I. Titolo e dati bibliografici | ||
---|---|---|
00. Schedatore/Schedatrice
Rodríguez Mayán, Enma
|
01. Autore
Federico, Gennarantonio
|
|
02. Titolo → Edizione
Birbe, Li
|
03. Titolo completo
Li Bbirbe. Commedeja. |
04. Manoscritti
-
|
05. Edizioni utilizzate
La principale edizione di riferimento per la compilazione della scheda è Gennaro Antonio Federico, Li Bbirbe. Commedeja, a cura di Paologiovanni Maione, Venezia-Santiago, lineadacqua, 2019. Inoltre, si terrà presente anche la prima edizione dell’opera pubblicata nel 1728: Gennaro Antonio Federico, Li Bbirbe. Commeddeja de Jennarantonio Federico napolitano. Dedecata A lo Llostrissemo e Accellentissemo Segnore D. Francisco-Maria Carrafa, Prencepe de Belvedere, Marchese d’Anzi & c., Napoli, Gianfrancisco Paci, 1728. |
II. Tipo | ||
---|---|---|
06. Genere
Commedeja (commedia). |
06. Sottogenere
-
|
07. Generi interni
-
|
III. Personaggi e rapporti |
---|
08. Elenco dei personaggi
Jacovo Sberneglia, ommo anzejano, postiero de la benaffecejata, patre de; Urzola, fegliola; Claudia Tagliaferri, vedola, cafettara; Menecuccio, guaglione de la cafettaria; Cornelia Bentivoglio, vecchia, socra de Claudia, e mmamma de; Popa, fegliola; Bartolomeo, ommo shiaurato, creato da Cornelia; Ciccio, giovane nnamorato de Urzola; Tonno Nasca, sotta nomme de Conte Anzelmo; Zannetta, crejato sujo; Carluccio Suzzo, sotta nomme de Don Carlo Sozio; Antonejello, crejato sujio; Polidora Tanchetta, mogliere de Tonno Nasca; Ceccone Suzzo, padre de Carluccio. |
09. Protagonisti
Il conte Anzelmo (Tonno Nasca). Gli inganni del finto conte avviano i diversi intrecci che compongono la trama e condizionano la maggior parte delle dinamiche fra i personaggi. |
10. Personaggi e maschere della commedia dell’arte o da essi derivati
Esiste un certo influsso della commedia dell’arte nell’opera di Federico, dato non insolito se consideriamo l’atmosfera farsesca che condividono entrambi i generi. La configurazione dei personaggi si nutre allo stesso modo di tali paradigmi; ne sono chiari esempi i ruoli di Zannetta e di Antonejello, i cui atteggiamenti rimandano a quello degli zanni (si veda l’approfondita analisi sulla pièce svolta nel capitolo introduttivo dell’edizione di riferimento, Una bottega del caffè per Li Bbirbe, in cui si trattano gli influssi della tradizione dell’arte nei personaggi dell’opera). |
11. Valore allusivo dei nomi dei personaggi
Bartolomeo Chicchibichiacchi: secondo il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1724), il termine ‘chicchibichiacchi’ indica un chiacchiericcio intenso e vuoto. In questo caso il nome potrebbe alludere ai costanti sermoni di Bartolomeo e al suo abituale ciarlatanismo, adottato probabilmente con il tentativo di guadagnarsi «un riconoscimento sociale che non gli viene attribuito» (edizione di riferimento, Una bottega del caffè per Li Bbirbe, p. 15). Si tratta, infatti, di una caratteristica messa in risalto nelle battute dei personaggi: «Cornelia: Bartolomeo, non istarci a romper la testa colle tue solite ciance allo sproposito, e pensa di star più a segno or che siamo in Napoli» (I.8.9); «Jacovo: Che ssuonno, babbuino? Tu che cquanno parle apre la vocca e ffaje ascì lo spireto» (III.9.7). |
12. Rapporti fra i personaggi
Tonno Nasca-Zannetta: signore e servo; Tonno Nasca-Polidora: marito e moglie; Claudia-Tonno Nasca (sotto l’identità del conte Anzelmo): promessi sposi; Tonno Nasca (sotto l’identità del barone Frigaglia)-Popa: promessi sposi; Cornelia-Popa: madre-figlia; Cornelia-Bartolomeo: signora e servo; Claudia-Cornelia: nuora e suocera; Claudia-Popa: Cognate; Urzola-Ciccio: promessi sposi; Jacovo-Urzola: padre e figlia; Ceccone-Carluccio: padre-figlio; Carluccio-Antonejello: signore-servo; Claudia-Menecuccio (capo della caffetteria-cameriere). |
