I. Titolo e dati bibliografici | ||
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00. Schedatore/Schedatrice
Bisi, Monica
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01. Autore
Rucellai, Giulio
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02. Titolo → Edizione
Misantropo a caso maritato, Il
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03. Titolo completo
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04. Manoscritti
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05. Edizioni utilizzate
Il misantropo a caso maritato. O sia l’orgoglio punito. Commedia divisa in cinque atti, Bologna, Lelio dalla Volpe, 1748. |
II. Tipo | ||
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06. Genere
Commedia (dialogo filosofico). |
06. Sottogenere
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07. Generi interni
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III. Personaggi e rapporti |
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08. Elenco dei personaggi
Alceste, misantropo; Pandolfo, un vecchio gentiluomo; Argante, un vecchio cittadino; Doralice; Elvira, padovana sotto il nome d’Elisa; Scappino, normanno sotto il nome del Marchese della Source; Lisca, italiano sotto il nome di Valerio, maggiordomo di Scappino; Crespino, servitor vecchio di casa di Pandolfo. |
09. Protagonisti
Alceste, il cui carattere dà il titolo alla commedia e le cui riflessioni filosofiche sono poste a fondamento di quello che nel Prologo l’autore definisce «il fin della commedia»; Elvira/Elisa la cui storia personale e il cui atteggiamento costituiscono la prova degli insegnamenti della commedia; Doralice, il cui orgoglio, analogo a quello di Alceste, viene diversamente punito. |
10. Personaggi e maschere della commedia dell’arte o da essi derivati
Scappino, con la sua presunta astuzia e con la sua naturale inclinazione alla fuga e all’inganno riprende il nome e il carattere di Scapino, benché in questo caso non ricopra esplicitamente il ruolo del servo, ma del servo che si fa padrone rubando la livrea. |
11. Valore allusivo dei nomi dei personaggi
Scappino perché versato alla fuga; Lisca forse per la sua magrezza, dal momento che è sempre in cerca di espedienti per sopravvivere. |
12. Rapporti fra i personaggi
Alceste-Pandolfo: nipote e zio; Pandolfo-Argante: amici; Argante-Doralice: padre-figlia; Pandolfo-Crespino: padrone-servo; Doralice-Elisa: padrona-serva; Scappino-Lisca: amici e finti padrone-servo; Doralice-Scappino: innamorati; Alceste-Elisa (Elvira): innamorati. |
13. Personaggi speculari
Alceste e Scappino, entrambi giovani, ma il primo ossequioso di fronte alle leggi e alla ricerca della verità, il secondo impostore, adulatore e avido; Doralice ed Elisa, giovani donne: la padrona spensierata, volubile e superficiale e la serva saggia e rispettosa delle leggi; Argante e Pandolfo, amici maturi nell’età e di temperamenti diversi: il primo pacato, rispettoso delle leggi, magnanimo e di grande buon senso, il secondo istintivo, ingiusto, avaro, di vedute ristrette. |
14. Soliloqui e monologhi di particolare importanza
Alceste, miseria, superbia e illusioni dell’uomo, II.2; Argante, contro la fortuna, V.1.1-14; Alceste, atomismo della materia e suicidio, V.3; storia di Elvira V.11.102-146. |
15. Dialoghi e successioni di monologhi di particolare importanza
Pandolfo e Crespino, elogio dell’ignoranza, I.2; Pandolfo e Argante, visione utilitaristica del matrimonio, I.3; Doralice ed Elisa, piacere della conquista vs matrimonio, I.6; Pandolfo e Alceste, sapienza e ignoranza intorno al matrimonio, II.3; Doralice, Scappino, Elisa, valore delle leggi, III.3; Alceste e Pandolfo, istinto naturale al matrimonio e sua giustizia, V.5; Pandolfo e Argante, ingiustizia delle leggi (che danneggiano i nobili), V.8.43-70. |
16. Uso particolarmente rilevante degli a parte
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17. Personaggi che parlano solo in verso
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18. Personaggi che parlano solo in prosa
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19. Personaggi che parlano a soggetto
