Carlo Maria Maggi
La Lucrina
Favola pastorale per musica
a cura di
Stéphane Miglierina
con la collaborazione di Paula Gregores Pereira
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua
2022
Carlo Maria Maggi
La Lucrina
a cura di Stéphane Miglierina
con la collaborazione di Paula Gregores Pereira
© 2022 Stéphane Miglierina
© 2022 lineadacqua edizioni
Biblioteca Pregoldoniana, nº 37
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
Supervisore per i dialetti: Piermario Vescovo
Comitato scientifico: Beatrice Alfonzetti, Francesco Cotticelli, Andrea
Fabiano, Javier Gutiérrez Carou, Simona Morando, Marzia Pieri, Anna Scannapieco
e Piermario Vescovo
Editing: Paula Gregores Pereira
www.usc.gal/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.gal
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua
edizioni
san
marco 3717/d
30124
Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN dell’edizione completa: 9791281350014
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autorizzazione del curatore e del direttore della collana.
Carlo Maria Maggi
La Lucrina
Favola pastorale per musica
a cura di Stéphane Miglierina
con la collaborazione di
Paula Gregores Pereira
Biblioteca Pregoldoniana, nº 37
Carlo Maria Maggi
La Lucrina
Favola
pastorale per musica
A’ LETTORI AMOREVOLI.
Fu composto il
presente dramma pastorale dal Maggi l’anno 1666 per ubbidire al Conte
Bartolomeo Arese famoso presidente del Senato di Milano. In casa di questo gran
ministro poscia rappresentossi in musica alla presenza di Margherita d’Austria,
sorella del regnante monarca delle Spagne Carlo II, mentr’ella passava a Vienna
per Milano, già sposata all’augustissimo Imperator Leopoldo regnante. Diedesi
breve tempo all’autore per comporlo, e poco prima di palesarlo sulle scene
avend’egli inteso, che non erasi peranche da Suà Maestà studiato il linguaggio
d’Italia, con somma felicità, e prontezza portò in quello di Spagna non poche
ariette, ch’io pure dono alla luce. Non si curò egli dappoi di migliorar questa
operetta, e non la stimò giammai degna di comparir avanti al tribunal de’
dotti. Nulladimeno avendovi dentro molte gentilezze poetiche, ho stimato
convenevole il torla alle tenebre, e consecrar lei pure alla curiosità de’ letterati.
ALLA MAESTÀ DELL’IMPERATRICE MARGHERITA D’AUSTRIA.
Sonetto
1 E per sembianze, e per natali oscura
al tuo soglio sen vien vil
pastorella,
qual fra speme, e timor, sospesa
ancella,
che porta picciol cuor a grand
ventura.
5 Vien Lucrina a’ tuoi pie’: fregi non
cura,
che ’l tuo spendor d’ogni vapor fa
stella.
E perché l’umiltade ai grandi è
bella,
in sua sola umiltà si rassicura.
È sparuta, ma quando altro non
merti,
10 che dalle selve agli occhi tuoi si
mande,
la fa bella il rossor di non
piacerti.
È vil, ma per te nacque. I rai che
spande
tua dolce maestà, son segni aperti
che ’l nascer per Augusta è nascer
grande.
A LA MISMA.
Soneto
1 Pone
a tus pies sus rústicos amores
deforme
zagaleja en sangre obscura;
como
quien resistiendo a sus temores
vase
con poco pecho a gran ventura.
5 Llega
Lucrina: adornos brilladores
desprecia,
y en lo humilde se asegura.
Así
pueden los ínfimos vapores
subir
a ser centella a luz tan pura.
No
es bella, mas aunque en lo adorarte
10 tu
dulce majestad temblar le mande,
la hermosea el temor de no agradarte.
No
es noble, mas espera que se ablande
esta
desdicha un día por otra parte:
pues
nacer para Augusta es nacer grande.
Persone della favola
dorisbo, pastore
tirsi, pastore
nice, ninfa
lucrina, ninfa
ligoccio, bifolco
PROLOGO
Giardiniere, e gli
altri.[1]
giardiniere Grand’Augusta, al
mio giardino
il
tuo viso accrebbe i fiori,
e
insegnò più bei colori
rosa,
e al gelsomino.
5 Gran Señora, a mis jardines[2]
tu hermosura añade flores,
dando regla en los colores
a la rosa, y los iazmines.[3]
Vedo del tuo sereno
10 imperial
sembiante
la
bella maestà
che
un’iride di pace al mondo fa.[4]
Quindi
esporti vorrian ninfe innocenti,
e
poveri pastori,
15 di
combattuti amori
i
penosi accidenti.
Speran
che al tuo bel guardo
che
intimorisce, e piace,
ogni
contesa lor si volga in pace.
20 Lucrina,
o là?
lucrina Chi chiama?
giardiniere Fa che i pastor
solleciti
qui
varie frondi stendano,[5]
e
quindi ciascun reciti,
che
vaghi rai l’accendano.
25 lucrina Temerario,
tu metti
avanti a sì
gran trono
i pastorali
affetti?
giardiniere Ossequio, e desire
ardire
30 mi die’.[6]
Coraggio in
servire
baldanza non
è.
lucrina Chi sa?
Forse a sovrane alte pupille
ancor bella
parerà
35 delle povere
ville
la gentil
semplicità.[7]
giardiniere Tu la mandi in
canzone. Olà pastori,[8]
s’appresti in
un momento
da voi la scena
angusta,[9]
40 che vostre fole
udrà la grande Augusta.[10]
dorisbo,
tirsi,
ligoccio
(a tre) Eccoci
pronti, e tu ne porgi aita.[11]
lucrina,
nice (a due) Chiedon pur le pastorelle
timorose, e
semplicette,
e perdon, se
sono inette,
45 e pietà, se non
son belle.
ATTO
PRIMO
SCENA
PRIMA
Nice in atto di licenziarsi da Dorisbo.
nice Addio,
Dorisbo, addio.
Se
non ti basta il cuore
di
fingere un amor per amor mio,[12]
cerca
un novello amore;
5 più
non sperar, più non pensar in Nice.
Addio
Pastor.
dorisbo Meco rimanti, o cara,
tanto
almen che pensando al tuo partire
io
m’affretti a morire.
Dunque
tu vuoi ch’io finga
10 di
vagheggiar Lucrina,
e
con la stessa adopri ogni più fina
amorosa
lusinga?
Oimè,
come mai sia
così
contraria al cuor la lingua mia?
15 nice Dunque
dell’amor mio tu non se’ pure
leggiermente
commosso.
Non
è scusa d’amante il dir: non posso.
Ubbidire
è lealtà.[13]
dorisbo Questo
impero è crudeltà.
20 nice Non
più, non più garrire.
Orsù,
tentar Lucrina,
o
non amarmi più.[14]
dorisbo T’amerò,
fingerò,
25 e
d’affetto menzognero
fia
mercede un amor vero.[15]
Così
pastor vedrassi in questo lido
dimostrarsi
infedel per esser fido. (si parte)
nice Così
mi toglio almen per questo giorno
30 la
noia di costui,
e
forse con tal arte ancor distorno
di
Lucrina il disio
dagli
amori di Tirsi idolo mio.[16]
SCENA SECONDA
Lucrina
canta senz’esser veduta, e Nice si ritira in disparte presso all’altar d’Amore.[17]
lucrina Chi
pensato avrebbe mai[18]
che facesse
Amor così?
che si passin
tanti guai
per venir a
dire un sì?
5 nice Lucrina
ecco sen viene
cantando del
suo cor le dolci pene.[19]
Dietro quest’ara
io mi nascondo, e taccio
spiando i
pensier suoi
a fin di
tender poi
10 all’incauta
rivale un qualche laccio.
lucrina Non credea
che ’l mal d’Amore
fosse mal da
dar dolore.