13. Personaggi speculari
-
|
14. Soliloqui e monologhi di particolare importanza
-
|
15. Dialoghi e successioni di monologhi di particolare importanza
Anzelmo e Carlo, conversazione sul loro passato e sulle loro finte identità, I.2.12-29; Ciccio e Urzola, discussione sul loro matrimonio e sull’interazione fra Urzola e Anzelmo, che provoca una forte gelosia e insicurezza in Ciccio, I.12.1-40; Ciccio, Urzola, Jacovo, III.6: Urzola confessa di aver vituperato Ciccio ingiustamente affinché Jacovo sentisse le calunnie. Tale rivelazione viene sentita da Jacovo di nascosto. |
16. Uso particolarmente rilevante degli a parte
-
|
17. Personaggi che parlano solo in verso
Nessuno. |
18. Personaggi che parlano solo in prosa
Tutti. |
19. Personaggi che parlano a soggetto
-
|
20. Personaggi che alternano testo scritto e improvvisazione
-
|
21. Personaggi che parlano solo in italiano
Claudia, Cornelia, Popa e Bartolomeo. |
22. Personaggi che parlano solo in dialetto, in forme di italiano regionale o storpiato, o in una lingua straniera
Menecuccio, Antonejello, Anzelmo, Carlo, Zannetta, Polidora e Ceccone (napoletano). Conviene specificare che ogni personaggio presenta una ‘declinazione’ particolare (probabilmente territoriale) della lingua napoletana, in quanto tratto distintivo dei diversi personaggi (cfr. edizione di riferimento, Una bottega del caffè per Li Bbirbe, p. 25). La notevole confluenza di varietà linguistiche nell’opera è arricchita inoltre dall’uso del ‘toscano’, che viene adoperato dal finto conte quando assume l’identità del barone Frigaglia (cfr. l’edizione di riferimento, Una bottega del caffè per Li Bbirbe, p. 24). |
23. Uso significativo e iterativo di figure retoriche o risorse simili
-
|
IV. Intreccio |
---|
24. Riassunto dell’argomento del testo
ATTO I: l’atto si apre con un dialogo fra il conte Anzelmo (in realtà Tonno Nasca), e l’abate don Carlo (in realtà Carluccio Suzzo), due birbi votati alla vita dell’inganno che parlano sull’abbandono della moglie di Anzelmo, Polidora, una delle vittime del finto conte: Tonno, dopo la morte di suo padre, è rimasto senza eredità, motivo per cui agisce secondo un marcato interesse pecuniario, fingendo false identità per sedurre donne e ottenere i loro soldi. In quest’occasione, dopo aver ammaliato Claudia, responsabile della caffetteria in cui si trovano i personaggi, e aver ottenuto i suoi gioielli, Anzelmo ha ora nel mirino Urzola, figlia del signore Jacovo e promessa sposa di Ciccio, giovane innamorato. Alla conversazione si unisce casualmente la suddetta Urzola, che esce dalla finestra di casa di Jacovo. La donna manifesta un certo interesse verso il conte e un parallelo rifiuto rispetto al suo matrimonio con Ciccio. Questi osserva da lontano la conversazione fra di loro e, guidato dalla rabbia, decide di condividere con Jacovo i sospetti sul possibile interesse tanto del conte quanto di Urzola. Gli intrecci non fanno che aumentare con l’arrivo in città di Cornelia, con la figlia Popa e Bartolomeo, il loro fedele servo, provenienti da Roma alla ricerca del barone Frigaglia, una delle molteplici identità di Tonno Nasca, che, oltre ad aver abbandonato Popa poco prima del matrimonio, ha rubato cento scudi alla famiglia romana. Tutti e tre arrivano alla bottega per trovare Claudia, vedova del defunto figlio di Cornelia. Mentre i suddetti personaggi entrano nella caffetteria, Urzola parla con Ciccio del suo rapporto con Anzelmo: la donna difende la libertà di poter interagire liberamente con gli uomini senza una motivazione amorosa ed esce dalla scena lasciando il promesso sposo da solo. D’altro canto, Jacovo trova Anzelmo per corroborare