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20. Personaggi che alternano testo scritto e improvvisazione
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21. Personaggi che parlano solo in italiano
Tutti. |
22. Personaggi che parlano solo in dialetto, in forme di italiano regionale o storpiato, o in una lingua straniera
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23. Uso significativo e iterativo di figure retoriche o risorse simili
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IV. Intreccio |
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24. Riassunto dell’argomento del testo
Atto primo: una serie di dialoghi concatenati fa entrare in scena tutti i personaggi. Alceste, solitario e neghittoso al matrimonio, si lamenta con il servo di casa Crespino dell’avidità dello zio Pandolfo, cui egli fu affidato da ragazzo e che ora vuole imporgli di sposare Doralice, figlia di Argante: una donna superficiale, vanitosa e opportunista, ma molto ricca. Da parte sua, Pandolfo, che succede al nipote nel dialogo con il servo, maledice la formazione culturale del nipote e intona un inno all’ignoranza e al buon senso che hanno invece fatto di lui un accorto economo e gestore delle proprie ricchezze; le sue proteste trovano seguito alla comparsa dell’amico Argante, con cui Pandolfo si lamenta della resistenza di Alceste al matrimonio e della conseguente impossibilità di avere eredi: Argante tuttavia gli ricorda che lui è solo amministratore dei beni del nipote, sui quali dunque non può vantare diritti. Pandolfo rivela allora di essersi rivolto ad un indovino che gli ha consigliato di diseredare il nipote e di procurarsi un erede sposandosi o adottando un figlio. Per questo chiede per sé ad Argante la mano di Doralice, sua figlia. Argante rifiuta in nome della giustizia e della propria rettitudine, e rilancia l’idea del matrimonio fra Doralice e Alceste. Pandolfo non si arrende e incarica la serva Elisa di convincere Doralice a sposarlo. La serva cerca di fargli cambiare idea, poi finge di ubbidire, ma nel suo dialogo con Doralice esalta la cultura di Alceste. La giovane, tuttavia, difende la sua presunta libertà contro la dura legge del matrimonio, preferendo le molteplici seduzioni al legame autentico: nel dialogo emergono così due concezioni dell’amore e del matrimonio: ‘tradizionale’, per così dire, quella della serva e libertina quella di Doralice. La serva è assediata anche su un altro fronte per spingere Doralice alle nozze: Lisca, servo di Scappino, la incalza affinché acceleri quelle fra Scappino e Doralice, chiave di volta del piano criminale dei due falsi nobili per arricchirsi. Nel dialogo fra questi ultimi, che conclude il primo atto, Lisca espone a Scappino i propri timori per l’impresa dolosa di voler conquistare con l’inganno la mano di Doralice. Atto secondo: dopo un rapido confronto con Crespino sulla concezione del matrimonio, speculare a quello fra Elisa e Doralice, Alceste deplora il miserabile stato dell’uomo, illuso che la ragione possa dominare sui sensi, dei quali invece l’uomo è schiavo. Quando Pandolfo gli annuncia che ha già concluso il suo matrimonio con Doralice, alla visione gretta, incolta e utilitaristica dello zio, Alceste contrappone la prospettiva di nozze fondate sulla libertà e la fiducia di entrambe le parti nonché sul reciproco amore e chiarisce gli aspetti positivi e negativi del matrimonio da un punto di vista filosofico. Lisca porta per Alceste un foglio di sfida a duello da parte del finto marchese de la Source: motivo del duello, l’amore per Doralice. Pandolfo approfitta della circostanza per insistere ancora affinché Alceste ceda alle nozze, risolvendo così anche il problema del duello, ma il nipote si rifiuta, appellandosi alla propria libertà. Con azione uguale e contraria, ma con una concezione ben diversa di libertà, Pandolfo afferma allora la propria, annunciando che lo diserederà, ma Alceste resta – stoicamente – fermo nella propria posizione, non senza ricordare allo zio l’origine dell’eredità. Atto terzo: Doralice attende la visita di Scappino nella casa di Alceste pregustando una sorta di ripicca contro di lui; Elisa fa notare a Doralice l’ingiustizia che sta compiendo