Mi nuoce,
mi cuoce[20]
15 l’ardore,
né so mai
quel che mi voglia,
né so dir,
dove mi doglia.
Quindi più
non soffrendo
l’aspro
martir ch’io porto,
20 vengo chiedendo
al dio d’Amor conforto.
Gran Dio, che
dal tuo trono
l’alme più
belle accendi,
dell’amante
Lucrina i voti attendi.
Fa che Tirsi
il mio bene
25 a desir nuovo il
fido amor non pieghi;
ma in beate
catene
pari volere,
ed Imeneo ci leghi.
nice (ascosa
dopo l’altare) S’oggi d’Amore interrogar ti senti,[21]
sempre
risponderai contrario al cuore.
30 Taci i comandi
miei; segui il Pastore
che primo un
dardo alla tua man presenti.
Si hay quien de amor a responder te obligue,
dile
contrario al corazón sincero.
Mis
preceptos oculta, y al primero
35 pastor
que un dardo te presente, sigue.
(a parte) (Così forse potrei
meglio del
laccio avviluppar costei.) (si parte)[22]
lucrina «S’oggi d’Amore interrogare ti senti,
sempre
risponderai contrario al cuore.»
40 Se mi chiede il
mio ben, se l’amo ancora,
dovrò
negarlo? e con crudel bugia
tradir l’anima
mia?
«Taci i comandi miei; segui il
pastore,
che
primo un dardo alla tua man presenti.»
45 E se vien d’altri
il dono,
il mio Tirsi
abbandono?
SCENA
TERZA
Ligoccio,
e Lucrina.
ligoccio Fin le ninfe
oggi pretendono
in amore i
saporetti,[23]
e superbe non
attendono
così puri i
nostri affetti.
5 Il mio bello,
ch’è bellissimo,
addimandan
triviale,[24]
onde amante
esquisitissimo
mi son messo
in su le gale.
Non è cosa
10 così vezzosa,
che a pietade
le costrigna,
se non è di
carapigna.[25]
Ecco presi
mode
franzesi,[26]
15 bianche polve in
sulla chioma,
e alla man
guanti di Roma.
Piden ya las serranillas
en
amor delicadezas,
y desprecian
las finezas
20 sin
cuidado más sencillas.
No hay cosa
tan amorosa
que obligar
pueda la niña,
si no es de
garapiña.
25 lucrina Ligoccio è
in sulle sue.
ligoccio Eccon’una
che non mi spiace,
voglio audace
tentar
fortuna.
Quel bel viso
di viole
30 risvegliò le
nostre voglie;
e in
pochissime parole
ti vorrei, ma
non per moglie.[27]
lucrina Baldanzoso,
arrogante…
Ma ubbidire
all’oracolo conviensi,
35 ed in contrari
sensi,
quanto m’adiro
più, mostrarmi amante.
Dunque anch’io
non piango invano
o bell’idolo
per te.
Tua
beltà di tulipano[28]
40 già gran tempo
arder mi fe’.
ligoccio Me pur
brami?
lucrina Me pur ami?
ligoccio Sallo Amore.
lucrina Il sai ben tu.
ligoccio Deh che
giova il penar più?
Vien
dunque... Oimè, infelice
45 veggio venir a
noi
Tirsi,
Dorisbo, e Nice.
Verrò,
Lucrina, a consolarti poi.
lucrina Che
vezzosetto Adone![29]
SCENA
QUARTA[30]
Tirsi,
Dorisbo, Nice, Lucrina e Ligoccio.
tirsi Ligoccio, che si fa? Sei tutto
bello,
tutto polve
di Cipri, e tutto odore.[31]
Tu rechi un
gran martello a’ nostri cuori.
ligoccio (a parte) (Questi è Tirsi il pastore
5 ch’ama Lucrina
mia.
Voglio di
gelosia
avvelenargli
in core.)
Sentite, il
sol cocente
come d’intorno
avvampi,
10 e l’accesa
cicala assordi i campi?
Deh qui
sediamo intorno.
Possiam con
alcun gioco
del lungo
acceso giorno
temprar la
noia, e ’l foco.
15 nice Ben avvisa
Ligoccio: eccoci pronti.
tirsi Si
scherzi, si rida, si goda così.
È qui la mia
fida,
che alfin mi
gradì.
In un cumulo
di pene
20 vien la gioia
così rara,
che convien
tenerla cara,
e pigliarla
quando viene.
Io faccio
così.
È qui la mia
fida,
25 che
alfin mi gradì.[32]
Da
muy presto el gusto humano
de
lo sustos en la raya.
No se deje de la mano,
que
deslice, y se nos vaya.
30 dorisbo Qual gioco
or ci consigli?
ligoccio Il canto degli
Elisii.[33]
Di queste
fila un capo ognun si pigli,
e, mentre
tiro a me, con pronti accenti
s’accordi a’
miei concenti.
35 Ma, se rallento,
allora
intenti ad
immitarmi
tronchino
tutti in un sol punto i carmi.
Quel
di voi che non sento
o non cantar,
s’io tiro,
40 o non tacer, se
rallento,
in pena ciò
farà,
che Ligoccio
imporrà.
tirsi Così
faremo.
ligoccio Chi è
contento, e nol può dire,
45 Non è pieno il
suo gioire.
El silencio en el contento
es un gusto
con tormento.
dorisbo Chi è contento...
ligoccio Dorisbo,
errasti. Or questa pena avrai
50 de’ tuoi falli
canori,
che ’l bel
nome dirai
della ninfa
che adori.
nice Ti
rammento la promessa.[34]
dorisbo Par che ’l
labbro non s’attenti
55 a tradir dell’alma
oppressa
i più caldi
sentimenti.
ligoccio Su,
finiscila omai.
dorisbo Lucrina
adoro.
tirsi Di
gelosia mi muoro.
ligoccio (a parte) (Temerario, con noi
60 ei gareggia in
beltate.[35]
Or or lo
disinganno) Orsù tornate.
Chi
è contento, e nol può dire,
non è pieno
il suo gioire.
tirsi,
dorisbo
nice (a tre) Chi
è contento, e nol può dire,
65 non è pieno il
suo gioire.
ligoccio Lucrina,
errasti. In pena io ti comando
il dire, come
a Dorisbo,
tu corrispondi
amando.
lucrina (a parte) (Misera, che dirò?
70 L’oracolo m’impone,
che di sì gli
risponda, e ’l cuor di no.)
tirsi E
che dirà?
lucrina (a parte) (Per ubbidir Amore
sembro infida
in amore.) Amo Dorisbo.[36]
tirsi Così
perfida sei?
75 ligoccio Han perduto
l’odore i guanti miei.[37]
lucrina (a parte) (Il ciel sa poi, s’io l’amo.)
tirsi,
ligoccio
(a due) Satiri mascherati! Oimè fuggiamo!
Balletto
di satiri.
ATTO
SECONDO
SCENA
PRIMA[38]
Ligoccio,
Nice in disparte.
ligoccio (con un
arco in mano) Bellissime piangetemi,
mi vo’ da voi
dividere.
Tenetemi,
tenetemi,[39]
perché mi
voglio uccidere.
5 nice Questo
ancor ci volea. Stiamo a vedere.
ligoccio Lucrina l’inconstante
disse d’amar Dorisbo
in mia presenza,
onde da prode
amante
or mi voglio
ammazzar, ma con prudenza.
10 E perché il mio
cordoglio
dia men
rigida morte al cuor che langue,
ora uccider
mi voglio
con quest’arme
gentil che non fa sangue. [40]
Ma come
questo ordigno
15 scaricar si
potrà contro a me stesso?
nice Aspetta:
or or ti servo.
ligoccio Ferma. Che
carità?
Mi vo’
ammazzar, ma con comodità.[41]
nice Sapea
che nol faresti.
