servo signor Dottore, e compagnia.
5 Caro signor Pandolfo
Io vi son corso appresso
per ispiegarvi i sentimenti miei:
e palesarvi quello
che può aver dato a voi cagion di
bile,
10 senz’alcuna mia colpa.
Gradelin, vedi come
mi guarda, e sta lontano,
e mi par contraffatto?
Certo Pandolfo è matto.
15 pandolfo Spiegatevi
pian piano
senza scaldarvi più.
cleante Io volea dirvi
ch’io non sono ancor stato in casa
vostra.
pandolfo Oimè.
cleante Ma
che bensì
visto ho un altro che
assume il nome mio;
20 ch’è uscito e dopo è
entrato in casa vostra,
che tutto m’assomiglia;
che parla com’io parlo,
e certo è meraviglia.
ma Gradelino osservi
25 come mi van guardando
attoniti, e sol parlan fra sé?
Pandolfo è pazzo a fe’.
pandolfo Ascoltate, Dottore
questo nuovo Cleante
30 venuto in casa mia, or dentro, or
fuora,
che parla com’ei parla, e lo
assomiglia;
ma ch’ei non ha parlato
giammai alla mia figlia?
Che discorso insensato è questo mai?
35 dottore Questo
è segno sicuro di pazzia.
gradelino Caro padron non v’accostate molto,
che non vi lasci un segno
di
sua pazzia sul volto: onde bisogna
quando viene da un matto,
40 stipularne il contratto.
cleante E pur non oso ancora
dire a Pandolfo cosa
che gli possa spiacere.
pandolfo Io non oso accostarmi.
45 E non so cominciare il mio discorso.
cleante Caro signor Pandolfo
io già so le disgrazie
che sono in casa vostra: e non per questo
lascio d’amarla, come
50 l’ho sempre amata e venerata. Queste
sono umane disgrazie.
pandolfo E io so le vostre
caro Cleante mio, e non per questo
lascio d’amarvi: anzi io
55 sono venuto per prestar rimedio
a questa vostra malattia.
cleante Di quale
malattia mi parlate? Io sono sano
e salvo, e in perfettissima salute.
pandolfo Cleante un uomo mai
60 non
è giudice buono di se stesso.
Vi prego accontentarvi
che qui il signor Dottore
vi
tocchi il polso. Esso comprenderà
colla solita sua esperienza,
65 e già nota scienza,
il
vostro male, e presto il guarirà.
cleante Caro signor Pandolfo,
curato il vostro, e
curato che sia
non
trovarete in me più malattia.
70 Oh questa sì ch’è bella
vuol ch’io sia ammalato.
pandolfo Io sono vostro suocero, e voi siete
mio genero: per questi
dolci nomi
vi
prego, deh lasciatevi toccare
75 il polso da questo signor Dottore.
Avanzate Dottore.
dottore Signor Cleante cosa ci perdete
in dar gusto a Pandolfo?
cleante Se non ci vuol che questo a dargli
gusto
80 toccate il polso pur quanto volete.
Caro Dottore il mio
Pandolfo è matto:
non
vorrei foste matto ancora voi.
dottore Datemi l’altro. Peggio.
pandolfo Che ne
dite?
dottore Questo è un polso infuriato;
85 ei vuol pronto rimedio: un par d’aiuti
al dì, per dieci giorni;
due cavate di sangue
pria di sera,
brodi
lisci, acqua calda co’ papaveri.
Presto vi guarirò: noi
siam a tempo.
90 Se
tardaremo[143]
ancora
la cosa era sbrigata.
Signor chirurgo presto
mano all’opra.
Avete
gli stromenti?
(Il chirurgo mette mano ad alcuni istromenti)
cleante Costoro mi vorrian far impazzire.
95 gradelino Le mani, e il pistolese[144]
io già sento prurire.
cleante Signor Dottore uscite
tosto di casa mia, che se non fosse
il rispetto, che ancora ho per
Pandolfo…
100 pandolfo
No Cleante, pian piano
lasciate cavar sangue:
presto
sarete in stato
di
riveder Climene
che
dello sposo suo parla sovente.
105 Ma
per l’amor del cielo
volete
rivederla
così
privo di mente?
cleante Privo di mente voi signor Pandolfo,
del
che assai mi rincresce.
110 priva la vostra moglie,
priva vostra cognata:
credete
ch’io non sappia
la mala sorte della vostra casa?
Ma voi signor Dottore
115 perché
non li guarite?
Siete medico sol de’ miei
polmoni,
che sono sani più che voi
non siete?
Giacché
l’aiuto avete
presto Pandolfo più
120 né abbisognate voi,
via
prendetelo su.
pandolfo Signor Dottore, che dobbiamo fare?
Il caso è disperato:
sentite come parla? È pazzo affatto.
125 dottore Noi
guariremo il matto.
Lasciate fare a me. Signor Cleante,
chi non conosce il proprio mal sta
male,
ma chi il conosce è già mezzo
guarito.
Voi supponete sia
130 in Pandolfo pazzia:
forse
avete ragion: lo guariremo;
ei crede che sia in voi:
forse questo è un
effetto
della
pazzia ch’è in lui, e forse no.
135 Ma comunque ciò sia
potete far di meno
per
il suocero vostro
che lasciare un tantino
medicar voi per guarir
lui?
cleante Oh sì
140 che
questa saria bella
per vuotare le sue
empir le mie budelle.
Cavar
il sangue a me
per rinfrescar Pandolfo
145 far me diventar matto
per
guarire quel matto? Eh che ora mai
mi trasporta la bile.
gradelino Lasciate fare a me.
Potete
far di men signor Dottore
150 per guarir l’uno e l’altro,
che lasciarvi un tantino
medicare
la gobba
dal servo Gradelino: il
fuoco è questo
de’
papaveri freschi.
(lo bastona)
155 dottore Ahimè,
ahimè: così un eccellentissimo
si tratta?
gradelino In questo modo.[145]
(seguita e li bastona tutti. Il Dottore, fuggendo,
urta in uno scagno
e cade.
Pandolfo fugge, e poi torna)
cleante Fermati sciocco, lascia star Pandolfo.
pandolfo Dalla casa di un matto
sol si potea aspettare questo fatto.
160 cleante Perdonate
Pandolfo. Ei parte; ei fugge,
l’hai fatta troppo brutta:
dovevi almeno risparmiar Pandolfo.
gradelino Io più non vi vedeva
tanta è la bile che nel capo aveva.
165 cleante E
come mai potremo
accomodar tal cosa? Il fatto è
brutto.
gradelino E come mai faremo
a questa riccucir veste
stracciata?
Padron
pensate bene;
170 voi perdete Climene,
e io perdo Bertoccia,
che
già avevo in saccoccia.
Oimè, oimè, per troppo amor per voi,
oimè i singhiozzi
vengono alla gola,
175 e
mi sento strozzare;
oimè, che devo fare.
cleante L’ultima cosa è il disperare. Andiamo.
Tutti son matti in quella casa,
fuori
che la mia sposa e la tua sposa.
Basta
180 che c’intendiam con loro.
gradelino E non vedete quanti
trinceramenti
superar bisogna
per giunger fino a loro?
Prima c’è quel Cleante
185 e
Gradelino petulante, e poi
la madre matta e il padre matto, e
poi
c’è la signora zia, ch’è
matta anch’essa.
Poi
il dottore de’ polmoni, poi
c’è quel brutto chirurgo del cristero.
190 Io
non mi accosto in vero.
cleante A tutto ciò non penso.
Quel primo fu un fantasma
notturno, o un’opinione.
Nel resto andrem pian piano.
195 gradelino Ma l’opinion fa il caso, e fa il bastone?
cleante Andiam. Vien meco e lascia fare a me.
SCENA
DECIMA
Strada.
Pandolfo, Dottore, Arnaldo.
pandolfo Aveste gran ragione
quando diceste che Cleante è matto.
dottore E che matto? Ella è matta
tutta
la casa: il servitore è matto
5 infuriato; sin gli scagni stessi
son matti, che vi vengon
per i piedi
quando
fuggite il matto.
Son matte le pareti
che m’hanno dato un
colpo, onde mi resta
10 male
ancora alla testa.
Non mi colgon più matti:
chi
vuol guarir guarisca,
e chi non vuol si mandi all’ospedale.
arnaldo Io lo conobbi tosto
15 che ragionai con lui, e vi avvertii
perché pensaste a’ casi vostri.
pandolfo Io
sono
a
voi tenuto sommamente, Arnaldo.
Ma intanto che faremo?
Io
non so come darne
20 a
Climene la nuova.
arnaldo Ad un qualch’altro
sposalizio pensate.
A una figlia che ha meriti infiniti
non mancheran partiti.
pandolfo È vero, ma un Cleante…
25 dottore Eh
non pensate più al signor Cleante,
che mai più non guarisse
nel cervello.
Non
v’è il signor Quaranta Pettinaso,
e il Quaranta Tarocco,
e
il figlio del Quaranta Bulinbrocco?
30 arnaldo Eh
eh.
dottore Che dite Arnaldo?
arnaldo Per far di tai Quaranta
un
partito che sia degno di lei,
ve ne vorrian sessanta.[146]
Quaranta Pettinaso è uno
stordito,
35 Bulinbrocco
è fallito,
Tarocco è scimunito.
E chi non sa di questo
la
storia della sua signora madre?
Chi gli anegdoti ignora
40 del signor padre poi di
Bulinbrocco?
Io
non fo per dir male di nessuno,
ma queste cose sono note a ciascuno.
dottore Che trovareste[147] a dire
al contin Malapanza?
45 arnaldo Per
la mattina non vi trovo niente,
ma per il dopo pranzo
non
so in qual lingua ei parli.
La sera ei giocheria
la sua parte del sole.
50 dottore E
il contin Filiberto
ch’è sì bello e gentile?
arnaldo Quest’è un giovine pien di verità,
perché una mai da lui ne esce fuora,
benché tante ne sente
55 che glien dice la gente,[148]
che dovrebber uscir o pur crepare.
dottore E al marchesin Merenda
trovate qualche cosa da ridire?
arnaldo Oh questo sì è una gioia;
60 egli è una perla buca
leggiera, e scolorita.
dottore Adulator non siete
caro signor Arnaldo;
e di me che direte?
65 arnaldo Bene.
dottore Egli è il maggior mal che
dir potete.
Quando
il nostro senato
proibì i libri dei Cinque Dottori
raccomandavasi il dottor
Beretto
perché
fosse proibito il suo libretto.
70 E al bene, e al male gli uomini
cercano d’esser posti
in
riga, e in compagnia de’ galantuomini.
arnaldo Ma voi signor Pandolfo sospirate?
dottore Egli è, perché anche ad esso
75 alcune poche ne sono toccate.
pandolfo Io penso che un Cleante
non
lo ritrovo più. Quelle maniere
dolci, quel suo parlar così cortese,
tante virtù, tante
guerriere imprese:[149]
80 ah
ch’io voglio impazzire
nel pensare com’ei sia impazzito.
E quando avrà mia
figlia,
e
mia moglie, e cognata
una tal cosa udita
85 impazziranno anch’esse.[150]
Caro
signor Dottore
venite ad aiutarmi in casa mia.
Venite ancora voi signor
Arnaldo.
Non
posso più star saldo.
90 dottore Ma
con un patto: ch’io
se
la vedo impazzire
in un momento me ne vo fuggire.
pandolfo Andiamo.
arnaldo Ed io vi servo.
SCENA
UNDECIMA
Cleante e Gradelino.
cleante Avvanza Gradelino.
Sembra ch’abbi paura.
Lasciasti in Fiandra il tuo valor
guerriero?
(picchia alla porta di Pandolfo e compare un
bosco)
cleante Vedi come si fa.
5 Dove
siam Gradelino?
Sparita è Strada Nuova,
E sparita la casa di
Pandolfo,
e
ci troviamo qui in una foresta
folta, orribil. Non orma
10 io vedo, non sentiero.
gradelino Caro padron mi prende lo spavento,[151]
e mi scappa la fame
segno
orribil d’orribile portento.[152]
cleante Fa coraggio sei meco.
15 gradelino Ma
qui che si farà?
La fame tornerà,
e in caso tal con chi c’intenderemo?
cleante Non ho creduto mai
ch’io
potessi veder ciò ch’oggi io vedo.
20 Quasi a me stesso, e agli occhi miei
non credo.[153]
Cielo, che vuoi da me?
Fors’io non degno
son
di Climene, o pure
vuoi provar la mia fe’?
gradelino Cieli che fate mai?
25 Forse Bertuccia mia
non
è degna di me? Voi già sapete
com’io non ho mangiato
da che son ritornato.
Voi
sapete che l’oste
30 mi aveva preparate le polpette;
ahimè che forse sia
ch’altri
addesso le mangi in vece mia.[154]
Provar forse volete la mia fe’,
mentre altri goderanno
35 ciò
che ordinai per me.
Ah padrone un serpente.
cleante Dov’è?
gradelino Eccolo là.
cleante Quello
è un virgulto
la paura già fatti travvedere.
E non vedi piuttosto là una pianta
40 di pomi?
gradelino E come belli? Io vuo’ a buon conto
provvedermene. Oimè
quando credo raggiungerli mi
scappano.[155]
cleante Eh sarà per il vento.
salta bene, e distendi
45 la mano.
gradelino Io
la distendo
ma un pomo ancor non
prendo.
Padrone
nell’alzarsi
che fa la pianta vedo comparire
una statoa[156] bianca.
50 cleante Che
cosa è questa? In mezzo
a questo bosco un simolacro?
Io voglio
vederlo
da vicino. Quel sembiante
lo conosco; egli è giusto
espresso al volto il cavalier
Morgante.
55 gradelino Ah sì sì, quello ch’ho ucciso in guerra.
cleante Eh tu vuoi dir quello che sotterrasti
non quello che ammazzasti.
Tu sempre vanti le imprese di
guerra;
ma quando siam in prova,
60 Gradelin non si trova.
gradelino E pure o vivo, o morto
passò
per le mie mani. Avea barbigi[157]
appunto come questi,
quand’io lo seppellii.
65 Ce
li tirai ben bene, e dissi a lui
tutto ripien di valoroso fuoco:
Credi ch’abbia timor de’
tuoi barbigi?
Voglio
tirarli un poco.
cleante Perch’era morto.
gradelino Appunto.
(mentre ha stesa la mano, la statoa lo
guarda. Gradelino cade in terra)
70 Ahimè, ahimè, padrone aiuto.
cleante Cosa
c’è
Gradelino?
gradelino Oimè.
cleante Levati, cosa fai?[158]
gradelino Il cavaliere
m’ha guardato: l’ho visto. Quel
Morgante
m’ha fatto un atrocissimo sembiante.
75 cleante Avrai
travisto.
gradelino Oimè, che la paura
è troppo grande: oimè.
cleante Eh levati, che questa
è una statoa fredda; ella è di sasso.
gradelino Andò via?
cleante Come
vuoi che vada via,
80 se non ha vita? E come vuoi temere
quel ch’io non ho temuto
sano, e vivo, ed a fronte di un’armata.
Accostati, e lo tocca.
gradelino Né pomi, né barbigi io più non tocco.
85 cleante S’egli
ancor fosse il cavalier vivente
credi non temerebbe
il braccio mio possente?
statua No.
gradelino Ahimè.
cleante Come no?
statua Temi vendetta.
cleante Eh, chi non ho temuto
90 vivo,
morto non temo. Cavaliere,
che vendetta pretendi?
Che vendetta vuoi far?
Meritai forse
la
vendetta del ciel, la tua, l’altrui,
quando il mio re servendo
95 ti distesi per terra e
vinsi il campo?
Non
rispondi? Fors’io
dallo stupor sorpreso
ho cose vane inteso?
Gradelino,
che fai?
gradelino Padron scappiamo
100 ho sentito, e sentite ancora voi.
Non siete morto ancora per paura?
cleante Morir sì; temer no.
gradelino Morir no. Temer sì. Per me men vado.
Ma mi treman le gambe.
105 cleante Credo
ancora che male abbiam sentito.
Come deve Morgante
a insultarmi venire dopo morto?
statua Vivo.
cleante Se vivi scendi da quel
sasso.
gradelino Moro: oimè aiuto.
cleante Se spavento crede
110 fare al cor di Cleante
erra di molto il cavalier Morgante.
statua Vien meco.
cleante Eccomi teco.
Gradelino.
gradelino Son morto.
Non pensate più a me: se di mio
aiuto
115 bisogno fa, datevi per perduto.
statua Siedi.
cleante Va’ Gradelin, prendi quel
sasso
mettil vicino a questo.
gradelino Non sento, non rispondo.
cleante Tu sei col tuo padron; sta’ pur sicuro.
120 gradelino Quella
faccia di muro
mi fa tutte tremare le budella.
statua Cleante.
cleante Che mi chiedi cavaliere?
statua Sai dove sei?
cleante So
che sono in un bosco
dinanzi a te.
statua Sai che facesti?
cleante Io so
125 Di avere sempre fatto il mio dovere.
Questo mi rende di me stesso pago;
questo fa che temere
non devo se foss’io
dinanzi al re dell’infernal vorago.
130 statua Ti
sovvien del mio sangue?
cleante In conflitto onorato
servendo
il mio monarca
io ‘l sparsi, dopo che tu stesso
quello
traesti dalle vene
135 di
più di cento franchi.
Il mio re sen compiacque,
e la vittoria nostra
da
questo colpo nacque.
statua E ten vanti?
cleante Perché narrar
non devo
140 ciò di cui tu mi chiedi
e di cui dal mio re lodi ricevo?
statua Ten pentirai.
cleante Hanno le cose
umane
le
lor vicende, ed io sono ugualmente
pronto a soffrire i tristi,
145 e a goder moderato i
dolci eventi.
Dagli
altrui casi imparo
che quel che lieto su la ruota siede[159]
trovasi in un momento
esserne al piede;
ma
quel che stando in alto osserva il piano,
150 non cade, ma riposa.[160]
statua Ho sete.
cleante Com’io posso in questo
bosco
ritrovarti da bere?
statua Al rivo.
cleante Cerca Gradelino il rivo.
gradelino Chiedetegli se ha fame
155 che si serva de’ pomi di quel rame.
cleante Va’ tosto, e porta l’acqua.
gradelino Come la porterò,
se da porla non ho?
cleante S’altro non troverai
160 serviti del cappello;
ma al cavalier Morgante
in niente mancar deve Cleante.
gradelino Io non so come faccia
il mio padrone a stare così franco
165 con quel del muso bianco.
cleante Ha la guerra i suoi modi
o
cavalier, co’ quali
dallo stesso nemico
ottengonsi le lodi.
170 Allorch’io
unii le schiere
dal tuo valore in fuga volte, a voi
si dier lodi da noi;
né
la gloria perdesti
se sul letto d’onore
175 da
me l’estremo colpo ricevesti.
Non perdette Pompeo
il gran nome d’invitto,
benché
col di lui sangue
tingesse il mar d’Egitto.
180 Io non lodo quegl’uomini
chiamati
semidei
che sotto nome di conquistatori
son della terra tutta
incendiari,
assassini e predatori;
185 ma lodo assai coloro
che spargono il lor
sangue
pel
suo re, per le leggi e patrie loro.
Perciò ugualmente anch’io
come
per sorte sparsi
190 il
sangue tuo, avrei sparso il mio.
Né so, s’io sarei stato
in cambio tal, più, o
meno fortunato;
poiché
al ritorno nella patria mia
sono assalito da sciagure tali,
195 che par che in odio io
sia agl’immortali.
Ma pure io cercherò
nel
soffrir che farò
della trista mia sorte
l’ira,
e la violenza,
200 di farmi degno infin di lor
clemenza.
statua No.
cleante Come no? Fors’io
mi
meritai dal cielo
eterno inestinguibile lo sdegno
perché nel fianco tuo
portai la spada?
205 Non
fur Manlio, e Torquato[161]
degni d’eterna lode
perché
steser sul suolo
il franco, l’un, l’altro il latin gigante?
Non fu per colpo uguale
210 da
me trafitto il cavalier Morgante?
Chi serve il re, serve e ubbidisce
al cielo.
La guerra…
statua Ingiusta.
cleante O giusta, o ingiusta; al re
è dato il comandare
a
noi sol l’ubbidire,
215 e non il giudicare. Qual motivo
potea…
statua L’ira.
cleante Nol credi. Io t’ammirai
sempre,
non ti sdegnai.
Di Namur la difesa,
e d’Ostenda l’impresa[162]
220 furo
sempre l’oggetto di mie lodi.[163]
gradelino Ho trovato un melone in riva all’acqua:
ho mangiato il melone,
e
della scorza ne ho fatto un boccale
per dar da bere a quel brutto
animale.
225 Ma non mi accosto: ha
così brutta cera,
che
se mi guarda, mi distende morto.[164]
Padron, padron, prendete.
Qui dentro vi sta l’acqua,
e
datela da bere a chi volete.
230 cleante Accostati,
e la porta
al signor cavaliere.
gradelino Io non mi accosto.
cleante Fa’ coraggio, vieni.
gradelino Ebben starò di qua,
e l’acqua sporgerò fuori per là.
235 cleante Ma
che creanza è questa?
gradelino Vergogna passa, e benefizio resta.
(Statova si leva)
statua La mia sete è di sangue.
cleante Abbialo, se lo vuoi.
Versalo, se lo puoi.
240 gradelino Ahimè,
padron scappate.
statua Seguimi.
cleante I passi tuoi
seguo dovunque vuoi.
(va verso la statova, che si porta al
piedistallo)
statua M’avesti preceduto.[165]
cleante Meglio stato saria:
245 che poco il mio monarca
perduto avrebbe in me,
e l’Inghilterra molto perdé in te.
statua Dammi la mano.
cleante Eccola, cavaliero.
gradelino Ahimè, ahimè, che gran paura è questa.
250 Io nasconder mi voglio.
statua Sei valoroso e forte,
ma non avrai Climene,
sinché maggiore incontro
da
te non si sostiene.[166] (la statova scompare)
255 cleante Il
cavalier sparì. Gran cosa è questa,
orribil, prodigiosa.
Io
non avrò Climene,
sinché maggiore incontro
da me non si sostiene?
260 Maggiori
cose, oh Dio,
ancor soffrir degg’io?
Or bisogna pensare a uscir
da questa
tenebrosa
foresta.
Gradelino ove sei? Mi lasci solo?
265 Dove n’andò il poltrone?
Gradelino,
Rispondi.
gradelino Non
rispondo.
cleante Sento la voce sua. Vien Gradelino.
gradelino Siete morto?
cleante Son vivo, e sano,
e salvo.
Vien non abbi paura.
270 gradelino E
il Molinaro[167]
è andato?
cleante È andato via.
Dove t’eri nascosto?
gradelino Dentro di una caverna,
che parea quella di Sabino il Mago.[168]
ma che far dobbiam qui?
275 cleante Non
so ne pure in qual paese io sia.
Ah cieli in quest’istante
soccorrete Cleante.
(sparisce il bosco e torna la strada)
Eccoci in Strada Nuova
di Bologna.
Entriamo
in nostra casa,
280 dove vi sarà il pranzo preparato.
Ma non vuo’ mangiar
solo.
Cerca
Arnaldo, e Leandro
di’ loro ch’io gli aspetto a pranzar
meco.
Guarda al Caffè, ch’ivi
saranno tutti.
285 Io
gli aspetto in mia casa,
e vado a fare preparar la tavola.
gradelino Io vado a cercar tutti,
e dirò a tutti che sono aspettati
a pranzo dal padrone.
