Giampietro
Zanotti Cavazzoni
L’ignorante
presuntuoso
a
cura di
Milena
Contini
Biblioteca Pregoldoniana
lineadacqua
2024
Giampietro
Zanotti Cavazzoni
L’ignorante
presuntuoso
a cura
di Milena Contini
© 2024 Milena Contini
© 2024 lineadacqua edizioni
Biblioteca Pregoldoniana, nº 43
Collana diretta da Javier Gutiérrez Carou
Supervisori per i dialetti: Piermario Vescovo e Luca D’Onghia
Comitato scientifico: Beatrice Alfonzetti, Francesco Cotticelli,
Andrea Fabiano, Javier Gutiérrez Carou, Simona
Morando, Marzia Pieri, Anna Scannapieco e Piermario Vescovo
Editing: Paula Gregores Pereira ed Enma
Rodríguez Mayán
www.usc.gal/goldoni
javier.gutierrez.carou@usc.gal
Venezia - Santiago de Compostela
lineadacqua
edizioni
san marco 3717/d
30124 Venezia
www.lineadacqua.com
ISBN: 9791281350465
La
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autorizzazione della curatrice e del direttore della collana.
I
lavori svolti da Javier Gutiérrez Carou nella
revisione del
libro si inseriscono inoltre nell’ambito delle attività realizzate dal Grupo de Referencia Competitiva CALDERÓN
(GI-1377) dell’Universidade de Santiago de
Compostela, finanziato
dal Plan Galego IDT della Xunta de Galicia
per il periodo 2023-2026, rif. ED431C 2023/06.
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Biblioteca Pregoldoniana,
nº 43
Alla
mia famiglia, tutta quanta
Nota
al testo
Per
il testo de L’ignorante presuntuoso di Giampietro Zanotti mi sono
rifatta alla princeps (Bologna, Lelio della Volpe, 1743), edizione
ristampata una volta sola nel 1745 presso lo stesso editore nel terzo volume
della corposa raccolta Poesie di Giampietro Zanotti, senza alcuna
variazione. Non è stato rintracciato nessun manoscritto della commedia.
Giampietro Zanotti Cavazzoni
L’ignorante presuntuoso
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Al
Chiarissimo ed egregio padre Don Giampiero Riva
Cherico Regolare Somasco |
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Giampietro
Zanotti Cavazzoni |
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Io
ho finalmente stabilito, padre don Giampietro mio, di pubblicar la commedia
di cui alcune fiate[1]
vi ho scritto, e cui mi dite aspettare con molto desiderio; ora voglia Dio
che all’aspettazione vostra la faccenda corrisponda, e non abbiate a pentirvi
di cotal desiderio, cagione in gran parte di questa pubblicazione,
imperocché, se me ne avverrà biasimo, so che siete per averne non lieve
rammarico, mercè lo amore che mi portate.[2]
Parmi
già udire alcuni che dicano: «ma che domine fa costui, che altro non cerca
che ire in istampa? Non gli bastavano tant’altre
insipide cose che altre volte ha cacciato fuori che con questa ne vuol essere
nuovamente molesto?» Caro amico mio, pregateli a star buoni anche per questa
volta, e vi prometto ch’ella sia l’ultima;[3]
e poi questa cotale (né conto ciancia) ha il
privilegio dell’altre sì fatte che può chiunque, se mai lo estima bene,
lasciar di leggerla, né prenderne altro fastidio; ed egli è questo un bel
comodo, e tale, che non dovrebbe per essa venir male ad alcuno.[4] Io ho stampato altre mie cose,
come sapete, e pur sono anche vivo, e il siete voi, e coloro il sono che
d’altro mal non son morti, tanto egli è vero, che non uccidono le persone.
Tra tante che io ne ho fatto i’ non ci avea una
commedia, e parea proprio che senza averla i’ non
sapessi più vivere. Mi spiace che tanto sono stato a farla, che non l’ha
potuto vedere quel dotto mio compare,[5]
e tanto mio amico, il grande Eustachio Manfredi,[6]
la cui morte anche dopo quattr’anni, e alcuni mesi, mi è dolorosa al sommo, e
credo che voi pur ne sentiate talora affanno, perché oltre lo amarvi, e lo
stimarvi moltissimo, com’ei facea, voi grandemente
amavate lui, e stimavate. Egli ne avea proprio
desiderio che una commedia facessi, e solo per questo, o bene, o male, i’ dovea farla, ed egli mi sarebbe stato di non poco aiuto,
perché molto sapea, e molto amor mi portava; ma,
sciaurato me! I’ mi stetti, e lo confesso, per
poltroneria.[7]
Egli volea
che io facessi la spilorcia, e me ne assegnava il modello in una sua servente
ch’era la più cara spilorcia del mondo, e tanto l’era che non si può credere,
così che chi ne avesse ricopiato appuntino il carattere, avrebbe fatta cosa vera, ma non verisimile,[8] e voi questo sapete quanto egli importi
in così fatto genere di poesia, e quasi direi più che in ogni altro.
Morì il padrone della spilorcia, quell’uomo divino già nominato, e morì anche
dopo un anno la spilorcia, così che io perdei il porto, e il vento, onde più
a commedia non pensai. Tornandomi poscia il grillo in
capo, e una commedia volendo avere, iva pensando ad altro soggetto,[9]
e tra molti a cui pensai, a questo m’attenni dell’ignorante presuntuoso, che
non mi parve mala cosa, anzi mi parve buona, e che non dovesse riuscirmi
troppo difficile per la molta copia de’ modelli, che ci sono; e poi la commedia, amico mio gentilissimo, per quello che io
ne so, e voi più lo sapete, dee correggere il popolo, col farne i difetti
materia di riso, e di beffe, e però mi pare che gran bisogno ci fosse che si dipignesse, deridendolo, e beffando, quello
dell’ignoranza presuntuosa che ogni dì si dilata peggio che gramigna, e quasi
per tutto ammorba; e non intendo già per solo popolo gli uomini laceri, e mal
conci, e nati bassamente, ma anche moltissimi che sono ricchi, e che hanno
gli abiti d’oro, e d’altre belle cose guarniti, e son nati, più che bene; e né
pur dal popolo escludo tutte le cappe,
e le toghe.[10]
Io mi son dunque appigliato a questo suggetto, ma avvertite bene, gioia mia soavissima, che io non ho preso
per bersaglio alcuno che non son così mal cristiano che volessi insultar chi
che sia, ma ho voluto deridere in genere[11]
l’uomo ignorante, e presuntuoso, il qual vuol di tutto sapere, e dar
giudicio; difetto che spesso ha chi più è facoltoso, e insomma abbondante di
ciò che dalla fortuna, e per lo più pazzamente, si dà. Nell’imitare questo
carattere, con la mira (dirò così per farla anch’io da gran barbassoro)[12]
più di giovare che di fare il buffone, ho proccurato
di non caricar la natura soverchiamente, ma di ritrarla, quant’ho potuto, in
modo che l’arte non apparisca, acciocché lo spettatore, per così dire, si
scordi del poeta, e ciò che sente, e va succedendo, lo attribuisca al
recitante che lo rappresenta, il quale anch’egli dee la cosa rappresentare in
guisa che recitante non si dimostri, ma sembri quella cotal persona che di
essere fa sembiante; non ho voluto, dissi, caricar troppo la natura, perché
quantunque così facendo la gente per le risa sganasciasse, niun però si
correggerebbe, conciossiaché nel difetto troppo caricato, non ravvisando le
sue magagne, del rimedio non si valerebbe, come nol fa
uno che abbia un poco di ripienezza che quello non prende che per un idropico
fu manipolato, o per uno che abbia la dissenteria.[13]
Fanno alcuni poeti comici come que’ tragici che formano l’eroe così sterminatamente
eroico che invece d’invogliare a divenirlo, avvien
che ognun si disperi, e non ci si proverebbe né anche a chi lo minacciasse
con un bastone; ora così nelle commedie fanno que’
comici che spingono il difetto a segno che alcun non si può trovare che tale
lo abbia, e così niuno dalla commedia trae profitto. La gente poi che vede i
difetti, quando al sommo non giungono, andar con franchigia esenti della
censura, e della beffa, prende per argomento che di tali difetti mezzani non
s’abbia a far caso, e i sommi, e paffuti non avendo, nulla pensa a farsi
migliore, e le interviene come a colui che stava armato di spiede, e d’archibuso contra bestie feroci, e grosse che
non v’erano, e intanto si lasciava pizzicare, e divorare dalle mosche, e dai
tafani; ma mettiam pur anche, e troppo è vero per
colpa de’ nostri teatri che in questi tempi più non usi per mezzo delle
drammatiche rappresentazioni istruire il popolo, e migliorarlo, e mettiamo
ancora che più non abbisogni, perciocché ci sono altri mezzi e più sacri, e
più possenti per ottener questo fine; nulladimeno io dico che la imitazione
esser dee tale che a molti si rassomigli, e che solamente da una vera, e
perfetta somiglianza traggono le persone, che hanno sale in zucca,
quell’interno compiacimento che loro basta, e che le strabocchevoli
caricature per li goffi solamente, e per gli
scioperati son fatte, cui fa sgangheratamente ridere un zanni che percuote di
bastone il suo signore, e talvolta un principe, e un re,[14] e
simili altre poltronerie che con vergogna nostra, si veggono
tollerate, e applaudite. Se un carattere è caricato
strabocchevolmente, e tanto, che a trovarne il vero esemplo, o fia impossibile, o se uno se ne trovasse,
parerebbe la fenice, qual piacere da tale imitazione coloro possono ricavar,
che non hanno veduto mai strano originale, ond’è,
che più che copia tratta dalla natura, dee parer loro una così fatta immagine
un mostro, una chimera?[15] Io
non so, carissimo amico, se io mi dica bene, o male, ma bene, o male mi parea di dover dir intorno a ciò qualche cosa. Sappiate
che a molti, e molti amici ho letta, e riletta la mia commedia, e di questa
confidenza da me con essi usata ne ho ricavata sempre la buona mercé di
qualche buon giudicio che non ho gittato al vento; pure so ancora che dietro
me alcuno ha detto che il mio Ignorante presuntuoso è troppo naturale,
e vero, e che non farà ridere, come se io avessi inteso di far crepare la
gente di ridere, che Dio me ne guardi; torno però a dire, che mi sono a bella
posta determinato di sfuggire le strambe cose, e non mai dalla natura né pur
sognate, ma solamente dilettare con la immagine semplice, e viva per quanto
ho potuto, di ciò che spesso si vede, come appunto uno che ben sappia
contraffare cose anche volgarissime, il quale con ciò alle volte tiene a bada
per non poche ore una intera brigata d’uomini molto saputi, e quasi sempre
affaccendati in seri, e gravi affari. Se poi così ho pensato intorno al
protagonista, potete mo’ credere, che tanto più intorno alle altre persone
che sono accessorie. Voi ci vedrete un vecchio
alquanto avaro, una madre assai tronfia, e che non crede che altra la
superasse mai in prudenza, e probità, una giovane tutta leziosa, e che in
grazia, e bellezza si tien
di valer molto, una fantesca dotata di non poca arditezza,[16] ed
altri, oltre l’ignorante presuntuoso, che hanno altri caratteri; ma ho voluto
che fuori del principale, tutti sieno leggiermente toccati, come fa un dipintore che le figure
non prime dell’opera tiene mortificate ne’ colori, nell’ombre, e ne’ lumi,
acciocché meno di quelle che principali sono, agli occhi appariscano de’
riguardanti. Così intendo, e spero di aver così fatto nel mio Ignorante
presuntuoso, da che tutto ciò che ha nella commedia, anzi che stargli
sopra, serve a lui, aggirandosegli sempre intorno
per fare che ne risalti la ignoranza, e la presunzione. Se lo stile poi della
tragedia esser dee grave, ma naturale, e di quegli ornamenti solamente
arricchito che si convengono al ragionar di persone gravi, e di alto stato;
meglio di me sapete che quello della commedia convien che sia umile, e
vulgare, e proprio di persone basse, che trattano cose basse, e vulgari, e intorno a questo credo di aver soddisfatto
all’arte, da che troppo ho l’ingegno adatto alle cose che serpono dietro
terra, ma perché so che questo stile dee anch’egli aver certa armonia, ed
eleganza, tanto più difficili quanto più uopo è che sieno
dilicate, e temperate, oh qui sì che diffido di non
averci colto. Io dico così quel ch’io sento, e che non ho saputo fare, perché
ho piacere che sappiate almeno che così sento, e se nol
dico non può sapersi. I versi poi, fuorché quelli del
prologo, che tutti sono sdrucioli,
gli ho fatto ora tronchi, come vedrete, ora interi, ed ora sdrucioli, secondo che da sé son nati, e così facendo ho
estimato che più sciolti, e naturali riescano che in altra maniera.[17] Lo sdruciolo
continuato, come quello dell’Ariosto,[18] mi pare che non poche volte costringa a certe parole, a
certe fogge di dire che escono alquanto del parlare ordinario, e se ciò rade
volte a quel divino poeta per la sua grande eccellenza intervenne, a me per
la mia grande insipienza moltissime sarebbe intervenuto, e questa fatica non
avrei durata che per vieppiù increscere altrui.[19] Ma
che ho fatto mai! Dopo tante ciance i’ non ho ancora detto quello che i’ volea dire, cioè che questa commedia, quale si è, vi
presento, e questa esser dovea la prima, e principal cosa, e non fare un inutil
preambolo; dovea poi proccurare di farvi onore, e
non tanto, perché si usi in epistole così fatte, ma perché siete d’onore dignissimo, né se ne può far tanto che basti.[20] Potrà
forse parere a taluno che ciò avendo indugiato fino alla fine della lettera,
non mi ci sapessi ridurre, e pur non è vero, da che nulla v’ha che mai abbia
fatto più volentieri di questo, cioè dedicarvi questa commedia, e nulla che
io facessi con più piacere del farvi onore, ma la voglia di cianciare di
questa mia cotale mi ha da ciò tolto, da che incominciare dovea.
Gli è però meglio far tardi che mai quello che s’ha a fare. Io vi do, dunque,
dono, e dedico questa commedia, e se poco ella vale, per quello che vale,
prendetela che io non ve la voglio dar per di più; mi basta che serva a voi,
e a chiunque la vedrà, per un testimonio sincerissimo dell’amor nostro, ed
egli era ben giusto che siccome voi del vostro amor verso me cento pruove, e in cento diverse guise mi avete dato, così io
vi dessi del mio alcun segno, e dopo aver pensato, e ripensato, non ho altro
segno ritrovato a darvi che questo. Io anche ci avea
qualche scrupolo a farlo, potendo a taluno parere che male al grado vostro, e
a quel che siete si convenga la offerta di una commedia, ma basta che a voi
non paia, e non può parere, perché ben conoscete quale stima si debba anche
avere di un tal genere di poesia, che certo non men d’altro può giovare, e
forse più d’ogni altro diletta, e tante a trattarlo ha difficoltà che non so
se altro il pareggi. Voi ne avrete veduto ancora non
poche dedicate a personaggi altissimi, e anche sacri, onde non può sembrar
ciò mal fatto che ai goffi, di cui non curo, né voi dovete curare; sono rane
da lasciar gracidare nel loro pantano. La
sconvenevolezza si è che voi la offerta di una poesia buona meritereste, e
l’avete di una mala, ed insulsa.[21]
Tornando in cammino dico, cioè, che vi ho mille obbligazioni, e n’ho piacere
quanto mi piace di essere amato da voi; ma se all’animo mio verso voi le
forze corrispondessero, voi altrettanto a me fareste debitore, e nol siete per nulla. Ringraziate però Dio che oltre
l’animo v’ha dato ancora di che farlo conoscere, perché v’assicuro che
l’animo senza le forze egli è pur la gran pena. Quale onore non mi avete voi
fatto e in voce, e in iscritto? Quai consigli, e conforti non mi avete sempre
recato? E non son già così scemo di giudicio che con la offerta di una tal
commedia estimi di soddisfare a tanto, e neanche in picciola parte; anzi per
questo che io vi do, può essere che mi s’accrescano i debiti con voi, daché vi do una cosa che molto abbisogna del favor vostro
per comparire da più che non è, quanto il favore può fare di un egregio, e
singulare poeta; onde voi vedete che io fo come chi dona altrui un suo
figliuolo, acciocché quegli lo allevi, custodisca, e difenda; dono da aversi
più invidia a chi può farlo che a ch’il riceve. Circa poi lo intendere a
farvi onore, sarebbe cosa per me disperata ch’anzi da voi ne ricevo, dal
vostro nome; e poi tanto ve ne siete fatto voi con le vostre
rare, ed eleganti poesie, e tanto siete per accrescerlo, se mai pubblicate le
vostre rime, e le belle commedie del Molière da voi così graziosamente, e con
versi così puri, e tersi nella nostra lingua traslatate[22] ch’io farei il maggior presuntuoso
del mondo, e più di quello della mia commedia, se di tanto mi lusingassi; e
forse ciò è stato, perché non sapea indurmi a
tentare di farvi onore, e il cuore alle volte ritrae con certi segreti
movimenti l’uomo dal far ciò che non dee, quantunque l’appetito, e il mal
giudicio volessero il contrario. Quanto voi siate poi cortese, affabile, e
umano, per Dio che tutti coloro che hanno avuta pratica con voi, meglio il
sanno ch’io non saprei dire, e molti di questi a quei che nol
sanno, meglio il diranno di me. Con l’esser tale voi veramente corrispondete
alla gentilezza del vostro sangue, e della vostra
schiatta,[23]
come fa anch’egli il reverendissimo padre don Giambatista vostro fratello, e l’altro fratel vostro
il conte Francesco Saverio; e come se l’amore fosse cosa che per
contatto, o per pratica, altrui s’appiccasse, essi di quello che per me
avete, sono pieni, e mi hanno della loro bontà, e cortesia date pruove manifestissime. Quanto vaglia il primo in sapere, in bontà, e prudenza,
lo ha dimostrato la inclita vostra religione somasca, eleggendolo a suo
generale con universale consentimento, e
lo stesso fece la illustre città di Pavia, quando per affari rilevantissimi inviollo
a Carlo VI Imperadore, da cui fu accolto, come da tutta la corte, con
argomenti di grandissima stima;[24] e quanto il secondo, ne suona tal
fama, e tale l’ho conosciuto anch’io che ben dirittamente egli è stimato
degno di voi: egli pure compone versi leggiadramente, e dottissimo è, massime
nelle leggi, e nella filosofia, in cui pone ogni sua cura, e in tal guisa che
molti che sono in ciò rinomati, si lascia addietro.[25] A
tutti e due raccomandatemi, e loro quanto vaglio offerite; e più per cagion
loro che per altro mi spiace di valer poco. Amatemi, e fate il più che
potete, perch’io vi rivegga,
e possiamo rinovare alcuni di que’ soavi ragionamenti che per molt’anni,
e giornalmente, facevamo, trattando insieme.[26]
Conservatevi al vantaggio delle buone lettere, e al piacere de’ vostri amici. |
Attori
cleandro
pomponia, madre di Cleandro
geronzio, zio di Cleandro
ersilia, sorella di Cleandro
olimpia
arcilungo
masaccio[27]
dorina
falco
La
scena è in casa di Cleandro.
Prologo
Ahah, signori miei, via, confessatelo;
nel vedermi
vi siete dato a credere,
ch’io sia un di quei c’hanno qui a fare i comici,
e che per
questo io sia montato in pulpito,
5 ma
v’ingannate; non son un che reciti
ne la
commedia, o la vogliam dir favola,
ma un cotal
dal poeta ora mandatovi
a dire alcune
cose ch’ei desidera
che vo’
sappiate, se volete attendermi;
10 insomma i’ son,
con riverenza il Prologo.[28]
Ma par che
vo’ ridiate! E che! Non sembrovi
un Prologo
leggiadro, e di buon’aria?