20 Ma se vuoi ch’io
t’aiti
a conquistar
Lucrina,
or or vedrai gli
amori tuoi graditi.
ligoccio Cara Nice,
sel fai!
nice (a parte) (Forse i mei fini aiuterà costui.)
25 Io tel prometto,
or senti:
Lucrina è
ancora fanciulla,
e a quel
bendato arciero
fida la
semplicetta ogni pensiero.[42]
L’inviterò
stanotte a dormir meco;
30 Tu ti metti un par d’ali,
arco,
faretra, e strali,
sicchè ti
rassomigli all’idol cieco.
ligoccio Io vestirmi
da Amor?
nice Così consiglio.
ligoccio Appunto il
rassomiglio.
35 nice Ad
un balcon della capanna mia
in sull’aurora
ascendi,
e dopo suoni
orrendi
alla desta
donzella,
contrafacendo
Amor, così favella:
40 Se il pastor non
consoli,
ch’oggi ti si
scoperse amante fido,
ne proverai
vendicato Cupido.
ligoccio Chi assettar
mi saprà del cieco Dio
la benda d’oro,
e la faretra adorna?
45 nice Vanne,
adornati, e torna,
che vo’
vederti anch’io.
ligoccio Or or
verronne.
nice Io
qui ritorno in breve (si parte)
ligoccio Bel Cupido
ch’io farò!
Quante
quadrella[43]
50 alla più bella
avventerò!
Bel Cupido ch’io farò!
¡Buen Cupido
yo seré,
que grandes
llamas
en estas damas
55 encenderé!
Buen Cupido
yo seré.
SCENA SECONDA[44]
Lucrina,
e poi Tirsi.
lucrina Se un
oracol si sentì
così strano,
io non lo so.
Non vo’
Dorisbo, e debbo dir di sì,
adoro Tirsi,
e debbo dir di no.
5 Sapessi almen
di certe
mezze tinte d’affetto,
con cui sono
discordi
tra lor la
lingua, e ‘l petto.
Sento dire,
che in città[45]
10 fan le dame un
certo amore
che si chiama
a mezzo cuore.
Per pietà
insegnatemi,
o Signore,
che la
semplice non sa.
15 Van
diciendo que se ve
un amor en cualquier
dama
que se llama
a media cara.
Por mi fe[46]
20 que
digáis cómo se ama,
que soy
simple, y no lo sé.
Ecco il mio Tirsi. Il vo’ sentir nascosa.
tirsi Grand’
cordoglio esser tradito,
e non saper
perché!
25 Se chiedete il
mio fallire,
sto pensando,
e nol so dire.
Questo è
spasimo infinito
della misera
mia fé
esser
tradito, e non saper perché.
30 lucrina Tirsi, tu
piangi? Oh Dio.
tirsi Tu
mi lasci, ben mio.
lucrina Taci,
Tirsi, ah Tirsi, taci,
non sforzarmi
a dir, s’io t’ami.
S’io rispondo
a quel che brami,
35 turberò le nostre
paci.
Tirsi mio,
Tirsi, deh taci.
tirsi Dillo,
o cara, dillo, di’.
Deh rischiara i miei pensieri.
Io per me più
volentieri
40 vo’ morir, che
star così.[47]
Dimmi, Ninfa,
deh dimmi, anima mia,
perché
dicesti al gioco: «Amo Dorisbo?»
Dimmi, s’ogni
memoria estinta sia
de’ nostri
cari affetti.
45 Altro, o cara,
non vo’.
lucrina Mio bene,
amo Dorisbo, e Tirsi no.
tirsi Data
sì d’improvviso
la sentenza
mortal m’ha quasi anciso.
Ma qual genio
maligno
50 di quel tenero
sen fece un macigno?
lucrina Di quel
nume l’impero. (accenna l’altar d’Amore)
tirsi E
fia cagione Amor d’atto sì fiero?
lucrina Tant’è:
dir più non lice.
Andiamo,
andiamo divoti
55 a placarlo coi
voti.
Andiamo a
provvedere i sacri incensi,
e due pure
colombe in olocausto.
Egli udirà più
fausto
i vapori
odorosi, e i voti accensi.
60 Andiamo, e fia
che Amor ci riconforti,
né comporti
tanta fede in
tanta pena.
tirsi Vo’
secondarla: andiamo.
lucrina,
tirsi
(a due) Andiamo, e fia che Amor ci riconforti,
65 né comporti
tanta fede in
tanta pena.
Sdegni nati d’Amor
Amor serena.
SCENA
TERZA
Dorisbo.
dorisbo Pecorelle
fitibonde
rimanete
dove corrono
quest’onde.[48]
Io che sol di
pianto ho sete,
5 mi ritiro in
questo canto,
perché
intanto
cadendo il
pianto mio
non amareggi
a voi l’onda del rio.
Vuol Nice
spietata
10 ch’un’altra s’adore,
un’altra che ’l
core
giammai non
curò.
Ah non si
può.
Il dover sì
lunga fede
15 in un subito
mentire,
è un morire,
e non si
crede.
Chieder
mercede
a chi cara
mai non fu,
20 è fatica, è
morte, e più.
Desmentir a mi fermeza[49]
porfiando con
mi fe,
si es fineza
no lo sé.
25 Corazón mío,
bien
aprisa sentirás[50]
si
es fatiga, o muerte, o más.
SCENA QUARTA[51]
Ligoccio, e
Nice.
ligoccio (in abito
d’amore) Pargoletto sono vezzoso,[52]
che amoroso
v’impiago il
petto.
Se mi metto
5 con l’arco
nuovo,
tutti vi
coglio.
Oh che mi
trovo
nel bell’imbroglio!
nice Oh
stai pur ben, Ligoccio! Oh bene! Oh bene!
10 ligoccio Che ti par? Non
son io
un amoroso
dio?
nice Tu m’innamori
tutta.
Oimè, che
viene Tirsi con Lucrina.
Ah tosto ti
nascondi. Oimè, fa tosto.
15 ligoccio Dove, dove m’ascondo?
Date nel
vostro cuore un cantoncino[53]
al picciolo
amorino.
nice Togli
quel simolacro: ivi ti metti,[54]
e sta ben
fermo, in guisa
20 d’un arcier che
saetti.
ligoccio Se mi
scuopre il pastore,
fia spettacol
gentil veder volante
innanzi alle
sassate il dio d’amore.[55]
nice Non
temer. Già la sera
25 discolora le
cose, e ’l mondo annera.
Già son qui.
Sta pur sodo.
SCENA
QUINTA[56]
Tirsi,
Lucrina, e Ligoccio con Nice in disparte.
tirsi I
colombi recai, l’incenso, e ’l foco.
lucrina Ecco l’altare.
Or ne’ divoti ardori
incendi al
nume arciero
le vittime, e
gli odori.
5 ligoccio (a parte) (Oimè, Nice).
nice (a parte) (Deh
taci)
lucrina Or vieni,
e accorda intanto
alle mie voci
il canto.
tirsi,
lucrina
(a due) Di rigori Amor ti spoglia.
Altro amante
a te non chiede
10 né mercè con
tanta fede,
né pietà con tanta doglia.
lucrina Cupido il
viso torce[57]
da’ miei voti
infelici.
Va, rinforza
le fiamme ai sagrifici.
15 tirsi Che
sarà mai?
ligoccio Finitela in malora,[58]
o vi saetto
or ora.
tirsi,
lucrina
(a due) Oimè, fuggiam dalle saette
orrende.
nice Il caso ha meglio ordito.
Tanto mi
basta. Io tesserò poi l’opra.
20 ligoccio M’hanno
quasi arrostito.
nice,
ligoccio
(a due) Non è
mai senz’ardore[59]
o sia
davvero, o sia da scherzo amore.
Siempre en fin pegó fuego
verdadero o fingido el amor ciego.
