I. Titolo e dati bibliografici | ||
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00. Schedatore/Schedatrice
Decroisette, Françoise
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01. Autore
Gigli, Girolamo
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02. Titolo
Gara della virtù tra i discepoli di Roma e di Cartagine, La
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03. Titolo completo
La gara della virtù tra i discepoli di Roma e di Cartagine, o vero il Nicomede opera tirata dal francese. |
04. Manoscritti
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05. Edizioni utilizzate
La gara della virtù tra i discepoli di Roma e di Cartagine, o vero il Nicomede opera tirata dal francese per le scene d’Italia, dedicata all’Illustrissimo Cavaliere Aurelio Sozzifanti, auditore generale della città e Stato di Siena per S.A.R., Siena, alla loggia del papa, s.d.. (dedica di Girolamo Gigli in data del 22 febbraio 1701, a Siena). Online: https://books.google.fr/books?id=2x_i2GGFjrQC&pg=P... |
II. Tipo | ||
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06. Genere
Tragedia a lieto fine o tragicommedia (vedi § 49). |
06. Sottogenere
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07. Generi interni
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III. Personaggi e rapporti |
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08. Elenco dei personaggi
Prussia, re di Bitinia.
Arsinoe, sua seconda moglie. Laodice regina d’Armenia. Nicomede, primogenito di Prussia, figliolo del primo letto. Attalo, figlio di Prussia e Arsinoe, del secondo letto. Flaminio, ambasciatore di Roma. Araspe, capitano delle guardie del re. Cleonzio, confidente di Arsinoe. |
09. Protagonisti
Nicomede, eroe virtuoso, discepolo di Annibale, deve affrontare, accanto a Laodice, regina d’Armenia, a lui promessa in matrimonio in quanto erede del trono, una coalizione composta da: Flaminio, che, oltre ad essere rappresentante della potenza romana, vuol vendicare suo padre ucciso a Trasimeno da Annibale, considerato il ‘maestro di Nicomede’; Arsinoe, matrigna di Nicomede, avida di potere, che, coll’aiuto dei Romani, vuol portare al trono di Bitinia suo figlio, Attalo, e fargli sposare Laodice di cui è innamorato; Attalo, educato a Roma, e quindi sottomesso ai Romani, rivale in amore di suo fratello; Prussia, re debole, sottomesso alla sposa ed ai Romani, che cerca di costringere Nicomede ad abbandonare il trono e la fidanzata, facendolo perfino imprigionare. |
10. Personaggi e maschere della commedia dell’arte o da essi derivati
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11. Valore allusivo dei nomi dei personaggi
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12. Rapporti fra i personaggi
Nicomede-Laodice: innamorati; Attalo-Laodice: lui innamorato di lei; Prussia: padre di Nicomede ed Attalo; Attalo: fratellastro di Nicomede; Arsinoe, sposa di Prussia, madre di Attalo e matrigna di Nicomede; Flamino, Romano, nemico di Nicomede. |
13. Personaggi speculari
Nicomede-Attalo; Nicomede-Arsinoe; Nicomede-Prussia; Nicomede-Flaminio. |
14. Soliloqui e monologhi di particolare importanza
Un unico breve soliloquio: quello di Attalo (IV.6) quando prende coscienza che accettare il trono di suo padre al posto del fratello significa accettare il giogo dei Romani, per cui vuol mostrare a Roma di poter far a meno dei suoi ordini. |
15. Dialoghi e successioni di monologhi di particolare importanza