nei confronti di Alceste; Doralice la mette a tacere: vuole essere sorpresa mentre scrive un biglietto d’amore. Giunge Scappino con il biglietto con cui Alceste rifiuta la sfida a duello facendo appello alle leggi, e ribadisce di non voler sposare Doralice. Segue un confronto fra la concezione superficiale e puntigliosa del diritto difesa da Doralice e Scappino e la saggezza di Elisa, che difende invece la giustizia da cui è animato Alceste. Scappino minaccia di uccidere Alceste; Doralice opta per una pena minore, ma il solo nome di Argante richiamato da Elisa placa i toni delle minacce. Scappino, per portare altrove l’attenzione delle donne, dà sfoggio di abilità retorica nel parlar d’amore nascondendo i propri veri sentimenti, finché ad un certo punto trova una scusa per andarsene, ma prima, congedata Elisa, insinua in Doralice il sospetto che la serva voglia sposare il padre Argante e diventare sua matrigna, e la spinge a fare in modo che sia cacciata via di casa. La stessa cosa Scappino riporta ad Argante, nel dialogo successivo, come notizia avuta da Doralice stessa, provocandogli così confusione e molti dubbi aggiungendo che Doralice non cederà al matrimonio finché Elisa sarà in casa. Atto quarto: Argante intima alla figlia di scegliere un marito, lei gli rinfaccia di voler sposare Elisa, e, nutrendo sentimenti di vendetta contro la serva che le ha dato consigli di giustizia, accetta di scegliere lo sposo a patto che questa sia cacciata: Argante accetta, propone come sposo Alceste, ma Doralice rilancia su Scappino. Argante cerca di dissuaderla e poi le rivela che Scappino se ne è andato, provocandole una disperazione dai toni tragici, che egli stesso consola con espressioni di pacato buon senso. Elisa nel frattempo ha deciso di andarsene ed Argante cerca di dissuaderla. Ella invece chiede aiuto a Crespino per avvicinare Alceste e parlargli: Crespino le lascia aperto il cancello del giardino affinché possa sorprendere Alceste durante la notte. Nel frattempo Scappino è tornato in casa di Alceste e ha raggiunto Doralice: richiesto di spiegazioni da Argante, egli elenca una serie di casi fortuiti che gli hanno impedito di partire e si dice forzato dal destino a chiedere la mano di Doralice per sposarla immediatamente. Argante finge di acconsentire, ma cerca di prende tempo con la scusa di voler organizzare dei festeggiamenti, che Scappino dice essere già in preparazione grazie alla sua servitù. Doralice lo invita a lasciare la casa di Alceste mentre Argante, ormai rassegnato alla forza del destino, va in cerca di Pandolfo per informarlo di quanto accaduto. Atto quinto: ribadita la propria signoria sulla fortuna, Alceste si reca nel giardino a meditare e chiede a Crespino di chiudere il varco a chiunque. Facendosi beffe del padrone, il servo introduce nel giardino Elisa, che ha preso le vesti di Elvira e spera di poter far cedere Alceste al matrimonio. Questi giunge deplorando i colpi di fortuna e dubitando della propria virtù a resistervi: lo zio, tramite un avvocato, gli ha infatti intimato di lasciare la casa immediatamente. Il fatto è pretesto per un lungo monologo (improntato da un certo atomismo) sulla disperata condizione dell’uomo, schiavo dei sensi e nato al dolore, e sull’utilità del suicidio per troncare la sofferenza. Alceste prende il pugnale per trafiggersi, ma mentre combatte un ignoto terrore, si palesa Elisa travestita da Elvira, lo ferma e lo confonde minacciando di uccidersi essa stessa. Alceste, dapprima irato, si impietosisce e i due condividono i propri dolori mentre Elvira racconta la storia del proprio passato e il dialogo assume un andamento filosofico sul rapporto fra amore, schiavitù e libertà. Alceste cede al fascino della donna e si innamora di lei, tanto che quando d’improvviso li sorprende Pandolfo e li rimprovera, il nipote gli annuncia che la donna sarà la sua sposa. Pandolfo erompe in un’invettiva contro la plebe e contro le leggi –a suo dire ingiuste– che la favoriscono a danno della nobiltà. Argante lo ha appena informato che Doralice è sposa al marchese, cercando di convincerlo che i matrimoni sono frutto del caso, quando arriva Doralice sconvolta e piena di