Fine dell’atto secondo
ATTO
TERZO
SCENA
PRIMA
Stanza di Cleante con tavola preparata.
Genio.
genio Io
vado in ogni parte
inseguendo Cleante,
e spero alfin di trarlo in tale
inciampo,
che di fuggirlo non
ritrovi campo.
5 Se
questi non sostiene
ei non avrà Climene:
né lei potrà ottenere
senza
ch’egli abbandoni
Climene stessa per il suo dovere.
SCENA
SECONDA
Gradelino e Bacocco.
gradelino Presto, Bacocco, ad aiutarmi vieni.
Ma
vedo che il padrone
ha fatto preparar per tre persone,
e gli ha invitati tutti.
5 bacocco Credi
che c’è un imbroglio
e che avrai mal inteso.
gradelino Io non ho mal inteso.
Disse d’invitar tutti,
e tutti gli ho invitati.
10 bacocco Qui
bisogna trovare
altra
tavola e altri tovaglioli.
gradelino Eh no; che il padron vuole
farli mangiare tre a tre. Ho sentito
l’ordin, che ha dato al coco.
15 bacocco A
tre a tre, ei vorrà dire i piatti
che il coco mandi in
tavola;
ma
non a tre a tre
che mangin gl’invitati.
Ti par che possa mai
cader in mente
20 del
tuo padrone una tale sciocchezza?
Che mangin tre a tre.
gradelino Tu sei dottore sin della pietanza.
SCENA
TERZA
Cleante e detti.
cleante Dalla finestra ho vista molta gente
che viene verso qua.
gradelino Vengono tutti a favorirci. Io tutti
in nome vostro gli ho
invitati, e tutti
5 han
subito accettato.
cleante Gran balordo che sei.
Ti
ho detto d’invitare
e Leandro, ed Arnaldo, e che gli
avresti
trovati alla bottega del
caffè
10 dove
s’uniscon tutti:
ma non d’invitar tutti. In qual
imbroglia
m’hai posto? Qui bisogna
trovar
rimedio tosto.[169]
gradelino Il rimedio è ch’io subito
15 li
vado a cacciar via
e darò per ragione insuperabile
ch’io non vuo’, che
mangiare
debban
la parte mia.
cleante Un nobil disimpegno, veramente
20 degno
di te. Bacocco
giacché sei qui, va’ alla cucina;
vedi
che cosa manca, e presto
col
pasticcier raduna
ciò che abbisogna. In tanto
25 io farò venir gente
ad
aggrandir la tavola. E tu resta
qui Gradelino, ad osservar che il
tutto
vada col miglior modo
che si può.
Se
arriva gente, di’ ch’io vengo subito.
30 E in tanto li trattieni. Andiam
Bacocco.[170]
bacocco Son qui pronto a servirvi.
gradelino Son divenuto mastro
di cerimonie. Ma già vedo gente
che comincia a venire.
SCENA QUARTA[171]
Milord, D. Nugno e Gradelino.
gradelino Servo signor Smirold.
milord E che fa il tuo padrone?
gradelino Si è andato a pettinare,
e
a preparar la tavola,
5 ma temo d’imbrogliarmi
nel mio cerimoniale.
Signor
don Nugno, faccio
a lei gran differenza.
d.
nugno Como,
gran differenzia?
10 da
me a Milord gran differenzia? Io sono
don Nugno Boccadorta,
i Lopez, i Mendozza,
i Moncada, i Monte Matignon.
Tu locon, i cavron, i piccaron.
15 milord Voleva
dir, vi faccio riverenza,
ma non sa ben parlare.
gradelino Presto, presto canaglia
allargate la tavola. Bisogna
metter almen quattro posate più.
20 bacocco Queste
sono abbastanza.
gradelino Io ti dico di no.
bacocco Io ti dico di sì.
gradelino Ebben contiamo
Smilord, sta saldo, Nicolò,
Lissandro.
bacocco Milord, Arnaldo, Chicanò, Leandro.
25 gradelino Qui
Grugno Boccastorta,
qui Loffes, qui Merdozza:
li metterem vicini,
che son frattei cugini;
qui Mostarda, qui Montemarmiton.[172]
30 bacocco Moncada
Lopez Matignon, Mendozza
sono tutti in don Nugno Boccadorta.
Che diavolo dici?
gradelino Dunque costui deve mangiar per cinque;
Milord, e voi per quanti mangerete?
35 milord Per
me solo.
d.
nugno Costui è molto sciocco.
Ma
Cleante c’invita, e non si trova
a fare le accoglienze
alle nostre Eccellenze?
milord Non bisogna all’amico esser a carico.
40 d. nugno Ma
però dee sapere
quel che co’ pari nostri è suo
dovere.
gradelino Il mio padrone ha qui lasciato me
mastro di cerimonie. Che volete?
E quattro son per me.
45 d. nugno Tu
se’ un cattivo mastro
di cerimonie, sudicio, pezzente.
milord Non vedete ch’è un sciocco?
Non perdete la vostra gravità?
d.
nugno Io non bado a costui; bado a Cleante,
50 che ci lascia qui soli.
Don Pedro de Miranda
ruppe il trattato tra la Francia e
noi
sol perché Chatillon
prese tabacco pria di darlo a lui.
55 milord Ciò
sarà perché rompere voleva;
né altra occasion per
rompere vedeva.
Il
ministro non guida gli accidenti,
ma gli accidenti guidano il ministro.
Onde sembra sovente
60 consiglio
l’accidente.
Ma che il tabacco preso,
o prima, o poi,
faccia romper trattati,
faccia durar le guerre,
e dar battaglie
creder
lo vuo’ perché mel dite voi.
65 d. nugno La
cerimonia delle precedenze
ha fatto nascer guerra
tra
la Svezia e le loro alte potenze.
milord Quest’è affare di stato.
Io
parlo del privato.
70 Son fatti altrui e son incerti i
titoli,
incerto è il padre, e l’avolo;
ivi
certo è ch’io son Pietro e tu sei Pavolo.
d.
nugno Dunque non troverassi differenzia
tra qualunqu’uom del volgo e un’eccellenzia?
75 milord Io
vi dirò don Nugno.
Se un uom del parlamento
io
veggo pettoruto ed incivile,
io me gl’inchino è vero,
ma m’inchino alla veste,
e sprezzo l’uomo.
80 Se
vedo un grande, che di grande nulla
ha che il grado, ed il titolo,
e la borsa, e la boria,
saluto
sua eccellenza
ma dico entro di me:
85 sua eccellenza è un
ridicolo,
e
sovente mi volgo, e il dico a te.
Ma in Eugenio, in Turena
Ximenes, Mazarini et
Louvois[173]
la
condotta, e il consiglio, e l’opre eccelse
90 ammiro e le richiamo,
e d’imitarle bramo.
Questo
distingue l’uomo.
Ma se l’uom resta indietro
ed il titolo avvanza
95 sotto
molta apparenza
vi è nessuna sostanza.
SCENA
QUINTA
Cleante e detti.
cleante Milord son servo di vostr’eccellenza,
servo don Nugno.
d.
nugno Como?
Eccellenza a Milord, e a me niente?
O
todo, o nada: o l’uno e l’altro senza,
5 o l’uno e l’altro aver dee l’Eccellenza.
Addios,
io me ne vado.
cleante Dove andate don Nugno?
d. nugno O todo, o nada.
cleante Presto portano in tavola; aspettate.
milord Voi non ben l’intendete.
10 Date il titolo a lui, e a me il
togliete.
Così si fermerà.
cleante Ah comprendo. Signor don Nugno,
aspetti:
Antron ed io vorressimo godere
la compagnia di vostra eccellenza.
15 d. nugno O todo, o nada: o, e l’uno, e l’altro; o
senza
e l’uno, e l’altro. Non vuo’
differenza.
cleante Io non sapea che foste
grande di Spagna, o consiglier di stato.
d.
nugno Che consiglier? Che stato?
20 El
Grandado de Monte Matignon
vien dai re d’Aragon.
cleante Io mi credea che l’eccellenza vostra
fosse ancor sul tapeto
con don Cosef de Mara,
25 i Monte Ziteron.
d. nugno Che
tapeto? Che mara?
Mi patres fean el rej,
e gli dicean nel farlo
Nos
che valemos quanto vos
30 azemo rej vos
che
con costizia regoliate nos:
sino, no.[174]
cleante Come
dunque…
SCENA
SESTA
Chicanò, Leandro, Arnaldo e detti.
chicanò Mesieurs vostre serviteur
il est Midì et dimì
et
n’aston pas servi?[175]
cleante Voi appena arrivate e già volete
5 che sia in tavola posto.
gradelino Lasciate almen che si cucini il rosto.
(Cleante fa complimenti cogl’altri invitati)
chicanò Signor don Nugno addio; che nove
abbiamo
del Rio de Plata?
d.
nugno Che nuove volete
aver
da un fiume?
chicanò Ah, Rio de Plata è un
fiume?
10 Canarie non è fiume;
che nuove abbiam de Canarie? e quali
dalle Molucche, e dal Nadab?
milord Nadab.
È un uomo.
chicanò Il est un homme? e bien[176]
se port
i bien Monsieur Nadab: ditt donc
15 voi dovete saper cosa si
fa
al
Mogol, a Marocco, al Paraguai.
On demande toujours
de novelles alla Cour.[177]
arnaldo Come volete che si vi dia in un fiato
20 nuove delle Canarie e del Mogol?
chicanò La flottiglia arrivò da s. Domingo?
Da Smirne e dal mar Caspio?
milord Mai certo dal mar Caspio
nave
non uscirà.
25 chicanò Ebbien che resti là.
Milord,
avez vous du tabac?
milord Prendete.
chicanò Bon; qu’il est bon? Voilà du bon tabac.
Condé
qui a tout moment
prend du tabac, n’en prend pas de
meilleur.[178]
30 Vous avez des odeurs.
milord Porto sempre con me de l’eau des Carmes.[179]
chicanò Mais qui sent toujour
bon,
ne
sent pas toujour bon.[180]
Gradelin, come va nella
cucina?
35 gradelino Ci
fa freddo.
chicanò Comment
votre cuisne est froide monsieur Cleant?[181]
cleante Non badate a quel sciocco:
ma lasciate parlare ancora noi.
chicanò Ancor da cominciare
40 voi avete a parlare?
E
a qual ora dovremo desinare?
cleante Volete che nessuno
debba parlar che voi?
chicanò Ebbien monsieur parlez
45 donné
moi du pain[;] je commence a manger.[182]
cleante Voi mi perdonerete
se
non ritroverete
una mensa secondo a voi
si deve.
L’onor
è grande, ma lo sbaglio ancora
50 non fu men grande del mio servitore.
Io non avrei ardito
di
procacciarmi un così grande onore.
Ma per sbaglio costui fece l’invito,
cui volentier consento
55 quando
sia accompagnato
dalla vostra bontà, e sofferenza.
arnaldo Non vi sian cerimonie fra di noi.
A chi non dee bastare
solo il piacer di conversar con voi?
60 [(a parte)] Addesso te la ficco.
d.
nugno Tavola all’improvviso!
Oimè: tavola senza cerimonie.
Oimè.
arnaldo Portano il riso.
(Arnaldo da parte a Chicanò) Chicanò
ricordatevi
65 di
far ciò ch’io vi dissi.
Ma non vi voglion tante francesate.
Bisognerà prender il
serio.
chicanò Ebbene
lasciate fare a me.
cleante Ritirati
di là
70 Gradelino che fai? Ti siedi a mensa
prima degli altri?
gradelino No. Io ho creduto
che si andasse seduto alla misura
dell’appetito: il primo è di don
Grugno,
ma il secondo son’io.
cleante Tu dei servire
75 prima,
e poi mangerai.
chicanò Ebbien
asseyons nous
Mesieurs point de façon.
Don
Nugno si è servito; voulez vous
Milord,
du ris, ou de la soupe?[183]
milord Del riso.
80 chicanò Il me paroit trop blanc.[184]
Il m’a un air mechant.
milord Quest’è un bel manzo.
chicanò Ma
non è tremblant.
milord Quest’è un ragoût assai buono.
chicanò Il
est bon s’il vous plaît.
85 Ma
questo brodo mi par grasso assai:
il a les yeux d’Argus.
Cleante non avete
coco francese?
cleante Egli è francese,
e prima
serviva
monsieur le duc de Monbason.
90 chicanò Conosco
il coco a quel farcì,[185] e a quella
poularde:[186] oh que ça est bon.[187]
Vive monsieur le duc de Monbason.
milord Era tutto cattivo
quando
il credeva un coco bolognese;
95 diventa
tutto buono[188]
perché
è coco francese.
L’opinion fa assai.
d.
nugno Questo manzo, e quest’oglia[189]
es
mecor che poularda, e che farcì.[190]
100 arnaldo A
Nugno piace il grasso,
e la camicia sua n’è testimonio.
O don Nugno mangiate.
d.
nugno Mangio.
arnaldo Voi divorate.
leandro Egli ha buon appetito.
105 arnaldo La
caccia è un grand’invito
a ben mangiar. Don Nugno è stato a
caccia.
È vero?
d.
nugno No.
arnaldo Voi parlate
laconico
straordinariamente.
d.
nugno Mio uso.
arnaldo Egli è vostr’uso solo a tavola.
110 Ma quando voi vantate i vostri
titoli
Non la finite mai.
chicanò A
boire. Io ho sentito
parlar di caccia, voglio che
cantiamo
una canzon di caccia.
115 cleante Cantiam:
da’ a tutti a bevere
Gradelin: lascia stare
i piatti: cosa vuoi?
Tu vuoi mangiar quando mangiamo noi?
gradelino Che cosa mangierò? Qui niente avvanza.
120 Qui si dà fondo a tutto.
d.
nugno Lascia qui questo tondo
che lo voglio finire.
gradelino Eh no.
d.
nugno Eh sì.
gradelino Lasciate
andar.
d.
nugno Non lascio.
(nel tirare cade col tondo)
Ahimè che son per terra.
125 Tutta la salsa mi è venuta addosso.
cleante Vi siete fatto mal signor don Nugno?
Aiutalo Bacocco.
d.
nugno Colui di Gradelino
è
sciocco, ma insolente.
130 Vedete come in vece d’aiutarmi
dopo
il mal che m’ha fatto,
finisce il tondo, e poi finisce il
piatto.
bacocco Abbiate un po’ pazienza,
caro signor don Nugno.
d.
nugno Eh niente, niente.
135 bacocco Colui
ha un po’ del matto.
d.
nugno È matto sol per render matti gli altri.
bacocco Vi volete lavare?
d.
nugno Voglio ricominciare.
Dopo
mi laverò.
140 chicanò Allons Messieurs: buvons
chantons ensemble, et faisons
carillion.
tutti Chantons, buvons, et faisons carillion.
chicanò Quand de la chasse on est de retour
il faut
boire, il faut boire, il faur boire.
145 Quand de la chasse on est de
retour
il faut boire le reste du jour.
Vive Baccus qui nous enchante
Vive Baccus qui nous soutiene.[191]
Quand de la chasse etc. (da capo)
150 Sur ma famme Climene messieurs
chanton
une nouvelle chanson.[192]
milord Voi
siete maritato? Io nol sapea.
chicanò Lo sa il signor Cleante.
cleante Non
è vero.
chicanò Mi date una mentita?
155 arnaldo Bravo: caccia; minaccia.
cleante Io non offendo alcuno,
e meno in casa mia.
Ma dico che Climene
né è vostra moglie, né sarà. Che
queste
160 son vostre opinioni
per non dir invenzioni.
chicanò Comment une dementie a Chicanò?
Nous la verrons. Leandre
allons,
sortons d’ici.[193]
165 cleante Fate quel che volete: io non offendo
alcuno.
arnaldo (a
parte) Andate subito: coraggio.
cleante Ma
voi signor Leandro
che avete a far con lui?
chicanò A quatre pas d’ici
170 je te le fairez
connoître.[194]
(escono Leandro e Chicanò)
milord Cleante io son con voi.
Mi rincresce che torbidi
sì forti[195]
e
sì fuor di ragione
vengano ad agitarvi.
175 Un personaggio come voi
non merita
accidenti
sì tristi.
cleante Io credo che alcun uomo
non abbia avuto mai
giorno più pieno di tristi
accidenti.
180 gradelino E pur vedete come
in mezzo a ciò don Grugno mena i
denti.
d. nugno Eh
no no, Gradelino;
non mi venire più sì da vicino.
(Gradelino si accosta a don Nugno)
Prendi ti do il mio loco.
185 cleante Vi par Milord ch’io abbia detto cosa
la qual non convenisse.
milord Ben
lontano da ciò.
Tutto da voi a gran ragion si disse.
cleante Tanto a me basta.
(parlano insieme Cleante, Milord e don Nugno)
190 gradelino Gran dolci, e gran formaggio
mancano su la tavola:
han fatto un gran mangiare.
bacocco Come vuoi ch’abbian fatto
s’hanno attaccato lite.
195 gradelino Parlavan, ma mangiavano.
Cantavan, ma mangiavano.
195 E per attaccar lite han preso tosto
la misura col rosto.
bacocco È vero, ma il formaggio
200 nessuno lo ha toccato.
gradelino Se nessun lo ha mangiato
egli è dunque sparito.
Qui non c’è; qui non c’è; sento un
odore
che mi dice dov’è.
205 Aiutami Bacocco
e lascia fare a me.
bacocco Ma
non far ragazzate.
gradelino Vedi quella saccocia com’è gravida,
che sta per partorire?
210 Facciamle,
se possiam, la carità
(Gradelino va alla saccoccia di don Nugno)
di sollevarla. Osserva qui i biscotti:
ecco una procession di buzzolai:[196]
e vedi qui che pezzo di formaggio…
d.
nugno Che fai, bestia, che fai?
215 gradelino Formaggio io non mangiai,
onde
dietro all’odore
ci son venuto, e con buona licenza
della vostra eccellenza
vorrei
mangiarne un tantinino anch’io,
220 ed
un altro tantin Bacocco mio.
d.
nugno Portalo pur via tutto.
Resto mortificato:
non vorrei mai averlo insaccocciato.[197]
(Or sì, ci patirà
225 un po’ la gravità)
(Milord e Cleante seguono a parlar tra di
loro e con Arnaldo)
gradelino Se non me n’accorgevo erano guai.
d. nugno Che
barbottan costoro?
gradelino Vantiam la provvidenza
della
vostra eccellenza
230 che fa provision
per Leffez y Mendozza
Mostarda y Marmiton.[198]
d. nugno Meglio è di qua partire.
Addio signor Cleante e compagnia
235 devo andare a mutarmi.[199]
cleante Addio don Nugno
voi, che ne dite Arnaldo
dell’operar di Chicanò?
arnaldo Che
cosa
volete che io vi dica.
240 È un francese stordito ed insolente.[200]
SCENA
SETTIMA[201]
Leandro e detti.
leandro Signor Cleante io devo
con
mio grande spiacere,
presentarvi un cartello
di sfida, che vi manda
Chicanò.
5 cleante Pazzo
non diverrò, perch’ei sia pazzo.
Fuori di riprensione
è
la condotta mia.
Rincresceriami assai s’io data
avessi
a lui occasione
10 onde
a ragion potesse essere offeso.
Ma siccome è il mio onore
dal mio parlar, dall’oprar
mio difeso,
chi
a torto se ne duole
manca a se stesso. In tanto
15 di cartelli di sfida,
che
son contro le leggi, e contro il re,
vedi qual cosa se ne fa da me.
(lo straccia)
Così sprezzo il cartello e sprezzo
lui,
quando fuor di ragione si trasporta,
20 e sprezzo voi Leandro,
voi, che a me lo recate,
voi,
che d’un opra tal v’incaricate.
Voi
contro me, contro Cleante, voi,
oggi? Ma nulla vuo’ più dire a voi.
25 So
che voce sentite
più forte che la mia; se
non l’udite,
certo
la mia né pur ascoltarete.[202]
Or parlo a lui che vi spedì. Dinanzi
alle armate del re; contro i nemici
30 dello stato, e di lui; nel
sormontare
mura, e ripari, e nel soffrir
disastri,
là si mostra il valore
del vero uomo d’onore.
Ma in attaccar le brighe
35 fuor di ragione; nel voler che sia
la punta di una spada
che difenda, o pur dia
veste di verità alla menzogna;
e che divenir faccia
40 saviezza la pazzia,
questo è sì fuori di ragion; che
ogni uomo,
che n’abbia i primi lumi
dee dir ch’è un vile un disperato
quello,
che a togliersi d’impiccio,
45 dove lo ha posto un
pazzo suo capriccio,
ha
ricorso a duello.[203]
Avete inteso il sentimento mio.
Signor Leandro, addio.
(Leandro
parte)
arnaldo Caro signor Cleante, vanterassi
50 costui
d’avervi fatta
paura: si dirà che un ufficiale
di Francia ricusato
abbia un duello.
E
poi potria trovarvi
in strada, ed
insultarvi.[204]
55 cleante Difenderommi
in caso tal; né un passo
volgerò indietro al
minacciar di lui.
Che
poi la pazza gente
parli a capriccio, questo
non torce un passo solo,
60 da
chi sol ha vera virtù per guida,
ignota al basso volgo.
Ed è virtù virile
sprezzar
le dicerie del volgo vile.
arnaldo Signor non sarà il volgo
65 che dirà cose tali,
ma
saran cavalieri ed ufficiali.
cleante Quando vi dico volgo,
intendo ognun cui la ragion non
guida.
milord Ogni vostro discorso
70 signor
Cleante ammiro.
Il valor vostro noto a tante prove
da una vera virtù
moderato,
e ristretto
vi fan veder un cavalier perfetto.
75 Io, quanto a me, vi
dico,
che
a mia gran gloria ascrivo
l’essere vostro amico.
cleante E a gran gloria da me si ascriverà
quando a milord Antron
80 l’operar di Cleante piacerà.
milord Ditemi sol, come trovaste giusta
la singolar tenzone
col cavalier Morgante.
cleante Il duello è una guerra.
85 Il re sol della guerra ha la
ragione.
S’ei comanda il duello
giusto divien quello ch’è ingiusto a
noi.[205]
Degli Orazi il conflitto, e degli
Albani,
del Sassone, e il Danese,
90 di
Manlio, e di Torquato, e in fine quello
di Terebinto nella valle, furo
giuste tenzoni, e tale
fu
quella che fec’io col cavaliere.[206]
milord Non cesserei mai d’ascoltarvi. Un
solo
95 motto,
e vi lascio. Dans L’esprit des lois
è scritto che l’onore
è della monarchia
principio,
e fondamento;
della repubblica esser la virtù.
100 Certo della spartana
repubblica,
e romana.
Tutte le tracce trovansi fra noi.
»La forza
esecutiva
»sta
presso un re, ma la giudiziaria
105 »e la legislativa
ȏ in due corpi
smembrata
»che
a guisa del senato e dei tribuni,
»Parlamento è chiamata.[207]
Voi servite a un
monarca, e pure in voi
110 veggo
quella virtù
che non conosco in noi,
all’incontro in onore
certamente
l’inglese
nulla cede al francese.
115 cleante Non
è raro l’autore,
che con termini vaghi
sorprende
il suo lettore.
Io non credo che sia
altro la monarchia,
120 che
un solo che impedisce
il governo di molti, e la repubblica,
il governo di molti che
impediscono
il
governo di un solo. Dell’uno e l’altro
la giustizia è il principio
125 la
legge il mezzo, il ben comune è il fine.
All’incontro l’onore è un desiderio
d’ottener l’altrui
stima, e di là viene
un
oprar che sia esente di rimprovero.