Un po’ lacero, è vero, ed un po’ succido,
ma dovete pensar ch’io sto al
servizio
15 d’un poeta, e i poeti non ci badano,
se son puliti, ovvero pien di zacchere,
e il mio padrone io so che ben v’è
cognito.[29]
Ma questo non
è quello che dir debbovi,
vi debbo
dire, che questa commedia
20 è L’Ignorante
(e appunto eccovi il titolo)
Presuntuoso, insomma un c’ha dovizie[30]
molte, e
presume d’ogni cosa intendersi,
quantunque egli ne sappia come un asino.[31]
Vi giura poi sopra la sua coscienzia
25 quel cotal che ha composto la
commedia
che, se tolse a imitar questo
carattere,
non volle alcun precisamente
togliere
ad imitar, per farne al mondo
favola,
ad uomo
onesto cosa disdicevole,
30 e la quale anche a farla v’ha
pericolo
che ne patisca alfin
la nuca, e l’omero;
ma se, per avventura, com’è
facile,
avverrà che il ritratto che qui formasi,
a taluno riesca alquanto simile,
35 sarà puro accidente, e colui lagnisi
non del poeta, ma di sé medesimo,
il qual per poco senno, o
infingardaggine,
esser si trova a tal ritratto
simile.[32]
Talor pinte
sui muri non si veggono
40 a chiaroscuro
certe brutte maschere,
sol per
capriccio, ed ornamento postevi,
che i
dipintori mascheroni appellano?[33]
Or quante
volte alcune se ne trovano,
e si dice: «Quel
ceffo, affé, somigliasi
45 a Tizio: Ah!
guarda, questo egli è Sempronio»;
e pur sarà
sovente più d’un secolo,
che il
dipintore è divenuto polvere,
prima che
Tizio, e Sempronio nascessero.
Così mo’ interverrà, se mai ritrovasi
50 che alcuno sia sembiante a questa
immagine
che il mio padrone ha qui voluto
esprimere;
opra sarà del caso, e non malizia
di lui ch’è
po’ un omaccio buono, e candido[34]
più che armelin, né in cotal fango imbrattasi,[35]
55 non piacendogli fare ad altri
ingiuria.
Mi ha detto
ancora, ch’io vi dica libera-
mente ch’ei
non intende or farvi ridere
tanto che
v’abbia da doler lo stomaco,
perché il
buffone ei non vuol farvi, e studio
60 mai non ha posto
in sì fatto esercizio
ch’anzi più
tosto è cacasodo, e serio;[36]
e se
buffonerie da voi si bramano,
ite a’ teatri ’v’ fannosi commedie
da zanni, e da buffon,
piene d’inezie
65 di strambi casi, e fuor d’ogni
proposito,
senza curar le leggi che
prescrivono
la semplice natura, e il
verisimile.
Oh là si
ride, oh là la bocca schiudesi;
s’empiono i palchi, e la platea di
strepiti;
70 ma il fan gli uomini goffi, il fan le
femmine,
ed i fanciulli, c’han
poco giudizio,
gli altri più tosto ne ritraggon tedio;
ma questi pochi son, quelli
moltissimi,
perché il peggior sempre il
contrario supera;[37]
75 no, voi vedrete
che qui non si carica
il costume in
tal guisa che non possasi
trovar più
d’uno al quale rassomiglisi.
L’autore intende di giovare al prossimo
col far del vizio favola ridevole,
80 e non correggeria
quando sì carico
il vizio fosse che tutti potessero
dir: «Non son desso, e qui per me
non parlasi»,
e sottrarsi così da quello stimolo
che dovria
dal difetto suo rimovere,
85 e ogni difetto, ancorché non sia
massimo,
in uom di garbo è cosa da
correggere.[38]
Cercato ha
ben, per quanto gli è possibile,
di qualche sale,
e qualche grazia spargere
i versi suoi,
così che ne le viscere
90 voi vi sentiate
dolcemente nascere
quel non so
qual diletto, il quale agli uomini
convien che
han senno, e fan che sia commedia.
Quel poi, che
in sé contenga questa favola,
se vel
dicessi faria cosa inutile.
95 Se a l’atto primo voi darete orecchio
con pazienza,
lo potrete apprendere,
anzi, s’ora
il dicessi, allor dovrebbevi
il ripeterlo
dar tanto fastidio
che venir
sonno, e sbadigliar facessevi.
100 Io m’ho finito, e
però voglio andarmene,[39]
e qui dar
luogo ad una savia giovane,[40]
e a la fantesca sua, perché incomincino
quella
commedia ch’or da voi qui aspettasi,
e l’aspettare
è cosa rincrescevole.
Atto primo
Scena
prima
Ersilia, Dorina.
ersilia Credilo a me,
Dorina, è una miseria
il nascer donna,
e quando una ne nasce,
quasi direi che
invece di nudrirla
la balia fesse
meglio a soffocarla.[41]
5 Vivere ci
bisogna a modo altrui;
bisogna che noi
ci chiudiam per sempre
entro di un chiostro, o
che prendiam marito,
e a modo altrui; et io né
l’un, né l’altro
i’ vorrei far, ma vivere
in mia casa
10 lavorando, per
non starmi oziosa
che non conviene a chi è
ben nato, e ancora
leggendo, da che v’ho
tanto diletto.[42]
dorina Sì; e che diletto! Altro
già mai non fate.
ersilia Certo, se i’ nascev’uomo, avrei badato
15 agli studi, e
quantunque io sia donna,
chi sa, se il mio signor
padre vivesse,
che non m’avesse ancor
fatto insegnare;[43]
e sai, Dorina, hanno le
donne anch’esse
ingegno adatto ad imparar
di tutto,
20 e noi ne abbiamo
esemplo tal che basta
per cento;
ma così non l’hanno inteso
la madre, e il zio, a cui sono suggetta.
dorina È avaro il zio, né avrà voluto spendere.
ersilia Oh se avesser
per me fatta una piccola
25 parte sol di ciò c’han fatto pel mio
fratello, i’ vorrei lor
far altro onore;
ma questa è la miseria di
chi nasce
donna che ci convien,
così non fosse,
far l’altrui volontà con
nostro danno.
30 dorina Voi dite bene, i’
non posso negarlo,
ma per me non ci trovo
tanto male,
né che il nascere donna
sia miseria.
So che non cambierei
questa gonnella,
qual la vedete da pochi
baiocchi,[44]
35 con un paio di
brache, ancorché fussero
di velluto arricciato,
sopraffino,
e avessero il botton
d’oro massiccio.
Mille intrichi hanno gli
uomini che noi
non abbiamo. A lor tocca
mantenere
40 di tutto la
famiglia, e se non hanno
danari, oh questa, oh
questa è una miseria;
e
il sa l’autore di certa commedia[45]
che in questo tempo, e
non lontan, si recita.
Quando una donna non è
affatto stolida,[46]
45 e del vantaggio
che le diè natura,
sappia valersi, invece
d’esser suddita,
gli uomini a sé fa
schiavi, e per lo naso
così li mena che senza
avvedersene
se n’andrebbono
a Roma i poveretti.
50 E i più ruvidi,
ed aspri, se una fresca
fanciulla parla loro
dolcemente,
e
li guata, sen vanno in succhio, e in broda,
e si fan molli, e lisci più che sugna.[47]
Che poi sia una miseria
il tor
marito,[48]
55 voi nol sapete ancor, ma fate in modo
ch’io ’l provi, e
poi ve lo saprò ben dire.
ersilia Tu sempre in capo
hai simili follie.
dorina Follie se voi
volete, ma mi piacciono.
Voi siete
donna, e non lo siete, non
60 sentendo quello
che sentono l’altre.
Il parlarvi
d’amore, oibò, oibò;
meglio è
parlar di cancheri, e di fistole.
Vorreste, e
solo questo è il vostro amore,
leggere
tuttodì, né mai far altro,
65 come se aveste a
farvi dottorare,
e pur le
donne sono assai sapute,
s’elle sanno farsigli, e sol per questo,
e non per
altro, i’ credo che sien fatte.
ersilia Tu credi male, e
credi da tua pari.
70 dorina A voi dispiace di
non esser uomo,
perché
vorreste pure andare a scuola,
e sol per
questo voi portate invidia
al fratel
vostro che il potrebbe fare.
Ma gli è nemico mortal de lo studio,
75 come l’è il mio diretro de l’ortica.[49]
ersilia Guarda che sorta
di destino è questo.
Cleandro mio fratel, giovane, ricco,
ed un de’
principali certamente
di questa
terra, a pena a pena un poco
80 sa, se pur ei lo
sa, leggere, e scrivere.
dorina Fors’egli dee pensar che
ciò convenga
a un nobile signor
suo pari, e in questo
pensiero ei
non è solo certamente.[50]
ersilia E ad un suo pari
pur convien sapere;
85 e appunto la
signora madre ha fatto
quant’ha
potuto perch’egli imparasse,
ma non v’è
stato mai modo, né via,
anzi qualora
si parla di studio,
ei beffa
tutto ciò che se ne dice,
90 e deride
qualunque sen diletta.
dorina E pur su qualunqu’opra ei fa il maestro;
egli insegna
al sartore, insegna al cuoco,
egli sa fare
il medico, il pittore,
l’architetto,
e di guerra non v’ha dubbio,
95 ch’ei ne sa più
d’un maresciallo, insomma
lasciate fare
a lui che sa di tutto.
ersilia E poi non sa ciò
che si dica, e faccia;
ma, questo è
il ver, bisogna confessarlo,
questo è il
difetto di molti che sono
100 alquanto ricchi, e
che per nascimento
han sopra gli
altri qualche autoritate,
e quel che
più li guasta, e fa superbi,
è l’adulazion, la sofferenza
de’
poveretti, i quali hanno bisogno
105 di trar guadagno de la loro industria,
per mantener
sé stessi, e la famiglia.
dorina Sì, questo è il
male, perché allora il ricco
si gonfia, e
a suo piacer dice spropositi
grossi, e
rotondi, e l’un vien dietro l’altro,
110 come i barberi allorché vanno al palio,[51]
egli pare che
sien perle, e rubini.
Oh che disgrazia è l’esser poveretto!
Quand’un di questi cotali favella
gli conviene
chinar la testa, e applaudere,
115 e buon patto gli
sa, s’egli può andarsene
con la mercè
del suo lavor.
ersilia Mi fai
rider,
Dorina, ma tu parli bene.
dorina Fuori poi con gli
amici se ne prende
gioco, e
racconta quante gaglioffaggini[52]
120 il ricco disse, ed
il paese tutto
ne fa le
beffe, e quindi il signor ricco
viene
mostrato a dito, et è chiamato
un cuculo
solenne. Ma lasciamo[53]
questo ch’io
non so come possa entrare
125 in ciò che
dicevate circa l’essere
donna, di cui
cotanto vi dolete.
ersilia Io ti dico di
nuovo ch’è una cosa
dura a
soffrirsi ch’io contra mia voglia
debba uno
stato eleggermi diverso
130 da quello, in cui
mi vivo contentissima,
e tu vedrai
che alfin sarà così.
Io poi, che
certamente avrei avuta
volontà di
studiar quant’altri, e apprendere,
io son nata
una donna, perché debba
135 badar, secondo il
pazzo umor degli uomini,
a cose
solamente vili, e basse,
né imparar mi
si sia fatt’altro, e poi
per mio
fratello, cui meglio era attendere
a cucire,
filare, ed innaspare,[54]
140 tanto speso si
sia, perché apprendesse.
dorina E
han gittato il sapone, e la lisciva,
come colui che lava il capo a l’asino.[55]
ersilia Ma tra noi due ci
sia questo divario,
ed è che se noi siamo duo ignoranti,
145 io ne trarrò
pietate, egli vergogna.
dorina Non è sì facil, no ch’egli ne tragga
vergogna. Il non sapere è fatto usanza,
a cui ciascun per comodo
s’appiglia
non si fa gioco mai di chi è
sciancato
150 colui che va col
bastoncello, e zoppica.[56]
ersilia Ma il caso è poi
ch’egli sospira, e spasima
per la
signora Olimpia che tu sai
quant’è
vivace, e spiritosa, e tanto[57]
non fosse
ancor di sé piena, ed altera.
155 Dottoressa non è,
ma sa distinguere,
e prezzar
quei che sanno.
dorina S’egli è vero,
con questa
per mia fé ch’ei non dovrebbe
poter
spacciar la sua marcatanzia.
S’ella un po’ poco solo sa discernere
160 il popon da la zucca, i’ voglio dire,[58]
se non sì
facilmente si contenta
di chi sol
legger sappia l’a, bi, ci,
poco vostro
fratel dovria piacerle.
Padroncina,
scusate se m’avanzo
165 un poco troppo. I
sono d’una fatta
che ciò che
ho dentro, mi convien sputarlo.
ersilia Sputa pur quanto
vuoi che ti perdono.
Certo poco
piacer le può Cleandro,
essendo ella
sagace, e spiritosa,
170 ma egli è ricco,
ed ella non l’è molto.
E poi sì
piena ancor di vanagloria
ch’ella
vorrebbe che ognun sospirasse
per lei; e credo quasi che sel tenga
a
ingiuria, se si trova per fortuna
175 alcuno che non
bruci, e non sospiri.
dorina Ancor può esser
che le piaccian quei
che poco
sanno, essendo avvezza a un padre,
il qual, come
sapete, è propio un bussolo,[59]
perché la
figlia a suo piacer dispone
180 di tutto, come
appunto ei non ci fosse.
Ma mi diceste
già che volevate
mandarmi in
un servigio, et or non dite
quel ch’abbia
a far.
ersilia Sì, vanne, e prestamente
per quella
cuffia da monna Calfurnia
185 ch’esser finita
dee, se il ver mi disse.
dorina I’ vado, e torno
in men che i’ non l’ho detto.
Ersilia Intanto qui t’aspetterò leggendo.
SCENA SECONDA
Ersilia, Cleandro.
cleandro Pistaccio, s’or venisse il
parucchiere,[60]
digli che si
riprenda la parucca
ch’io non la
vo’ sì fatta. Oh l’è ben bella;
voglion questi operai fare a lor senno,
5 e non al mio. Ch’e’ faccia quel che i’ dico,
e resti
persuaso ch’io saprei
insegnargli
di fare il suo mestiere.
Sorella,
sempre siete intenta a leggere!
Nulla v’ha
che più logori la vista.[61]
10 ersilia Voi ci dovreste
veder più che un’aquila.
cleandro Io me ne glorio,
e non vo’ morir tisico
per lo troppo studiar. Non è più degno
d’invidia un asinel ben sano, e grasso[62]
che un
dottore, il qual paia dissepolto,
15 e per la via
sputi i polmoni, e il fegato?
ersilia Non dubitate,
perché sano, e grasso
sempre
vivrete, e non morrete tisico.
cleandro Ah voi mi
deridete, ma per dirvela
assai mi
piace d’esservi argomento
20 d’umor giocondo,
e di motti piacevoli,
perché sapete
ch’io v’amo moltissimo.
ersilia Molt’obbligo io v’ho di tanto
amore.
cleandro Ma che fate voi
mai, io nol so intendere,
25 di questo vostro
legger di continuo?
Non so qual
frutto ne possiate traggere
se non se
noia, stanchezza, e disagio.
ersilia Qual frutto,
dite! Cento, e cento cose
trar se ne ponno necessarie al vivere
30 civile, e umano,
e a tale effetto i libri
si sono
impressi, e s’elli non s’avessero
a leggere, saria ciò stato vano;
e gli
scrittor che in farli il tempo spesero,
sarian degni di biasmo, e non di lode.
35 Vi s’imparan bei modi, e bei costumi,
ad usar la virtute, e aver in odio
il suo
contrario; vi s’impara come
di nulla non dobbiam esser superbi;
a governar
noi stessi, e il nostro onore;
40 in somma per la
gioventù ben nata
non v’ha cosa
miglior che buoni libri
sempre aver
presso, e meditarli, e intendere
che benché
muti pur son gran maestri.
cleandro Io senza libri, e
senza perder gli occhi,
45 e il cervello in
leggendo, grazie al cielo,
meglio degli
altri tutto questo io pratico.
ersilia Me ne rallegro,
perché gli è difficile
che s’impari
a saper ne
le combriccole,
ove ozioso vi
passate il tempo
50 tra gente goffa che sol ciancia,
e mormora.
Quantunque i’
viva a me medesma, i’ so
quel che si
spaccia in così fatte scuole.[63]
Se poi v’ha un scimunito, senza spirito,
se ne
prendono mille spassi, e dangli
55 a intender le
più strane, e sciocche frottole
del mondo.
cleandro A me non le dariano
a credere.
ersilia Questo non so, so ben, per quanto ho inteso,
che ci fu un
vostro pari, e il nome il tacquero,
a cui diedero
a credere che in Francia
60 v’ha un vitel nato, ed allevato in guisa
che, come
fosse un rosignuolo, canta
più d’una
canzonetta.
cleandro Voi ridete!
ersilia E dissero di più
che il Re Luigi
l’ha nel suo
gabinetto entro una gabbia.
65 Ora
pensate s’egli allor facesse
i circostanti
sganasciar di ridere.
cleandro A me cosa non par
tanto da ridere,
e vi confesso
ch’io mi fui quel desso.[64]
ersilia Fratel, che
questa cosa a voi non sembri
70 da ridere, mi spiace; ma vi avranno
tenuto
proprio per un uomo scemo
che stima
vere così fatte inezie.
cleandro Ma perché ciò?
Voi mi fate stupire.
Se ne sentono
ancor de le peggiori,
75 e si credono
pure; ora per quale
ragion non
debbo prestar fede a questa?
ersilia Voi non sapete
scernere le favole
dal vero, e
perciò spesso voi vi fate
favola de le genti.
cleandro Nulla
importa.
80 Ma da che mi
parlate francamente,
francamente
ancor io vi vo’ rispondere,
e ridir
quello che v’ho sempre detto:
io non
pretendo d’essere in Bologna,
né in Padoa,
né in Parigi dottorato.
85 So quel che ad un mio par convien sapere,
e ciò mi basta senz’altra dottrina.[65]
ersilia Via, proseguite,
e vi farete onore.
cleandro Ho di retro un
onore così fatto,
ne è quel
ch’io cerco.
ersilia Oh
quanto ciò mi spiace,
90 che nulla speme
v’ha per voi d’amenda!
cleandro Sempre è onorato
chi ha poderi, e soldi;
in faccia almeno.
ersilia Ecco chi vuol parlarvi,
e certo a sol
a sol, però men vado. [66]
cleandro Andate se volete.
ersilia Addio, fratello.
Scena Terza
Cleandro e Falco
cleandro Che vuoi tu,
Falco?
falco
Nulla; solamente
vo’ una
lettera darvi che mi ha data,
acciocché ve
la dia, la mia padrona.
cleandro Dammela qua.
falco Eccola.
cleandro Presto, dammela.
5 Che tante
cerimonie? Dalla qua.
falco So il mio dover, né vo’ mancare. (vuol
por la lettera sulla cima del capello, e gli cade in terra il capello, e la
lettera) Oh diavolo!
cleandro Gaglioffo! (s’abbassano
per tor su la lettera, e cozzano insieme col capo)[67]
falco Oimè la testa!
cleandro Un corno. Quasi
m’hai rotto
il capo.
falco I’ posso
ringraziare
il ciel, signor, che non avete
moglie.[68]
10 cleandro Or via lasciam andar; v’ha poco male.
Ma di’ tu il
ver che a me vien questa lettera?
falco La viene a voi, se voi
sapete leggere.
cleandro Insolente. Se tu
non fossi il servo
de la signora Olimpia, io già t’avrei,
15 tristo che sei, t’avrei già sbudellato.[69]
falco Manco male.
cleandro Or vien qua. Dimmi che
dice,
e ciò che da
me chiede la garbata,
la bella, e
graziosa Olimpia mia.
falco Quel ch’ella vuole, e dice,
vel vedrete
20 se aprirete la lettera; ma pare
che temiate
d’aprirla come s’entro
cleandro Ecco ch’io l’apro;
tuttavia dimmi ciò ch’ella contiene.
falco La non è già né turca, né
tedesca.
25 Credo, che tanto
egli sappia di lettere
quant’io ne
so.
cleandro Mi dole un po’ la testa,
e pare che mi
venga la vertigine.
Leggi tu,
caro Falco, e già m’è noto
che sai de la padrona ogni segreto.
30 falco
Ch’io legga?
cleandro Sì.
falco Oh questo gli è un imbroglio!
Ci a ca, er
u rus carus...
cleandro Fa presto.
falco Se non mi date almen due, o tre giorni
di tempo, i’ non so come i’ m’abbia a fare. [71]
cleandro Or
va, che tu se’ un asino.[72]
falco Signore,
35 dovete compatir
s’io non so leggere
sì francamente come fate voi.
cleandro Va tosto, e di’ a la signora Olimpia
che la
lettera sua mi fu gratissima.
falco Ma che nessun di noi la
seppe leggere.