le sue intenzioni verso la figlia, un interesse che viene negato categoricamente dal conte con la complicità di don Carlo (si ricordi, in realtà Carluccio Suzzo). Nelle ultime scene dell’atto si riuniscono gradualmente i personaggi davanti alla bottega; l’incontro casuale diventa rapidamente un litigio contro Anzelmo nel momento in cui Cornelia e Popa, guardandolo affacciate dalla finestra della casa di Claudia, lo riconoscono come il barone Frigaglia. All’alterco si sommano successivamente Jacovo e Ciccio, quest’ultimo desideroso di picchiare il conte per aver cercato di sedurre Urzola. L’atto si chiude con la fuga di Anzelmo. ATTO II: i personaggi sono confusi rispetto alla vera identità del conte e alle sue motivazioni. Ne costituisce un’eccezione Carlo che, oltre ad essere a conoscenza della vita di truffatore di Anzelmo, ha sentito dalle donne romane la storia del fallito matrimonio fra Popa (il suo nuovo interesse amoroso) e il barone Frigaglia. Anzelmo torna in scena per spiegare a Carlo in quale modo intende risolvere gli imbrogli orditi: indosserà l’abbigliamento usato a Roma, fingendo di essere il barone Frigaglia, fratello di Anzelmo, il che spiegherebbe le similitudini fisionomiche fra le due identità finte di Tonno Nasca. Per la messa in atto dell’inganno, il conte avrà come complici principali il suo servo, Zannetta, e Carlo. Nel frattempo, Ciccio e Popa dibattono sull’identità del conte. Si uniscono poi Urzola, che ascolta di nascosto, Menecuccio e, posteriormente, Bartolomeo. Urzola approfitta dell’interazione fra Popa e Ciccio per accusare il suo promesso sposo (lo stesso Ciccio) di corteggiare altre donne, in realtà una scusa per evitare il loro matrimonio: infatti, la diatriba viene sentita da Jacovo, provocando in lui un ingiusto disprezzo verso il promesso sposo della figlia. Di seguito appare Tonno con nuovi abiti e parlando in un modo diverso: si presenta agli altri personaggi come il barone Frigaglia, venuto a Napoli per visitare il suo gemello Anzelmo., assente nel momento in cui si presenta il barone, e di Claudia, che, sospettosa, chiede a Zannetta di portare Anzelmo davanti a lei per confermare l’identità di Frigaglia. Risolta la questione dell’identità di Frigaglia, Cornelia vuole riprendere il matrimonio fra lui e sua figlia, nel tentativo di recuperare l’onore apparentemente perso, ma Popa non vuole più sposarlo, preferendogli, invece, Carlo, il quale, dopo essersi invaghito della fanciulla nella conclusione del primo atto, ha cercato di conquistarla. Il dissidio fra Cornelia e Popa dà luogo a una discussione rapidamente aggravata dall’arrivo di Jacovo e di Ciccio, poiché il giovane cerca disperatamente Popa per smentire le menzogne di Urzola. Quest’ultima e Bartolomeo si sommano successivamente alla discussione, la quale finisce con l’entrata in scena di Tonno, sotto l’identità di Frigaglia, che rifiuta il matrimonio con Popa, alludendo alle calunnie di Urzola e incolpando la giovane di legare con altri uomini. ATTO III: Anzelmo parla nuovamente con Urzola confessandole il suo amore, dichiarazione gratamente corrisposta dalla donna. Nel dialogo non tarda a rendersi palese l’interesse materiale di Anzelmo: il conte propone a Urzola di fuggire durante la notte, specificando che dovrà portare con sé i suoi oggetti di valore. Stabilito il piano di fuga con il conte, la donna intrattiene un’ultima conversazione con Ciccio in cui gli rivela di averlo diffamato deliberatamente per liberarsi del loro matrimonio. Casualmente, i dialoghi della donna con entrambi gli uomini vengono sentiti da Jacovo, sbigottito dall’evidente tentativo di truffa di Anzelmo e adesso deciso non solo a detenere la fuga di sua figlia, ma anche