Consiste la virtù
130 nel far il suo dovere[208]
indipendentemente
dall’ottenere
o no la stima altrui.
Quindi trovasi raro la virtù
e in Francia, e in
Inghilterra,
135 e
molto onor v’è in Inghilterra e in Francia.
E il dir diversamente ella è una
ciancia.
Non
dico che virtù trovisi in me
ma
dico ch’è infelice quel monarca
che
non abbia virtù d’intorno a sé:
140 Mecenate ed Agrippa[209]
non
avean men virtù che Cincinato:
e
la virtù, e l’onore
sono
impressi nell’uom, non nello stato.
»È breve Montesquioù.
145 »La brevità sorprende
»e teme mal pensar chi non l’intende
»ma
i termini spiegate
»la
cosa definite,
»e
sarà chiaro allor quello che dite.
150 Non osservate nell’autore istesso
la division ch’ei fa di tre governi,
dispotico,
monarchico,
e
democratico? Io tengo per certo
non
vi esser dispotismo, o se vi è stato
155 essere
sempre stato
non
governo, ma abuso di governo.
Come
anarchia è abuso
della
democrazia, e come la
superstizione
è abuso
160 della religione. Io mai non credo
che
vi sia stato al mondo un uom che detto
abbia
a un altr’uomo: «io sarò ben contento
quando
per buon capriccio
di
Vostra Maestà
165 impallar mi farà».
gradelino Oh addesso a panza piena
dirò
la mia ragione.
M’hanno detto o padrone
ch’eravate
a pericol della panza
170 ond’io
son venuto a darvi aiuto.
cleante Ma un piatto solo non lasciasti
indietro.
gradelino Già voi sapete i nostri patti. Pria
la
mia, e poi la vostra. Empire panza
e arrischiar panza,
tutto è panza; e pure
175 evvi
una gran distanza.
milord Addio
Cleante.
Contate sovra me.
arnaldo Cleante
addio.
cleante Dell’uno e l’altro servitor son io.
Gradelino andar voglio da Climene.
gradelino E se torniam nel bosco,
180 e se troviamo ancora il Molinaro?
cleante Tutto supereremo
con
un nobile ardire.
SCENA
OTTAVA
Strada.
Arnaldo e Bacocco.
arnaldo Cleante nel vedere quel cartello
si è tutto sbigottito, e
contraffatto.
T’ho dett’io ch’è un poltrone?
bacocco Io non sono di questa opinione;[210]
5 vi dico ben che ha fatto
il mio padrone un passo falso assai.
arnaldo E qual rimedio v’hai?
Com’egli pagherà quel che ha perduto
senza questo rimedio?
10 bacocco Quest’è
un rimedio disperato, e assai
peggior del male. S’esso
non
ha con che pagare,
lasci star di pagare
peggio per que’ che
giocano con lui,
15 che
sanno ch’egli è uno spiantato, e pure
voglion giocare non ostante. Ma
portar esso una sfida
a
chi oggi lo ha soccorso
con sì nobili modi, e generosi,
20 lo fate diventar peggio
che un orso.
Per
me no ‘l servo più.
Piuttosto un disperato
vuo’ servir, che un
ingrato.[211]
L’un mi fa compassion, ma l’altro
orrore.
25 arnaldo Tu
sei ben scrupoloso.
Potrai servir a me.
bacocco Io non vi servirei, se foste un re.
M’avete stomacato:
io non vi stimo un iotta.
30 arnaldo Non
solo tu sei dottore,
ma vuoi addottorarmi.
SCENA
NONA
Leandro e detti.
leandro Hai tu finito di servir Cleante?
bacocco Io ho finito di servir Leandro.
leandro Perché?
bacocco Già voi sapete
quale
sia stata sempre
5 con voi la vita mia: miseria, fame,
veglie; udir da per
tutto;
«Il
tuo padron mi deve». Or ambasciate
triste, or tristi
biglietti, or evitare[212]
uno,
or scappar da un altro;
10 or portar all’Ebreo vestiti, e
mobili.
Sempre
restar sospeso,
tra
il sì e il no, e non saper che dire
se
un chiama dove siete, e dove andate.
Questo
nel servir voi
15 fu sempre il viver mio. Pure
ho sofferto
tutto
ciò volentieri,
ma
addesso che vi vedo
fatto
scolaro del signor Arnaldo
non
posso star più saldo.
20 arnaldo Lasciatel pur andare.
Costui
è impertinente,
e vuol fare il pedante del padrone.
Tai servitori non son
più soffribili.
leandro Va
pure.
bacocco Vado.
leandro Arnaldo
mio…
25 bacocco M’avete
dimandato?[213]
leandro No.
bacocco Vado.
leandro Va.
bacocco Quanto
mi pesa, e pure
bisogna
andar. Che comandate?
leandro Nulla.
(Arnaldo e Leandro parlano a parte)
bacocco [(a
parte)] Povero il mio padrone; io l’ho veduto
crescer da picciolino:
30 era
la gioia della mamma. Tali
parolette dicea, che ripetute
eran nel vicinato. Oh se
il vedesse
addesso?
Ma, un compagno
lo ha guastato: ora un peggio
35 lo mena al precipizio.
Mi rincresce;[214]
gli
vorrìa dimandar il mio salario,
e non so farlo. [(ad alta voce)] Avete detto a me?
leandro Che fai qui ancora? Io non parlo con te.
bacocco Poiché il partito è preso andar bisogna.
40 Poveretto.
arnaldo Già voi mi avete inteso.
SCENA
DECIMA
Chicanò, Arnaldo e Leandro.
chicanò Ebbene vien Cleante
al campo di battaglia?
arnaldo Il poltrone rifiuta
comparire
in duello. Io ve lo dissi
5 ch’egli
è un millantatore: ecco la prova.
Le campagne di Fiandra sono frottole
fatte scriver da lui.
Quel
buco nel cappello
lo ha fatto col coltello, e quello
in fronte
10 se lo è fatto da sé »con
buona grazia,
»per
poter comparire un Rodomonte.[215]
Ma però non bisogna
lasciar così la cosa.
Bisognerà
attaccarlo, e fargli sprezzo;
15 e attaccar la sua gente:
qui non bisogna
risparmiar niente.
chicanò Già tutto è preparato
per attaccar la casa di Pandolfo.
E trasportar Climene.
20 Leandro,
state pronto.
leandro Io sono a’ vostri cenni.
Ogni cosa intraprende un disperato.
arnaldo Ecco qui Gradelino:
cominciamo da questo: ma bisogna
25 mostrare
di non far soperchieria,
quantunque
ella lo sia.
chicanò Sauvé les apparances
mais faire ce qu’on veût
faire.
SCENA UNDECIMA
Gradelino e detti.
gradelino Addesso sì che vado per Bologna
come
un guerriero; e se trovo Bacocco
non farà più con me tanto il dottore.
Chi va là, gli dirò; zoroc: herdò.
5 Ei
dirà una sentenza padovana,
ed io risponderò con Durlindana.[216]
chicanò Gradelino dov’è
quel matto, quel poltron del tuo padrone?
gradelino Eh monsieur,
non sapete
10 ch’io son suo servitore?
chicanò Lo so.
gradelino Voi non sapete essere questa
una spada bresciana?
chicanò Lo credo.
gradelino E che si chiama Durlindana?
chicanò Lo credo.
gradelino E
che paura
15 faceva alle campagne della Fiandra?
chicanò Lo credo.
gradelino E non ostante
voi dite che il padrone
è un matto ed un poltrone?
chicanò Sì.
gradelino Dunque sarà vero.
20 chicanò Come,
vero?
gradelino Ebben, dunque sarà
falso.
chicanò Falso, tu dici? Una mentita a me?
gradelino Ditemi voi come ho da dir; se vero,
se falso, o se bazzotto.[217]
chicanò Eh ch’io voglio da te incominciare
25 a farmi dar ragione del procedere
del tuo padrone. Tira fuor la spada.
gradelino Un pari vostro con un pari mio
tirar
la spada? Col signor Cleante
tiratela, non meco. Sarìa bella,
30 per quattro bagaroni,[218]
che
i servitor dovessero
arrischiar la pelle pei padroni.
chicanò Tira la spada presto,
o
prendi questo schiaffo.
gradelino Me n’ha dati
35 tanti la mamma mia
e non mi son battuto mai
per questo.
Son
fatto a questo cerimoniale.
Io non mi batto, che per il boccale:
boccale, che preceda, e
che succeda
40 o
boccale compagno.
Allor si taglia, e infilza, e si
dimena,
e si avanza, e si scappa.
(fa per scappare)
chicanò Aspetta, non scappar: sei fatto a
queste?
gradelino Siete in collera?
chicanò Sì.
(gli dà dei calci)
45 gradelino Voi
siete uom da bene[219]
la pace un dì farete,
e allor la parte offesa baccerete.
chicanò Ormai son stanco…
arnaldo Ascolta
Gradelino:
tira fuori la spada:
50 io sarò tuo padrino.
gradelino Mi fate franco?
arnaldo Sì;
ti faccio franco.
gradelino Dico la pelle, che m’è cara assai
questa sarà poi franca?
arnaldo Sì.
gradelino Chicanò è già morto. Ebben monsieur,
55 avete fatto testamento? Dove
volete, che vi diam la sepoltura?
Lo spoglio è mio.
chicanò Meno di ciancie.
gradelino Adaggio.
La gatta è morta, ma la gatta è gatta.
arnaldo Tira la spada, ed in me t’assicura.
(Gradelino tira la spada)
60 gradelino Eccomi
in campo. Voi avete paura?
chicanò Io no.
gradelino Io sì, non siamo ancor d’accordo.
chicanò Mettiti in guardia presto.[220]
([Gradelino] si siede su la guardia della
spada)
gradelino Eccomi.
chicanò Che
fai?
gradelino Questa non è la guardia della spada?
Voi non avete detto:
65 «Mettiti in guardia?» Io mi son
messo, e sto
sovra
la guardia.
chicanò E queste
sono tue scioccherie. Presto in
difesa.
gradelino Frattanto ch’io mi levo cominciate
col
mio padrino: egli abbia la vanguardia,
70 ch’è dovuta alla truppa ausiliaria.
Gli do il posto d’onore.
Infuriatevi
signor
padrino, presto.
Ma a quello che mi pare
voi
siete poco lesto.
(Arnaldo va a parlare a parte a Chicanò)
75 Parla con Chicanò: certo
bisogna
ch’ei
conchiuda la pace.
Vi faccio mio plenipotenziario;
e purché si conchiuda
non
badate ad articoli. Segnate
80 tutto quel che volete;
che poi ci penseremo
e
li rivederemo.
Fanno
così anche i re.
arnaldo Tirate Chicanò.
gradelino Adaggio. Ahimè.[221]
85 Datemi
tempo di pormi in difesa.
Se fosse qui il signor Cleante; io
tosto
dietro al signor
Cleante, per certo io
con
il signor Cleante.
(grida forte)[222]
chicanò Eh
prendi questa.
(slancia
un colpo)
gradelino Ahimè son morto.[223]
SCENA DUODECIMA
Cleante e detti.
cleante Come?
In questo modo
si assassina un mio servo?
gradelino Io non so se son vivo, o pur son morto?
cleante Voi cavalieri indegni di tal nome
assassinare un pover’uomo, in questa
5 guisa?
chicanò Cleante io v’ho chiamato in
campo.
E
perché non vi siete
venuto, indegno voi
siete di un nome tal.
cleante Ciò
che conviene
a un cavalier mio pari,
10 noto
a me, più che a voi.
chicanò Voi ne mentite;
arnaldo Sì, ne mentite, e non più degno siete
di
comparire in singolar tenzone.[224]
Leandro a noi. Dobbiamo
scancellar tutti insieme
15 l’affronto
fatto al nome
di cavalier.
cleante In questa guisa
dunque
contro un sol vi aventate? Eccomi
solo
contro tutti.
leandro Ferito
io sono al braccio.
chicanò Je suis blessé. Le champ vous reste Arnò.
20 Je
vous laisse la victoire:
tout com’a Malplacqué[225]
dit Vilars a Boflers.
arnaldo Io son in terra. Oimè.
cleante Contro
te solo
indegno
più che ogn’altro
25 maneggiator d’infamie, or io dovrei
volgere il giusto mio
furor.
arnaldo Perdono,
Cleante.
cleante Sì, perdono. A me non tocca
di punir i tuoi falli. Ebbene và;
chi è più forte di me ti punirà.[226]
30 arnaldo Ascoltate
Cleante.
cleante Io
nulla ascolto.
Ho orrore nel vedere
un sacrilego volto. Gradelino.
(Arnaldo parte)
gradelino Son morto.
cleante Dove sei ferito?
gradelino Io
sono
tutto a sangue.
cleante Dov’è questo tuo
sangue?
35 gradelino Io
certo ho il colpo avuto,
ma addesso l’ho perduto. Eccolo là.
cleante Quello è sangue ch’è uscito
da quell’ingrato di Leandro. Ma
il tuo sangue dov’è?
40 gradelino Il
sangue degli eroi, come son’io
(si tocca qua e là)
puzza un tantino, ma non è
vermiglio.[227]
cleante Gran pezzo di poltrone:
tu
vedevi ch’io aveva a far con tre.
E non m’hai dato il minimo soccorso.
45 E che facevi colla spada
in mano?
gradelino Io facevo il padrino.
Mi
pare ancora di veder coloro
tutti uniti a mio danno. Uno dicea:
«Tira
fuori la spada Gradelino
50 ch’io sarò tuo padrino»,
e poi parlamentava
e
la polenta insieme si menava.[228]
«Tirate Chicanò», e quel birbante
tira: io non so dove
tirato m’abbia:
55 io
so ben che son morto in quell’istante;
ho perso i sensi, non vedevo più;
né più sentivo. Il
sangue, l’appetito;
l’amor
era perduto; e mi trovai
morto
affatto, gelato, sotterrato.
60 cleante Com’eri
morto, se tu vivi ancora?
gradelino E pure in questo dì
son morto almen sei volte,
né so come sia qui.
cleante Gran birbante d’Arnaldo; un grande
ingrato
65 è
Leandro; uno stordito è Chicanò.
Io li credea uomini onesti. Oh
quanto
l’uomo s’inganna nel
conoscer l’uomo![229]
Questi
mi fan vedere
ch’ebbe ragione quel che
disse un giorno:
70 «L’eroe
è un uomo in maschera
sotto la quale si
nascondon tutti
i
difetti più brutti».
Se la maschera cade, l’uomo
resta,
e
svanisce l’eroe. Che dobbiam fare?
75 Odiare il difetto
e
il difettoso amare.
gradelino Ma se il difetto mi avesse ammazzato,
chi è quel che il difettoso avrebbe
amato?[230]
cleante Orsù andiam Gradelino
80 a ritrovar la sposa mia Climene.
gradelino Oimè! Non vi sovviene
del bosco e del Morgante?
cleante Pazienza e costanza
tutto supererà. Batter bisogna.
(batte)
(Città al mare)[231]
85 gradelino Ve
l’ho dett’io padrone
che se aveste battuto
ci saremo trovati in qualche imbroglio?
cleante Che vedo? Dove siamo?
Siam in una città vicina al mare.
90 gradelino Oh
che gran lago è questo.
Là c’è una larga piazza
piena di gente, e vi è corpo di
guardia.
Vedo cesti, e barili
di fichi secchi, e d’anguilla
salata.
95 Padrone come state di denaro?
Io farò colazione.
cleante Tu sempre pensi a empir la panza. Io
penso
a una tal stravaganza,
che mi trae fuor di me. Ma chi è
costui?
SCENA
DECIMATERZA[232]
Mastro di
capella e detti.
Dove sono i puntini
si deve balbettare.
mastro …
… Chi siete? Forastieri?
gradelino Son Gradelino della val Branbana.
e voi chi siete?
mastro … … Sei ben
curioso.
gradelino … … Voi siete un comodino.
5 Ho imparata la lingua del paese.
mastro … … Avete di bisogno
… … di un mastro di capella?
cleante Non abbiam di bisogno di cantare.
Ma vorremo sapere dove siamo.
10 mastro …
… In Calabria.
cleante E qual è il vostro
mestiere?
mastro … … Mastro di canto. Voi ridete?
Come?
gradelino … … Mio caro signor mastro di capella.
mastro … … Tu mi vuoi contraffare?
Adess’adesso io torno:
15 … … ti voglio pettinare.[233]
gradelino Che bel parlare è questo?
Costui è andato. Oh che paese? Il
bello[234]
mastro
di canto!
cleante E
chi sarà quest’altro
che viene zoppicando verso noi?
SCENA DECIMAQUARTA
Barbagrisa e
detti.
barbagrisa Voi siete forestieri.
Avete di bisogno un ballerino?
Io sono Barbagrisa
ballerino di corte.
5 Abito alla marina:
il
mio palazzo è un buco, e una cucina.
Io do lezione in casa, e fuor di
casa,
e in case della prima
qualità.[235]
Il
duca Pataflano e la duchessa
10 di Colagna, e il duchino
Mandricardo.
La marchesa
Occhioguercio, e il baron Smerdì,
l’accademia
Asinaria, ed il collegio
Salta Martino, ed i signori duchi
Cappon, Gallo, Gallina,
15 Polastro,
Polastrina, Polastrella,
e il principe roman Brusascudella
son tutti miei scolari.[236]
Non
v’è in Calabria un solo
che balli ben ch’io non gli abbia
insegnato.
20 Voi avete una vita
a
proposito fatta per ballare,
e voi ancor potreste
qui meco incominciare.
Testa
su; spalle indietro; e piedi in fuora.
25 gradelino Oh
che matto è costui.
cleante Mi fan passare l’ipocondria. Un zoppo
è il ballarino del paese, ed uno
balbuziente è mastro di capella.
barbagrisa Su presto cominciamo.
30 Costui mi piace molto per il ballo
a voi, presto.
gradelino Volete
insegnarmi
zoppetta?
barbagrisa Che
zoppetta?
Mi meraviglio assai de’ fatti tuoi.
Zoppetta a me? Io insegnar zoppetta?
35 Sì, zoppetta di far presto t’aspetta.
gradelino Il ballerino zoppicando scappa.
cleante Benché fatti sì strani
mi dovrebber portar malinconia,
costoro che qui trovo
40 mi recano allegria.
SCENA
DECIMAQUINTA
Pugninmuso testimonio
falso, e detti.
pugninmuso Signori forestieri
avete di bisogno
d’un
testimonio falso? Siete qui
venuti a litigare? Io sono fatto
5 per questo.
gradelino Oh il bel mestiere!
Il testimonio falso!
cleante Il parlamento
conosceratti testimonio falso,
e non ti crederà.
pugninmuso Vi giuro ch’io conosco
10 il signor Parlamento: ha gran
parrucca
a tre tomi, è bell’uomo
è passato per piazza poco fa!
cleante Bisogna che in Calabria
non si conosca il nome parlamento.
15 Quello di ch’io ti parlo
è una dotta unione.
pugninmuso Che diavolo! Parlate
chiaro,
e vi giuro che l’ho vista questa
signora, e come dotta?[237]
20 Avea la cuffia in testa, e un libro
in mano:
il libro era Ariosto.
cleante Che spropositi mai dice costui?
Orsù senti; io non ho bisogno alcuno
di testimoni falsi.
25 pugninmuso E
pur se non gl’avete in favor vostro,
gli avrete contro. Noi
viviam di questo
mestiere,
e dobbiam vivere
per legge di natura.
Volete che passiamo a un
mal mestiere?
30 cleante Che dir potriano que’ del tuo mestiere
contro di noi?
pugninmuso Che siete ladri; che[238]
v’hanno visto rubar; che
siete spie
che
v’han visto passare ai Barbareschi,
e poi tornare qua,
35 e poi ripassar là.
Ma
se voi date a me la buona mano
io giurerò il contrario
né invano giurerò
che
quanto un altro sì, vale il mio no.
40 cleante Prendi.
pugninmuso Ebben
se m’avete di bisogno,
mi chiamo Pugninmuso,
il sopranome è Piedinpanza; tutto
per servir lor signori.
gradelino La resti pur servita.
45 pugninmuso La
mia abitazione
è in via Seccapolmone.
Il
mio mestier, l’abilità sapete;
sarò sempre da voi,
quando comanderete.
50 gradelino Oh
che paese è questo!
Eh padrone osservate
che
piantano un casotto
che voglion far ballar Policinella;[239]
e da quest’altra parte
un ciarlatano.
55 Oh
questa sarà bella. Ecco due altri
che ci guardano, e vengono[240]
a farci i loro
complimenti.
cleante Udiamo.
SCENA
DECIMASESTA
Schiccia, Scoccia
e detti.[241]
cleante Chi siete voi?
schiccia Voi siete forastieri,
che
non mi conoscete.
Io
son Bernardo Schiccia
e faccio due mestier nella città:
5 medico, e boia.
scoccia E io sono
Geminiano
Scoccia
fo’ due mestieri anch’io:
giudice il dì; ladro la
notte; e alcune
volte
confondo l’un mestier coll’altro.
10 cleante Mio
caro signor Schiccia, e signor Scoccia
nulla ho a che far con voi.
schiccia Abbiam ben noi molto a che far con voi.
Già voi siete sicari, io vi conosco.
scoccia Eh sì lo siete; ognun lo sa: vi sono
15 testimoni di vista.
gradelino Eh Pugninmuso, Piedinpanza, dove
sei?
schiccia Ascoltate voi o signor giudice
come minaccian?
scoccia Ascoltate voi
signor dottore?
Testimoni l’uno
20 sarem
dell’altro: pugninmuso al giudice?
schiccia E piedinpanza al medico?[242]
Ebbene
voi farete la sentenza,
ed io ci farò fare
l’ultima riverenza.
25 gradelino Io
chiamo il testimonio
ch’è andato addesso a
far colazione
a
spese del padrone:
si chiama Pugninmuso,
ed
ha per sopranome Piedinpanza.
30 schiccia Ebben
date anche a noi
d’andare a far buona
colazione,
e
se siete sicari
esercitate pure
il mestiere in città:
fattevi onore
35 che
avete e boia, e giudice in favore.
cleante Meglio è spender monete
che aver degl’impicci: ecco,
prendete.
schiccia Ecco la man del medico.
scoccia Ecco quella del giudice.
schiccia Voi
state
40 benissimo, vi faccio
fede di sanità.
scoccia V’assiste ogni ragione. Voi avete
tutti gl’autor per voi. Signori
addio.
cleante Addio Schiccia, addio Scoccia
45 medico,
e boia l’uno,
giudice, e ladro l’altro:
questo è un raro paese
cattivo
per le spese.
gradelino Servo suo signor Schiccia
50 servo
suo signor Scoccia:
Schiccia, e Scoccia son fatti alla
saccoccia.
Oh quanta gente corre
a
veder a ballar Poricinella.
E a udir il Ciarlatano,
55 il Ciarlatano, e
Barbagrisa, e Scoccia
va
in palco a far ballar Poricinella.
SCENA
DECIMASETTIMA
Popolo,
soldati, Ciarlatano, Poricinella e detti.
ciarlatano Eccovi l’oculista, e il cavadenti.
poricinella Piuttosto un mena denti, e cava occhi.
ciarlatano Quello che vende il balsamo
che
guarisce ogni male:
5 e brugnoni, e renella, e stitichezza
morene, fegatella, e
polmoniade;
rosso
degli occhi, e di cima di naso,
e i nasini, e i nasoni, e i mezzi
nasi
che nascono dal naso
10 tutto
guarisce il balsamo ch’io ho;
ch’io vi do a buon mercato.