40 cleandro Dille che presto ci
vedremo, e quello
che voglia,
intenderò più chiaramente.
falco Perché così avete poco
inteso.
cleandro A lei mi raccomanda, e prendi intanto.
falco Signor, non
fate... Io vi son obbligato.
Scena
Quarta
Falco solo.
Se leggesse
sì ben com’egli paga
ei farebbe un
dottore di Sorbona.[73]
Oh questo egli è un lustrissimo a la moda!
Finché non
sappia leggere un facchino,
5 un guattero,
qual io mi son, va bene,
ma un signore
sì fatto, come egli è,
gnaffe, gli è propiamente un
vituperio.[74]
Atto
secondo
scena
prima
Pomponia, Olimpia, Falco.
pomponia Quest’è un
appartamento, onde si passa[75]
a quello di
mia figlia.
olimpia È molto bello,
e addobbato,
ed ornato riccamente,
e con molta
eleganza.
pomponia Quando poi
5 Cleandro mio figliuol prendesse moglie,
saria l’appartamento de
la sposa.[76]
olimpia Io qui ci vedo assai belle pitture.
Ma che
ritratto è questo? Par che alquanto
io lo ravvisi.[77]
pomponia Egli è il marito mio,
10 ma quando egli
morì, voi eravate
così
fanciulla ch’ora non potete
certo averne
memoria.
olimpia Egli
somiglia
molto a Cleandro.
pomponia Oh gli era l’uom di garbo,
che tutto sapea ciò che conveniva
15 ad un suo pari;
e nel paese, e fuori
era molto
stimato, e riverito.
falco (Cleandro, in buona fé,
sarà bastardo.) (da sé)[78]
pomponia Oh quanto
egli mi amava! Oh quante volte
mi dicea:
«Moglie mia, non ve n’ha un’altra
20 donna come voi siete, e ch’abbia
tanto
ingegno come voi».[79]
olimpia E dicea il
vero.
pomponia Poverino! Egli
ben mi conoscea,
e sapea ben quant’io valessi. Ma,
troppo,
signora Olimpia, il figlio mio
25 tarda a venire, perch’io ben comprendo,
ch’egli
è cagione de l’onor che fate
a la povera nostra casa.
olimpia Ah voi
meco
scherzate, signora Pomponia.
pomponia Io non
scherzo, e so che molto v’aggrada
30 che anch’esso il
mio figliuol per voi sospiri;
e veramente
voi lo meritate.
falco (Adesso, adesso liquefassi tutta.) (da
sé)
olimpia Grazie al ciel,
se d’amanti avessi brama,
io n’avrei da potermi saziare,
35 ma tutti quelli che per me sospirano,
non mi fanno piacer. Io son d’un
gusto
in questo, molto dilicato, e fino.[80]
pomponia Il siete
in tutto, e se nol foste in questo
fareste ben maravigliar la gente.
40 Essendo però tal
io non so intendere
come Cleandro vi possa piacere.
olimpia Perché? Fors’egli
non è grazioso?
Non è di
molto ingegno? Egli pur mostra
di saper
molto, e par che molto sappia.
45 falco
Oh questo è ver;
basta sentirlo a leggere,
ch’egli fa propio innamorar.
pomponia L’amore
troppo v’acceca,
e non vi lascia scernere[81]
i suoi
difetti.
olimpia L’amor non m’acceca,
e se gli
occhi degli altri in me s’abbagliano,
50 i miei negli
altri non fanno lo stesso.
Scena
Seconda
Cleandro, Pomponia, Olimpia,
Falco.
cleandro Signora Olimpia, ma! Questo è un
miracolo!
Posso ben un
tal dì notare, e scrivere
nel mio
lunario per un dì felice.
falco (Piano di grazia un po’ con
questo scrivere,
5 ma forse ch’ei
ne saprà più che leggere.) (da sé)
olimpia Qui mai non fui, e propio
era vergogna mai
che stando
quinci dirimpetto,
non venissi a
inchinare, e riverire
la signora Pomponia, e la signora
10 Ersilia, ambedue
mie care padrone.
pomponia Signora,
noi vi siam serve obbligate.
cleandro Ersilia ov’è?
pomponia Sta nel giardino, e bada
a certi innesti ch’ella ci fa
fare,
daché
ella molto si diletta, e molto
15 d’allevar fiori; e poi non ha
saputo[82]
ancor che qui
siate venuta.
cleandro Noi
pur andrem nel giardino in breve a prendere
un poco
d’aria, e vo’ che la signora
Olimpia vegga il giardin nostro.
20 Ma, signora
madre, avete vo’ ordinato
al camerier
ch’egli facesse un poco
di
cioccolata, e che qui tostamente
pomponia I’
gliel’ho detto, ed ora
vado a
sollecitarlo, perché alquanto
25 è pigro.
olimpia Mi dispiace il vostro incomodo.
cleandro Quando bevuto avrem,
noi pur verremo
a ritrovarvi,
e a mia sorella il dite.
olimpia Sì verremo.
pomponia I’ men vo dunque con vostra
buona
licenza, e nel giardin v’aspetto.
30 olimpia
Usate pur di vostra libertate
a vostro
senno.
Scena
terza
Cleandro, Olimpia, Falco.
cleandro O là.
Su, servidori,
date un po’
da seder. Ma non v’è alcuno.
Che diavol fan costor!
olimpia Via,
da sedere,
Falco. Falco,
via presto da sedere,
5 presto.
falco Deh compatite, perché m’era
venuto sonno,
e debolezza grande.
non aveva il quagliotto fatto ancora
squaquaraquà
quando i’ mi son levato,[84]
e son anche digiun.
olimpia Su via fa presto. (Falco porta due
sedie, e poi un’altra su cui si pone anch’egli a sedere)
10 cleandro Cara
Olimpia, sedete, e se mi date
permissione,
anch’io qui presso voi...
ma in casa
vostra, dite, così s’usa,
da’ vostri
servi?
olimpia No,
ma gli è un buffone
costui, e fa
così per farci ridere.
15 Levati, Falco,
che qui non vogliamo
scherzi. (porta
via la sedia)
cleandro Un po’ di rispetto a
la padrona.
falco Che pazienza essere
stracco, e avere[85]
una fame che propio è maladetta,
e non poter
sedere, né mangiare!
20 olimpia Signor Cleandro,
oh che piacer io sento
qualor i’ son con voi!
cleandro Cara. (passa
il cameriere con la cioccolata vicino a Falco, che ne prende una chicchera,
perché il cameriere gli dà delle pugna. L’altro
strappa al cameriere la parucca, e cadono intanto la
sottocoppa, e le chicchere)
Ma ecco
la cioccolata, meglio sarà bere
per poter
poscia ragionar con agio.
olimpia Guardate! Falco, i’ non so chi mi tenga...
25 cleandro Su,
fermatevi, su matti che siete,
e più che
matti, villani insolenti.
Pistaccio, presto porta su quattr’altre
chicchere
piene, e guarda quel che fai.
olimpia No, Cleandro;
scusate. Io vi prometto
30 ch’anzi mal volontier io la prendea.
Qualche
gravezza mi sento a lo stomaco,
né credo che
la cioccolata possami
punto giovar.
Galantuom, vi ringrazio;
più non ne
fate. Io per me stimo ch’anzi
35 giovevole mi sia
questo accidente.
cleandro Quel che
vi piace mi deve piacere.
Ma qual
grazia è mai questa? Onde deriva
che ne siete
venuta ad onorare
questa mia
casa, di voi certo indegna?
40 olimpia
Il non vedervi n’è stato cagione.
Io
m’aspettava, dapoiché vi scrissi,
e non mi
rispondeste che vo’ invece
di risposta
veniste, e assai più cara
di una
lettera, ancorché molto cara,
45 mi fora stata la
vostra presenza;[86]
ma i’ non ne
sono stata degna, e tanta
beltà, né
grazia non ho certamente
che possa
meritar sì grand’incomodo;
incomodo però
che a molti, e molti
50 sembrerebbe leggier, se aver potessero
in mercede
l’amor ch’io per voi[87]
sento sincero,
e vivo.
cleandro Io ne son confuso;
e voi,
signora Olimpia, siete meco
liberal
troppo di favori, e grazie.
55 olimpia
Io vi dirò liberamente quello
di che io
dubitava. Io dubitava,
che l’altra
sera voi foste partito
da la mia casa con qualche disdegno,
per
l’ostinato contrastar che fecero
60 alcun di que’ signori che vi sogliono
venir la
sera, a intertenersi meco.
cleandro Son
contrasti d’ingegno, e nessun deve
di ciò
prendersi impaccio.
olimpia Questo è vero,
ma il
contrastar che fe’ con voi Filindro
65 fu molto acerbo;
e quel meschiare il riso
a le ragioni sue poteva in voi
esser cagion
di qualche giusto sdegno;
e vi prometto
che ne fui non poco
turbata
allor, perché so bene anch’io
70 che talor più
che quello che si dice,
il modo, onde
si dice, è quel che offende[88]
et il peggio
era che quel suo deridere
accompagnato
era dai risi altrui.
cleandro Dicea mille spropositi.
olimpia Ma pure
75 ei fu, non ha
gran tempo, dottorato.
cleandro Di ciò non
fate conto ch’io vi giuro
che anch’io il farei, quando volessi spendere.
È egli
gentiluomo?
olimpia No, non l’è.
cleandro Se non è gentiluomo, contrastando
80 con chi lo è, non può aver mai
ragione,
ma il torto sempre.[89]
olimpia Siete grazioso.
cleandro E chi non sa che tutti quei che sono
ricchi, e son nati nobili, san
tutto?
Dicea colui (guardate s’egli è matto)
85 dicea che sotto a questa terra v’ha
de la gente, la quale stassi in
piedi,
e al rovescio
di noi là giù cammina.
Si può sentir
maggior pazzia di questa?
olimpia Anch’io l’ho inteso, e chiamansi
gli antipodi,
90 e il dicon tutti coloro che sanno.
cleandro E sono
asini tutti. Oh bel vedere
le genti
andar volte col capo in giù,
e starsi
pendolone, come stanno
ne la
bottega d’uno lardaiuolo
95 i presciutti, e i salami! Oh che
pazzia!
Olimpia cara,
ah, ah, creppo di ridere,
ah, ah, ah,
ah; non posso più, tenetemi.
olimpia Ho piacer che di
ciò voi non curaste,
né del rider
che allor fecer di voi.
100 cleandro Io
non do mente a così fatte baie.[90]
Ma ritorniamo
a quello ch’io dicea,
ch’io non mi
so dar pace di colui.
Ei si credea d’imbrogliarmi il cervello,
col dir che
v’era un centro, e che so io?
105 Che sono tutte
quante gagliofaggini[91]
di quei che voglion far da begl’ingegni
e nulla
sanno, e inventano lunari.
Ma se la
gente così andasse, dite,
resteria soffocata che a la gola
110 ci verrian le budella, il core, e il fegato;
e quando poi
volesse alcun mangiare,
o bere, i’
non so come avesse a farsi.
Affé che le
son cose che un ragazzo[92]
non le
direbbe, non le crederebbe.
115 Se si vedesse per
questa soffitta
camminare un
cavallo, un bue, un asino
con la
schiena rivolto verso noi,
non si
direbbe ch’egli è uno stregone?
In questi
vostri ampoditi
che dite,[93]
120 tutte tutte le cose sarien volte
al rovescio;
i palagi, e i campanili,
né porian star diritti, che cadrebbono[94]
a rompicollo.
Eh via, ch’egli è vergogna
parlarne, e
ci son mille altre ragioni,
125 che cotal fola
rendono impossibile;[95]
ma se di tali
inezie io talor rido,
anche talor
me ne vien rabbia, e dico
che questi
bei cervelli, che s’inventano
cotai ciance, son pazzi da catena,[96]
130 né
v’ha risposta.
falco (Oh capita! Ma
pare,
che sappia altro che legger, per
mia fé.) (da sé)
olimpia Voi dite bene, né si può dir meglio;
ma lasciam questo. I’ vo’ darvi una nuova
che vi dovrà
piacere, perch’io so
135 che tutto quel vi
piace che m’è d’utile.
Io ho avuta
sentenza favorevole
de la mia lite, e però la dovrebbe
esser finita.
cleandro Io n’ho certo piacere,
come s’io
fossi quello che l’avesse
140 vinta; sì, cara
Olimpia. (intanto che si fa questa scena Falco belbello
si pone in terra a sedere, e appoggiato al muro s’addormenta)
olimpia Et io
vel credo,
perché so che
mi amate.
cleandro Io
v’amo certo,
e cento volte
più di me medesimo.
Siete pur
finalmente giunta in porto
con questa
lite, e dovreste sentirvi
145 propio tutta contenta.
olimpia È vero; ma
fra tanto
dolce v’ha un poco d’amaro.
cleandro E quale?
olimpia Egli è che mi convien mandare
a Roma cento
scudi questa sera.
cleandro Che cosa è
cento scudi? un zero, un nulla.
150 olimpia
Un nulla appunto, perch’or non mi trovo
averli.
cleandro Non
importa.
olimpia Molto
importa
che senza
questi non val la sentenza,
da che il
mondo è sì fatto che bisogna
comperar la
giustizia, e la ragione
non basta.
155 cleandro Consolatevi che or ora
da me gli
avrete.
olimpia Io non
vorrei, Cleandro,
che voi
credeste, che per questo fossi
venuta a
ritrovarvi.
cleandro Io non la credo,
e quand’anche
voi qui foste venuta
160 per ciò, n’avre’ il maggior piacer del mondo.
Che potrei
far di meno per la bella
mia cara
Olimpia?
olimpia Ah troppo gentilmente
cleandro Eh via tronchiamo
le cerimonie;
or ora voi v’avrete
165 i cento scudi, e
sino a casa vostra.
olimpia Io ve ne rendo mille grazie intanto.
cleandro Basta, voi
finalmente avete vinta
la lite.
olimpia A Dio piacendo.
cleandro E pure i vostri
avvocati non
hanno fatto quello
170 che dovean fare, e s’ella fosse stata
mia questa
lite, certo avrei voluto,
benché sien essi duri, ed ostinati
più
che non sono i muli che facessero
a senno mio.
olimpia E pur vinta ho la
lite.
175 Ma avete avuto mai
litigio alcuno?
cleandro Due liti
grosse, e di grande importanza,
ma non ho mai lasciata la cavezza[98]
sul collo a curiali ch’io non sono
uom da menar pel naso come i bufoli.[99]
180 olimpia
Oh quant’obbligo avete al ciel che diedevi
un ingegno
che sa di tutto! Voi,
non
è da domandar, le avrete vinte
indubitatamente
tutte e due?
cleandro Signora no,
ch’anzi securamente
185 i’ l’ho perdute
tutte e due, ma in guisa
ch’io ne
debbo restare contentissimo.
olimpia Questo è molto, né udii mai simil cosa.
cleandro No; adesso
i’ vi vo’ dir la mia ragione.
Primieramente
vedreste scritture
190 che son propio un incanto propio; e sfido
qualunque ha
vinto alcuna lite a farne
veder de l’altre sì ben fatte; ma,
i’ torno a
dir non ho voluto certo
che
l’avvocato le faccia a suo modo.
195 olimpia
Ma perché dunque perdeste le liti?
cleandro I’ l’ho perdute, perché i’ non l’ho vinte.[100]
Io v’assicuro
che le liti anch’esse
hanno
gl’influssi loro, e fate pure
quanto potete
che nulla vi giova,
200 se voi v’avete le
stelle contrarie
ch’egli è un voler condur propio una barca
a dispetto del vento. Voi avrete[101]
pur visto che
i lunari spesso fanno
prognostici
di liti che hanno a perdersi.
205 Nol potete negare.
olimpia Io non lo
niego.
cleandro Questo è
ver che ho perduto un gran podere,
ma per mia fé, sono due, o tre anni
che la tempesta lo togliea di mira,[102]
e non ne potea cogliere un sol frutto,
210 non una spica di
frumento, non
un sol
grappolo d’uva, e voi vedrete
che gli
avversari se n’hanno a pentire
di questa
lite vinta, et io n’ho a ridere.
olimpia Sempre v’ha a tempestar?
cleandro Sì,
sempre, sempre,
215 perché conosco che
v’è stata fatta
qualche fattucchieria, e dove il diavolo[103]
ci entra,
egli è guadagno lo sbrigarsene,
perché gli è
troppo il mal nemico.
Io ho perduta
una casa, la qual è
220 posta in un sito
d’aria sì cattiva
che sol basta abitarla alcuni mesi
per infermarsi, e voi sapete bene[104]
che lo star
sano val più che un tesoro.
olimpia De la vostra fortuna io mi rallegro.
225 cleandro Ora non
mi rimane altro da fare,
e siane il cielo ringraziato, che
rifar le
spese a la parte contraria,
ma son
dugento trentaquattro scudi
solamente; né
questa ell’è tal somma
230 ch’io me ne debba
prendere travaglio.
olimpia Lodo il vostro coraggio, e il vostro
spirito.
cleandro Grazie al
ciel, tutto il mondo fa lo stesso.
olimpia Egli è peccato, che quelle scritture
sì belle, onde le liti voi perdeste,
235 non s’abbiano a
stampar.
cleandro Voi
dite il vero.
Voglio mandarle a Lelio da la Volpe,
stampatore in Bologna, a quel che
dicesi,
facil,
pulito, insomma un uom di garbo.[105]
olimpia Vogliamo noi discender nel giardino
240 a ritrovare le
signore vostre
che omai gli è villania farle aspettare?
cleandro Sì, datemi
la mano ch’io vi servo.
Scena Quarta
Falco,
Dorina.
dorina Quel gaglioffo
del nostro cameriere
guardate qui
quanta ruina ha fatto![106]
Ragion
vorrebbe che a lui solo, e non
a me,
toccasse di scopar. Ma, piano.
5 Guarda guarda chi dorme là sdraiato,
e sornacchia
che propio pare un porco!
Vo’ far
sembiante via di non vederlo. (gli scopa il mostaccio, e Falco si desta)[107]
La rà la rà la rà.
Oh che fatica!
La rà la rà la rà.
Scusami, Falco,
10 io non t’avea veduto.
falco Affé di
Bacco, [108]
se tu non
vedi un uom grande, e polputo[109]
com’io mi
sono, e nol vedi a quest’ora,
tu
devi aver la vista molto grossa,
e logorata.
dorina I’ me ne gia cantando,[110]
15 e scopando la
casa.
falco Se tu canti,
gli è segno
che hai bel tempo.
dorina
I’
l’avrei bello,
se tu mi
amassi, e come il mio Falchetto
18 tu sei, così foss’io la tua Dorina.
Caro.
falco E che poi
vorresti?
dorina I’ vorrei teco
falco E
poi?
dorina E poi! e poi
divenir la
tua sposa.
falco Oibò,
oibò.
dorina E perché oibò?
son io così schifosa?
Guardami
bene; i’ non ho già la gobba,
non son già
stralunata. Sei tu forse
25 più duro de la pietra del mortaio?
I’ n’ho degli
altri che mi corron dietro,
ma non li
voglio attorno. Ho un lardaiuolo,
un guattero,
un barbiere, un calzolaio;[112]
e se dicessi
ancor che v’ho un dottore,
30 tu non la
crederesti.
falco Il crederei,
perché tanta
ve n’ha di questa roba,
che s’ella
s’ha a spacciare, a ognun ne tocca.
dorina Basta, i n’ho
ancor cent’altri.
falco Adesso
adesso
hai più
avventori che non ha il beccaio.
35 dorina E pur gli è vero; ma tu il buon faresti,
e il bello, e
solo a te tutto darei
questo core.
falco Dorina,
i’ non vo’ core.
Un piatto di
lasagne, ben coperte
di
buon formaggio, più mi piacerebbe,
40 che cento cori.
dorina Falco, a fé tu scherzi
sì graziosamente che innamori.
falco No no, non scherzo, ed anzi
te lo giuro
da cavalier
d’onore. In verità,
io vorrei
prima avere in su la nuca,
45 o sul groppone
cento bastonate
che innamorarmi mai d’alcuna
femmina.[113]
dorina Guardate, crudelaccio! Tu mi vuoi
far piagnere, Falchetto.
falco E che m’importa?