I.2: primo dialogo tra Attalo e Nicomede in presenza di Laodice. Nicomede, che il fratello non ha mai visto di persona, gli insegna come, essendo stato educato a Roma e dipendente dei Romani, non può sposare una regina. II.3: disputa tra Flaminio e Nicomede, in presenza di Prussia, intorno alla legittimità o non legittimità dell’ingerenza romana negli affari del trono di Bitinia. Nicomede, indignato, risponde con fierezza a Flaminio che osa parlagli da padrone nella propria regia, e invita il padre con certa ironia a riflettere sulle capacità di Attalo a diventare re e capo d’armata a suo posto. III.2: dibattito tra Laodice e Flaminio, che spinge la giovane regina a cedere alle volontà di Prussia e di Attalo, e la minaccia. Lei gli ricorda che è donna ma, sopratutto regina, per cui non può quindi ricevere da lui nessun consiglio di prudenza o ordine per regolare la sua condotta verso Nicomede e verso Prussia. IV.2: scontro tra Arsinoe e Nicomede, dopo che lei ha cercato di accusare Nicomede di menzogna e di tradimento presso il re. Lei protesta ipocritamente di ammirare e rispettare il figliastro, per poi accusarlo di essere un amante geloso e di voler abbassarla agli occhi del marito. IV.3: Nicomede, dopo aver affrontato Arsinoe ed aver svelato a Prussia gli inganni della regina per sopprimerlo sul campo di battaglia, dà al padre una lezione di governo, accusandolo di essere troppo pronto a sottomettersi sia alla moglie che ai Romani. In questa scena, Nicomede lancia a Prussia i famosi versi ammirati da Voltaire, che riassumono la condotta di un vero monarca : «NICOMÈDE Sire voulez-vous bien vous fier à moi ? / Ne soyez ni l’un ni l’autre. PRUSIAS Et que dois-je être? NICOMEDE Roi. / Reprenez hautement ce noble caractère. / Un véritable roi n’est ni mari ni père. / Il regarde son trône, et rien de plus. Régnez; / Rome vous craindra plus que vous ne la craignez […]» (IV.3.14-16). Traduzione di Gigli: «NICOMEDE Sire, volete fare a modo mio? Né da padre, né da marito. PRUSSIA Qual personaggio dunque vorreste in Prussia? NICOMEDE Quello di re. Sire, fate mostra una volta di così nobil carattere, mettetevi in dosso l’abito di così alta dignità. Ché re davvero non è padre né marito. Non abbiate passione che per la vostra fama, né tenerezza che pel vostro decoro. Regnate. Roma averà forse più soggezzione di voi, che voi non l’avete di Roma [...]». V.9: scena ultima nella quale viene rivelato che Nicomede è stato salvato dal fratello che ha trasgredito gli ordini della madre e dei Romani. Invece di punire i colpevoli, Nicomede perdona a tutti, padre, madre e fratello, e perfino Flaminio, al quale indirizza questi versi a favore di un mutuo rispetto (V.9.61-66): «Seigneur, à découvert toute âme généreuse / D’avoir votre amitié doit se tenir heureuse; / Mais nous n’en voulons plus avec ces dures lois / Qu’elle jette toujours sur la tête des rois: / Nous vous la demandons hors de la servitude, / Ou le nom d’ennemi nous semblera moins rude»; traduzione di Gigli: «Sig. ambasciatore, l’amicizia de’ Romani è la più bella accompagnatura per la maestà d’un monarca, pure per dirvela alla scoperta noi vogliamo ricevere quest’onore senza soggezzione, e vogliamo star legati a questo nodo senza che ci sappia di servitù; avremo orecchie per ascoltare i vostri consigli, occhi per chiuderli alle vostre soddisfazioni, ma già mai spalle per abbassarsi al vosro giogo [...]». |
16. Uso particolarmente rilevante degli a parte
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17. Personaggi che parlano solo in verso
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18. Personaggi che parlano solo in prosa
Tutti. |
19. Personaggi che parlano a soggetto
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20. Personaggi che alternano testo scritto e improvvisazione
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21. Personaggi che parlano solo in italiano
Tutti. |
22. Personaggi che parlano solo in dialetto, in forme di italiano regionale o storpiato, o in una lingua straniera
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23. Uso significativo e iterativo di figure retoriche o risorse simili