Quindici soldi? No:
dieci?
Né pur: son otto soldi appena.
Al Cairo ne ho venduto
15 una brenta, due a
Londra, otto al Catai.[243]
Son
fatto cavaliere
del Mogol, del Sultan, del Bei d’Algeri.
Ecco i miei privilegi, e
le medaglie.
Signori io poco qui fermar mi posso.
20 Dimani parto. Innanzi miei signori.
Son otto soldi appena.
poricinella Ascoltate signori
Il vostro servitor
Poricinella
che
con un soldo vuol salvarven otto.
25 Colui del Ciarlatano è un cava occhi
egli è un scana pidocchi.
E tira la sua botta;
il
balsamo vi dà,
e dimani sen va,
30 e
vi resta da far dell’acqua cotta.
ciarlatano Guarda Poricinella
ch’io ti tiro nel naso
del mio balsamo un vaso.
poricinella Sì che sei un barone, un impostore.
35 ciarlatano Poricinella,
dico, o taci, o tiro.
(Le guardie gridano: «I turchi»; corrono ad
armarsi.
Resta
Cleante, e Gradelino)
gradelino Fuggiam padron.
cleante Non son fuggito mai
né vuo’ fuggire addesso. Ecco le
navi
al lido. Gradelino, non temere.
(Segue combattimento. I soldati
calabresi sono volti in fuga. I turchi restan padroni e ballano.
Gradelino
balla con loro e fa scene mute)
turchi Viva
viva Mustafà:
40 sacchegiam questa città.[244]
gradelino Osservate padrone come corrono
costoro,
e tutto portan via; saccheggiano
e le case, e le piazze, e tutto
imbarcano.
Portano via fanciulli,
uomini e donne.
45 cleante Oh
povera città, vorria poterti
dar soccorso.
gradelino Padrone
vedete là che portan via Climene.
cleante Come! Climene è qui? Non è possibile.
gradelino Osservatela bene: e come grida
50 e dimanda Cleante.
cleante È certamente quella: non c’è dubbio:
la mia sposa. A soccorrerla
corriamo,
o pure qui moriamo.
gradelino Morite pur, io no.
55 Quest’articolo
mai
nel salario, e ne’ patti non entrò.
Padrone da quest’altra
parte[245]
portano
vostro padre:
egli è quasi imbarcato.
60 Il
poverello dimanda aiuto.[246]
cleante Oimè! Mio padre? È d’esso.
Amore
da una parte,
il dovere dimandami dall’altra.
Ceda l’amore, dove
65 presentasi
il dovere.
Quella non è ancor moglie, e questo
è padre.
(Cleante combatte e fuga alcuni Turchi)
SCENA
DECIMAOTTAVA
Genio e detti.
genio Ferma,
Cleante, hai vinto.
Or desti di virtù l’ultime
prove.
Acquistasti
Climene
Climene abbandonando.
5 Festi cedere amor al tuo
dovere.[247]
Questo
ti rende un cavalier perfetto.
La casa di Pandolfo io t’abbandono.
È Climene per te del
cielo un dono.
SCENA
ULTIMA
Cleante, Gradelino, Pandolfo, Milord, D. Nugno, Dottore,
Bacocco.
pandolfo Ecco il nostro Cleante.
Oh
quanto vi ho cercato, e alfin vi trovo.
Pregovi perdonarmi
se
vi ho creduto matto. Tutte quante
5 sono scoperte le infamie d’Arnaldo:
egli è fuggito, e seco
Leandro,
e Chicanò. Sono banditi
dalla città. Voller tentar costoro
di rapire mia figlia;
10 ma
la giustizia pronta
gli ha inseguiti. Si son tutte
sapute
le insidie lor, le
iniquità. Climene[248]
è
vostra.
gradelino E di Bertuccia non si parla?
pandolfo Si farà tua Bertuccia: e l’una, e l’altra
15 bramano i loro sposi: entriamo in
casa.
cleante Entriamo. Io pur vi narrerò Pandolfo
cose strane seguite in questo giorno,
per impedire queste nozze. In fine
ho trionfato.
pandolfo Ma sappiate
intanto
20 quanto
ha fatto Milord in favor vostro;
quanto disse Bacocco, e come ei fu
testimonio di tutto;
come
scoprì le insidie
d’Arnaldo, e tutta la tessuta trama.
25 cleante Se
un padron brami, io sarò quello.
bacocco Io
nulla
bramo di più: senza che Gradelino
perda l’anzianità.
gradelino Senza che tu
mangi la parte mia.
cleante Milord io vi ringrazio…
milord Io
feci quanto
30 chiedeva il mio dovere
per un tanto, e sì degno cavaliere.
cleante Voi don Nugno, e Dottore
siate presenti alle mie nozze.
d.
nugno Che
fai?
gradelino Guardavo
se mai
35 v’era in questa dispensa del
formaggio.
d.
nugno Sei sempre un picaron. Signor Cleante
vi rendo grazie; che alle vostre
nozze
vogliate che ancor io…
cleante Lasciamo i complimenti.
40 gradelino Che
bel menar di denti
Grugno farà? Lo raccomando a te.
bacocco Lascia pur fare a me.
dottore Le mancanze, i sconcerti,
i torbidi seguiti in questo giorno,
45 alle insidie d’Arnaldo…
cleante E a portenti del ciel tutti si
ascrivano.
tutti Vivan
le nozze di Cleante, vivano.
Fine dell’atto
terzo
Bibliografia
Bibliografia su Giuseppe Gorini Corio
Continisio, Chiara, Politica, cultura e religione nella Milano
del primo settecento: il Marchese Giuseppe Gorini Corio, «Studia
Borromaica», 14 (2000), pp. 251-276.
Meschini, Stefano, Giuseppe Gorini Corio, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 2002, vol. 58, pp. 62-66.
Zanlonghi, Giovanna,
«Far all’uomo conoscere l’uomo».
La tragedia nella riflessione teorica e nella drammaturgia di Giuseppe Gorini
Corio, «Annali di storia moderna e contemporanea», 10 (2004), pp. 9-47.
Altri saggi
Carpani, Roberta, Pratiche teatrali del patriziato e dei
nobili a Milano fra spazi privati e pubblici teatri, in Il teatro a Milano nel Settecento, I, I
contesti, a cura di Anna Maria Cascetta e Giovanna Zanlonghi, Milano, Vita
e Pensiero, 2008, pp. 375-431.
Cherubini, Francesco, Vocabolario milanese-italiano, Milano,
Stamperia Reale, 1839.
Giorgetti Vichi, Anna Maria (ed.), Gli arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon,
Roma, Arcadia. Accademia letteraria italiana, 1977.
Merlini, Domenico,
Saggio di ricerche sulla satira
contro il villano, Firenze, Loescher, 1894.
Natali, Giulio, Il Settecento, in Storia letteraria d’Italia, Milano, Vallardi, 1955 [19291].
Scarpati, Claudio – Bellini, Eraldo, Il vero e il falso dei poeti. Tasso, Tesauro, Pallavicino, Muratori, Milano, Vita e Pensiero, 1990.
Viola, Corrado, Tradizioni letterarie a confronto: Italia e
Francia nella polemica Orsi-Bouhours, Verona, Fiorini, 2001.
Zanlonghi, Giovanna, Teatro
e formazione presso il Collegio dei Nobili a Milano, ne Il teatro a
Milano nel Settecento, I, I contesti, a cura di Anna Maria
Cascetta e Giovanna Zanlonghi, Milano, Vita e Pensiero, 2008, pp. 279-333.
In alcuni casi, specialmente per dettagli sulle battaglie
menzionate nel testo o per prodotti e fenomeni di non immediata
identificazione, si sono rivelati preziosi serbatoi di informazioni sia,
naturalmente, il sito dell’enciclopedia italiana:
http://www.treccani.it/
sia quello
dell’enciclopedia libera:
http://it.wikipedia.org
Opere citate
Goldoni, Carlo,
Tutte le opere, a cura di Giuseppe
Ortolani, Milano, Mondadori, 1935-1956, 14 voll.
Gorini Corio, Giuseppe, Le leggi di Dio, e quelle
del mondo unite nel vero cavaliere. Discorsi morali del Marchese Gioseffo
Gorini Corio,
Milano, Giuseppe
Pandolfo Malatesta, 1724.
Gorini Corio, Giuseppe, Trattato della perfetta tragedia, in Id., Il teatro tragico
e comico del Marchese Giuseppe Gorini Corio, Venezia, Albrizzi, 1732, 2 voll.
——————————,
Via e verità concernente la morale
cristiana, Milano, Pietro Malatesta, 1740.
——————————,
Politica, diritto e religione per ben
pensare e scegliere il vero dal falso in queste importantissime materie, Milano,
Francesco Agnelli, 1742.
——————————,
L’uomo. Trattato fisico-morale diviso
in tre libri, Lucca, s. s., 1756.
Hartley, David, Observations on Man, his Frame, his Duty and
his Expectations, London, Samuel Richardson, 1749.
Salvi,
Antonio, Il
marito giocatore e la moglie bacchettona. Intermezzi per musica, Modena,
Bartolomeo Soliani, 1719.
Salvi,
Antonio, Il marito giocatore e la moglie bacchettona.
Intermezzi per musica, Venezia, Marino Rossetti in Merceria all’Insegna
della Pace, 1719.
Menochio, Stefano della Compagnia di Gesù,
Stuore, Padova, Stamperia del
Seminario, 1701, vol. II.
Montesquieu, Charles Louis de
Secondat barone di, L’esprit
des lois, Ginevra, 1748.
Ottieri, Francesco Maria, Istoria delle guerre avvenute in Europa e
particolarmente in Italia per la successione alla monarchia delle Spagne
dall'anno 1696 all'anno 1725, Stamperia di Rocco Bernabò, poi nella
Stamperia di Pallade di Niccolò e Marco Pagliarini, quindi Giovanni Lorenzo
Barbiellini, Roma, 1728-1757, 8 voll.
Tesauro, Emanuele, Il
Cannocchiale aristotelico, Torino, Bartolomeo Zavatta, 1670 (1654).
————————,
Alcesti. O sia l’amor sincero, a cura
di Maria Luisa Doglio, Bari, Palomar, 2000.
[1] Queste azioni fuor dell’umano […] hanno sempre dato lustro a’ poemi: le metamorfosi del Genio sono
qui la manifestazione dell’elemento meraviglioso, che appartiene alla
tradizione letteraria che il Medioevo eredita dalla classicità. Con alterne
vicende l’elemento del meraviglioso diventa nei secoli oggetto di
interpretazione allegorica e simbolica, ma anche mero strumento retorico per
produrre diletto, collocandosi al centro di accese dispute letterarie sul vero
e il falso nella produzione poetica. Qui, con spirito illuminista, Gorini Corio
precisa subito che «l’ingegno umano volentieri vola su l’Ippogriffo, […] e
s’accomoda a certi supposti, benché stravaganti, ma cerca poi la natura nel
seguito», così come nel Trattato sulla
perfetta tragedia sostiene che «per rendere bella e maestosa la tragedia
richiedesi ancora la maraviglia, sempre però verisimile» (Gorini Corio, Giuseppe, Trattato sulla perfetta tragedia, in Teatro tragico e comico del Marchese
Giuseppe Gorini Corio, Venezia, Albrizzi, 1732, vol. I, p.
24). I suoi presupposti, tuttavia, non gli impediscono di utilizzare
l’espediente delle metamorfosi del Genio per dare il via alle azioni più
significative della commedia. (Per il tema del meraviglioso e le dispute ad
esso correlate si vedano per tutti: Aristotele, Poetica 1460; Scarpati,
Claudio - Bellini, Eraldo, Il vero e il falso dei poeti. Tasso, Tesauro, Pallavicino, Muratori, Milano, Vita e Pensiero, 1990; Viola, Corrado,
Tradizioni letterarie a confronto:
Italia e Francia nella polemica Orsi-Bouhours, Verona, Fiorini, 2001).
[2] Quanto più di forza abbia una commedia ne’
suoi vivi caratteri […] la commedia
all’incontro ne’ suoi atti famigliari insegna a tutti: si veda per questo
la Presentazione a questa commedia e
quanto si dice sul valore pedagogico del teatro in Gorini Corio, Giuseppe, Le leggi di Dio e quelle del mondo unite nel vero cavaliere, Milano, Giuseppe Pandolfo Malatesta,
1724, Discorso terzo. Del fine delle
Scienze, ed Arti.
[3] La natura è bella, ma se si vuol trasformare
non giova più, né diletta: l’autore insiste sulla necessità di imitare la
natura umana nei suoi vizi e nelle sue virtù senza aggiungere nulla di
inverosimile (cfr. Trattato sulla
perfetta tragedia, cit., p. 24).
[4] Nella seconda scena del Genio, ciascun vi vede Sosìa di Plauto, e
l’Anfitrione del Francese: nella scena della statoa: le Festin de piere: l’autore segnala apertamente le proprie
fonti: per I.4, Tito Maccio Plauto,
Anfitrione, atto I, e Molière, Amphitryon, I.2; per II.11 ancora
Molière, Dom Juan ou le festin de pierre, V.6 (cfr. II.11.254-260).
Nel caso di don Giovanni, Gorini Corio non manca di segnalare la correzione da
lui apportata alle caratteristiche del protagonista, che in Cleante divengono
più verosimili e dunque più facilmente accette alla ragione.
[5] Una satira delicata che corregge e non
offende: un riso tratto dall’intelletto: per una esaustiva trattazione del
tema che vede cooperare carità cristiana e buon uso della ragione si legga Gorini Corio, Giuseppe, Politica, diritto e religione. Per ben
pensare in queste materie, Milano, Agnelli, 1742, parte II, cap. VI.
[6] Campi di Fiandra: le
campagne di Fiandra sono il lontano e indeterminato scenario storico cui si fa
riferimento lungo l’intera vicenda (si veda anche I.4.52; I.13.9; II.11.3; II.12.180; III.11.15): si tratta molto
probabilmente della battaglie combattute in terra di Fiandra durante la guerra
di successione spagnola, come suggeriscono sia l’allusione alla battaglia di
Malplaquet (III.12.21) combattuta
nel 1709, sia l’elenco dei condottieri sciorinato da Gradelino pochi versi
dopo. Già in apertura è chiarito
che Cleante e il suo servo Gradelino sono da poco tornati dalla guerra, e
all’interno dei dialoghi dei due personaggi con i loro pari si capisce che
Milord e Chicanò hanno conosciuto il valore di Cleante proprio sui campi di
battaglia; mentre Gradelino millanta di aver acquisito dei titoli grazie ad
imprese in realtà mai compiute.
[7] Milord Albernò, Lancastr, Licestr,
Verdenstein, Virbourch, Pirconstein: Periglion, Chatiglion, Pederborouc e Marlaborouc sono evidentemente tutti
nomi storpiati di condottieri di battaglie, in parte probabilmente inventati da
Gradelino o sistemati lì a casaccio. L’unico conte di
Leicester (Licestr) che si rintraccia
nella storia è Robert Dudley, I conte di Leicester (1532-1588), al quale toccò in sorte di comandare
la campagna inglese in Olanda nel 1585 (guerra anglo-spagnola 1585-1604), e che per questo ebbe
sì a che fare con le Fiandre, ma in anni ben precedenti quelli di Gradelino. Pederborouc dovrebbe indicare Charles Mordaunt, III conte di Peterborough (1658-1735), comandante in capo dell’esercito di terra durante
la guerra di
successione spagnola; Marlaborouc
si riferisce con ogni probabilità a John
Churchill, I duca di Marlborough (1650-1722), reso famoso dalla sua vittoria a Blenheim sul Danubio contro i franco bavaresi (1704) sempre nel corso della medesima guerra. Questi i
riferimenti che, insieme al rimando a Malplaquet, portano a pensare che
Gradelino si stia riferendo appunto alla guerra di successione spagnola, a cui
parteciparono anche le Provincie Unite e alla fine della quale venne firmato
l’importante trattato di pace proprio a Utrecht. Non è stato possibile risalire
all’identità storica degli altri personaggi.
[8] Quaranta: il termine è impiegato per designare sia collettivamente,
sia singolarmente (il Quaranta Polvara, in questo caso) i membri del Senato
bolognese, organo che trae origine dall’istituzione medievale della
magistratura dei xvi Riformatori
dello Stato di Libertà (1394), formata da quattro membri —nobili e popolari—
per ognuno dei quattro quartieri cittadini, eletti dal Consiglio dei Seicento.
Insieme al Gonfaloniere di Giustizia, agli Anziani e ai Massari delle Arti essi
avevano il compito di conservare la pace e la libertà della città. Nel 1431
papa Eugenio IV portò il numero dei Riformatori a venti, pose loro a capo il Gonfaloniere
di Giustizia e assegnò loro il compito di consiglieri del Legato. La nascita
ufficiale del Senato risale al 19 giugno 1466 quando papa Paolo II nominò ventuno
senatori (che mantenevano il nome di Riformatori) a vita con il diritto di
scegliersi un successore, che doveva essere ratificato dal Papa. A capo del
nuovo senato, come Gonfaloniere perpetuo, fu posto Giovanni II Bentivoglio. Nel 1506, papa Giulio II
dichiarò decaduti i senatori bentivoleschi, e costituì un nuovo Senato
di quaranta membri. Tra il 23 maggio 1511 e il 24 giugno 1512, con il ritorno in città di Annibale II Bentivoglio, i senatori furono riportati a trentuno, e
poi reintegrati nel numero di quaranta nel 1513, anno in cui Bologna tornò sotto l’autorità papale. Nel
1589, Sisto V aumentò a cinquanta il numero di senatori, provocando aspre
reazioni da parte della nobiltà bolognese, preoccupata per l’ingresso in senato
di nuovi membri filo-papali: per questo per i due secoli successivi i senatori
continuarono a definirsi «i Quaranta», finché con l’arrivo delle truppe
napoleoniche in città, il loro numero fu portato a 92. Ben presto, tuttavia,
l’organo fu soppresso (31 maggio 1797). Nell’elenco delle
famiglie bolognesi che detenevano un seggio in senato non compare il cognome
Polvara, ovviamente di invenzione dell’autore.
[9] San Petronio: si tratta in realtà di
Piazza Maggiore, su un lato della quale si innalza la mole della Basilica
dedicata al patrono di Bologna, san Petronio, e che ancora oggi costituisce il
cuore della città.
[10] Parrucchini e collarini: sineddoche per
indicare la nobiltà.
[11] Birichini: il termine è propriamente
bolognese e nel XVIII secolo
indicava, in generale, i ragazzi di strada (più nel particolare designa gruppi
di malviventi che condividevano i frutti delle loro rapine).
[12] herdò…zoroc:
non siamo stati in grado di risalire all’origine dell’espressione, che ritorna
in analogo contesto in IIi.11.4.
[13] I.2.6-32 La lunga tirata del servo che ingigantisce il proprio ruolo e i propri
meriti al fianco del padrone durante la guerra ricorda il tipico atteggiamento
di Capitan Spaventa, maschera della Commedia dell’Arte ideata dall’attore
Francesco Andreini (1548-1624) che rappresenta il soldato sognatore, ma anche
un po’ superbo e ambizioso, che tende a confondere sogno e realtà.
[14] bulo: termine dialettale che significa «bullo», dunque «pieno di
sé», come effettivamente si mostra, sulle prime, Bacocco.
[15] I.3.16 Il contesto induce ad integrare con un punto
esclamativo la conclusione della battuta che nella stampa appare priva di segni
di interpunzione.
[16] Honores mutant mores: espressione latina divenuta proverbiale,
secondo la quale l’essere innalzati agli onori porterebbe a cambiare i propri
atteggiamenti. Il proverbio si trova menzionato e analizzato in Menochio, Stefano della Compagnia di Gesù, Stuore, Padova, Stamperia del Seminario, 1701, vol. II, p. 523. In una situazione analoga
Cleante si comporterà al contrario di come agisce qui Gradelino: si veda I.10.8-13.
[17] Vittoria Tartana…Tartanella: «tartana» e il suo diminutivo
«tartanella» sono nomi di imbarcazioni a vela dotate di un unico albero con
vela latina, impiegate nei mari italiani e anche nell’Atlantico soprattutto per
la pesca. Il nome indica anche, per estensione, un particolare tipo di rete da
pesca a strascico e, per traslato, è detto di donna grassa, tozza e sformata.
Il riferimento è forse ai costumi poco raccomandabili della madre e della
sorella di Gradelino, donne girovaghe, come le barche, ma anche sformate e
sgraziate, come le reti da pesca.
[18] Gebè: non sono stata
in grado di risalire alle origini di quello che, mi par di poter affermare,
doveva essere un gioco.
[19] I.3.118 Contrapposizione fra pazzia e senno. Qui l’amore
rientra nell’alveo della ragione.
[20] addesso: prima fra le numerose occorrenze del termine, che risente
del fenomeno della geminazione consonantica, retaggio del parlato dialettale.
L’influsso del dialetto sul testo si riconosce attraverso questi particolari. I
casi di questo tipo sono molteplici nel corso della commedia («preggiarsi», I.12.71; «stuffati», I.12.93; «avvanzato», I.13.156, II.11.1; «baccerete», III.11.47; «adaggio», III.11.57,84; «fattevi», III.16.34). Meno numerosi, invece, i casi
di scempiamento («capello», I.9.43 e 46; «comensali», I.13.104; «gobo», I.13.141).
[21] Come dichiara l’autore in apertura, questa scena riprende da
vicino le vicende rappresentate nel primo atto dell’Anfitrione di Plauto, poi ripreso anche da Molière. Nella commedia
plautina il servo di Anfitrione, Sosia, giunge alla casa del padrone per
annunciarne alla moglie il ritorno dalla campagna militare e trova sulla porta
Mercurio con le sembianze di Sosia stesso. Giove nel frattempo era già
penetrato in casa dopo aver assunto le sembianze di Anfitrione per conquistarne
la moglie Alcmena. In questo caso il Genio, assumendo le sembianze di Gradelino
e poi di Cleante, ricopre, da solo, i due ruoli di Mercurio e di Giove.
[22] morto in aria pendente / facendo colla testa riverenza:
eufemistico riferimento alla morte per impiccagione. Ancora in III.15.24.
[23] I.4.37-47 Il Genio racconta qui una gustosa scenetta in cui
il protagonista (che poi è Gradelino) si avvicina con la mano alla tasca di un
nobile; questi se ne accorge e gli chiede scaltramente se ha trovato qualcosa;
alla risposta negativa del ladro il nobile gli ordina di mettere qualcosa nella
tasca; il ladro, per evitare guai maggiori, ubbidisce ponendovi uno zecchino e conquistandosi
la lode di colui che da possibile vittima di un furto ne diventa beneficiario.
[24] alla serena: modo di dire tipico dell’Italia settentrionale. Dal
contesto si capisce facilmente che significa «fuori casa», come conferma anche
l’uso che ne viene fatto nella Raccolta
di apologhi scritti nel secolo XVIII, Milano, Società tipografica dei
classici italiani, 1827, apologo VII dell’abate Giancarlo Passeroni
(Nizza 1713-Milano 1803), p. 273.
[25] Presto, presto saprai / chi tu fosti, chi sei e chi sarai: in una
doppia uscita da sé, Gradelino ripete le parole del Genio (I.4.75-76), imitando colui che imita
Gradelino stesso. Al lettore non deve sfuggire il sottile effetto di
straniamento di questa battuta, con la quale il parlante manifesta tutta la
confusione circa la propria identità. Le parole gli sembrano estranee, e
tuttavia sue, perché il genio è «in figura di Gradelino», come da indicazione
scenica: pronunciandole è come se il servo assumesse l’identità di un altro, il
che in questo caso coincide con il rivendicare la propria.