vergogna e racconta di come il presunto marchese de la Source e il suo lacché sono stati smascherati come omicidi, ladri e impostori e arrestati proprio mentre lei era con loro. Pandolfo rientra in scena, una volta accertatosi dell’identità dei due malfattori presso il giudice del processo, e racconta il loro torbido passato e i motivi dell’arresto. Mentre Alceste cerca di consolare Doralice con riflessioni filosofiche sull’utile e il dannoso, l’individuo e il cosmo, Pandolfo approfitta per accusarlo di aver sposato una serva senza dote, prestando il destro perché venga raccontata la vera storia che rivela gli impensati nobili natali di Elvira: una storia di illusione amorosa, errori, tradimenti, abbandoni, poi di coraggio, di virtù ma anche di orgoglio. Elvira stessa la narra nel dettaglio a consolazione di Doralice, per mostrarle come il caso operi in modo impensato e dispensi beni nelle circostanze in cui l’uomo non se li aspetta. Nella soddisfazione generale, solo Pandolfo si dice disgraziato bersaglio della sfortuna, mentre Alceste enuncia la morale della commedia. |
25. Tema principale
Orgoglio. Presente già nel titolo, l’atteggiamento orgoglioso è in prima battuta proprio di Alceste; viene posto in relazione alla sua cultura e alla sua sapienza ed è ciò che, alla fine, viene in lui esplicitamente vinto dall’amore da parte di Elvira (V.4.53-54), per cui quel matrimonio che doveva essere una punizione si rivela strumento di salvezza. L’orgoglio effettivamente punito è, invece, quello dell’altezzosa Doralice, che al termine della vicenda si vedrà ingannata e abbandonata. |
26. Temi secondari
Matrimonio, giustizia, destino. |
27. Comicità
Effetti comici dovevano suscitare probabilmente le stoccate del servo Crispino nei confronti sia del padrone Pandolfo, che egli accusa di orgoglio, sia di Alceste, di cui il servo canzona la presunta signoria su sé stesso; le battute di Pandolfo, gretto e ignorante, contro la troppo estesa cultura del nipote; l’atteggiamento con cui Argante sdrammatizza gli slanci sentimentali della figlia. |
28. Elementi polemici, satirici e parodici
Ignoranza della nobiltà; matrimonio come giogo; forza e debolezza delle leggi; possibilità di un «terzo stato» delle fanciulle. |
V. Luogo e tempo |
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29. Luogo generale
Casa di Alceste che affaccia sul giardino. |
30. Cambiamenti di luogo
V.2 si passa nel giardino di Alceste. |
31. Durata totale dell’azione
Una giornata.
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32. Soluzione di continuità temporale fra gli atti o fra le scene
Fra il quarto e il quinto atto scende la sera.
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33. Indicazioni esplicite sul momento temporale presenti nelle battute o nelle didascalie
III.1.10, «questo dì» (Doralice); III.5.1 e 5, «che il dì finisca» e «oh che giornata è questa!» (Argante); IV.3.62, «e voglio, / che quest’istesso oggi il tuo sposo sia» (Argante); IV.4.7-9, «ma per forza / volle Pandolfo, ch’oggi la mia figlia / qui venisse a turbare il suo riposo» (Argante); V.1.27-30, «Pria / ch’il sol ritorni a illuminare il mondo/ [...]/ vedrai» (Alceste); V.3.2, «entro due ore» (Alceste); V.9.10, «Credo che in questo dì» (Pandolfo). |
VI. Rispetto della regola delle tre unità | |
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34. Tempo
Sì
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35. Circostanze temporali
L’azione si svolge nell’arco di una giornata. Numerosi sono infatti i riferimenti a «questa giornata» (III.1.10 III.5.1; III.5.5; IV.3.62; IV.4.7-9; V.9.10) e ai limiti temporali entro i quali si risolverà la vicenda (IV.3.62; V.1.27-30; V.3.2), che, infatti, vede il proprio scioglimento nelle ore serali (come anticipa il dialogo fra Crespino ed Elvira in IV.6.34-42). |
36. Luogo
Sì
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37. Circostanze spaziali
La scena è sempre nell’abitazione di Alceste e da V.2 nel giardino sul quale la casa stessa affaccia, come vien detto già nella prima scena del primo atto. |
38. Azione
Sì
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39. Circostanze particolari dello sviluppo dell’argomento