A ridermi ben
ben de’ fatti tuoi;
50 piagni quanto ti par ch’io son disposto
ma via
finiamo questa noia. Addio.
Scena
Quinta
Dorina sola.
Costui non mi
dispiace, e in questo punto
i’ sento che
ne brucio dentro, e fuori.
Gli è vero
che si vanta esser nemico
di noi donne,
ma pur ci vuol coraggio,
5 né disperarsi
mai che amor sa fare
di belle imprese; e non son poi sì inetta
da non saper
condur la cosa in modo
che caschi ne la
rete. Animo dunque,
e se nol so, dicasi pur, ch’io sono
10 un’altra cosa,
ma non più Dorina.
Atto terzo
Scena
Prima
Ersilia, Cleandro, Dorina.
ersilia No,
vi prometto che sinceramente
vi parlo. I’
n’ho sentito de’ peggiori.
Il madrigale
è buono a sufficienza,
e più che non
bisogna, perché paia
5 che voi
l’abbiate fatto. Io non mi vanto
di saper dar
giudicio di tai cose,
ma molti, e
molti i’ n’ho veduti, e letti.[114]
cleandro E pur io penso di
farlo migliore,
mutando
qualche paroletta.
ersilia I’ dico
10 ch’è buono
assai, ed anzi troppo è buono,
perché
quantunque possa esser migliore[115]
che lo
sappiate migliorar, non credo.
cleandro Con quel vostro
ghignar mi fate intendere
che dubitate
ch’io non l’abbia fatto.
15 dorina Buono,
o cattivo, non ho dubbio alcuno
che non l’ha
fatto.
cleandro
Che di?
dorina
Nulla, nulla.
cleandro Tu vai però
borbottando fra denti,
sciocca che
sei.
dorina Signore, il ciel mi guardi
ch’io
dubitassi del vostro sapere.
20 Ma veggo là un
cotale che passeggia,
e non
s’arrischia di venire avanti.
ersilia E
tu va a domandargli ciò che vuole.
cleandro Ell’è pur insolente, e
impertinente colei!
ersilia Gli
è ver, ma tuttavia conviene
25 scusarla che se
le piace di ridere,
per il
servigio de la casa è ottima.
dorina Egli domanda voi, signor Cleandro.
Gli
è il signor Arcilungo, et ha bisogno
cleandro Di’ ch’egli entri.
30 dorina Signore,
entrate che siete padrone.
ersilia Noi con lui lascieremvi
che m’è duopo
ire a trovare la signora madre. (intanto giugne
Arcilungo) [117]
Serva signor.
Dorina andiamo.
dorina Andiamo.
Colui certo è il malanno, o la fantasma.[118]
scena SECONDa
Cleandro, Arcilungo.
arcilungo Son venuto a inchinarvi, e per intendere,[119]
signor Cleandro, come il madrigale
vi sia
piaciuto, e s’egli fa al proposito
che voi
vorreste.
5 solo vorrei
che sopra ci mettessimo
qualche
titolo bello, e che s’avesse
un poco de l’allegro.
arcilungo Senza titolo,
se il
madrigale è buono, s’ha da intendere.
cleandro Benissimo, ma
pure qualche titolo
10 ci vuol, e mel
credete. Ma vo’ intanto
fatemi
grazia, vi prego, di leggerlo,
con
quell’enfasi grave, onde voi altri[120]
poeti recitar
solete in pubblico.
Prendetelo.
arcilungo Signore, ora vi servo,
15 bench’or non abbia la voce a proposito.
Dice dunque
così.
cleandro Io sto a sentire.
madonna,
il viso vostro,
ma
dal balcon sovrano,[121]
20 sceso è per ingemmare il secol
nostro.
cleandro Recita, per mia fé ch’è uno stupore.
arcilungo Avete ne’ bei crini
cento miniere d’oro,
e ne la
bocca chiudete un tesoro
25 di perle, e di rubini;
ond’io che
sono avaro
d’un mescuglio sì raro,
ho ben ragione s’io sospiro, e moro.
cleandro Tirate pur
avanti, perché propio
30 par ch’io mi
senta imbalsamar le viscere.[122]
arcilungo Altro non v’è più
da tirare avanti,
ch’egli è
finito.
cleandro Dunque egli sta bene.
Ma in verità
che ci vuole il suo titolo.
arcilungo Vi dico che gli
antichi non vel posero
35 mai e i buoni
moderni fan lo stesso.
cleandro I moderni, e gli
antichi sono matti.
Il suo titol ci vuole.
arcilungo Or via mettiamcelo. (Arcilungo
caccia fuori il suo calamaio da saccoccia)
cleandro Ma io lo vorrei
vago, e stravagante.
arcilungo Altro non si può
dir se non che: Sopra
40 il bel viso di bella donna.
cleandro
Oibò.
arcilungo Voi mi diceste
pur che lo facessi
sopra questo suggetto?
cleandro
Il dissi, è vero,
ma me ne son
pentito.
arcilungo
Oh!
mi dispiace,
perché ci
vuol un altro madrigale.
45 cleandro No,
non importa, potrà servir questo.
arcilungo Diavol! Com’esser può?
cleandro
Sì; può benissimo.
Chi
dicesse così? Per bella donna
venuta a ritrovar l’amante; o pure...
arcilungo Signore, che mai
dite?
cleandro O pure: A bella
50 donna vestita di rubini, e perle.
arcilungo Ma, signore...
cleandro No, tanto ci va
bene.
scrivete
questo, ed altro non cercate.
Siete un
poeta troppo scrupoloso,
e so quant’è
la libertà poetica;
55 e voi dovete far
quello ch’io voglio,
da che
intendo pagarvi.
arcilungo Non si paga
la poesia
ch’è un’arte nobilissima.
Quel che voi
mi darete il torrò in dono,
perché non
son né gentiluom, né ricco,
60 e per nulla
gittar non posso il tempo
e logorarmi
gli occhi, ed il cervello.
cleandro Non solo i vo’
pagarvi, ma i vo’ darvi
infino a duo
filippi, e ci potete
star, perché
so che avete talor fatto
65 sonetti per
beccai, per vasellai,
e nulla più
n’avete ricavato
che carne di
vitello, o pur di bue
ed orinali, e
pentole, e tegami.
arcilungo Gli
è ver, e più che ver, ma ne venissero
70 da far ch’è meglio compor per
costoro,
che per
signori che sien ricchi, e nobili,
la cui
mercede spesso è un «vi ringrazio».[123]
cleandro Un «vi ringrazio»
non son duo filippi.
arcilungo Di voi non mi
lamento.
cleandro
Ora vediamo
75 alcune cose,
ch’io vorrei mutare
nel
madrigale. Io non son già poeta,
ma se il fussi ci avrei pur la gran vena
scusate; io son
d’un gusto dilicato
leggete, caro
signor Arcilungo.
80 arcilungo Non
è lavoro umano,
madonna, il viso vostro...
cleandro La parola madonna è un poco vile,
e parmi che la non s’avesse a dire,
che ad una
lavandaia.
arcilungo Avete il torto,
85 che anzi è
questa una parola che
solo i buoni
poeti han privilegio
d’adoperar.
cleandro S’egli è così seguite.[124]
arcilungo Ma dal balcon sovrano
sceso è per ingemmare il secol
nostro.
90 cleandro Lasciate
ch’io vi baci, il mio poeta.
quell’ingemmare
quanto mai mi piace!
arcilungo Avete ne bei crini
cento miniere d’oro...
cleandro Questa parola
crini non mi garba.
95 I cavalli hanno
i crini, e non le donne.
arcilungo Il Petrarca l’ha
detto cento volte.
cleandro Il
Petrarca sarà qualche buffone.[125]
Invece di bei
crin dite le belle
chiome.
arcilungo Signore! Ah questo è uno sproposito.
100 Va il suon del
verso, e va la rima al diavolo.
cleandro Vada ove vuole
che a me non importa.
Scrivete come
ho detto, e questi sono
i duo filippi
ch’io vo darvi.
arcilungo Scrivo.
(Oh che
flemma ci vuol qualor bisogna
105 servire un
ignorante che ha quattrini!) (da sé)
cleandro Via proseguite
avanti.
arcilungo Io proseguisco.
E ne la
bocca chiudete un tesoro
di perle, e di rubini,
ond’io;
che sono avaro...
110 cleandro Fermatevi,
perché mi sembra poco
quell’avaro,
scrivete anzi, avarissimo.
arcilungo (Sia costui
maladetto. Oh che asinaccio![126]
Ma voglio
fare tutto quel ch’e’ dice.
Troppo ho
bisogno di que’ duo filippi.) (da sé)
115 cleandro I’ ho
pensato meglio; via scrivete
affamato.
arcilungo Signor, il verso è lungo.
cleandro E che m’importa? I’
non l’ho già da vendere
a palmi, come
fassi la fettuccia.
Mi piace che
sia lungo più che corto;
120 che la scarsezza è
segno di miseria.[127]
Or via
prendete; eccovi i duo filippi.
Datemi il madrigal ch’egli sta bene.
arcilungo Da frigger, per
mia fé. Signor Cleandro,
io vi son servidor.
cleandro Se avrò bisogno
125 mai più di
madrigali, o di sonetti,
mi valerò di voi che non potrei
trovar certo
il miglior.
arcilungo Grazie vi rendo.
Quanto so, e
posso.
cleandro Addio, signor
poeta.
SCENA
TERZA
Cleandro solo.
Vo’ che Pistaccio mio, che ha buon carattere,
con diligenza
il copi, e poi lo rechi
a la signora Olimpia.
Scena
quarta
Cleandro,
Masaccio.
masaccio Servo suo.
cleandro Buon giorno. Via
parlate, e dite presto,
perché ho
faccende.
masaccio Et io nulla ho che fare,
e vi domando
il resto del danaro
5 che mi dovete
per quella pittura.
cleandro Che danaro!
Dovreste vergognarvi.
masaccio Sì voi di non
avermi ancor pagato.
cleandro Io intendo di non
darvi cosa alcuna
che parmi che n’abbiate avuto assai.
10 masaccio Assai!
Ma come assai! S’io non ho avuto
che solo
quattro scudi in varie volte,
e il nostro
accordo è ch’io n’abbia aver otto!
cleandro Appunto otto i’ n’ho
speso. Quattro a voi,
e quattro poi
m’è convenuto dare
15 ad un altro
pittore, acciocché alcune[128]
cose
corregga, ch’eran giudicate
storpie, e
mal fatte.
masaccio Ne le mie pitture
cose storpie,
e mal fatte! Oh questa ancora!
Chi è mai,
dite, quell’asino che ha dato
20 un sì fatto
giudicio?
cleandro Uno che ha fino
discernimento.
masaccio
Et
io vi torno a dire
ch’esser
altro non può che un pezzo d’asino.[129]
cleandro Piano, signor
pittore, piano, piano.
masaccio Vi dico, e dico
forte, ch’egli è un asino,[130]
25 e quel becco
cornuto che v’ha poste
le mani i’
giuro che se n’ha a pentire.
cleandro Manco rumor perché v’avete il torto.
Nel quadro
vostro v’eran falli orribili.
masaccio Ma chi l’ha
detto?
cleandro Io l’ho detto, e il dico.
30 V’era tra l’altre cose un braccio, il quale
era una
spanna più corto de l’altro,
e non si può
negare, perch’io l’ho
di mia man
con un filo misurato.
masaccio Si
può udir peggio! Ma così era fatto,
35 perché così lo
scorcio richiedea,
e richiede
così la prospettiva
che vuole che
le cose si dipingano,
non come son,
ma come agli occhi appaiono.[131]
cleandro Non so di
prospettiva, ma i’ so bene
40 che se m’avessi un braccio in questo modo
corto più di
quest’altro, io farei
rider la
gente com’uom storpio, e monco,
né gioverebbe
il dir che così sono,
perché mia
madre mi fe’ in prospettiva.
45 masaccio Può
sentirsi ragione più sguaiata!
cleandro Abbiate flemma,
il mio signor Masaccio.
Se siete un
buon pittore voi dovete
saper che un
braccio è lungo come l’altro,
così una man,
così una gamba, e un piede,
50 e però voi
dovreste lavorare
bello, e
pulitamente con le vostre
misure. Così
fanno pure anch’essi
i sartori, né
loro val, se un abito
è storpio, il
dire che la prospettiva
55 vuole che egli
sia fatto in cotal modo.
masaccio Altro è fare il
sartore, altro il pittore.
cleandro Lasciate ch’altro
sia, se così fatto
aveste, non sariami bisognato[132]
far acconciar
la vostra dipintura,
60 piena ancor
d’altri simili spropositi.
masaccio Spropositi! Sì voi, voi dite mille
spropositi,
perché non intendete
che sia
pittura, no. Per quattro soldi
che voi
v’avete, vi pensate d’essere
65 un Rafaello in tutto, e siete... basta,
non vo’ dir
altro. So che non m’è stato
fatto mai un
affronto si paffuto,[133]
siccome
questa volta. Via sbrigatevi;
datemi i miei
danar ch’io non vo’ ciance;
70 e a l’onor poi vedrò di rimediare
in un modo
che non dovrà piacervi,
né a quel
cialtrone, e temerario che ha
poste le mani
ne l’opera mia.
cleandro Con quella brusca
cera, e con quel battere
75 il piè, tenendo
una mano su l’anca,
voi vi
pensate di farmi paura.[134]
masaccio Non penso questo,
ma ben vi so dire
che non la
fate a me, che non vi stimo,
e che la
vostra pelle si sforacchia
80 come si fa la
mia. Presto, ma presto
i miei danar, corpo di Bacco.
cleandro Basta,
che non
crediate ch’io m’abbia paura,
del resto poi pigliate. Io non ci bado
a quattro
scudi.
masaccio
Quattro scudi non
85 mi bastano che
vo’ che mi paghiate
il vituperio
che m’avete fatto;[135]
e s’io ve ne
chiedessi cento scudi
poco saria.
cleandro Vo’ tormelo
davanti.
Questi
pittori per lo più son matti,
90 arditi, e
strambi, e fan burle che pelano.[136]
Che c’ho io a dar?
masaccio In questo mi contento
di ciò che
voi vorrete.
cleandro Ecco uno scudo.
masaccio È una miseria.
cleandro Eccone un altro.
masaccio
Or via
datelo, e in
ciò v’avete buon mercato.
95 Circa l’affronto
i’ saprò ben rifarmi.
SCENA
QUINTA
Cleandro solo.
Quattro
scudi; e poi quattro dati a l’altro
pittore che
son otto; ed altri quattro
a costui che
fan dodici, e poi due
per lo suo onore, e tutti fan quattordici.
5 Ho fatto il bel
guadagno.
Scena sesta
Pomponia, Ersilia, Dorina.
pomponia Tutto quello
che io vi
dico, la mia cara Ersilia,
vel dico
solo, perch’io v’amo, e voi
me lo dovete
credere, e non già,
5 ch’io sia stucca che insieme noi viviamo,[137]
ch’anzi vi
giuro che tanto ne sono
contenta che se mai verrà quell’ora
che voi
dobbiate uscir di questa casa,
voi mi
vedrete piagnere, né so
10 quando me ne
potrò racconsolare.
ersilia Signora madre, voi però cercate,
sì che
quest’ora quanto può s’affretti.
pomponia No, figlia cara, no, cara mia figlia.
Così non
dite, perché voi mi fate
15 tutte dentro commovere le viscere.
Sono una
madre, e so che il posso dire,
perché gli è
il vero, sì, sono una madre,
ch’io mi do vanto ch’altra non ci sia
tanto amorosa; ma debbo curare[138]
20 più del ben
vostro che del mio piacere.
ersilia
Senza curarmi di prender marito,
sarei vissuta
in vostra compagnia,
né so bramare
vita più tranquilla.
pomponia Da quella
saggia, e buona educazione
25 che da me
aveste, io sempre più raccolgo
buon frutto,
e ne do mille grazie al cielo.
Dovrebbon le moderne madri apprendere
come allevare
si convien le figlie,
perché sien savie, obbedienti, ed umili.
30 ersilia Quant’ho
di buon da voi lo riconosco.
pomponia Son più
che certa che il riconoscete
da me, e con
ragione, e che vorreste
vivere in
casa vostra lavorando,
e studiando
talor, senza curarvi
35 di prendere marito; ma v’è d’uopo
pensar che
non avete che la madre,
un fratello,
ed un zio. La madre, e il zio
debbono
presto (almen secondo l’ordine
natural de le cose) abbandonarvi.
40 Lo sperare il
contrario è una lusinga,
cui non si
deve prestar fede. Or voi,
quando
fossimo andati a l’altro mondo,
qui
rimarreste in mano d’un fratello
scemo,
ignorante, e poi presuntuoso
45 tanto che i’ nol so dir, ma vo’ il sapete.
Io finalmente
vi essibisco un uomo[139]
ricco, da non
lasciarvi mancar mai
cosa alcuna,
ed è ancor bello, e gentile;[140]
e voi
potrete, a vostro senno, spendere
50 il tempo in
quello che vi sia più grato.
ersilia Voi
dite il ver, ma a dire il vero anch’io;
a questo
stato il cielo non mi chiama.
dorina (Chiama ben me, e
quello che m’incresce,
– ma i’ non
ne ho colpa – è che i’ lo so aspettare.) (da
sé)
55 Signora Ersilia,
la signora madre
così ben
parla che nol faria meglio
un dottore,
che in corpo avesse tutta
la dottrina
del mondo. (Eh, ci vuol tanto
a prendere
marito? Oh perché a me
60 non interviene
sì fatta disgrazia?) (da sé)[141]
Egli è un
gran dir che spesso i buon bocconi
corrono in
bocca a chi li sprezza, e a chi
muore di
fame, senza averne bricciola,
convien che
inutilmente ansi, e sbadigli.
65 pomponia Voi
v’avete il fratel che d’ora in ora
temer si può
che prenda moglie, e tale,
che potreste
pentirvi, e allora invano,
d’esser
rimasta in casa; e chi sa come
vi trattasse
una simile cognata,
70 la quale ha un
padre poi sempre infermiccio,[142]
e scimunito
peggio che un bambino
di latte, ed
ella sel vorrà trar seco,
e con
ragione. No, non troverete
la vostra
mamma, no. Ma non è meglio
75 che l’esser
serva ne
la propria casa,
l’esser
padrona altrove? Il fratel vostro
non vi fa
tanto onor che non vi sia
più vantaggio
l’andare in altra parte.
dorina Et io verrò con
voi, se mi volete.
80 pomponia Tutto
il paese è pien di sue scempiaggini,
e de l’umor ch’egli ha di saper tutto;
oh guardate che ben si può sperare
da chi è
ignorante, e d’esser saggio crede?
L’occasione
che vi si presenta
85 non
può esser migliore, e voi dovete
abbracciarla.
Che dite?
dorina Ella un bel sì
dice
liberamente. Oh se potessi
far come coi
bambini si suol fare
quando si
vuol che piglino la pappa,
90 né la voglion pigliar che la nutrice
prima un
cucchiaio, o due per sé ne toglie,[143]
così che il bambinel, mosso da invidia,
se la divora.
Così io farei,
e so che
voglia poi ve ne verrebbe.
95 pomponia Già
i’ ve l’ho detto chi è lo sposo, e quanto
nobile, e
ricco, e pien di buon costumi.
ersilia Io
nulla posso apporre a questo.[144]
pomponia Dunque
disponetevi a
dir di sì, ch’egli è
certo il
vostro miglior, e vi sovvenga
100 che il fratel vostro
è un matto solennissimo.
dorina Oh
Dio! Se ve n’ha un che più lo sia,
o il fosse
mai, a fé che i’ voglio perdere
la testa, o s’altro ho che mi sia più caro.[145]
ersilia Quello
farò, che voi, signora madre,
105 mi comandate, e il
signor zio.
dorina Comando
da leccarsi
le dita.
pomponia E
viva, e viva.
Così ne fate
a tutti e due piacere,
e ne lo stesso tempo anche il ben vostro.
Andiamo per
conchiudere il negozio.
ATTO
QUARTO
SCENA
PRIMA
Geronzio, Pomponia, Dorina.
geronzio Cognata,
veramente ci bisogna
confessarlo
ch’Ersilia è una fanciulla
di cui
dobbiamo render mille grazie
al cielo, il
qual, se non temessi offenderlo,
5 direi che non potea darla migliore.
pomponia Il ciel!