[26] il cavalier Morgante: il nome rimanda all’omonimo protagonista del
poema comico di Luigi Pulci (1478) in cui Morgante è un gigante pagano che
Orlando e Rinaldo convertono al Cristianesimo. Il riferimento a un personaggio
molto conosciuto vuole forse connotare ironicamente la figura del cavaliere nei
termini della smisurata mole e in un contesto comico facilmente riconoscibile.
[27] I.6.25-27 La virtù, frutto dell’esercizio della ragione, è
quanto più avvicina l’uomo agli dèi.
[28] Bravo, padron, sotto,
coraggio: si intuisce che qui Cleante si mette in guardia come per venire
ad uno scontro fisico con Morgante.
[29] I.6.36-40 Prima profezia del Genio, rivolta direttamente a
Cleante, sulle difficoltà che incontrerà durante la giornata. Una seconda
profezia sarà rivolta a Cleante dalla statua di Morgante, dietro le cui
sembianze ovviamente si cela il Genio, in II.11.251-254. La terza profezia è
pronunciata ancora dal Genio stesso, rivolto, questa volta, al pubblico, nella
prima scena dell’atto terzo.
[30] I.6.46 Riunisco in un unico endecasillabo i due versi che
nella stampa appaiono inspiegabilmente separati.
[31] canta dinanzi al ladro /il vuoto passaggiero:
proverbio popolare. Nelle battute che seguono, il faceto Bacocco riduce il
ricorso alla filosofia ad un ripiego per chi non ha più niente da perdere. Lo
studioso di filosofia si identifica con il mendicante (il «vuoto passaggiero»)
che si consola della sua condizione cercando di coglierne i lati positivi con
l’aiuto degli antichi maestri. Senza volerla attribuire al personaggio Bacocco,
l’ironia, che allora attribuiremo all’autore, si fa qui ammiccante: è noto che
in uno dei più famosi dialoghi del citato Platone, Il Simposio, Amore sia descritto quale figlio di Penìa, la povertà,
e dunque sempre mendicante di quello che gli manca, e per questo modello del
saggio alla ricerca della vera sapienza. Ma quello che in Platone è una
metafora, diventa lettera nelle parole del servo: il mendico di beni materiali
è effettivamente, e forse suo malgrado, mendico di sapere e questi, a propria
volta, è tale proprio perché manca di beni materiali.
[32] secondo capitolo: forse un generico riferimento al secondo libro
dell’Etica a Nicomaco, in cui
Aristotele elenca le virtù etiche accennando alla liberalità e alla
magnificenza che hanno a che vedere con il rapporto dell’uomo col denaro;
oppure al secondo libro della Politica,
dove, in alcuni punti, si tratta anche dell’uso delle ricchezze. Né in un caso, né nell’altro si fa
cenno all’episodio qui ricordato di Diogene. Il racconto del dialogo fra
Diogene e Alessandro Magno si legge in Plutarco, Vite parallele. Vita di Alessandro, 14,.2-5.
[33] e leggiamo il capitolo dell’ira: l’abile Bacocco è pronto ad
impugnare contro il proprio padrone i medesimi mezzi da lui stesso impiegati.
[34] Tutte queste son fole: la sentenza riassume senza perifrasi il
punto di vista del servo (e di una tenace tradizione non solo popolare) sulla
filosofia, a parer suo così lontana dai bisogni concreti dell’uomo.
[35] I.7.49-66 Gustosa continuata
contrapposizione tra le ragioni della filosofia e quelle della ‘pancia’ in cui
alla sentenza, addirittura di carattere biblico, del padrone: E non vedi che il sole /rischiara e te, e
me, /e i creditori miei tutti ugualmente (cfr. Mt, 5.43-48) rispondono le concrete lagnanze di Bacocco, che mette
insieme Diogene e Nuovo Testamento e propone in sé stesso un impietoso
rovesciamento della figura, già dissacrata, del filosofo. Se Diogene, colto da
fame, avrà i suoi occhi tolto / dalle
stelle, e rivolti alla pignatta, al povero Bacocco non resta altro che dalla pignatta vuota / rivolgere gli occhi a contemplar le stelle, con un endecasillabo degno della
più sconsolata parodia dantesca.
[36] I.8.7 Riunisco in un unico endecasillabo
i due versi che nella stampa appaiono inspiegabilmente separati.
[37] Este sono sciocchezzas: a don Nugno che, riguardo alla filosofia,
riproduce l’atteggiamento di Bacocco (I.7.56),
Bacocco stesso risponde con i medesimi argomenti a lui opposti dal
padrone, dimostrando una certa abilità nel maneggiare anche strumenti con i
quali non ha molta famigliarità, e una notevole maestria nel mutare parere a
seconda della circostanza.
[38] Botos a crispo, un picaron, cavron, / sin onra, senza fe’, ni religion:
«Santo cielo! Un malandrino, un rozzo, senza onore, fede o religione!».
L’esclamazione iniziale è una storpiatura che in spagnolo serve a dissimulare
un’espressione blasfema.
[39] sanguinem de muro /non potes cavare: la sentenza latina divenuta
popolare, che indica non solo l’impossibilità generica di voler ottenere
qualcosa di buono da chi non ne è capace, ma anche quella specifica di avere
quattrini da chi non ne ha —ed è questo il caso di don Nugno— diventa ancora
più lapidaria e divertente nel contrasto fra il latino in cui è formulata e il
grado sociale del personaggio che, fieramente, la pronuncia.
[40] Con un climax ascendente di argomenti Bacocco
cerca di convincere l’interlocutore che l’errore principale non è tanto
l’essere insolventi, quanto il giocare in sé: egli comincia con il mettere in
luce le difficoltà in cui si incorre anche nel caso in cui si vinca, difficoltà
legate all’ottenimento dei soldi, e poi espone la tesi cardine per cui il gioco
conduce l’uomo ad allontanarsi dalla via della ragione e dunque a regredire
alla mera animalità. Infine, da oratore esperto, con un’ammiccante ipotesi
riconduce i propri argomenti all’amor proprio dell’interlocutore, che in questo
caso riconosce il suo «parlar sì sensato». Compreso fra i divertimenti propri
alla nobiltà, il gioco diventa uno fra i nuovi temi che il teatro del
Settecento propone e sulla cui legittimità si interrogano le accademie (si veda Zanlonghi, Teatro e formazione presso il Collegio dei Nobili, cit., p. 314).
[41] Il significato della
frase e la coerenza con il contesto inducono a correggere integrando
l’interrogativa con un «non».
[42] I.8.49-54 Arguta metafora continuata che ben esprime la
legge del taglione, per cui «occhio per occhio, dente per dente». Questo è il
primo di una serie di luoghi della commedia in cui tale legge viene messa in
scacco: l’uso della violenza non ha senso neanche come reazione all’insolvenza:
la violenza, infatti, è patrimonio comune e può essere impiegata anche dai
debitori, creando un circolo da cui non si esce. Di qui la sterilità del mezzo.
[43] figlio di famiglia: persona appartenente ad una famiglia agiata o
molto nota, che consente ai suoi membri di non dover lavorare per vivere.
L’espressione ritorna anche in I.10.26 e
in I.12.86.
[44] I.8.89-94 Aristotele e Platone hanno smesso di essere
maestri, almeno a giudicare dal fatto che non si riescono nemmeno più a vendere
i loro libri. Bersaglio dell’autore probabilmente quella nobiltà —così vicina a
quella del Parini— che si lascia affascinare da divertimenti superficiali e non
dedica tempo alla propria formazione, mancando di responsabilità di fronte al
resto della società. E infatti qui il servo Bacocco, autodidatta per caso e per
necessità, mostra di avere un ingegno ben più sottile e allenato di quello che
dovrebbe avere il suo nobile interlocutore.
[45] I.8.101-104 In questi versi si trovano, insieme,
l’affermazione di una sorta di a priori
del sentimento del bene, che viene concettualizzato negli insegnamenti più
elementari, e l’adagio di sapore rousseauiano della natura guastata dalla
cultura.
[46] I.8.100-126 Nel Discorso
terzo. Del fine delle Scienze, ed Arti compreso ne Le leggi di Dio e quelle del mondo unite nel vero cavaliere, cit., si legge che le leggi naturali,
divine e positive servono al bene comune, non alla privata avarizia, e hanno
per fine la virtù, e la giustizia in particolare: questo il messaggio che
sembrano implicitamente contenere, nella loro concretezza, le parole di
Bacocco. In esse non è difficile ritrovare, più esplicitamente, le tracce della
riflessione di Gorini Corio, che, sempre ne Le
leggi di Dio e quelle del mondo, così si esprime a proposito del gioco: «E
quanto al giuoco particolarmente dico, che allora il giuoco è da Cavaliere, e
da Cristiano quando ha per fine il solo divertimento senza detrimento di tempo,
ma quando entravi cupidiggia delle altrui sostanze, o detrimento di tempo non è
più secondo le regole della morale, e non è un vizio solo, ma un compendio di
vizi» (p. 96), tra i quali l’avarizia e, più grave, la mancanza di carità, che
rendono il giocatore inutile alla società. È necessario tenere presente che
nella riflessione di Gorini Corio ragione e religione non sono in contrasto e
le virtù naturali sono strettamente legate a quelle teologali, tanto che il
vero cavaliere è tale solo se vive da cristiano (perché è tale solo se compie
azioni luminose, come insegna l’esempio evangelico della lucerna), ma vale
anche l’opposto: non può vivere da cristiano se non è vero cavaliere (cfr. Le leggi di Dio e quelle del mondo, cit., Discorso quinto. Della vera nobiltà). E ancora, in Via e verità concernenti la morale cristiana,
cit., si legge: «giuoca con chi giuoca, ma sia tale il tuo giuoco, che troppo
non ti dispiaccia ciò che perdi, né troppo piaccia ciò che vinci» (p. 258).
[47] barbelli: forma di italiano regionale per «tremi».
[48] Tu mi vendi finocchi: frase proverbiale che significa «tu mi vuoi
imbrogliare». Pare che si riferisca al costume dei
cantinieri di offrire spicchi di finocchio ai compratori del vino custodito
nelle botti. Il grumolo del finocchio, infatti, contiene sostanze aromatiche
che rendono gustoso anche un vino di qualità scadente: di qui l’imbroglio.
[49] E su la porta di Pandolfo; quello / era specchio, o bastone?: la scontata
e inverosimile ingenuità di Gradelino che crede essere altri da sé l’immagine
riflessa nello specchio precipita in un’osservazione che dimostra invece tutto
il suo senso pratico: al padrone che lo chiama «sciocco», infatti, Gradelino
ricorda l’esperienza concreta delle bastonate ricevute da un’analoga immagine.
[50] Ma pur che s’ha da far? La civiltà: il vero cavaliere non viene
meno ai suoi obblighi sociali nemmeno se questi sono di qualche ostacolo al
raggiungimento di un vantaggio personale: egli deve essere «sociabile», come
spiega Dei debiti dell’uomo. Discorso
ottavo, in Le leggi di Dio e quelle
del mondo, cit.
[51] Eh no, Leandro, / i gradi mutan titoli / ma non mutan sensi: nel
medesimo Discorso ottavo si legge:
«non vi è cosa, che renda il cavaliere più stimabile, e ben voluto, quanto il
trattar umile, e giocondo. Allorché vedesi un cavalier cortese, non presumere
troppo di sé medesimo, ma rendersi famigliare anche a’ più poveri colle debite
maniere attrae a sé medesimo le lodi comuni» (p. 94). In questo specifico caso
non si tratta di un vero e proprio povero, ma certamente Cleante qui dimostra
con umiltà di non credersi superiore all’amico per il fatto di aver acquistato
onore in battaglia. La medesima umiltà ed analoga cortesia caratterizzano l’atteggiamento
del protagonista anche nei confronti di tutti gli altri suoi interlocutori.
[52] Cfr. I.8.69. Tuttavia, la poca chiarezza
sintattica del periodo rende in questo caso difficile risalire al significato
preciso che si deve attribuire all’espressione figlio di famiglia nel contesto del discorso di Cleante. Quel che è
certo è che Cleante dà qui a Leandro tanto denaro quanto ne aveva dato
precedentemente il fratello di Leandro al fratello di Cleante.
[53] tra san Marino e Ponte Vecchio: probabile riferimento alle sempre
necessarie mediazioni diplomatiche nell’Italia dell’equilibrio dopo il trattato
di Aquisgrana del 1748, che pone fine alla guerra di successione austriaca. San
Marino apparteneva allo Stato della Chiesa, mentre Ponte Vecchio indica, per sineddoche,
Firenze, cuore del Granducato di Toscana.
[54] Partoriscono i monti e nasce un ratto: frase divenuta proverbiale
che deriva, come è noto, dall’illustre tradizione latina «parturient montes, nascetur ridiculus mus» (Orazio, Ars poetica, 139).
[55] guerra di Carpentero: il termine carpentero rimanda allo spagnolo carpintero, falegname. La somiglianza fonica serve alla consueta
ironia dell’autore che mette doppiamente in ridicolo don Nugno: a un primo
livello, assimilandolo ad un falegname; ad un secondo livello, più esplicito,
mettendo allo scoperto la sua bugia nel rivelare che non partecipò alla guerra.
[56] Ôte-toi de la coquine: letteralmente:
«sbarazzati della donna di facili costumi».
[57] I.11.74-84 In questi versi
Cleante mette in campo più sinteticamente gli stessi argomenti impiegati
poche scene prima da Bacocco. In bocca al servo saggio e in bocca al nobile
virtuoso la verità è la medesima ed è ugualmente difesa: la vera nobiltà,
infatti, non è data dai natali, ma dall’esercizio della virtù.
[58] Io feci quel che chiede / l’onor di un cavaliere: tra le virtù del
vero cavaliere è annoverata naturalmente anche la fortezza, virtù che tutti
devono coltivare, e che nel caso particolare del cavaliere comprende
magnanimità e magnificenza, come dimostra Cleante in questa scena, dove non
indugia a beneficare un amico, realizzando quanto troviamo esposto in teoria
nel Discorso ottavo de Le leggi di Dio e quelle del mondo, cit., p. 94: «La bontà de’ costumi,
l’ilarità, e modestia nel tratto, la
liberalità secondo le proprie forze, la
prontezza in soccorrere qualunque, ed in adoprarsi negli altrui bisogni […]
formano un perfetto cavaliere» (corsivi miei). Cavaliere che cancella
immediatamente il debito che l’amico ha contratto con lui, dimostrando distacco
nei confronti della ricchezze e tensione ad accumulare tesori in cielo
piuttosto che in terra (cfr. ancora Le
leggi di Dio e quelle del mondo, cit.
Discorso quinto. Della vera nobiltà,
p. 54).
[59] Un operar sì degno / tutto abbatte il mio orgoglio: l’esempio di
Cleante non lascia indifferente don Nugno che non riesce ad accettare il denaro
e se ne va. Non è ancora in grado di imitare la condotta di Cleante, ma arriva
ad ammettere, contemporaneamente, la propria natura orgogliosa e il duro colpo
che essa subisce davanti alla liberalità del cavaliere. Il gesto di Cleante ha
dunque per effetto anche quello di avvicinare don Nugno alla strada
dell’umiltà, virtù fondamentale per combattere il peccato più grave, quello
della superbia (per superbia e umiltà si veda in particolare Gorini Corio, Giuseppe, Via e verità concernente la morale cristiana,
Milano, Pietro Malatesta, 1740, pp. 11-12).
[60] I.11.107-111 Efficace ritratto di don Nugno, reso con una
certa obiettività e senza che si avverta l’acidità di un giudizio sprezzante,
soprattutto alla luce dei versi precedenti.
[61] Ricompongo in un unico
endecasillabo due versi che nella stampa appaiono separati.
[62] Nulla, o Signor, fec’io, / che sia degno di voi, se non l’avere / fatto
in pro del mio re il mio dovere: per la terza volta nell’arco di due scene
contigue Cleante afferma, di fronte alle lodi proferite nei suoi confronti, di
non aver fatto altro che il proprio dovere. È evidente che l’autore vuole farne
anche un esempio di umiltà: vincere la tentazione di gloriarsi per i
complimenti ricevuti è un efficace strumento per combattere la superbia, il
vizio peggiore, la cui «malizia» è «difficile […] da conoscere […]
particolarmente in se stesso, ma facile è cadere gravemente in tal colpa», come
si legge in Via e verità concernenti la
morale cristiana, cit., p. 11.
[63] Poitier, Chersi, S. Quintino: si fa qui
riferimento a tre famose battaglie, due delle quali registrano vittorie inglesi
nel corso della guerra dei Cent’anni: quella combattuta a Poitiers nel 1356, in
cui gli arcieri inglesi sconfiggono le truppe francesi guidate dal re Giovanni
il buono, che cade prigioniero e quella di Crécy, combattuta nell’agosto del
1346, in cui gli inglesi guidati da Edoardo IIi
schiacciano i numerosi soldati francesi di Filippo vi grazie ad un innovativo utilizzo delle lance. La
battaglia di san Quintino (1557) vede invece opporsi gli Spagnoli, agli ordini
di Emanuele Filiberto di Savoia, e i Francesi, capitanati dal maresciallo A. de
Montmorency, nel corso di quelle che sono state definite «Guerre d’Italia» e
nelle quali non si registra un coinvolgimento concreto dell’Inghilterra.
Affiancando san Quintino alle due precedenti, Milord sembra insistere,
garbatamente, più sull’idea delle sconfitte francesi che non su quella delle
vittorie inglesi, per poi sottolineare che non furono tali sconfitte a piegare
i francesi, ma l’oro inglese che procurò ai francesi molti nemici.
[64] infine cedettero ai Romani, / ch’eran cinti di ferro e non già d’oro:
figure della Roma di età repubblicana compaiono spesso fra gli esempi di virtù
ricordati da Gorini Corio nelle sue opere teoriche (si vedano Le leggi di Dio e quelle del mondo. Discorso primo, cit.; L’Uomo, cit.).
[65] I.12.92-96 Si veda I.12.9-11.
[66] I.12.112-114 Lo sprezzo delle ricchezze è esplicitamente
ricordato fra gli atteggiamenti virtuosi che si devono imparare fin
dall’infanzia alla luce dello spirito evangelico (cfr. Dell’allevamento dei figliuoli. Discorso secondo, in Le leggi di Dio e quelle del mondo,
cit.).
[67] Padrone il valor vero / si trova in quella borsa: come spesso
accade, il servo riporta a livello della borsa e dell’utile gli alti discorsi
del padrone.
[68] I.12.122-128 Sulla nobiltà del gesto di
lodare i nemici, che tuttavia si devono combattere, si veda L’uomo, cit., cap. III Lo
spirito della Monarchia, p. 472 in particolare.
[69] milord Una tal cosa non saprebbe alcuno / cleante
Ma però sempre lo sapria Cleante:
prima ancora che il timor di Dio, basta la coscienza o, meglio, l’autocoscienza,
a porsi come limite alle azioni che non incarnino la virtù. Il «sapere» di cui
parla Cleante è, da un lato, la coscienza-teatro della tragedia barocca, che
pone di fronte al colpevole tutti i suoi delitti e, dall’altro, l’intelletto
retto e cresciuto alla scuola evangelica, dunque capace di impedire che la
volontà segua quelli che sono beni solo in apparenza: ricchezze, onori,
bellezza, ambizioni. Sul rapporto fra intelletto e volontà Gorini Corio si
sofferma lungamente nei suoi scritti. Si vedano in particolare Del fine dell’uomo. Discorso primo, in Le leggi di Dio e quelle del mondo,
cit., e L’uomo, cit., libro II, capp. I e IV.
[70] I.12.136-140 Milord si dimostra qui cavaliere quasi al pari
di Cleante: lo scopo della sua visita sembra ora essere non tanto l’ottenimento
dei disegni, ma il riconoscimento del valore del nemico, al quale Milord
consegna comunque i doni del re. Forse anche in questo caso, analogamente a
quanto era successo per il meno aggraziato don Nugno, la virtù di Cleante
provoca quella che in antropologia si chiama «imitazione positiva» per cui
Milord è spinto a imitare l’atteggiamento distaccato e magnanimo del proprio
interlocutore.
[71] Milord è amico, ma nemico è il dono: Cleante, ancora una volta, con
carità cristiana, dimostra di sapere distinguere l’azione dall’agente, come
farà più avanti con Arnaldo (atto III).
[72] I.12.143-147 Sempre il solito adagio. Del resto il dovere è
quello di realizzare la parte migliore di sé, che è quella razionale, e ciò,
forzando un po’ Aristotele, coincide con la pratica della virtù.
[73] render muta la terra, e sbigottita: inevitabile riconoscere l’eco
del Salmo 75, v. 9, «sbigottita tace la terra», lo stesso a cui probabilmente
pensò Manzoni per Il Cinque Maggio,
dove la terra è «muta» e «attonita». Il salmo celebra la potenza del Signore
sui potenti e sui re della terra, di fronte ai quali si erge il suo giudizio.
Anche Cleante sta opponendo la potenza di coloro che vogliono acquistare gloria
nel mondo —quindi fare la parte di Dio, che nel Salmo è Colui che sbigottisce
la terra— a coloro che acquistano virtù facendo il proprio dovere, noti solo
alla propria coscienza e oscuri agli occhi del mondo. Le ragioni della violenza
sono qui evidentemente contrapposte a quelle della ragione stessa, quel «lume»
che ricorre quattro volte nell’arco di pochi versi (vv. 154, 164, 165, 166).
[74] I.12.159-162 Evidente strumentalizzazione del precetto
evangelico per cui «non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio […]
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini» (Mt, 5.15-16). Se il
Vangelo chiede di mettere a frutto le proprie virtù e la Grazia ricevuta col
Battesimo a servizio degli altri e per testimoniare la gloria di Dio, qui
Milord invita Cleante non tanto a far risplendere quella che equivocamente sta
chiamando virtù, quanto la gloria militare, e non per glorificare Dio, ma sé
stesso: Milord incorre, così, nell’errore dei farisei, che vogliono mostrare i
loro meriti davanti agli uomini «per essere ammirati da loro» (Mt, 6.1-6). E proprio appoggiandosi fedelmente
a Mt, 6.1 e 6.16-18 Cleante accoglie,
invece, l’invito del Vangelo «a non praticare la vostra giustizia davanti agli
uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi
presso il Padre vostro che è nei cieli. […] non
sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti
nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Il testo
insiste tre volte su quest’ultima importante certezza legata alla virtù
‘segreta’ (si leggano anche i vv. 144-151).
[75] Riunisco in un
endecasillabo i due versi che nella stampa appaiono separati.
[76] I.12.200-204 Non è stato possibile risalire all’episodio.
[77] I.12.196-213 La virtù del protagonista ancora una volta si
accende di fronte alla prospettiva meschina e tutta umana del suo pur degno e
nobile interlocutore: alla prospettiva di una gloria mondana che lo renda
famoso e potente, suggeritagli da Milord Antron, Cleante preferisce la gloria
che gli viene dalla coscienza di aver compiuto il proprio dovere e che resta
segreta in lui e in coloro che lo sanno.
[78] Per ragioni di logica e di simmetria all’interno del periodo
correggo l’iniziale «La giustizia» con «Da giustizia».