Nicomède di Corneille è famosa per l’uso dell’ironia alla quale il protagonista ricorre spesso sia con il fratello (I.2), con il padre e con Flaminio (II.3) o con la matrigna (IV.2). Uso dell’anafora: come quando Arsinoe vuol far credere di non essere avversa a Nicomede (IV.2: «ARSINOE, in atto d’inginocchiarsi, Grazia, grazia, mio re; grazia al conquistatore di tante città; al vincitore di mezza l’Asia. Grazia allo scudo invitto del nostro soglio, all’appoggio unico delle nostre grandezze. Grazia a Nicomede». Uso episodico della sticomitia, come nel battibecco tra Laodice e Attalo (I.2), o quello tra Nicomede e Arsinoe (III.7), oppure ancora tra Arsinoe e Attalo (III.8). Come si vede negli esempi sopraccitati (§ 15), nella traduzione, Gigli appiattisce e imborghesisce lo stile di Corneille. Ad esempio, non conserva le interrogazioni retoriche di cui usa Arsinoe per convincere il marito del suo ‘affetto’ per Nicomede: «Car enfin, hors de là que peut-il m’imputer? [...] quel autre a mieux pressé les secours nécessaires? Qui l’a mieux dégagé de ses destins contraires?» (IV.2), traducendo con semplici ripetizioni: «Intanto la M. V. può testimoniarli quanto appresso di lei, io abbia sempre operato, o per rivigorire tutto il giorno di nuovi soccorsi le sue milizie già disfatte; o per mantenerli invitta la forza del suo braccio con l’anima di tutti i tesori del vostro erario. Dicagli quante volte m’ha sentita sospirare per timore ch’egli non andasse troppo ardito in fronte a i suoi eserciti, [...] quante volte m’ha veduto piangere per averlo sognato morto sotto le ruine [...].» |
IV. Intreccio |
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24. Riassunto dell’argomento del testo
All’apertura della tragedia, Laodice confida a Nicomede di temere che la regia di Bitinia sia più pericolosa per lui, che non il campo di battaglia, a causa della debolezza del re Prussia, troppo sottomesso alla moglie, e della possibile gelosia di Attalo, che è innamorato di lei. Nicomede ricorda gli antefatti che hanno permesso ad Attalo di tornare in Bitinia, e rammenta il suicidio di Annibale per non cadere nelle mani dei Romani. Riafferma la sua volontà di non cedere ai Romani e di continuare l’opera di Annibale, e la ferma volontà di salvare Laodice dalla malvagità di Arsinoe e dalle brame di Attalo. Lei si dimostra nondimeno offesa, affermando che avrebbe potuto resistere da sola, senza il suo ritorno, in quanto regina e non suddita di Prussia, e gli riafferma la sua fede. Nicomede le rivela che anche al campo la matrigna ha cercato di farlo uccidere da sicari, che lui riconduce presso suo padre per dimostragli la falsità della moglie. Giunge Attalo, che avendo passato tutta la sua infanzia e adolescenza a Roma, non conosce il fratello. Davanti a questi, ripete la sua passione per Laodice. Nicomede senza farsi prima conoscere, dimostra ironicamente ad Attalo che, agli occhi dei suoi alleati romani, sarebbe un affronto se spossasse una regina straniera. Con Arsinoe poi, sorpresa di vedere Nicomede vivo e tornato in Bitinia, l’eroe dimostra di essere risoluto a salvare il suo trono e il suo amore, per cui Attalo capisce che ha davanti il fratello. Confuso, gli chiede scusa e Nicomede lo esorta a una maggiore fermezza se vuol difendere Laodice dai Romani. L’atto si chiude con una scena tra Arsinoe e il suo confidente, Cleonzio, al quale lei ricorda le circostanze della morte di Annibale e la causa dell’odio di Flaminio per Nicomede., che lei ha saputo alimentare secondo un piano machiavellico. All’atto secondo, Prussia si dimostra anche lui sorpreso dal brusco ritorno di Nicomede. È irritato dalle sue conquiste territoriali, che interpreta, contro il giudizio positivo di Araspe che non ha nessun dubbio sulla ‘virtù’ del principe, come l’ambizione di rapirgli il trono, sprezzando padre e re. Prussia affronta poi Nicomede, che si dichiara pronto ad obbedirgli e a tornare al campo, ma chiede al padre e al re di lasciare partire anche la regina d’Armenia. Prussia sta per accettare, ma sopraggiunge Flaminio, che chiede al re di elevare il giovane Attalo alla dignità regale senza perdere tempo, per non offendere i Romani. Nicomede dichiara sottomettersi