a svelare gli inganni del conte. A tal scopo, Jacovo rinchiude Urzola in casa per evitarne la fuga e parte alla ricerca di Ciccio per ottenere la sua cooperazione. La tensione fra i personaggi cresce quando Anzelmo riafferma davanti a Cornelia e a Popa che suo “fratello” non sposerà la giovane romana. La conversazione, alla quale parteciperanno inoltre Menecuccio, Antonejello e Bartolomeo, finisce fra vituperi contro le donne romane da parte del conte e con un’aggressione fisica di Popa ad Anzelmo. Quest’ultimo fugge inizialmente, ma tornerà poi con gli abiti del barone per minacciare di distruggere la caffetteria come conseguenza degli aggravi subiti dal fratello (cioè, Tonno stesso, ma sotto l’identità del conte). Arrivata l’ora dell’incontro fra Urzola e Anzelmo per la fuga, il conte e Zannetta vanno a casa di Jacovo, da dove comincia a parlare una voce femminile, dietro la quale si nasconde Jacovo fingendosi Urzola. Subitamente, Zannetta, creduto Anzelmo a causa del buio della notte, viene preso per il braccio e imprigionato da Jacovo in casa sua, mentre il conte fugge alla caffetteria. Convinto di aver catturato il truffatore, Jacovo procede a riunirsi con Ciccio e si dirigono anche loro verso la bottega per scoprire gli inganni del conte. Appena arrivati, Tonno si presenta travestito dal barone Frigaglia, apparentemente costernato per le azioni del ‘‘fratello’’ Anzelmo. Tutti i personaggi decidono di andare a casa di Jacovo dove vedono Zannetta (scambiato da Jacovo e Ciccio per Anzelmo), ubriaco, cantando alla finestra. Il servo finalmente accusa il conte di essere un imbroglione svelando la condizione di birbo di Anzelmo. Con l’identità di truffatore parzialmente rivelata, l’opera segna lo scioglimento degli imbrogli con l’arrivo in territorio napoletano di Polidora, moglie di Anzelmo, e di Ceccone, padre di Carlo, che cercano i rispettivi parenti, guidati da Ciccio e da Menecuccio alla caffetteria. Le vere identità di Anzelmo e di Carlo vengono finalmente rivelate da Ceccone e da Polidora. Tale rivelazione viene accompagnata, però, dalla sistemazione dei personaggi, cambiamento che delinea la conclusione dell’opera: Carluccio vuole mettere la testa a posto e sposare Popa; Anzelmo, redento, decide di tornare con Polidora e, infine, Ciccio perdona Urzola, pentita dopo aver scoperto l’inganno del conte. |
25. Tema principale
La vita dell’inganno (la birberia). |
26. Temi secondari
L’amore, l’onore, la moralità. |
27. Comicità
La comicità, componente predominante nell’opera, viene manifestata tramite svariate forme, quali giochi di parole, particolarmente frequenti in relazione ai nomi dei personaggi (I.8.35-38, II.6.9, II.15.13-16), componenti metateatrali (cfr. § 50), lo scoppio di litigi (I.16, I.17, III.13) o l’uso di iperboli (III.18.5 e 7). Inoltre, l’opera è dotata di elementi comici provenienti dalla tradizione dell’arte, come dimostrano, ad esempio, i comportamenti dei servi Antonejello e Zannetta guidati costantemente dai desideri gastronomici e alcolici e le cui battute comprendono non pochi giochi di parole e riferimenti al cibo e al vino (II.2.16). |
28. Elementi polemici, satirici e parodici
-
|
V. Luogo e tempo |
---|
29. Luogo generale
L’azione si svolge in una via di Napoli, come specificato dal paratesto dell’opera («na strata di Napole», n.n). |
30. Cambiamenti di luogo
Tutta l’azione sembra svolgersi in un unico spazio: una via napoletana con vari edifici vicina a una piazza e a una bottega con loggetta. Si tratta di una disposizione urbana alquanto frequente nelle commedie dell’epoca (Cfr. Una bottega del caffè per Li bbirbe, p. 18). |
31. Durata totale dell’azione
L’azione presenta una durata inferiore a 24 ore (cfr. § 33).