[79] I.12.220-224 Versi che richiamano da vicino il trattato L’uomo, cit., nella terza parte dedicata
a Lo spirito della Monarchia: «ma a’
nostri di’ non è egli bello il veder sovente le armate battezzate, dallo
spirito dei nostri monarchi animate, dalla giustizia precedute, dalla pace
seguite?» (p. 472).
[80] infado: voce dell’italiano antico usata per lo più nelle formule di
convenienza epistolare nei secoli XVII e
XVIII. Deriva dallo spagnolo
«enfado» che significa «disturbo», «fastidio».
[81] Grado, ricchezza, e sangue in un si nasce: sentenza che sintetizza
la Weltanschauung del personaggio,
caricato in superficialità attraverso il suo linguaggio che «promenne en cadense» (v. 29) come i
senatori bolognesi sui quali tornano a scagliarsi le frecce della satira (vv.
24-29).
[82] Quello per Francia è buon, questo per noi; / Spagna ha i suoi modi e
l’Inghilterra i suoi: da vero cavaliere Cleante non parla male di nessuno,
neanche delle abitudini delle nazioni straniere.
[83] Voi chiamate virtù / il brio, il bello spirito, il valore:
presentazione indiretta dello spirito di Chicanò, che poco alla volta prende
forma e assume da subito una configurazione negativa: dapprima è rappresentato
da sé stesso come colui che identifica la nobiltà con la nobiltà di nascita e
la ricchezza, poi, attraverso Milord, come chi identifica la virtù con il brio
dello spirito.
[84] perché chiama prudenza la pazzia:
si esplicita il tema del mondo rovesciato, dei valori negati,
dell’abitudine a non chiamare più le cose con il loro nome, per utilità. Gorini
Corio denuncia qui non solo il costume dell’ipocrisia, ma anche la pretesa,
divenuta ormai quasi cosa naturale, di cambiare l’essenza delle cose cambiando
loro il nome: per lo stretto legame che inevitabilmente lega res e verba, che in casi come questo viene minato nella sua autenticità,
il «chiamare prudenza la pazzia» conduce a credere che essa sia prudenza
veramente.
[85] I.13.82-87 Chicanò si riferisce al fenomeno del belcantismo,
che si afferma nella prassi musicale italiana nel xvIIi secolo e che vede prevalere, nel melodramma e nella
musica da camera, l’interesse per la voce piuttosto che per gli strumenti.
Secondo questo gusto i maggiori compositori compongono vocalizzi, arie senza
parole in cui l’atto della voce canta sulle vocali, scritte espressamente con
lo scopo di fornire al cantante un esemplare preciso della tecnica e della
stilistica dell’autore e per enfatizzare le doti del cantante stesso. Il
vocalizzo ha avuto nel sec. XVIII anche un’importante funzione pedagogica.
[86] cucinier: evidente calco dal francese cuisinier, «cuoco».
[87] I.13.103-112 Alla tavola
bolognese, come forse, in generale, nelle abitudini dell’alta società
della città, tutto è contraffatto e rovesciato rispetto a quel che deve essere:
il vino è caldo, la minestra è fredda, si cucina un gallo al posto del cappone
e piccioni vecchi per carne novella («les innocents»), e si chiama «Borgogna»
il vino bolognese, giocando sulla paranomasia. Duplice ironia dell’autore,
diretta sia contro la superficialità del personaggio e della categoria che
rappresenta, sia, come spesso accade, contro una classe nobiliare inerte e
ipocrita.
[88] offella: termine appartenente al vocabolario regionale, ma calco
del latino ofella, per indicare
piccoli dolcetti costituiti di due dischetti di pasta frolla, che, sovrapposti
l’uno all’altro con un ripieno di marmellata o marzapane, vengono dorati con
rosso d’uovo, cotti in forno e quindi spolverati con zucchero a velo.
[89] petimetre: storpiatura del francese petit maître, letteralmente «piccolo maestro», dunque «saputello»;
per traslato «bellimbusto», «damerino».
[90] Il gobo piace gobo: a
giudicare dal contesto si tratta probabilmente di un’espressione proverbiale,
alla cui origine però non siamo riusciti a risalire.
[91] I.13.133-142 Con la consueta carità, Cleante difende il
carattere di Milord e garbatamente taccia di pesantezza Chicanò.
[92] Fidonc: accorpamento della locuzione fi
donc, con
la quale il parlante vuol dire che trova
indegno e riprovevole avere una certa attitudine o sottoscrivere una certa
idea.
[93] Anomalo novenario.
[94] I.13.185-186 Come talvolta accade con lingue diverse
dall’italiano, la versificazione risulta qui ancora anomala.
[95] rapé: letteralmente
indica qualcosa ridotto in polvere per mezzo di una grattugia o di una lama.
Per traslato e visto il contesto, possiamo intuire che qui Chicanò desidera
della cipria.
[96] crivello: strumento costituito da un telaio sul cui fondo è fissata
una rete metallica o una lamiera perforata, usato in agricoltura,
nell’edilizia, nell’industria estrattiva per dividere materiali incoerenti in
due classi di pezzatura, separando gli elementi che passano attraverso da
quelli che ne sono trattenuti a seconda delle dimensioni o della forma delle
maglie (o dei fori). Sinonimo di «setaccio».
[97] Riunisco in un
endecasillabo i due versi che nella stampa appaiono separati.
[98] V’appigliaste a pretesti assai lontani / dalla retta ragione:
ragione assunta anche da Pandolfo come guida per le azioni e strumento per
discernere il vero dal falso e il giusto dall’ingiusto.
[99] I.14.15-45 L’intervento funesto del Genio che ha preso le
sembianze di Cleante e, come si era intuito nelle scene precedenti, ha fatto
visita a Climene e le ha raccontato le imprese di guerra, ha provocato una
sorta di equivoco fra Pandolfo e Cleante, un nodo che per sciogliersi avrà
bisogno di tutta la commedia e ne risulta dunque uno dei motori principali. La
centralità dell’equivoco nella macchina narrativa è ben espressa dal maggiore
teorico della letteratura barocca, Emanuele Tesauro (Torino, 1592-1675),
gesuita e attivo con alterne vicende nel Collegio milanese di Brera tra il 1613
e il 1620. Egli scrive: «da questo genere […] vedrai tu nascere i più bei Gruppi
Tragici o Comici, che abbian trovato, o trovar possano i Poeti, o
Romanzieri. Peroché tutti avran per fondamento uno Equivoco, o di una Persona
per un’altra: o di un’Azione, o Tempo, o Luogo o d’altra
circostanza per altra. E da questo Equivoco fondamentale, nascono in
consequenza molti altri Equivochi episodici, Avviluppamenti, e
Peripezie maravigliose, e strane; che togliono la fede al vero, o la danno
al falso: e finalmente le inaspettate e piacevoli Agnizioni,
quando l’Equivoco si chiarisce, e il Nodo si disnoda» (Tesauro, Emanuele, Il Cannocchiale aristotelico, Torino, Bartolomeo Zavatta, 1670, p.
393).
[100] I.15.3-18 Arnaldo, longa
manus del Genio, complica la situazione sovrapponendo all’equivoco una vera
e propria menzogna.
[101] creppapanza: tanto da scoppiare. Locuzione che risente della
geminazione della p, tipica del
parlato regionale.
[102] I.15.38-43 A stemperare lo smarrimento del padrone la
sicurezza tutta pratica del servo, che appiattisce il problema sul piano della
mensa, identifica il bene con le cene e dimostra di sapere, al contrario del
padrone, ciò che cerca e ciò che fugge, in una prospettiva ben rappresentata
dall’allusione conclusiva al principio del piacere. Negli ultimi due settenari
Gradelino riprende lo stesso ritmo e la stessa rima gatta : matta che scandisce i due settenari del proverbio «che
colpa ci ha la gatta /se la massaia è
matta?».
[103] Flegetonte: secondo la mitologia greco-romana è fiume del mondo
infero che, unito a Cocito, forma l’Acheronte.
[104] angui chiomate figlie: forse da correggere in «anguichiomate».
L’espressione ricorda da vicino il pariniano «Furie anguicrinite» (Parini, Giuseppe, Mattino, 1763, v. 44). Si tratta ancora una volta di un riferimento
mitologico: le Furie —per i romani— o Erinni —per i greci— sono divinità legate
al mondo sotterraneo. Secondo la Teogonia
di Esiodo sarebbero nate dal sangue di Urano mutilato dal figlio Crono;
compaiono invece come figlie della Notte o della Terra nella tradizione poetica
successiva, alla quale qui si fa riferimento. Sono tre sorelle, Aletto,
Tisifone e Megera, il cui compito è di perseguitare e punire coloro che hanno
infranto le leggi morali, in particolare gli uccisori di parenti. Vengono
tradizionalmente rappresentate con serpenti al posto dei capelli (da cui
«anguichiomate» e da cui gli «aspidi» al v. 6) e con in mano carboni ardenti e
torce (le «faci» del v. 5).
[105] II.1.1-22 Con le sue immagini dal sapore mitologico e la sua
retorica di chiasmi ed enjambements,
il monologo del Genio si avvicina allo stile del teatro del Seicento, in
particolare al parlare di alcuni —forse i più famosi— personaggi delle tragedie
di Emanuele Tesauro. Si veda per esempio quanto dice Simulazione in apertura di
Alcesti. O sia l’amor sincero (1665)
riguardo alle proprie intenzioni e al ruolo che sosterrà nel dramma: «Ma se mai
dal mio ingegno / di menzogne fecondo e d’arti nuove / uscì un parto felice e
di me degno, / oggi vuo’ far le prove, / se con questo sol foglio / senza
mentir mentendo / tesser posso un imbroglio / che perturbi e funesti / un
giorno tanto lieto / alla reggia di Ameto, / al re di Anfriso e alla reina
Alcesti» (vv. 85-95). Si riscontrano facilmente alcune analogie che interessano
i temi dell’inganno e della perturbazione di una situazione felice, intenzioni
che nascono dall’ingegno di un demone e che vengono considerati suoi «parti»,
o, con lieve variazione, suoi «strali».
[106] II.2.1-32 È ancora una volta Bacocco a dar voce ad una
raffinata condanna del gioco. Il servo, filosofo suo malgrado, costruisce in
questi versi un discorso degno di un oratore, strutturato per chiasmi e
simmetrie, che si chiude col medesimo rimando alla filosofia con il quale si
era aperto, quasi ad indicare la ciclicità e la sterilità di un iter che dal gioco sfortunato conduce
alla filosofia e poi di nuovo se ne allontana per tornare al gioco e perdere
nuovamente e nuovamente dedicarsi alla filosofia. Un certo gusto secentesco per
le antitesi si avverte in tutta la tirata di Bacocco: come la morte, e sua dissacrante
parodia, il gioco —che, non dimentichiamo, fa regredire l’uomo alla mera
animalità, quindi in parte lo anestetizza, se non lo uccide— rende tutto
uguale, tanto che non si distinguono più avarizia da prodigalità; superbia da
umiltà; nemico da amico, in una preoccupante confusione tra vizi e virtù in cui
un contrario scivola nell’altro, continuamente. Se il gioco delle carte sembra
cancellare i vizi, è in realtà solo per aggravarli mentre rigirano su sé
stessi.
[107] Per ragioni metriche
correggo «Vi sono» con «Vi son».
[108] Correggo qui la non
precisa trascrizione del francese, che nella stampa si legge come «Quei bruit
faiton la haut».
[109] chapitres de bassette : argomenti da uomini di poco
valore.
[110] Riunisco in un
novenario, comunque anomalo, i due versi che appaiono separati nella stampa.
Quando si tratta della trascrizione del francese si rileva spesso qualche
incertezza dell’autore riguardo alla misura dei versi.
[111] II.2.66-67 Riordino la
distribuzione dei versi della stampa accorpando «Ecco Berna» e «fort bien» per
formare un settenario, cosicché anche «Rome, que faire de Rome», diviso da
«fort bien», risulti settenario.
[112] Integro il testo a
stampa con un punto di domanda che la costruzione grammaticale della frase
richiede. Inoltre accorpo nell’unico verso 73 quelli che nella stampa appaiono
come due versi separati.
[113] Accorpo in un unico endecasillabo quelli che nella stampa
appaiono come due versi separati.
[114] Tu te trompes que dis-tu de ma frisure?:
l’atteggiamento di Chicanò che così marcatamente sempre lo caratterizza sembra
imitare quello delle précieuses ridicules
e di Mascarillo della commedia di Molière (Les
précieuses ridicules, atto unico, scena 10).
[115] letterati / buffoni, maldicenti, e scioperati: Bacocco, umile servo
ma capace di interiorizzare gli insegnamenti dell’Etica di Aristotele, è qui voce della critica a quel genere di
letterati che si dedicano ad opere di mera evasione, trascurando, o addirittura
compromettendo, l’educazione del popolo.
[116] L’intera scena
rappresenta in modo esemplare un certo gusto per la maldicenza che doveva
essere molto diffuso nei salotti della nobiltà e che Gorini Corio pone sul
palcoscenico certamente con lo scopo di correggere un atteggiamento che per un
cristiano costituisce una importante mancanza di carità. Non a caso i due
interlocutori sono fra i personaggi più vili: Arnaldo, consigliere fraudolento,
e Chicanò, damerino superficiale, già apertamente disprezzato da Milord (I.13.129). Ma insieme alla più grave
maldicenza, l’autore scopre e mette in ridicolo anche quelli che dovevano
essere i costumi libertini dell’alta società bolognese: la serie di riferimenti
si apre con la contessa, una «Quaranta», cioè moglie di un senatore (cfr. I.2.18) che, giocando sul numero, poteva
dirsi «settanta» a causa dei suoi anni; poi compare il «Quaranta Cornara»,
senatore il cui nome rinvia alla condizione di marito tradito e sposta
esplicitamente il discorso nell’area semantica della sessualità per introdurre
la «marquise de Petasse» (che letteralmente significa «prostituta»), degna di
un giro più ampio di versi. Innestato su questo sfondo, il linguaggio
mitologico popola la società dei senatori di Marte, Saturno, Giove, Venere,
Diana, Giunone con tutta la costellazione di amorazzi che trascinano con loro e
ammicca al lettore perché comprenda la superficialità di costumi della
marchesa. Il climax di allusioni per
nulla implicite cresce in intensità nei versi successivi: la marchesa «si cuce
[…] e poi si scuce»; chiunque passi da lei «v’ha la sua parte» e il suo
è un parlatoio dove anche la casta Diana viene chiamata Venere. Dove tutto,
dunque, viene ricondotto —e avvilito— alla sfera della mera sensualità, anche
quello che non le appartiene. Infine è citato un «conte di Culagna», il cui
nome è così esplicito da non richiedere commenti e che viene ridicolizzato per
le sue origini plebee. L’ironia di Gorini Corio può farsi qui impietosa senza
che lui rischi accuse di alcun genere perché passa attraverso le bocche dei
suoi personaggi più maliziosi. Attraverso questo escamotage, l’autore allarga la propria satira all’ambito morale e
a quello politico, con forte timbro illuminista: non va trascurata, a questo
proposito, l’apparente banale osservazione di Arnaldo «era la notte e non ci si
vedea» (v. 9), osservazione che, letteralmente, è riferita alla scarsità di
candele nel salotto; a un primo livello di ironia, quello di Arnaldo, al fatto
che i suoi frequentanti non fanno differenza fra donne vecchie e giovani; a un
secondo livello di ironia, quello dell’autore, al fatto che nelle abitudini
salottiere non c’è posto per il lume della ragione.
[117] era la notte: citazione
parodizzante dell’oraziano Nox erat et
caelo fulgebat luna sereno (Epodo XV). Per una sua possibile
interpretazione si veda la nota precedente.
[118] n[‘]y manque jamais: anomalo senario, come accade talvolta se si
tratta di trascrizioni da lingue straniere.
[119] II.3.55-63 Ancora una volta viene richiamato Orazio, qui
esplicitamente annoverato fra i poeti bugiardi che hanno fornito nobili natali
a chi non li aveva. Continua la polemica contro i letterati del mero delectare.
[120] Riunisco in un
endecasillabo i versi che nella stampa appaiono separati.
[121] Il bene è bene se si spande: in bocca ad Arnaldo viene
ridicolizzata e svuotata della sua
sacralità la sentenza scolastica secondo cui bonum effusivum sui (S. Tommaso, Summa
theologiae, I, q. 5 a. 4, ad 2). L’opportunismo del personaggio piega la
sentenza a proprio favore, applicandola ai beni di cui dispongono i ricchi e
che, a suo parere, dovrebbero essere condivisi con clienti e cortigiani.
Questa, dal suo punto di vista, sarebbe carità. L’autore colpisce
contemporaneamente il nobile decaduto che pretende di ricevere un beneficio e
l’avarizia dei nobili che possiedono molte ricchezze, ma non si piegano sulle
necessità del prossimo (cfr. anche Le leggi di Dio e quelle del mondo, cit., Discorso Quinto. Della vera nobiltà).
[122] Botos a crispo: cfr. I.8.27-28.
[123] Riunisco in un
endecasillabo i due versi separati nella stampa.
[124] Gravidat è evidente storpiatura dello spagnolo «gravedad».
[125] parlavam di voi /con quella lode che voi meritate: Arnaldo si conferma sempre abile
simulatore, con malvagia ironia.
[126] on commence par estre dupe / on finît par estre frippon: introduco nel testo le
virgolette per isolare i versi della canzone
che significano «si
comincia essendo ingenuo e si finisce con l’essere disonesto». Anche attraverso le parole della
canzonetta francese, a loro volta inserite nel giudizio privo di carità di
Chicanò nei confronti del conte, viene condannata la corruzione che il gioco
provoca nella natura dell’uomo. La verità sembra qui manifestarsi anche
malgrado le intenzioni del parlante.
[127] coquin: uomo privo di senso morale,
malvagio. Nel suo sprezzante giudizio, Chicanò aggrava la definizione del vizio
altrui, senza accorgersi che sta dichiarando in actu exercito il proprio.
[128] II.4.17-22 Don Nugno rivela in questi versi di avere anche lui la propria parte di
nobiltà d’animo, enunciando il principio, naturale e soprannaturale, per il
quale è bene evitare la maldicenza, grave danno per il prossimo. Il personaggio
lo ribadisce poco sotto, ai vv. 37-43, quando riporta criticamente la
prospettiva dei suoi interlocutori e dei più e dimostra di saperlo praticare
poi in tutta la commedia.
[129] II.4.23-24 Chicanò conferma la propria natura superficiale, svilendo
l’insegnamento di don Nugno e cercando di legittimare la maldicenza.
[130] II.4.26-36 Con leggerezza e con la solita ammiccante, malvagia ironia
che si prende gioco del prossimo, Arnaldo riassume la filosofia di vita propria
di un certo tipo di nobiltà: parlare male diverte di più che non elogiare e
parlare secondo le apparenze —sembra di capire— offre maggiori spunti ed è più
facile che non cercare le sostanze. La sua proposta per una ‘civil’
conversazione appare come il rovesciamento della condotta prescritta al vero
cavaliere: tra le caratteristiche che «formano un perfetto cavaliere» Gorini
Corio annovera infatti espressamente «il non parlare mai male d’alcuno, né il
motteggiare anche per ischerzo in ciò che possa dolere» (Le leggi di Dio e quelle del mondo, cit., Discorso ottavo. Dei debiti dell’uomo, p. 94) e ammette «formole,
che sembran bugie» solo «quando non abbiano per iscopo che il diletto della
compagnia, come nella narrazione di un qualche fatto lepido, nel quale è facile
il conoscere esservi qualche cosa di aggiunto» (Via e verità concernenti la morale cristiana, cit., p. 250). Un
altro elemento da considerare nella visione del mondo espressa da Arnaldo è la
pacifica accettazione della legge del taglione, alla luce della quale si
interpreta anche la maldicenza: «e quando ci fuggisse / una qualche espressione
/ a danni d’altri o degli affar suoi / ella è restituzione / di ciò che fassi
tante volte a noi». L’affermazione è tanto più pericolosa quanto più sembra
condivisa senza essere problematizzata. Almeno tre sono i vizi che qui Gorini
Corio sta evidenziando: il primo, naturalmente, è l’inclinazione alla
maldicenza; il secondo la frode, che interessa due abitudini apparentemente
innocue: la simulazione e il cambiare nome alle cose; il terzo, l’atteggiamento
vendicativo, per cui alla calunnia è giusto reagire con la calunnia.
[131] Non es mecor parlar de’ fatti nostri: dopo aver riassunto, con una
serie di sentenze lapidarie, il punto di vista di quelli che agiscono come
Arnaldo, don Nugno ribadisce che è meglio parlare dei fatti propri che non di
quelli altrui, non lasciandosi allettare dall’orazione fraudolenta
dell’interlocutore.
[132] II.4.50-72 Arnaldo continua a sostenere
la propria posizione insinuando un ulteriore giudizio, questa volta in
particolare sugli spagnoli, la cui onestà è appena stata lodata da don Nugno.
Non è possibile non calunniare: anche chi si spaccia per onesto, infatti,
quando parla bene di qualcuno aggiunge sempre un’avversativa nella quale si
dice il male. Inoltre, la grande differenza che distingue gli spagnoli dagli
italiani è che i primi parlano di sé, ma senza pretesa di verità: l’importante
è dare avvio ad una conversazione in cui si possano vantare i propri titoli; i
secondi, invece, pronunciano una verità che coincide sempre, in modo
disincantato, con il difetto, con il vizio. Lo dimostra anche il richiamo al
vecchio adagio, forse del cardinal Mazarino, per cui «a parlar male si fa
peccato, ma spesso si indovina», qui riconoscibile nella variazione
retoricamente meglio strutturata: «io parlo male ed indovino bene» (v. 67). La
corrispondenza fra verba e res nella formulazione di quello che nel
linguaggio filosofico si chiama giudizio («io dico gatto il gatto») sembra
risultare perfetta se in esso si definisce il difetto di qualcuno e lo si fa
esplicitamente, senza una certa retorica della carità, per così dire, che
potrebbe mettere in luce il vizio senza offendere il viziato: di qui il «parlar
laconico» che sarebbe garanzia di pura verità. Il maldicente, dunque, non solo
ha, come tutti i parlanti, la pretesa di essere creduto, ma anche la
convinzione di dire la verità parlando male, anche a priori, senza concreti elementi su cui basare il proprio
giudizio. Anche in queste affermazioni è possibile avvertire l’eco di alcune
tematiche care alla retorica del Seicento: tra queste righe è ancora la
presenza di Emanuele Tesauro, in quella che mi pare una vera e propria
citazione, a rimandare ad una costellazione di concetti. Al v. 71: «tutto è
vera bugia» sembra di riascoltare infatti le parole di Simulazione nell’Alcesti, quando, parlando di sé, il
personaggio afferma «tutto è vera menzogna» (v. 29) mentre nel «parlar
laconico» si ritrovano quelle «due righe, alla spartana» (v. 680) del biglietto
equivoco che mette in moto tutta al vicenda inscenata da Tesauro. Il tema della
verità che viene alla luce non attraverso la laconicità (e dunque i giudizi
icastici), ma passando attraverso un paziente lavoro con le parole, tema
cardine in tutte le tragedie del maggior teorico della letteratura barocca,
sembra percorrere anche questa scena, nella quale vengono condannate sia
l’abitudine a dire male apertamente e con giudizi laconici, per divertimento e a priori (triplice mancanza di carità),
sia, in fondo, anche quella di parlare bene, magari di sé, ma solo per
accendere il fuoco della discussione e, ancora prima, dell’invidia,
allontanandosi dalla verità.