alla volontà del re, ma denuncia con vigore l’ingerenza dei Romani negli affari della successione del trono. Ricorda indirettamente al padre tutto quanto ha fatto per la grandezza del suo regno, affronta decisamente Flaminio e il padre ricordando loro le sue conquiste e la sua virtù militare. Dubita che Attalo, educato fino a quel momento nell’ozio romano, abbia questa stessa virtù indispensabile a un re, e si arrabbia sentendo il padre chiedere scusa a Flaminio per la sua sfacciatezza. Prussia conferma poi a Flaminio di assecondare in tutto le decisioni di Roma, in particolare in quanto riguarda la regina Laodice. L’atto terzo si apre su uno scontro tra Laodice, Prussia e Flaminio. Lei, con grande dignità e insistendo sempre sul suo rango di regina, si dimostra decisa a non cedere e a non tradire Nicomede. Flaminio, rimasto solo con lei, non esita a minacciare anche il suo regno d’Armenia, affermando che solo l’alleanza con Roma può salvarla, ma invano. Lei denuncia con vigore le conquiste di Roma, diventata abusivamente ‘maestrà del mondo’. Flaminio è di nuovo umiliato da Nicomede, che poi rivela a Laodice di aver informato Prussia del tradimento di sua moglie. Nicomede è convocato dal re a proposito dei sicari. Alla fine dell’atto, Attalo appare già pronto a non seguire più ciecamente la via tracciata dalla madre e dichiara di esitare ad opporsi direttamene al fratello. L’atto quarto è tutto occupato dal confronto tra Arsinoe e Nicomede in presenza del re. Nicomede è accusato di menzogna da parte della matrigna. Il debole re, convinto dalle accuse delle moglie, dimostra però di non saper cosa decidere, esitante tra l’amore paterno e la passione per la moglie. Nicomede gli dà una lezione di regalità e gli consiglia di essere solo re. Il re, irritato, segue il consiglio quando Nicomede suggerisce che la sua ‘virtù’ militare, che ha assicurato il trono del padre, potrebbe anche servirgli per conservare il proprio trono. Prussia ordina di arrestare Nicomede e di mandarlo a Roma come ostaggio, al posto di Attalo. Questi capisce finalmente che anche se fosse elevato alla dignità di re, sarebbe sottomesso alla volontà e al controllo dei Romani. |
25. Tema principale
La tragedia è imperniata intorno al tema dell’ingratitudine in politica: il re detentore della potenza regale è debole, geloso, o sospettoso, e diffida del grande servitore dello stato che è suo figlio maggiore. A più riprese Nicomede ricorda quanti servizi ha reso al padre per assicurare la grandezza del regno e Prussia lo interpreta come la volontà di togliergli il trono. Questa tematica è legata alle circostanze della composizione della tragedia (vedi § 50). Più largamente la tragedia tratta della magnanimità combattuta dalla politica e dall’ambizione malvagia e vuol condannare la prepotenza abusiva dei Romani sui territori colonizzati. |
26. Temi secondari
Fedeltà in amore e rifiuto di sottometteresi (da parte della regina Laodice); clemenza e perdono. Il protagonista, e anche Laodice, non vogliono muovere gli altri a pietà con le loro disgrazie, ma esaltano la grandezza d’animo, la dignità regale, che non muove a compassione, ma ad ammirazione. |
27. Comicità
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28. Elementi polemici, satirici e parodici
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V. Luogo e tempo |
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29. Luogo generale
La regia di Prussia a Nicomedia. (vedi sotto § 30). |
30. Cambiamenti di luogo
Non ci sono particolari indicazioni di luogo nell’originale, tranne la precisione generale: «La scène est à Nicomédie», cioè la città della regia di Bitinia. In Gigli sono precisati : I.1: Appartamento di Laodice. II.1: Sala regia con trono. II.3: didascalia aggiunta: S’accomoda il re in trono e l’altri a luoghi suoi. III.1: Galleria. |
31. Durata totale dell’azione
Un giorno intero dalla mattina all’alba seguente (vedi § 33).