|
32. Soluzione di continuità temporale fra gli atti o fra le scene
È possibile distinguere un salto temporale di un numero indeterminato di ore fra il primo e il secondo atto, che comprenderebbe le ore dalla mattina alla sera (cfr. § 33).
|
33. Indicazioni esplicite sul momento temporale presenti nelle battute o nelle didascalie
Nel secondo e terzo atto si riscontrano non poche indicazioni temporali relative agli avvenimenti del primo atto che ci permettono in primis di situare l’inizio dell’azione durante il mattino e di identificare, in secondo luogo, un salto temporale fra il primo e il secondo atto: «Va nnevina che nn’è asciuto da chillo agrisso de stammatina», II.1.1; «La sia Cravia mm’ha prommiso no feasco di vino. Stammatina, co la bbuglia, no mme l’ha ddato [...]», II.1.11; «Carlo: Tu saje ca chelle femmene che t’hanno dato ncuollo stammatina, stanno cca dinto [...]», II.3.31; «Menecuccio: Ajebbò e io addò steva? Lo sio conte non ns’è bbisto co la sia Cravia da stammatina», II.15.8; «Urzola: Lo sio conte da stammatina che mme parla muzzo», III.4.12; «Ciccio: Accosì è, e non sulo chesso ma la ntenzejone (comm’essa stessa mme l’ha ditto chiaro stammatina) [...]», III.14.8. Altri riferimenti di rilevanza per delimitare la temporalità dell’opera sono i saluti di Jacovo nella scena II.8: «Jacovo: [...] Chesto mo’ è pparlà fegliato, bommespere», II.8.44; «Jacovo: E ssi è storta po se vede, mo’ aggio da fa ncoppa Bommespere», II.8.46; «Jacovo: Po mme n’assacredo appriesso. Bommespere», II.8.48; «Jacovo: E mme mporta cchiù cchello ch’aggio da fa. Bommespere», II.8.50; «Jacovo: Co la mmalora, bommespere [...], E ddalle che mme carolie, e io da di mise che te dico: bommespere. E ttorna, e ttorna, e ttorna. E bommespere, bommespere, bommespere», II.8.52. L’uso reiterato del termine «Bommespere» (‘buonnasera’), il salto temporale menzionato in precedenza e la mancanza di riferimenti all’arrivo della notte sembrano suggerire che il secondo atto si svolga nella sua totalità durante la sera. In relazione al corso del tempo nel terzo atto, si deve dire che esso sembra trascorrere in maniera continua dalla sera alla notte. Tale affermazione poggia sui riferimenti temporali inclusi nelle battute dei personaggi, che mettono in luce l’arrivo graduale della notte: «Anzelmo: [...] Ve voglio fa prencepessa io pe ttutta stasera, ve voglio nguadeà», III.4.25; «Zannetta: [...] Io mme metto a lo ddovere, nnanze che se fa notte io nne voglio vintidojie autre carrafe [...]», III.1.30; «Claudia: Ma or è notte, voi siete donna, girne così per Napoli senza saper dove, a me pare un esporsi a pericolo evidente», III.15.2; «Bartolomeo: Vedete ch’io non vi dico buonanotte perché siemo inimici», III.17.27; «Ceccone: [...] Mme despejace ca co lo gghì attuorno nformannoce nce s’è ffatto notte pe le mmano, e Ddio voglia che...» III.26.7; «Ceccone: Bonanotte, bello fegliulo», III.26.10; «Anzelmo: E bbivano sti signure che co ttanta pacienzeja so’ state a ssentì ssi bbirbe. Bonanotte», III.ult.111. Infine, è opportuno menzionare qualche esempio delle indicazioni relative al fatto che l’azione principale si svolge in uno stesso giorno, riferimenti disseminati lungo i tre atti: «Carlo: [...] Sarrà la jornata d’oje pe mme segnalatissema, mente oje aggio avuta la sciorte d’essere puosto a lo numero de li serveture de osseria», II.16.6; «Urzola: Sacciate ca Ciccio già oje s’è ddesgostato co lo gnore, e cco cchesso affatto mme ll’aggio levato da tuorno [...]», III.4.4; «Ciccio: Quanno io aggio parlato oje co ssa romana [...] nce aggio parlato fuorze de cose d’ammore?», III.6.11; «Jacovo: [...] Io oje ll’aggio fatto tuorto ma non è stata corpa mia. Ora no mporta, stanotte lo voglio fa nguadeà co ffigliema, si bbe’ fosse mezza notte)», III.9.15. |