[133] Ramolazzo (o ramolaccio) è il nome volgare del raphanus sativus, il rapanello. L’ironia del parlante consiste nel
paragonare la coda, ovvero il ciuffo, del rapanello che egli vede alla coda
della pernice che don Nugno dice di aver mangiato: così facendo egli
smaschererebbe la presunta bugia di don Nugno impiegata per far credere di
permettersi di mangiare carne quando invece mangiava solo verdura.
[134] II.4.93-94 Si conferma la vocazione di
Arnaldo a porre discordia fra le
persone, creando un equivoco che corrisponde a menzogna.
[135] Panaro: fiume dell’Emilia Romagna che nasce dall’appennino
modenese. È l’ultimo affluente di destra del Po.
[136] la pineale: ghiandola endocrina che appartiene
all’epitalamo ed è collegata mediante alcuni fasci nervosi pari e simmetrici
alle circostanti parti nervose. Le sue cellule, i pinealociti, producono la
melatonina che regola il ritmo circadiano sonno-veglia, reagendo alla poca
luce. Unica parte del cervello a non essere doppia, la ghiandola pineale era
considerata da Cartesio il punto in cui res
cogitans e res extensa entravano
in contatto.
[137] viene dal sangue […] dal
sangue: riunisco in unico endecasillabo due versi che nella stampa appaiono
separati.
[138] la nostra facoltà in esecuzione: riunisco in unico endecasillabo il
settenario e l’anomalo senario «in esecuzione» che la stampa settecentesca
isola.
[139] II.7.3-6 Come di consueto si ritrova in
bocca a Bacocco la condanna degli effetti gioco.
[140] II.7.9-19 Quello qui descritto è, come afferma lo stesso Leandro, il
gioco di carte a due giocatori chiamato Quindici, variante successiva
dell’originario Centocinquanta. L’irragionevolezza del gioco delle carte in
generale —e dunque la sua estraneità alla natura dell’uomo— è ben espressa
dalle considerazioni di Leandro, che, appunto, non trova una spiegazione
razionale della propria perdita.
[141] Riunisco in un
endecasillabo due versi che nella stampa appaiono separati.
[142] Si realizza il progetto
di Arnaldo di porre scompiglio fra Pandolfo e Cleante: ora davvero ognuno dei
due crede pazzo l’altro.
[143] tardaremo: forma antica per «tarderemo», riscontrabile anche nei
testi di Goldoni.
[144] pistolese: robusto pugnale, con lama a sezione romboidale, di varia
misura, in uso dalla seconda metà del Quattrocento fino a tutto il Cinquecento.
Quando iniziò ad essere codificato il duello di spada, il pistolese venne
impugnato con la sinistra, con lo scopo di parare i colpi dell’avversario.
Utilizzato anche per la caccia.
[145] C’è forse un errore di attribuzione della battuta:
sembrerebbero parole di Gradelino piuttosto che di Pandolfo, come invece indica
la stampa settecentesca.
[146] II.10.27-33 La scelta dei nomi parlanti
e il consueto gioco di parole e numeri imperniato sul nome di «Quaranta» con
cui i senatori erano soliti chiamarsi serve a mettere in evidenza lo scarso
valore dei personaggi di cui si parla, soprattutto di fronte alla personalità
di Cleante. Si tratta, ovviamente, di senatori: siamo dunque di fronte
all’ennesima tessera della satira contro la nobiltà. Pettinaso rimanda all’umile
mestiere del produrre o vendere pettini; Tarocco,
oltre che al gioco delle carte, potrebbe rinviare all’azione del taroccare,
cioè del lagnarsi e bisticciare con parole volgari, come attestato in Goldoni (Le smanie della villeggiatura, I.1);
Bulinbrocco
parrebbe storpiatura di Bolingbroke, nome di Enrico IV d’Inghilterra e di Henry Saint-John Bolingbroke, primo visconte di Battersea,
morto nel 1751, appartenente al partito Tory, ministro della guerra e
segretario di stato durante la guerra di successione spagnola, noto per il suo
stile di vita libertino. Malapanza
(v. 46) e Merenda (v. 59) sono
eloquenti riferimenti al basso interesse per il cibo che caratterizza la classe
nobiliare.
[147] trovareste: forma antica per «trovereste», attestata nei testi del
Cinquecento e in Della Porta in particolare.
[148] Quest’è un giovine pien di verità […] che glien dice la gente: arguta osservazione di Arnaldo, per cui
il giovane in questione appare sul principio onesto, ma subito dopo, grazie ad
un’abile decezione, si rivela essere bugiardo, poiché di tutte le verità che ha
dentro non ne dice una. Affermazione doppiamente ironica in quanto tali verità
sono quelle «che dice la gente» e il cui valore è dunque discutibile. Non
appena enunciati, sia l’idea dell’onestà del giovane, sia il concetto di verità
vengono dunque smentiti, passando attraverso un equivoco che fa slittare il
significato da attribuire al termine «verità»: nella prima accezione, al
singolare, esso va inteso in senso letterale per ottenere l’effetto ironico;
nella seconda, in cui «verità», al plurale, è sostituito dal pronome «tante»,
va inteso in senso ironico, come si capisce per decezione non appena si legge
«che glien dice la gente».
[149] Quelle maniere / dolci, quel suo parlar così cortese, / tante virtù,
tante guerriere imprese: Pandolfo descrive Cleante come il perfetto
cavaliere (cfr. Le leggi di Dio e quelle
del mondo, cit., Dei debiti
dell’uomo. Discorso ottavo: «non
vi è cosa, che renda il cavaliere più stimabile, e ben voluto, quanto il
trattar umile, e giocondo. Allorché vedesi un cavalier cortese non presumere
troppo di sé medesimo, ma rendersi famigliare anche a’ più poveri colle debite
maniere attrae a sé medesimo le lodi comuni […] La bontà de’ costumi,
l’ilarità, e modestia nel tratto […] formano un perfetto cavaliere», p. 94).
[150] ah ch’io voglio impazzire… impazziranno anch’esse: l’equivoco
creato da Arnaldo ha addirittura il potere di produrre la realtà che ha finto.
La pazzia di cui Arnaldo ha convinto Cleante diventa ora per Pandolfo quasi
realtà.
[151] II.11.8-10 Il luogo che si apre davanti
a Cleante e Gradelino ricorda il bosco di Inferno,
xiii: nella «foresta
/ folta, orribil» in cui Cleante nulla vede, «non orma /[…] non sentiero», riecheggiano le molteplici negazioni in apertura del
canto infernale (vv. 1-7) e, nel dettaglio, il «bosco/che da neun sentiero era segnato» (vv. 2-3), gli
«sterpi […] folti» (v. 7) e l’«orribil sabbione» (v. 19).
[152] II.11.11-13 Dopo essersi avvicinato anche lui al modello dantesco («mi
prende lo spavento», v. 11, corrisponde all’infernale «e stetti come l’uom che
teme», v. 45), Gradelino dissacra
la tragicità della situazione con il consueto riferimento al cibo: l’aggettivo
«orribil», sul quale il parlante insiste in chiasmo, passa dal connotare il
paesaggio infernale al definire il fenomeno —del tutto inusuale ed ironicamente
straniante— dell’inappetenza del servo, che riduce la drammaticità dell’intera
situazione al proprio stato personale.
[153] Quasi a me stesso, e agli occhi miei non
credo:
come in Inferno, XIII, 25 («Cred’ïo
ch’ei credette ch’io credesse»)
anche qui si crea uno iato fra ciò che si vede e ciò che si può credere.
[154] Fors’io non degno / son di Climene, o pure / vuoi provar la mia fe’? […] Forse Bertuccia mia / non è degna di me? […] l’Oste / mi aveva preparate le polpette; /
ahimè che forse sia / ch’altri addesso le mangi in vece mia?: alla nobiltà
d’animo di Cleante, che interpreta il portento come un segno della propria
inferiorità nei confronti dell’amata o come una prova da superare per
ottenerla, fa da contraltare l’opposta prospettiva del servo, che dubita della
dignità dell’amata e insinua sulla sua fedeltà con una metafora, ancora una
volta, culinaria.
[155] quando credo raggiungerli [i
pomi] mi scappano: chiaro riferimento al mito di
Tantalo, ironicamente in bocca al servo.
[156] statoa: si tratta
probabilmente di un caso di ipercorrettismo dall’originale «statua», che deriva
direttamente dal latino. Nelle didascalie della medesima scena compare come
«statova».
[157] barbigi: forma
italianizzata di «barbìs», termine dialettale dell’Italia del nord per indicare
i baffi. Si trova anche nei testi di Giuseppe Parini (si veda Cherubini, Francesco, Vocabolario
milanese-italiano, Milano, 1839, vol. I).
[158] Levati, cosa fai?: variazione ammiccante
sul dantesco «Volgiti, che fai?» (Inferno,
X, 31).
[159] che quel che lieto su la ruota siede: cfr. Ariosto, Ludovico, Orlando
furioso, XIX, 1: «Quando
felice in su la ruota siede», in rima, anche in questo illustre precedente, con
piede e nel cuore di un’ottava che
medita sulle alterne vicende degli uomini.
[160] II.11.142-150 La riflessione filosofica di Cleante lo mostra
quasi quale saggio stoico che, osservando le vicende degli altri, impara a non
lasciarsi sconvolgere dagli avvenimenti perché ne ha compresa la logica di
avvicendamento.
[161] Manlio e Torquato: Cleante si riferisce certamente a un episodio
della storia romana, che risale al 361 a. C., anno in cui i Galli entrano nel
Lazio, mentre i Romani sono impegnati in campagne di conquista nel territorio
circostante la loro città. Accampati l’uno al di là, l’altro al di qua del
fiume Aniene, gli eserciti gallo e romano si scontrano per diversi giorni,
quando un barbaro di straordinaria grandezza sfida pubblicamente a duello il
più valoroso dei soldati romani. Si candida Tito Manlio, giovane aristocratico,
di media statura, ma molto agile e capace con destrezza di atterrare il
gigantesco nemico (cfr. Tito Livio,
Ab Urbe condita, VII, 10). Per il fatto che Manlio si
prende come trofeo di vittoria la collana del nemico gli viene attribuito il
soprannome di Torquato. Forse Gorini Corio sta sdoppiando quello che è un unico
personaggio, protagonista di un unico episodio: non siamo infatti in grado di
risalire ad un altro Torquato uccisore di giganti.
[162] di Namur la difesa e d’Ostenda l’impresa: Namur e Ostenda sono due
città dei Paesi Bassi, entrambe collocate in posizioni strategiche e per questo
oggetto di conquista e teatro di battaglie sin dal Medioevo e soprattutto
durante il XVII secolo. Namur,
sorta in epoca romana vicino alla confluenza della Sambre e della Mosa, è
contesa nel 1692 fra due famosi fortificatori: il Vauban, che dirige, agli
ordini di Luigi XIV, l’attacco; e il barone di Coehoorn, olandese, che è alla
difesa e che si deve arrendere. Namur è conquistata da Vauban; ma l’olandese
ottiene la rivincita tre anni dopo, quando sotto il suo comando la stessa
cittadella viene ripresa dopo due mesi di assedio. Gli olandesi la perdono
nuovamente nel 1701, anno dell’inizio della guerra di successione spagnola che
fa da sfondo alla nostra vicenda. Forse Cleante fa riferimento a questa ultima strenua difesa olandese della città. Ostenda, città portuale
sorta su un’isola sul Mare del Nord, è oggetto di aspra contesa fra olandesi e
spagnoli fra il 1601 e il 1604 quando si trovano di fronte gli eserciti,
rispettivamente, di Maurizio di Nassau-Orange e di Ambrogio Spinola. Non si è
riusciti ad identificare un’impresa di Ostenda più vicina ai nostri personaggi:
forse Cleante richiama questo famoso episodio secentesco come esempio
encomiabile di valore da parte di un nemico.
[163] II.11.124-220 Cleante identifica la realizzazione di sé con
il compimento del proprio dovere, il dovere con l’ubbidienza al re, il volere
del re con quello del cielo. Nella logica della ragion di stato, si insinua la
contraddizione fra l’aspirazione del vero cavaliere a compiere la carità e la
giustificazione della guerra perché voluta dal sovrano. Le provocazioni di
Morgante, che insinua di essere stato ucciso per ira e non per obbedienza al
re, da un lato servono per costruire un dialogo in cui si confermi la buona
fede di Cleante nel servizio al sovrano, ma, dall’altro, ammiccano al lettore,
proponendo fra le righe un’interpretazione che va oltre l’ossequio alla ragion
di stato e ne critica il carattere simulatorio (cfr. III.7.81-93).
[164] che se mi guarda,
mi distende morto: la statua sembra
qui avere il medesimo potere pietrificante di Medusa. Ancora una volta un
sottile abbassamento dello statuto mitologico ad opera di un servo.
[165] M’avesti preceduto: da considerarsi come un congiuntivo desiderativo.
[166] II.11.248-254 Evidente la citazione da
Molière, Don Giovanni (Dom Juan, ou le festin de pierre) V.6, da cui non solo si riprendono le
parole «Dammi la mano/ eccola», ma, ovviamente, la figura della statua parlante
e l’ambientazione silvestre, che nel Don
Giovanni occupa l’atto terzo e si trova dunque separata da quella della
richiesta della mano, che chiude la vicenda. Se la statua del Commendatore
porta don Giovanni all’Inferno, la statua del cavalier Morgante, con ammiccante
variatio, si limita ad una profezia,
per così dire, di sventura sul destino terreno di Cleante.
[167] il molinaro: si conclude con questo appellativo il climax costruito da Gradelino per
allontanare da sé la paura di fronte alla statua, definita, nei versi
precedenti, «faccia di muro» (v. 123) e «muso bianco» (v. 169) in un crescendo
di sottigliezza nell’ordine dell’arguzia e della dissacrazione.
[168] Sabino
il Mago: secondo la tradizione è un personaggio vicino agli ambienti
alchemici del XVI secolo,
originario di Venezia e poi fuggito a Milano in conseguenza delle sue nefaste
magie.
[169] III.3.6-13 Cleante mostra ancora una
volta la propria pazienza, cercando subito di riparare il danno del servo,
senza rimproverarlo aspramente.
[170] Per ragioni
metriche correggo l’originale «andiamo» con «andiam».
[171] Tutta la scena enfatizza
due atteggiamenti contrapposti: la nobiltà d’animo di Milord, che apprezza la
sostanza di un uomo, non l’apparenza, e la superficialità di don Nugno, che non
perde occasione di elencare i suoi titoli, puntualmente e prevedibilmente
storpiati da Gradelino. Benché devoto all’etichetta e al cerimoniale e stupito
di fronte all’illuministica rivelazione di Milord per cui gli uomini hanno
tutti la stessa dignità, a prescindere dai titoli nobiliari, per la sua
ingenuità e buona fede e per la sensibilità che ha già dimostrato (I.11.93-94), lo spagnolo non è
assimilabile al più opportunista Chicanò.
[172] Qui Grugno Boccastorta, / qui Loffes, qui Merdozza / […] /qui Mostarda, qui Montemarmiton: la
satira contro la nobiltà passa ancora una volta attraverso la prospettiva del
servo che gioca facilmente con le storpiature degli altisonanti cognomi di don
Nugno, riportandoli perlopiù alle aree semantiche del desiderio animale di
cibo, dell’apparato gastro-intestinale e dell’evacuazione.
[173] Eugenio, Turena, Ximenes,
Mazarini et Louvois: al più famoso cardinal Mazzarino sono qui affiancati
alcuni uomini tutti passati alla storia per le opere importanti che hanno
realizzato o per azioni militari che hanno risolto situazioni difficili:
Eugenio di Savoia (1663-1736) fu un grande capitano, famoso anche per aver
sconfitto i turchi a Zenta nel 1697 e poi impegnato nella guerra di successione
spagnola; il Visconte di Turenna (Henri de la Tour d’Auvergne-Bouillon, 1611-1675) fu
Maresciallo di Francia, generale dell’esercito di Luigi xiv e prima ancora di Luigi xiii;
François-Michel Le Tellier, marchese di Louvois (1641-1691), fu uomo di stato e
ministro della guerra ancora di Luigi xiv;
Leonardo Ximenes (1716-1786) fu gesuita, astronomo, ingegnere idraulico
italiano, fondatore dell’osservatorio astronomico di san Giovannino a Firenze
nel 1756.
[174] Mi patres fean el rej […] / Nos
che valemos quanto vos / azemo rej vos / che con costizia regoliate nos: è
vantando i suoi nobili natali, e dunque la necessità che gli altri gli diano il
titolo di «eccellenza», che don Nugno pronuncia questa frase, intendendo dire
che i suoi padri, che erano alla pari del re, elessero il sovrano con la
clausola che egli li governasse secondo giustizia. Si noti ai vv. 29-31 una
minima incertezza sulla natura dei versi, come accade talvolta quando l’autore
scrive in una lingua diversa dall’italiano.
[175] Mesieurs vostre serviteur / il est Midì et dimì / et n’aston pas servi?: «Signori, vostro servo. / È mezzogiorno
e mezza e non siamo ancora serviti?». Probabilmente «aston» sta per «restons».
[176] Anomalo novenario.
[177] Il est un homme? E [et] bien / se
port i [y]bien monsieur Nadab: ditt [dites]donc / […] / On demande tojours / de novelles alla (sic) Cour: «è un uomo? dunque bene, stia bene il signor Nadab. […] Si chiedono
sempre notizie della Corte».
[178] Bon; qu’il est bon? Voilà du bon tabac./ Condé qui a tout moment / prend du tabac, n’en prend
pas de meilleur: «Buono. È buono? Ecco del
tabacco. di Condé che sempre fuma tabacco non ne fuma di migliore». I principi
di Condé furono numerosi: il più famoso è Luigi II,
vincitore a Rocroi (1643), ma il tempo verbale qui impiegato induce a
pensare che il parlante si riferisca a un suo contemporaneo, come poteva essere
Luigi III (1668-1710).
[179] Eau des Carmes: letteralmente «acqua dei Carmelitani» o «eau de
melisse» è un preparato alcolico a base di quattordici erbe e nove spezie, le
cui origini risalgono al 1611. Stimola il funzionamento del cuore e combatte
l’emicrania. Era utilizzata anche alla corte di Luigi XIV.
[180] Mais qui sent toujour bon, / ne sent pas toujour bon: «chi
sente sempre buono, non sempre sente bene». Si capisce che la
capacità di apprezzare, e, ancor di più, quella di non apprezzare cibi, bevande
e tabacco è indice, per Chicanò, di raffinatezza e nobiltà. Nel suo mondo
vacuo, essere incontentabili diventa sinonimo di raffinatezza.
[181] Comment / votre cuisne est
froide monsieur Cleant?: «Come mai la vostra
cucina è fredda, signor Cleante?»
[182] Ebbien monsieur parlez /
donné moi du pain [;]
je commence a manger: «ebbene signore, parlate. Datemi del pane, io
comincio a mangiare». Chicanò si pone al centro dell’attenzione e nel momento
in cui gli viene ricordato che possono parlare anche gli altri insieme a lui,
chiede di poter cominciare a mangiare lui solo, disinteressandosi completamente
della compagnia. La sua condotta, come sempre, incarna il rovesciamento delle
maniere del vero cavaliere, che con gli altri deve essere «cortese, non
presumere troppo di se medesimo, ma rendersi famigliare anche a’ più poveri
colle debite maniere» (Le leggi di Dio e
quelle del mondo, cit., Discorso
ottavo. Dei debiti dell’uomo, p.
94). Riunisco in un endecasillabo, segnalando la pausa con un’integrazione, il
verso «donné moi du pain [;] je commence a manger», che nella stampa appare
diviso su due righe.
[183] Ebbien asseyons nous /
mesieurs point de façon./ […] voulez vous / Milord, du ris,
ou de la soupe?: «Ebbene sediamoci, signori, niente cerimonie. […] Milord,
volete riso o minestra?».
[184] Correggo quella che nella stampa pare una disposizione
quantomeno anomala dei versi.
[185] farcì: «ripieno».
[186] Poularde: «pollastrella»; oh que ça est bon: «oh, come è buono
questo!».
[187] III.6.81-91 Chicanò trova difetto in
qualunque pietanza, per poi chiedere se Cleante non ha un cuoco francese. Si
conferma il suo tentativo di mostrarsi nobile confondendo raffinatezza e
incapacità di accontentarsi. Il riso sembra «mechant» (immangiabile), in rima
con un manzo che non è «tremblant» (nervoso); il ragù è buono «s’il vous plaît»
(se piace) e il brodo è grasso, come ben esprime la metafora dal sapore
mitologico in cui il contrasto fra l’altezza dell’immagine, da un lato, e la
quotidianità della situazione, dall’altro, getta per una volta luce
sull’ingegno di Chicanò. «Il a les yeux d’Argus» (v. 89), «ha gli occhi d’Argo»
detto del brodo significa infatti che sulla sua superficie si formano occhielli
di grasso.
[188] III.6.89-95 Potere delle parole: alla
dichiarazione di Cleante che il cuoco è francese il cibo diventa squisito.
[189] quest’oglia: italianizzato dallo spagnolo «olla», letteralmente
«casseruola», passato a indicare per metonimia anche uno fra i suoi contenuti
privilegiati, cioè un bollito misto di carni di maiale, la cui origine risale
al XV secolo e alla città di
Burgos.
[190] es mecor: trascrizione dello spagnolo
«es mejor»: «è migliore», «è meglio».
[191] Allons Messieurs: buvons /
chantons ensemble, et faisons carillion. / Chantons, buvons, et faisons
carillion. / Quand de la chasse on est de retour / il faut boire, il faut
boire, il faut boire. / Quand de la chasse on est de retour /il faut boire le
reste du jour. / Vive Baccus qui nous enchante / Vive Baccus qui nous soutiene: «Andiamo,
Signori, beviamo, cantiamo insieme e facciamo rumore. Cantiamo, beviamo. Quando si è di ritorno dalla
caccia, bisogna bere, bisogna bere, bisogna bere. Quando si è di ritorno dalla
caccia, bisogna bere per il resto della giornata. Viva Bacco che ci incanta,
viva Bacco che ci sostiene».
[192] Sur ma famme Climene messieurs chanton / une nouvelle chanson:
«cantiamo una nuova canzone su mia moglie Climene». Chicanò pone in atto la
strategia concordata con Arnaldo: la provocazione che riguarda Climene deve far
scattare la reazione di Cleante. Come si vedrà nei versi successivi, benché
Cleante reagisca senza violenza né fisica né verbale, Chicanò troverà il
pretesto per lanciare la sfida a duello.
[193] Comment une dementie a
Chicanò? / Nous la verrons. Leandre / allons,
sortons d’ici:
«come? una smentita a Chicanò? La vedremo. Andiamo, Leandro, usciamo di qui».
[194] A quatre pas d’ici / je te le fairez connoître: a senso tradurrei: «a quattro passi da qui te
lo farò vedere», cioè «presto lo saprai», anche se il «fairez» (forse una forma
antica di futuro) risulta grammaticalmente fuori posto, in quanto forma verbale
che sembrerebbe propria alla seconda persona plurale e che invece si associa a
un pronome di prima persona singolare. Divido in due settenari il verso
ipermetro della stampa.
[195] Milord riconosce
immediatamente irrazionalità nel comportamento di Leandro e di Chicanò per
confermare invece a Cleante, al v. 188, la razionalità della sua condotta.
Cleante dichiara, illuministicamente, che questo gli basta per essere in pace
con sé stesso.