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32. Soluzione di continuità temporale fra gli atti o fra le scene
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33. Indicazioni esplicite sul momento temporale presenti nelle battute o nelle didascalie
Nell’originale, all’inizio dell’atto quinto, Arsinoé lascia intendere che la rivolta del popolo si svolge di notte: «Et si l’obscurité laisse croître ce bruit, / Le jour dissipera les vapeurs de la nuit» (V.1), ma Gigli non conseva l’informazione nella traduzione. |
VI. Rispetto della regola delle tre unità | |
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34. Tempo
Sì
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35. Circostanze temporali
Una giornata intera: dal ritorno di Nicomede dal campo al sollevamento del popolo durante la notte che segue. |
36. Luogo
Sì
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37. Circostanze spaziali
Contrariamente all’originale, Gigli specifica i vari luogi dove avvengno i dibattiti e gli incontri nei primi tre atti (cfr. § 30), ma sono tutti all’interno del palazzo del re Prussia. |
38. Azione
Sì
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39. Circostanze particolari dello sviluppo dell’argomento
L’azione è tutta concentrata nella lotta di Nicomede per difendere il suo amore (Laodice) e il suo rango di principe erede contro le manovre della matrigna e l’odio del romano Flaminio. Deve convincere suo padre, e re, della la malvagità della sposa e della troppo grande prepotenza dei Romani sulla regia di Bitinia. Per confondere la matrigna, gli servono i due sicari (Métrobate e Zenon), mandati da Arsinoe per eliminarlo mentre stava in campo, che lui mette nelle mani del re. I primi tre atti sono consacrati ai dibattiti e agli scontri dei vari protagonisti, l’azione è rilanciata all’atto quarto quando Arsinoe riesce a convincere Prussia di imprigionare Nicomede. Il popolo si solleva in suo favore (tra l’atto quarto e quinto), e i due sicari sono uccisi. Questo sollevamento è la circostanza esterna, raccontata, che conduce l’azione alla risoluzione finale: grazie all’intervento di uno sconosciuto (che si rivela poi essere Attalo), Nicomede è strappato alle mani dei suoi guardiani, e fallisce il piano machiavellico di Arsinoe. |
VII. Elementi materiali, performativi e didascalici |
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40. Uso di oggetti particolari
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41. Uso di effetti sonori e musicali
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42. Uso di effetti speciali
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43. Scena con ampia presenza di personaggi
IV.4: cinque personaggi più comparse: Prussia, Nicomede, Attalo, Flaminio , Araspe e guardie: scena in cui Prussia ordina l’arresto di Nicomede.
V.5: sei personaggi: Arsinoe, Attalo, Flaminio, Prussia, Cleonzio, Araspe: Arsinoe spiega il suo piano per eliminare definitivamente Nicomede, dopo il sollevamento del popolo. V.8: sei personaggi: Prussia, Flaminius, Arsinoe, Laodice, Attalo, Cleonzio: Nicomede è stato salvato, i congiurati si preparano a morire, Laodice si dimostra fiduciosa nella magnamnimità di Nicomede. V.9: sette personaggi: Nicomede si aggiunge agli altri personaggi (scena ultima): Nicomede perdona a tutti e ringrazia il fratello che riconosce come il suo salvatore. |
44. Didascalie di particolare importanza
Non risulta nessuna didascalia nell’originale, mentre Gigli invece ne introduce alcune, per cui presentano un valore particolare (vedi anche § 30): I. 2: quando Attalo vuol aggredire Nicomede e lo minaccia: Vuol tirar mano. Laodice l’impedisce. Poi arriva Arsinoe in chiusura di scena e viene precisato: Laodice parte. II.3: alla fine della scena è aggiunto: parte Nicomede. IV.2: arsinoe : è aggiunto: in atto d’inginocchiarsi. |
VIII. Prima recita |
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45. Prima recita
Secondo quanto Gigli scrive nell’Avviso al lettore, la traduzione era destinata al teatro del collegio dei Tolomei a Siena, nel quale Gigli è attivo negli anni 1685-1698 (vedi sotto § 49). Sarà stata rappresentata prima del 22 febbraio 1701, se consideriamo la data della dedica, con parecchio successo secondo il sopraddetto Avviso al lettore, nel quale Gigli scrive, in modo forse retorico, anche che «molti teatri d’Italia» ebbero voglia «di metterla in mostra», ciò che lo spinse a pubblicarla. |
46. Altre recite nel Settecento
Non precisato. |
IX. Il testo in Goldoni |
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47. Riferimenti, diretti o indiretti, al testo o al suo autore presenti negli scritti o nelle opere di Goldoni
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48. Aspetti del testo particolarmente rilevanti in rapporto con il teatro goldoniano.