Fulcro dell’azione è l’orgoglioso rifiuto di Alceste alle nozze, in generale, e con Doralice in particolare. Di qui si sviluppano il tentativo di matrimonio fra Doralice e Scappino e la promessa fra Elvira ed Alceste. |
VII. Elementi materiali, performativi e didascalici |
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40. Uso di oggetti particolari
Il pugnale, correlativo oggettivo del coraggio di darsi la morte che Alceste vorrebbe avere (V.3.57-82) e di fronte al quale Elvira mostra audacia virile (V.4.16-31). |
41. Uso di effetti sonori e musicali
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42. Uso di effetti speciali
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43. Scena con ampia presenza di personaggi
V.11, la scena conclusiva, nella quale tutti i nodi devono essere sciolti, vede presentarsi, per accumulazione, quasi tutti i personaggi della vicenda: a Elvira, che aveva già raggiunto Doralice e Argante, seguita da Alceste, nella scena precedente, si aggiunge qui Pandolfo, a rivelare tutti i dettagli sulla vera identità del marchese de la Source e del suo lacché, presenti dunque solo di nome. Crespino, benché non pronunci battute, è presente in quanto chiamato a sorreggere Doralice già da V.9.8. Tutti i presenti vengono coinvolti da Alceste nell'insegnamento morale della commedia. |
44. Didascalie di particolare importanza
I.2.16, Pandolfo calpesta quelli che a lui paiono sassi, ma che la didascalia rivela essere «corpi marini impietriti» (da cui si coglie l’ignoranza di Pandolfo che non li distingue) e subito dopo Crespino lo canzona, ma la sua battuta «affè l’avete detta!» (v. 16) non si capirebbe se non ci fosse la didascalia «ironicamente»: le due didascalie considerate insieme insistono sull’ignoranza del nobile, che non riconosce i fossili –la cui natura è invece nota al servo– e non comprende nemmeno l’ironia di quest’ultimo. V.3, presenta quattro didascalie che riguardano il pugnale, cui si aggiunge la prima didascalia di V.4: benché l’espressione «acuto acciaro inesorabile» (V.3.59) lo potesse già identificare, le didascalie sono utili al lettore per meglio comprendere gli sguardi e i movimenti del corpo del personaggio mentre recita il monologo. |
VIII. Prima recita |
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45. Prima recita
Firenze, Teatro del Cocomero, 27 settembre 1761. |
46. Altre recite nel Settecento
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IX. Il testo in Goldoni |
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47. Riferimenti, diretti o indiretti, al testo o al suo autore presenti negli scritti o nelle opere di Goldoni
Il nome di Giulio Rucellai è esplicitamente citato nelle Mémoires di Goldoni, come uno fra i raffinati intellettuali da lui conosciuti e frequentati durante i quattro mesi della sua permanenza a Firenze, nella primavera del 1744 (Memorie, cap. XLVIII). Inoltre, una circostanza non banale nel rapporto fra Goldoni e il Rucellari è certamente la dedica della Locandiera all’«illustrissimo e clarissimo signor senatore Giulio Rucellai patrizio fiorentino», ma L’autore a chi legge pone in rilievo, proprio in apertura, anche un altro elemento significativo: «Ma chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute», parole nelle quali Goldoni ufficialmente ripone l’aspetto di utilità morale della propria commedia e nelle quali con facilità si riconosce il sottotitolo –nonché l’insegnamento esposto in chiusura– del Misantropo di Rucellai. Del personaggio di Lisca forse Goldoni si ricorderà ne Il Terenzio (1754), nella quale il personaggio figura come parassita e servo. Il nome di Lisca compare anche nella Ircana in Ispaan (1755) attribuito ad una schiava. |
48. Aspetti del testo particolarmente rilevanti in rapporto con il teatro goldoniano.
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X. Altri eventuali dati d’importanza presenti nei paratesti proemiali e altre osservazioni d’interesse |
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49. Dati dei paratesti
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50. Osservazioni
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