Il ciel! Il ciel è bello, e buono,
ma qual ell’è, anch’io me la son fatta
con la mia
buona cura, e col mostrarle
ciò ch’ella
ha a fare, e col dargliene esempio.[146]
10 geronzio Io
non lo niego, e tutto avete fatto,
cognata mia,
quel che debbe una madre
savia...
pomponia E prudente, e che a follie non bada;
che se il contrario avessi fatto, voi
forse
v’avreste adesso una nipote,
15 come son l’altre giovani che s’usano
al tempo
d’oggi, i’ voglio dir sfacciata,
dispettosa,
superba, e tutta boria,
e che con
cento farebbe a l’amore,[147]
e peggio.
Basta i’ so che m’intendete.
20 geronzio V’intendo,
e n’ho piacer che sia qual è,
e quel che
più mi piace egli è che mai
non le vien
voglia, mai, di frascherie,[148]
e queste
ancora costano danari.[149]
dorina Sentite l’uom s’è
stretto come pigna.
25 Io penso che un
tafano ei scorticasse
quando
credesse venderne la pelle.[150]
geronzio Che consolazion, se ancor vivesse,
n’avria quel pover’uomo di suo padre!
Che lei raccomandommi più d’ogni altra
30 cosa, quand’egli
fu presso a morire.
Mi sovviene,
e non senza qualche lagrima,
che la mano
stringendomi, mi disse:
«Geronzio
mio, fratello soavissimo,
vi prego che
la cura vi prendiate
35 de la famiglia
mia; vi lascio due
nepoti, e
vorrei ben che voi gli amaste
come vostri
figliuoli, e che lor foste
buon padre,
non che zio; ma sopra tutto[151]
vi raccomando
Ersilia che se l’indole
40 sua non
m’inganna, non resteran senza
contento, e
onore le vostre fatiche,
e allor
quando i’ sarò, com’io lo spero,
in ciel, io
pregherò pel vostro bene,
e per la
moglie mia che mi dispiace
45 di abbandonare,
più che ogni altra cosa».
pomponia Eh eh, cognato mio, mi fate piagnere.
geronzio Cognata, i’
piango anch’io: eh eh eh eh.
dorina Ahi ahi! Non posso più.
pomponia Che hai Dorina?
Ti senti mal
che gridi così forte?
50 dorina No, ma piango
per farvi compagnia.
geronzio Parevi
spiritata. Sta un po’ cheta...
Io dunque
penso, se v’acconsentite,
cara cognata
mia che il matrimonio
d’Ersilia or sia
conchiuso.
pomponia Io
v’acconsento.
55 geronzio Io penso
che doman potrem condurla
a marito, e
sbrigar questa faccenda.
dorina Perché non viene
qui lo sposo? È pure
lontano di
qua solo dieci miglia.
Gli s’ha a
condur la sposa in quella guisa
60 che si conducon le vacche al mercato?
geronzio Egli è
vantaggio nostro che non venga,
ché Cleandro, che in tutto fa il dottore,
guasterebbe
ogni cosa. Ad ogni modo
lo sposo
cento volte l’ha veduta,
65 ed Ersilia ha
lui pur veduto anch’essa;
e così
abbiamo stabilito insieme,
e concordata
è ancor la dote, e tutto;
e poi se qui
venisse, ne saria[152]
cagion di
qualche spesa, benché a questo
70 io non ci bado; tuttavia gli è bene,[153]
quando si puote, non far spese inutili.
Hai tu detto
a Cleandro che qui venga?
dorina I’ gliel’ho
detto.
pomponia
E
dunque che sta a fare?
dorina Forse qualch’opra del suo gran cervello.
75 Ma ecco ch’egli
viene.
SCENA SECONDA
Geronzio, Pomponia, Cleandro, Dorina.
cleandro Io riverisco
il signor zio.
geronzio Buon
giorno, mio nepote.
Noi ora
abbiamo a dirvi qualche cosa.
cleandro Che cosa? Forse
intorno al matrimonio
5 di mia
sorella? Voi sapete pure
che noi
poc’anzi ne abbiamo parlato,
e ch’io di
questo sono contentissimo.
geronzio Io ’l so, né però vo’ d’esso parlarvi,
ma d’un altro
negozio che riguarda
10 il bene de la casa, e ancor più il vostro.
cleandro Dite ch’io mi sto
a udir quel che voi dite.
geronzio Intendo, e
lo sa ancora vostra madre,
che voi vi
siete innamorato, e andate
anzi perduto dietro ad una frasca,
15 la quale non è punto il caso vostro,[154]
per quello
ch’io dirò; e di più dicono
che con belle
moine, e con parole
melate, ha così fatto che voi siete[155]
pronto a
sposarla, ed anche in questo giorno.
20 cleandro Può essere.
geronzio E
ben, signor può essere;
io vi dico da
quel zio ch’io vi sono
che non è il
caso vostro. Io non vi niego,
no, che il
suo nascimento sia civile,
e d’un sangue
che possa insiem col nostro
25 meschiarsi,
senza farne disonore;
ma ci sono
altre cose da pensare,
e tanto più, perch’ella ha poca roba.
cleandro O circa questo il
pensier tocca a me.
geronzio Via
tacete, e lasciatemi parlare
30 che anch’io poi
tacerò perché parliate.
Roba, roba
vuol essere, o nepote,
e credetelo a
un vecchio. Al fin l’amore
che s’ha per
una donna, quand’è moglie
fate conto
che gli è un foco di paglia
35 che presto presto si risolve in fumo,
ma la roba riman s’uno ha giudicio,
e si può dir
che in terra ella è quel solo,
che fa l’uomo
felice. Ma lasciamo[156]
questo,
quantunque non sia bagatella[157]
40 da gittarsi così
dietro le spalle.
Che voi siate
disposto di volere
prender
moglie, non v’ha punto di male,
perché,
quantunque io non l’abbia avuto,
non biasmo
chi la prende; ma volere
45 prendere la
signora Olimpia (voi
la dovreste
conoscere) è un errore,
è una gaglioferia, ma così grande[158]
che chi ha
dramma di senno non può farla.[159]
Ell’è una donna giovane, di quelle
50 che hanno il cervel volatil più che piuma.
È ambiziosa,
e tanto di sé piena
ch’altra mai
che più il fosse non conobbi,
e sì sapete i’
m’ho degli anni assai.
La
conversazione è poi la somma
55 de’ suoi piacer,
così che ognor la casa
ha piena d’infingardi giovanastri,
i quali per
lo più quel che posseggono
tutto se
l’hanno indosso; e tutti fanno
con lei gli
spasimati; e per non perderli,
60 né il corteggio
scemar di cui si vanta,
pensate
s’ella abbonda di favori.
Quivi si
giuoca, quivi si tripudia,
e in casa
vostra ella vorrà tenere
l’ordine
istesso; e questo a la malora[160]
65 manda la roba, e
peggio che se il foco
vi
s’appiccasse. Oltre la roba spesso
ci va anche
l’onore.
la gemma la
più bella, e preziosa,
che aver si
possa.
dorina (Ma di queste gemme
70 il mondo è un
mercatante omai fallito.) (da sé)
geronzio Che
pensate voi far? Credete voi
di poter far
ch’ella muti natura?
La donna è un
vaso, e se da prima viene
per mala cura
a prender mal odore
75 null’arte giova
perché lo deponga
che anzi più
sempre ammorba. Quando un prende
moglie,
nepote mio, gli è necessario
torla bene educata ch’altramente
è un seminare
in acqua, e vel vedrete.[161]
80 Scusatemi, Cleandro, ad un uom vecchio,
e vostro zio,
lice dir ciò che sente,[162]
e più se il
dice sol per vostro bene.
Voi siete, e
abbiate pure pazienza,
scemo
assai di cervello, e non siete atto[163]
85 a domar simil
bestia, e però voi
dovreste
ora badare a quanto io dico,
né torcere la
testa come fate.
pomponia Il vostro
signor zio vi parla appunto
da quel
ch’egli è.
dorina (E con tali sentenze
90 che propiamente par che sia risorto
il gran
Bertoldo.) (da sé)[164]
cleandro Oh ciel! Che pazienza!
geronzio I’ voglio dunque
con questo conchiudere,
che la
signora Olimpia è una cotale
mercatanzia
che nulla fa per voi;[165]
95 ma fuori di
metafora: se voi
vorrete
ch’ella come saggia moglie,
serva al
bisogno de la casa, e non
a chi viene a
contarle ciance, e frottole,
non potrà
riuscirvi la faccenda,
100 e sempre in casa
voi v’avrete il diavolo,
e la
versiera; che se poi per vivere[166]
in buona
pace, come s’usa adesso,
lascieretela far quello che più
le piace,
ognuno mostreravvi a dito
105 come uno sciocco; e chi sa cosa in capo
vi nascerà,
con vostro vituperio,
e de la casa tutta?
dorina (Nasceragli
un cimiero
bellissimo, costrutto
de le piume che il cervo ha su la testa,
110 né si potrà veder
più nobil cosa.) (da sé)[167]
pomponia Ell’è così. Figlio, dovreste prendere
regola, e esemplo da vostra sorella,
se volete una
moglie saggia, e buona.
Questo è il
modello d’una vera giovane,
115 degna d’essere
sposa d’un monarca.
Ma la signora
Olimpia non avrà
certo avuta
una madre qual io sono.
Le buone
madri son che fan le buone
figlie, e
questa i’ so quanto ella mi costa.
120 Insomma chi vuol
prender una giovane,
dovria guardar ben ben s’ebbe una
madre
di quella
taglia appunto che son io.[168]
cleandro Avete voi finito?
I’ vorrei pure
poter dire
ancor io quel ch’io mi sento.[169]
125 geronzio Parlate
ch’io son qui pronto ad udire.
cleandro Ora dunque dirovvi, signor zio,
liberissimamente
ch’io non voglio
sopra de’
fatti miei sì lunghe prediche.
Voi non avete
presa moglie, e avete
130 molto ben fatto; ma i’ farò benissimo
se io la
prenderò. Meglio d’ogni altro
so quel ch’io
faccio; e se può un vecchio, un zio,
dagli anni
suoi costretto a viver casto,
dir ciò che
vuol, puote un nepote, un giovane
135 che sente amore, e
quanto forte ei pizzica,
rispondere a
suo grado, purché dica[170]
con moderazion le sue ragioni.
dorina (Per la rabbia
egli è uscito fuor di sé,
ch’e’ parla troppo bene.) (da sé)
pomponia Tu dì
il vero.
140 cleandro Non
ho cervel! Non ho cervel!
Sapete
chi cervello
non ha? Quelli che dicono,
che io non
l’ho. Dovete compatire,
voi siete che
mi fate uscir del manico.[171]
Io benissimo
so quello che faccio.
145 La giovane, di cui
parlato avete,
so che
alquanto ella è vana, e che le piace
vedersi
attorniata da gran gente,
e
amoreggiare, e vezzeggiare, e darsi
il più bel
tempo che può darsi; ma[172]
150 lasciate ch’ella
sia fatta mia moglie,
avrò ben
tanto ingegno che saprolla
guidar come
si debbe, né abbisogno
d’alcuno che
m’insegni. Io io saprei[173]
ben agli
altri insegnar; e se una moglie
155 io m’avessi
peggiore d’un demonio,
io la saprei
ridurre in poco tempo
più dolce, e
mansueta di una pecora.
dorina (Ed ei sarebbe il
pecoron marito.) (da sé)
cleandro Sì, tentino, sì,
tentino cotesti
160 giovani
scapestrati d’insultarmi,
e far quel
che voi dite.
dorina
Egli
ha ragione.
cleandro Tu parli ben,
Dorina. A fé di Bacco,[174]
proverebbono quanto è larga, e lunga[175]
questa mia
spada; e alcun, no no, signore,
165 no, non mi fa
paura.
pomponia Figliuol caro,
sì, caro il
mio dolcissimo figliuolo,
poco dovete
confidarvi in questa,
perché di
scherma nulla ne sapete.
Io so che
l’altro giorno voi voleste
170 censurare, e
correggere un maestro
di
quest’arte, e so ch’egli vi sfidò
a dimostrare
chi più ne sapesse,
e tante botte
aveste ch’io mi credo
che ne
abbiate ancor livida la vita,
175 e guai s’elle non
eran spade finte.
cleandro Ciò succedette
perché gli era un matto
che tirava a l’antica, e nulla avea
cognizion de le moderne scuole.
pomponia E voi così
a l’antica già sareste
180 andato a farvi
terra da pignatte.[176]
cleandro Basta; voi questo
alfin dovete intendere
che quello
che m’ho in capo il voglio fare,
né v’ha
alcuno che possa comandarmi.
Ciascun per
sé si tenga il suo consiglio,
185 e chi dar me lo
vuol, quand’io nol chieggo,
mi rompe ciò
che per modestia io taccio;
ma ben peggio
dirò, se si prosegue
a farmi da
pedante, e se il soffrissi
i’ farei
torto al cielo che m’ha dato
190 mente, onde posso
regolar me stesso,
e ancor voi
altri, se vi contentaste.[177]
pomponia Com’è
presuntuoso!
geronzio Oh che bel frutto
ho ricavato
da un così amorevole
sermone! Non
avessi mai parlato.
195 Povero mio fratel!
Se tu vivessi,
e vedessi un
figliuol sì scempio, e tanto[178]
ostinato, e
di sé ripieno, ah certo
ne piagneresti, e più vedendo come
gli averi che
già tanto ti costaro,
200 si ritrovano
adesso in gran pericolo
d’essere
dissipati.
cleandro Intendo, intendo
ciò che voi
dite, ma non son già tale;
e la signora
Olimpia non è poi
sì poveretta come voi pensate,
205 ella è unica
erede, ed è padrona
del suo, da
che suo padre non ha senno
da operar
cosa alcuna.
dorina Oh bella coppia,
che sarà
questa, il suocero, ed il genero!
cleandro Ha par del suo
vissuto fino adesso[179]
210 comodamente, e non
è un giorno ancora
che ha di più
vinta una sua lite, ond’è
che le
vengono in mano, ben contati,
tre mila
scudi, con un bel podere.
geronzio Un bel
podere, con tre mila scudi!
215 Tre mila scudi
fanno cinque, e cinque
dieci, e poi
cinque quindici, che sono
quindici mila
lire. Ma il podere
quanto può
valer egli?
cleandro
Poco
meno.
geronzio Cognata, è
un bel contar tre mila scudi!
220 dorina Io sto a veder che vuol per sé la sposa.[180]
geronzio È egli poi
vero questo?
cleandro Egli è verissimo.
geronzio Ben, ma bisogneria che capitassero
in man di chi
sapesse farne conto.
cleandro Voi ben sapete
che degl’interessi
225 di casa troppo non
mi prendo impaccio,
ond’è che in mano tutto vi potrebbe
venir perché
n’aveste buona cura.
geronzio Dio sa mai
che moneta ne daranno.
cleandro Buona, e con
agio, da ch’ell’è sul monte[181]
230 depositata.
geronzio Ciò non mi dispiace.
nepote mio,
poc’anzi i’ v’ho parlato
per vostro
bene.
cleandro Et io ve ne ringrazio.
geronzio E se v’ho
detto mal de la signora
Olimpia ho
così detto, perc’ho inteso
235 da altri così
dire. Or mi protesto[182]
che non ne
voglio scrupolo su l’anima;
e lo so bene
anch’io che non si dee
prestar fede a le ciance. Il ciel v’aiti,
e quel
v’inspiri che dovete fare.[183]
240 Tre mila scudi con
un bel podere
è un buon
boccone per la nostra casa.
pomponia Me
l’aspettava ch’egli si lasciasse
pigliar da l’interesse.
dorina L’interesse
per un tal
cucco è rete che non falla. [184]
245 geronzio Sentite,
caro il mio nepote, s’egli
è scritto in
ciel che la signora Olimpia
con voi si
sposi, lo dovete fare
cheto cheto, né far sfoggi, né spese.
Le nozze poi
le fan gli stolti, e servono
250 solo a far
ch’altri il vostro si divori,
e poi ne
rida, e dicavi del matto.[185]
Volete voi
venir ne
le mie stanze
che vedrem quel che si può stabilire?
cleandro Andate pure,
ch’io vi seguo.
SCENA
TERZA
Pomponia, Dorina.
pomponia A
me
nulla si
dice, e pare ch’io mi sia
la guattera di
casa! Non si fa[186]
conto alcuno di
me, com’io non fossi
5 una donna da
tutti riverita
ed estimata. I’
non posso sentire
cosa che più mi cruci; un’altra casa[187]
che s’avesse una
donna così fatta
com’io mi sono,
i’ so che tutto il dì
10 altro non si
faria che ringraziare
il ciel; ma in
questa, oibò; par ch’io lor puta
sotto del naso. Insomma
chi possiede[188]
il ben non lo
conosce; lo conosce
chi nol possiede, e il brama. Mi
conviene
15 perciò spesso arrabbiare, e maladire...[189]
Ma basta.
dorina I’ vo’ provar se so addolcirla,
che so il debole suo. Ma, voi, signora,
scusate se m’appongo a quel che dite,
non avete ragion di così dire.
20 Tutti tutti
vi stimano; e Cleandro
quante volte mi ha detto: «oh
se sapessi,
Dorina, e conoscessi quale, e quanta
è la virtù de la mia
cara madre,
benediresti meco il cielo, e meco
25 gli renderesti grazie d’un sì grande,
e tanto profittevole tesoro;
ch’egli è un tesoro una madre sì fatta».[190]
pomponia Par ch’io nol creda
che ciò mai dicesse.
dorina L’ha
detto, e tanto è vero quanto è vero,
30 ch’io parlo vosco. Egli l’ha detto cento[191]
cinquanta volte,
anzi dugento,
dugento volte,
sì, non è bugia,
ch’io non la dico
mai; e la signora
Olimpia poi, quando di voi ragiona,
35 par ch’ella poppi, e le si vede il
latte[192]
uscir dei labbri; e l’altro dì che v’era
chi vi lodava, e portava a le
stelle,
la fu sorpresa da sì gran piacere,
che quasi ebbe a morire.
pomponia Ed è possibile?
40 dorina Io non ve lo
direi. Svenne, e fu d’uopo
a balsami
ricorrere, e fregargliene
ben bene su le tempie, e sotto il naso,
e fece a tutti
paura grandissima;
ma poiché si
rinvenne, le chiedemmo
45 la cagione di
quello svenimento,
e che male
s’avesse; ella rispose:
niun male; ma gli è stato il gran piacere
di vedere, e
sentir tanto laudare,
ed estimare la
mia riverita,
50 e tanto saggia,
signora Pomponia;
e sospirando, poi
soggiunse: «Oh quanto
fortunata sarei,
se divenisse
mia suocera; i’
n’andrei troppo superba,
ma i’ non merito
certo un sì gran bene».[193]
55 pomponia Dorina, i’ non l’avrei pensato mai.
dorina E
pur ell’è così.
pomponia Io
te lo credo.
Se tu la vedi, di’ ch’io la saluto,
e ch’io non sono certo per oppormi
a quel che il cielo s’abbia destinato
60 di lei, e di Cleandro.
Per mia fé
ch’ella non finge. Un tale svenimento
è un testimon di quella
grande stima,
ch’ell’ha per me, né
alcun può dubitarne.[194]
Gli
è un bel contento, quando s’ha del merito,
65 il veder
ch’altri lo conosce, e prezza.[195]
Ricordati di ciò
ch’ora t’imposi.
dorina Io
lo farò.
SCENA QUARTA
Dorina sola.
Dopo
tanti rumori
tutti e due si
son fatti dolci, e teneri
più
che mel,
più che cera. Ho ben saputo[196]
trovar modo di
vincer la padrona,
5 e far ch’ella
stia cheta, ed acconsenta.
Ho piacer che si compian queste nozze,
e tali cose io
veggio che mi fanno
credere che le s’abbian da conchiudere
oggi più tosto
che dimane. Oh questa
10 saria una bella occasion
da farmi[197]
anch’io la sposa!
Se Falco non fusse[198]
sì duro, i’ lo
potrei sperar; ma eccolo.
SCENA QUINTA
Dorina, Falco.
dorina Oh Falco! Oh che felice incontro è questo!