ATTO TERZO
SCENA
PRIMA
Dorisbo.
dorisbo La placida sera[60]
acqueta l’armento,
che d’erbe
contento
dormendo sen
giace.
5 Ma più star
non poss’io, dove sia pace.
Io lascio la
greggia,
e seguo le
doglie,
che l’alma
raccoglie
fra’ taciti
orrori,
10 e tacer non poss’io
fra tanti ardori.
Ya dejo el ganado,
y sigo mi
pena,
que amor me
condena
en estos horrores.
15 Más no puedo
occultarme a mis ardores.[61]
L’ingrata Nice adoro,
che con rigor
protervo
né libero mi
fa, né mi vuol servo.
per sé mi
sdegna, ed a Lucrina or vuole
20 ch’io rivolga il
disio,
e non vuol ch’io
sia suo, né che sia mio.
Rompi Dorisbo
omai
con generoso
sdegno
nella piaga
infelice il dardo indegno. (canta un uccello)
25 Augellin col tuo
concento
narri al
vento
le venture
del tuo nido.
Ma in amore
son le mie
così rie,
30 che mi pento d’esser
fido. (canta un altro uccello)
La sua cara,
che l’intende,
ecco rende
bel conforto
all’augelletto.[62]
Io dannato ad
esser solo
35 già men volo
fuor del
laccio, onde fui stretto.
SCENA SECONDA
Ligoccio,
Dorisbo, poi Nice.[63]
ligoccio Io
non sdegno innamorarmi,[64]
ma non
soglio,
e non voglio
sviscerarmi.
L’amor mio
non è d’impaccio,
5 ne
mi pena
a
tal pena,
che mi tolga il bere in ghiaccio.
dorisbo Segui,
Ligoccio. Oh quanto
le mie pene
consola il tuo bel canto![65]
10 ligoccio È un pensier
da primavera,
e non dura
la mia cura
passaggiera.
È un amor da
far la state.[66]
15 Il mio amore
è un malore
da sanar col
ciocolate.[67]
Chi è sicuro
del suo core
si può
mettere a ventura,
20 o può far
qualche figura
di penar così
al di fuore.
Ma chi muore
ad ogni sguardo[68]
fugga il dardo,
o mirando
quel che fa,
25 si conservi in
libertà. (si partono)
SCENA
TERZA[69]
Nice,
e poi Dorisbo.
nice Or che la ninfa in ispavento
posi
con l’oracol
bugiardo,
vo’ che
Dorisbo le presenti il dardo,[70]
perché,
lasciando Tirsi, a lui si sposi.
5 Chi non sa
fare
non vi si
metta;
con arti rare
ingannai la
semplicetta.
Sol può un
animo volgare
10 soggiacere alla
disdetta.
Chi non sa
fare
non vi si metta.
dorisbo Sento la
cruda, e torno.
nice Dorisbo,
il dardo prendi. (gli dà un dardo, e poi si parte)
15 Dallo a Lucrina,
e la risposta attendi.
dorisbo. Che
Lucrina? Che Nice?
Io vo’ provar
un giorno,
se si può non
amando esser felice. (gitta il dardo in terra, e si parte)[71]
SCENA
QUARTA[72]
Tirsi,
e poi Lucrina.
tirsi Tocca a voi pene omicide
il dar fine
al mio tormento;
non è morte,
perché il sento,
non è vita,
perché ancide.
5 Cresci pure
aspro cordoglio;
speme più
meco non stia.
Allungar la
morte mia
col tuo
balsamo non voglio.
Mi rifiuta
Lucrina. I Numi ancora[73]
10 gli amori miei
mi togliono,
e congiurati
vogliono
la terra, e ’l
ciel ch’io muora. (vede il dardo, e lo piglia)
Ecco porge amica
sorte
lo strumento
di mia morte.
15 Ah che troppo
nimico Amor mi fu:
fo ben torto al dolor, se vivo più.
Crudo Amor,
che vuoi ch’io speri?
Dai Fati
fieri
la mia gioia
mi s’invola,
20 e consola
sol la morte
i miei pensieri.
Ma la crudel
sen viene.
Sei pur
ferma, o spietata,
di fuggir il
tuo Tirsi?
25 lucrina Ah, ch’è
dal ciel vietata,
ogni picciola
speme al tuo desire.
Partiti vita
mia; ch’io vo’ morire.
tirsi Partir
da te? Prendi il mio ferro almeno
men rigida
sarai
30 se a Tirsi
partirai
l’alma dal
seno.
lucrina Così mi
porgi il dardo, o Tirsi caro
oh felice
Lucrina!
L’oracolo
destina
35 le nostre gioie
avventuroso, e chiaro.[74]
tirsi Mi
sogno, o pur son desto?
lucrina Tirsi, più
non penare.
Io son tua,
tu sei mio, se me ’l concedi.[75]
Con agio io
dirò poi, perché ti diedi
40 tante ripulse
amare.
tirsi Chi
provò gli affanni in prima
nel gioir più
s’assicura,
perché premio
lo stima,[76]
e non ventura.
SCENA
ULTIMA[77]
Tirsi,
Lucrina, Nice, Dorisbo, Ligoccio.
nice Che miro? oimè.
lucrina Tu miri
in beati imenei la tua Lucrina.
nice Ora
m’accorgo alfine,
che sono
scritte in ciel le vostre gioie[78]
5 con note adamantine.
E tu leal
Dorisbo
andar non
denno i sospir tuoi perduti.
Della tua
lunga fede
fia mercede
10 il mio cuor, se
nol rifiuti.
dorisbo No, no.
Ritienti altier,[79]
ritienti il
cuor superbo.
Della fiamma
primiera
più favilla
non serbo.
15 Il mio cor, se
tardo fu
nel gustar la
libertà,
più sollecito
sarà
nel fuggir la
servitù.
ligoccio Noi ancora ti sdegniamo
20 impurissima
ribalda.
Se per noi
amor ti scalda,
fatti in là,
che non vogliamo.[80]
nice E
questi frutti io colgo
di mia vana
accortezza,
25 che perdo in un
istante
e l’amato, e
l’amante,
e fino un vil
bifolco ancor mi sprezza.
Ma che m’affliggo
invano?
Godete pur
godete[81]
30 l’amorosa
ventura, anime liete.
tutti Arte umana
invan contrasta
all’eterna
Providenza.
Ed alfin mai
non sovrasta
l’artifizio all’innocenza.
35 El mortal
se opone en vano
a la eterna
Providencia.
Nunca sale
engaño humano
vencedor de
la inocencia.
Fine della
Lucrina.
INTERMEZZO PER
LA STESSA FAVOLA[82]
Lilla
sola, e poi Nice.
lilla Sento
nell’alma mia
per cagion d’un
pastore
un certo
senso, e non so dir che sia?
V’è pastor
che in rimirarmi
5 si consuma, e
dice oimè.
Lo rimiro, ed
invogliarmi
sento anch’io
di non so che.
Ei nol dice,
ed io nol so.
Deh
consigliatemi,
10 ed insegnatemi
che vo’
farlo, se si può.
Egli dice ch’io
son bella,
ma che pecco
in crudeltà.
Ma la buona
pastorella
15 par così, perché
non sa.
nice Vanarella,
tu stai
ognora sulle
tue semplicità,
e non sai che
si faccia alla città.
Qui la gran
Margherita
20 di maestà
leggiadra i raggi spande,
e con luce
infinita,
quanto è
bella, dimostra, e quanto è grande.
lilla Ah,
ah, quella Signora.
Quella che
venne or ora
25 da straniere provincie
a’ nostri lidi.
Sì, sì,
vendendo fiori or or la vidi.
Cara Nice,
elle è pur bella!
E mi parve tanto
tanto,
ch’avrei data
la cestella
30 per baciarle
almeno il manto.
Ma il bel
viso manda fuore
un splendor
che mi sgomento.
E mi mette un
batticuore
che vorrei;
ma non m’attento.