VI. Rispetto della regola delle tre unità | |
---|---|
34. Tempo
Sì
|
35. Circostanze temporali
Come suggeriscono le indicazioni temporali della pièce (cfr. § 33), la trama si sviluppa entro le 24 ore. In maniera approssimativa, possiamo dedurre che l’azione inizia verso mezzogiorno («Menecuccio: E no l’avite vista cca mmiezo primmo d’ora de magnà, quanno è stato chillo appicceco?», II.6.7) e si conclude a un’ora probabilmente non molto superiore alle «due o tre di notte», orario dell’incontro fallito fra Urzola e Anzelmo («Anzelmo: Facite na cosa: vierzo doje tre ore de notte, stateve a la veletta a ssa fenesta perché io vengo da cca e appontammo meglio ch’avimmo da fa», III.4.41). |
36. Luogo
Sì
|
37. Circostanze spaziali
La trama si svolge nei dintorni di una bottega di Napoli, della quale è possibile identificare alcune delle sue caratteristiche spaziali grazie alle battute dei personaggi e alle didascalie. In relazione alla caffetteria, viene segnalato che il negozio è decorato da due insegne e possiede inoltre una piccola loggia in cui si siedono abitualmente i personaggi («Popa: Certamente quella è l’insegna del caffè», I.8.25; «Cornelia: E l’insegna del lotto ancora, poi vi è la loggetta in su la bottega, qui è senz’altro», I.8.26). D’altro canto, per quanto riguarda lo spazio circostante della bottega, esso comprende, almeno, la casa di Jacovo e di Claudia (quest’ultima con un piccolo terrazzino), così come una piccola piazza («Anzelmo: [...] Voleva di’ pecché era scura la chiazza, non era asciuto lo sole ancora», I.3.11; «Voglio fa tale taglia ch’arrusso che s’ha da semmenà sta chiazza de miembre umane», I.13.11; «Jacovo: [...] Pecché fa ssa vernia mmiezo a la chiazza, quanno può sta ncoppa ncommerzazejone coll’autre amice? [...]», II.19.5). La configurazione dello spazio, con l’incorporazione di edifici con finestre e con loggette (come indicano le didascalie dell’opera), permette ai personaggi di interagire cambiando e dinamizzando la loro distribuzione lungo lo svolgimento delle diverse scene (cfr. il capitolo introduttivo dell’edizione di riferimento, Una bottega del caffè per Li Bbirbe, p.19, in cui vengono descritti dettagliatamente gli elementi scenotecnici che danno forma allo spazio dell’opera). |
38. Azione
Sì
|
39. Circostanze particolari dello sviluppo dell’argomento
Le confusioni fra i personaggi che determinano lo sviluppo argomentale sono causate dagli imbrogli di Tonno per ottenere un beneficio pecuniario e, più specificamente, dal nuovo tentativo di truffa, ordito ai danni di Urzola. |
VII. Elementi materiali, performativi e didascalici |
---|
40. Uso di oggetti particolari
III.12: durante la discussione fra Anzelmo e i personaggi romani, Popa getta una serie di oggetti al finto conte, fra i quali si distinguono pietre, tegami, pentole e «autre ccose de cocina». III: Lungo il terzo atto i personaggi usano diversi oggetti per fare luce, situazione che indica un’ambientazione notturna. Infatti, oltre alla lanterna che porta Ciccio a casa di Jacovo (III.21), è possibile identificare delle candele (III.8, III.23, III.24 e III.25 rispettivamente) e il lume che viene preso da Ceccone e Polidora (III.26). L’utilizzo dei suddetti materiali dimostra nuovamente che il terzo atto si svolge, per la maggior parte, durante la notte (cfr. § 33). |
41. Uso di effetti sonori e musicali
-
|
42. Uso di effetti speciali
-
|
43. Scena con ampia presenza di personaggi