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X. Altri eventuali dati d’importanza presenti nei paratesti proemiali e altre osservazioni d’interesse |
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49. Dati dei paratesti
Gigli non riporta nella traduzione l’Examen scritto da Corneille nel 1660, che sostituisce il precedente Avis au lecteur della prima edizione (Nicomède, Paris, Pierre Le Monnier, 1651). Tuttavia, certamente lavora sulla seconda edizione, perché nell’A chi legge di sua mano, dichiara esser rimasto «invaghito» dall’affermazione di Corneille che dichiarava che Nicomède era l’opera per la quale provava l’amicizia più assoluta. Scrive Gigli: «Questo componimento tragicomico è di Pierre Corneille, e se vuoi sapere con quale affetto egli medesimo lo distinguesse tra altri suoi nobilissimi parti, eccoti quel che ne dice nel discorso col quale lo accompagna alla luce: «Je ne veux point dissimuler que cette pièce est une de celles pour qui j’ai le plus d’amitié». La citazione è tratta dall’Examen. Proprio questa affermazione avrebbe mosso Gigli a formare «una gala all’italiana per la nobil gioventù del collegio Tolomei dove sempre si vorrebbe vedere una virtù di nuova foggia per le divise che sogliono prendere questi spiriti generosi negli gli spettacoli del Carnevale». Nella dedica, Gigli sviluppa una riflessione prudente sulle due ‘virtù’ che secondo lui si oppongono nella tragedia, quella romana, portata da Flaminio, ambasciatore del Senato, e quella del eroe cartaginese, senza prendere partito frontalmente: «Una di queste è nata sotto l’ascendente illustre dei destini di Roma. Una aperse gli occhi al lampo vittorioso delle spade di Cartagine. Quella ebbe il suo latte dalla política di un Senato che avrebbe avuta mente di consigliare ancora sopra i decreti di Giove; questa si nodrì della generosità d’un capitano che avrebbe avuto cuore ancora di contrastare colla spada di Marte». Con questo parallelo equilibrato, lui interpeta la principale tematica che Corneille dichiara aver sviluppata nell’opera, quella dell’abusiva prepotenza dei Romani sugli altri regni. Gigli cerca anche di valutare positivamente il personaggio di Attalo, concedendogli la virtù di aver saputo rinunziare alla donna amata per salvare il trono. Nicomède è stata criticata per il suo finale lieto, non conveniente a una tragedia regolare. Nell’A chi legge Gigli non discute questa presunta irregolarità, la stima una tragicommedia, scrivendo: «questo Componimento tragicomico è di Pierre Corneille». Benché Gigli dichiari che «quest’opera è tutta di Corneille», riconosce anche che «in qualche parte però è [sua], nel medesimo modo che un romano architetto avrebbe potuto dichiarar sua una di quelle antiche guglie d’Egitto, la quale avesse tolta l’impresa di slogare, condurre, sbarcare, trovandole poi il sito per la prospettiva, e formandole i piedistalli, e tutte le rifiniture per la sua giusta attitudine e finalmente adattando un obelisco di Menfi, all’uso di un orologio per una piazza di Roma. Non sono così presuntuoso che abbia preteso di mutarla in qualche parte, se non per adeguarla, e alla scena d’Italia ed al costume del Collegio. Per finire vuoi tu sapere ciò che fia mio? Leggi quella e questa. E se ti rincresce di leggerne due, lascia piuttosto la mia, che avrai cervello». Così lui, con modestia forse dubbia, definisce la pratica della riduzione, alla quale si dedica sulle opere di Molière, Racine e Corneille, e anche su altre opere francesi di Montfleury e di Palaprat. Corneille, nell’Examen, distingue quello che riprende dalle storie latine (Marco Giugnano Giustino, autore de l’Epitoma Historiarum Philippicarum Pompei Trogui), e quello che aggiunge e modifica, in particolare nella catastrofe, di cui cambia l’esito. Invece di tradurre l’Examen, Gigli articola un Argomento che riassume così l’antefatto: «Suppone l’Autore che Annibale sconfitto si ritirasse nella regia di Prussia, re di Bitinia a cui aveva educato il principe Nicomede, suo primogenito nella disciplina dell’armi e che i Romani avessero degli ostaggi del re per assicurarsi della fede di lui, fra i quali Attalo, secondogenito di Prussia medesimo e figlio d’Arsinoe, sposa del secondo letto. / Che Flaminio romano, figlio di quel Flaminio