35 nice Tanto a noi non si
consente.
È ben Lilla
assai vantaggio,
se n’invola
qualche raggio
la pupilla
riverente.
Ella è sposa
al grande Augusto
40 il maggior sotto
le sfere,
che ha per
base del potere
l’esser
prode, e l’esser giusto.
Ver su cara es un contento:
tiene amor, y
majestad.
45 Es miralla
atrevimiento,
no miralla es
necedad.
Sus ojuelos,
Lila mía,
son mayores
de tu gusto,
y reservan su
buen día
50 solo
a l’aquila de Augusto.[83]
lilla Tu mi
narri gran cose.
Ma sia com’essere
vuol, disposta io sono:
le vo’ recar
questi fioretti in dono.
nice Prendi
ancor questi mei,
55 ed alle sacre
mani in don li reca.
lilla,
nice
(a due) Noi con destre pastorali
ti recchiam l’onor
degli orti.
A Corone
Imperiali
meraviglie di
Spagna ancor ti porti.
60 lilla Tua
prole invitta
ecco
descritta
di questi
fiori
ne’ bei
colori.
qui si
veggono dipinti
65 forti Aiaci, e
bei Giacinti.
nice Serenissime
pupille
voi che ’l
mondo rischiarate
non sdegnate
i tributi
delle Ville.
70 Per voi godon
esser colti,
più che star
sulla verdura.
Per natura
sono i fiori
al sol rivolti.
De tu vista al claro día,
75 cuya
luz el orbe adora,
rica
Flora
sus
tributos hoy te envía.
Si
publican tus verdores
por
tus rayos tan brillantes:
80 no
te espantes,
pues
al sol brotan los flores.[84]
Nota
sulla fortuna
Non
sono note edizioni della Lucrina precedenti quella del 1700. Viene
invece ristampata nella riedizione del 1708 delle Rime del Maggi a
Venezia (Poesie varie del Signor Segretario Carlo Maria Maggi, seconda
impressione con nuove aggiunte, Venezia, [s.e.], 1708), senza variazioni
significative e senza menzione del curatore dell’edizione. Da segnalare infine
la presenza della Lucrina in Scelta di poesie e prose edite ed inedite
di Carlo Maria Maggi, a cura di Antonio Cipollini, Ulrico Hoepli, Milano,
1900 che si fonda sul testo del 1700.
Non si conoscono altre rappresentazioni
della Lucrina oltre a quella del 27 settembre 1666.
Bibliografia
Carpani, Roberta, Drammaturgia del
comico. I libretti per musica di Carlo Maria Maggi nei «theatri di Lombardia», Milano, Vita e pensiero, 1998.
Colmenero de Ledesma,
Antonio, Curioso tratado de la naturaleza y calidad del
chocolate: diuidido en quatro puntos, Madrid, Francisco Martinez, 1631.
Blondet,
Sandrine e Vuillermoz, Marc
(a cura di), Le paratexte théâtral face à l’auctoritas : entre soumission et
subversion : regards croisés en Italie, France et Espagne aux XVIe et XVIIe
siècles, Chambéry, Université Savoie Mont Blanc, Laboratoire LLSETI, 2016.
Levi Pisetzky, Rosita, Le nuove
fogge e l’influsso della moda francese a Milano, in Storia di Milano,
Fondazione Treccani, Milano, 1957, vol. XI.
Maggi, Carlo Maria, De Chocolata,
dialogismus elegiacus in Anecdota posthuma miscellanea, Milano,
Giuseppe Pandolfo Malatesta, 1728.
_________, Il Teatro milanese, a cura di Dante Isella,
Torino, Einaudi, 1964.
_________, Poesie varie del Signor Segretario Carlo Maria Maggi,
seconda impressione con nuove aggiunte, Venezia, [s. e.], 1708
_________, Rime varie di Carlo Maria Maggi, raccolte da
Lodovico Antonio Muratori, bibliotecario del Serenissimo Signore Duca di
Modena, e dedicate all’Illustrissimo, ed Eccellentissimo Signor Don Giansimone
Enriquez de Cabrera, del Consiglio di guerra, Mastro di campo generale, e
Governadore della città e provincia d’Alessandria per Sua Maestà cattolica
nello Stato di Milano, Milano, Giuseppe Malatesta, 1700, 4 voll.
_________, Scelta di poesie e prose edite ed inedite di Carlo
Maria Maggi, a cura di Antonio Cipollini, Ulrico Hoepli, Milano, 1900.
Miglierina, Stephane «Il mio
amore è un malore da sanar col ciocolate» réflexion et expérimentation sur le
livret : la Lucrina de Carlo Maria Maggi (1666), in Françoise
Decroisette (a cura di), Le Livret d’opéra, un objet littéraire ?,
Saint-Denis, Presses Universitaires de Vincennes, 2011, pp. 159-179.
Muratori, Lodovico Antonio, Vita di
Carlo Maria Maggi, scritta da Lodovic’Antonio Muratori bibliotecario
del Serenissimo Signore Duca di Modena, e dedicate all’Illustrissimo, ed
Eccellentissimo Signor Don Giansimone Enriquez de Cabrera, del Consiglio di
guerra, Mastro di campo generale, e Governadore della città e provincia d’Alessandria
per Sua Maestà cattolica nello Stato di Milano, Milano, Giuseppe Pandolfo
Malatesta, 1700, 4 voll.
Ruzante, Dialogo facetissimo et
ridiculosissimo recitato a fosson alla caccia l’anno della carestia 1528,
Venezia, Stefano di Alessi, 1555.
[1] Giardiniere: figura
sfaccettata che, di volta in volta, rimanda all’autore, al corago, all’organizzatore
dello spettacolo, o ancora al capocomico. Molto spesso nelle commedie del Maggi
questo personaggio acquisisce le caratteristiche, anche fisiche, del poeta (più
vecchio e magro degli altri personaggi, preoccupato e agitato prima della
rappresentazione, ecc. Cfr. la descrizione che ne fa il contenuto nel monologo
di Meneghin Durlindana ne Il concorso de’Meneghini). Si tratta quindi, qui,
di un autoritratto in veste pastorale.
[2] Gran señora: prima delle diverse
ariette tradotte in lingua spagnola (cfr. Introduzione)
adattate per Margherita Teresa d’Asburgo. Prima occorrenza del bilinguismo
circostanziale.
[3] iazmines: rispettiamo la
grafia dell’originale, anche se la forma corretta in spagnolo sarebbe «jazmines» (con la
consonante fricativa velare sorda iniziale, inesistente in italiano) poiché
potrebbe rispondere a una pronuncia particolare degli attori italiani.
[4] di pace al mondo fa: riferimento topico alla monarchia di antico
regime come garante di pace e di ordine politico. Possibile riferimento alla stabilità politica del Sacro
Romano Impero e dei suoi legami con la Spagna, in rapporto con il matrimonio di
Margherita Teresa d’Austria con Leopoldo I.
[5] Qui varie frondi stendano:
metateatro topico dei prologhi di commedia. La pièce inizia prima che
tutta la scenografia sia pronta. Agitazione e invito agli attori/tecnici a
finire di issare i telai che rappresentano la selva idilliaca della pastorale.
I vaghi rai sono il primo dei doppi sensi tra gli elementi naturali, qui
il sole oppure le luci del teatro, e gli occhi dell’imperatrice capace di
illuminare la scena. Cfr. anche l’intermezzo pubblicato dopo la commedia e che
riprende gli stessi temi.
[6] Ardire | Mi die’: da notare
il ritmo rapido, ricorrente nell’insieme del testo. Versi brevissimi, con echi
sonori che accentuano la leggerezza e la gioia festiva della pastorale. Cfr. ad
esempio I.1.23-24, I.2.13-15, III.12-14, ecc.