E ancor tu non
vorrai... Crudel! Te pare
che una fanciulla
t’abbia a correr dietro?
falco Dimmi
dov’è il signor Cleandro, e poi
5 lasciami in paсе.
dorina Come ho da
lasciarti
in pace, se tu mi
fai spasimare?[199]
falco Io
non ti tocco, ch’io ti lascio vivere.
dorina Tu non mi tocchi, e pur
sempre m’uccidi.
falco Io
non faccio il beccaio ch’abbia a ucciderti.
10 Ho bisogno del
tuo padron che a lui
ho a dir cose,
perché possan conchiudersi
le nozze che già
sono destinate
con la padrona
mia.
dorina E tu mi parli di nozze!
Questo fa che
ancor più crescemi
15 il desiderio di
prender marito,
e sol te voglio,
se lo debbo prendere.
falco Sol
me?
dorina Sì, solo te. Non
è peccato,
che un giovanotto
ch’è così ben fatto,
non si becchi una
giovane che l’ami?
20 Né alcuna
t’amerebbe più di me.
Io non ti
piaccio? Di’?
falco Sì, tu mi piaci.
dorina Dunque, perché non mi
vuoi per isposa?
falco Io non dico già questo. In verità
ella è poi
graziosa, e bella assai;
25 ell’ha due occhi che son
pur furfanti;
ma questo è
quello che mi fa paura.
dorina Che parli di paura, il
mio Falchetto?
falco Ho paura che se io ti
pigliassi....
ma non vorrei che
tu te n’offendessi,
30 ho paura.
dorina Su parla, e che hai paura?[200]
falco Paura di non ire a Cornovaglia,
dove tanta va
gente, e vi s’affolla
che pare che ogni
dì vi sia ’l mercato.
dorina E
che di’ tu mai, Falco! Ah tu m’offendi.
35 Non son di quelle.
falco Nol dico per questo;
ma l’esser becco
è cosa, se l’ho a dire,
ch’io non ci ho
avuto mai gran simpatia,
e a un poveretto
la non istà bene.
dorina Io ti prometto che tu nol saresti.
40 falco S’io lo credessi, i’
vorrei quasi quasi
prometterti che
tu sarai mia sposa.
dorina Caro Falchetto mio, io te
lo giuro.
Ma di’: quando
vogliamo noi conchiudere
questo negozio?
falco Si poria conchiudere
45 nel punto
istesso che la mia padrona
sposerà il tuo
padron.
dorina Sì, è vero, e allora
i’ voglio che noi
stiamo allegramente,
del
resto
poi io ti sarò fedele,
non dubitar.
falco Non dubito, ma
tremo.
50 Qual io mi sono
era mio padre anch’egli,
e non potè scampar dal mal influsso.
dorina Vieni ch’io ti conduca ov’ora sta
il mio padrone, e
intanto noi potremo
stabilir meglio questo
nostro affare.
55 falco Che diavolo! Costei
m’ha fitto addosso
un certo foco, un certo
pizzicore
che m’imbroglia,
e mi tira oggi a far quello
ch’io mi pensava
di non far già mai.[201]
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Olimpia, Falco.
olimpia Gira e poi gira,
non si vede alcuno.
Non so che
accoglimento sia mai questo
che s’usa in
questo loco. Sanno pure
ch’or qui dovea venire, e dovevamo
5 qui maritarci insiem Cleandro, et io,
e alcun non ne
riceve. Oh che creanza!
Dovea venir Cleandro ad incontrarmi,
ma egli non sa
trattar con le mie pari.[202]
falco Non ho veduto cosa mai cotanto
10 sciaurata come
questa. Ma, Dorina
che spasima, che muor del desiderio
di possedermi, e
n’ha ragion,
Dorina non si
lascia veder, come m’avesse...
Ditelo voi.
olimpia Dillo pur tu.
falco Via
basta;
15 che m’intendete,
ma voi, se l’ho a dire,
la vi sta ben,
perché questa faccenda,
i’ voglio dire
questo matrimonio,
e’ si doveva fare in casa
vostra,
e v’era più
decoro assai per voi.
20 olimpia Non l’ho voluto, perché troppa
gente
ci viene, e vo’
che la faccenda passi
cheta cheta, né vo’ veder che alcuno
per lo amor mio
si turbi, e si disperi.
Io finalmente qui
debbo restare,
25 ad onta ancor di
tutti quelli che
pretendono
d’avermi.[203]
falco Io so che molti
ci son che vi van
dietro spasimati,
e so ancor quante
lettere, e biglietti
i’ v’ho recato, e
n’ho avuto dei paoli;[204]
30 Ma temo... ho io
a dirlo?
olimpia Parla pure.
Se’ uno sciocco,
e dirai qualche sciocchezza.
falco Temo che voi facciate
come quella
mosca che gira, e
gira, è qua, e là
svolazza, e poi
svolazza, e poi si ferma
35 su una sporcizia
che qui per creanza
non debbo
nominare.[205]
olimpia Di’ tu il vero?
Falco, su parla,
e dimmi quel che senti.
Dunque ti par che male
i’ m’abbia eletto?
falco Male, e poi male, e quel che più mi spiace
40 è che per cagion
vostra i’ fo lo stesso,
daché in capo mi son
fitto di fare
oggi quel che voi
fate. Basta, io so
che vi prendete
un matto solennissimo
ch’è da tutti
deriso, e giustamente,
45 e chiedetelo a
me, né pur sa leggere.
olimpia Ma
vuoi tu dire ch’egli sia cotale?
Egli sa pur
comporre in poesia.
falco Cotale, cotalone, e sa comporre,
in poesia, ma quanti ce ne sono,
50 che son bussoli, e fan sonetti? E poi[206]
vi dico adesso che quel che mandovvi
ei non lo ha fatto. Insomma
sempre sempre
ho stupito di questa elezione;[207]
ma i’ m’accorgo
che i’ faccio come il medico
55 che il cervel si lambicca per curare
gli altri, e a le sue magagne poi non bada.
Oh poveretto me!
Gli è stato il diavolo
che m’ha cacciato
in questo labirinto,
perch’io diventi sposo di
Dorina.
60 olimpia
Se ho a confessarti il vero, i’ m’ho pensato
che mi fia meglio avere
un badalone
che un uom sagace, per poterlo reggere,
e menare a mia voglia
ove mi piaccia
ch’ei vada; e dove certo un uom d’ingegno
65 non si lasceria
trarre.[208]
falco Ottimamente.
olimpia Aver io penso un
uomo ricco, un uomo
che m’ami, e che
di me si debba cieca-
mente fidar; ma se vien che mi voglia
far il maestro,
basti che la voce
70 io alzi un poco
a far ch’egli si taccia.
falco E voi sperate questo?
Egli si crede
un uom d’ingegno,
e non vorrà tacere.
olimpia Et
io il farò tacer voglia, o non voglia.
falco Prendete l’orsa da guidare a Modona;[209]
75 ma più di me mi
spiace che di voi,
perché un pensier
mi s’è fitto qui dentro
che non mi
quadra.
SCENA SECONDA
Pomponia, Ersilia,
Olimpia, Dorina, Falco.
olimpia
Ov’è il signor Cleandro?
pomponia Egli è col zio per
porre tutto in ordine
ciò che bisogna pel breve viaggio
ch’Ersilia deve
fare infra poc’ore,
5 accompagnata dal zio, e da me.
In questa guisa
siamo convenuti
con lo sposo, e
così faremo quando
conchiuso avrete
il vostro matrimonio.
olimpia Signora
Ersilia, e potrei dir cognata,
10 mi rallegro con
voi.
ersilia Molto vi sono
tenuta.
olimpia Veramente non potea
il signor vostro
sposo aver più degna
signora per compagna; e s’egli è tale,
com’io lo credo
che di voi sia degno,
15 non si vide già
mai coppia sì bella.
ersilia Signora, se tal fossi qual voi siete,
voi v’avreste
ragion di così dire.
dorina Ma
nessun bada a me, son pure anch’io
la sposa, ed il
mio sposo è quel bel fusto
20 che là si vede,
e di noi si dee dire
ancora: «Oh bella coppia!»
falco Sì, da farsi
veder come si fanno le marmotte.[210]
dorina Falco, e tu ancora non ti
sai risolvere
ad estimarmi?
falco E che! Ho da
stimarti?
25 Sei tu vin che
vi s’abbia a porre il prezzo?
dorina Su via, dammi la mano.
falco Aspetta un poco.
Prima i padroni,
e poscia i servidori.[211]
Io non ho tanta frega, come hai tu.[212]
dorina Io
non ho frega, ma vorrei sbrigarmi.[213]
SCENA TERZA
Pomponia., Ersilia,
Olimpia, Cleandro, Arcilungo,
Dorina, Falco.
cleandro Eccomi,
bella Olimpia, e vi domando
scusa, se v’ho
fatto aspettar; ma io
dovea porre in assetto alcune cose[214]
che bisognano a
Ersilia mia sorella
5 che or or deve partir; et io mi sono
presa sì fatta
libertà con voi,
ancor per
cominciar a esercitare
la maritale
autorità.
olimpia Benissimo!
Quest’ultima ragione è assai gentile.[215]
10 cleandro Ho qui guidato il
signor Arcilungo
ch’è poeta, ma
egli è notaio ancora,
e potrà far lo
scritto del contratto
del nostro
matrimonio.
dorina E ancor del nostro.
falco Oh che fretta ha colei!
dorina
Perché io t’amo.
15 arcilungo Sì, signore.
pomponia Cleandro ha poi pensato
ad ogni cosa.
falco E dicon
ch’egli è matto.
arcilungo Su, sbrigatela dunque
presto, e datevi
la mano.
cleandro No,
perché il rispetto vuole
che aspetti il
signor zio, ma non so intendere
20 per qual cagione egli cotanto indugi.[216]
ersilia Io sento la sua voce; egli ora giugne.
falco Ah ah! Mi vien da
ridere. Guardate,
è stivalato, e
tiene in man la frusta,
e pare ch’abbia
andare in Calicutt.[217]
SCENA QUARTA
Pomponia, Ersilia,
Olimpia, Geronzio, Arcilungo, Dorina, Falco.
geronzio Scusatemi, se troppo i’ ho indugiato.
Ora i’ son qua, e
il sono per ricevere
a nome di Cleandro li tre mila
scudi. Nepote,
così mi diceste.
5 olimpia Qui non ci sono, perché son sul monte.[218]
cleandro Domani li potrete
ricavare.
geronzio Oh bella cosa che sarebbe stato
il poterli
contare in questo punto!
cleandro Non ci vuol tanta fretta.
geronzio Dite
il vero;
10 ma si suol dir
che il mondo è de’ solleciti;
e chi ha tempo
non deve aspettar tempo.
dorina Oh questa è una ragione
che mi quadra.
A che giova
aspettare?
pomponia Or via, figliuoli,
è tempo di por
fine a la faccenda;
15 ma prima ch’io
vi dia la mia materna
benedizion, lasciate un po’
ch’io parli.
Signora Olimpia
mia, ponete mente
ch’io son donna
matura, e molto bene
pratica de le cose, per parlarvi
20 in modo che vi
piaccia, e che vi giovi.
Daché ha voluto il
ciel che diventiate
mia nuora, i’
n’ho piacere, e prego il cielo
che vi dia lunga
vita, e ognor felice,
e che sappiate
governar la casa,
25 sì come ho
fatto, ed allevare i figli.
Se
ci vorrete attendere, v’avete[219]
un bell’esemplo; e certo il posso dire,
non per lodarmi,
ma per dire il vero,
e dir quello che
dice tutto il mondo.
30 olimpia No, non mi spiace
un così degno avviso,
quantunque i’ non credessi abbisognarne.[220]
ersilia Signora madre, la signora Olimpia
ottimamente sa
ciò che dee fare.
pomponia Se
il sa lo sappia, ma anch’io debbo dirle[221]
35 per obbligo di
madre, quel ch’io so,
né alcuna donna si dee vergognare
di ricever da me
precetti, e regole.
Oh guardate! Par
ch’io non sappia mai
quel che mi dica.
falco Nessun dice questo,
40 e la padrona mia
ve ne ringrazia.
pomponia Taci tu impertinente.
falco Io più non parlo.
Caspita! Quando esser dovria sereno,
è in volta un tempo che il cielo ne guardi.[222]
arcilungo Su, finitela, su, che più
aspettate?
45 cleandro Badate, signor
zio, s’ora io parlo
da uom d’ingegno,
e vedrete s’è vero
quel, ch’io vi
dissi.
geronzio Sì,
parlate pure.
cleandro Signora Olimpia, tra
pochi momenti
sarete la mia
sposa. Non è vero?
50 olimpia Può essere...
pensar ch’io son il maschio, e voi la femmina;
i’ voglio dire che i’ debbo portare
le brache, da che il cielo me le ha date.[223]
falco (Povere brache! Un basto ci volea.)
(da sé)[224]
55 cleandro Io vo’ che mi
crediate un uom d’ingegno,
e che quello
ch’io so sempre il tenghiate
sì come cosa bella,
e buona, e non
voglio prediche;
troppe i’ n’ho già avute.
La conversazion so che vi piace,
60 e a me la non
dispiace, ma dovete
farla d’uomini
saggi, e non di bufoli[225]
che solo sanno
motteggiare, e ridere.
Quella ch’ora v’avete
i’ non la voglio;
vo’ che la gente
che viene in mia casa
65 sia obbligata a
stimarmi, e avermi in conto,
e non schernirmi,
e questa sol dovete
prendere, come
moglie, a la qual piace
l’onor di suo marito.
Dico bene?
olimpia Benissimo,
signore, arcibenissimo.
70 (Egli è più
matto, e più presuntuoso,
ch’io non credea.) (a Dorina)
dorina (I’ lo credea
ben io.) (a Olimpia)
cleandro Vi farei torto, se in
altra maniera
io vi parlassi; e meglio è che vel dica
presentemente,
acciocché vi possiate[226]
75 ben presto accomodare a l’umor mio.[227]
olimpia Più
che a marito, i’ son venuta a scuola.
Signor Cleandro, vi sono obbligata
che voi per tempo
mi parlate schietto,
ond’io possa pigliar le
mie misure.
80 Mal fa l’uccellatore che spaventa
l’augel fin che non è dentro la rete.[228]
cleandro Insomma esser vogl’io, quel che dia regola
a
la
mia casa ch’io farei gran torto
al cielo, che mi diè prudenza, e senno
85 quanto ad alcun
già mai, se mi lasciassi
regolar da una
donna, e non dovete
averlo a male,
perché alfin le donne
son donne.
falco (E i matti sono matti.) (da sé)
cleandro Se
vi piace avere per marito un uomo
90 di buon senno,
vi deve anche piacere
ch’io m’abbia in
capo simili pensieri.
Ma voi tacete, e
state un po’ sospesa!
Che vuol dir
questo?
olimpia Nulla egli vuol
dire,
se non ch’io sto
pensando a ciò che una
95 mia pari ora dovrebbevi rispondere,
ma veggo ch’egli
è assai meglio tacer
che faria la
risposta tratta al vento.[229]
cleandro Pensate
pure ch’io vi dò licenza.
olimpia Gli
è certo un grande arbitrio che mi date.
100 (Egli è sempre più
matto.) (da sé)
ersilia Va, Dorina
che sei chiamata.
dorina Che venga la peste
a chi mi vuole.
Io vado.
falco Anch’io dovrei
far qui un
sermone, benché assai diverso,
perché Dorina,
s’egli è mai possibile,
105 conservasse il su
onore intatto, e il mio,
ma almeno il mio
ch’è quello che m’importa.
dorina Ecco, signor Cleandro, ecco una scatola,
che viene a voi.
cleandro A me!
dorina Sì,
a voi.
cleandro Chi è quegli
che l’ha recata?[230]
dorina Un servitore, il
quale
110 non ha voluto dire
chi lo mandi,
e non conosco il servitor.
M’ha detto
solamente ch’è un
dono che vi manda
un vostro amico
che sa il vostro merito,
però vi prega a
non averlo a schivo.[231]
115 geronzio Fosse almen qualche cosa di valore.
dorina M’ha detto ch’ell’è cosa ch’è venuta
di Francia.
pomponia Date
qua, ch’io senta.
È molto leggera. Ell’è senz’altro, e il giurerei,
qualche cuffia di
Fiandra, o di Parigi,
120 da regalar la
sposa.
dorina Io giurerei
ch’è una parucca pel signor Cleandro.
cleandro La
mi verrebbe a tempo, e appunto appunto
i’ n’avea gran bisogno. È qualche amico
che vuol meco
adoprar tal cortesia,[232]
125 tuttavia potrebb’essere altra cosa;
non saprei però
quale.
arcilungo
Senza
più
farci sopra sì
gran prologhi, basta
aprir tosto la
scatola, e vedrassi
quel che v’ha
dentro, e allor saran finite[233]
130 le ciance.
cleandro Oh gran poeta! Ei dice il vero
il signor Arcilungo. Alcuno l’apra.
dorina Lasciate fare a me,
perché ci ho garbo
più d’alcun altro.
ersilia Lascia,
ch’io t’aiuti.
dorina Gnaffe, non l’ho dett’io che l’era questa[234]
135 una parucca?
cleandro Io son molto obbligato
a chi me n’ha
provvisto.
ersilia Oh
questo è troppo.
dorina Eccola. (tira fuori
una testa d’asino come quelle, che si pongono in capo a’
ragazzi nelle scuole)
pomponia Oh questa questa
è una solenne
impertinenza.
geronzio Ell’è,
ma degna del suggetto a cui l’è fatta.
140 dorina Guardate qui che duo bei
ricciolini!
È un asinel di latte, e propio pare[235]
che domandi la
tetta a la sua mamma.
olimpia Signor Cleandro, molto mi rallegro
con voi, né può
negarsi che voi siate
145 veramente onorato,
e riverito.
Conosco sempre
più che voi v’avete[236]
ragione a non
volere che una donna
vi dia consigli,
e insegnamenti; insomma
conosco il vostro
merito, e che il mondo
150 appunto ve ne dà
giusta mercede;[237]
e perché ancor
conosco ch’io non sono
degna d’esserne a
parte, mi dichiaro
ch’ora più non vi
voglio, e in questa guisa
vi lascio in
libertà, perché possiate
155 trovar chi ne sia
degna più di me,
e che più di me
ancora s’abbia tanto
ingegno da saper
ben secondare
la saggia scorta
d’un uom qual voi siete.[238]
Io vi fo
riverenza. Addio, signore.
160 cleandro Che strana cosa è questa! Ella non
finge.
Io non so che mi
dire. Io non ci veggo.
Non so più dove
io sia.
dorina Falco, ove vai?
Sai pur che m’hai
promesso.
falco I’
t’ho promesso,
e solo per amor de la padrona,
165 ma per amor di lei
più non ti voglio.
Se al tuo padrone
è venuta di Francia
questa parucca, a me me
ne verrebbe
tra poco
un’altra, e di ricci più duri,
e non vo’
quest’imbroglio in su la testa[239]
170 che mi cagioneria qualche flussione,[240]
la qual non vo’
patir. Dorina, addio.
SCENA QUINTA
Cleandro, Pomponia, Ersilia, Geronzio, Arcilungo,
Dorina.
pomponia Quest’è il negozio, e non occor
qui stare
con i cigli alti,
e con la bocca aperta.
geronzio Più non si contan li
tre mila scudi.
dorina Guardate che giustizia!
Mi conviene
5 or digiunare
per gli altrui peccati.
cleandro Oh rabbia rabbia! Oh maladetto...
geronzio Via, non v’ha più che
pensar. Datevi pace,
e meno presumete
per lo innanzi.[241]
Cognata, andiam che non ci vuol più indugio
10 nel condurre a
marito la nepote.
pomponia Andiamo, Ersilia, andiamo. Figlio mio,
il ciel vi doni
pazienza.
dorina Meglio
sarebbe se gli
desse un po’ d’ingegno.
ersilia Addio, caro fratello. Mi
dispiace
15 de’ casi vostri,
ma voi ben sapete
quante volte io
v’ho ripreso, e quante
con quel fraterno
amor, col qual io v’amo.
Forse leggendo
v’avreste imparato
a non presumer
tanto, ed a schifare
20 così fatte
vergogne. A rivederci. Addio.[242]
SCENA SESTA
Cleandro. Arcilungo. Dorina.
arcilungo Signor Cleandro...
cleandro Or via tacete.