ucciso da Annibale a Trasimeno, meditasse da lungo la vendetta del padre e però disegnasse di comprare la vita di Annibale, colla restituzione di Attalo al re di Bitinia. E perché la virtù dei Romani non voleva infierire contro il nemico già disarmato ed imponente, Flaminio occultò i suoi privati fini sotto il verbo del pubblico interesse; poiché facendo insospettire la repubblica romana della potenza di Nicomede che s’era già impadronito di molti regni dell’Asia, si fece eleggere ambasciatore al re Prussia medesimo nel ricondurre che gli fece del secondo genito, affine di promuovere questi al soglio della Bittania ed escluderne Nicomede, già discepolo di Annibale e diffidente dei Romani. Suppone in terzo luogo l’autore, che Laodice, principessa erede del regno d’Armenia fosse stata lasciata sotto la tutela e governo di Prussia, con legge testamentaria che dovesse sposarsi all’erede dei regni di Bitinia, e conseguentemente all’erede e primogenito di Prussia che legittimamente doveva essere Nicomede. E finalmente che Nicomede, sposo in fede di Laodice, sentita la morte d’Annibale (il quale per timore di dare nelle mani di Flaminio volontariamente s’avvelenò) e sentita la venuta in Bitinia dell’ambasciatore di Roma e d’Attalo suo minor fratello, temendo di qualche violenza per Laodice sua, e di qualche maligno artifizio d’Arsinoe sua matrigna nemica, lasciò improvvisamente i suoi eserciti e venne nella regia di Bitinia per difendersi lo scettro e la moglie». Vedi anche §§ 45. |
50. Osservazioni
Il testo della tragedia originale Nicomède sta in Corneille, Œuvres Complètes, II, a cura di Georges Couton, Paris, Gallimard, Pléiade, 1984, pp. 640-712, colle note alle pp. 1458-1496.
La prima recita della tragedia di Corneille ebbe luogo a Parigi, all’Hôtel de Bourgogne, nel gennaio 1651. Corneille dichiara nell’Avis au lecteur della prima edizione, che Nicomède è la sua ventunesima tragedia. È considerata una delle migliori. Il contesto in cui fu scritta la tragedia è quello della cosidetta ‘Fronde des princes’ (1650-1653), episodio finale della Fronde, o Guerre des Lorrains, cominciata nel 1648, mentre la Francia è in guerra contro la Spagna, e il re Luigi XIV, ancora minorenne, è sotto l’autorità della Regente, Anne d’Autriche e del cardinale Mazzarino. I principi della famiglia Bourbon (Condé, Conti e il duca di Longueville), che si erano pronunciati sin dal 1643, alla morte di Louis XIII, contro lo scivolamento del potere reale verso l’assolutismo, vengono imprigionati nel gennaio 1650, su ordine di Mazzarino, al castello di Vincennes, ma la provincia resta in agitazione. Parigi è affidato alla custodia di ‘Monsieur’, cioè Gaston d’Orléans, fratello del fu re Louis XIII, che fa alleanza con il cardinale di Retz, Gondi, e intende negoziare la pace. Mazzarino è costretto dal duca d’Orléans, e dai ‘Frondeurs’ a liberare i principi prigioni ed a esiliarsi nel febbraio 1651. Seguono vari sollevamenti del popolo, infuriato contro Mazzarino. Mazzarino è poi richiamato dal giovane re Louis XIV nel gennaio 1652. Condé è sconfitto nell’aprile 1652. Nell’ottobre 1652, dopo l’episido dell’assedio di Parigi dove Condé e la Grande Mademoiselle (figlia maggiore di Gaston d’Orléans) sono assiedati dalle truppe regali, Condé, benché sostenuto dal popolo, deve fuggire in Spagna. Il giovane re rientra trionfalmente al Louvre. Condé viene condannato a morte nel 1654, ma dopo la pace dei Pirenei è graziato e torna a usufruire di tutti i suoi poderi. Nel trasformare un fatto storico in opera drammatica, Corneille, con Nicomède, nel gennaio 1651, mostra di essere favorevole a Condé, allora molto ammirato e popolare, contro Mazzarino, ma il finale ‘lieto’, che anticipa la conclusione della Fronde storica, gli concede una posizione teorica ed etica al disopra dei fatti, perché augura con fermezza la possibilità della riconciliazione e della pace in tutto il regno. Si capisce perché Molière abbia scelto Nicomède per il debutto della sua troupe al Louvre davanti al re nel 1658. Occorre forse ricordare che Gaston d’Orléans è il padre, in seconde nozze, di Marguerite Louise d’Orélans, la quale aveva sposato nel 1661 il principe Cosimo III dei Medicis, granduca di Toscana nel 1701, quando Gigli realizza la traduzione. |