[7] gentil semplicità: ossimoro topico della tradizione pastorale, tratto
definitorio del genere stesso: alla semplicità della nascita corrisponde la
gentilezza d’animo dei personaggi.
[8] Tu la mandi in canzone:
ironia del Maggi «giardiniere». Di fronte agli espedienti retorici e poetici
della pastorale, il giardiniere risponde con una punta ironica, segno di una
bonarietà mordace che diventerà, nelle commedie di Maggi, la caratteristica del
personaggio di Meneghino e che potrebbe essere il primo indizio di elementi
parodistici nella Lucrina.
[9] la scena angusta:
metateatro tipico del paratesto comico.
[10] fole: favola, fiaba, ma anche al
plurale, frottole, ciance, false notizie. Gioco con la finzione e con l’ironia
e la falsa modestia.
[11] Eccoci pronti: finale del prologo
cantato con una prima battuta dei personaggi maschili seguita da un’arietta dei
personaggi femminili. Argomento topico dei prologhi (benevolenza e indulgenza del
pubblico). Cfr. a questo proposito i lavori del gruppo di ricerca Les Idées
du théâtre (http://idt.huma-num.fr) sulla funzione dei prologhi e dei testi
liminari. In particolare: Le paratexte théâtral face à l’auctoritas
: entre soumission et subversion : regards croisés en Italie, France et Espagne
aux XVIe et XVIIe siècles, a cura di Sandrine Blondet et Marc Vuillermoz,
Chambéry, Université Savoie Mont Blanc - Laboratoire LLSETI, 2016.
[12] un amor per amor mio:
prima scena e primi topoi amorosi: l’innamorato che deve nascondere il
suo amore e fingere di non amare, per amore dell’amata. Alternanza di settenari
e endecasillabi, in particolare il v.3, endecasillabo a maiore con
accento su amor per sottolineare la finta solennità dell’affermazione di
Nice.
[13] Ubbidire è lealtà:
ricatto amoroso di Nice, con una reminiscenza (parodica?) delle tematiche del Pastor
fido.
[14] Orsù, tentar Lucrina | O non amarmi più: concisione tipica della scrittura di Maggi, frasi brevi (accentuate dal
settenario tronco). La pièce vede così l’accumularsi di generalizzazioni
che annunciano il discorso gnomico ricorrente nelle commedie dialettali di Maggi.
[15] fia mercede un amor vero: il pubblico qui senza dubbio i
sentimenti barocchi di diletto e meraviglia di fronte al doppio paradosso
poetico e amoroso, tipico della preziosità della pastorale seicentesca.
[16] di Tirsi idolo mio: a
parte. La battuta chiude l’esposizione contenuta nella prima scena, con l’esplicitazione
del quadrilatero amoroso: Nice ama Tirsi, Dorisbo ama Nice, Tirsi ama Lucrina,
e Lucrina ama Tirsi. Non sorprende l’assenza di Ligoccio, allo stesso tempo
accessorio e motore della trama, e che non prova amore ma desiderio sessuale.
[17] Nice si ritira in disparte presso all’altre d’Amore: Nuova scena e nuovo topos: l’oracolo d’amore, qui manipolato da
Nice mentre è nascosta. La statua di Cupido verrà sostituita nel secondo atto
da Ligoccio travestito.
[18] Chi pensato avrebbe mai: arietta cantata non tradotta in spagnolo.
[19] le dolci pene: eco petrarchesca.
[20] Mi nuoce, | mi cuoce:
ritorno dell’uso di versi brevissimi, gioco sull’omofonia quasi perfetta dei
due verbi seguita, nei versi successivi, da un parallelismo sintattico e
sonoro. Battuta probabilmente cantata.
[21] S’oggi d’Amore…: il finto oracolo d’amore
si esprime in endecasillabi. Solennità della prosodia che permette l’equivoco e
il mistero del linguaggio divino inventato da Nice.
[22] nel laccio: termine usato spesso da
Nice per tutta la durata della pastorale e che è legato alla volontà degli
uomini di avere un’influenza sul proprio destino creando dei lacci umani,
mentre il finale della pièce mostra allo spettatore che questi lacci non
sono efficaci contra la volontà divina. L’unico laccio umano valido è quello
del matrimonio (occasione di creazione dello spettacolo), che verrà tuttavia
bandito dalle commedie dialettali di Maggi. L’impossibilità di opporsi alla
volontà divina e il piacere nell’obbedire a Dio sono elementi ricorrenti nelle
lettere di Maggi alla figlia monaca, pubblicate dallo stesso Muratori nel volume
III della raccolta (p. 42 e seguenti).
[23] saporetti: prima apparizione in scena
di Ligoccio come elemento perturbatore nell’idillio. È perturbatore in
particolare perché introduce l’idea del tempo che passa, del tempo storico,
nella temporalità fissa dell’utopia pastorale (cfr. Introduzione). Dal primo verso, con oggi, pone l’idea di
un cambiamento delle mode all’interno del mondo stesso delle ninfe. Il
riferimento al profumo delicato e prezioso (saporetti) si oppone all’odore
di stalla del bifolco. In tutta la scena, notiamo l’opposizione tra la purezza
della natura rozza di Ligoccio e la preziosità (vezzosa, vezzosetto)
delle ninfe che si allontanano dal naturale. L’atteggiamento di Ligoccio si
iscrive nel pragmatismo dei servi della commedia tradizionale sviluppato da
Maggi nelle commedie (in particolare il pragmatismo di Meneghino di fronte a
Fabio, ne I consigli di Meneghino oppure quello della serva Tarlesca ne Il
Barone di Birbanza).
[24] triviale: Nella seconda parte della battuta
Ligoccio si mette nei panni di un cortigiano raffinato che rifiuta il triviale
(nel senso di ciò che è plebeo, comune) ma non senza un doppio
senso osceno con «il mio bello, ch’è bellissimo». La finta (e ridicola)
preziosità di Ligoccio culmina nel superlativo «esquisitissimo» di difficile
pronuncia, in contrasto con la rozzezza del bifolco, e che provoca senza dubbio
il riso del pubblico.
[25] carapigna: voce di origine spagnola:
gelato, sorbetto, bevanda ghiacciata. La moda del sorbetto è, insieme a quella
della cioccolata calda (cfr. III.2.3), tipica del Seicento e rappresenta il
primo dei diversi riferimenti contestuali della scena.
[26] Mode franzesi: l’idillio dovrebbe
essere scevro dalle mode del mondo cortigiano e invece Ligoccio si veste con
elementi transalpini. Il ridicolo è accentuato dalla rivalità Francia-Spagna
nella seconda metà del Seicento e dalla forma dialettale popolare «franzesi»
(che sta per «francesi»). Stesso gioco ridicolo con guanti di Roma. Da
notare che la versione in lingua spagnola è più breve della versione originale
e si chiude sulla parola garapiña come legame sonoro tra le due lingue.
[27] Ti vorrei, ma non per moglie:
riferimento osceno. Soprattutto in rima con «viole» e «voglie». Il sentimento
che prova Ligoccio non è amore ma mero desiderio fisico che non dissimula la
propria natura. Oltre alla delicatezza topica del fiore (che rimane molto più
modesto della nobile rosa, dedicata a Maria Teresa d’Austria nel Prologo)
il riferimento alle viole è anche un riferimento ovidiano alla fragilità della
vita, caratteristica del pessimismo maggiano (cfr. ad esempio Nec violae
semper nec hiantia lilia florent, Et riget amissa spina relicta rosa in Ars
amandi, II, 115-116).
[28] beltà di tulipano:
risposta comica alle viole della battuta precedente. Il Grande Dizionario
della lingua italiana segnala che dal Seicento, in particolare in Giovanni
Battista Fagiuoli, «tulipano» viene usato per una «persona sciocca e vanesia di
appariscente bellezza o vestita con abiti dai colori sgargianti, vistosi (anche
con valore ironico)» (p. 438), definizione che si adatta perfettamente alla
figura di Ligoccio.