Mi vengono gli
affronti un dopo l’altro,
anzi in un tempo
come la gragnuola;[243]
ma i’ mi contento
d’esser punto, e pesto,
5 senza
discrezione come un asino,
se tosto non mi
vendico. Gli è stato
quel pittor
maladetto che mi ha fatto
sì brutto
vituperio, ma vedrassi
quel ch’io so
far.[244]
SCENA SETTΙΜΑ
Arcilungo, Dorina.
dorina Vedrassi, come dice
il proverbio che
i monti partoriscono,
e che poi nasce
un topolin sì fatto.[245]
Infra tanto
rumore i’ m’ho buscata
5 questa gioietta. Posso ben far conto
che se non ha lo
sposo, i’ n’ho il ritratto.[246]
SCENA OTTAVA
Arcilungo solo.
Com’è conchiusa
mai questa faccenda
che tra poc’ore sarà fatta pubblica
per questa terra!
Almeno i giovanetti
che sono nati di
sangue civile
5 imparassero a
porre maggior cura
ne
lo
studiare, ed a presumer meno
di sé medesmi. A
comun beneficio,
se posso, i’
voglio farne una commedia.[247]
Bibliografia
Contini, Milena, «Come fa un
dipintore»: L’ignorante presuntuoso di Giampietro Zanotti, in
Goldoni “avant
la lettre”: drammaturgie e pratiche attoriali fra Italia, Spagna e Francia
(1650-1750), a cura di Javier Gutiérrez Carou,
Francesco Cotticelli e Irina Freixeiro
Ayo, Venezia, Lineadacqua edizioni, 2019, pp. 205-212.
———————,
Le
opere teatrali di Giampietro Zanotti tra aspirazioni educative ed esaltazione
della saggezza femminile, in Natura Società Letteratura, Atti del
XXII Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Bologna, 13-15
settembre 2018), a cura di Andrea Campana e Fabio Giunta, Roma, Adi editore,
2020: https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/natura-societa-letteratura/01_Contini.pdf.
———————, Intelligenza, buon
senso e virtù: le eroine delle opere teatrali di Giampietro Zanotti, in Natura, società e politica
nella letteratura bolognese del Settecento, a cura di Andrea Campana,
Nicola Bonazzi e Stefano Scioli, Bologna, Bononia University Press di Bologna,
2021, pp. pp. 53-63 (versione riveduta e ampiamente accresciuta dell’intervento Le opere teatrali di Giampietro Zanotti tra aspirazioni educative ed
esaltazione della saggezza femminile).
De Carli, Antonio, L’influence du théâtre français à Bologne: de
la fin du XVIIe siècle à la grande révolution, Torino, Chiantore,
1925-
Guccini, Gherardo, voce Giampietro Zanotti, in Uomini di
teatro nel Settecento in Emilia e Romagna, in Il teatro della cultura.
Prospettive biografiche, a cura di Eugenia Casini-Ropa,
Modena, Mucchi, 1986, pp. 258-262
Magnani Campanacci, Ilaria, La
cultura extraccademica: le Manfredi e le Zanotti,
in Alma Mater Studiorum: la presenza femminile dal
XVIII al XX secolo. Ricerche sul rapporto donna-cultura universitaria
nell’Ateneo bolognese, Bologna, CLUEB, 1988, pp. 39-67.
Testoni, Alfredo, Il
cardinale Lambertini: commedia storica in cinque atti, Roma, Nuova
antologia, 1906.
Zanotti, Sergio, voce Fusto, bel fusto, «Lingua nostra», XXV, 1963, pp. 118-119.
[1] fiate:
volte.
[2] all’aspettazione
vostra ... mi portate: «alla vostra attesa
corrisponda il risultato, e non dobbiate pentirvi di tale desiderio, principale
causa di questa pubblicazione, perché, se ne trarrò critiche, so che vi
rammarichereste, in virtù dell’affetto che provate per me». Zanotti si
augura che la commedia sia gradita all’amico che lo aveva esortato a comporla.
[3] Parmi già udire ... sia l’ultima: Zanotti,
seguendo il topos della professione
di modestia, immagina che i detrattori della propria opera si lamentino del
fatto che l’autore abbia pubblicato troppi scritti e promette che questa sarà
la sua ultima fatica editoriale.
[4] 12-15 e poi questa ... male ad alcuno: «e
poi questa (non racconto chiacchiere) ha il pregio delle altre fatte così: che
chiunque, se non la giudica positivamente, può smettere di leggerla, senza
continuare a infastidirsi; e questo è un bel vantaggio, e tale che non dovrebbe
provocare male a nessuno».
[5] 18-19
Mi spiace ... mio compare: si riscontra la mancanza di concordanza tra
«farla» (riferito alla commedia) e «potuto». Trattasi di forma dell’autore o
del tipografo.
[6] Eustachio
Manfredi: astronomo e poeta (1674-1739), grandissimo amico di Zanotti, che
scrisse un’opera biografica su di lui (Vita di Eustachio Manfredi, 1745)
e curò l’edizione postuma delle sue Rime (Bologna, Bologna, 1748). Cfr. Presentazione.
[7] I’ mi stetti
... poltroneria: «Non presi in mano la situazione, lo ammetto, per
pigrizia». Zanotti palesa il rimpianto di non aver composto la propria commedia
quando l’amico Manfredi era ancora vivo.
[8]
avrebbe fatta cosa vera, ma non verisimile: questa affermazione
sull’importanza della verosimiglianza (al di sopra del vero) è di indubbio
gusto goldoniano. Si veda, ad esempio, la seguente battuta di Orazio nella
commedia metateatrale Il teatro comico (1750), di pochi anni posteriore
a quella dello Zanotti: «se la commedia senza stiracchiature o improprietà può
farsi in iscena stabile, si faccia; ma se per l’unità
della scena si hanno a introdurre degli assurdi, è meglio cambiar la scena e
osservare le regole del verisimile» (II.3.10).
[9] Tornandomi
... altro soggetto: «Ritornando poi l’idea in testa, e volendo scrivere una
commedia, andavo pensando a un altro argomento».
[10]la commedia ... e
le toghe:
ripropone il topos della funzione catartica ed
educativa del teatro e sottolinea, polemicamente, come l’ignoranza presuntuosa
sia un vizio non solo (e non tanto) del basso popolo, ma anche delle persone
più altolocate.
[11] che io non
... deridere in genere: questa considerazione anticipa quasi alla lettera
un passo della prefazione goldoniana al primo volume dell’edizione Bettinelli.
Sia Zanotti sia Goldoni sostengono, infatti, che la commedia deve far ridere
criticando in modo generale una tipologia di persona, senza satireggiare
qualcuno in modo particolare (cosa che, tra l’altro, era vietata a Venezia):
«[...] il riso [...] che nasce principalmente dal trovar nella Commedia che ascoltasi, effigiati al naturale, e posti con buon garbo
nel loro punto di vista, i difetti e ’l ridicolo che trovasi in chi
continuamente si pratica, ma in modo però che non urti troppo offendendo» (Carlo Goldoni, Tutte le opere, a
cura di G. Ortolani, Milano, Garzanti, vol. I, p. 770).
[12] barbassoro:
dotto o persona che si atteggia come un dotto.
[13] ho proccurato
... la dissenteria: «mi sono impegnato a non esagerare troppo nel
rappresentare il carattere [dell’ignorante presuntuoso] ma di rappresentarlo,
per quanto ho potuto, in modo che non trasparisse l’artificio, affinché lo
spettatore, per così dire, si scordi dell’autore e attribuisca ciò che sente e
succede [sulla scena] all’attore che lo impersona, che, a sua volta, deve
recitare in modo non costruito, ma si deve impegnare a sembrare quella persona
che sta rappresentando; non ho voluto, ho detto, esagerare troppo i tratti, perché,
anche se così facendo avrei fatto ridere moltissimo gli spettatori, nessuno
però potrebbe correggersi, perché nel difetto troppo esagerato non ravviserebbe
i propri errori e non correrebbe ai ripari, come non lo farebbe uno che abbia
un po’ di costipazione che osservi un malato di idropisia o uno che abbia la
dissenteria». Zanotti tornerà su questo tema tanto nel prosieguo di questa
lettera quanto nel Prologo.
[14] talvolta un
principe, e un re: con questo riferimento Zanotti potrebbe alludere all’opera
regia, genere particolare della commedia dell’arte (sul genere si veda la
prefazione al volume Ciro Monarca, Dell’opere
regie, a cura di Javier Gutiérrez Carou, Irina Freixeito Ayo e Paula Gregores Pereira, Roma, Bulzoni, 2023, pp. 15-114).
[15] Se un
carattere ... chimera?:
«Se un carattere è esagerato tanto che trovarne un esempio reale sarebbe
impossibile o, se si trovasse, sarebbe come scovare l’araba fenice, quale
piacere possono trarre quelli che non hanno mai visto un così strano originale,
cosicché, più che copia sagomata sulla natura, deve sembrar loro un’immagine di
un mostro o una chimera?». Zanotti continua a ribadire il concetto.
[16] Voi ci
vedrete ... arditezza: presenta i temi secondari della commedia,
tralasciando un altro motivo non principale ma più interessante (con il quale,
per altro si apre l’opera): quello della svantaggiata condizione della donna
letterata.
[17] I versi poi
... maniera: spiega di aver scelto l’endecasillabo sciolto sdrucciolo per
il prologo e l’endecasillabo misto per il resto della commedia.
[18] Lo sdruciolo ... Ariosto: allude alla Cassaria,
composta prima in prosa (1508) e in seguito in endecasillabi sdruccioli
(1528-1529).
[19] mi pare ...
altrui: «mi sembra che spesso costringa a usare certi termini e certe
espressioni che risultano troppo macchinose, e se questo accadde poche volte a
quel sublime poeta [Ariosto] per la sua perizia, a me sarebbe accaduto
moltissime volte a causa della mia inettitudine, e questo lavoro non l’avrei
portato avanti che per infastidire ancora di più gli altri». Zanotti dichiara
di non possedere la perizia versificatoria di Ariosto e di preferire
l’endecasillabo sciolto misto, più gestibile e malleabile.
[20] dovea ... che basti: «desideravo poi farvi
onore e non tanto perché è consuetudine farlo in queste lettere dedicatorie, ma
perché siete degnissimo d’onore, e non si può lodarvi abbastanza». Zanotti si
profonde in lodi sperticate verso il proprio dedicatario.
[21] La
sconvenevolezza ... ed insulsa: ennesima professione di modestia.
[22] vostre rare
... traslatate: in merito alle traduzioni da Molière di Riva cfr. il già
citato Gian Pietro Riva, traduttore di Molière (1990). Per
approfondimenti cfr. Presentazione.
[23] gentilezza
... vostra schiatta: nella captatio benevolentiae
di Zanotti trova spazio anche un elogio dei due fratelli di Giampietro,
rispettivamente Giambattista e Francesco Saverio.
[24] Quanto ...
grandissima stima: sulla figura di Giambattista Riva cfr. Somasca
graduata. Memorie istoriche sopra li generali, prelati, vescovi, arcivescovi, e
cardinali della congregazione somasca compilate da D. Giacomo Cevaschi della medesima congregazione e dedicate
all’illustrissimo signor conte Gianfrancesco Buronzo, Vercelli, Panealis, 1743, pp. 109-110.
[25] quanto il
secondo... addietro: in merito all’attività letteraria di Francesco Saverio
Riva si può citare la sua opera Canzone in occasione, che la signora d.
Vittoria Riva veste il sacro abito religioso nel Munistero
di S. Margarita di Lugano, Milano, Malatesta, 1731.
[26] possiamo ... insieme: Zanotti rievoca le piacevoli e proficue
conversazioni con l’amico Riva.
[27] Masaccio: nome parlante: l’artista
quattrocentesco Tommaso di ser Giovanni di Mone di Andreuccio (1401-1429),
detto Masaccio, fu un maestro nella costruzione dello spazio prospettico, tema
centrale nella polemica tra Cleandro e Masaccio.
[28] 1-10 Ahah ... il Prologo: prosopopea del prologo,
che entra in scena e recita.
[29] 13-17 Un po’
lacero ... cognito: viene riproposto il topos
del poeta trasandato, tramite cui Zanotti fa autoironia sul proprio aspetto.
[30] dovizie:
ricchezze.
[31] quantunque
... un asino: «nonostante egli abbia la cultura di un asino». Il
riferimento all’asino, simbolo di stoltezza per eccellenza, ritorna più volte
nella commedia, fino alla scena 4 dell’atto V nella
quale viene regalata a Cleandro una parrucca con due
orecchie d’asino.
[32] 24-38 Vi
giura ... simile: «Quel tale che ha scritto la commedia vi giura sopra la
sua coscienza che, se si propose di imitare questo difetto, non volle scegliere
nessuno di preciso da imitare, per prenderlo in giro davanti a tutti,
comportamento indegno di un uomo onesto, e cosa anche pericolosa, per il
rischio di venir aggrediti; ma se per caso, com’è facile, capiterà che il
ritratto rappresentato sembri simile a qualcuno, sarà puro caso e costui non si
lamenti del poeta, ma di se stesso, che per poca intelligenza o illusione si
ritrova simile al ritratto». Zanotti ribadisce un concetto già sviscerato nella
lettera prefatoria, perché probabilmente temeva un qualche tipo di ritorsione.
[33] mascheroni:
caricature dipinte sui muri.
[34] ch’è po’ un omaccio buono: «che poi è
un brav’uomo».
[35] armelin: ermellino. Si allude al
candido manto invernale di questi animali, simbolo di purezza.
[36] cacasodo:
austero.
[37] 63-74 ite a’ teatri ...
supera: Zanotti stigmatizza il malcostume di preferire spettacoli teatrali
tutti improntati su gag esilaranti e pieni di lazzi, ma privi di reali
contenuti.
[38] 78-86 L’autore
... da correggere: anche in questo caso si insiste su un tema già
sviscerato nella lunga lettera prefatoria: il topos della funzione educativa del teatro. Per far sì che l’uomo
comune si rispecchi in un difetto occorre non estremizzarlo troppo, altrimenti
nessuno riuscirebbe a riconoscersi dentro un’immagine abnorme.
[39] però:
perciò.
[40] e qui dar
luogo: «e qui lasciare spazio».
[41] fesse:
facesse.
[42] da che v’ho
tanto diletto: «cosa che mi piace molto».
[43] 15-17 e
quantunque ... insegnare: «nonostante io sia una donna, chissà, se il mio
signor padre fosse vivo, forse mi avrebbe fatta istruire». Come sottolineato
nell’introduzione, Zanotti aveva in casa due esempi di donne studiose (le
figlie Angiola e Teresa), alle quali egli non aveva certo tarpato le ali
intellettuali.
[44] baiocchi:
monete di poco valore.
[45] e il sa
l’autore... commedia: Zanotti ironizza sulle proprie magre finanze.
[46] stolida:
stupida.
[47] 52-53 e li
guata ... sugna: «e li guarda, vanno in sollucchero e in brodo e diventano
teneri e morbidi più della sugna». La sugna è l’insieme delle parti grasse e
molli del maiale.
[48] tor marito: «prendere marito».
[49] 74-75 Ma gli
è ... l’ortica: con questa espressione colorita, Dorina allude
all’idiosincrasia di Cleandro per lo studio.
[50] 81-83: Fors’egli ... certamente: a proposito dello
snobistico rifiuto dello studio da parte di certi nobili cfr. la Presentazione
e, in modo particolare, la citazione tratta dalla Vita alfieriana.
[51] i barberi
allorché vanno al palio: si allude alla Tratta dei Barberi, palio di Fermo.
[52] gaglioffaggini:
stupidaggini.
[53] cuculo:
nome di uccello, in questo contesto nel senso figurato di «persona sciocca».
[54] innaspare:
forma arcaica di «annaspare», ovvero «avvolgere il filo sull’aspo per fare la
matassa».
[55] 141-142 E han
gittato ... l’asino: «e hanno sprecato il sapone e il detersivo, come chi
lava la testa all’asino». Altro riferimento all’asino, come simbolo di
stupidità.
[56] 147-150 Il
non sapere ... zoppica: «Il non sapere è diventata
una consuetudine alla quale la gente si appiglia per comodità; colui che
cammina con il bastone e zoppica non prende in giro lo sciancato». Dorina
allude al fatto che l’ignoranza ormai è talmente diffusa che coloro che sanno
poco si guardano bene dal farsi beffe di coloro che sanno ancora meno.
[57] spiritosa:
nel significato antico di «vivace».
[58] 159-160 S’ella
un po’ ... zucca: «Se lei sa un po’ distinguere il melone dalla zucca».
Espressione idiomatica che allude alla capacità di discernimento.
[59] bussolo:
babbeo.
[60] Pistaccio: nome di un servitore che non prende mai
parola e non risulta nell’elenco dei personaggi.
[61] 5-9 Ch’e’ faccia ... la vista: Cleandro si dimostra subito per quello che è: presuntuoso e
convinto che la lettura e lo studio facciano male alla salute.
[62]asinel ben sano: ennesimo
riferimento all’asino, esaltato da Cleandro.
[63] 51-52 Quantunque
... fatte scuole: «Nonostante io faccia una vita ritirata, io so quello che
si insegna in scuole del genere». Ersilia fa riferimento all’inutile compagnia
di certi individui rozzi e ignoranti.
[64] ch’io mi fui
quel desso: «che fui io quello».
[65] 85-86 So quel
che ... dottrina: torna il tema del ricco che si vanta di essere ignorante
(cfr. la lettera prefatoria e I.1.81-83).
[66] però:
perciò.
[67] gaglioffo:
sciocco.
[68] 8-9 I’ posso ... avete moglie: Falco allude
al significato figurato di cornuto, ovvero «marito tradito».
[69] tristo:
in questo contesto vale come «importuno».
[70] basilisco:
rettile mitologico che pietrificava con lo sguardo.
[71] non so ... a
fare: «non so come potrei farcela».
[72] Or va ... un
asino: torna il riferimento all’asino e, paradossalmente, a evocarlo è Cleandro, che in questa scena dimostra di non saper nemmeno
leggere.
[73] 1-2 Se
leggesse ... di Sorbona: Cleandro non è connotato
solo da difetti: ad esempio è generoso. Zanotti dimostra, quindi, di non aver
tratteggiato una macchietta, ma di aver ideato un personaggio con diverse
sfaccettature.
[74] gnaffe, gli ... vituperio: «in fede mia, è
davvero una vergogna». L’espressione «gnaffe» (forma
toscana per «mia fé») ha valore assertivo.
[75] onde:
attraverso il quale.
[76] saria: sarebbe.
[77] Par che ...
io lo ravvisi: «Sembra che in qualche modo mi ricordi qualcuno».
[78] Cleandro ... sarà bastardo: Falco ironizza
sul fatto che Cleandro non ha ereditato minimamente
le virtù del padre.
[79] 18-21 Oh quante ... come voi: si nota la
boria di Pomponia, che non perde mai occasione per
autoincensarsi direttamente o, come in questo caso, attraverso la citazione di
encomi altrui.
[80] 33-37 Grazie
al ciel ... e fino: in questo brano si nota la vanità di Ottavia,
desiderosa di essere vezzeggiata da tutti, ma, al contempo, molto attenta agli
aspetti concreti.
[81] scernere:
vedere distintamente.
[82] 12-15 Sta nel
... d’allevar fiori: Ersilia, oltre a essere un’intellettuale, pratica il
giardinaggio, dimostrando il suo interesse anche per le scienze.
[83] tostamente
ce la recasse: «velocemente ce la portasse».
[84] 7-8 non aveva
... mi son levato: Falco con questa espressione idiomatica allude al fatto
di essersi svegliato all’alba.
[85] stracco:
stanco morto.
[86] fora stata:
«mi sarebbe stata».
[87] mercede:
premio.
[88] il modo, onde
si dice, è quel che offende: macroscopico riferimento al celeberrimo verso
dantesco «e ’l modo ancor m’offende» (Inf. V.102).
[89] 79-81 Se non
... torto sempre: Cleandro sottolinea come,
secondo il suo orizzonte di valori, la classe sociale valga di più dei titoli
di studio. A questo proposito cfr. la Presentazione.
[90] baie:
beffe.
[91] gaglioffaggini:
cfr. I.1.119.
[92] affé: «in
verità».
[93] ampoditi: storpiatura di «antipodi». Cleandro
in questo brano, in cui dimostra di non aver compreso nulla delle leggi della
forza di gravità, dimostra tutta la propria ottusa ignoranza.