[196] Buzzolai (o «bussolai»): ciambelline di tradizione veneta.
[197] III.6.221-223 Ancora una volta il
barlume di virtù e di buona coscienza deposto in don Nugno si riconosce
attraverso questa sua ammissione di responsabilità e il rimpianto per aver
compiuto un atto del tutto indegno di un suo pari.
[198] III.6.228-232 Torna l’ironia attraverso
la storpiatura dei nomi (cfr. III.4.25-29).
[199] mutarmi: calco dallo spagnolo «mudar».
[200] III.6.239-240 La scena si chiude su una
prova della doppiezza di Arnaldo.
[201] L’intera scena è uno
stralcio di trattato del buon governo in cui protagonista è la ragione alla
quale risponde la virtù. Nella tirata di Cleante, che occupa quasi cinquanta
versi, l’uso della ragione è discrimine fra il comportamento di Chicanò —giudicato
pazzo— e quello di Cleante stesso, il quale, certo di essere rimasto, con il
proprio agire, all’interno dei confini della razionalità, non ha nulla da
rimproverarsi. Il cavaliere, solitamente affabile e paziente con tutti, si
mostra qui tetragono nei confronti di chi devia con dolo dal sentiero della
retta ragione e commette così l’errore più grave, che merita il disprezzo
dell’uomo saggio («Così sprezzo il cartello e sprezzo lui, / quando fuor di
ragione si trasporta», vv. 18-19). Chicanò si pone fuori dai confini della
ragione non solo per aver affermato senza fondamento di essere promesso sposo
di Climene e per aver reagito in modo sproporzionato a quella che lui stesso ha
definito una smentita, ma anche per essere ricorso a duello per un capriccio: combattere
in duello significa infatti disobbedire al re, e in questo caso, per di più,
per un motivo inconsistente. Rifiuta il duello sulla base delle medesime
ragioni e parla con la medesima franchezza anche Erasto, protagonista della
commedia Les Facheux (I Seccatori, 1661) di Molière (si veda
I.10). Con Erasto, Cleante ha molte caratteristiche in comune: nobiltà d’animo,
pazienza nell’ascoltare i seccatori e nel sopportare le contrarietà, obbedienza
al re, amore per la verità, prontezza nel sacrificio.
[202] Ma nulla vuo’ più dire a voi. / So che voce sentite / più forte che la
mia; se non l’udite, / certo la mia né pur ascoltarete: ovvio riferimento
alla voce della coscienza, che in questo contesto coincide con quella della
retta ragione. Per Cleante è il richiamo più forte che un uomo possa sentire:
se non si risponde a quello non si risponderà nemmeno ai moniti degli uomini.
[203] III.7.28-46 Versi rivolti, in absentia, a Chicanò, nei quali si
declinano con chiarezza i motivi del disprezzo nei suoi confronti. Cleante
disapprova chi sceglie il duello, cioè la violenza e la legge del taglione, vie
fuori di ragione per ottenere ciò che è fuori di ragione: trasformare la
menzogna in verità e la pazzia in saggezza. La menzogna, dunque, non è degna
dell’uomo al pari del ricorso alla violenza. Un esplicito rifiuto del duello
sulla base del suo legame con il concetto di vendetta, per cui ad un’offesa si
reagisce con un’offesa almeno uguale e contraria, viene sancito nel cap. X del
trattato Politica, diritto e religione
per ben pensare e scegliere il vero dal falso in queste importantissime materie
(Milano, Agnelli, 1742). In esso, facendo riferimento solo alla ragione
naturale e lasciando da parte gli insegnamenti del Vangelo, Gorini Corio
dimostra l’irragionevolezza del duello: «già abbiamo ad evidenza dimostrato che
la vendetta è codardia di spirito, dunque se il duello è partorito dalla
vendetta, egli è codardia di spirito. […] Che cosa pretende il cavaliere,
quando ricorre al duello? Risarcirsi d’un’ingiuria […]. L’ingiuria consiste
nell’essere palesato bugiardo; e come mai il battersi potrà fare ch’io lo sia o
non lo sia?» (pp. 102-103). Già nel Discorso
quarto. L’unione delle leggi del mondo, e quelle di Dio compreso ne Le leggi di Dio e quelle del mondo,
cit., l’autore aveva sottolineato che la vendetta è estranea alla condotta del
vero cavaliere: «quale azione più brutale che la vedetta, che il voler
innalzare la propria grandezza su l’altrui distruzione […] che dimostrare la
propria forza contro i più deboli […]. E dove lascio tanti antichi detti, e
sentenze che trovansi sparse per tutt’i libri de’ filosofi, e poeti, che
stimarono non potersi l’uomo più eguagliare ai dèi, che col perdonare, né più
ai bruti, che col vendicarsi?» (p. 42).
[204] III.7.49-54 Arnaldo si conferma nel suo
ruolo di consigliere fraudolento, che tenta la virtù di Cleante facendo leva
sulla buona fama e sull’orgoglio. Ma Cleante, sicuro della propria condotta che
la coscienza razionale conosce e approva, risponde opponendo la vera virtù alle
false dicerie: «Ed è virtù virile / sprezzar le dicerie del volgo vile» (vv.
62-63), dove la viltà coincide con il rifiuto di seguire la ragione,
indipendentemente dalla posizione sociale.
[205] III.7.85-87 Si veda per questi versi in
particolare il cap. XVIII del trattato
Politica, diritto e religione per ben
pensare e scegliere il vero dal falso in queste importantissime materie,
cit., dove a p. 280 si legge ad esempio: «dunque sia giusta o ingiusta la
guerra, sempre deve il suddito ubbidire, e per la pubblica felicità, e perché è
privo d’ogni diritto d’esterno e di pubblico giudizio in tutte quelle cose,
delle quali è il principe investito, sempre però quando non sia in rovina della
religione».
[206] III.7.81-93 La giustificazione del
duello —altrove condannato— da parte di Cleante si comprende meglio se ci si
rifà a quanto scrive Gorini Corio nel trattato L’uomo: «la ragione dell’armi non può mai opporsi alla ragione
della natura. La ragion della guerra non intende mai l’uccisione degli uomini,
ma la giustizia della causa, per ottener la quale si va giustamente incontro a
chiunque vi si opponga, ma levato l’ostacolo, non vi è più ragione di uccidere
[…]. Non sarà colpa in chi abbia ubbidito al suo principe, poiché nessun
suddito giudica del principe, ma unicamente ubbidisce», dal momento che il
principe è annoverato fra quegli uomini che «Dio […] ha investiti […] della sua
autorità unicamente per bene degli altri uomini» (L’uomo, cit., pp. 470-471). In questi versi Cleante fa riferimento
a famosi duelli della tradizione e della storia romana, nordica ed ebraica: il
leggendario triplice duello fra gli Orazi e i Curiazi (Albani) che viene fatto
risalire ai tempi del re Tullio Ostilio (VII
sec. a. C., come ricorda Tito Livio, Ab
Urbe condita, I, 24-25);
quello già ricordato di Manlio Torquato con il gigante latino (cfr. II.11.205) e quello della valle del
Terebinto fra il giovanissimo Davide e il gigante Golia (1Samuele, 17), che risolve le sorti della guerra fra il popolo
ebraico guidato dal re Saul e i filistei. Per quanto riguarda il duello fra il
danese e il sassone potrebbe trattarsi di quello inscenato da Shakespeare nell’Amleto (1602-1604), dove il principe di
Danimarca è sfidato a duello da Laerte, figlio del ciambellano di corte,
Polonio, che viene identificato da alcune fonti con William Cecil (1520-1598),
primo consigliere di Elisabetta I d’Inghilterra, dunque sassone.
[207] III.7.95-108 Si legga Montesquieu, Charles Louis de Secondat barone
di, L’esprit des lois, parte prima,
libro terzo: Dei principi dei tre governi, capo III:
Del principio della democrazia.
Quanto all’onore come fondamento della monarchia, Montesquieu scrive dapprima
che la monarchia si fonda sulla forza delle leggi. Parla dell’onore al capo VI: Come
nel governo monarchico si fanno le veci della virtù: l’onore, capace di
ispirare le migliori azioni, unito alla forza delle leggi fa le veci della
virtù e conduce così il governo al suo obiettivo. L’onore, però, implica
distinzioni e preferenze e quindi si confà solo alla monarchia, non alla repubblica.
● III.7.103-108 Cfr. L’esprit des lois, parte seconda, libro
XI: Delle leggi che formano la libertà
politica, nel suo rapporto con la costituzione, capo VI: Della costituzione d’Inghilterra.
[208][208] III.7.129-130 «Voi nel beneficare altri avete fatto il
vostro dovere, perché ogni uomo è fatto in servigio d’ogni altr’uomo; e ne
avete il premio della virtù medesima» (Gorini
Corio, Politica, diritto e
religione, cit., cap. III, p.
64).
[209] Marco Vipsanio Agrippa
(63-12 a. C.) e Gaio Clinio
Mecenate (68-8 a. C.) furono due fra i più stretti collaboratori e amici
dell’imperatore Ottaviano Augusto. Il primo, operante soprattutto nell’ambito
militare, fu protagonista della vittoria di Azio; il secondo, il cui nome è,
per antonomasia, quello di ogni protettore delle arti, formò e sostenne un
circolo culturale di cui fecero parte Virgilio, Orazio, Properzio e molti altri
poeti che diedero lustro alla letteratura latina. Lucio Quinzio Cincinnato
(520-430 a. C. circa) fu invece un personaggio molto importante della Roma
repubblicana: console e due volte dittatore, è famoso per la sua fermezza
d’azione e per il suo atteggiamento di distacco nei confronti del potere (Tito Livio, Ab Urbe condita, III).
[210] III.8.1-4 Quella che viene interpretata
come millanteria è in realtà un’azione profondamente virtuosa: rifiutando di
comparire in duello, infatti, Cleante spezza la logica della correlazione
simmetrica, della vendetta e dunque della violenza e dimostra così di operare
secondo ragione. Si veda Gorini Corio, Politica, diritto e religione, cit.,
cap. VIII.
[211] III.8.10-23 Bacocco torna a ribadire
l’irragionevolezza del duello e della pratica del gioco che in questo caso ne
ha provocata la richiesta, con l’aggravante dell’ingratitudine per cui Leandro
sfida a duello un proprio benefattore. La virtù di Bacocco lo conduce a
rinunciare al servizio nei confronti del proprio padrone.
[212] triste…tristi: qui l’aggettivo va inteso nel senso antico di
«sgradevole», «meschino», «di malavoglia».
[213] III.9.24-25 Separo in due quinari
l’anomalo decasillabo della stampa.
[214] III.9.33-35 Il compagno che conduce
Leandro al precipizio è ancora Arnaldo, già descritto quale consigliere
fraudolento. Per l’esemplarità del tema della cattiva compagnia si veda per
tutti il dramma di Emanuele Tesauro Il
libero arbitrio, in cui la sequela di amici viziosi trascina all’Inferno
uno dei due protagonisti.
[215][215] Rodomonte: nome di cavaliere, personaggio prima dell’Orlando innamorato di Matteo Maria
Boiardo, poi dell’Orlando furioso di
Ludovico Ariosto, guerriero saraceno fortissimo, temerario e orgoglioso. Per
antonomasia, come nome comune indica un individuo prepotente e spavaldo, che si
getta in imprese arrischiate per esibizione di forza o d’autorità.
[216] Durlindana: nome della famosa spada di Orlando (nei poemi francesi
chiamata Durandal o Durendal); per estensione poi il nome è passato, per
antonomasia, ad indicare la spada in genere.
[217] III.11.19-23 Forse alla scuola del più
avveduto Bacocco, anche Gradelino ha imparato a confondere un interlocutore
come Chicanò con le sole armi di un falso sofisma, che, pur nell’inconsistenza
delle premesse e proprio per questo, riesce a spiazzare il francese. ● bazzotto si dice di cosa incompleta, non
ancora giunta a maturazione, o di cosa intermedia fra due estremi. In questo
caso l’ironia del servo arriva a postulare addirittura una via di mezzo fra il
vero e il falso, che dal punto di vista meramente logico, e nella prospettiva
aristotelica in cui si muove l’autore, è inaccettabile. Il contrasto fra
l’assurdità dell’assunto di Gradelino e la serietà di Chicanò pone meglio in
luce l’irragionevolezza di quest’ultimo. Nel confronto che segue combattono, da
un lato, la capacità dialettica del servo che, giocando con la forza delle
parole, prende alla lettera anche le metafore pur di non combattere, e la
mentalità vendicativa di Chicanò, che invece delle parole non si cura affatto
ed è subito pronto a risolvere la controversia con le armi.
[218] bagaróne (o
bagheróne): nome che indicò a Parma, all’inizio del sec. xvi, il quarto di quattrino o denaro, e
più tardi, anche in altre città, le monete di rame di poco valore, come i mezzi
bolognini coniati a Bologna nel 1612 e le corrispondenti monete di Ferrara e
Modena.
[219] Correggo «uomo» con
«uom» per ragioni metriche.
[220] Le parti del verso,
separate nella stampa forse semplicemente a causa dell’interruzione di pagina e
dell’introduzione della didascalia, formano insieme un dodecasillabo, verso
anomalo nel contesto in cui ci troviamo.
[221] Riunisco in un
endecasillabo il settenario e l’anomalo quinario nella stampa separati.
[222] La didascalia
scenica vuole che Gradelino qui gridi forte, e le sue battute riportano per tre
volte in tre versi consecutivi il nome di Cleante, con inopportuna ridondanza:
probabilmente si tratta di un furbo stratagemma del servo per chiamare in aiuto
il padrone senza rischiare di essere zittito.
[223] Eh prendi questa. /
Ahimè son morto: gli ultimi due versi della scena appaiono nella stampa
come due quinari, scelta anomala rispetto al contesto. L’inserimento della
didascalia e l’interruzione della scena fanno però pensare che i versi appaiano
indipendenti semplicemente per ragioni di organizzazione dello spazio
all’interno della pagina. Opterei per l’unione del v. «Eh prendi questa» con
quello precedente e del v. «Ahimè son morto» con il primo della scena
successiva, ottenendo così due endecasillabi.
[224] singolar
tenzone: sintagma appartenente al linguaggio cavalleresco e frequente nei
poemi del Rinascimento italiano e nello spagnolo Don Chisciotte. Esso
riporta immediatamente al mondo dei «cavallieri antiqui», come li definiva
Ariosto (Orlando furioso, I, 22): sulle labbra di Arnaldo ha
evidentemente il compito di metterne in evidenza una volta di più l’ipocrisia.
[225] La battaglia di
Malplaquet, tristemente famosa per le ingenti perdite da entrambe le parti,
francese e anglo-olandese, fu combattuta nell’ambito della guerra di
successione spagnola l’11 settembre 1709. Il duca di Villars, che comandava
l’esercito francese attaccato dall’armata della Grande Alleanza, fu ferito
gravemente nello scontro e lasciò il comando al duca di Boufflers, che vinse
grazie ad un’abile manovra.
[226] III.12.27-29 Di
fronte alla richiesta di perdono da parte del nemico Cleante giunge al culmine
della propria parabola di virtù: perdona, consapevole che non rientra nei suoi
compiti quello di giudicare e punire. Si veda la nota a III.7.28-46.
[227] Il sangue […] puzza un
tantino, ma non è vermiglio: la
mimica del personaggio insieme all’arguta perifrasi lascia intendere che
Gradelino, per la paura, è rimasto vittima del fenomeno dell’enuresi.
[228] e la polenta insieme si menava: anche se non si è rintracciato in un
moderno dizionario, questo è senz’altro un modo di dire che significa «si
perdeva tempo». Per traslato, infatti, «polenta» indica una persona lenta nel
fare le cose (come, del resto, lentamente si deve mescolare nell’acqua
l’impasto di farina di mais e di grano saraceno per ottenere la polenta vera e
propria).
[229] III.12.66-67 Per l’importanza e le
occorrenze del tema della conoscenza dell’uomo nella riflessione di Gorini
Corio (soprattutto nel trattato L’uomo
e nel Trattato sulla perfetta tragedia),
rimando a Zanlonghi, Giovanna, «Far all’uomo conoscere l’uomo». La tragedia nella riflessione teorica
e nella drammaturgia di Giuseppe Gorini Corio, «Annali di storia moderna e
contemporanea», 10 (2004), pp. 9-47.
[230] III.12.66-78 Impossibile non riconoscere
il motivo del mondo in maschera e dunque dell’intreccio
simulazione-dissimulazione che ha avuto grande fortuna letteraria e
iconografica lungo tutto il XVII
secolo. Qui, però, Gorini Corio introduce con forza la prospettiva cristiana in
proposito, sottolineando come si debba condannare l’ipocrisia, perdonando la
persona che la ha esercitata, come Cleante dimostra di fare con la sua
indulgenza nei confronti di Arnaldo. Per tutto questo si veda Gorini Corio, Politica, diritto e religione, cit., parte II, cap. VII.
[231] Ancora una
volta, come era accaduto in I.4,
il gesto del battere alla porta (della casa di Pandolfo, nel caso dei nostri
eroi) si configura come un gesto magico, che propizia l’apertura su un mondo
appartenente ad un’altra dimensione.
[232] Per alleggerire la
pagina sostituisco le righe di puntini presenti nella stampa con due gruppi di
puntini che introducono le battute in cui si balbetta.
[233] ti voglio pettinare: in senso figurato significa: «voglio
rimproverarti», «voglio darti una lezione».
[234] III.13-17 Coerentemente con il motivo
della maschera appena enunciato, la città al mare si apre sulla scena come
paradigma del mondo alla rovescia, in cui tutto ciò che non è viene portato
all’essere attraverso l’ipocrisia e la falsità. Le cinque scene sono occupate
quasi interamente da personaggi quantomeno contraddittori in sé: il maestro di
canto balbuziente, il maestro di ballo zoppo, il medico che è anche boia, il
giudice che è anche ladro. Ma ci sono anche personaggi per mestiere votati alla
falsa testimonianza, per finire con Ciarlatano e Porcinella che si accusano
reciprocamente di impostura. Al
culmine della vicenda, quando deve risplendere la virtù del protagonista nella
sua autenticità, il vizio che caratterizza quasi tutti gli altri personaggi
emerge, con l’evidenza di una confessione, per bocca di più umili comparse, e
la città al mare, in cui la confusione tra vero e falso sembra quasi legge di
natura pacificamente dichiarata, non è altro che la denuncia, all’insegna dell’ironia
e del paradosso, della società a cui appartengono i vari Chicanò, Leandro,
Arnaldo.
[235] Correggo «casa» con
«case» perché pare grammaticalmente più adatto.
[236] duca Pataflano, duchessa di Colagna, duchino
Mandricardo, marchesa Occhioguercio, baron Smerdì, accademia Asinaria, duchi
Cappon, Gallo, Gallina, Polastro,
Polastrina, Polastrella, principe Brusascudella
sono ovviamente tutti nomi parlanti che
denunciano un difetto nella maggior parte dei casi pressoché incompatibile con
il ballo. È noto infatti, ad esempio, che tutta la famiglia dei gallinacei non
vanta particolare grazia nel volo, né gli asini sono particolarmente abili a
comprenderne le dinamiche; mentre la cecità da un occhio, indicata con totale
mancanza di pietà dal nome «Occhioguercio», è un impedimento fisico effettivo
qui oggetto di scherno. Irriverenti, va da sé, i nomi «Smerdì» e «Colagna», non
nuovi nell’ambito della satira contro la nobiltà, e vistosamente ironico per la
sua eccentricità rispetto agli altri l’aulico «Mandricardo», nome di un
personaggio saraceno dell’Orlando furioso.
Si noti che a partire da questo momento l’impiego di nomi parlanti si
intensifica, crescendo a misura del procedere delle scene.
[237] III.15.6-19 Nel mondo alla rovescia non
sorprende che l’equivoco sia alla base del parlare quotidiano: in questi
quattordici versi il termine «parlamento» passa da nome proprio di cosa a nome
proprio di persona per poi tornare al significato originario; l’aggettivo
«dotta» è impiegato da Cleante per definire il tipo di unione parlamentare,
mentre Pugninmuso lo riferisce ad una donna ed è lui stesso che prima pone
scompiglio nell’uso delle parole, poi chiede al proprio interlocutore di parlar
chiaro! Analoga dinamica si riscontrerà in III.16.20.
[238] contro di noi? Che siete ladri; che: verso straordinariamente
infelice che si conclude con una congiunzione dichiarativa e riflette
probabilmente una certa fretta da parte dell’autore. Analoga situazione al v.
33 dell’ultima scena della commedia.
[239] Policinella: dato il contesto burattinesco,
si tratta probabilmente di una variazione sul nome di Pulcinella, che in
seguito (scena 17) appare anche come Poricinella.
[240] Anomalo novenario.
[241] Schiccia e Scoccia sono evidentemente
altri due nomi parlanti: il primo potrebbe trarre origine dal verbo
«schiacciare», che nei dialetti dell’Italia del nord si dice anche
«schisciare»; il secondo deriva dal verbo «scocciare», usato invece nell’Italia
del sud, che in senso figurato e famigliare significa «importunare». Entrambi
rimandano naturalmente alla principale caratteristica dei due personaggi,
quella di infastidire il prossimo.
[242] pugninmuso al giudice? / E piedinpanza al medico?: nel consueto
gioco degli equivoci, «Pugninmuso» e «Piedinpanza», nomi che già a loro volta
rimandano ad azioni caratteristiche di chi li porta, tornano qui alla loro
letteralità: da nomi propri passano nuovamente ad indicare delle azioni, in una
facile confusione di piani che giustifica le reazioni dei parlanti.
[243] brenta: antica unità di misura di capacità, impiegata a Milano, a
Torino e in generale in Piemonte, soprattutto per il vino. Nel dialetto
trentino il termine «brenta» indica le riserve di acqua che le popolazioni
conservavano in vista di eventuali incendi, dunque si riferisce a ingenti
quantità di liquido. Nel contesto della città al mare e della natura
simulatrice dei suoi personaggi il termine potrebbe essere impiegato in senso
iperbolico, per indicare una grande quantità di prodotto.
[244] III.17.39-40 Si tratta di due versi di
sette sillabe, ma non propriamente settenari in quanto tronchi, e dunque
formalmente ottonari.
[245] Padrone da quest’altra parte:
isolato novenario.
[246] Per ragioni metriche
sposto «il poverello» dal v. 59, come appare nella stampa, al v. 60.
[247] III.18.3-5 «Dove non v’è prezzo, non v’è
amore» recita il titolo del capitolo III
del libro II del trattato L’uomo, cit.
[248] III.19.5-12 Al termine della commedia trionfa la giustizia retributiva che
punisce i malvagi e premia i buoni: il vizio ottiene finalmente il suo castigo;
la virtù il premio. Gorini Corio comunque non trascura di ricordare che ci sono
stati tanti guai, che Cleante ascrive ai portenti del cielo: la visione
retributiva della giustizia sembra già incrinarsi per lasciare spazio ad
un’interpretazione più problematica delle vicende del reale, vicende che,
accanto a quelle che si potrebbero chiamare la piena conversione di Milord alla
virtù («ho fatto solo il mio dovere» risponderà facendo sua la lezione di
Cleante) e la piena reintegrazione di don Nugno nel consesso degli amici e dunque
il suo affrancamento da quel non so che di animalità che lo aveva
caratterizzato, contemplano anche il bando di tre dei personaggi principali.
L’iniquità è stata punita, ma non cancellata, e non è possibile reintegrare
tutti i personaggi in un ‘glorioso’, per così dire, lieto fine.