[29] che vezzosetto Adone:
cfr. I.3.1, con valore ironico e sprezzante per chiudere la scena con il riso
del pubblico.
[30] L’ultima scena del primo atto contiene un nuovo topos
del genere pastorale: il gioco d’amore, apparentemente innocente ma che porta a
numerosi equivoci e malintesi amorosi e che è il pretesto per fare entrare il
canto e il ballo coreografico nella rappresentazione. Cfr. il famosissimo Gioco
della Cieca nel Pastor fido (III, 2).
[31] polve di Cipri: simbolo della
preziosità cortigiana, fuori luogo nell’idillio pastorale.
[32] I.4.16-25: battuta cantata da Tirsi. La versione in
lingua spagnola non traduce una delle strofe della battuta ma la sostituisce.
[33] Il canto degli Elisii:
gioco musicale inventato per la favola. Ligoccio occupa il centro della scena
mentre gli altri giocatori, che gli stanno attorno, hanno in mano l’estremità
di un nastro. Se Ligoccio tira il nastro e accelera il ritmo del suo canto, gli
altri devono tacere. Se invece Ligoccio lascia il nastro e rallenta il canto,
gli altri devono ripetere le sue parole. Il gioco permette di rilevare le
qualità canore degli attori e di creare delle polifonie musicali quando questi
cantano tutti insieme. La musica prende, in questa scena, un’importanza particolare
nello svolgimento della diegesi, accentuandone la preziosità.
[34] ti rammento la promessa:
gli intrighi di Nice sembrano funzionare poiché le due vittime del gioco d’amore
sono proprio le due vittime di Nice, Lucrina e Dorisbo. Il caso sembra, a
questo punto della pastorale, essere ancora favorevole a Nice.
[35] gareggia in beltate: comico
della cecità di Ligoccio sul proprio ridicolo.
[36] per ubbidir Amore | sembro infida in amore: paradosso topico che
richiama la prima scena e che rientra nella preziosità innaturale del discorso
amoroso seicentesco. Cfr. I.1.3-4.
[37] l’odore i guanti miei:
battuta tradizionale da servo della commedia che, di fronte alla delusione
sentimentale, usa un’immagine pragmatica avvertendo il ridicolo della propria
toeletta.
[38] L’atto si apre con una scena allo stesso tempo sorprendente
e ridicola: il tentativo di suicidio di Ligoccio con arco e frecce, ulteriore
elemento del catalogo dei topoi pastorali. L’episodio si colloca però
anche nella vena dei finti suicidi della commedia (cfr. l’introduzione e il
legame con i suicidi sul palco di Ruzante). Si tratta di una vera e propria
scena da commedia.
[39] tenetemi, tenetemi: comico che nasce dal fatto che Ligoccio è solo in
scena e che quindi nessuno gli impedirebbe di uccidersi. Il monologo d’addio non è tanto sintomatico di una
nota elegiaca, quanto il segno della vigliaccheria del bifolco, ed è un
pretesto per ritardare il compimento del gesto fatale.
[40] con prudenza | che non fa sangue: cfr.
Introduzione. Satira delle regole rigide del decoro sul palco. Da notare
il parallelismo prosodico tra i due versi a maiore (con, in ambo i casi,
il primo settenario tronco) che conferisce una solennità ridicola all’annuncio
di Ligoccio.
[41] mi vo’ ammazzar: di fronte alla
prontezza di Nice nell’aiutarlo ad uccidersi, il bifolco cambia prosodia. La
stessa struttura sintattica di prima è però espressa con un endecasillabo a
minore tronco, segno di un’accelerazione del ritmo e di un abbassamento del
livello della battuta. Questo movimento di riduzione (ripetizione della stessa
idea ma attraverso un registro più basso) è al centro della comicità delle
commedie dialettali di Maggi in cui il servo ripete in dialetto la battuta del
padrone. Cfr. ad esempio la coppia Gelino/Trasone ne Il Manco male, I.3.
[42] la semplicetta: forse un’eco del
famoso racconto dell’innamoramento di Aminta di fronte alla «semplicetta Silvia»,
personaggio molto simile nella sua ingenuità a Lucrina. (Aminta, I.2,
v.149; e cfr. anche: «se Silvia è semplicetta come pare | a le parole, a gli
atti», Aminta, II.2, v. 32).
[43] quadrella: plurale letterario di
quadrello: dardo, freccia. In questo caso, con riferimento osceno. Alla più
bella / en estas Damas: la traduzione spagnola esplicita l’assenza di
desiderio preciso di Ligoccio che intende sedurre una ninfa, non
necessariamente Lucrina.
[44] nuova scena topica, quella del duetto dell’amore
impossibile, caratterizzata da un duetto cantato, in particolare le ultime
battute cantate a due voci.
[45] sento dire che in città: elemento
peculiare del genere pastorale è lo sguardo dei personaggi verso la corte e la
città. Topos pastorale della consapevolezza della ninfa di essere inferiore
alle donne di corte. Tale rapporto, ma in movimento contrario, si ritrova anche
in tante commedie in cui le donne borghesi guardano verso la campagna con uno
sguardo condiscendente.
[46] fe: correggiamo il refuso dell’edizione
originale, che registra la forma «fa».
[47] II.2.32-40: la struttura prosodica
identica delle due battute è un indizio della presenza di un duetto cantato.
[48] nuovo topos pastorale, il lamento amoroso e il
confronto dei propri sentimenti con la natura. Qui il dolore del pastore
minaccia la pace del locus amoenus. La disperazione del pastore rimane
però modesta e ben poco pericolosa, in linea con l’ideale di misura e di
equilibrio di Maggi. Notiamo che tra i personaggi maschili, Dorisbo è quello
che ha il maggior numero di ariette cantate e di assoli, come succede in questa
scena.
[49] fermeza: probabile
italianizzazione della forma spagnola «firmeza».
[50] aprisa: l’originale recita «aprita», che sembra chiaro refuso (più improbabile la
correzione aprieta, dal verbo
‘apretar’ con il significato di ‘affrettare/affrettarsi’).
[51] scena da commedia inserita nella pastorale. Il
travestimento non è per niente estraneo al genere dell’idillio ma qui viene
usato in maniera comica, con riferimento al grottesco dei travestimenti delle
commedie.
[52] pargoletto son vezzoso:
secondo travestimento di Ligoccio di cui vediamo l’evoluzione di carattere. Le esagerazioni
e i doppi sensi ironici testimoniano della sua consapevolezza di essere
ridicolo (mentre, nel primo atto, era convinto del proprio sex appeal).
L’evoluzione di Ligoccio proseguirà verso il disinganno e il disinteresse
amoroso nel terzo atto.
[53] Date nel vostro cuore un
cantoncino | al picciolo amorino: battuta auto-ironica rivolta al pubblico,
in vena petrarchesca.
[54] quel simolacro: la statua di Cupido
sull’altare.
[55] sassatte: allusione esplicita al
genere della commedia e alla lunga tradizione delle bastonate e «sassatte» del
padrone contro il servo. L’abbassamento del registro conferma lo stampo comico
della scena.
[56] scena centrale della pièce, il finale del secondo
atto segna la coabitazione della pastorale e della commedia. Da un lato la
sofferenza amorosa di Lucrina e Tirsi, la paura di fronte al destino quasi
tragico e la cerimonia del sacrificio a Cupido, dall’altro il ridicolo di
Ligoccio travestito e gli intrighi di Nice nascosta. Questa commistione si
manifesta anche nella prosodia, con l’alternarsi di endecasillabi e di versi
brevissimi nelle battute di Ligoccio e Nice, ma anche con l’uso di quartine di
ottonari nella supplica dei due innamorati (II.5.6).