Le scene conclusive degli atti accolgono in modo ricorrente la maggior parte dell’elenco di personaggi; le ultime scene del primo e del secondo atto ne costituiscono, infatti, l’apice, il risultato caotico delle confusioni, degli inganni e dei problemi che emergono e si intrecciano costantemente lungo lo sviluppo argomentale di ogni atto, motivo per cui non sorprende l’accumulazione di personaggi. La conclusione del terzo atto presenta invece lo scioglimento definitivo degli imbrogli e richiede, conseguentemente, la riunione di quei personaggi implicati negli intrecci della trama. Oltre alle surricordate scene finali degli atti, anche in altri casi troviamo esempi di accumulazione di personaggi. Vediamo alcuni esempi di tutte e due le situazioni: I.16 (Claudia, Zannetta, Cornelia, Popa, Anzelmo, Jacovo e Antonejello) e I.17 (Cornelia, Popa, Bartolomeo, Claudia, Anzelmo, don Carlo, Jacovo, Zannetta, Antonejello): scene conclusive del I atto. L’incontro fra personaggi finisce in un litigio contro il conte Anzelmo. II.22 (Anzelmo, Bartolomeo, Urzola, Ciccio, Cornelia, Popa e Jacovo): Cornelia insiste nel far sposare Popa con il barone Frigaglia (falsa identità di Tonno Nasca), mentre quest’ultimo, con l’idea di poter liberarsi dagli imbrogli precedentemente messi in atto, rifiuta il matrimonio, accusando opportunamente Popa di legare con altri uomini. II.23 (Anzelmo, Claudia, Carlo, Cornelia, Jacovo, Ciccio, Popa e Urzola): conclusione del secondo atto in cui si rende palese, tramite le battute dei personaggi, la complessità della trama. III.12 (Anonejello, Menecuccio, Bartolomeo, Popa, Anzelmo, Claudia, Carlo e Cornelia): litigio intenso fra Anzelmo e i personaggi romani con aggressioni verbali e fisiche. III.27 (Jacovo, Urzola, Zannetta, Ciccio, Menecuccio, Ceccone e Polidora): gli ultimi due arrivano a Napoli cercando Anzelmo, marito della seconda, e Carlo, figlio del primo. Mentre entrambi sono guidati da Ciccio e da Menecuccio, trovano inaspettatamente Jacovo, Urzola e Zannetta, che erano ancora insieme dopo la confusione della scena III.25, in cui il servo viene scoperto dagli altri personaggi rinchiuso nella casa di Jacovo. III.ult (Jacovo, Urzola, Zannetta, Ciccio, Menecuccio, Ceccone, Polidora, Claudia, Cornelia, Anzelmo, Carlo e Popa): la vera identità di Anzelmo, Tonno Nasca, e quella di Carlo, Carluccio Socio, vengono finalmente scoperte da Polidora e da Ceccone. Alla fine della scena, nell’abituale lieto fine, la situazione si chiarisce con il pentimento dei truffatori e la sistemazione delle coppie: Ciccio perdona Urzola mentre i birbi decidono di lasciare la loro vita da furfanti, motivo per cui Tonno Nasca torna con Polidora e Carluccio chiede la mano di Popa. |
44. Didascalie di particolare importanza
L’opera fa ricorso con notevole frequenza alle didascalie implicite ed esplicite, il che, oltre a definire le circostanze spaziali dell’opera, permette di comprendere con una certa precisione sia la distribuzione nello spazio dei personaggi, come dimostrano le indicazioni iniziali della scena I.3.(«Urzola da la fenesta, conte Anzelmo e don Carlo assettate nnante a la cafettaria»), sia il linguaggio non verbale e pragmatico che condiziona l’interazione fra di loro; si pensi, ad esempio, all’interazione fra Anzelmo, Carlo e Urzola, le cui didascalie segnalano le informazioni che arrivano agli interlocutori partecipanti: «Anzelmo: (a don Carlo sotta voce) Sienta sta trasetora. Voleva di’ pecché era scura la chiazza, non era asciuto lo sole ancora. (parla forte de no muodo che ssia ntiso da Urzola e ffegne de parlà co don Carlo)», I.3.12. Particolarmente rilevanti sono inoltre le didascalie delle scene conclusive del primo atto (I.16 e I.17), comprendenti il litigio contro Anzelmo. Entrambe le scene (in modo particolare I.16) accumulano didascalie per descrivere come si svolge lo scontro fra i personaggi: «Cornelia: Ferma là, ribaldone. (e afferra lo conte)», I.16.1; «Carlo: che coss’è, ch’è stato? (s’accosta vecino a Popa)», I.16.6; «Bartolomeo: Al ladro, al ladro. (e afferra lo conte)», I.16.7; «Jacovo: Canchero! È mmarejuolo? Tenitelo, chiammate la guardeja. Guardeja, guardeja. (serra lo libbro e li vigliette ed esce fora a ttenè lo conte)», I.16.8; «Ciccio: Ched’è, si Jacovo? Co cchisso ll’ajie? Frabbuttone, mo’ è ttiempo... (caccia la spata)», I.17.3; «Anzelmo: Misiricordia... E llassateme a mmalora che ve venga lo cancaro a cquanta cchiù ssite. (fa forza pe scappà e all’utemo scappa e ffa cadè nterra Cornelia, Jacovo e Bartolomeo)», I.17.13. In modo simile, durante il momento di confusione in cui Jacovo prende erroneamente per il braccio Zannetta per rinchiuderlo in casa sua (ritenuto Anzelmo a causa dell’oscurità della scena), l’autore inserisce dettagliate didascalie che ci permettono di capire l’azione: «Jacovo: (abbascio a la porta) Facite favore sio co’... Ah mmarejuolo assasinejo ca te nce aggio catacuoveto. (afferra pe lo vraccio Zannetta credennose ch’è lo conte e lo tira dinto, po esce e sse tira la porta e la serra da fora co la chiava)» (III.20.29). |
VIII. Prima recita |
---|
45. Prima recita
-
|
46. Altre recite nel Settecento
-
|
IX. Il testo in Goldoni |
---|
47. Riferimenti, diretti o indiretti, al testo o al suo autore presenti negli scritti o nelle opere di Goldoni
-
|
48. Aspetti del testo particolarmente rilevanti in rapporto con il teatro goldoniano.
Come ricorda Maione (edizione di riferimento, Una bottega del caffè per Li Bbirbe, pp.17-18), la figura della vedova Claudia, proprietaria della bottega, potrebbe condividere alcuni tratti con la Mirandolina goldoniana. |
X. Altri eventuali dati d’importanza presenti nei paratesti proemiali e altre osservazioni d’interesse |
---|
49. Dati dei paratesti
-
|
50. Osservazioni
Sebbene non sia possibile parlare di elementi puramente metateatrali, all’interno dell’opera si riscontrano situazioni vicine a tale tipologia, come la scena in cui Tonno Nasca, al fine di liberarsi dagli imbrogli orchestrati, decide di assumere nuovamente la falsa identità del barone Frigaglia, cambiando l’abbigliamento e il proprio registro («Jacovo: Lo conte, da che s’ha cagnato li vestite, ha cagnato lenguaggio. Parla tosco e sputa tunno! Malan che Dio le dia», II.22.8). Un altro elemento, in questo caso più chiaramente metateatrale, è il dialogo fra Cornelia e Popa in cui si fa riferimento alla repentina apparizione del barone Frigaglia, adesso fratello dichiarato di Anzelmo: «Popa: Sì, giusto questo sarà. Io son per dirvi che questa somiglianza mi par una di quelle favole delle commedie che sentivamo rappresentate quando eravamo in Roma»; «Cornelia: Ed io son per dirti che favole delle commedie saremmo noi se non procurassimo di far il matrimonio col barone, anzi oggi che domani. E ve’ che non si ridebbono le genti del fatto nostro» (II.17.20-21). Le risorse drammatiche che applica l’autore al personaggio di Anzelmo sono, infatti, evidenziate come tali da Popa. Inoltre, il dialogo fra i personaggi presenta una certa comicità che viene confezionata grazie alle sfumature ironiche dalle loro battute. Tale ironia, percettibile soltanto fuori dal piano finzionale dell’opera, risiede non solo nel fatto che la strategia del finto conte è, effettivamente, un meccanismo drammatico tipico delle commedie usato dall’autore dell’opera, ma anche, come suggerito da Cornelia, se si considera che loro sono già, in realtà, materia della commedeja di Federico. |