[94] ne porian ... cadrebbono: «non
potrebbero star dritti perché cadrebbero».
[95] fola:
«favola inventata».
[96] pazzi da
catena: «pazzi da legare».
[97] adoperate
meco: «vi comportate con me».
[98] 177-178 non
ho ... a curiali: «non mi sono mai fidato degli avvocati».
[99] uom da ... i bufoli: «uomo da portare in giro tirandolo per il naso
come i buoi». L’espressione ‘menar per il naso’
significa ‘prendere in giro’ e deriva dall’uso di
condurre il bestiame tirandolo per l’anello infilato nel setto nasale.
[100] I’ l’ho perdute ... l’ho vinte: spiritosa tautologia, volta a sottolineare la
scempiaggine di Cleandro.
[101] 201-202 ch’egli
è ... del vento: «È come voler far navigare a tutti i costi una barca a
dispetto delle condizioni del vento».
[102] la tempesta
... di mira: «la tempesta lo prendeva di mira».
[103] fattucchieria:
stregoneria. Cleandro dimostra la propria ignoranza
anche attraverso la fede nella scaramanzia.
[104] infermarsi:
ammalarsi.
[105] 236-238 Voglio
mandarle ... uom di garbo: captatio benevolentiae
verso l’editore storico di Zanotti, Lelio della Volpe di Bologna (cfr. Presentazione).
[106] 1-2 Quel gaglioffo ... ha fatto!: «Quello sciocco del nostro
cameriere guarda un po’ che disastro ha combinato!». Dorina fa riferimento a Pistaccio e al rovesciamento delle tazze di cioccolata.
[107] Vo’ far ...
non vederlo: «Voglio fare finta di non vederlo».
[108] Affé di Bacco:
«che diamine».
[109] polputo:
robusto.
[110] gia cantando: «stavo andando in giro
cantando». Dorina fa riferimento scherzosamente alla propria distrazione.
[111] fare a l’amore: amoreggiare. Non allude all’atto sessuale, ma
a quello che oggi potremmo definire un flirtare propedeutico a un fidanzamento
ufficiale.
[112] 27-28 un lardaiuolo ... guattero: «un venditore di
lardo, uno sguattero di cucina». Nell’elenco dei pretendenti di Dorina sono
presenti tutti lavori umili (tranne l’accenno al dottore).
[113] 43-46 In verità io vorrei ... mai d’alcuna femmina: Falco, in quest’affermazione, anticipa il carattere del personaggio
del Cavaliere de La locandiera goldoniana.
[114] 5-7 Io non
... veduti, e letti: Ersilia dimostra l’umiltà della sapienza (cfr. Presentazione).
[115] quantunque:
nonostante.
[116] vosco:
con voi.
[117] 31-32 Noi con
lui ... signora madre: «Vi lasciamo con lui perché devo andare a trovare la
signora madre».
[118] Colui certo ... la fantasma: Dorina considera l’arrivo di Arcilungo
come un segno nefasto.
[119] inchinarvi:
omaggiarvi.
[120] onde: con
la quale.
[121] 17-19 Non è
lavoro ... balcon sovrano: Arcilungo
inizia a recitare i settenari del madrigale.
[122] imbalsamar le
viscere: espressione molto concreta, usata per indicare gli effetti di
un’emozione profonda.
[123] 69-72 Gli è
ver ... vi ringrazio: Arcilungo ironizza sulla
spilorceria dei ricchi committenti.
[124] seguite:
continuate.
[125] Il Petrarca
... buffone: Cleandro dimostra tutta la sua
ignoranza, palesando di non conoscere uno dei poeti più importanti della
tradizione letteraria italiana.
[126] asinaccio: ennesimo riferimento all’asino come
simbolo d’ignoranza.
[127] come fassi la fettuccia: «come si fa con i nastri».
[128] acciocché:
affinché.
[129] 19-22 quell’asino
... pezzo d’asino: ulteriori riferimenti all’asino.
[130] ch’egli è un
asino: si insiste ancora con l’evocazione della figura asinina.
[131] 34-38 Ma così
era ... occhi appaiono: Masaccio cerca di spiegare a Cleandro
la teoria della prospettiva. A questo proposito mi permetto di rinviare
all’intervento Contini, «Come fa un
dipintore», cit., pp. 209-211.
[132] non sariami bisognato: «non avrei avuto bisogno».
[133] paffuto:
grosso.
[134] 74-76 Con
quella ... farmi paura: Cleandro descrive la
postura minacciosa e sfidante dell’iracondo Masaccio.
[135] vituperio:
offesa.
[136] Questi
pittori ... che pelano: evidente autoironia di Zanotti sulla categoria dei
pittori (cfr. Presentazione).
[137] stucca:
stanca.
[138] 17-19 sì,
sono ... tanto amorosa: Pomponia dà ancora prova
della sua megalomania. In tutta la scena non fa altro che autoelogiarsi.
[139] finalmente vi
essibisco: «di conseguenza vi propongo».
[140] ancor:
anche.
[141] 59-60 Oh
perché ... sì fatta disgrazia?:
«Oh perché a me non accade una disgrazia tale». Ovviamente, il tono di Dorina è
ironico, visto che desidera ardentemente prendere marito.
[142] infermiccio:
malaticcio.
[143] toglie:
prende.
[144] apporre:
aggiungere.
[145] 101-103 Oh
Dio! ... sia più caro: «Oh Dio! Se esistesse uno che lo sia di più [stupido
di Cleandro], oh che non accada mai, vorrei perdere
piuttosto la testa oppure altro che mi sia più caro [della testa]».
[146] 6-9 Il ciel!
... dargliene esempio: anche in questa scena Pomponia
dà fondo al proprio narcisismo senza risparmiarsi.
[147] farebbe a l’amore: amoreggerebbe, farebbe la civetta.
[148] frascherie:
ornamenti. Geronzio allude all’abbigliamento e agli accessori femminili.
[149] e queste
ancora ... danari: si nota subito la caratteristica spiccante dello zio
Geronzio: la taccagneria.
[150]24-26 Sentite l’uom ... la pelle: Dorina sottolinea la
spilorceria e la sete di guadagno di Geronzio.
[151] non che zio:
«più che zio».
[152] saria: sarebbe.
[153] 69-70 benché
a ... non ci bado: sembra che Geronzio non si avveda della propria avarizia
o, quantomeno, che voglia mitigarla a parole.
[154] 13-15 e
andate ... caso vostro: «e vi siete innamorato di una ragazza frivola che
non fa assolutamente per voi». Il sostantivo «frasca» allude a qualcosa di vano
e in questo caso si riferisce alla leggerezza di Olimpia.
[155] melate:
sdolcinate.
[156] 36-38 ma la
roba ... l’uomo felice: in questi versi Geronzio esprime tutto il suo
materialismo esasperato.
[157] quantunque:
cfr. III.1.11.
[158] gaglioferia: idiozia.
[159] dramma: minima particella.
[160] 59-64 e per
non ... l’ordine istesso: «e per non perderli né far diminuire il gruppo di
spasimanti di cui si vanta, pensate quanto rende piacevoli le serate a casa
sua. In un posto si gioca, in un altro si gozzoviglia, e a casa vostra vorrà
fare la stessa cosa».
[161] seminare in
acqua: allude a un’attività inutile e sterile.
[162] lice dir:
«deve dire».
[163] scemo assai
... siete atto: «assai privo di senno, e non siete adatto».
[164] il gran Bertoldo: Dorina allude alla furbizia contadina e ‘pratica’ di Bertoldo,
protagonista dei racconti raccolti in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno
(1620), e poi divenuto personaggio proverbiale.
[165] mercatanzia:
merce. La metafora ha connotazioni alquanto misogine.
[166] versiera:
termine che allude a una figura femminile demoniaca, spesso identificata come
la «moglie del diavolo».
[167] 107-110 Nasceragli ... nobil cosa: Dorina allude alle
corna, immaginando che Olimpia possa tradire Cleandro.
[168] 116-122 Ma la
signora ... che son io: Pomponia trova nuovamente
lo spazio per fare una delle sue tirate megalomani.
[169] ancor:
cfr. III.6.48.
[170] a suo grado:
«a sua volta».
[171] uscir del
manico: espressione che in questo contesto può essere resa con «andare
fuori di testa».
[172] 148-149 e
darsi ... può darsi: «e darsi tutte le arie che può».
[173] 151-153 che saprolla ... che m’insegni: «che la saprò guidare come
si deve, né ho bisogno di qualcuno che mi insegni [come fare]».
[174] A fé di bacco: cfr. II.4.10.
[175] proverebbono: proverebbero.
[176] a farvi terra da pignatte: «terriccio per fare i tegami». Pomponia allude al fatto che Cleandro
si sarebbe fatto ridurre in mille pezzi, se il suo avversario non avesse usato
un’arma finta.
[177] 185-191 e chi
dar me ... vi contentaste: «e chi me lo vuole dare, quando io non lo
chiedo, mi rompe ciò che per decoro non cito; ma dirò cose ben peggiori, se
continuate a fare i maestrini con me, e se lo sopportassi, farei un torto al
cielo che mi ha dato una mente con la quale posso regolare me stesso, e anche
voi altri, se ne aveste bisogno».
[178] scempio:
stupido.
[179] Ha par del
suo vissuto: «ha vissuto con le proprie risorse». Cleandro
intende dire che Olimpia non è una parassita.
[180] Io sto a ...
sé la sposa: Dorina ironizza sul fatto che Geronzio è talmente avaro che,
nonostante sia anziano e riottoso al matrimonio, potrebbe valutare l’ipotesi di
sposare Ottavia solo perché ha scoperto che ha una rendita.
[181] sul monte:
Cleandro fa riferimento al fatto che il denaro di
Ottavia è conservato in un istituto bancario affidabile.
[182] Or mi
protesto: «ora dichiaro». Geronzio, una volta scoperto che Ottavia è
benestante e che gli sarebbe concesso di gestire i suoi beni, cambia
completamente atteggiamento rispetto all’ipotesi matrimoniale di Cleandro.
[183] 238-239 v’aiti:
«vi aiuti».
[184] 243-244 L’interesse ... non falla:
«L’interesse per un babbeo del genere è una rete che non sbaglia».
[185] 247-251 lo
dovete fare ... del matto: «Lo dovete fare senza clamori, né far lussi né
spese. Le nozze poi le organizzano gli stupidi, e servono solo a far sì che gli
altri si mangino i vostri soldi e poi vi deridano e vi diano del pazzo».
[186] guattera:
cfr. II.4.27-28. Pomponia non si sente riconosciuta
nei suoi meriti come dovrebbe. Questo tipo di vittimismo deriva dal suo
narcisismo patologico.
[187] mi cruci:
«mi faccia soffrire».
[188] 11-12 puta
sotto del naso: «puzzi sotto il naso». Pomponia,
acciecata dalla propria autocommiserazione, crede di essere addirittura
schifata dai propri famigliari.
[189] arrabbiare:
arrabbiarmi.
[190] 16-27 I’ vo’
provar ... madre sì fatta: Dorina cerca di blandire Pomponia,
facendo leva sul suo desiderio di essere apprezzata, perché grazie al
matrimonio tra Cleandro e Olimpia è convinta di avere
più occasioni d’incontro con l’amato Falco.
[191] vosco:
con voi.
[192] 34-35 quando
di voi ....ch’ella poppi: «quando parla di voi,
sembra che stia succhiando il latte materno». Questa espressione allude alla
devozione per la figura materna.
[193] 36-54 e
l’altro dì ... un sì gran bene: Dorina, pur di convincere la padrona,
arriva alle iperboli più sperticate e alle invenzioni più fantasiose.
[194] 56-63 Io te lo ... può dubitarne: Pomponia,
acciecata dal narcisismo, cade nella rete di Dorina, credendo a un racconto del
tutto inverosimile.
[195] 64-65 Gli è
un bel ... conosce, e prezza: «È una bella soddisfazione, quando si
posseggono dei pregi, notare che gli altri li riconoscono e li apprezzano».
[196] più che mel:
«più del miele». Dorina sottolinea come sia Geronzio sia Pomponia,
entrambi contrari alle nozze di Cleandro con Olimpia,
abbiano diametralmente cambiato idea perché manipolati con ragionamenti capaci
di andare a solleticare le loro debolezze: rispettivamente l’avarizia e la
presunzione.
[197] saria: sarebbe.
[198] fusse: fosse.
[199] 5-6 lasciami
in pacсе ... fai spasimare?: a pochissima distanza si trovano
le due forme, la prima geminata e la seconda scempia, «pacce»
e «pace». Non abbiamo normalizzato la prima, seguendo le disposizioni della
nota al testo.
[200] Paura di non
ire a Cornovaglia: Falco allude alla paura del tradimento. Il riferimento
alla contea inglese della Cornovaglia strizza l’occhio alle «corna» che non
vorrebbe vedere crescere sulla propria testa. Falco aveva già fatto riferimento
alle corna per evocare l’infedeltà: cfr. I.3.7-9. E sulle corna cfr. anche le
battute di Dorina IV.2.107-110.
[201] 55-58 fitto addosso ... far già mai: Falco
allude al divampare della passione amorosa per Dorina che lo porta a non essere
più padrone delle proprie azioni e a rivedere le proprie convinzioni.
[202] ma egli non
sa trattar con le mie pari: Olimpia è mal disposta nei confronti di Cleandro perché non si sente accolta e vezzeggiata come
pensa di meritare.
[203] 22-26 né vo’ veder ... d’avermi: la vanità di
Olimpia raggiunge vette mai viste.
[204] paoli: il
paolo era una moneta pontificia. Falco allude al fatto che molti spasimanti di
Olimpia lo hanno pagato per i suoi servizi di intermediario.
[205] 32-36 Temo
che ... debbo nominare: Falco fa riferimento al posarsi delle mosche sulle
feci. La similitudine triviale è in linea con il personaggio.
[206] 48-50 Cotale,
cotalone ... e fan sonetti?: tirata ironica e autoironica di
Zanotti sui poeti (cfr. Presentazione).
[207] 50-53 E poi
... questa elezione: «E poi vi dico adesso che il sonetto che vi ha mandato
non l’ha scritto lui. Insomma sempre mi sono stupito
di questa scelta [di sposare Cleandro]».
[208] 60-65 Se ho a
... lasceria trarre: «Se devo confessarti la
verità, ho pensato che sarebbe meglio avere uno sempliciotto piuttosto che un
uomo d’ingegno, per poterlo manipolare come voglio; cosa che non potrei fare
con un uomo intelligente».
[209] Prendete
l’orsa da guidare a Modona: questa espressione
idiomatica può essere resa con «vi sobbarcate un’impresa ardua e
difficilissima». La frase «menare l’orso a Modena», divenuta proverbiale, si
riferisce a un atto pubblico del 1451, sottoscritto tra il Ducato di Modena e i
contadini della valle della Garfagnana, secondo il quale i secondi avrebbero
potuto sfruttare le risorse delle zone boschive di confine se fossero riusciti
a pagare ogni anno una ‘tassa’ molto particolare e pericolosa, che consisteva
nel consegnare, in occasione del Natale, al Duca di Modena un orso vivo (che
quindi doveva essere condotto per i disagevoli sentieri appenninici). Fuor di
metafora, Falco crede che per Olimpia sarà impossibile raggirare sempre Cleandro, perché la presunzione di quest’ultimo lo rende, a
suo modo, sicuro di sé.
[210] 21-22 Sì, da
farsi ... marmotte: Falco fa riferimento all’atteggiamento guardingo delle
marmotte, sempre pronte a rifugiarsi nelle tane. E intende dire che chi si
arrischiasse a dire che lui e Dorina sono una bella coppia poi dovrebbe andare
a nascondersi.
[211] poscia:
dopo.
[212] frega:
fretta.
[213] Io non ho
frega, ma vorrei sbrigarmi: spassosa questa evidente contraddizione di
Dorina.
[214] porre in
affetto alcune cose: «sistemare alcune faccende».
[215] 8-9 Benissimo!
... assai gentile: il tono di Olimpia è antifrastico.
[216] per qual
cagione egli cotanto indugi: «per quale motivo egli si faccia attendere
così tanto».
[217] e pare
ch’abbia andare in Calicutt: Falco, più che
alludere alla città indiana in particolare, fa un riferimento generico a un
luogo lontano e misterioso.
[218] son sul monte:
cfr. IV.2.229.
[219] Se ci vorrete
attendere: «se volete impegnarvi in questo». Parte l’ennesimo autoelogio di
Pomponia.
[220] 30-31 No, non
mi ... abbisognarne: «No, non mi dispiace un consiglio così saggio, anche
se non credevo di averne bisogno».
[221] Se il sa lo sappia: «Se lo sa, va bene
che lo sappia, ma anch’io...».
[222] 42-43 Quando
... cielo ne guardi: «Quando il cielo sarebbe dovuto essere sereno, impazza un tempo che fa
paura». Falco allude al fatto che i discorsi prematrimoniali, invece di essere
improntati alla gioia e alla serenità, sono carichi di tensione.
[223] 50-53 Può
essere ... le ha date: Cleandro tenta di imporre
la propria autorità, facendo leva sul patriarcato.
[224] basto:
«grossa e rozza sella di legno».
[225] bufoli: cfr. II.3.179.
[226] acciocché:
cfr. III.4.15.
[227] accomodare:
adattare.
[228] 80-81 Mal fa
... dentro la rete: «Fa male il cacciatore che spaventa l’uccello prima di
averlo catturato».
[229] 94-97 sto
pensando ... al vento: «sto pensando a quello che una mia pari dovrebbe
rispondervi, ma vedo che è molto meglio tacere perché darei una risposta al
vento». Olimpia tira una frecciata: è inutile parlare, tanto Cleandro non capisce nulla.
[230] recata:
portata.
[231] averlo a
schivo: disprezzarlo.
[233] 127-129 basta
aprir ... v’ha dentro: «basta aprire subito la scatola e si scoprirà quello
che c’è dentro». Arcilungo, esasperato, cerca di
esortare Cleandro alla concretezza.
[234] Gnaffe: cfr. I.4.7.
[235] È un asinel di latte: i numerosi riferimenti all’asino
presenti nella commedia culminano in questa scena nella quale viene regalata
una parrucca asinina a Cleandro. In merito ai
riferimenti al mito di Mida cfr. Presentazione.
[236] Conosco:
riconosco.
[237] giusta
mercede: «giusta riconoscenza». Il tono di Olimpia è, ovviamente,
antifrastico.
[238] 156-158 s’abbia
tanto ... qual voi siete: «se abbia tanto ingegno da sapersi comportare da
saggia compagna di un uomo del vostro calibro».
[239] 167-169 a me me ... in su la
testa: Falco allude ancora una volta alle corna e al proprio timore di
essere tradito.
[240] che mi cagioneria qualche flussione: «che mi causerebbe
qualche infiammazione».
[241] e meno
presumete per lo innanzi: «e siate meno presuntuoso in futuro».
[242] 18-20 Forse
leggendo ... fatte vergogne: Ersilia nell’accomiatarsi riassume il senso
della commedia: lo studio è utile, tra le altre cose, a vivere meglio.
[243] gragnuola:
precipitazione atmosferica violenta.
[244] 4-9 ma i’ mi ... ch’io so far: «ma io
accetto di essere colpito e pestato come un asino se subito non mi vendico. È
stato quel pittore maledetto che mi ha fatto questo terribile affronto, ma
vedrà cosa so fare». Nella sua battuta finale, che richiama nuovamente
l’immagine dell’asino, Cleandro dimostra di essere
rancoroso e vendicativo. Il regalo
provocatorio di Masaccio non ha quindi sortito l’effetto di farlo ragionare
sulla propria inettitudine, ma ha solo inasprito il suo astio.
[245] 1-3 Vedrassi ... topolin sì
fatto: Dorina allude all’adattamento popolare del passo ovidiano Parturient montes, nascetur ridiculus mus («I monti avranno le doglie, nascerà un ridicolo
topo»; Ars Poetica, 139). L’espressione indica i risultati
insignificanti di un progetto pletorico.
[246] 5-6 Posso ben
... il ritratto: il ritratto di cui parla sarcasticamente Dorina è la
parrucca d’asino, che ben rappresenta la stoltezza di Cleandro.
[247] 7-8 A comun
... una commedia: dopo la tirata moraleggiante, Arcilungo
conclude la commedia con un motivo metateatrale.