[57] il viso torce: sono le smorfie di
Ligoccio asfissiato dall’incenso sacro e bruciato dal fuoco rituale. Comicità
accentuata dalla reazione di Lucrina, che interpreta le smorfie di Ligoccio
come un’insoddisfazione del dio d’Amore e che incoraggia Tirsi a ravvivare il
fuoco, provocando altri movimenti ridicoli di Ligoccio. Il gioco fisico di tale
scena s’inserisce appieno nella pratica comica e non della pastorale.
[58] finitela in malore:
esclamazione di registro basso di Ligoccio che non sopporta più il calore del
fuoco sacrificale, resa ancora più comica dalla reazione di terrore degli
innamorati e dalla solennità della battuta successiva: «Oimè, fuggiam dalle
saette orrende». La scena è un incontro di due livelli e due generi diversi e chiude
l’atto suscitando senza dubbio il riso dello spettatore.
[59] ardore: come sempre nei
componimenti del Maggi il riso è legato a un insegnamento morale. Qui, il
doppio senso di ardore permette di chiudere l’atto con un discorso
gnomico edificante.
[60] topos del lamento amoroso di fronte
all’inconsapevolezza della natura, che fa da pendant a II.3. Dorisbo non cerca
più consolazione nella natura ma il locus amoenus gli è diventato
contrario: ogni manifestazione dell’amore gli provoca maggiori sofferenze. Da
notare le due ultime strofe della scena, con prosodia e schema rimico identici,
probabilmente risposte cantate alla melodia dell’uccello. ♦ La placida
sera: cfr. l’introduzione e la corrispondenza tra Maggi, Vitaliano Borromeo
con Bartolomeo Arese sull’organizzazione dell’illuminazione dello spettacolo,
in particolare sul modo di rappresentare l’imbrunire.
[61] occultarme: la grafia -cc- è,
probabilmente, un italianismo, dato che la forma spagnola sarebbe «ocultarme».
[62] III.1.25, 33 Augellin, augelletto: echi
petrarcheschi. Si pensi ad esempio a Canzoniere 353, Vago augelletto
che cantando vai, dove sono sviluppate le stesse tematiche legate alla
sofferenza di fronte al canto degli uccelli.
[63] conserviamo la didascalia iniziale dei personaggi presenti,
anche se errata: alla lista manca Dorisbo; Nice, invece, entra sul palco solo
nella scena successiva.
[64] Io non sdegno innamorarmi:
vediamo la tappa finale dell’evoluzione di Ligoccio, diventato saggio in amore
e lontano ormai del desiderio fisico delle prime scene della pièce. Il
disinganno è il tema più importante delle commedie dialettali di Maggi, in
particolare Il manco male e I consigli di Meneghino.
[65] il tuo bel canto: rispetto di Dorisbo verso Ligoccio: contrariamente
al primo atto, non c’è più ironia di fronte al discorso del bifolco, poiché il
suo pragmatismo parla la lingua del vero. Il disinganno è l’unica soluzione all’amore eros,
prima dell’arrivo in scena, alla fine dell’atto dell’amore per Dio.
[66] state: estate.
[67] ciocolate: cfr. Introduzione.
[68] III.2.18, 22 Chi è sicuro… chi muore: discorso
gnomico tipico dei servi della commedia, in particolare delle commedie morali
di Maggi.
[69] numerazione errata nell’edizione originale («scena
seconda»). Scena che prepara l’ultimo espediente tradizionale: il quiproquo
intorno a un oggetto simbolico. Non si tratta, come succede spesso, di un
biglietto d’amore che verrà consegnato al destinatario sbagliato, ma di una
freccia che non colpisce il bersaglio previsto.
[70] dardo: Nice intende
mettere in scena l’ultima parte del suo finto oracolo (oracolo bugiardo)
e poter sposare Tirsi (cfr. I.2.30-31: «segui il Pastore | che primo un dardo
alla tua man presenti»).
[71] Non amando essere felice: è anche la morale finale de I consigli di Meneghino,
quando Fabio decide di rifiutare gli inganni dell’esistenza mondana per entrare
nell’ordine dei cappuccini.
[72] numerazione errata nell’edizione originale («scena terza»).
Scena della risoluzione del quiproquo tra Tirsi e Lucrina tramite l’oggetto
simbolico.
[73] III.4.3, 5, 9 morte, cordoglio, Numi: crescendo
pseudo-tragico con un lessico tipico della tragedia ma attenuato dalla
prosodia, due quartine di ottonari cantate.
[74] avventuroso: nell’accezione
letteraria di fortunato.
[75] io son tua, tu sei mio...:
notiamo la brevità della risoluzione finale e del matrimonio, cfr. Introduzione.
Maggi lascia maggior spazio invece alla punizione di Nice cfr. infra.
[76] gli affanni... premio:
qui spunta la morale cristiana del Maggi: l’amore è legittimato dal matrimonio
ma, soprattutto, questi versi esprimono la promessa cattolica della salvezza
dopo le sofferenze terrene. Anche nell’ambito comico-pastorale della Lucrina
si evince la fede profonda e l’adesione di Maggi al pensiero controriformistico
lombardo.
[77] scena topica del castigo, quello di Nice e della
formulazione della morale finale.
[78] scritte in ciel le vostre gioie: il
concetto antico di destino coincide la morale divina cristiana, contro cui gli uomini
non possono agire. L’importanza del messaggio di edificazione morale per Maggi spiega
probabilmente l’importanza maggiore data a questa scena rispetto a quella
precedente dell’unione degli amanti.
[79] no, no.: colpo di scena finale in
cui né Dorisbo né Ligoccio vogliono più Nice. Condanna moralizzante dei peccati
di orgoglio e di prepotenza: opporsi alla volontà divina porta a una condanna e
un isolamento del peccatore senza redenzione.
[80] III.5.15-22: le due quartine cantate da Dorisbo e
Ligoccio annunciano la complicità tra Fabio e Meneghino ne I Consigli di
Meneghino. Contrariamente alla commedia tradizionale, il servo maggiano non
convince il primo innamorato a sposarsi: il servo non agisce perché ci sia il
lieto fine. Al contrario, ha la funzione di preservare intatta la morale
cristiana.
[81] Ma che m’affliggo invano | Godete
pur godete: cfr. la lettera le 31 luglio 1666 a Bartolomeo Arese, citata
nell’introduzione, in cui Maggi è consapevole (non senza una certa falsa
modestia) del carattere troppo moralizzante della Lucrina e cerca di
aggiungere ariette «per fare un poco più mesta la nostra lagrimossima comedia».
[82] Da collocare probabilmente tra il secondo e il terzo atto
(poiché tra il primo e il secondo troviamo il balletto dei satiri mascherati).
L’intermezzo, con valore encomiastico, riprende le immagini e la dinamica
città/villa del prologo, senza il Giardiniere ma con l’aggiunto del personaggio
di Lilla, venditrice di fiori. Tali tematiche sono anche presenti nel componimento
in latino pubblicato nella raccolta Anecdota posthuma miscellanea (p.
223), identificato da Roberta Carpani e qui riprodotto:
Augustæ
Imperatrici, Aresii hortos ingredienti
Epigramma
Ecce Augusta umbris, et fontibus
hospita nostris,
Eximiis major, vilibus æqua
meis,
Solis ad
invidiam te servans umbra superbit,
Quod non sit
tanto in lumine facta minor.
Lympha oculis objecta tuis
pulchram efficit Irim,
Atque hinc æternæ pignora pacis
habet.
Hic jam delicias non quæris
magna, sed affers.
Tu venis
humani delicium Generis.
[83] a l’aquila: palese italianismo grafico-fonetico. La
forma spagnola dell’epoca sarebbe «al águila» (o perfino «a la águila»).
[84] los flores: italianismo morfologico, dato
che in spagnolo il nome «flor» è femminile, per cui dovrebbe leggersi «las flores».